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CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 21 aprile 2021
571.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (VII e XI)
ALLEGATO
Pag. 51

ALLEGATO

Indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO

Premessa

  Introduzione

1. IL LAVORO NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO

  1. Lavoratori dipendenti dello spettacolo

   1.1 I lavoratori dipendenti e il fenomeno del multiple job holding

   1.2 I rapporti di lavoro nel settore dello spettacolo

   1.3. La qualificazione dei rapporti di lavoro e la contrattazione collettiva

  2. L'occupazione nello spettacolo

   2.1 La classificazione dell'occupazione nello spettacolo

   2.2 Gli occupati nelle professioni culturali e nel settore culturale

   2.3 Caratteristiche dell'occupazione nello spettacolo

  3. Le rilevazioni della ricerca «Vita da artisti» della Fondazione Giuseppe Di Vittorio

   3.1. La situazione economica, le tipologie di contratto e il lavoro irregolare

   3.2. Il rischio della disoccupazione e i periodi di non lavoro

   3.3. Le competenze e la formazione

   3.4. I committenti e le condizioni di lavoro (salute e sicurezza)

   3.5. Organizzatori, amministratori, tecnici, formatori, docenti

  4. La formazione e l'occupazione

2. LA PREVIDENZA NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO

  2.1 I dati del settore dello spettacolo

  2.2 I tratti distintivi dell'assicurazione obbligatoria dei lavoratori dello spettacolo

  2.3 La situazione patrimoniale del Fondo pensioni dei lavoratori dello spettacolo (ex ENPALS)

  2.4 I trattamenti pensionistici

Pag. 52

  2.5 L'assicurazione economica di malattia

  2.6 L'assicurazione di maternità

  2.7 L'assicurazione contro la disoccupazione (NASpI)

  2.8 L'ampliamento delle figure professionali assicurate al F.P.L.S.

3. IL SISTEMA DELLO SPETTACOLO

  3.1 Il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS)

  3.2 Le Fondazioni lirico-sinfoniche

  3.3 L'Osservatorio dello spettacolo

4. TEMI E PROPOSTE DEGLI OPERATORI DEL SETTORE

  4.1 Tecnici dello spettacolo e semplificazione burocratica

  4.2 Lo sportello unico per lo spettacolo e il protocollo eventi con codice unico identificativo

  4.3 Registri e riconoscimento professionale

  4.4 Contratto di prestazione occasionale di spettacolo

  4.5 Appalti di servizi

  4.6 Gestione e sicurezza dei lavoratori

  4.7 Mobilità internazionale

  4.8 Regime fiscale per i lavoratori autonomi con partita IVA

  4.9 Associazionismo e organizzazione dei lavoratori

  4.10 Lo spettacolo indipendente ed emergente

  4.11 Il lavoro sommerso

  4.12 Le esenzioni previste dall'articolo 1, comma 188, della legge finanziaria per il 2007

  4.13 Le scuole di musica non sovvenzionate

5. CONCLUSIONI: CRITICITÀ E PROSPETTIVE DI ADEGUAMENTO DELLE TUTELE

  5.1 Contratti di lavoro

  5.2 Trattamenti pensionistici

  5.3 Indennità di discontinuità

Pag. 53

  5.4 Assicurazione economica di malattia e di maternità

  5.5 Assicurazione contro la disoccupazione (NASpI)

  5.6 Nuove figure professionali

  5.7 Registro nazionale dei lavoratori del settore dello spettacolo, dell'intrattenimento e dello svago

  5.8 La pratica amatoriale

  5.9 Strumenti di analisi e monitoraggio

  5.10 Il Codice dello spettacolo e il FUS

  5.11 Fondazioni lirico-sinfoniche

  5.12 Formazione

  5.13 Semplificazione

  5.14 Salute e sicurezza sul lavoro

  5.15 Mobilità artistica e uniformità delle regole in ambito europeo

Pag. 54

  Premessa

  Le Commissioni riunite VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) e XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati hanno svolto, tra il 2019 e il 2020, un'indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo. Lo svolgimento dell'indagine è stato deliberato dalle Commissioni il 27 febbraio 2019.
  Scopo dell'indagine era quello di realizzare una ricognizione della condizione dei lavoratori del settore dello spettacolo, con riguardo, tra l'altro, alla loro situazione economica, alle prospettive previdenziali, alle tipologie contrattuali che più li riguardano, alla frequenza e alle forme del lavoro irregolare che li interessa, al rischio della disoccupazione, ai rapporti con la committenza, ai ritmi e alle condizioni di lavoro, alle aspettative legate al lavoro, alla formazione e alle competenze.
  L'indagine prendeva le mosse – come chiarito nel programma dell'indagine (si veda la seduta delle Commissioni del 27 febbraio 2019) – dalla constatazione che, nonostante la Costituzione affermi con forza il valore della cultura e il diritto alla cultura, l'Italia ha tuttavia costantemente ridotto negli ultimi due decenni gli investimenti pubblici per la cultura, e per lo spettacolo in particolare, e ha dimostrato scarsa attenzione per le peculiari dinamiche del lavoro nel mondo dello spettacolo e per le specifiche esigenze di tutela previdenziale dei lavoratori del comparto. Questa disattenzione è la conseguenza del fatto che il settore dello spettacolo – e più in generale quello culturale – è stato spesso considerato nelle politiche pubbliche come un fattore meno importante o perfino marginale del processo di sviluppo e crescita della società, se non addirittura come un mero costo per la comunità: un assunto, questo, che contrasta con l'evidenza che nel settore operano migliaia di lavoratori che contribuiscono ad arricchire la comunità – innanzitutto spiritualmente, ma anche economicamente, – svolgendo un lavoro faticoso e impegnativo per loro e prezioso per la crescita individuale e collettiva del Paese e per il benessere personale di una larga parte della popolazione, ossia quella che apprezza le arti dello spettacolo e ne forma il pubblico. L'indagine ha preso le mosse dalla constatazione che la realtà quotidiana dei professionisti del settore dello spettacolo, caratterizzata da un lavoro inevitabilmente intermittente e scarsissimamente tutelato dal punto di vista normativo, è poco o per nulla conosciuta, non solo da parte dei cittadini, ma anche delle istituzioni, al punto che anche le statistiche ufficiali forniscono una rappresentazione solo approssimativa e limitata delle caratteristiche dei lavoratori del settore.
  L'indagine si è sviluppata innanzitutto attraverso l'audizione di voci qualificate dell'INPS e dell'ISTAT, nonché di dirigenti esperti del settore spettacolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'allora Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (oggi Ministero della cultura).
  Per l'INPS è stato audito prima il dottor Ferdinando Montaldi, dirigente dell'Area datori di lavoro privati della Direzione centrale entrata e recupero crediti (30 aprile 2019), e poi lo stesso presidente dell'Istituto, professor Pasquale Tridico (11 novembre 2020). Per l'ISTAT è stata audita la dottoressa Vittoria Buratta, Direttore del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione Pag. 55e diffusione dell'informazione statistica e per le relazioni internazionali. Per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato audito il dottor Romolo De Camillis, direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali (25 giugno 2019); per Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo è stato audito il dottor Onofrio Cutaia, direttore della Direzione generale dello spettacolo (25 giugno 2019).
  In secondo luogo l'indagine conoscitiva ha acquisito il contributo diretto dei lavoratori del settore. Sono state audite dapprima le organizzazioni sindacali più rappresentative nel settore – CGIL, CISL, UIL e UGL (16 luglio 2019) – e poi i rappresentanti di una serie di associazioni o raggruppamenti di varia natura di artisti e lavoratori dello spettacolo. In particolare, il 14 gennaio 2020 sono stati auditi rappresentanti di «100 Autori», del «Movimento Spettacolo dal Vivo», del «Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co)», del «Gruppo “Facciamolaconta”» e di «Documentaristi italiani (DOC/IT)».
  A marzo 2020 l'indagine conoscitiva ha subito una battuta di arresto a seguito delle limitazioni imposte dal Governo agli spostamenti sul territorio nazionale e del conseguente iniziale rallentamento delle attività parlamentari. Le audizioni sono riprese a ottobre 2020, nella forma di audizioni in videoconferenza, che, a quella data, stante la disciplina allora vigente per le audizioni in videoconferenza, è stato possibile svolgere solamente come audizioni informali. Dei contributi portati da queste audizioni informali – che come tali si pongono al di fuori dell'ambito ufficiale dell'indagine conoscitiva e delle quali non è data resocontazione stenografica – le Commissioni hanno comunque tenuto conto nella definizione di questo documento conclusivo.
  Precisamente, le Commissioni hanno ripreso l'audizione di associazioni o raggruppamenti di artisti e lavoratori dello spettacolo, raccogliendo – in separate audizioni informali (il 21 e il 27 ottobre 2020) – le voci dell'Associazione italiana danza attività di produzione (AIDAP), dell'Associazione teatri italiani privati (ATIP), del Forum arte e spettacolo e di SOS Musicisti (il 21 ottobre 2020); nonché della Piattaforma A-Live, dell'Associazione generale italiana dello spettacolo (AGIS), dell'Associazione italiana organizzatori e produttori spettacoli di musica del vivo (ASSOMUSICA), di AssoArtisti-Confesercenti, dell'Associazione DJ (A-DJ), dell'Associazione ATeatro e del Nuovo IMAIE (il 27 ottobre 2020).
  Da ultimo, le Commissioni – anche in considerazione del fatto che l'indagine era ormai aperta da oltre un anno – hanno deciso di concentrare il lavoro finale, svolgendo poche mirate audizioni informali di esperti qualificati. Sono stati auditi Carlo Fuortes, soprintendente del Teatro dell'Opera di Roma (3 novembre 2020), Madia D'Onghia, professoressa ordinaria di Diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Foggia, e Cristina Alessi, professoressa associata di Diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Brescia (3 novembre 2020). Infine, sono state ascoltate – come in qualche modo emblematiche – le voci di due lavoratori dello spettacolo: un'attrice, Veronica Mazza, e un tecnico dello spettacolo, Alberto Butturini.
  Sotto il profilo cronologico l'indagine conoscitiva si è conclusa con l'audizione già citata del presidente dell'INPS (11 novembre 2020), che Pag. 56è stato possibile svolgere nuovamente come audizione formale, pertanto ufficialmente ricompresa nell'indagine conoscitiva (e della quale è stato quindi pubblicato il resoconto stenografico), in quanto nel frattempo la cornice delle regole di riferimento della Camera dei deputati era stata modificata onde consentire lo svolgimento in videoconferenza anche delle audizioni formali (e non solo di quelle informali).
  Per la definizione del documento conclusivo, infine, sono stati impiegati pure alcuni contributi scritti espressamente richiesti o comunque acquisiti dalle Commissioni in quanto pertinenti e utili ai fini dell'indagine. Si tratta del contributo scritto dell'Associazione nazionale delle fondazioni lirico-sinfoniche (A.N.FO.L.S.) e del documento pubblico che riferisce gli esiti della ricerca sulla «Vita da artisti» condotta dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

  Introduzione

  Le Commissioni hanno avviato l'indagine conoscitiva al fine di poter disporre di un quadro conoscitivo chiaro e omnicomprensivo delle molteplici sfaccettature e delle problematiche che esistono in questo ambito. Particolare attenzione è stata riservata all'analisi delle problematiche giuslavoristiche e previdenziali al fine di porre le condizioni per cercare di sistematizzare una disciplina legislativa e giurisprudenziale particolarmente frammentata, attraverso la formulazione di specifiche ipotesi di intervento normativo.
  Nel nostro ordinamento, valori come la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico e la loro libera fruizione da parte dei cittadini appartengono a una sapiente architettura di diritti che si lega strettamente agli orizzonti fondamentali della democrazia: eguaglianza, libertà, equità sociale, dignità della persona umana. La Costituzione, nel delineare perfettamente tali orizzonti, ci ricorda che la cultura, e conseguentemente il diritto alla sua fruizione attraverso le molteplici modalità di espressione, è un bene comune. L'articolo 9 della Carta costituzionale riconosce alla cultura la valenza di elemento costitutivo e identitario della Repubblica, esprimendo sotto forma di principio giuridico ciò che è intrinsecamente connaturato nella coscienza civile comune della Nazione. La stessa connessione tra i due commi dell'articolo 9 rappresenta un tratto peculiare: sviluppo, ricerca, cultura, patrimonio formano un tutto inscindibile. La promozione delle attività che concorrono a divulgarne la conoscenza non è dunque un'attività fra altre per la Repubblica, ma una delle sue missioni più proprie, pubblica e inalienabile per dettato costituzionale.
  Tuttavia, troppo spesso il settore culturale viene nei fatti trattato come un fattore marginale nel processo di sviluppo complessivo della società. Da ciò deriva una scarsa attenzione delle istituzioni verso le specifiche dinamiche del lavoro e del sistema previdenziale dei lavoratori di quello specifico comparto culturale che è lo spettacolo. Nel settore operano migliaia di lavoratori, che contribuiscono ad arricchire la vita delle nostre comunità, svolgendo un mestiere faticoso e altamente impegnativo. Eppure, la realtà quotidiana di questi professionisti, caratterizzata da tipologie di lavoro intrinsecamente atipiche e con scarsissime tutele, è poco o per nulla conosciuta, sia da parte dei cittadini, sia da parte delle istituzioni, come dimostra il fatto che anche Pag. 57le statistiche ufficiali offrono una rappresentazione limitata di questo settore.
  Inoltre, la crisi sanitaria in corso, e le conseguenti misure di contenimento del contagio adottate dal Governo, hanno inevitabilmente esacerbato le problematiche preesistenti ed evidenziato le fragilità tipiche del settore dello spettacolo. Secondo un recente rapporto dell'OCSE(1), gli effetti della crisi sui canali di distribuzione e il calo degli investimenti nel settore impatteranno sulla produzione e sull'offerta di beni e servizi culturali negli anni a venire. Nel medio periodo, la riduzione dei flussi turistici sia a livello nazionale che internazionale, il calo del potere di acquisto e la riduzione dei finanziamenti pubblici e privati per l'arte e la cultura, specialmente a livello locale, potrebbero ulteriormente amplificare questa tendenza negativa. In assenza di una risposta concreta da parte del settore pubblico e in attesa di una chiara strategia di ripresa, il prevedibile ridimensionamento del settore culturale e creativo avrà un impatto negativo sulle città e sui territori in termini di posti di lavoro, ricavi, livelli di innovazione, benessere dei cittadini, vivacità e varietà delle comunità. Si tratta di uno scenario che deve essere evitato. Il nostro Paese non può permettersi di dilapidare un tale patrimonio umano, culturale, economico.
  L'indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo ha preso avvio nel febbraio 2019, raccogliendo numerosi contributi, espressione di punti di vista diversi ma tutti ugualmente utili per ricostruire le condizioni e le problematiche di questo settore fortemente frammentato e misconosciuto e per individuare gli interventi normativi che è necessario adottare.
  Al fine di poter disporre sin dall'inizio di un quadro di riferimento statistico affidabile e di raccogliere e organizzare tutta la documentazione ufficiale disponibile, sono stati auditi in via preliminare rappresentanti dell'INPS e dell'ISTAT, nonché dirigenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero per i beni e le attività culturali. Successivamente sono state svolte audizioni delle rappresentanze sindacali, delle associazioni di categoria, nonché di giuslavoristi ed esperti del settore. I contributi raccolti dalle audizioni – ma anche da altre fonti di informazione pertinenti al tema trattato – sono stati organizzati e sistematizzati nel presente documento attraverso una suddivisione in tre capitoli.
  Nel primo capitolo si opera una ricognizione statistica del lavoro nello spettacolo, attraverso indagini dirette e registri statistici che riguardano l'occupazione in generale. Sono state inizialmente prese in considerazione le due seguenti fonti di dati: l'indagine campionaria dell'ISTAT sulle forze di lavoro e l'Archivio statistico delle imprese attive (ASIA). È stata presa in considerazione anche una terza fonte, che consente all'ISTAT di approssimare l'universo dei lavoratori dello spettacolo, il Registro annuale sul costo del lavoro individuale (RACLI), che riporta retribuzioni, ore e costo del lavoro per individui e imprese. Unitamente alle informazioni fornite dall'ISTAT nell'ambito dell'indagine conoscitiva, le quali attingono alle tre fonti sopradette, per analizzare ulteriori aspetti del variegato mondo del lavoro nello spettacolo è stata presa in considerazione l'analisi campionaria «Vita da Pag. 58artisti», realizzata nel 2017 dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio con il contributo della SLC-CGIL.
  Il secondo capitolo, attraverso i dati forniti dall'INPS, raccoglie tutti gli elementi utili a ricostruire il quadro normativo di riferimento, nonché le caratteristiche specifiche degli aspetti previdenziali, assicurativi e di welfare rilevanti per i lavoratori dello spettacolo: i trattamenti pensionistici, l'assicurazione di malattia, l'assicurazione di maternità, l'assicurazione contro la disoccupazione (NASpI), l'ampliamento delle figure professionali assicurate al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo (F.P.L.S.). Si è fatto inoltre riferimento alla situazione patrimoniale del citato Fondo pensioni dei lavoratori dello spettacolo (ex ENPALS). Inoltre, si fornisce una panoramica sui dati che consentono di cogliere la rilevanza dell'industria creativa e dello spettacolo nell'economia nazionale ed il contributo che la stessa reca allo sviluppo della ricchezza nazionale e dell'occupazione.
  Nel terzo capitolo si opera una ricognizione normativa sul principale strumento di intervento finanziario statale a favore dello spettacolo dal vivo: il Fondo unico per lo spettacolo (FUS), a tutt'oggi disciplinato dalla legge 30 aprile 1985, n. 163, recante «Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo», che ne prevede l'istituzione, nello stato di previsione dell'allora Ministero del turismo e dello spettacolo. Si approfondiscono inoltre aspetti specifici dei rapporti di lavoro nell'ambito delle Fondazioni lirico-sinfoniche e si evidenzia la necessità di potenziare e di affinare gli strumenti di analisi e di monitoraggio e di uniformare definizioni e ambiti di riferimento statistico, per intercettare a pieno la complessità del settore. Particolare attenzione viene dedicata ai settori dello spettacolo non sovvenzionati: settori popolati da migliaia di artisti emergenti e indipendenti, in gran parte giovani, che spesso sono al contempo i soggetti più fragili ma anche più innovativi e creativi del mondo dello spettacolo. Il mancato riconoscimento dei bisogni specifici dei lavoratori di questi settori condanna migliaia di artisti e tecnici a operare nel sommerso, umiliandone le legittime aspettative di vita e deprimendo in questo modo l'enorme potenziale di accrescimento culturale che tali operatori profondono nelle comunità.
  Nelle conclusioni, dopo aver riassunto tutte le criticità emerse dalle audizioni, dalle memorie depositate e dalle altre fonti di conoscenza dell'ambito di indagine, vengono delineate le principali direttrici da seguire per l'adeguamento delle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo, vengono individuate specifiche proposte di intervento normativo e vengono tracciati gli orizzonti per una riforma del settore dello spettacolo nel contesto post pandemico.

1. IL LAVORO NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO(2)

  Come emerso in particolare dall'audizione della Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione dell'ISTAT, dottoressa Vittoria Buratta, il lavoro nel settore dello spettacolo – settore che comprende le rappresentazioni dal vivo (teatro, musica, danza, attività circense), il cinema, la radio, la televisione Pag. 59 e l'audiovisivo, e ha espressioni anche nelle arti visive performative – si rivela di complessa misurazione, per numerosi motivi. Si tratta di un problema che riguarda non soltanto il lavoro nello spettacolo, ma, più in generale, quello nel settore della cultura.
  La statistica ufficiale descrive l'occupazione in termini di intensità di presenza di un individuo sul mercato del lavoro. Tuttavia nel settore dello spettacolo – e più in generale nel settore culturale, dove il lavoro è caratterizzato da forte intermittenza e saltuarietà dei periodi di prestazioni effettive – tale presenza può essere il prodotto della combinazione di più attività lavorative che determina per gli individui una situazione definita, in inglese, di multiple job holding.
  Con questa espressione si indica la gestione, da parte della stessa persona, di più occupazioni lavorative contemporanee: per esempio, lo svolgimento di due professioni a tempo parziale, una delle quali continuativa e regolarmente retribuita e l'altra saltuaria e poco o per niente retribuita; oppure una di natura artistica e l'altra no, e così via. Questa condizione è molto frequente fra gli artisti come gli attori o i musicisti, anche di grande successo. È difficile, infatti, che la somma delle giornate di lavoro effettivo da loro svolte in un anno solare corrisponda al tempo pieno o ci si avvicini.
  Come si dirà in seguito, la mediana dei giorni lavorati nell'anno dai lavoratori dipendenti dello spettacolo (senza contare quindi i lavoratori autonomi) è di 194 giorni lavorati per 399 ore retribuite: valori di molto inferiori a quelli corrispondenti dei lavoratori dipendenti del settore privato (365 giorni e 1.252 ore).
  I percorsi professionali di artisti e lavoratori dello spettacolo possono, nel tempo, alternare periodi di disoccupazione a periodi di occupazione e comprendere anche mobilità fra settori (ad esempio, verso l'insegnamento o il commercio). Se è vero che l'intermittenza e la saltuarietà del lavoro sono divenute comuni anche in altri comparti di attività economica, la loro prevalenza come modello dell'occupazione nel settore culturale è stata osservata in ambito europeo – ha chiarito la dottoressa Buratta – fin dalla metà degli anni Novanta.
  Il fenomeno del multiple job holding rende difficile la misurazione del lavoro nel settore culturale e dello spettacolo, in quanto comporta che siano esclusi dalla rilevazione tutti quei casi in cui, alla luce del valore delle retribuzioni o del numero di giornate lavorate, gli individui dichiarano come propria occupazione prevalente quella non artistica. Come si vedrà più approfonditamente in seguito, pertanto, una quota di soggetti occupati parzialmente o con discontinuità nello Spettacolo tende a sfuggire alle rilevazioni fondate sulle dichiarazioni degli stessi interessati.
  Anche il lavoro non retribuito – quello reso in forma di prestazioni volontarie, tirocini formativi, stage, e così via – resta al di fuori del campo di osservazione delle rilevazioni di cui attualmente possiamo fare uso, pur essendo di recente divenuto oggetto di studi in ambito internazionale.
  Per questo motivo, rispondere a una domanda in apparenza semplice come «Quanti sono i lavoratori dello spettacolo in Italia?» è tutt'altro che facile e comporta una serie di ragionamenti non banali e alcuni caveat. Pag. 60
  Le informazioni di cui disponiamo derivano da indagini dirette e da registri statistici sull'occupazione in generale che hanno diversi livelli di dettaglio e fanno riferimento a differenti – quindi non completamente sovrapponibili – tipologie di fenomeni osservati. Queste fonti – emerge dal documento consegnato dalla rappresentante dell'ISTAT al termine dell'audizione – ci documentano, nel 2018, una quota di occupati la cui stima oscilla fra lo 0,6 per cento e l'1,4 per cento del totale degli occupati, leggermente in aumento rispetto al 2012.
  Mediamente queste persone svolgono un lavoro fortemente instabile e a bassa intensità, ancora segnato da un notevole divario di genere (gender gap), non solo retributivo. Hanno livelli di istruzione molto superiori alla media e dichiarano, nonostante le condizioni di instabilità, grande interesse per quello che fanno e una elevata soddisfazione per il proprio lavoro.
  Nel settore culturale, e di conseguenza nello spettacolo, professioni e mansioni ad elevato contenuto artistico, culturale e creativo – compositori, registi, attori, cantanti, danzatori, costumisti, scenografi, e così via – coesistono con occupazioni di supporto non artistiche ma comunque di alta specializzazione – quali quelle di fotografi di scena, tecnici del suono, sarti e truccatori, amministratori, esperti di diritto del settore, addetti alle vendite, agenti e rappresentanti – e con occupazioni non artistiche e non specializzate, come quelle di guardarobieri, maschere, pulitori, facchini, carpentieri e addetti alla sicurezza, e così via.
  Non è possibile, d'altra parte, per arrivare a contare gli occupati del comparto, procedere attraverso un'associazione automatica fra lavoratori dello spettacolo e imprese dello spettacolo: non sempre e non tutti i lavoratori artistici dello spettacolo sono occupati esclusivamente da istituzioni o imprese del settore. Si pensi ai musicisti indipendenti ingaggiati da un'agenzia che organizza eventi per accompagnare i matrimoni o a agli attori o cantanti che animano le attività promozionali di imprese manifatturiere o i villaggi-vacanze, agli scenografi chiamati ad allestire una sede congressuale, e così via.
  Per questa intrinseca complessità, alla quale si aggiungono gli effetti delle trasformazioni tecnologiche, della rivoluzione digitale e dell'emergere di nuove forme di creatività artistica, la misurazione statistica dell'occupazione nel settore culturale – e, nel caso che più interessa questa indagine conoscitiva, dell'occupazione nello spettacolo – deve necessariamente adottare due diverse chiavi di lettura o approcci: quella per professioni e quella per attività, come rilevato dalla rappresentante dell'ISTAT nella sua audizione.
  Il primo approccio guarda alle professioni che caratterizzano lo spettacolo. Possiamo distinguere professioni tipiche dello spettacolo, cioè quelle che sono esercitate prevalentemente all'interno del settore dello spettacolo – musicisti, cantanti, attori, autori di testi, registi, compositori, e via dicendo – e professioni di supporto, cioè quelle che possono essere svolte anche al di fuori di questo settore. Nella Classificazione delle Professioni 2011 elaborata dall'ISTAT, quaranta professioni sono riconducibili direttamente, anche se non in via esclusiva, allo spettacolo. Possiamo dividerle in professioni centrali ad elevato contenuto artistico (circa 25) e in professioni di supporto (circa 15). Pag. 61
  Il secondo approccio ha per oggetto l'occupazione che si svolge nell'ambito dello Spettacolo, in particolare attraverso il ricorso alla classificazione delle attività economiche ATECO.
  A proposito di codici ATECO, vale la pena di ricordare incidentalmente l'ordine del giorno 9/02700/104 – presentato dalla deputata Cimino e accolto dal Governo nella seduta del 12 ottobre 2020, nel corso della discussione alla Camera dei deputati del disegno di legge di conversione del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, recante misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia – che impegna il Governo a valutare l'opportunità di attribuire un codice ATECO specifico nell'ambito delle attività di allestimento dello spettacolo mediante l'introduzione di un elemento ulteriore nella attuale classificazione alfanumerica delle attività economiche(3).
  Questi due approcci attingono principalmente a due fonti di dati: da una parte, quelli derivanti dall'indagine campionaria dell'ISTAT sulle forze di lavoro, che raccoglie informazioni, anche molto dettagliate, attraverso interviste ai lavoratori; dall'altra parte, l'Archivio statistico delle imprese attive (ASIA), che è un registro «multifonte» sulle imprese attive nel nostro Paese, nel quale sono rilevate caratteristiche come unità locali, numero di addetti, fatturato, e così via. L'unità di analisi dell'indagine campionaria sulle forze di lavoro è il singolo lavoratore, mentre quella di ASIA è l'impresa.
  C'è poi una terza fonte – ha evidenziato la rappresentante dell'ISTAT nella sua audizione – che consente di approssimare l'universo dei lavoratori dello spettacolo, ed è il Registro annuale sul costo del lavoro individuale (RACLI), che riporta retribuzioni, ore e costo del lavoro per individui e imprese. Il RACLI integra informazioni provenienti da fonti amministrative di natura fiscale e dati di indagine. L'unità di analisi qui utilizzata è la posizione lavorativa dipendente o rapporto di lavoro. A un individuo possono quindi corrispondere ogni anno tante posizioni o tanti rapporti quanti ne sono stati attivati nell'anno considerato. Va sottolineato che una parte di occupazione nello spettacolo è esclusa dalle fonti utilizzate dal registro. Sono prese in considerazione nel RACLI soltanto le imprese private: il conteggio quindi non comprende, per esempio, la RAI – che da sola ha oltre 13.000 dipendenti, anche se non tutti impiegati nel mondo dello spettacolo – né alcune fondazioni lirico-sinfoniche o enti teatrali.

  1. Lavoratori dipendenti dello spettacolo(4)

  1.1 I lavoratori dipendenti e il fenomeno del multiple job holding(5)

  Come emerso dall'audizione della rappresentante dell'ISTAT, che ha preso in considerazione innanzitutto i dati del RACLI, i lavoratori dipendenti del settore privato(6) extra-agricolo che nel 2016 hanno Pag. 62avuto almeno una posizione attiva(7) nell'ambito dello spettacolo(8) sono 192.389 (pari all'1,4 per cento dei lavoratori dipendenti totali del settore) per un numero di 413.653 rapporti di lavoro (2,1 per cento del totale dei rapporti di lavoro). Il 38,8 per cento di questi lavoratori ha avuto più rapporti nel corso dell'anno (contestuali o non); a questi si attribuiscono il 71,6 per cento dei rapporti totali della popolazione oggetto di studio. Il 16,9 per cento ha avuto rapporti anche al di fuori dell'ambito dello spettacolo.
  La durata mediana dei rapporti di lavoro in questione è stata di 194 giorni nell'anno per 399 ore retribuite: valori molto inferiori a quelli relativi a tutti i lavoratori dipendenti del settore privato (365 giorni e 1.252 ore). I lavoratori con unico rapporto di lavoro nell'anno hanno avuto contratti più durevoli della media (212 giorni), anche se con un input di lavoro inferiore (320 ore). Per i lavoratori che hanno avuto più di una posizione lavorativa è necessario, invece, distinguere tra quelli che hanno lavorato internamente al settore e coloro che hanno lavorato anche al di fuori del comparto. Le due popolazioni presentano, infatti, strutture molto diverse tra loro: se i primi hanno avuto contratti più brevi (103 giorni) e un input di lavoro più basso (240 ore) sia rispetto alla media sia rispetto ai lavoratori con unico rapporto, coloro che hanno lavorato anche al di fuori del comparto presentano un input di lavoro in termini di ore retribuite(9) doppio rispetto alla media dei colleghi (801 ore), con una durata di 306 giorni.
  In termini di retribuzioni, in un contesto con una retribuzione oraria(10) mediana di 11,24 euro (in linea con la retribuzione oraria lorda totale dell'anno di 11,21 euro) e con una retribuzione mediana annua(11) di 4.328 euro (molto inferiore rispetto al valore totale, pari a 13.563 euro), i lavoratori che intrattengono più rapporti sono retribuiti in modo migliore rispetto ai colleghi con unico rapporto, sia in termini Pag. 63orari (11,61 euro contro 10,97 euro), sia in termini annui (5.396 euro contro 3.261 euro). Tra questi, i lavoratori con la retribuzione oraria più bassa, cioè quelli che hanno posizioni lavorative anche al di fuori dell'ambito di interesse (10.89 euro), sono anche coloro i quali percepiscono una retribuzione annua più alta (8.389 euro). Dal lato opposto, i lavoratori con più rapporti che non lavorano in altri settori, pur essendo retribuiti in modo superiore rispetto ai colleghi in termini orari (12,5 euro), lo sono per un periodo inferiore e maturano, quindi, una retribuzione annua inferiore anche di più del 50 per cento (3.015 euro).
  Per i lavoratori che hanno più posizioni lavorative nell'anno anche al di fuori dell'ambito dello spettacolo, si nota come sia necessaria la presenza di posizioni esterne allo spettacolo per elevare la retribuzione annua. Le città che presentano il più elevato numero di lavoratori occupati nell'ambito dello spettacolo sono Roma (36,6 per cento del totale dei lavoratori dello spettacolo, per il 44,5 per cento del totale dei rapporti), Milano (13,1 per cento e 13,6 per cento) e Napoli (2,6 per cento e 2,2 per cento). Queste città sono anche quelle che presentano la concentrazione più alta di imprese che occupano lavoratori dello spettacolo.

  1.2 I rapporti di lavoro nel settore dello spettacolo(12)

  Dall'audizione della rappresentante dell'ISTAT è emerso che nel 2016, si osservano 365.912 rapporti(13), caratterizzati da una retribuzione oraria mediana pari a 12,35 euro. Se ordiniamo le posizioni lavorative per numero di ore retribuite, la metà raggiunge un valore pari o inferiore alle 46,7 ore annuali. Analogamente, se si distribuiscono le posizioni lavorative per la durata del rapporto di lavoro nell'anno misurata in giorni, emerge che la metà dei rapporti sono stati lunghi, al più, 17 giorni.
  L'elevata frammentarietà è un tratto che contraddistingue le posizioni lavorative dello spettacolo, che risultano fortemente concentrate con riferimento a più caratteristiche della relazione lavorativa. L'80,7 per cento dei rapporti di lavoro ha un contratto a tempo determinato e il regime orario più frequente è full-time nell'81,3 per cento dei casi. Classificando le posizioni lavorative per intensità di lavoro, il 77,8 per cento si può definire a bassa intensità, ovvero con meno di 90 giornate retribuite e un'anzianità aziendale minore di due anni(14), il 90,9 per cento ha un'anzianità aziendale inferiore ai cinque anni. Per le categorie meno diffuse, ovvero rapporti a tempo indeterminato e rapporti con anzianità superiore a cinque anni, si osserva un numero di ore retribuite mediano superiore di circa trenta volte a quello complessivo.
  I rapporti di lavoro nello spettacolo coinvolgono imprese che per il 50,9 per cento risiedono nel Centro Italia, per il 25,6 per cento nel Pag. 64Nord-ovest, per il 10,6 per cento nel Nordest e solo per il 9,7 per cento al Sud e per il 3,2 per cento nelle Isole. Al Centro, i rapporti sono più frammentati: la metà delle posizioni lavorative non raggiunge le 23 ore e, considerando la durata dei rapporti in giorni, la metà ha una durata nell'anno inferiore a 6 giorni. All'opposto, i rapporti nel Nord-est sembrano i più stabili: la mediana delle ore retribuite annuali è pari a 160 e quella della durata dei rapporti in giorni è 120. Con riferimento alla dimensione aziendale, si osserva una distribuzione quasi uniforme delle posizioni lavorative con una prevalenza presso le piccole imprese (10-49 dipendenti) che rappresentano il 34,1 per cento. I rapporti di lavoro con microimprese (0-9 dipendenti) sono caratterizzati da valori doppi rispetto al complesso dei rapporti di lavoro sia della mediana delle ore retribuite annuali sia della durata del rapporto in giorni.
  Le imprese in cui sono occupati i lavoratori dello spettacolo sono distribuite per attività economica fra circa 60 divisioni della classificazione ATECO. Il 91,2 per cento delle relazioni lavorative coinvolge imprese di sole cinque divisioni: 198.968 posizioni lavorative, il 54,4 per cento del totale, hanno una relazione lavorativa con una impresa che svolge la sua attività principale nella divisione «Attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, di registrazioni musicali e sonore»; il 16,4 per cento nella divisione «Attività sportive, di intrattenimento e di divertimento»; il 10,1 per cento nella divisione «Attività creative, artistiche e di intrattenimento»; il 4,5 per cento nella divisione «Attività riguardanti le lotterie, le scommesse, le case da gioco»; il 4,4 per cento nella divisione «Attività di programmazione e trasmissione» e l'1,4 per cento nella divisione «Attività di ricerca, selezione, fornitura di personale».
  Mentre la divisione «Attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, di registrazioni musicali e sonore» è caratterizzata da rapporti di lavoro particolarmente frammentati, con una durata mediana nell'anno pari a 3 giorni e un numero mediano di ore retribuite nell'anno pari a 17,5, per le divisioni «Attività riguardanti le lotterie, le scommesse, le case da gioco» e «Attività di programmazione e trasmissione» si osservano rapporti di lavoro stabili nell'anno, durata mediana annuale pari a 365 giorni e mediana del numero di ore retribuite annuali superiori di venti volte al dato complessivo riferito al totale dei rapporti di lavoro dello spettacolo.
  I rapporti di lavoro dello spettacolo riguardano, per il 60,7 per cento, uomini, con una retribuzione oraria di 12,88 euro, più alta di quella delle loro colleghe di 1,18 euro. Al crescere del livello di istruzione, cresce la retribuzione oraria, che passa dagli 11,70 euro per il livello di istruzione primaria ai 13,07 euro per il livello di istruzione terziaria; anche la mediana delle ore retribuite segue un andamento analogo e raddoppia, passando dalle 26 ore annuali per i rapporti di lavoro con lavoratori con bassa istruzione alle 64 ore per i lavoratori con livello di istruzione più elevata. Anche la durata dei rapporti nell'anno cresce, ma non nella stessa proporzione. Il 48,5 per cento delle posizioni lavorative è occupata da lavoratori con livello di istruzione secondaria.
  La distribuzione per età mostra una maggiore concentrazione dei rapporti, pari al 49,5 per cento, per la classe 30-49 anni; questa classe di età è l'unica con mediana delle ore retribuite annuali e durata del Pag. 65rapporto, rispettivamente pari a 66,7 ore e 21 giorni nell'anno, superiori ai valori calcolati sul totale dei rapporti dello spettacolo. La retribuzione oraria mediana cresce al crescere dell'età, passando dai 10,60 euro per i più giovani ai 13,90 euro per i più anziani. L'88,5 per cento dei rapporti di lavoro riguarda lavoratori italiani. Quanto ai lavoratori stranieri, questi sono per il 5,8 per cento di origine extra-europea e per il 5,6 per cento di origine europea.

  1.3. La qualificazione dei rapporti di lavoro e la contrattazione collettiva(15)

  Come emerso dall'audizione del 3 novembre 2020 di Cristina Alessi, professoressa associata di Diritto del lavoro presso l'Università degli Studi di Brescia, la questione della qualificazione dei rapporti di lavoro come subordinato o autonomo, se non rileva ai fini del versamento dei contributi previdenziali, ha un rilievo importante nella applicazione delle tutele previste per i lavoratori subordinati.
  Nel caso del lavoro dello spettacolo, infatti, almeno per quanto riguarda la prestazione di attori, cantanti e artisti in generale, la subordinazione si atteggia in maniera diversa rispetto al modello tipico di lavoro subordinato, dal momento che il lavoro artistico si caratterizza per un'ampia discrezionalità del lavoratore circa le modalità di svolgimento della prestazione, sia pure nell'ambito delle direttive generali del datore di lavoro. Per esempio, sono stati considerati subordinati gli animatori di villaggi turistici, gli attori, gli orchestrali e il personale tecnico della produzione di spettacoli. Con riguardo agli orchestrali, una sentenza della Corte di giustizia europea del 2014 ha sottolineato come gli orchestrali ingaggiati con un contratto d'opera che svolgano tuttavia la stessa attività di quelli assunti con contratto di lavoro subordinato debbano essere considerati «falsi lavoratori autonomi», con quel che ne consegue in termini di applicazione delle tutele previste per il lavoro subordinato(16).
  Non è un caso che il recente CCNL per lo spettacolo dal vivo dedicato a teatri e scritturati, firmato il 19 aprile 2018 tra le parti sociali e le associazioni di categoria, abbia disciplinato, nel protocollo allegato, anche il lavoro autonomo nello spettacolo, prevedendo tutele analoghe a quelle previste per il lavoro subordinato (prima tra tutte il compenso minimo). Questa appare una sperimentazione interessante che dovrebbe essere tenuta in considerazione nell'elaborazione della riforma della disciplina del lavoro in questo settore. Del resto, che anche il lavoro autonomo con caratteristiche di dipendenza (non solo) economica richieda tutele, sia pure minime, analoghe a quelle del lavoro subordinato, è dimostrato dalla legge 22 maggio 2017, n. 81.
  Il rapporto di lavoro autonomo si costituisce attraverso la stipulazione di un contratto d'opera ed è caratterizzato dall'elemento della indipendenza dell'artista, dalla assenza di vincoli orari, dalla libertà di decidere tempi e modi dello svolgimento della prestazione, dal compenso normalmente commisurato all'intera prestazione e non su base Pag. 66oraria. Tuttavia, occorre verificare quali siano le concrete modalità di svolgimento della prestazione; va tenuto presente che nell'ambito del lavoro autonomo devono essere ricomprese anche le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro cosiddetto etero-organizzato (articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81), il che complica non poco il quadro di insieme.
  Nel settore dello spettacolo il contratto individuale di lavoro subordinato stipulato tra datore di lavoro e lavoratore è definito contratto di scrittura artistica e presenta alcune particolarità rispetto al contratto di lavoro subordinato ordinario. Ad esempio, spesso la scrittura contiene la «clausola di esclusiva» e la «clausola di protesta». La prima impedisce al lavoratore artistico, per tutto il periodo della scrittura, di svolgere attività presso altri soggetti; la seconda consente al datore di lavoro di recedere dal contratto prima del tempo, in caso di mancato gradimento della prestazione, anche da parte del pubblico (per i lavoratori degli altri settori, il recesso, nel caso del contratto a termine, può avvenire solo per giusta causa).
  Questi ultimi profili ci portano alle questioni di maggiore criticità della disciplina legislativa del lavoro nel settore dello spettacolo, che riguardano il ricorso assolutamente prevalente al contratto a termine e al contratto di lavoro intermittente. L'aspetto più critico è l'estrema precarietà dei rapporti di lavoro del settore: precarietà che è consentita dal quadro di riferimento legislativo in materia di contratto a termine e di contratto di lavoro intermittente.
  Quanto al contratto a termine, occorre ricordare che l'articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2015 fissa in 24 mesi il limite massimo di durata di uno o più contratti a termine stipulati tra le medesime parti e che l'articolo 21 del medesimo decreto legislativo stabilisce un numero massimo di proroghe e rinnovi del contratto a termine stesso. Inoltre, l'articolo 23 stabilisce la cosiddetta «percentuale di contingentamento», cioè la percentuale massima di lavoratori a termine che possono essere assunti da un datore di lavoro, stabilita nel 20 per cento dei lavoratori a tempo indeterminato, limite che non si applica, tuttavia – in forza della previsione del secondo comma del medesimo articolo – ai lavoratori dello spettacolo assunti «per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive».
  Alle previsioni appena viste si affianca la disciplina stabilita dalla contrattazione collettiva, che in un caso esclude l'applicazione ai contratti di scrittura artistica dei limiti massimi di durata e del numero di rinnovi (CCNL 19 aprile 2018), in un altro eleva il limite massimo a 36 mesi, rinviando alla contrattazione di secondo livello per la fissazione del limite percentuale massimo di ricorso al contratto a termine (CCNL 19 febbraio 2020 – COOPERATIVE).
  La previsione sull'innalzamento del limite del 20 per cento non pone particolari problemi applicativi, sempre che sia verificabile che il contratto si riferisca a «specifici» spettacoli o a specifiche produzioni. Occorre ricordare che la giurisprudenza sottolinea che «deve sussistere un vincolo di necessità diretta, anche se complementare e strumentale, nello specifico spettacolo e nello specifico programma, così che non può essere considerata sufficiente a legittimare la stipulazione del contatto a tempo determinato la semplice qualifica, tecnica o artistica, del Pag. 67personale, correlata alla produzione di spettacoli televisivi o radiofonici» e che si deve trattare di un programma di «durata limitata nell'ambito della complessiva programmazione» (Cass. Civ. sez. lav., 1° febbraio 2016, n. 1841). In altre parole, se si tratta di una prestazione collegata a una programmazione duratura, viene meno la possibilità di deroga dalle previsioni della legge.
  Più discutibile, anche alla luce della giurisprudenza europea, è la deroga al limite massimo di durata dei contratti a termine successivi, contenuto nel CCNL, senza particolari giustificazioni (se non la specificità del settore). Occorre ricordare che la Corte europea, nel caso delle Fondazioni lirico-sinfoniche (su cui si tornerà più avanti), ha precisato che la normativa nazionale che consente l'assunzione di lavoratori tramite contratto a tempo determinato senza alcun limite e senza la previsione di sanzioni adeguate per gli abusi derivanti dalla successione di tali contratti contrasta con la clausola dell'accordo quadro allegato alla direttiva 99/70/CE, e come tale va censurata (CGUE 25 ottobre 2018, C-331/17, Sciotto).
  La precarietà del rapporto di lavoro in questo settore è incrementata in misura consistente anche dal ricorso indiscriminato al contratto di lavoro intermittente, peraltro normalmente stipulato come contratto a termine e senza la clausola di disponibilità che garantirebbe al lavoratore, nei periodi di sospensione tra una prestazione e l'altra, una percentuale della retribuzione prevista per i periodi di lavoro. Anche il lavoro intermittente è regolato, oltre che dal decreto legislativo n. 81 del 2015 (articoli 13-18), dalla contrattazione collettiva ed è una delle tipologie più utilizzate, per l'estrema versatilità delle modalità del suo utilizzo.

  2. L'occupazione nello spettacolo

  2.1 La classificazione dell'occupazione nello spettacolo(17)

  Dalla documentazione depositata dall'ISTAT è emerso che l'individuazione dell'occupazione nello spettacolo della Rilevazione dell'ISTAT sulle forze di lavoro (RFL) comprende due componenti:

   a) gli occupati in una professione dello spettacolo (attore, cantante, scenografo, e così via), attivi, sia in un comparto dello spettacolo, sia in altro comparto;

   b) gli occupati in un comparto dello spettacolo (cinema, televisione, intrattenimento, e così via), attivi, sia in una professione dello spettacolo, sia in una professione non dello spettacolo (segreteria, custode, e così via).

  La classificazione delle professioni disponibili sul mercato del lavoro CP2011 fornisce una serie di informazioni e di indicatori utili all'individuazione del tipo di lavoro svolto, mentre la classificazione ATECO2007, riferita agli occupati nei vari comparti in cui si articola il settore dello spettacolo, fornisce indicazioni sul comparto economico cui appartiene il lavoratore, a prescindere dalla professione svolta. Pag. 68
  Definito l'oggetto di studio, l'esercizio successivo condotto dall'ISTAT ha riguardato l'individuazione, nelle due nomenclature, delle singole voci pertinenti da includere fra le statistiche dello spettacolo. In particolare, riguardo alle professioni, la CP2011 riprende la classificazione internazionale ISCO, che si fonda sul criterio della competenza (skill) definito nella sua duplice dimensione: livello di competenza, complessità del lavoro svolto (skill level); campo delle competenze, conoscenze settoriali (skill specialization)(18).
  L'ATECO2007 riprende la classificazione statistica delle attività economiche nella Comunità europea NACE, che classifica le unità di produzione secondo l'attività svolta, caratterizzata da un input di risorse, da un processo produttivo e da un output di prodotti o servizi(19).
  L'individuazione delle singole voci operata dall'ISTAT si è avvalsa del livello di maggior dettaglio, il quinto, disponibile dal 2011 per entrambe le classificazioni. Complessivamente l'ISTAT ha selezionato 40 professioni della CP2001 e 10 classi dell'ATECO2002.

  2.2 Gli occupati nelle professioni culturali e nel settore culturale(20)

  Le quaranta professioni che contraddistinguono gli occupati nelle professioni dello spettacolo sono state, nell'audizione dell'ISTAT, raggruppate in due gruppi: professioni considerate dello spettacolo in qualsiasi settore vengano svolte (per esempio, attori, dialoghisti, sceneggiatori, ballerini, tecnici del suono, acrobati) e professioni considerate dello spettacolo soltanto se svolte in un settore dello spettacolo (per esempio, imprenditori, direttori generali, analisti e progettisti di software, addetti alla vendita di biglietti, acconciatori, falegnami).
  Quanto agli occupati nel settore dello spettacolo, le dieci classi in cui sono suddivisi sono raggruppate in tre gruppi: attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, di registrazioni musicali e sonore; attività di programmazione e trasmissione; attività creative, artistiche e di intrattenimento.
  Individuate le singole voci – si legge nel documento depositato dalla rappresentante dell'ISTAT – la classificazione complessiva dell'occupazione nello spettacolo tiene conto dell'incrocio a livello di microdati tra le due nomenclature(21).
  Se nel biennio 2017-2018 gli occupati nelle professioni dello spettacolo sono 96 mila e gli occupati nel settore dello spettacolo 119 mila, l'incrocio tra le due classificazioni permette di stimare l'occupazione dello spettacolo nel suo complesso in 142 mila unità, evitando di Pag. 69contare due volte gli individui che svolgono una professione dello spettacolo in un settore dello spettacolo.
  Più in particolare, la combinazione delle due informazioni permette di costruire tre profili di occupazioni del comparto dello spettacolo: il primo profilo comprende i lavoratori in una professione dello spettacolo attivi nel settore dello spettacolo; il secondo profilo comprende i lavoratori in una professione dello spettacolo attivi al di fuori del settore dello spettacolo; il terzo profilo comprende i lavoratori che esercitano una professione non dello spettacolo ma sono attivi nel settore dello spettacolo:

   1) professioni dello spettacolo in un settore dello spettacolo: 73 mila nel biennio 2017-2018;

   2) professioni dello spettacolo in un settore diverso dallo spettacolo: 23 mila nel biennio 2017-2018;

   3) professioni non dello spettacolo in un settore dello spettacolo: 46 mila nel biennio 2017-2018.

  Complessivamente, il 51,4 per cento dell'occupazione nello spettacolo comprende lavoratori che possono essere considerati professionisti dello spettacolo nel senso più restrittivo, ossia soggetti che presentano entrambi i criteri: professione dello spettacolo svolta in un settore dello spettacolo; il 16,3 per cento dell'insieme è invece composto da lavoratori che svolgono una professione dello spettacolo ma operano in settore che non appartiene allo spettacolo. Infine, il 32,3 per cento dell'occupazione nello spettacolo è composta da lavoratori in settori dello spettacolo ma che svolgono una professione di carattere amministrativo, dirigenziale o segretariale.

  2.3 Caratteristiche dell'occupazione nello spettacolo(22)

  I dati derivanti dall'indagine campionaria dell'ISTAT sulle forze di lavoro, ha chiarito la rappresentante dell'Istituto nella sua audizione, consentono un maggiore dettaglio degli aspetti più specifici e qualitativi del lavoro nel comparto che interessa questa indagine conoscitiva, seppure debbano essere trattati con le necessarie cautele derivanti dalle modalità di definizione della professione: infatti l'indagine cattura solamente i soggetti che considerano la propria attività artistica come prevalente e che quindi si autodefiniscono come lavoratori dello spettacolo, mentre i multiple job holder, che sono impegnati solo saltuariamente o in forma molto ridotta rispetto alla occupazione principale in attività di spettacolo, non sono inclusi nel conto.
  Nel periodo 2011-2012, in Italia, i lavoratori dello spettacolo, presi nel loro insieme, erano stimabili in 135.000. Nel 2017-2018 risultano circa 142.000, in crescita del 6 per cento. Nel dettaglio, nel 2017-2018 gli occupati in professioni dello spettacolo operanti nell'ambito delle imprese del settore erano poco più della metà (73.000); 46.000 coloro che svolgevano attività non dello spettacolo nell'ambito delle imprese dello spettacolo; la maggior crescita, pari al 38 per cento, rispetto al Pag. 702011-2012 (23.000) è registrata dai lavoratori con professionalità dello spettacolo attivi in imprese esterne al settore.
  Nel 2017-2018, i maschi sono la maggioranza, con il 67 per cento. La loro quota è cresciuta di 2 punti rispetto al 2011-2012. Dominano gli adulti: la fascia di età 35-49 rappresenta il 46 per cento degli occupati, cui va aggiunto il 25,5 per cento degli over 50. Tuttavia, a confronto con l'insieme degli occupati, il segmento 15-34 anni raggiunge nello spettacolo il 28 per cento, contro un valore medio del 22 per cento fra tutti i lavoratori.
  Il Mezzogiorno è decisamente sottorappresentato, con il 13,9 per cento di lavoratori. a fronte di una quota del 26,7 per cento nell'insieme di tutti gli occupati. Nel Nord si concentra il 52,6 per cento dei lavoratori dello spettacolo, al Centro il 33,4 per cento.
  Se musicisti e danzatori spesso hanno alle spalle percorsi formativi mirati, il retroterra di studi e di apprendistato della maggior parte dei lavoratori dello spettacolo è vario e aperto, sovente informale e non certificato. Tuttavia, paragonati all'insieme degli occupati, i lavoratori dello spettacolo sono in possesso di titoli di studio decisamente più elevati: il 51 per cento (contro il 46 per cento) ha un diploma e il 41 per cento un titolo universitario (contro il 23 per cento).
  Un aspetto caratterizzante di questi lavoratori – secondo le ricerche dell'ISTAT – è rappresentato dalla soddisfazione per la propria attività professionale. Se per stabilità del rapporto di lavoro, possibilità di guadagno, distanza da casa e orario, gli occupati nello spettacolo si dichiarano mediamente meno soddisfatti degli occupati presi nel loro insieme, l'interesse per il lavoro e le opportunità di carriera sono motivo di soddisfazione decisamente superiore, soprattutto per le persone con lavori artistici, sia all'interno, sia all'esterno del perimetro delle imprese dello spettacolo.

  3. Le rilevazioni della ricerca «Vita da artisti» della Fondazione Giuseppe Di Vittorio(23)

  Elementi di informazione utili per delineare il profilo multiforme dei lavoratori dello spettacolo si possono trarre, oltre che dalle citate analisi dell'ISTAT e dell'INPS, dalla ricerca «Vita da artisti», che è stata realizzata nel 2017 dalla Fondazione Di Vittorio, con il contributo della SLC-CGIL, e che rappresenta un'utile ricognizione sulle condizioni del lavoro nel settore dello spettacolo. La ricerca «Vita da artisti» è stata acquisita nell'ambito delle audizioni del «Gruppo “Facciamolaconta”» e di «C.Re.S.Co. – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea». La ricerca – che è reperibile online, sul sito internet della Fondazione Giuseppe Di Vittorio(24) – mira ad indagare i bisogni e le condizioni di chi lavora nello spettacolo dal vivo con professioni creative e artistiche, con qualsiasi modalità contrattuale e in ogni ambito. La metodologia utilizzata per la ricerca è quella dell'indagine campionaria, particolarmente utile a completare il quadro statistico fornito dall'ISTAT e dall'INPS. Pag. 71
  Nell'insieme dei 3.856 rispondenti sono stati selezionati dai curatori della ricerca 2.090 questionari considerati valutabili sulla base della risposta data ad alcune variabili chiave (genere, età, settore, professione, tempo dedicato allo spettacolo) e alla completezza della compilazione. A questi si aggiungono 103 questionari relativi a professioni di backstage (tecnici), di gestione e organizzazione imprenditoriale (amministratori e organizzatori) o di insegnamento, i cui risultati sono presentati separatamente con un focus alla fine del rapporto.
  La ricerca presenta i risultati dell'indagine attraverso un'articolazione per temi: i dati anagrafici e le tipologie professionali, la situazione economica, le tipologie contrattuali e il lavoro irregolare, il rischio della disoccupazione, le competenze e la formazione, la committenza, i ritmi e le condizioni di lavoro, le aspettative sul proprio lavoro, la dimensione della rappresentanza, il rapporto con le associazioni e il sindacato. Uno specifico focus è dedicato a quei lavoratori dello spettacolo dal vivo che, pur svolgendo attività non necessariamente artistiche e creative, sono direttamente coinvolti nell'ideazione e realizzazione degli spettacoli (organizzatori, amministratori e tecnici) o che svolgono attività di insegnamento nell'ambito dello spettacolo in maniera esclusiva (formatori e docenti).
  Si riportano di seguito gli elementi più caratteristici della ricerca, escludendo le informazioni già desumibili dai dati messi a disposizione dall'ISTAT e dall'INPS.

  3. 1. La situazione economica, le tipologie di contratto e il lavoro irregolare

  Dall'analisi del reddito netto annuale (escluse le tasse) percepito nel 2015 dal proprio lavoro nello spettacolo dal vivo emergono difficoltà economiche per la maggior parte del campione osservato. Poco più della metà dei soggetti (51,4 per cento) percepisce fino a 5mila euro l'anno. Il 37,5 per cento percepisce tra i 5mila e i 15mila euro l'anno. I professionisti che godono di condizioni economiche più vantaggiose degli altri, oltre i 25mila euro l'anno, sono solo il 4,2 per cento del campione.
  Se approfondiamo l'analisi del reddito da lavoro nello spettacolo nel 2015, in una condizione generale di redditi bassi, osserviamo che:

   1) le donne guadagnano meno degli uomini: l'83,4 per cento delle donne guadagna meno di 10.000 euro, contro il 71,3 per cento degli uomini, inoltre solo l'1,3 per cento delle donne guadagna più di 30.000 euro, contro il 3,4 per cento degli uomini;

   2) il reddito aumenta con l'aumentare dell'età: per i più giovani (fino a 30 anni) sembrano inaccessibili i redditi superiori ai 10.000 euro netti;

   3) i redditi più bassi si concentrano nel Mezzogiorno (84,3 per cento di chi lavora nel Sud Italia e isole guadagna meno di 10.000 euro, contro il 77 per cento circa nel Centro e il 75 per cento circa nel Nord);

   4) tra le professioni, i meno retribuiti sono i ballerini (il 90,5 per cento di loro guadagna meno di 10.000 euro); seguono i musicisti (l'80,8 per cento di loro guadagna meno di 10.000 euro) e gli attori (il 78,4 per cento di loro guadagna meno di 10.000 euro), mentre redditi leggermente Pag. 72 migliori si registrano tra autori, registi, drammaturghi e scenografi (64,8 per cento guadagna meno di 10 mila euro);

   5) chi svolge anche un'altra professione al di fuori dell'ambito dello spettacolo dal vivo percepisce dall'attività nello spettacolo un reddito più basso rispetto alla media (l'87,7 per cento di costoro guadagna meno di 10.000 euro, contro il 70,2 per cento di chi lavora solo nello spettacolo dal vivo): da un lato, quindi, questi lavoratori sono costretti a svolgere un altro mestiere perché percepiscono nello spettacolo redditi più bassi, dall'altro, proprio l'impossibilità di dedicare tutto il tempo disponibile allo spettacolo dal vivo comporta la difficoltà di avere un reddito maggiore da questo settore.

  Oltre alle difficoltà legate all'ammontare del reddito, dalla ricerca citata emergono difficoltà legate al ritardo dei pagamenti: solo un professionista su quattro (25 per cento) è pagato puntualmente per l'importo concordato; il 21,7 per cento è pagato con un ritardo oscillante tra i 3 e i 6 mesi; e ben il 10,4 per cento è solitamente pagato con un ritardo superiore ai 6 mesi.
  Da un lato. i redditi sono bassi, dall'altro. la natura del lavoro è intermittente e le garanzie contrattuali sono scarse. Questo comporta che per il 71,1 per cento dei rispondenti è «molto difficile» prendere un prestito per sostenere una spesa consistente e imprevista e per il 18,3 per cento è «abbastanza difficile». La grande maggioranza dei soggetti del campione, poi, non è iscritta a una forma di previdenza complementare (solo il 14,4 per cento è iscritto).
  I rapporti di lavoro stabili e strutturati sono una rara eccezione nel mondo dello spettacolo: avevano un contratto a tempo indeterminato soltanto il 3,4 per cento di chi ha lavorato nel 2014 (di cui il 44,4 per cento in associazione con altri contratti) e il 4 per cento di chi ha lavorato nel 2015 (di cui il 55,7 per cento in associazione con altri contratti). Per quanto riguarda i contratti di formazione (stage/tirocinio o apprendistato), questi sono stati riscontrati soltanto nel 4,2 per cento del campione per l'anno 2014 e nel 4,4 per cento dei casi per l'anno 2015: una percentuale bassa, anche considerando l'età media dei rispondenti.
  All'opposto, le forme contrattuali più frequenti hanno carattere temporaneo (a tempo determinato, a progetto o a collaborazione): una o più di queste modalità hanno interessato due lavoratori su tre nel 2014 (65 per cento) e una percentuale comparabile nel 2015 (63,8 per cento). Seguono a distanza, in ordine di frequenza, le formule contrattuali in uso nel mondo dello spettacolo (la cessione dei diritti d'autore, il contratto di scrittura e la cessione dei diritti di immagine): queste hanno coinvolto un lavoratore su tre sia nel 2014 (31,8 per cento), sia nel 2015 (33,3 per cento).
  La partita IVA, in regime di contribuzione minima o normale, è stata usata dal 21,1 per cento dei casi nel 2014 e dal 22,8 per cento dei casi nel 2015. Il voucher per il lavoro accessorio ha conosciuto un notevole incremento tra il 2014 e il 2015, passando dal 5,4 per cento del 2014 al 9,2 per cento nel 2015. Altri contratti non altrimenti specificati, infine, hanno coinvolto una quota significativa e crescente della platea dei rispondenti: il 16,8 per cento nel 2014 e il 18,2 per cento nel 2015.
  L'analisi della Fondazione Di Vittorio ha messo in evidenza il ricorso frequente, nell'arco dello stesso anno, a formule contrattuali molteplici Pag. 73relative a classi diverse. È illustrata di seguito la distribuzione dei rispondenti nelle diverse classi contrattuali: in ciascuna classe sono considerati soltanto quanti hanno riferito contratti in quella determinata classe, e non anche in un'altra, ed è definito un nuovo gruppo che raccoglie quanti hanno sottoscritto nello stesso anno contratti di classi diverse (escluso il tempo indeterminato).
  La classe dei contratti temporanei (a tempo determinato, a progetto, di collaborazione) copre il 33,6 per cento delle risposte nel 2014 e il 30,1 per cento nel 2015; seguono la partita IVA (8,9 per cento nel 2014 e 9,0 per cento nel 2015); altri contratti (8,5 per cento nel 2014 e 8,7 per cento nel 2015); e i contratti tipici del mondo dello spettacolo (7,4 per cento nel 2014 e 7 per cento nel 2015).
  Il gruppo di quanti hanno sottoscritto nell'arco dello stesso anno contratti di classi diverse è il più numeroso ed è cresciuto tra il 2014 e il 2015, passando dal 36,6 per cento al 39,9 per cento.
  I rapporti di lavoro nel mondo dello spettacolo si configurano quindi come frammentati e molto eterogenei, regolati da formule contrattuali diverse. La combinazione più ricorrente (che interessa l'11,9 per cento dei rispondenti nel 2014 e l'11,3 per cento nel 2015) è quella che associa la classe dei contratti temporanei (a tempo determinato, contratti a progetto e collaborazioni) alla classe delle formule tipiche del mondo dello spettacolo: la cessione dei diritti d'autore e dei diritti di immagine e il contratto di scrittura. Altre combinazioni degne di menzione sono:

   a) contratti temporanei – partita IVA – contratti dello spettacolo (combinazione che interessa il 3,7 per cento del campione nel 2014 e il 4 per cento nel 2015);

   b) partita IVA – contratti dello spettacolo (4,1 per cento nel 2014 e 3,9 per cento nel 2015);

   c) contratti temporanei – altro contratto (4 per cento nel 2014 e 3,3 per cento nel 2015).

  I contratti di formazione e soprattutto i voucher sono utilizzati nell'arco di un anno in combinazione con contratti di altre classi: il loro uso in forma esclusiva ha interessato un numero ridotto di persone.
  Infine, è stata valutata la distribuzione dei contratti relativi al 2015 per classi di età, per settore prevalente e per professione principale. Sono stati presi in considerazione i gruppi formati dalle persone che hanno usato contratti della stessa classe e, separatamente, di quelli che hanno usato contratti di classi diverse.
  Il contratto a tempo indeterminato, con o senza altri contratti, è relativamente più frequente nelle classi di età sopra i 50 anni e nel settore della musica. I contratti temporanei interessano tutte le classi di età – ma ricorrono meno tra gli ultracinquantenni – e sono più frequenti nella danza. La partita IVA ha un peso significativo (più del 10 per cento) sopra i 30 anni ed è aperta soprattutto da chi lavora nella prosa e nella musica, più raramente da chi è impegnato nella danza. Il ricorso alle formule tipiche dello spettacolo è crescente con l'età, più frequente nella prosa e residuale nella musica. La combinazione di contratti di diverse classi, che denota il carattere frammentario dell'esperienza di lavoro e la capacità di adattamento del lavoratore, coinvolge in misura maggiore i giovani fino a 30 anni e chi svolge la professione su più settori (multidisciplinare). Pag. 74
  Il lavoro irregolare è una pratica molto diffusa e le forme con cui questo fenomeno si manifesta sono diversificate. Se, da un lato, dalla ricerca emerge un esplicito riferimento al lavoro nero tout court, dall'altro, emerge che sono molte le forme del lavoro non regolamentato. Ad esempio, il 40,8 per cento del campione intervistato dichiara di svolgere spesso o sempre mansioni non previste dal contratto o commessa; il 60,6 per cento dichiara di svolgere spesso o sempre ore di lavoro in più non retribuite rispetto a quelle concordate; il 69,8 per cento svolge prove non retribuite. Considerando il 2015, il 43,9 per cento dichiara di non avere avuto riconosciuto nei contratti il numero di giornate effettivamente lavorate.
  Il lavoro irregolare è considerato dalla maggior parte dei lavoratori intervistati (52 per cento) come un vantaggio solamente per i datori di lavoro. Ma, d'altra parte, per un rispondente su quattro (25,7 per cento) il lavoro irregolare è un vantaggio reciproco, perché il compenso netto è maggiore, a discapito della quota di contributi e di tasse. In generale, il lavoro «in nero» si associa a compensi più bassi: segnale che evidenzia la forte correlazione tra bisogni economici e forme di lavoro irregolare.
  Concentrandosi sui fattori che espongono, con maggiore probabilità, al rischio di essere vittima di lavoro irregolare, dalla ricerca della Fondazione Di Vittorio emerge il lavoro irregolare si manifesta soprattutto:

   tra le classi più giovani (il 50,7 per cento di chi ha meno di 30 anni vi incorre «spesso» o «sempre»);

   al Sud e nelle isole (nel 44,9 per cento dei casi);

   tra chi svolge anche un'altra professione (45,8 per cento, contro il 30,2 per cento di chi svolge solo una professione nello spettacolo dal vivo)

   quanto alle professioni, tra i musicisti (più della metà di loro, il 55,6 per cento);

   tra le donne (39,4 per cento di loro, contro il 35 per cento per gli uomini).

  3.2. Il rischio della disoccupazione e i periodi di non lavoro

  Anche dalla ricerca della Fondazione Di Vittorio emerge che indagare le forme che assume la disoccupazione nel settore dello spettacolo dal vivo è molto complesso: questo perché l'assenza del lavoro si accompagna ad una presenza significativa di lavoro «stagionale». La disoccupazione è quindi un problema strutturale di questo settore, determinato dalla natura intermittente propria del lavoro in questo ambito, ed è difficile distinguere i periodi di disoccupazione dai periodi di non lavoro che caratterizzano queste professioni. Nel 2015, ha lavorato con continuità (o non l'ha fatto per meno di un mese) il 18,8 per cento dei rispondenti. Una grande maggioranza (il 41,3 per cento) dichiara di avere vissuto periodi di non lavoro di durata complessiva tra uno e tre mesi. Il 25,8 per cento si è invece assestato su un periodo di non lavoro tra i quattro e i sei mesi, mentre il 14,1 per cento ha sofferto periodi di disoccupazione superiori a sei mesi. Pag. 75
  Nonostante questo, l'83,7 per cento non ha usufruito nel 2015 di una indennità di disoccupazione. Più precisamente, il 24,1 per cento non ne ha usufruito perché non ne ha avuto bisogno; il 43 per cento perché non aveva maturato i requisiti necessari; il 16,5 per cento perché non era informato riguardo a questo tipo di sussidio.
  L'analisi della disoccupazione di lungo periodo (più di sei mesi) mostra che:

   è maggiore tra le classi di età più elevate (riguarda il 18,5 per cento di chi ha più di 40 anni, a fronte dell'11,7 per cento di chi ne ha meno di 40);

   riguarda soprattutto gli attori e i ballerini (rispettivamente il 15,7 per cento e il 15,3 per cento di loro);

   è un problema più diffuso nel Centro-Sud (17,6 per cento) rispetto al Nord (10,3 per cento);

   riguarda più le donne che gli uomini (16,4 per cento, contro il 11,5 per cento).

  3.3. Le competenze e la formazione

  I titoli di studio dei lavoratori del settore rilevati dalla ricerca «Vita da artisti» sono elevati: la metà dei rispondenti ha un diploma di scuola superiore o una qualifica professionale, mentre l'altra metà ha un titolo universitario o superiore. La maggior parte dei rispondenti (il 72,3 per cento) ha conseguito un titolo specifico di formazione nell'ambito dello spettacolo, il che dimostra la diffusa consapevolezza dell'importanza di intraprendere un percorso di valorizzazione delle proprie competenze.
  In linea con la forte presenza di attori tra i rispondenti, la maggioranza ha conseguito un titolo di formazione in un'accademia teatrale (56,4 per cento), mentre la restante parte si è formata in contesti molto diversificati: conservatori, accademie delle belle arti in diverse città d'Italia, accademie di musica in Italia e all'estero, corsi e laboratori privati e erogati da compagnie e teatri. Questi corsi erano per lo più riconosciuti (l'80,5 per cento) e quasi tutti (il 95,5 per cento) di durata superiore ad un anno, nello specifico tra i 2 e i 3 anni.
  A dimostrazione dell'importanza della formazione continua per queste professioni, quasi il 60 per cento dei rispondenti ha partecipato ad attività di formazione professionale nel 2015 e molti di loro ne hanno svolta anche più di una. Il 47,6 per cento ha sostenuto da solo le spese di formazione, il 13,1 per cento ha partecipato a una formazione gratuita erogata da associazioni e imprese private, mentre solo il 10 per cento ha avuto accesso a una formazione gratuita organizzata da enti e istituzioni pubbliche.
  Nonostante la formazione sia un elemento imprescindibile nella carriera dei professionisti dello spettacolo, non è l'elemento principale per poter lavorare, come emerge sia dal punto di vista soggettivo delle risposte, sia dall'analisi dei dati in relazione al reddito e alle condizioni di lavoro. Secondo i rispondenti, infatti, il primo fattore per avere un impiego in questo ambito è la rete di contatti (considerata «molto» o «abbastanza» importante dal 96,9 per cento) così come la disponibilità ad accettare le condizioni proposte (95,1 per cento) e l'esperienza professionale (72 per cento). Al contrario, il titolo di studio e le Pag. 76qualifiche formali sono considerate «per nulla» o «poco importanti» dal 69,7 per cento del campione, così come la formazione derivata da workshop (61,8 per cento).
  L'idea che la formazione conti poco per avere migliori condizioni di lavoro è confermata dai dati. Se incrociamo i dati sul reddito da lavoro nello spettacolo e quelli sul possesso di un titolo di formazione specifico, osserviamo che questo fattore (il titolo di formazione) non è determinante. Se approfondiamo l'analisi, osserviamo che chi ha frequentato un corso erogato da un ente riconosciuto ha qualche opportunità in più, anche se questa peculiarità non assicura comunque un percorso professionale notevolmente migliore: guadagna meno di 10.000 euro il 75,9 per cento di chi ha svolto un corso presso un ente riconosciuto, contro l'82,7 per cento degli altri; viceversa, guadagna più di 30.000 euro il 2,5 per cento di chi ha frequentato un corso da un ente riconosciuto, contro lo 0,8 per cento degli altri.
  C'è inoltre da osservare che dalla ricerca emerge che l'avere ottenuto un titolo specifico di formazione nello spettacolo non determina se si farà poi questa professione in via esclusiva o se si sarà costretti a fare anche altri mestieri.

  3.4. I committenti e le condizioni di lavoro (salute e sicurezza)

  
  Sempre secondo i dati raccolti dalla Fondazione Di Vittorio, nel 2014 il numero medio di contratti o commesse è stato di 4,9 per ogni rispondente, mentre nel 2015 questo numero è cresciuto a 5,4. La situazione è molto differenziata: considerando il 2015, l'8,6 per cento dichiara di avere avuto 10 o più contratti o commesse, mentre il 46,2 per cento ne ha avuti solo due o meno.
  La pluricommittenza è una situazione molto diffusa tra i lavoratori nello spettacolo dal vivo. Considerando il 2015, dalla ricerca «Vita da artisti» emerge che:

   il 44,3 per cento dei rispondenti lavora per più committenti, di cui uno principale;

   il 34 per cento per più committenti sostanzialmente alla pari;

   solamente il 21,8 per cento lavora per un solo committente.

  Considerando il primo gruppo (chi lavora per più committenti, di cui uno principale), emerge che:

   il 50,3 per cento ottiene più della metà del proprio reddito dal committente principale (se poi consideriamo solo chi ottiene più dell'80 per cento di reddito dal committente principale, la quota scende all'8,7 per cento);

   il committente principale lavora con finanziamenti pubblici in poco più della metà dei casi (il 52,8 per cento dei casi);

   il 30 per cento ha fino a due committenti (quindi un committente principale e uno secondario), il 53 per cento ha tra tre e cinque committenti, il 17 per cento ha sei o più committenti (la media è 4,5 committenti per rispondente).

Pag. 77

  Emerge una certa stabilità nel rapporto con il committente principale: il 35,4 per cento lavora con lo stesso committente principale da 5 o più anni e il 7,4 per cento da quattro anni. Comunque, poco più di un professionista su quattro (il 27,2 per cento) lavora con il committente principale da solo un anno o meno, mentre il 29,9 per cento lo fa da due o tre anni.
  Considerando il secondo gruppo (chi lavora per più committenti sostanzialmente alla pari), il 22,9 per cento ha fino a due committenti; il 44,2 per cento ha tra tre e cinque committenti; il 32,9 per cento ha sei o più committenti. La media è di 7,8 committenti per rispondente. Se analizziamo il rapporto tra la committenza e la tipologia professionale, osserviamo che:

   per gli attori, la condizione più diffusa è la «pluricommittenza» con un committente principale, che riguarda il 44,9 per cento dei casi; mentre il 32,9 per cento lavora per più committenti sostanzialmente alla pari e il 22,2 per cento ha un solo committente

   per autori, registi, drammaturghi e scenografi, la condizione più diffusa è la «pluricommittenza» con un committente principale, che riguarda il 47,8 per cento dei casi; mentre il 29,3 per cento lavora per più committenti sostanzialmente alla pari e il 23 per cento ha un solo committente;

   per i ballerini, la condizione più diffusa è la «pluricommittenza» con un committente principale, che riguarda il 43,1 per cento dei casi; il 25,7 per cento lavora per più committenti sostanzialmente alla pari; mentre la «monocommittenza» interessa il 31,3 per cento, una frequenza, quindi, più alta della media);

   per i musicisti, la condizione più diffusa è la «pluricommittenza» sostanzialmente alla pari, che interessa il 46,9 per cento dei casi; il 38,7 per cento lavora per più committenti, di cui uno principale; mentre il 14,4 per cento ha un solo committente.

  Nello spettacolo dal vivo, la «monocommittenza» sembra non essere un fattore di per sé determinante per avere redditi maggiori: guadagna meno di 5.000 euro il 61 per cento di chi lavora per un solo committente, il 54,6 per cento di chi ha più committenti alla pari e il 44,6 per cento di chi ha più committenti, di cui uno principale.
  Il mondo dello spettacolo è caratterizzato, poi, da una forte mobilità. Nel campione su cui si basa la ricerca «Vita da artisti», a fronte di una buona metà che è impegnata principalmente in spettacoli svolti nella propria provincia (24,1 per cento) o comunque nella propria regione di residenza (28,6 per cento), vi è un 40,8 per cento di soggetti che sono impegnati in spettacoli che si svolgono fuori dalla loro regione e un 6,5 per cento che lavora anche all'estero. Coerentemente, il 57,1 per cento dichiara di lavorare spesso o sempre in trasferta.
  Le trasferte emergono quindi come un problema significativo nella gestione economica in queste professioni. Considerando il 2015, per un lavoratore su quattro (il 24,8 per cento) i rimborsi non sono sufficienti a coprire le spese. I rimborsi erano a carico del datore di lavoro, o comunque compresi nel contratto, per il 16,5 per cento dei lavoratori. I problemi associati alle trasferte permangono anche tra i professionisti Pag. 78che ricadono nelle classi di età più avanzate: segnale del fatto che le condizioni di lavoro difficili si protraggono anche dopo i 40 anni di età.
  I tempi di lavoro sono pressanti e la necessità di rispettare la scadenza certa dello spettacolo dal vivo, insieme alle difficoltà organizzative, rende questi lavori molto faticosi. Dal campione emerge che:

   a) essere chiamato a lavorare con poco preavviso è un problema che si presenta spesso o sempre per il 47,1 per cento dei rispondenti;

   b) non avere tempo sufficiente per le prove è spesso o sempre un problema per poco più della metà del campione (53 per cento);

   c) il 43,5 per cento sostiene spesso o sempre un ritmo di lavoro eccessivo.

  Questo determina problemi rilevanti per i tempi di recupero fisico e psicologico, tanto che quasi la metà (il 47,7 per cento) dichiara di non avere «mai» o «quasi mai» tempo sufficiente per riposare. L'impatto è negativo anche sui tempi dedicati alla formazione professionale: il 41,4 per cento non ha «mai» o «quasi mai» tempo sufficiente per quest'attività indispensabile. La discriminazione o l'avere subito soprusi e ricatti è un'esperienza vissuta spesso o sempre da quasi un lavoratore su quattro (23,8 per cento).
  I problemi di conciliazione dei tempi sono numerosi, sia per i ritmi di lavoro sia per la paura di restare disoccupati. Quasi la metà dei rispondenti (48,4 per cento) dichiara infatti che l'eventuale richiesta di un congedo parentale potrebbe mettere a rischio il posto di lavoro (precisamente, lo dichiarano il 55,9 per cento delle donne e il 40,6 per cento degli uomini). La conciliazione è considerata una pratica molto o abbastanza difficile dall'84,4 per cento dei rispondenti.
  La crescita professionale e la carriera sembrano percorsi preclusi ai professionisti dello spettacolo, tanto che la quasi totalità (92,1 per cento) sostiene che è molto o abbastanza difficile.
  Il lavoro nello spettacolo dal vivo, inoltre, sembra dare poche sicurezze per il futuro di chi lo svolge: il 62,7 per cento considera molto o abbastanza difficile continuare a fare questa professione nei prossimi cinque anni; e il 13,3 per cento dichiara che non sa rispondere. Nonostante la presenza trasversalmente diffusa di questa preoccupazione, essa sembra ridursi dopo i quarant'anni e tra coloro che hanno un reddito più consistente. Si può ipotizzare che, superata una certa soglia di età, rimane nel settore chi è riuscito a raggiungere qualche garanzia in più. Alle preoccupazioni per l'impiego nel futuro si aggiungono quelle relative alla copertura previdenziale: ottenere una pensione adeguata appare molto difficile per l'89,4 per cento dei rispondenti. A fronte di tutte queste difficoltà, emerge una forte insoddisfazione, per cui i rispondenti ritengono, per la metà (il 49,5 per cento), che non sia riconosciuta la loro professionalità.
  Più di un professionista su tre ha subito un infortunio nel corso della carriera. Precisamente, il 24,3 per cento ha subìto un infortunio che ha determinato un'assenza dal lavoro inferiore ai tre giorni; e per il 13,7 per cento l'infortunio ha determinato un'assenza superiore ai tre giorni. Per molti lavoratori del settore è difficile assentarsi dal lavoro, anche quando si subisce un infortunio o si ha una malattia, tanto che il 62,8 per cento dichiara che gli è capitato di continuare a lavorare per Pag. 79un proprio senso di responsabilità e il 16,8 per cento l'ha dovuto fare per paura di perdere il lavoro.
  Viste le condizioni di lavoro, non stupisce la presenza di un numero piuttosto elevato di problemi fisici e psicologici tra i professionisti dello spettacolo. Solo il 5,3 per cento dichiara di non avere avuto nel 2015 problemi per la salute dovuti al lavoro. Quelli muscolo-scheletrici sono i problemi fisici più diffusi, e interessano quasi due rispondenti su tre (il 59,9 per cento). Sono seguiti da problemi alla voce (28,5 per cento), mal di testa (23,3 per cento), dolori allo stomaco (17,9 per cento). Circa due professionisti su tre dichiarano di soffrire di stress, ansia, depressione o insonnia (64,1 per cento).

  3.5. Organizzatori, amministratori, tecnici, formatori, docenti

  Passando ai lavoratori che contribuiscono alla creazione degli spettacoli dal vivo con professionalità per lo più tecniche (organizzatori, amministratori, tecnici, formatori, docenti), la ricerca «Vita da artisti» ha analizzato 103 questionari, che in questo capitolo sono trattati in maniera separata rispetto al resto del campione.
  Questi lavoratori presentano le seguenti caratteristiche:

   sono per lo più donne (62 per cento);

   il 70,9 per cento ha meno di 40 anni;

   sono molto qualificati (58,3 per cento ha un titolo universitario o post-universitario);

   risiedono per lo più nelle grandi città e al Nord (57,3 per cento), mentre il 29,1 per cento vive al Centro e il 13,6 per cento nel Sud e nelle isole;

   la metà opera nella prosa (50,5 per cento);

   la maggior parte non è mai stata socio di cooperativa (73,2 per cento), mentre la partecipazione ad associazione è la condizione più diffusa: il 44,9 per cento è membro di un'associazione e il 15,3 per cento lo è stato in passato;

   la maggior parte lavora per una compagnia, continuativamente (39 per cento) o saltuariamente (25 per cento);

   i redditi sono bassi (leggermente più elevati rispetto alle professioni creative e artistiche svolte sul palco): nel 2015, ha guadagnato meno di 5.000 euro netti l'anno il 33,7 per cento; tra 5.000 e 10.000 euro il 32,5 per cento; sopra i 30.000 euro solamente il 6 per cento;

   nel 2015, il 24,5 per cento dei rispondenti non ha affrontato il problema della disoccupazione, o l'ha affrontato per meno di un mese; una quota rilevante (il 40 per cento) dichiara di avere vissuto un periodo di disoccupazione tra uno e tre mesi; l'11,6 per cento si è invece assestato su un periodo di disoccupazione compreso tra i quattro e sei mesi; mentre il 7,4 per cento ha sofferto periodi di inattività superiori ai sei mesi;

   nel 2015, il 20,5 per cento dichiara che i rimborsi per le trasferte sono stati insufficienti a coprire le spese e per il 34,9 per cento essi sono stati appena sufficienti;

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   il 67 per cento lavora esclusivamente nello spettacolo dal vivo;

   nonostante i titoli elevati, anche per questi professionisti ciò che conta di più per lavorare nel settore sono i contatti tra conoscenti nello stesso settore (88,25 per cento) e la disponibilità ad accettare le condizioni di lavoro (95,1 per cento);

   il lavoro irregolare è un problema rilevante, ma meno diffuso di quanto sia nelle professioni creative e artistiche svolte sul palco: il 15,5 per cento lo subisce «spesso» o «sempre».

  I risultati mostrano che le problematiche connesse al rapporto di subordinazione sono più diffuse tra questi professionisti di quanto non siano tra coloro che nel settore svolgono professioni artistiche e creative. Infatti:

   si dichiara «un lavoratore subordinato in condizione di precarietà» il 38 per cento;

   la maggior parte si definisce come «lavoratore autonomo con scarse tutele e diritti» (quasi due su tre, il 40 per cento);

   il 12 per cento si definisce, genericamente, come «lavoratore autonomo»;

   il 10 per cento si definisce «lavoratore subordinato».

  Quanto alla domanda su cosa conta di più nel futuro professionale, la continuità occupazionale emerge come l'elemento principale per la maggioranza dei rispondenti, ma in misura minore rispetto alle professioni artistiche e creative:

   la maggioranza del campione (61 per cento) punta ad avere una maggiore continuità occupazionale con più tutele; quasi uno su tre (32 per cento) punta ad avere un compenso più elevato;

   solo il 7 per cento mira ad avere un lavoro stabile con un contratto a tempo indeterminato.

  Anche per questo gruppo, la distanza dal sindacato è marcata:

   nel 2015, ben il 73,2 per cento non ha mai partecipato ad attività sindacali;

   solo il 6,1 per cento è iscritto al sindacato;

   tra chi non è iscritto a sindacati, i motivi principali addotti sono la sfiducia e la delusione rispetto all'azione sindacale, che è ritenuta poco attenta ai problemi di questi lavoratori e dunque poco utile (41,8 per cento), nonché la scarsa informazione sulle attività del sindacato (30,1 per cento).

  Se interrogati su quali dovrebbero essere le priorità per l'azione congiunta di sindacati e associazioni, i lavoratori mettono al primo posto, con maggiore frequenza, l'istituzione di un equo compenso (una priorità per il 43,6 per cento dei rispondenti) e poi una regolamentazione più specifica del lavoro autonomo e in collaborazione (20,6 per cento). Pag. 81
  I servizi che i lavoratori dello spettacolo dal vivo chiedono al sindacato, come interventi prioritari, sono l'assistenza fiscale e legale (nel 27,4 per cento dei casi è messa al primo posto come servizio necessario); l'assistenza individuale per l'accesso all'indennità di disoccupazione (nel 21,4 per cento); la fornitura di informazioni su diritti e normative (20,2 per cento). Esigenza, quest'ultima, che caratterizza questo gruppo in maniera più decisa rispetto a quanto avviene per le professioni creative e artistiche.
  Considerando gli ambiti di intervento territoriale, le priorità per l'azione congiunta di sindacato e associazioni professionali nei confronti di istituzioni locali sono la promozione di politiche volte a aumentare l'offerta di spettacoli e le opportunità di lavoro tramite una contrattazione territoriale (una priorità nel 45,9 per cento dei casi), seguita da una maggiore disponibilità di strutture pubbliche per compagnie, gruppi e associazioni (priorità per il 25,9 per cento dei rispondenti).
  A queste iniziative, si affiancano altri interventi istituzionali che sono ritenuti fondamentali per la grande maggioranza dei rispondenti: il riconoscimento istituzionale della professionalità del lavoratore dello spettacolo (utile per il 100 per cento dei casi), un testo unico per lo spettacolo dal vivo (segnalato dall'88 per cento), un fondo regionale specifico per lo spettacolo (segnalato dall'82,4 per cento).

  4. La formazione e l'occupazione

  Il tema della formazione e del suo rapporto con l'occupazione e l'occupabilità è centrale, soprattutto in considerazione delle notevoli trasformazioni che interessano il settore dello spettacolo.
  Per avviare una pur sintetica lettura del rapporto tra formazione e occupazione culturali nel nostro Paese, è utile avvalersi delle indagini sulla condizione occupazionale e sui profili dei laureati svolte dal consorzio interuniversitario AlmaLaurea, che nel 2019 ha promosso – nell'ambito degli eventi di Matera Capitale europea della Cultura 2019 – un convegno a Matera su «Università e mercato del lavoro nell'ambito dell'industria culturale e creativa». In quella sede il consorzio ha presentato – sulla base di rilevazioni effettuate nel 2018, anno in cui i laureati nelle discipline culturali sono stati complessivamente circa 30.000, pari al 10,4 per cento del totale dei laureati – un'analisi riferita a sei aree disciplinari comprendenti il complesso delle classi di laurea di primo e secondo livello ascrivibili al campo della cultura: Architettura e Ingegneria civile, Arte e Design, Economico-turistico, Scientifico (ambiente e beni culturali), Archeologico-umanistico e Agrario-forestale (quest'ultima non è stata poi considerata per la scarsa rappresentatività statistica, pari all'1 per cento del campione).
  L'analisi consente di trarre interessanti inferenze, in particolare attraverso la comparazione dei risultati che attengono al tasso di occupazione, a cinque anni dal conseguimento del titolo (2013), rispettivamente, del totale dei laureati di secondo livello in generale e dei laureati di secondo livello nelle discipline culturali. Il tasso di occupazione si attesta all'85,5 per cento per il totale dei laureati e all'84,7 per cento per i laureati nelle discipline culturali, ma i lavoratori a tempo indeterminato sono il 52,9 per cento nel primo gruppo e il 36,2 per cento nel secondo, quelli a tempo determinato sono, rispettivamente, Pag. 82 il 18,4 per cento e il 17,8 per cento e i lavoratori autonomi incidono, rispettivamente, per il 21,1 per cento e per il 36 per cento. I rapporti di lavoro del resto degli occupati, in ambedue i gruppi, contemplano più tipologie (tra queste il contratto formativo). Le retribuzioni medie mensili vedono un dislivello pari al 6,3 per cento a favore del totale dei laureati. Dei laureati in ambito culturale occupati, solo l'11,4 per cento svolge una professione a tutti gli effetti culturale.
  Consideriamo, in particolare, lo spettacolo dal vivo e riprodotto, che ricopre un ruolo rilevante nel nostro sistema culturale per le connessioni (anche potenziali) con gli altri settori dell'economia e per il valore simbolico che riveste, prendendo in esame alcuni dei dati relativi ai laureati che afferiscono alla classe di laurea «Scienze dello spettacolo e produzione multimediale». La percentuale degli occupati, tra questi laureati, si ferma al 74,8 per cento degli uomini e al 72,9 per cento delle donne. Di loro, il 37,3 per cento sono stati assunti a tempo indeterminato e il 23,1 per cento a tempo determinato; il 22,3 per cento sono lavoratori autonomi, per i restanti occupati, vale quanto detto in precedenza; il 26,4 per cento dei dipendenti, poi, sono part-time. Nel complesso la condizione di questi laureati non si discosta in maniera significativa da quella dei laureati dell'area culturale in generale ed è comunque svantaggiata rispetto a quella del totale dei laureati in generale. Per quanto riguarda la «efficacia» della laurea (concetto che, nell'analisi di AlmaLaurea, combina sia il fatto che la laurea era richiesta per una data occupazione, sia l'uso effettivo nell'attività professionale delle competenze acquisite all'università), essa è ritenuta efficace o molto efficace dal 65,3 per cento del totale dei laureati in generale e dal 69,3 per cento dei laureati di ambito culturale, ma solo dal 34,4 per cento degli occupati nella compagine dello spettacolo. Va aggiunto che il 13,5 per cento dei rispondenti ha svolto, dopo il percorso universitario, un master (di primo o secondo livello); il 26,5 per cento ha svolto uno stage in azienda; l'11,2 per cento ha seguito un corso di formazione professionale.
  Se le figure in uscita dall'università sono prevalentemente riconducibili all'area storico-critica e a quella gestionale-organizzativa, le altre figure provengono da enti di formazione professionale – parte dei quali sono sostenuti dalle Regioni o da altre realtà formative a gestione prevalentemente privata – e dagli enti riconducibili al sistema dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM), che rilasciano titoli equiparati alle lauree.
  Per quanto riguarda l'AFAM, dall'ultima indagine di AlmaLaurea sull'occupazione dei licenziati dagli enti del sistema – indagine che si riferisce a un campione limitato di soggetti, in maggioranza appartenenti all'area musicale (in linea con la composizione delle istituzioni che nel sistema rappresentano lo spettacolo) – risulta che gli occupati, a distanza di uno o due anni dal conseguimento del titolo (la rilevazione non contempla periodi più lunghi), sono il 53 per cento (anche qui comprendendo le diverse tipologie del rapporto di lavoro). Di essi, il 43,5 per cento svolgono l'attività di insegnante (a diversi livelli) e solo un quinto svolge una professione nell'ambito delle discipline artistico-espressive.
  Quanto alle Regioni – alle quali compete la formazione professionale e che operano anche con il concorso di fondi europei, – queste Pag. 83riconoscono diverse figure professionali dello spettacolo, ma all'interno di sistemi di qualifiche definiti a livello regionale e tra loro non coincidenti. Gli interventi delle Regioni in questo campo, in assenza di una strategia nazionale condivisa, si differenziano, in maniera sensibile, anche in termini di investimenti e di programmazione. Per quanto riguarda lo spettacolo, ben poco è stato fatto sul versante della formazione continua nelle sue diverse declinazioni. Non sono peraltro disponibili dati complessivi sugli esiti rispetto all'occupazione dei partecipanti ai percorsi finanziati.
  Un'altra fonte sulla formazione dei lavoratori dello spettacolo è la Rilevazione sulle Forze di Lavoro dell'ISTAT(25), da cui emerge che il personale artistico proviene in massima parte da studi specifici, mentre la provenienza, come percorso di studi, delle altre figure che svolgono professioni dello spettacolo è assai più variegata. Come si è già visto, i lavoratori dello spettacolo presentano, inoltre, titoli di studio più elevati rispetto al totale degli occupati: il 41 per cento sono laureati (contro il 23 per cento) e il 51 per cento sono in possesso di un diploma (contro il 46 per cento), a riprova dei requisiti di specializzazione richiesti.
  Lo scenario sin qui descritto evidenzia in primo luogo il divario tra il numero dei giovani che si affacciano al mercato del lavoro dello spettacolo e il numero di quelli che effettivamente ne sono assorbiti: un divario che ha più concause. L'Italia, come è noto, tra i Paesi d'Europa è il penultimo per numero di laureati, ma è anche tra i primi per numero di studenti di terzo livello in ambito culturale, in controtendenza con la percentuale degli occupati in tale area. Facendo riferimento specificamente allo spettacolo dal vivo, va detto che una delle cause del divario in questione è che sono insufficienti gli investimenti e gli interventi (non ultimo sul versante fiscale) finalizzati al consolidamento delle imprese già esistenti o all'attivazione di nuove realtà. Le normative statali vigenti di fatto incentivano l'incremento del numero delle produzioni, prescindendo, però, dalla loro sostenibilità sul versante della distribuzione, il che aggrava il problema della discontinuità dei rapporti di lavoro.
  L'altra principale criticità è rappresentata dal disallineamento tra la domanda e l'offerta nel mercato del lavoro nello spettacolo – problema peraltro presente in diversi comparti dell'economia – che trova conferma nelle ricerche finalizzate alla rilevazione dei fabbisogni occupazionali e formativi delle imprese realizzate dal Sistema Informativo Excelsior, attraverso le Camere di commercio. Dalle analisi sulle figure dello spettacolo dal vivo e del cinema contenute nel rapporto sulle imprese culturali prodotto dal Sistema nel 2017, emerge che la difficoltà di reperimento del personale è in molti casi da attribuirsi, secondo gli imprenditori, oltre che all'insufficiente esperienza maturata sul campo dei candidati, all'inadeguatezza delle competenze acquisite attraverso lo studio.
  Il punto è che lo sviluppo e l'evoluzione dei comparti ascrivibili all'area dello spettacolo, che è dominato dalla complessità, sono legate alla ridefinizione delle figure professionali in chiave trasversale e interdisciplinare. Se i percorsi formativi degli artisti non dovrebbero prescindere dall'acquisizione di conoscenze tecnico-scientifiche, quelli Pag. 84degli organizzatori e dei manager dovrebbero aprirsi di più (come già sta avvenendo in altri Paesi) alla cultura umanistica. In una visione d'insieme, è necessario – stante il ruolo del capitale umano nelle imprese culturali – che le competenze richieste dall'evoluzione tecnologica e digitale si coniughino con quelle di tipo emotivo, relazionale, cognitivo, così come i temi collegati all'innovazione sociale devono andare di pari passo con l'evoluzione dei modelli gestionali e di governance.
  Complessivamente si avverte l'esigenza di strumenti di ascolto degli andamenti e dell'evoluzione del mondo della cultura, in grado di coglierne le istanze innovative e i fabbisogni formativi in tempo reale. Al fine di rafforzare il collegamento tra formazione e mercato del lavoro è necessaria la progettazione di rinnovate architetture formative che prevedano interazioni tra università, formazione professionale e imprese; nonché tra politiche culturali, economiche, del lavoro e sociali.

2. LA PREVIDENZA NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO

  Il quadro normativo che regola il sistema previdenziale dei lavoratori dello spettacolo è particolarmente complesso e frammentato. Al fine di poter disporre di tutti gli elementi di conoscenza utili, sono stati auditi prima il dottor Ferdinando Montaldi, dirigente dell'Area datori di lavoro privati della Direzione centrale entrata e recupero crediti dell'INPS, e poi il presidente stesso dell'Istituto, professor Pasquale Tridico.

  2.1 I dati del settore dello spettacolo(26)

  Sulla base dei dati di Unioncamere e Fondazione Symbola reperibili nel rapporto «Io Sono Cultura 2018. L'Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi», della Fondazione Symbola(27) – come emerge dall'audizione del dottor Montaldi – nel 2017 il valore aggiunto dell'industria della cultura e dello spettacolo nel suo complesso è stato di 57,7 miliardi di euro, pari al 3,8 per cento della ricchezza nazionale, e ha riguardato circa 940.000 occupati.
  Se si considera anche il valore aggiunto di quelle attività a contenuto artistico, creativo e culturale che si sviluppano al di fuori della filiera dell'industria creativa e dello spettacolo, ossia in progetti di natura strettamente commerciale (attività cosiddetta creative driven), il valore aggiunto del settore e la dimensione degli occupati crescono in misura sensibile, anche se la loro stima risulta variabile a seconda della metodologia utilizzata.
  Questi dati consentono di cogliere la rilevanza dell'industria creativa e dello spettacolo nell'economia nazionale ed il contributo che la stessa reca allo sviluppo della ricchezza nazionale e dell'occupazione. Se si concentra l'attenzione sui primi tre settori, si individua la dimensione dell'industria dello spettacolo e si possono utilizzare i dati INPS per cogliere gli aspetti peculiari del lavoro nello spettacolo. Pag. 85
  In particolare, i lavoratori a tempo indeterminato rappresentano poco meno del 30 per cento del totale degli assicurati, quelli a tempo determinato il 50 per cento, il restante 20 per cento opera con rapporti di lavoro autonomo.
  Se si analizza, con riferimento al 2017, la composizione dei lavoratori del settore per attività professionale, con evidenza della retribuzione media annua e della durata media dei rapporti di lavoro, i dati medi sono ovviamente condizionati dalla presenza di un numero rilevante di assicurati per i quali le prestazioni professionali nel settore dello spettacolo non costituiscono la principale attività lavorativa.
  Si tratta generalmente di assicurati che svolgono nel corso dell'anno non più di 8-10 prestazioni lavorative giornaliere, molto spesso nella veste di comparse in format cinematografici o televisivi ovvero integrano brevi prestazioni professionali nell'ambito di attività a contenuto amatoriale, in particolare con riguardo a quelle di natura teatrale.
  In ogni caso, anche tenendo in considerazione che i dati medi sono condizionati dal fenomeno dei lavoratori «occasionali» o dei «non professionisti», risulta comunque evidente come la durata media delle prestazioni lavorative nel corso dell'anno sia particolarmente ridotta (83 giornate nell'anno). Se poi si concentra l'attenzione sulle figure professionali riconducibili agli attori – il gruppo di assicurati più numeroso (72.997 unità) – emerge che la durata media delle prestazioni lavorative assicurate è pari a 16 giornate. Fra gli orchestrali (30.909 unità) la durata media delle prestazioni lavorative, sempre nel 2017, è di 44 giornate.
  Pertanto, la principale caratteristica dell'assetto delle prestazioni del settore è la ridotta durata media delle giornate di lavoro nell'arco del periodo che abbiamo assunto a riferimento (anno civile), durata che, come si vedrà, risulta fortemente condizionata dal vigente assetto dell'assicurazione obbligatoria, che, per i molti lavoratori dello spettacolo dal vivo, prevede l'obbligo assicurativo esclusivamente per le giornate di svolgimento della prestazione stessa.

  2.2 I tratti distintivi dell'assicurazione obbligatoria dei lavoratori dello spettacolo(28)

  Come emerge dalla documentazione depositata dall'INPS, l'assicurazione per la vecchiaia, l'invalidità e i superstiti nel settore dello spettacolo si caratterizza per i seguenti peculiari elementi distintivi:

   a) l'obbligo assicurativo deriva dallo svolgimento di una delle attività artistiche, tecniche o amministrative analiticamente elencate nell'articolo 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708. Detto elenco è tassativo ed è stato adeguato ed integrato con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 15 marzo 2005. Pertanto, ai fini della sussistenza dell'obbligo contributivo per la tutela assicurativa in caso di invalidità, vecchiaia o morte (IVS) verso il Fondo pensione lavoratori dello spettacolo (F.P.L.S.), assume rilievo unicamente la natura della prestazione effettivamente svolta dal lavoratore, a prescindere da ogni altro tratto distintivo del Pag. 86datore di lavoro (la natura imprenditoriale, la forma pubblica o privata, il settore di attività, e via dicendo);

   b) ai fini della sussistenza dell'obbligo contributivo è irrilevante la natura del rapporto di lavoro e la tipologia di contratto di lavoro (contratto di lavoro intermittente, contratto di collaborazione coordinata e continuativa, contratto di lavoro autonomo occasionale...). Il lavoratore dello spettacolo è assicurato al F.P.L.S. a prescindere dalla forma in cui si estrinseca la contrattualizzazione del rapporto di lavoro, sia essa annoverabile nell'ambito del lavoro di natura subordinata, sia essa riconducibile ad una delle diverse fattispecie di lavoro parasubordinato o autonomo, ivi inclusa la prestazione professionale resa da un soggetto titolare di partita IVA. Per committente, si intende il soggetto che ingaggia un lavoratore per lo svolgimento di prestazioni di lavoro autonomo o parasubordinato nel settore in esame. In specifici casi, infatti, quando il legislatore ha ritenuto, invece, di conferire rilevanza alla natura del rapporto di lavoro quale presupposto dell'obbligo assicurativo, lo ha fatto espressamente. È il caso, a titolo esemplificativo, degli «impiegati e operai dipendenti dalle case da gioco», per i quali l'obbligo di iscrizione insorge solo qualora sussista un rapporto di lavoro dipendente;

   c) l'obbligo contributivo e gli adempimenti informativi (denuncia contributiva) sono in capo al datore di lavoro o committente anche nei casi di rapporti di lavoro autonomo, salvo il diritto di rivalsa sulla quota di contribuzione a carico del lavoratore (articolo 4, comma 1, articolo 5, comma 1, articolo 6, comma 1, e articolo 9, comma 1, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708);

   d) il lavoratore autonomo dello spettacolo è per previsione legislativa e prassi costante considerato alla stregua del lavoratore subordinato. In particolare, ai fini della determinazione degli elementi di retribuzione imponibile, si applicano anche ai rapporti di lavoro autonomo le regole stabilite per il reddito da lavoro dipendente, evidentemente con riguardo alle tipologie di emolumenti riferibili a detta categoria di lavoratori (articolo 4, comma 4 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n.708, e articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1420, che rimandano, rispettivamente, al decreto luogotenenziale 1° agosto 1945, n. 692, e all'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153);

   e) la contribuzione previdenziale ordinaria, a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro, è pari al 33 per cento della retribuzione lorda (o compenso), di cui il 23,81 per cento a carico del datore di lavoro (o committente) e il 9,19 per cento a carico del lavoratore In particolare, il contributo base (33 per cento ovvero il 35,70 per cento per ballerini e tersicorei, nonché coreografi e assistenti coreografi) è calcolato sulla retribuzione giornaliera sulla base, ed entro i limiti, di appositi massimali variabili a seconda dell'anzianità assicurativa del lavoratore;

   f) ogni prestazione resa dal lavoratore autonomo nell'arco della giornata lavorativa è equiparata ad una prestazione giornaliera, con applicazione, pertanto, delle norme in materia di retribuzione minima legale;

Pag. 87

   g) per particolari categorie di lavoratori possono essere definite, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tabelle retributive convenzionali. Allo stato, ne sussistono per gli interpreti musicali in sala di incisione, attraverso un meccanismo che tiene in considerazione l'andamento delle vendite dei supporti fonografici incisi (si veda, da ultimo, il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 29 aprile 2010 e la circolare ENPALS n. 13 del 2010).

  Sotto il profilo delle prestazioni, il decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182 – emanato, sulla base dei principi di cui alla legge delega 8 agosto 1995, n. 335 – con l'obiettivo di armonizzare le prestazioni previdenziali delle figure professionali soggette ad assicurazione IVS ex ENPALS con quelle relative agli assicurati AGO – ha inasprito i requisiti per il diritto alle prestazioni pensionistiche.
  In particolare, l'accesso ai trattamenti pensionistici è basato sul numero di giornate di prestazione lavorativa. Ai soli fini del diritto alla prestazione pensionistica, il requisito di un'annualità assicurativa viene conseguito, a seconda della tipologia di figura professionale e della durata (tempo determinato o tempo indeterminato) del rapporto di lavoro, sulla base di almeno 120, 260 o 312 giornate lavorative. Il decreto legislativo n. 182 del 1997 (cfr. articolo 2, commi 1 e 2) ha previsto la suddivisione dei lavoratori nei seguenti raggruppamenti, differenziando, al contempo, il predetto requisito, a seconda che i lavoratori:

   a) prestino a tempo determinato, attività artistica o tecnica, direttamente connessa con la produzione e la realizzazione di spettacoli (raggruppamento A). Per tali lavoratori il requisito dell'annualità di contribuzione si considera soddisfatto con riferimento a 120 contributi giornalieri;

   b) prestino a tempo determinato attività non direttamente connessa con la produzione e la realizzazione di spettacoli (raggruppamento B). Si tratta, in particolare, di quei lavoratori che si inseriscono in un contesto aziendale che opera in materia di arte/cultura/spettacolo ma la cui prestazione non è direttamente coinvolta nella realizzazione dello spettacolo (per esempio, maschere, custodi, guardarobieri, addetti alle pulizie e al facchinaggio dipendenti dagli enti ed imprese esercenti pubblici spettacoli, impiegati amministrativi e tecnici delle imprese televisive, impiegati dipendenti dalle case da gioco). Per essi il requisito dell'annualità di contribuzione si considera soddisfatto con riferimento a 260 contributi giornalieri;

   c) prestino attività a tempo indeterminato (qualsiasi figura professionale) (raggruppamento C). Per tali lavoratori il requisito dell'annualità di contribuzione si considera soddisfatto con riferimento a 312 contributi giornalieri.

  Quanto poi all'individuazione puntuale delle figure professionali da includere in ciascuno dei tre raggruppamenti, va precisato che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in occasione dell'adeguamento della platea dei soggetti assicurati al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo ex articolo 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio Pag. 88dello Stato n. 708 del 1947, con il decreto 15 marzo 2005 ha integrato e ridefinito la composizione dei tre raggruppamenti.
  Naturalmente, qualora le predette figure professionali di cui ai gruppi A e B siano titolari di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, non sussistendo le predette esigenze di garantire una tutela differenziata, il requisito dell'annualità di contribuzione si considera soddisfatto con 312 contributi giornalieri, al pari di quanto previsto per la generalità dei lavoratori dipendenti. Infatti, in tale evenienza, i lavoratori sono da annoverare nel raggruppamento C, che, come evidenziato, comprende, più in generale, tutti i soggetti che svolgono con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato le attività artistiche, tecniche o amministrative analiticamente riportate nell'articolo 3 del medesimo decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 708 del 1947.

  2.3 La situazione patrimoniale del Fondo pensioni dei lavoratori dello spettacolo (ex ENPALS)(29)

  Nel 1997 – come emerge sempre dalla documentazione depositata dal dottor Montaldi nella sua audizione – sulla scia della riforma di armonizzazione della disciplina previdenziale e di introduzione del cosiddetto metodo di calcolo contributivo, nel F.P.L.S. sono stati introdotti requisiti per il diritto alla pensione che si sono rivelati non adeguati all'assetto dei rapporti di lavoro e delle prestazioni del settore. Questa circostanza risulta oggettivamente documentata dall'analisi dei dati di bilancio della gestione speciale del F.P.L.S..
  In particolare, i dati depositati dall'INPS in audizione evidenziano, per gli anni dal 2013 al 2017, parametri indicativi che denotano la sproporzione fra prestazioni ed entrate. Nel quinquennio 2013-2017 – ma analoghe conclusioni, si legge nel documento depositato dall'INPS, valgono anche per gli anni pregressi – il risultato di esercizio (differenza fra entrate e uscite) risulta sempre positivo e in media rappresenta circa il 25 per cento delle entrate contributive.
  Si tratta di un andamento che è tipico delle gestioni previdenziali di nuova istituzione (con riferimento alla Gestione separata istituita con la legge 8 agosto 1995, n. 335) ed è legato alla circostanza che, anche nei sistemi previdenziali a ripartizione, sino a quando le prime coorti di assicurati non maturano i requisiti per il diritto alle prestazioni, si genera costantemente un differenza positiva fra entrate e uscite, la cui misura tende a ridursi con il passare degli anni, fino al conseguimento di una situazione di equilibrio (cosiddetta maturità della gestione previdenziale).
  Questa circostanza non attiene al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo, che è una gestione previdenziale istituita nel 1947, vale a dire una gestione previdenziale che ha già conseguito da tempo le condizioni economico-finanziarie di maturità, cioè il decorso del periodo minimo per la maturazione del diritto alle prestazioni da parte di una o due coorti di assicurati.
  Le richiamate condizioni di inadeguatezza dei requisiti pensionistici stanno portando la gestione previdenziale ad accumulare avanzi patrimoniali Pag. 89 decisamente significativi rispetto alle entrate contributive: al 31 dicembre 2017, l'avanzo patrimoniale, pari a 4,8 miliardi di euro, rappresenta 4 volte le entrate contributive del 2017. Ovviamente, nel sistema di contabilità nazionale, l'avanzo patrimoniale del Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo contribuisce a finanziare le gestioni previdenziali di altri comparti produttivi che presentano condizioni di disavanzo.
  In termini macroeconomici, riepiloga il documento dell'INPS, è come se in meno di due decenni fossero state drenate dal settore dello spettacolo, per spostarle verso altri comparti economici, risorse finanziarie per oltre 4,8 miliardi di euro. Si pensi che nel biennio 2016-2017 la differenza fra entrate e uscite del F.P.L.S. (754 milioni di euro) è stata superiore agli stanziamenti del FUS – Fondo unico dello spettacolo (680 milioni di euro), che costituisce la principale fonte di finanziamento pubblico del settore dello spettacolo.
  Dall'analisi degli effetti dell'attuale regime delle prestazioni previdenziali nello spettacolo – si legge ancora nella memoria dell'INPS – si rileva l'esigenza di individuare prospettive di riforma della disciplina volte a conseguire migliori condizioni di equità sociale per i lavoratori del settore.

  2.4 I trattamenti pensionistici(30)

  Sempre dalla memoria depositata dall'INPS emerge che la durata media della prestazione lavorativa nel settore dello spettacolo è molto contenuta. Si tratta di una caratteristica che contraddistingue la prestazione artistica: si pensi all'esibizione di pochi minuti resa, in virtù di un contratto di ingaggio in cui si conviene la corresponsione di un prefissato compenso, da un cantante, da un corista oppure da un concertista in una rappresentazione spettacolare. Detta prestazione, anche se di brevissima durata, è considerata una prestazione giornaliera ai fini contributivi e assicurativi. In realtà, come è noto, la prestazione artistica, ancorché resa in un breve intervallo di tempo, richiede tempi di formazione e preparazione che, in genere, sono più lunghi rispetto alla durata della performance riferita alla singola prestazione ovvero alla successione di analoghe prestazioni (ad esempio, il medesimo spettacolo teatrale svolto nell'arco di una stagione artistica).
  Affinché alla predetta prestazione, che presuppone un'imprescindibile e articolata attività di preparazione, ancorché intervallata a periodi di inattività lavorativa, possa essere riconosciuto un effettivo valore ai fini assicurativi, sarebbe utile prevedere – osserva l'INPS – l'introduzione di uno strumento che conferisca maggiore peso alle giornate di effettiva prestazione lavorativa rese da detti soggetti.
  A tal fine – questa la proposta che si rinviene nella memoria dell'INPS – tenuto conto dell'assetto ordinamentale del settore dello spettacolo in materia previdenziale, potrebbe essere introdotto, unicamente ai fini della maturazione del trattamento pensionistico per i lavoratori (artisti e tecnici) di cui al raggruppamento A di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182 (come individuati Pag. 90dal decreto ministeriale 15 marzo 2005), un coefficiente, da sommare ad ogni giornata di prestazione lavorativa, volto a valorizzare i periodi di formazione e preparazione dello spettacolo. Detto coefficiente potrebbe essere fissato in misura tale da consentire ai professionisti del settore, che in prima approssimazione possiamo individuare nei soggetti che lavorano almeno 40-60 giornate l'anno nell'arco dell'intera carriera lavorativa, quantomeno il conseguimento dei requisiti minimi per il diritto al trattamento pensionistico (20 anni di anzianità assicurativa).
  Come innanzi precisato, è da ricondurre all'attività di cui al raggruppamento A quella «direttamente connessa con la produzione di spettacolo» prestata in forza di un rapporto di lavoro autonomo, parasubordinato ovvero subordinato a tempo determinato. Per i lavoratori iscritti a forme pensionistiche obbligatorie successivamente al 31 dicembre 1995, detta misura andrebbe coordinata con le previsioni del decreto legislativo n. 182 del 1997 che hanno introdotto strumenti che consentono di attribuire, sulla base della retribuzione giornaliera percepita e di altri parametri, l'accredito di un numero aggiuntivo di giorni di contribuzione, con un massimo di otto nell'anno, fino al raggiungimento di 312 giornate annue.
  Inoltre, per gli iscritti al F.P.L.S. (a prescindere dall'anzianità contributiva al 31 dicembre 1995), il requisito di contribuzione prescritto ai fini del diritto al conseguimento delle prestazioni di vecchiaia ed anticipata deve essere maturato previo raggiungimento di 20 anni di versamenti ovvero della maggiore anzianità contributiva prevista, nel caso della pensione anticipata; tale contribuzione, a norma dell'articolo 4, comma 7, del citato decreto legislativo n. 182 del 1997, deve riferirsi esclusivamente ad effettive prestazioni lavorative svolte nel campo dello spettacolo.
  Ne discende – chiarisce l'INPS – che dal computo della contribuzione necessaria per la maturazione del diritto a pensione resta esclusa la contribuzione volontaria, la quale, in tali casi, concorre alla determinazione della sola misura del trattamento previdenziale. Pertanto, quantomeno ai fini del perfezionamento del requisito di contribuzione richiesto per il conseguimento della pensione di vecchiaia, detta condizione può essere adeguata allo scopo di considerare il computo, a tal fine, anche della contribuzione volontaria.
  Sempre allo scopo di favorire l'acquisizione del diritto al trattamento pensionistico da parte dei lavoratori del settore che per oggettive condizioni legate alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non riescono a conseguire neppure l'anzianità assicurativa minima, una prospettiva di riforma – sempre secondo l'INPS – può essere più immediatamente individuata nella riduzione del requisito minimo di giornate lavorative nell'anno.
  Al riguardo, come già precisato, per i lavoratori a tempo determinato (subordinati o autonomi) che prestano attività artistica o tecnica direttamente connessa con la produzione e la realizzazione di spettacoli (raggruppamento A), detto requisito, per effetto delle riforme attuate nel 1997, è stato aumentato da 60 a 120 giornate.
  Una misura sicuramente utile a favorire il ripristino di condizioni di maggior equità può essere la riduzione dell'attuale requisito da 120 a 80-90 giornate: intervento che potrebbe favorire anche il recupero di Pag. 91quei fenomeni di lavoro nero alimentati dalla reciproca convenienza delle parti (datore di lavoro e lavoratore) e fondati sulla convinzione che, per le attuali regole, l'assicurazione pensionistica obbligatoria non produca alcun ritorno in termini di prestazioni, limitandosi a costituire esclusivamente un onere finanziario.

  2.5 L'assicurazione economica di malattia(31)

  Per i lavoratori dello spettacolo, senza che abbia rilievo la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione (si veda l'articolo 2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 708 del 1947), il diritto all'indennità economica di malattia è subordinato al requisito di 100 contributi giornalieri al F.P.L.S. dal 1° gennaio dell'anno precedente l'insorgenza dell'evento morboso.
  Va precisato – spiega l'INPS nella sua memoria – che, a fronte del suddetto requisito contributivo, è prevista per i lavoratori dello spettacolo una tutela di maggior favore con riguardo sia alle percentuali da applicare ai fini del calcolo dell'indennità economica, sia al riconoscimento del diritto anche oltre la data di cessazione del rapporto di lavoro, relativamente ai lavoratori dello spettacolo con rapporto di lavoro di durata limitata, di natura subordinata o autonoma (articolo 5, comma 7, secondo periodo, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638). Per i lavoratori dello spettacolo con contratto di lavoro a tempo determinato, infatti, il limite di giornate indennizzabili previsto è pari al numero di giorni di attività lavorativa svolta negli ultimi 12 mesi. Qualora sia reperibile almeno una giornata di prestazione lavorativa. l'indennità economica è concessa per un periodo massimo di 30 giorni (circolare INPS n. 160 del 1983).
  L'ipotesi di omogeneizzazione con le regole generali del lavoro a tempo determinato, seppure auspicabile in astratto, produrrebbe paradossalmente effetti negativi sul livello di tutele della categoria. Infatti, soprattutto la possibilità di fruire di indennità di malattia anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro è una tutela specifica e approntata proprio per le peculiarità del settore, con il suo frequente ricorrere di rapporti di lavoro saltuari e di durata molto breve.
  Nell'ottica di ricercare percorsi di adeguamento della tutela di malattia che assumano in considerazione le specificità delle prestazioni lavorative artistiche, occorrerebbe ridurre il requisito minimo di accesso alla prestazione (100 giornate lavorative al F.P.L.S. dal 1° gennaio dell'anno precedente l'insorgenza dell'evento morboso).
  Inoltre – si legge ancora nella memoria dell'INPS – si potrebbe valutare l'innalzamento della retribuzione massima giornaliera di riferimento di cui all'articolo 6, comma 15, del decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1988, n. 48. Infatti, ai sensi della citata disposizione, per i lavoratori dello spettacolo con contratto di lavoro a tempo determinato ovvero autonomo, i contributi e le prestazioni per le indennità economiche di malattia e maternità sono calcolati su un importo massimo della retribuzione giornaliera allo stato pari ad euro 67,14. Detta regola Pag. 92determina, proprio in relazione ai soggetti con rapporto di lavoro saltuario e discontinuo, livelli di prestazione che risultano decisamente non adeguati anche assumendo a riferimento i compensi giornalieri medi del settore.

  2.6 L'assicurazione di maternità(32)

  Per quanto attiene la tutela della maternità/paternità – ha chiarito l'INPS – le lavoratrici ed i lavoratori dello spettacolo, iscritti al F.P.L.S., godono della medesima tutela riservata alla generalità delle lavoratrici e dei lavoratori dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e, per quanto attiene all'indennità loro riconosciuta, si applicano i criteri generali di cui all'articolo 23 del menzionato testo unico.
  Anche in questo caso il diritto alle predette tutele opera a prescindere dalla natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro (si veda l'articolo 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 708 del 1947, nonché il decreto ministeriale 15 marzo 2005, le circolari ENPALS n. 7 e n. 8 del 2006 e le circolari INPS n. 154 del 2014 e n. 124 del 2017) ed i connessi obblighi contributivi sono posti a carico del datore di lavoro a prescindere dalla natura del relativo rapporto di lavoro (subordinata, parasubordinata o autonoma)(33).
  Anche per le prestazioni in tema di maternità, può essere utile valutare l'innalzamento della retribuzione massima giornaliera di riferimento di cui all'articolo 6, comma 15, del decreto legge 30 dicembre 1987, n. 536, prevista per i lavoratori dello spettacolo con contratto di lavoro a tempo determinato e di lavoro autonomo (allo stato, euro 67,14), così da accrescere la misura delle prestazioni, quantomeno assumendo a riferimento la retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore per le prestazioni rese.

  2.7 L'assicurazione contro la disoccupazione (NASpI)(34)

  Per analizzare l'adeguatezza del vigente quadro normativo in materia di disoccupazione rispetto alle richiamate condizioni di lavoro nel settore dello spettacolo – si legge nella memoria dell'INPS, – appare necessario richiamare il presupposto che, sul piano generale, l'indennità NASpI spetta a chi ha involontariamente perso il proprio lavoro. Proprio per questo la tutela conto la disoccupazione non è prevista nei rapporti di lavoro autonomo nei quali tipicamente le parti definiscono la prestazione da svolgere ovvero il risultato atteso, senza alcun vincolo di subordinazione, neppure riconducibili ai rapporti parasubordinati. Per cui, le attuali norme vigenti in Italia – come del resto anche quelle Pag. 93degli altri Paesi dell'Unione europea – non contemplano l'assicurazione di disoccupazione a seguito della cessazione del rapporto di lavoro autonomo, rapporto che si conclude con lo svolgimento della prestazione ovvero il conseguimento del risultato, così come pattuiti fra committente e lavoratore.
  Ciò premesso, la prestazione NASpI spetta con il requisito minimo di 13 settimane lavorative nei quattro anni precedenti l'evento, requisito che non risulta oggettivamente penalizzante anche per quelle prestazioni lavorative caratterizzate da saltuarietà e un periodo assicurativo ridotto, come accade nel settore dello spettacolo. Difatti, malgrado la ridotta durata media delle prestazioni nello spettacolo, v'è da considerare che, in caso di prestazione lavorativa svolta per un numero di giorni che non si estende all'intera settimana, la copertura settimanale viene comunque assicurata laddove il compenso lordo percepito nella settimana stessa risulti almeno pari al minimo retributivo di legge (allo stato circa 300 euro settimanali). La sua misura è pari al 75 per cento della retribuzione media mensile percepita negli ultimi quattro anni, con un tetto prefissato (circa 1.300 euro). La prestazione viene erogata per un periodo pari alla metà delle settimane lavorative, sempre facendo riferimento agli ultimi quattro anni precedenti l'evento.
  Il profilo che tuttavia ci sembra particolarmente congeniale alle peculiarità di lavoro nello spettacolo è la forte flessibilità in termini di cumulabilità con prestazioni lavorative di ridotto contenuto economico. La prestazione NASPpIi è difatti cumulabile:

   a) con rapporti di lavoro subordinato che prevedono una retribuzione complessiva inferiore a 8.000 euro, con trattenuta sulla prestazione NASpI pari all'80 per cento della misura della retribuzione;

   b) con rapporti di lavoro autonomo che prevedono un compenso complessivo inferiore a 4.800 euro, con trattenuta sulla prestazione NASpI pari all'80 per cento della misura del compenso.

  Inoltre, nel caso di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato di durata non superiore a 6 mesi, l'erogazione della prestazione NASpI viene sospesa per riprendere laddove la disoccupazione involontaria di verifichi nuovamente dopo la cessazione del nuovo rapporto di lavoro. Si tratta in altri termini, di condizioni di flessibilità che appaiono appropriate nell'ambito di settori caratterizzati, come quello dello spettacolo, da condizioni di discontinuità e, talora, episodicità, delle prestazioni lavorative. Per cui, la normativa in materia di disoccupazione, così come rivista con il decreto legislativo n. 22 del 2015, sembra già in grado di cogliere per i lavoratori subordinati le specificità e le esigenze del lavoro nel settore dello spettacolo.
  Diverse considerazioni valgono per coloro che svolgono nel settore dello spettacolo prestazioni coordinate e continuative, atteso che ai medesimi nel caso di perdita involontaria della propria occupazione non spetta la tutela economica di disoccupazione mensile, denominata DIS-COLL (assicurazione introdotta di recente per i collaboratori iscritti in via esclusiva alla gestione separata).
  Pertanto, potrebbe essere utile prevedere un intervento normativo in materia volto ad estendere ai collaboratori dello spettacolo specifiche forme di tutela contro la disoccupazione involontaria, anche in considerazione Pag. 94 delle peculiarità del settore, con il suo frequente ricorrere di rapporti di lavoro saltuari e di breve durata. Parimenti dicasi per l'assicurazione relativa agli assegni per il nucleo familiare, anch'essi da estendere ai collaboratori del settore dello spettacolo.

  2.8 L'ampliamento delle figure professionali assicurate al F.P.L.S.(35)

  L'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 708 del 1947, come modificato dall'articolo 43, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, attribuisce al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il potere di integrare, con apposito decreto, il novero delle figure professionali soggette all'obbligo assicurativo al F.P.L.S. o di ridefinire, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 30 aprile 1997, n. 182, la distinzione in tre gruppi delle categorie di lavoratori iscritte al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo. La predetta regolamentazione viene adottata su proposta delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro del settore.
  Si tratta – commenta l'INPS – di previsioni dettate dall'esigenza di adeguare tempo per tempo la platea dei lavoratori assicurati sulla base dell'evoluzione delle tecnologie produttive e dell'inserimento sul mercato del lavoro di figure professionali che applicano abilità innovative.
  L'ultimo adeguamento delle figure professionali è stato effettuato nel 2005 e, da allora, l'industria dello spettacolo si è popolata di numerose nuove figure professionali, le quali risultano oggi assicurate al Fondo pensioni lavoratori dipendenti, alla Gestione separata di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, o alle gestioni dei commercianti, a seconda della natura della configurazione dell'attività lavorativa. In taluni casi, si può trattare di redditi che, allo stato, possono risultare non assoggettati a contribuzione obbligatoria. Si pensi, ad esempio, all'attività di promozione di prodotti commerciali realizzata attraverso l'utilizzo di social network da parte di soggetti che godono di notorietà o di alto potenziale relazionale (cosiddetti testimonial o influencer).
  Di seguito, si riportano alcune delle figure professionali che, anche allo scopo di favorire condizioni di tutela previdenziale maggiormente aderenti alle tipiche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa dello spettacolo, risulterebbe utile integrare nell'ambito della platea degli assicurati al F.P.L.S.: autori e adattatori di testi, programmi e format teatrali, cinematografici e televisivi; programmisti e realizzatori registi; documentaristi; assistenti ai programmi e assistenti di studio; direttori artistici; produttori esecutivi di opere teatrali, cinematografiche e audiovisive.
  L'INPS richiama, infine, l'attenzione sulla circostanza che l'aumento della platea degli assicurati al F.P.L.S., nei limiti in cui comporti un incremento delle entrate contributive, determina effetti finanziari positivi per i conti pubblici, effetti che possono agevolare l'introduzione delle misure di adeguamento delle tutele previdenziali Pag. 95e assistenziali rivolte alla generalità dei lavoratori del settore ovvero ad una parte di essi, operazione che, come è noto, comporta invece un onere a carico della finanza pubblica.

3. IL SISTEMA DELLO SPETTACOLO

  3.1 Il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS)(36)

  Il principale strumento di intervento finanziario statale a favore dello spettacolo dal vivo è a tutt'oggi quello disciplinato dalla legge 30 aprile 1985, n. 163, recante «Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo», che prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero del turismo e dello spettacolo, del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), finalizzato al sostegno di enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché alla promozione e al sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all'estero.
  La citata legge n. 163 del 1985 stabilisce che il Fondo Unico per lo Spettacolo, alimentato annualmente dalla legge di bilancio, sia ripartito annualmente tra i diversi settori dello spettacolo con decreto del Ministro competente, sentito il competente organo consultivo. I criteri di riparto del FUS, ai sensi della legge 15 novembre 2005, n. 239, sono determinati con decreti ministeriali non aventi natura regolamentare. A seguito della riforma operata dal cosiddetto «decreto Cultura» (decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112) sono stati definiti i criteri per l'erogazione e le modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, con il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 1° luglio 2014 (Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163). Questa disciplina secondaria ha introdotto nuovi criteri di attribuzione dei contributi, la cui assegnazione avviene sulla base della presentazione da parte di ciascun soggetto di un progetto artistico triennale, tenuto conto «dell'importanza culturale della produzione svolta, dei livelli quantitativi, degli indici di affluenza del pubblico, della regolarità gestionale degli organismi».
  Dopo un primo triennio di applicazione e alla luce dell'attività di valutazione prevista dall'articolo 50 del decreto ministeriale, che è affidata ad un tavolo tecnico congiunto tra Amministrazione ed enti territoriali e locali, sentite inoltre le rappresentanze delle categorie professionali dello spettacolo, sono state introdotte alcune modifiche, che hanno portato alla emanazione dell'attuale e vigente decreto ministeriale 27 luglio 2017 (Criteri e modalità per l'erogazione, l'anticipazione e la liquidazione dei contributi allo spettacolo dal Pag. 96vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163). Il decreto del 27 luglio 2017 indica gli ambiti e i relativi settori di presentazione dell'istanza di contribuzione:

   a) sostegno alle attività teatrali (teatri nazionali; teatri di rilevante interesse culturale; imprese di produzione teatrale; centri di produzione teatrale; circuiti regionali; organismi di programmazione; festival);

   b) sostegno alle attività musicali (teatri di tradizione; istituzioni concertistico-orchestrali; attività liriche ordinarie; complessi strumentali e complessi strumentali giovanili; circuiti regionali; programmazione di attività concertistiche e corali; festival; sostegno alle attività di danza; organismi di produzione della danza; centri di produzione della danza; circuiti regionali; organismi di programmazione; festival e rassegne)

   c) sostegno alle attività circensi e di spettacolo viaggiante (attività circensi e circo contemporaneo in Italia; festival circensi; spettacolo viaggiante)

   d) progetti multidisciplinari (circuiti regionali multidisciplinari; organismi di programmazione; festival multidisciplinari)

   e) azioni trasversali (promozione; tournée all'estero; residenze; azioni di sistema).

  La Direzione generale spettacolo del Ministero della cultura, in base agli stanziamenti del Fondo Unico per lo Spettacolo, concede dunque contributi per progetti triennali, corredati da programmi annuali, di attività comprese in tali ambiti. Negli ultimi anni sono stati finanziati annualmente più di ottocento soggetti.
  Il modello di valutazione disegnato dal decreto ministeriale si basa sull'attribuzione, al progetto presentato per la domanda di finanziamento, di un punteggio che varia da 0 a 100 punti, articolato in tre parti: qualità artistica, valutata dalle commissioni consultive competenti per materia secondo i parametri previsti per ogni settore; qualità indicizzata e dimensione quantitativa, valutate dall'Amministrazione in maniera automatica secondo i parametri e la formula di calcolo previsti per ogni settore. Ognuna delle tre dimensioni che compongono il punteggio viene attribuita in base a parametri specifici, connessi ad indicatori cui vengono attribuiti i punteggi.
  Il decreto ministeriale 27 luglio 2017, in continuità con le discipline normative precedenti, affronta la questione del «lavoro», considerando come determinante per il calcolo dell'entità dei contributi FUS il fenomeno/indicatore delle giornate lavorative e degli oneri connessi, intesi come input, ovvero come risorse impiegate per la realizzazione del progetto presentato da un determinato organismo. Ciò avviene principalmente nella dimensione quantitativa, calcolata secondo quanto descritto nell'allegato D al decreto ministeriale citato, ma anche nella dimensione della qualità indicizzata per quanto concerne: a) il fenomeno/indicatore delle giornate recitative riferite ad artisti e tecnici «under 35» ; b) il fenomeno /indicatore dell'efficienza gestionale che individua il rapporto tra i costi sostenuti per la retribuzione del personale artistico e/o degli artisti ospitati e il totale dei costi di progetto. Pag. 97
  Il decreto ministeriale 27 luglio 2017, inoltre, in un apposito allegato, specifica per i diversi settori dello spettacolo le tipologie professionali i cui costi sono ammissibili. Il peso relativo (ovvero il peso in rapporto agli altri indicatori) che questi fenomeni hanno nelle rispettive valutazioni del sistema comparativo operato dal programma FUSONLINE è definito a monte, ogni triennio, da un decreto direttoriale che attribuisce i diversi punteggi massimi per ogni fenomeno. Il decreto è disposto su parere delle commissioni consultive competenti, ai sensi dell'articolo 5 del decreto ministeriale. Ogni organismo compila, all'atto della presentazione del progetto triennale e poi dei programmi annuali, un proprio bilancio per voci di costo tra le quali quelle relative al personale impiegato e agli oneri. Le voci di costo ammissibili ed eventuali percentuali di incidenza massima sull'insieme dei costi di bilancio sono definite sempre con decreto direttoriale con modalità analoghe quelle sopra indicate.
  Per un ulteriore approfondimento sulle criticità del sistema, è utile il Documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia di Fondo Unico per lo Spettacolo svolta nella corrente XVIII legislatura dalla 7a Commissione (Istruzione pubblica, beni culturali) del Senato della Repubblica (Doc. XVII n. 1 – Relatrice Sen. Montevecchi).
  Dall'indagine conoscitiva svolta al Senato sono emerse, come si legge nel citato documento conclusivo, le seguenti criticità:

   1) in merito ai criteri di valutazione relativi all'ammissione delle istanze e all'attribuzione dei contributi, si è da più parti espressa la necessità di adottare parametri più congeniali ad una valutazione dei progetti pertinente a tutte le esigenze del settore, che sono varie e diversificate e che – nella valutazione della qualità del progetto – includono dimensioni (produzione, promozione, conservazione, formazione) difficilmente omologabili in chiave univoca;

   2) sempre rispetto ai criteri di valutazione, si è da più parti segnalata la necessità di dare maggior peso alla capacità di valorizzazione del merito, di fare innovazione, di favorire il ricambio generazionale, nonché alla capacità di «fare rete» creando sinergie tra attori e settori differenti;

   3) appare necessario un ripensamento per quanto riguarda la prima fase di selezione delle domande per l'accesso al contributo, fase prevista dal decreto ministeriale del 27 luglio 2017, affidata al giudizio di qualità delle commissioni consultive competenti per settore, le quali attraverso una selezione determinano un vero e proprio «sbarramento» decidendo quali soggetti saranno ammessi o meno al contributo. A questo proposito, è stato a più voci rilevato come il giudizio espresso da tali commissioni risulti spesso non orientato da criteri uniformi e omogenei, determinando di fatto un'esclusione che in più casi ha compromesso l'attività di molte imprese, in particolare le più piccole. Considerata l'estrema importanza di questa fase, si ritiene quindi auspicabile un miglioramento di tale sistema a patto che, in ogni caso, si garantiscano ai soggetti interessati trasparenza e attendibilità delle procedure selettive nonché un giudizio oggettivo e non condizionato; è fondamentale quindi uniformare e rendere quanto più oggettivo possibile il metodo di giudizio e di valutazione delle commissioni consultive;

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   4) sarebbe altrettanto opportuno, da un lato, dedicare particolare attenzione alla composizione delle suddette commissioni, aumentandone il numero dei componenti in modo che siano assicurate la competenza e la conoscenza rispetto al settore di attività su cui si esprimono e, dall'altro, prevedere forme efficaci di controllo sul loro operato affinché il giudizio espresso sia frutto di una valutazione corretta e approfondita delle diverse realtà;

   5) rispetto alle tre dimensioni su cui si basa il sistema di attribuzione dei punteggi (qualità artistica, qualità indicizzata e dimensione quantitativa), si è registrata la convergenza di tutti gli auditi sulla necessità di correggere le distorsioni relative soprattutto alla dimensione quantitativa e della qualità indicizzata; infatti, il meccanismo di attribuzione automatica dei punteggi non garantisce sempre una valutazione adeguata. In particolare, la qualità indicizzata prevede una comparazione di realtà molto diverse e non confrontabili sulla base di parametri rigidi e da cui pare quindi derivare un'attribuzione di punteggi non del tutto realistica e obiettiva. A margine va inoltre rilevato che, ad esempio, nella dimensione quantitativa sono inclusi indicatori, quali il numero di spettatori e di rappresentazioni, fortemente condizionati dal contesto territoriale di riferimento in cui il soggetto opera. In sostanza, i contesti più svantaggiati non hanno le stesse potenzialità attrattive di pubblico rispetto a realtà culturalmente più sviluppate e più grandi anche solo in termini di abitanti; pertanto sarebbe forse opportuno introdurre una sorta di correttivo che tenga conto del contesto di riferimento in cui il soggetto richiedente agisce. A fronte di tali considerazioni sarebbe quindi auspicabile rivedere il sistema di attribuzione dei punteggi riducendo la percentuale di punti attribuita in base alla qualità indicizzata e alla dimensione quantitativa, a vantaggio della qualità artistica; nella valutazione della qualità artistica si dovrà tenere conto della capacità dell'istituzione di garantire un alto livello di progettualità in relazione alle proprie risorse finanziarie e ai costi del personale; ciò al fine di evitare che le istituzioni che dispongono di minori introiti o che hanno maggiori oneri legati al personale siano ulteriormente penalizzate, essendo de facto meno competitive sul piano delle risorse artistiche da poter impiegare;

   6) rispetto alla fase dell'erogazione dei contributi assegnati, è necessario che siano garantiti tempi certi e puntualità nell'erogazione anche attraverso l'anticipo della scadenza per la presentazione delle istanze, in modo da consentire una programmazione delle attività più agevole ai fini del raggiungimento degli obiettivi. Del resto, il tema della certezza dell'erogazione riguarda tutti i soggetti ma risulta particolarmente avvertito nel caso delle fondazioni lirico-sinfoniche, la cui programmazione più strutturata richiede tempi certi e soprattutto un coordinamento con i tempi di erogazione dei contributi provenienti dagli enti locali;

   7) nel caso specifico delle fondazioni lirico-sinfoniche, si potrebbero prevedere forme premiali per le fondazioni che promuovono produzioni in collaborazione con gli istituti di alta formazione artistica e musicale, nell'ottica di una più stretta collaborazione tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, e che sono riuscite a salvaguardare i corpi di ballo da licenziamenti collettivi;

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   8) appare infine opportuno che sia garantita la massima trasparenza in tutte le fasi che riguardano il funzionamento del FUS: ammissione delle istanze, attribuzione dei punteggi, erogazione dei contributi. In merito, è stata suggerita da più parti l'introduzione di una forma di monitoraggio costante sulle realtà finanziate e sui requisiti, in modo da evitare rendite di posizione e garantire una logica di sana competizione.

  3.2 Le Fondazioni lirico-sinfoniche(37)

  In Italia abbiamo quattordici Fondazioni lirico-sinfoniche, che presentano caratteristiche peculiari nell'ambito dello spettacolo dal vivo anche per quanto concerne i rapporti di lavoro.
  La trasformazione degli enti autonomi lirici in Fondazioni di diritto privato, tra la fine degli anni '90 del secolo scorso e i primi anni 2000, ha mutato la natura della controparte datoriale nell'attribuzione e nello svolgimento della propria attività.
  L'articolo 22 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, prevede che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle Fondazioni lirico-sinfoniche sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente, mentre i trattamenti retributivi sono regolamentati dal contratto collettivo nazionale di lavoro.
  Il decreto-legge 24 novembre 2001, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 gennaio 2001, n. 6, all'articolo 1, comma 1, espressamente stabilisce che «Gli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche assimilate, già disciplinati dal titolo II, della legge 14 agosto 1967, n. 800, sono trasformati in fondazione ed acquisiscono la personalità giuridica di diritto privato a decorrere dal 23 maggio 1998.».
  Nel contempo, gli interventi normativi susseguitisi dal 2009 in poi – nonostante il riconoscimento della veste giuridica formale «di fondazioni di diritto privato» – hanno consentito di riconoscere la natura sostanzialmente pubblicistica di tali Enti, che rientrano (tranne l'Arena di Verona) nell'elenco ISTAT delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 1, comma 2 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
  Infatti, prima con il decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, e poi con il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, si è assistito ad una progressiva ripubblicizzazione di tutto il comparto lirico-sinfonico.
  Ciò traspare in maniera evidente anche dalla regolamentazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle fondazioni liriche:

   a) l'articolo 2 del decreto-legge n. 64 del 2010 dispone il controllo da parte della Corte dei Conti sul contratto collettivo nazionale di lavoro, previo parere del Ministero dell'economia e delle finanze e del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri;

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   b) l'articolo 11, comma 19, del decreto-legge n. 91 del 2013 stabilisce che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche è instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche;

   c) l'articolo 11, comma 19, del decreto-legge n. 91 del 2013 stabilisce, inoltre, che il contratto aziendale di lavoro si conforma alle prescrizioni del contratto nazionale di lavoro ed è sottoscritto da ciascuna fondazione con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative mediante sottoscrizione di un'ipotesi di accordo da inviare alla Corte dei conti. L'ipotesi di accordo deve rappresentare chiaramente la quantificazione dei costi contrattuali. La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti competente certifica l'attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e bilancio, deliberando entro trenta giorni dalla ricezione, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente. L'esito della certificazione è comunicato alla fondazione, al Ministero dei beni e delle attività culturali (oggi Ministero della cultura) e al Ministero dell'economia e delle finanze. Se la certificazione è positiva, la fondazione è autorizzata a sottoscrivere definitivamente l'accordo. In caso di certificazione non positiva della Sezione Regionale di controllo della Corte dei conti competente, le parti contraenti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva dell'ipotesi di accordo e la fondazione riapre le trattative per la sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo, comunque sottoposta alla procedura di certificazione prevista dalla norma.

  Tuttavia, le dicotomie presenti, in materia di lavoro, nel settore lirico-sinfonico sono state recentemente evidenziate dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, che, come si è detto, con la sentenza del 25 ottobre 2018 (nella causa C-331/2017) ha fatto presente che le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro e intese a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato – tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il rapporto di lavoro perdura oltre una certa durata e se non esista altra misura effettiva nell'ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati – si applicano anche al settore di attività delle fondazioni liriche.

  3.3 L'Osservatorio dello spettacolo

  Il settore dello spettacolo dal vivo rappresenta una grande risorsa per il nostro Paese, sia in termini occupazionali sia dal punto di vista della crescita culturale dei cittadini. Tuttavia, ad oggi, il quadro normativo di riferimento appare incompleto e privo di alcuni fondamentali strumenti di analisi e di coordinamento delle politiche pubbliche. Tra questi vi è certamente l'Osservatorio dello spettacolo, istituito dalla legge 30 aprile 1985, n. 163, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, che nel tempo è stato largamente sottoutilizzato rispetto alle proprie finalità istitutive ed è, ad oggi, uno strumento obsoleto rispetto ai metodi di analisi più moderni. Pag. 101
  Inoltre, le riforme sulla ripartizione delle competenze tra lo Stato e le regioni che si sono succedute nel tempo hanno frammentato ulteriormente il quadro, determinando l'istituzione di osservatori regionali del tutto slegati tra loro e rispetto all'Osservatorio dello spettacolo.
  Tutto ciò ha determinato forti disparità tra le regioni e una mancanza strutturale di coordinamento tra i vari soggetti coinvolti, che rende vano ogni tentativo di giungere a un quadro omogeneo di acquisizione e analisi dei dati che è necessario per elaborare le politiche di sviluppo del settore. In questo senso, va sottolineata l'importanza di considerare gli osservatori come strumenti a sostegno dell'azione di governo, sedi di raccolta ed elaborazione dei dati, di analisi e di ricerca, al fine di valutare l'andamento del settore e consentire una programmazione più efficace degli interventi pubblici, nonché la previsione di nuove strategie e politiche adeguate(38).

4. TEMI E PROPOSTE DEGLI OPERATORI DEL SETTORE

  Di seguito sono sintetizzati alcuni altri spunti di riflessione emersi nelle audizioni e non già esposti nei capitoli precedenti.

  4.1 Tecnici dello spettacolo e semplificazione burocratica(39)

  Lo stato di crisi dei lavoratori dello spettacolo e degli eventi è stato esacerbato dalla sospensione forzata di tutte le attività con pubblico in presenza. In particolare, le rivendicazioni dei tecnici dello spettacolo sono sfociate in una manifestazione nazionale denominata «Bauli in piazza», tenutasi nell'ottobre 2020 in Piazza Duomo a Milano. Per capire queste rivendicazioni, di particolare interesse è stata l'audizione di Alberto Butturini, tecnico dello spettacolo, che ha illustrato le problematiche specifiche del settore per conto del Forum Arte Spettacolo.

  4.2 Lo sportello unico per lo spettacolo e il protocollo eventi con codice unico identificativo

  Numerose associazioni di lavoratori dello spettacolo ascoltate in audizione hanno segnalato la necessità di creare uno sportello unico in cui organizzare tutti i registri professionali e tutti gli eventi, con modalità semplificata grazie alla tecnologia, che assicuri trasparenza, informazioni, immediatezza di risposte, sicurezza e legalità.
  È stato proposto, dalle medesime associazioni di lavoratori dello spettacolo ascoltate in audizione, di organizzare lo Sportello unico per lo spettacolo su piattaforma informatica open source a protocolli aperti interoperabili, gestita da un'agenzia statale, su cui svolgere con modalità semplificate, comprese APP e blockchain, tutte le pratiche per l'organizzazione di eventi. Sulla piattaforma proposta potrebbero essere registrati – protocollati con un codice identificativo unico – tutti gli eventi di arte e spettacolo, anche organizzati da privati. Lo sportello Pag. 102accederebbe a tutte le informazioni della pubblica amministrazione, compresi l'INPS, l'ANPAL, il RUNTS e l'Agenzia delle entrate, e rilascerebbe informazioni a tutti i soggetti del settore.
  La piattaforma risponderebbe all'esigenza – avvertita da lavoratori, operatori e pubblica amministrazione – di semplificazione amministrativa di tutte le pratiche, con positive ricadute sull'economia degli eventi e sulla regolarizzazione dei rapporti di lavoro sommerso o non tracciato. Grazie alla semplificazione di tutte le pratiche amministrative e al progressivo aggiornamento della mappatura dei luoghi e degli organizzatori – che permetterebbe di sostituire la ripetitiva richiesta di autorizzazioni sempre uguali con comunicazioni già predisposte in base alle tipologie tabellate degli eventi, degli organizzatori, degli spazi, dei lavoratori – si otterrebbero notevoli risparmi di tempi e risorse economiche.
  Lo sportello fornirebbe attività di formazione e informazione nel settore spettacolo, con personale dedicato ai lavoratori e agli operatori, per quanto riguarda sia le organizzazioni di eventi sia i rapporti di lavoro, i contratti e la previdenza sociale.
  La registrazione, nella piattaforma, di tutti gli eventi, dal vivo o registrati – con un codice identificativo da riportare in tutte le pratiche con la pubblica amministrazione (per eventuali adempimenti fiscali, sicurezza, diritti d'autore, finanziamenti e contributi e così via) – permetterebbe di tracciare, certificare e valorizzare in modo efficace le attività lavorative ed economiche a tutti i livelli, rendendo sempre più difficile il ricorso al sommerso nei casi di spettacoli con evidenza economica. Nella piattaforma verrebbero protocollati tutti gli eventi o contratti attraverso un numero identificativo, con indicazione del committente o dell'organizzatore, del luogo di svolgimento della prestazione e dei lavoratori. Questo permetterebbe il continuo e progressivo aggiornamento della mappatura di tutti gli enti pubblici e privati organizzatori di spettacolo, dei luoghi di solo spettacolo, misti o ibridi e quelli non di solo spettacolo, anche occasionali o di privati cittadini, comprese le scuole di discipline artistiche e le scuole di danza, da considerare a tutti gli effetti come attività inerenti arte e spettacolo, nonché delle categorie di lavoratori dello spettacolo.
  La piattaforma potrebbe essere gestita da una agenzia pubblica e il protocollo dell'evento, come detto, potrebbe essere riportato in tutte le comunicazioni con la pubblica amministrazione. Nella piattaforma verrebbero automaticamente riportati tutti i rapporti di lavoro, inclusi gli ingaggi dei lavoratori autonomi, anche occasionali, e le collaborazioni. Nei casi previsti sarebbe rilasciato il certificato di agibilità o altro documento autorizzativo, da cui può essere generato il modello UNIEMENS precompilato con il calcolo dei contributi da versare in base ai dati anagrafici e contrattuali inseriti. Il protocollo identificativo dell'evento sarebbe utilizzato nei casi di versamenti volontari di contributi previdenziali, di autoliquidazione INPS per giornate di prove, studio, post produzione e per artisti «a cappello» senza committente. L'interazione degli utenti con la piattaforma dovrebbe avvenire attraverso protocolli aperti e interoperabili, con operatori del settore tramite App/sistema web/digitale/blockchain, e, in generale, la piattaforma dovrebbe essere predisposta al dialogo con altre applicazioni preesistenti dai contenuti e dalle funzionalità paritetici, attraverso Pag. 103tecnologie come l'esposizione di API. La gestione degli accessi in login dovrà essere assicurata in forma diretta attraverso SPID, tramite iscrizione diretta o attraverso autenticazione verificata da sistemi terzi, con più livelli di accesso contemporanei.

  4.3 Registri e riconoscimento professionale

  Il Parlamento europeo ha invitato «la Commissione e gli Stati membri a creare un “registro professionale europeo” per gli artisti, previa consultazione del settore artistico, nel quale potrebbero figurare il loro statuto, la natura e la durata dei successivi contratti nonché i dati dei loro datori di lavoro o dei prestatori di servizi che li ingaggiano» (Risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007 sullo statuto sociale degli artisti).
  Anche per questa ragione, diverse associazioni di categoria propongono l'istituzione di Registri delle professioni, che comprendono gli insegnanti di discipline artistiche e tecniche e danzatori, con distinzione tra attività amatoriali e quelle dei professionisti, dei luoghi, organizzazioni, scuole di discipline artistiche, con requisiti aggiornati a cura della pubblica amministrazione e dei cittadini. Il registro professionale potrà stabilire tariffe professionali minime in base alle disposizioni di legge.
  Appare, pertanto, opportuno istituire il Registro dei professionisti dello spettacolo, prevedendo per gli iscritti l'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4. Ai fini dell'iscrizione al registro professionale, sono da prevedere vari criteri (oltre a reddito, compenso e giornate di lavoro), come ad esempio la formazione, i titoli, la creazione realizzata, l'anzianità. A tal fine – oltre al sistema dell'Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM) – devono essere istituiti diplomi per artisti e tecnici anche in scuole superiori, nonché diplomi universitari per artisti creativi e tecnici; e devono essere previsti enti certificativi nazionali, e non solo regionali, delle professioni, garantendone il riconoscimento a livello comunitario.
  Tra le professioni da inserire nel registro delle professioni dello spettacolo devono essere comprese anche le attività di insegnamento di tutte le discipline artistiche, compreso l'insegnamento della danza non sportiva e le attività professionali per la sicurezza nello spettacolo. Come detto, il registro professionale potrà stabilire le tariffe professionali minime, se queste dovessero diventare previsione di legge. A tal fine si dovrebbe tenere conto (oltre che dei CCNL in vigore) anche degli standard europei (si veda ad esempio la Francia) e si dovrebbe differenziare tra performance nel live, registrazioni, televisioni, e così via.
  Tutti i lavoratori inclusi nei Registri dovrebbero essere soggetti ai contributi al F.P.L.S., con la sola eccezione degli eventi di beneficenza. Per la definizione di «volontario» si può fare riferimento alla definizione di svolgimento di attività gratuite ai sensi dell'articolo 17, comma 2 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 («Codice del terzo settore»).
  È stata proposta, altresì, l'istituzione del Registro degli enti pubblici e privati organizzatori di spettacolo e il registro dei luoghi di spettacolo. Le organizzazioni di spettacolo possono essere di Pag. 104spettacolo, non di solo spettacolo, ibride, miste, enti pubblici o privati. Nel registro – come detto – dovrebbero essere incluse tutte le realtà profit e no profit, come le associazioni e gli enti del terzo settore e le cooperative. Dovrebbero essere censiti e registrati i luoghi deputati al solo spettacolo e quelli non di solo spettacolo, misti o ibridi, inclusi quelli per eventi occasionali o privati, compresi i live club e le scuole di discipline artistiche, che sono da considerare a tutti gli effetti come attività inerenti l'arte e lo spettacolo. A tal fine, è necessario prevedere la distinzione tra attività professionale e attività amatoriale attraverso l'introduzione di un opportuno schema definitorio. Si ritiene infine necessario che i comuni individuino e organizzino le aree in cui vengono svolti eventi su suolo pubblico e i relativi orari di utilizzo.

  4.4 Contratto di prestazione occasionale di spettacolo

  Da numerose memorie depositate in audizione – tra cui quelle del Forum arte e spettacolo, di SOS Musicisti, della Piattaforma A-Live, dell'Associazione generale italiana dello spettacolo (AGIS) e dell'Associazione italiana organizzatori e produttori spettacoli di musica del vivo (ASSOMUSICA) – emerge l'esigenza dell'individuazione di un contratto di lavoro semplificato per le prestazioni di spettacolo occasionali o estemporanee e per i committenti non di solo spettacolo, come eventi privati, matrimoni, feste patronali, pubblici esercizi, live club, feste popolari, e così via.
  Nello specifico, è stata proposta l'istituzione di un contratto semplificato per prestazioni di spettacolo occasionali, per committenti non di solo spettacolo, per tutte le discipline artistiche, creative, di didattica o tecniche, per un importo lordo non superiore a 4.500 euro in 24 mesi, non utilizzabile dal lavoratore per più di 5 giorni all'anno presso lo stesso committente e non utilizzabile in appalti di servizi.
  È stato proposto, inoltre, di gestire i contratti occasionali tramite la predetta piattaforma dello Sportello Unico Spettacolo, con procedure semplificate (per esempio, tramite una app) sia per l'attivazione, sia per l'erogazione al prestatore, sia per l'accredito dei contributi del lavoratore alla gestione spettacolo. Le prestazioni non sarebbero soggette a tassazione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. È stata proposta, quindi, l'abolizione del comma 188 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (al riguardo, si legga infra).

  4.5 Appalti di servizi

  Il Forum Arte e Spettacolo, al fine di limitarne l'abuso, propone di introdurre nella norma sugli appalti di servizi indici di genuinità specifici per le prestazioni di servizi svolte nei settori arte, cultura e spettacolo, aggiornando l'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, con una precisazione più restrittiva rispetto alla versione attuale, ma necessaria anche ai fini della sicurezza sul lavoro durante gli allestimenti. Il Forum propone di modificare il comma 1 dell'articolo citato, inserendo, dopo le parole: «nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto», la seguente precisazione: «dalla Pag. 105natura artistica, didattica e intellettuale dell'attività svolta o dall'infungibilità della prestazione»(40).

  4.6 Gestione e sicurezza dei lavoratori

  Dal ciclo di audizioni sono emerse alcune richieste di modifiche e di aggiornamenti per la promozione della salute e sicurezza dei lavoratori, che spesso lavorano in contesti caratterizzati da tempi velocissimi, con interferenze tra artisti e tecnici che appartengono a organizzazioni diverse e che interagiscono in spazi ristretti. Tra le richieste c'è quella di partecipare alla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e di esaminare i seguenti interventi con le istituzioni preposte:

   1) introduzione di iter specifici di approvazione per allestimenti e strutture dello spettacolo, l'introduzione nei PSC e nei DUVRI di un preciso cronoprogramma per mansione con pause e riposi predeterminati; introduzione del «diario unico di bordo» per le tournées;

   2) revisione del cosiddetto decreto «Palchi e fiere»(41) e armonizzazione della normativa italiana alla normativa europea anche per le strutture;

   3) identificazione, in sede di Accordo Stato-Regioni, degli iter formativi specifici necessari alle attività di realizzazione, organizzazione e allestimento di spettacoli, sia per i lavoratori subordinati sia per gli autonomi, per i datori di lavoro e per gli organizzatori di eventi, con istituzione di un Albo dei formatori specifici per il settore. I committenti dovrebbero essere tenuti a verificare l'avvenuta formazione del personale impiegato negli spettacoli;

   4) introduzione del concetto di «azienda pro-tempore» per cooperare nella gestione della sicurezza tra lavoratori di ditte interferenti;

   5) istituzione di un osservatorio nazionale per segnalare irregolarità;

   6) introduzione di una normativa specifica per la gestione della sicurezza in attività speciali dello spettacolo (performer aerei, circensi, arti e spettacoli di strada), con un iter di informazione e formazione e l'utilizzo di dispositivi di protezione individuale e collettiva.;

   7) previsione da parte dell'INAIL di tariffe assicurative specifiche per le diverse attività di spettacolo, diversificate in base alla classe di rischio.

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  4.7 Mobilità internazionale

  Per favorire la mobilità transfrontaliera specifica degli artisti e professionisti dello spettacolo, il Forum Arte e Spettacolo raccomanda l'introduzione di procedure semplificate per i permessi amministrativi, le pratiche dei distacchi, le totalizzazioni previdenziali, le concessioni dei visti e permessi di lavoro. Queste alcune proposte del Forum Arte e Spettacolo:

   1) accordi contro la doppia imposizione fiscale per artisti. È necessario stipulare con i Paesi europei accordi di disapplicazione reciproca dell'articolo 17 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni per artisti e sportivi, che oggi subiscono ritenute fiscali sia nel Paese dove svolgono l'attività che in quello in cui risiedono per la maggior parte dell'anno;

   2) individuazione di procedure semplificate per la mobilità transfrontaliera degli artisti e dei professionisti dello spettacolo, con procedure automatiche di concessione di modelli A1 INPS, di totalizzazione periodica dei contributi previdenziali versati all'estero e di semplificazioni per distacchi di breve durata.

  In merito al punto 1), va anche detto che sarebbe opportuno che l'Agenzia delle entrate fornisse un maggiore supporto informativo ai lavoratori e alle imprese dello spettacolo sulle vigenti Convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali basate sul modello OCSE; sarebbe inoltre opportuno semplificare le procedure per la applicare le Convenzioni contro le doppie imposizioni.

  4.8 Regime fiscale per i lavoratori autonomi con partita IVA

  I lavoratori autonomi dello spettacolo con partita IVA, artisti e professionisti dello spettacolo, devono poter scegliere se utilizzare una deduzione forfetaria per le spese per la produzione del reddito o il regime ordinario con deduzione analitica delle spese per viaggi, formazione, agenzia, acquisti strumenti e attrezzature, diritti, come ditta individuale. SOS Musicisti propone, inoltre, di sostenere gli artisti e professionisti esordienti di età minore di 35 anni raddoppiando la deduzione forfettaria per lavoratori autonomi.

  4.9 Associazionismo e organizzazione dei lavoratori

  A parere del Forum Arte e Spettacolo(42), andrebbero individuate e sostenute forme organizzative semplificate e innovative di cooperazione, autogestione e organizzazione, e cooperative di comunità tra artisti e professionisti dello spettacolo, pubblico ed enti locali, dando piena applicazione alla riforma del Terzo Settore. Il Forum Arte e Spettacolo propone l'abolizione della previsione di esonero fiscale per premi e compensi erogati ai direttori artistici, a danzatori e insegnanti di discipline coreutiche (erogati nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI) e ai collaboratori tecnici per prestazioni di Pag. 107natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche per un importo non superiore complessivamente a 10.000 euro annui, lasciando la previsione dell'esonero con rimborso analitico delle spese documentate e le previsioni di indennità di trasferta e rimborsi forfetari nelle modalità previste dalla riforma del Terzo settore.

  4.10 Lo spettacolo indipendente ed emergente

  La cultura è il motore evolutivo di ogni società e le produzioni artistiche e culturali indipendenti, in senso lato, costituiscono quel laboratorio sperimentale che consente di tenere acceso tale motore. Gli strumenti di sostegno pubblico intercettano soprattutto i bisogni dei settori «tradizionali» dello spettacolo, tralasciando gli attori emergenti e indipendenti. Alcuni soggetti auditi, tra cui «Stage! Coordinamento Musica e Spettacolo Indipendente ed Emergente» e SOS Musicisti, intervenuti durante il ciclo di audizioni in rappresentanza della categoria, lamentano un perdurante sbilanciamento dell'assegnazione delle risorse verso le istituzioni classiche dello spettacolo, che non contempla e non tutela la scena più innovativa, spesso formata dai più giovani, vero motore della creatività.
  Si tratta di tutti quei settori dello spettacolo, altamente eterogenei e per loro stessa natura in continua evoluzione, che sfuggono a inquadramenti normativi obsoleti, pensati per un mondo del lavoro che non esiste più da tempo. Il mancato riconoscimento delle specificità del settore condanna migliaia di artisti a operare nel sommerso, umiliandone le legittime aspettative di vita, deprimendo in questo modo l'enorme potenziale di accrescimento culturale che tali operatori profondono nelle comunità.

  4.11 Il lavoro sommerso

  Come emerso dalle audizioni, tra le principali cause del massiccio ricorso al lavoro sommerso vi sono:

   1) la complessità delle norme del sistema previdenziale ex ENPALS – oggi F.P.L.S. dell'INPS – con inevitabili difficoltà di interpretazione, disaffezione e perdita di fiducia nell'Ente;

   2) la presenza di oneri insostenibili per contributi per la maggior parte degli eventi, a fronte di budget molto esigui;

   3) l'assenza di un'equa regolamentazione del settore amatoriale, che costringe i professionisti ad operare sullo stesso mercato insieme ai semiprofessionisti e ai musicisti amatoriali, che beneficiano anche dell'esenzione contributiva di cui all'articolo 1, comma 188, della legge n. 296 del 2006 (su cui si legga infra);

   4) la convinzione diffusa tra i musicisti secondo cui, a fronte di compensi molto ridotti e in assenza di controlli, non risulti conveniente versare (o farsi versare) i contributi previdenziali, a fronte di una scarsa possibilità di maturare il diritto alla pensione;

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   5) i costi eccessivi del diritto d'autore, che, depauperando a monte i budget, finiscono per ricadere sui compensi e sul mancato versamento dei contributi.

  4.12 Le esenzioni previste dall'articolo 1, comma 188, della legge finanziaria per il 2007

  L'articolo 1, comma 188, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) ha introdotto un particolare regime di esenzione dagli adempimenti ENPALS, stabilendo che: «Per le esibizioni in spettacoli musicali, di divertimento o di celebrazione di tradizioni popolari e folkloristiche effettuate da giovani fino a diciotto anni, da studenti, da pensionati e da coloro che svolgono una attività lavorativa per la quale sono già tenuti al versamento dei contributi ai fini della previdenza obbligatoria, gli adempimenti di cui agli articoli 3, 6, 9 e 10 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, non sono richiesti se la retribuzione annua lorda percepita per tali esibizioni non supera l'importo di 5.000 euro».
  Come precisato dalla Circolare ENPALS n. 2/2008, ai soggetti di cui all'articolo 1, comma 188, della legge n. 296 del 2006 che effettuano esibizioni musicali dal vivo (giovani fino a 18 anni, studenti fino a 25 anni, pensionati di età superiore a 65 anni e soggetti che versano ad una gestione diversa da quella per i lavoratori dello spettacolo), dove percepiscano, per le predette esibizioni, una retribuzione annua lorda non eccedente l'importo di 5.000 euro, si applica il regime di esenzione dagli adempimenti informativi e contributivi previsti dalla normativa previdenziale del settore dello spettacolo.
  L'esenzione dall'articolo 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, comporta che i soggetti summenzionati, di qualunque nazionalità, non debbano essere obbligatoriamente iscritti all'ENPALS. L'esenzione dall'articolo 6 comporta che, per i soggetti summenzionati, di qualunque nazionalità, i contributi non debbano essere versati entro i termini stabiliti dal Consiglio di amministrazione dell'Ente e che gli organizzatori non siano perseguibili per la mancanza del Certificato di agibilità. L'esenzione dall'articolo 9 comporta solo che per i soggetti summenzionati, di qualunque nazionalità, non debba essere presentata la denuncia dei lavoratori occupati e le relative variazioni.
  A parere di alcune associazioni di categoria, come SOS Musicisti, restano quindi svantaggiati gli operatori che hanno come unica attività lavorativa la professione di lavoratore dello spettacolo, ovvero i professionisti, perché sono soggetti a tutti gli oneri e quindi più costosi per il committente. Esito paradossale della norma è che vengono penalizzati anche gli emergenti o i non professionisti. Si pensi infatti, ad esempio, ad una band composta da giovani musicisti che non rientrano nelle categorie esentate perché maggiori di 18 anni e non studenti. A loro, e al committente che li scrittura, sono richiesti tutti gli adempimenti, mentre ne è esentato un professionista che opera in altri settori economici e che si diletta nell'esibirsi saltuariamente. La norma, pertanto, favorisce la concorrenza sleale, penalizza i professionisti dello spettacolo e allo stesso tempo non tutela gli emergenti e il dilettantismo genuino.

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  4.13 Le scuole di musica non sovvenzionate

  Le scuole di musica sono in gran parte costituite da musicisti esecutori altrimenti disoccupati o sottoccupati, caratterizzati da livelli di reddito bassi. La sostenibilità economica delle scuole di musica è altamente precaria a causa di problemi strutturali come la tipologia delle lezioni, che vengono somministrate necessariamente in forma individuale. Infatti, il rapporto «uno a uno» tra insegnante e allievo è la principale causa delle difficoltà economiche. Questa peculiarità, rara nelle scuole di danza o altre arti, nelle scuole di musica è imprescindibile e determina una redditività così bassa da non consentire spesso il corretto assolvimento degli obblighi fiscali e contributivi, né una adeguata remunerazione degli insegnanti.
  Vale la pena di ricordare che le scuole di musica sono generalmente costituite in associazioni soprattutto per ragioni di carattere fiscale. Infatti, è d'uso legittimo far rientrare le rette nel novero delle contribuzioni speciali degli allievi o soci, allorché usufruiscono di un particolare servizio. Da rilevare, inoltre, che c'è già una norma – l'articolo 10, n. 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 – che prevede l'esenzione dall'IVA per l'insegnamento nel privato, ma essa non è applicabile alle scuole costituite sotto forma di associazione.
  Agli insegnanti (in massima parte musicisti disoccupati o sottoccupati) viene spesso richiesto di dotarsi di partita IVA quale prerequisito indispensabile per esercitare l'insegnamento attraverso la scuola di musica. Tuttavia, i costi fissi associati alla gestione della partita IVA (tra cui i contributi obbligatori alla Gestione separata dell'INPS) risultano sproporzionati rispetto al livello degli emolumenti. L'assenza di una normativa specifica che contempli le peculiarità dell'insegnamento musicale comporta un forte detrimento del potenziale occupazionale e culturale che questo settore può offrire.

5. CONCLUSIONI: CRITICITÀ E PROSPETTIVE DI ADEGUAMENTO DELLE TUTELE

  La prima considerazione da svolgere alla luce delle audizioni svolte dalle Commissioni è che la gran parte dei soggetti auditi ha preliminarmente sottolineato l'importanza del riconoscimento del valore sociale del lavoro culturale ed artistico e dell'impatto positivo del settore dello spettacolo sul territorio in termini economici, di benessere dei cittadini, di sviluppo e di coesione sociale.
  È una rivendicazione in linea con la Costituzione. La Costituzione, infatti, afferma il diritto alla cultura con forza e coerenza, eppure – come già rimarcato – il nostro Paese si è distinto negativamente nel contesto europeo per la costante riduzione, avvenuta con particolare decisione negli ultimi due decenni, degli investimenti pubblici in questo settore e per la scarsa attenzione dedicata alle specificità delle dinamiche del lavoro nello spettacolo. Questa scarsa attenzione si traduce in un livello non adeguato di tutele, di remunerazione e di welfare per i lavoratori dello spettacolo.
  Allo stato attuale in Italia manca una strategia culturale complessiva in grado di rilanciare la competitività interna e internazionale del settore. Il quadro normativo risulta obsoleto, confuso, a tratti contraddittorio e Pag. 110incapace di soddisfare gli interessi dei lavoratori del settore, spesso caratterizzato da soggetti che operano con forme lavorative irregolari, precarie e senza alcuna tutela, non di rado caratterizzate da sfruttamento, disagio e bassi livelli reddituali.
  La crisi pandemica ha messo in risalto le fragilità pregresse del settore, largamente composto da micro imprese, organizzazioni non-profit e lavoratori autonomi, che versano spesso in condizioni precarie di sostenibilità economica. La formula del lavoro intermittente è infatti la tipologia contrattuale tipica del mondo dello spettacolo e dell'intrattenimento.
  Le istituzioni nazionali e locali hanno introdotto molteplici misure di sostegno ai lavoratori e alle imprese del settore in risposta alla crisi. Tuttavia, molte di queste, in particolar modo quelle non specificatamente mirate al settore culturale e creativo, trovano spesso difficoltà ad intercettare i bisogni, le peculiarità e le specificità del settore. Le misure di sostegno all'occupazione e al reddito non sono sempre accessibili o adatte alle nuove e informali tipologie di impiego (freelance, intermittenti, ibridi) che tendono a essere più precarie e più diffuse nel settore dello spettacolo.
  Il supporto all'innovazione, largamente incentrato sull'aspetto tecnologico, dovrebbe essere adattato ed esteso ad altre forme di innovazione, più comuni nel settore culturale e creativo, come l'innovazione nei format e nei contenuti, incluso l'uso misto di diversi media, riconoscendo che il settore genera innovazione attraverso le abilità creative, le nuove forme di lavoro, i nuovi modelli di business e le nuove forme di coproduzione.
  Il lockdown e le misure di distanziamento fisico hanno reso evidente l'importanza dell'arte e della cultura per il benessere delle persone. Città e territori potrebbero considerare i settori creativi e culturali, come pure la partecipazione culturale, un fattore positivo di impatto sociale ed economico sulle comunità. Il settore è già oggi un fattore di crescita economica e di innovazione. A livello territoriale, le specializzazioni nel settore creativo e culturale stanno evolvendo e sono sovente utilizzate per affrontare efficacemente le sfide delle trasformazioni sociali da nuove angolazioni, favorendo la resilienza, la creazione di nuove competenze e l'innovazione di comportamenti sociali. Il contributo dello spettacolo può essere rilevante anche in altre aree dello sviluppo locale, dalla ricostruzione del tessuto sociale e della fiducia reciproca al ripensamento degli spazi urbani adattati al nuovo contesto post pandemico.
  Di seguito vengono sistematizzate tutte le criticità emerse durante l'indagine conoscitiva e per ognuna di esse vengono delineate le relative proposte di intervento normativo.

  5.1 Contratti di lavoro

  Occorre prestare particolare attenzione, nel settore in esame, al ricorso al contratto a termine e al lavoro intermittente. Anche se si può concordare con l'idea che questi contratti meglio si adattano alle esigenze delle imprese del settore, giova qui ricordare che si tratta di strumenti il cui utilizzo presenta precisi vincoli, non tutti agevolmente superabili, neppure dalla contrattazione collettiva. Il rapporto di lavoro in questo specifico ambito è influenzato da diversi fattori. La specificità del rapporto tra artista e pubblico, quest'ultimo costantemente alla ricerca di novità, comporta la necessità di una continua modifica dell'offerta ma anche la sua temporaneità: caratteristica che ispira l'azione del datore di lavoro. Così che il lavoratore dello spettacolo si trova compresso tra le Pag. 111esigenze dello spettatore e le esigenze del datore di lavoro. Si rivela quindi fondamentale estendere alcune tutele ai lavoratori del settore dello spettacolo, dell'intrattenimento e dello svago, che ora ne sono sprovvisti. Il primo passo dovrà consistere nella definizione più precisa dei rapporti di lavoro oggetto di detta disciplina e l'individuazione dei lavoratori che dovranno costituire i destinatari di tale nuova disciplina.
  Il rapporto di lavoro dovrà essere sancito da apposito contratto di scrittura artistica, il quale, tra l'altro, dovrà contenere le condizioni economiche, le mansioni, la durata dell'incarico, comprensivo dell'eventuale periodo di prova, nonché la disciplina relativa agli obblighi fiscali, previdenziali e assicurativi e l'obbligo del pagamento dell'artista da parte del committente entro sessanta giorni continuativi a partire dal giorno della firma del contratto.
  A tal fine, è utile ricordare che durante le audizioni è emerso come strumento utile per ridurre il tasso di precarietà del sistema quello previsto, ad esempio, dal «Contratto collettivo nazionale per il personale artistico, tecnico e amministrativo scritturato dai Teatri nazionali, dai Teatri di rilevante interesse culturale, dai Centri di produzione e dalle Compagnie teatrali professionali, e Regolamento di palcoscenico» del 2018, che prevede una scrittura individuale con compenso base mensile. Si rileva, inoltre, come emerso dalle audizioni, la necessità e l'importanza di addivenire alla sottoscrizione di un Contratto collettivo nazionale di lavoro per il settore audiovisivo.
  Occorre inoltre prevedere modalità di individuazione di tipologie di spese deducibili ai fini della determinazione della retribuzione imponibile relativa alle attività previste dai contratti di scrittura artistica e includere tra le spese deducibili i costi di ammortamento, debitamente documentati, per l'acquisto, la manutenzione e la riparazione delle strumentazioni tecniche, artistiche e coreografiche, nonché per le spese relative ai mezzi di trasporto, al vitto e all'alloggio, purché funzionalmente necessarie all'esecuzione della prestazione lavorativa e debitamente documentate.

  5.2 Trattamenti pensionistici

  Il Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo (F.P.L.S.) presenta da molti anni entrate contributive sistematicamente superiori alle uscite. Nel 2017 le entrate contributive erano pari 1,2 miliardi di euro, il risultato di esercizio era di 266 milioni di euro, mentre l'avanzo patrimoniale al 31 dicembre 2017 era pari a 4,8 miliardi di euro. L'innalzamento dei requisiti, per gli artisti a tempo determinato, da 60 a 120 giornate assicurative ha reso difficoltosa la maturazione dei requisiti minimi per il diritto alla prestazione.
  Appare necessario introdurre i seguenti interventi volti ad adeguare la tutela pensionistica alle condizioni di lavoro del settore:

   1) riduzione dei requisiti minimi per la maturazione di un anno di anzianità assicurativa per gli artisti a tempo determinato (elevato, come detto, nel 1997, da 60 a 120 giornate);

   2) computo dei periodi di formazione e preparazione dello spettacolo (per esempio, coefficiente di aumento: ogni giornata di prestazione lavorativa equiparata a 1,X giornate assicurative);

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   3) computo della contribuzione volontaria ai fini del diritto alle prestazioni.

  5.3 Indennità di discontinuità

  Se da un lato esiste il problema dell'estrema precarietà dei lavoratori dello spettacolo, dall'altro lato la discontinuità costituisce una caratteristica propria del sistema, essendo «naturale» lo svolgimento del lavoro e delle diverse professioni nell'ambito di produzioni che prevedono tempi e modalità di realizzazione e rappresentazione specifici, limitati, stagionali. Nell'arco dello stesso anno, i lavoratori possono ricorrere a molteplici formule contrattuali relative a classi diverse. I rapporti di lavoro nel mondo dello spettacolo si configurano quindi come frammentati e molto eterogenei.
  Pertanto appare necessario di provvedere all'istituzione di uno strumento che sostenga i lavoratori subordinati e autonomi iscritti nel F.P.L.S. nei periodi di mancata occupazione determinati dall'intermittenza dei contratti di lavoro, indipendentemente dalla tipologia negoziale del contratto di lavoro stipulato.

  5.4 Assicurazione economica di malattia e di maternità

  Il diritto alla prestazione di malattia è subordinato alla maturazione di almeno 100 giornate assicurative a partire dal 1° gennaio dell'anno civile precedente l'insorgenza dell'evento morboso. Il limite massimo indennizzabile in caso di malattia è pari al numero di giornate di assicurazione negli ultimi 12 mesi (almeno 30 giornate indennizzabili in presenza di almeno 1 giorno di assicurazione). Per i lavoratori a tempo determinato la retribuzione massima giornaliera ai fini del calcolo della prestazione di malattia e di maternità è pari, nel 2019, a 67,14 euro.
  Appare necessario introdurre i seguenti interventi volti ad adeguare la tutela dell'assicurazione di malattia alle condizioni di lavoro del settore:

   1) riduzione dei requisiti minimi per la maturazione del diritto alla prestazione per malattia;

   2) innalzamento della retribuzione di riferimento per il calcolo della prestazione di malattia e di maternità dei lavoratori dello spettacolo a tempo determinato.

  5.5 Assicurazione contro la disoccupazione (NASpI)

  I requisiti per accedere alla NASpI e le modalità di corresponsione (quanto a durata e a importo) risultano particolarmente penalizzanti per i lavoratori dello spettacolo: i requisiti assicurativi sono troppo alti (specie con riferimento alle giornate lavorate) con l'effetto di rendere inadeguato il sussidio (di importo molto modesto), in quanto non in grado di sostenere la fisiologica discontinuità di occupazione dei lavoratori. Appare necessario adottare i seguenti interventi volti ad adeguare la tutela dell'assicurazione di malattia alle condizioni di lavoro del settore:

   1) estensione della tutela NASpI e dell'assegno per il nucleo familiare ai collaboratori coordinati e continuativi dello spettacolo;

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   2) revisione dei requisiti di accesso alla NASpI per i lavoratori dello spettacolo, anche autonomi, iscritti in via esclusiva al F.P.L.S..

  5.6 Nuove figure professionali

  Le figure professionali assicurate al F.P.L.S. sono individuate dalla legge, ma il loro elenco necessita di un aggiornamento che contempli le recenti evoluzioni del settore. Appare necessario introdurre interventi volti ad adeguare la tutela dell'assicurazione obbligatoria. In particolare è necessaria l'estensione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ad altre e nuove figure professionali (autori e adattatori di testi, programmi e format teatrali, cinematografici e televisivi, direttori artistici, documentaristi, assistenti ai programmi e di studio, e così via).

  5.7 Registro nazionale dei lavoratori del settore dello spettacolo, dell'intrattenimento e dello svago

  Accogliendo l'invito del Parlamento europeo in tal senso, è opportuna l'istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del registro dei lavoratori del settore dello spettacolo, dell'intrattenimento e dello svago. L'iscrizione a detto registro deve costituire requisito vincolante per l'esercizio delle prestazioni lavorative nell'ambito dello spettacolo. Inoltre, l'iscrizione al registro deve essere riconosciuta ai lavoratori in possesso di titoli rilasciati da istituti pubblici e privati autorizzati alla formazione artistica o professionale nelle attività di cui alla presente indagine conoscitiva.
  Per i dettagli, si rinvia a quanto detto in precedenza.

  5.8 La pratica amatoriale

  Il nostro tessuto culturale risulta fortemente caratterizzato dalla presenza di una cospicua quota di soggetti che operano nel mondo dello spettacolo senza tuttavia afferire direttamente all'ambito professionistico. In assenza di una specifica regolamentazione, il settore amatoriale e quello professionale operano nello stesso mercato con le stesse regole, il che comporta svantaggi per entrambe le tipologie di operatori. A tal proposito sarebbe opportuna l'introduzione – previa definizione di uno schema definitorio per connotare e distinguere le attività amatoriali e quelle professionali – di specifiche disposizioni normative atte, da un lato, a sostenere le attività amatoriali e, dall'altro, a tutelare il settore professionale da eventuali condotte di concorrenza sleale.

  5.9 Strumenti di analisi e monitoraggio

  È necessario affinare gli strumenti di analisi e di monitoraggio e uniformare maggiormente definizioni e ambiti di riferimento per intercettare a pieno la complessità del settore. In questo senso, va sottolineata l'importanza di considerare gli osservatori regionali della cultura e dello spettacolo quali strumenti a sostegno dell'azione di Governo, sedi di raccolta ed elaborazione dei dati, di analisi e di ricerca, al fine di valutare l'andamento del settore e consentire una programmazione più efficace degli interventi pubblici, nonché la previsione di nuove strategie e politiche adeguate. Si avverte l'esigenza di Pag. 114mettere a sistema le risorse disponibili per razionalizzare gli interventi in funzione di una maggiore efficacia della spesa, anche attraverso il monitoraggio dell'offerta culturale del territorio e dell'impatto economico, sociale e occupazionale, nonché lo scambio reciproco di conoscenze e informazioni. A tal fine, appare necessaria l'istituzione di un sistema nazionale a rete degli osservatori dello spettacolo, allo scopo di favorire il dialogo e la cooperazione con l'osservatorio dello spettacolo del Ministero della cultura, a partire dalla comune progettazione delle attività, in una logica di qualificazione delle iniziative e di reciproca valorizzazione e utilità. In tal modo, gli osservatori regionali potrebbero essere modellati sulla base delle esigenze degli enti regionali e locali, ma nel quadro di un progetto unitario e di coordinamento degli interventi sul territorio nazionale.

  5.10 Il Codice dello spettacolo e il FUS

  Prendendo atto degli spunti di riflessione emersi e delle criticità evidenziate nel corso del ciclo di audizioni, si deve ritenere preliminarmente che qualsiasi azione di riforma del funzionamento del FUS non possa prescindere dal pieno riconoscimento del valore e della portata delle attività inerenti il mondo dello spettacolo in termini di diffusione e trasmissione culturale, aggregazione sociale, valorizzazione del territorio. Le risorse da destinare al settore devono essere quindi considerate nell'ottica di un investimento con impatto significativo sullo sviluppo e sul benessere equo e sostenibile dei territori.
  In tal senso, riformare il FUS significa incidere sullo sviluppo di tutto il sistema dello spettacolo dal vivo e del suo indotto; pertanto una buona riforma va intesa come una vera e propria politica culturale, che non può prescindere da un'analisi realistica degli effetti prodotti finora dal sistema e da una visione chiara degli obiettivi che si vogliono perseguire.
  In quest'ottica, un primo passo da fare è sicuramente l'incremento delle risorse destinate al FUS; segue poi necessariamente una riflessione su tutto il funzionamento del FUS, a partire dai parametri che regolano l'accesso al Fondo e dai meccanismi di attribuzione dei punteggi (punto nodale) fino all'erogazione dei contributi. Come evidenziato dal citato Documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia di Fondo Unico per lo Spettacolo svolta dalla 7a Commissione del Senato della Repubblica (Doc. XVII n. 1), i meccanismi di attribuzione dei punteggi previsti dal decreto ministeriale del 27 luglio 2017, pur nell'intento di attuare quanto previsto dalla norma originaria, il cui fine era appunto quello di garantire trasparenza, semplificazione ed efficacia nella ripartizione dell'aiuto statale, si sono rivelati per diversi aspetti inefficaci. Pertanto, è necessario intervenire adottando misure volte a riqualificare l'intervento pubblico nel settore in un'ottica di maggiore equità nella distribuzione delle risorse, garantendo maggiore trasparenza e oggettività nei criteri di assegnazione dei contributi del FUS. A tal proposito si segnala la firma avvenuta del decreto ministeriale recante nuovi criteri di attribuzione delle risorse per ampliare il numero dei beneficiari, estendere i contributi a settori finora mai raggiunti dal FUS, attualmente in fase di esame presso gli organi di controllo ai fini della registrazione dello stesso.

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  5.11 Fondazioni lirico-sinfoniche

  Si è già detto delle dicotomie presenti in materia di lavoro nel settore lirico-sinfonico. L'A.N.FO.L.S. (Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche) ha evidenziato la problematica riguardante i professori d'orchestra, gli artisti del coro e i tersicorei che iniziano la loro attività artistica in età giovanile e si sottopongono, costantemente, ad attività di studio, esercizio e perfezionamento giornaliero. Le condizioni descritte portano l'A.N.FO.L.S. a ritenere che tali categorie possano essere incluse fra le attività usuranti, ai fini previdenziali, considerando che la prolungata attività ha importanti ripercussioni sulla qualità della vita del personale e sull'equilibrio psicofisico di questi lavoratori. Si propone, in tal senso, limitatamente alle categorie di lavoratori summenzionate, di valutare l'opportunità di potenziare le attuali misure di maggior favore riguardanti il raggiungimento delle soglie di età per l'accesso alla pensione di vecchiaia.

  5.12 Formazione

  È necessario che la filiera «formazione-produzione-promozione», che nel mondo dello spettacolo dal vivo è fondamentale ed è l'unico strumento che garantisce alle nuove generazioni di artisti e tecnici una prospettiva di lavoro futuro, venga salvaguardata e potenziata con interventi di sostegno ai soggetti in grado di garantire – con strutture adeguate, teatri e spazi – una fondamentale presenza sul territorio.
  Complessivamente si avverte l'esigenza di strumenti di ascolto degli andamenti e dell'evoluzione del mondo della cultura, in grado di coglierne le istanze innovative e i fabbisogni formativi in tempo reale. Al fine di rafforzare la relazione tra formazione e mercato del lavoro si prefigura la progettazione di rinnovate architetture formative che prevedano interazioni tra università, formazione professionale e imprese; tra politiche culturali, economiche, del lavoro e sociali.

  5.13 Semplificazione

  Appare necessario individuare un contratto di lavoro semplificato per le prestazioni di spettacolo occasionali o estemporanee e per i committenti non di solo spettacolo e di una registrazione di questi dati nella piattaforma dello Sportello Unico Spettacolo. Per i dettagli, si rinvia a quanto detto in precedenza.
  Al fine di limitarne l'abuso, appare inoltre necessario introdurre nella norma sugli appalti indici di genuinità specifici per le prestazioni di servizi svolti nei settori arte, cultura e spettacolo, aggiornando l'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, con una precisazione più restrittiva rispetto alla versione attuale, ma necessaria anche ai fini della sicurezza sul lavoro durante gli allestimenti. Anche in questo caso si fa rinvio a quanto detto in precedenza.

  5.14 Salute e sicurezza sul lavoro

  Sono necessarie misure normative e amministrative specifiche per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Si rimanda a quanto detto in precedenza e in particolare all'esigenza di: a) prevedere iter specifici Pag. 116di approvazione per allestimenti e strutture dello spettacolo e di introdurre nei PSC (Piani di Sicurezza e Coordinamento Cantieri) e nei DUVRI (Documento Unico di Valutazione Rischi Interferenze) un preciso cronoprogramma per mansione con pause e riposi predeterminati; b) rivedere il cosiddetto «Decreto palchi e fiere» e armonizzare la normativa italiana alla normativa europea anche per le strutture; c) stabilire iter formativi specifici per i lavoratori.

  5.15 Mobilità artistica e uniformità delle regole in ambito europeo

  Infine, attenzione va posta ai temi della mobilità artistica e alla necessità – anche in ambito europeo – di una maggiore uniformità delle regole che disciplinano il lavoro artistico, nonché le forme di welfare e la fiscalità dei lavoratori del comparto. Per favorire la mobilità transfrontaliera specifica degli artisti e professionisti dello spettacolo appare opportuna l'introduzione di procedure semplificate per i permessi amministrativi, le pratiche dei distacchi, le totalizzazioni previdenziali, le concessioni dei visti e permessi di lavoro. Andrebbe altresì valutata l'opportunità di semplificare gli iter burocratici relativi all'applicazione delle Convenzioni OCSE sulle doppie imposizioni fiscali per gli artisti e i lavoratori dello spettacolo.
  La crisi pandemica ha certamente penalizzato il settore in maniera molto severa. Tuttavia, la gravità della situazione, e le conseguenti e giustificate rimostranze degli operatori del settore hanno alzato l'attenzione sulle annose problematiche di un mondo per troppo tempo dimenticato dalle istituzioni.
  Un'efficace riforma del settore dovrà necessariamente inserirsi nel solco segnato dallo storico cambio di paradigma operato dalla Commissione europea e dai Governi nazionali in seguito alla pandemia e alla più generale assunzione di consapevolezza del fallimento delle politiche di austerità e del modello liberista. Del resto, sarebbe illusorio pensare di poter conseguire una reale crescita del settore culturale e dello spettacolo al di fuori di un modello di sviluppo sostenibile e senza affrontare le disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali, che rappresentano i principali fattori di esclusione sociale e freno allo sviluppo del nostro Paese.
  Ecco perché, anche nel mondo della cultura e nello spettacolo, bisogna affrontare con coraggio le criticità relative a tre priorità trasversali: le donne, i giovani, il Sud. Su queste priorità dovranno concentrarsi i maggiori fabbisogni di investimento e il più alto potenziale per uno sviluppo forte e inclusivo dell'intero Paese. Al fine di massimizzare l'impatto su queste tre dimensioni trasversali, la scelta strategica prioritaria dovrà riguardare il forte e capillare potenziamento dei presidi culturali sul territorio e le modalità attraverso le quali questo processo potrà essere portato a termine.
  In conclusione, appare evidente come nel mondo dello spettacolo (considerato nel suo insieme) la carenza di soluzioni specifiche per le prestazioni pensionistiche, gli ammortizzatori, la formazione – per il welfare, in generale – renda molti lavoratori dei veri e propri working poors. Considerati i loro percorsi professionali eccezionali, caratterizzati da necessaria mobilità, non programmabilità, discontinuità e intermittenza, è urgente organizzare una protezione adeguata, che tenga conto anche del frequente ricorso a forme autonome di lavoro. Pag. 117Piuttosto che distinguere tra il lavoro subordinato e la prestazione professionale con un diverso e adeguato sistema di welfare, che può indurre a un uso improprio di una relazione contrattuale per ridurre le tutele, si deve impostare un sistema di protezione sociale specifico dello spettacolo, inclusivo e in grado di riconoscere il godimento pieno delle stesse prestazioni assicurative e assistenziali a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla forma del rapporto di lavoro.
  Resta ferma una sostanziale osservazione di fondo. Il miglioramento del welfare per lo spettacolo non può prescindere dalla consapevolezza della fragilità economica del settore, composto da imprese dipendenti dal finanziamento pubblico (il cosiddetto FUS, che pure necessiterebbe di una attenta rivisitazione, per l'uso e l'abuso, non sempre a vantaggio dell'intera categoria) e, in gran parte, da piccolissime imprese autogestite dai lavoratori, le quali dichiarano di non avere le risorse per sostenere il costo (elevato) del lavoro, pregiudicando così il sostegno al reddito (oggi) e le pensioni (domani).
  Il nostro immenso patrimonio culturale fatto di storia, arte, musica, teatro dispiegherà a pieno il suo potenziale solo quando chi vi lavora troverà le giuste tutele. La democrazia è un processo costante la cui acquisizione non può e non potrà mai prescindere dalla qualità del nostro sistema educativo e culturale.

  (1) OCSE Culture Shock: COVID-19 and the cultural and creative sectors, 2020.

  (2) Fonte: audizione ISTAT, documento depositato.

  (3) Il testo dell'ordine del giorno è reperibile al seguente link:
  https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=9/02700/104&ramo=CAMERA&leg=18.

  (4) Elaborazione delle informazioni del Registro RACLI.

  (5) Fonte: audizione ISTAT, documento depositato.

  (6) Dal campo di osservazione sono, quindi, escluse le imprese inserite nella lista delle istituzioni pubbliche.

  (7) Per posizioni attive si intendono quelle che hanno presentato almeno un'ora retribuita nell'anno.

  (8) Come chiarito nel documento dell'ISTAT, nel registro si possono individuare i lavoratori iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori dello Spettacolo (F.P.L.S.). Il campo di osservazione così selezionato include posizioni lavorative anche al di fuori delle divisioni ATECO e dei contratti nazionali utilizzati per la definizione statistica. Bisogna, infatti, considerare che l'obbligo assicurativo insorge per effetto del «mero svolgimento di una delle attività artistiche, tecniche o amministrative analiticamente riportate del testo di legge che regola l'assicurazione IVS dello spettacolo» (si veda la legge istitutiva del soppresso ENPALS, decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708) e che non assume rilievo la natura dell'attività svolta dal datore di lavoro. Con specifico riferimento al settore dello Spettacolo va richiamato, altresì, il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 15 marzo 2005, recante «Adeguamento delle categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l'ENPALS», che ha rivisitato, ampliandola, l'elencazione di cui all'articolo 3, comma 1, del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n.708 del 1947 al fine di adeguarla all'evoluzione delle professionalità e delle forme di regolazione collettiva dei rapporti di lavoro nel settore di cui si tratta.

  (9) Le ore retribuite comprendono – oltre alle ore effettivamente lavorate, sia ordinarie sia straordinarie, ossia al di fuori dell'ordinario orario di lavoro stabilito dai contratti collettivi di lavoro – anche le ore non lavorate ma retribuite dal datore di lavoro come ferie annuali, giorni festivi, malattia a carico del datore, e così via.

  (10) La retribuzione oraria è data dal rapporto tra la retribuzione lorda annua e le ore retribuite a carico del datore di lavoro.

  (11) La retribuzione lorda annua è composta da salari, stipendi e competenze accessorie in denaro, al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali, a carico del datore di lavoro. In questo contesto, nelle statistiche basate sul registro RACLI, coincide con le retribuzioni imponibili ai fini contributivi erogate secondo il principio di cassa. Include la retribuzione per ore di lavoro straordinarie ossia svolte oltre le ore ordinarie.

  (12) Fonte: audizione ISTAT, documento depositato.

  (13) Rispetto a quanto rappresentato nel paragrafo precedente, sono qui esclusi i rapporti intrattenuti al di fuori del mondo dello spettacolo (47.741).

  (14) Sono state incluse, per definizione, tra le posizioni lavorative a basso input di lavoro quelle con contratto di lavoro a chiamata o intermittente, mentre sono state escluse quelle che, pur avendo un numero di giornate retribuite nell'anno inferiori a 90, avevano un'anzianità nella posizione superiore a due anni. L'obiettivo, infatti, era di individuare le posizioni lavorative con basso input di lavoro non da attribuirsi ad interruzione di rapporti di lavoro di medio/lunga durata misurati con un'anzianità nel rapporto superiore a due anni.

  (15) Fonte: audizione di Cristina Alessi, professoressa associata di Diritto del lavoro presso l'Università degli Studi di Brescia, documento depositato.

  (16) Sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, Prima sezione, 4 dicembre 2014, causa C-413/13 FNV Kunsten Informatie en Media.

  (17) Fonte: audizione ISTAT, documento depositato.

  (18) Il sistema classificatorio è articolato su cinque livelli (digit) di aggregazione gerarchici: il primo livello, composto da nove grandi gruppi professionali; il secondo livello, comprensivo di 37 gruppi; il terzo livello, con 129 classi professionali; il quarto livello, formato da 511 categorie; il quinto livello, composto da 800 unità professionali.

  (19) Le attività economiche sono raggruppate, dal generale al particolare, in sezioni, sottosezioni, divisioni, gruppi, classi e categorie: il primo livello, composto da 21 sezioni; il secondo livello, comprensivo di 88 divisioni; il terzo livello, con 272 gruppi; il quarto livello, formato da 615 classi; il quinto livello, composto da 918 categorie.

  (20) Fonte: audizione ISTAT, documento depositato.

  (21) L'utilizzo dei dati a livello di singolo rispondente consente la costruzione di una classificazione incrociata che tenga conto contemporaneamente di entrambe le nomenclature.

  (22) Fonte: audizione ISTAT, documento depositato.

  (23) Fonte: audizione del «Gruppo “Facciamolaconta”», documento depositato.

  (24) Si veda la seguente pagina, consultata il 16 aprile 2021: https://www.fondazionedivittorio.it/sites/default/files/content-attachment/vita%20da%20artisti%204%20maggio.pdf.

  (25) Fonte: audizione ISTAT, documento depositato.

  (26) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (27) Il rapporto è pubblicato in I Quaderni di Symbola 21 giugno 2018.

  (28) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (29) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (30) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (31) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (32) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (33) Fa eccezione a tale regola l'appartenenza dell'assicurato ad una particolare figura professionale, quella del «lavoratore autonomo esercente attività musicali» di cui al n. 23-bis dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 708 del 1947, categoria introdotta dalla legge n. 350 del 2003 (si veda l'articolo 3, commi 98, 99 e 100). Per tali soggetti, in considerazione delle particolari modalità di svolgimento della attività che si connota per l'ampia autonomia di organizzazione dell'attività economica e dei compiti assunti, il legislatore ha previsto la sola tutela assicurativa ai fini IVS.

  (34) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (35) Fonte: audizione INPS, documento depositato.

  (36) Fonte: audizione dottor Onofrio Cutaia, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (25 giugno 2019). Documento depositato.

  (37) Fonte: audizione dottor Onofrio Cutaia, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (25 giugno 2019). Documento depositato.

  (38) A. Taormina. Osservare la Cultura. Nascita, ruolo, prospettive degli Osservatori culturali in Italia, Milano, Franco Angeli, 2011.

  (39) Fonte: audizione di Alberto Butturini, tecnico dello spettacolo, Forum Arte Spettacolo. Documento depositato.

  (40) Il citato comma si leggerebbe quindi nel testo seguente: «1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, dalla natura artistica, didattica e intellettuale dell'attività svolta o dall'infungibilità della prestazione, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa».

  (41) Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute 22 luglio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale, n. 183 dell'8 agosto 2014.

  (42) Fonte: audizione di Alberto Butturini, tecnico dello spettacolo, Forum Arte Spettacolo. Documento depositato.