TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 173 di Venerdì 10 maggio 2019

 
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INTERPELLANZE URGENTI

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   come accertato dalla procura, già a partire dal 2009 e successivamente tra l'agosto e il novembre del 2016 e gli inizi del 2017, dal Centro Oli della Val d'Agri (Cova), ricadente nel comune di Viggiano, in provincia di Potenza, si sono verificate numerose perdite di petrolio che, secondo i dati diramati sia dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che dalla stessa società Eni, si attestavano in circa 400 tonnellate;

   il petrolio, nel fuoriuscire dai condotti, era passato nella rete fognaria e poi nella rete idrografica circostante contaminando circa 26 mila metri quadri di territorio lucano limitrofo al Cova e giungendo fino a due chilometri dalla diga del Pertusillo, che fornisce acqua alla Puglia e, per l'irrigazione, ad oltre 35 mila ettari di terreno;

   nell'ambito delle indagini in merito agli sversamenti in questione, la procura di Potenza nelle scorse settimane ha posto agli arresti domiciliari Enrico Trovato, all'epoca dei fatti responsabile del Centro Oli di Viggiano, indagando altre 13 persone tra le quali anche componenti del comitato tecnico regionale della Basilicata, il quale aveva il compito di vigilare sulle attività del Cova;

   da quanto si apprende da alcuni organi di stampa, secondo i magistrati l'Eni tenne un atteggiamento di «sostanziale inerzia» nella vicenda delle perdite di petrolio e una sconcertante malafede e spregiudicatezza; infatti, agli inquirenti risulta che gli sversamenti avvenissero già a partire dal 2009 e che la condotta del comitato tecnico regionale – organo di vigilanza sugli impianti a rischio di incidente rilevante – fu di una «consapevole inerzia», perché prima prescrisse maggiori controlli, ma poi non sanzionò la loro mancata attuazione;

   per i magistrati, l'azienda petrolifera avrebbe attuato una precisa strategia a livello locale, ma certamente condivisa dai vertici di Milano al fine di nascondere i gravi problemi e le conseguenze che la corrosione stava provocando, e che avrebbe portato a una grave compromissione delle matrici ambientali, in particolare per l'acqua, con conseguenze molto più gravi per l'ambiente se non si fosse casualmente scoperta la perdita grazie a un sistema fognario malfunzionante e alla vicinanza della diga del Pertusillo –:

   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intenda assumere affinché sia fatta maggiore chiarezza sulle attività del Cova e se non ritenga, per quanto di competenza, di provvedere ad intensificare i controlli al fine di evitare nuovi disastri ambientali, quali lo sversamento del petrolio nel sottosuolo lucano.
(2-00374) «Rospi, Daga, Deiana, D'Ippolito, Federico, Ilaria Fontana, Licatini, Alberto Manca, Maraia, Ricciardi, Terzoni, Traversi, Varrica, Vianello, Vignaroli, Zolezzi, Battelli, Bella, Berardini, Berti, Bilotti, Brescia, Bruno, Buompane, Businarolo, Cabras, Cadeddu, Cancelleri, Luciano Cantone, Cappellani, Carabetta, Cillis, Liuzzi».

(7 maggio 2019)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   l'articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel) (decreto legislativo n. 267 del 2000) prevede lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose: al comma 1 si prevede, infatti, che i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati dall'autorità giudiziaria, emergano concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica;

   la misura è di tipo preventivo, assunta sulla base dell'istruttoria effettuata dalla commissione di accesso nominata dal prefetto del territorio. Il prefetto, infatti, nomina una commissione d'indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell'interno. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi, la commissione termina gli accertamenti e rassegna al prefetto le proprie conclusioni. Il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell'interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 dell'articolo 143 del Tuel. Lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri;

   la misura preventiva è considerata un atto di alta amministrazione: dunque, seppur sindacabile in quanto non si tratta di atto politico, il provvedimento gode di un peculiare regime, in virtù del quale non solo non sono applicabili le forme di partecipazione procedimentale, ma il controllo giurisdizionale ha ridottissimi margini di scrutinio, data l'ampia discrezionalità che connota la funzione in parola;

   il provvedimento si basa su un quadro meramente indiziario, ma impone comunque una valutazione estremamente rigida della coerenza degli elementi addotti;

   il provvedimento ex articolo 143, nella logica ordinamentale, è, o almeno dovrebbe essere considerato, una extrema ratio: esso, infatti, sulla base di valutazioni eccezionali sancisce la priorità delle motivazioni di sicurezza e di ordine pubblico rispetto alla volontà popolare;

   tuttavia, negli ultimi anni, diversamente da quanto la norma prevede, l'istituto, secondo gli interpellanti, si è sostanzialmente sganciato dai presupposti di eccezionalità stabiliti dal legislatore e ha cominciato a trovare un'applicazione sempre più frequente e ordinaria. Ciò determina – specie nei casi in cui il provvedimento sia poi sospeso o annullato in sede giurisdizionale – un'inversione dei beni giuridici in gioco (sicurezza da un lato, principio democratico-rappresentativo dall'altro), che introduce nel sistema un profilo d'irragionevole, e ingiustificato, sacrificio del principio democratico, oltreché del diritto-dovere dei soggetti preposti alle funzioni istituzionali di esercitare il proprio mandato –:

   se il Governo intenda chiarire:

    a) se i funzionari nominati dalle prefetture nelle commissioni di indagine ai fini della relazione si rechino nei comuni interessati o si basino esclusivamente sull'acquisizione di documenti;

    b) se la commissione d'accesso interloquisca con gli amministratori con richieste di spiegazioni;

    c) se i prefetti, prima di stilare la relazione, chiedano documenti di approfondimento o chiarimenti agli amministratori;

    d) se venga valutata, visto l'orientamento in merito della giustizia amministrativa, l'esatta rilevanza, caso per caso, anche degli inadempimenti, dei ritardi o delle connessioni con il tessuto criminale locale dovuti alla parte burocratico-amministrativa e non agli organi politici, ed al controllo effettuato o meno in precedenza sui comuni poi sciolti dalle prefetture in relazione alle attività amministrative comunali, in particolare sugli appalti degli enti locali e sullo svolgimento di servizi di interesse statale da parte dei comuni;

    e) se si siano verificati casi nei quali i controlli e la vigilanza esercitati o meno dalle prefetture sui comuni non abbiano dato esiti, mentre poi i comuni sono stati sciolti anche con riguardo a vicende inerenti ad appalti o servizi;

    f) se i commissari o le commissioni, nominati dal Ministero dell'interno per la gestione commissariale degli enti disciolti, abbiano un obbligo specifico di presenza nei comuni dove prestano servizio;

    g) quale importo complessivo il Ministero dell'interno abbia impegnato e speso ai fini dell'indennità e degli altri costi, comprese le trasferte, dei commissari nominati;

    h) se il Ministero dell'interno effettui una vigilanza sulle commissioni nominate durante l'espletamento del mandato;

    i) se, nel caso in cui durante i commissariamenti vi sia un eccessivo indebitamento dei comuni interessati, tale indebitamento ricada sulle nuove amministrazioni oppure ne rispondano il Ministero dell'interno ed i funzionari nominati.
(2-00375) «Santelli, D'Ettore, Cannizzaro, Maria Tripodi, Occhiuto».

(7 maggio 2019)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   l'Inps ha ripreso, dopo circa 15 anni di sospensione, il processo di dismissione del proprio patrimonio immobiliare residenziale, dopo la prima operazione di dismissione, interrottasi ai primi anni del 2000;

   successivamente, la legge n. 14 del 27 febbraio 2009, ha prescritto il rientro in possesso degli immobili residuati dalla cartolarizzazione agli enti previdenziali, stabilendo che, nel proseguo del processo di dismissione si dovessero comunque garantire i diritti già stabiliti dalla legge n. 410 del 2001, sia in relazione al prezzo di vendita, sia per quanto attiene alle tutele per coloro che, a causa dei bassi redditi o per condizione di età o situazione di grave infermità, non possono procedere all'acquisto;

   la legge ha altresì stabilito le condizioni e le modalità attraverso le quali gli occupanti senza titolo o coloro che presentano un titolo irregolare possono procedere a regolarizzare la propria situazione;

   tali disposizioni sono state più volte confermate in occasione di dibattiti parlamentari, relativi a norme varate, ordini del giorno approvati o risposte a interrogazioni parlamentari;

   per la ripresa del processo di dismissione, però, l'Inps, a quanto risulta agli interpellanti, ha deciso, unilateralmente, di negare agli inquilini le tutele per chi non può comprare (redditi fino a 19 mila euro, nuclei con portatori di handicap grave, malati terminali) a suo tempo previste dal comma 4 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 351 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 410 del 2001 e ribadite dalla richiamata legge n. 14 del 2009, fornendo, invece, solo una generica disponibilità di discutere di eventuali tutele, solo al termine del processo di dismissione;

   tale decisione è secondo gli interpellanti del tutto arbitraria in quanto, come è evidente, la volontà espressa dal legislatore, più volte reiterata, è quella del mantenimento delle tutele già previste, anche dopo il reingresso degli immobili nella proprietà degli enti previdenziali;

   questo processo di dismissione è concentrato in aree metropolitane, in particolare a Roma, con una residenza costituita ormai esclusivamente da ceti popolari e con una situazione di sofferenza abitativa che certo non ha bisogno che l'Inps getti benzina sul fuoco alla luce di una «emergenza sfratti» già drammatica;

   per chi non compra c'è la previsione legislativa della vendita all'asta dell'alloggio in cui vive e, togliendo l'ombrello di protezione del rinnovo dei 9 anni del contratto di locazione, il rischio reale è quello dell'accensione di una nuova miccia pronta a far deflagrare la mina di centinaia di nuovi sfratti;

   l'Inps ha altresì deciso di modificare la procedura, adottata nel precedente processo di dismissione, vincolando la regolarizzazione dei cosiddetti «senza titolo» o con «titolo irregolare» alla corresponsione di un canone arretrato parametrato sugli affitti di libero mercato, invece che su quelli degli accordi territoriali;

   in questo modo, si determina un'inaccettabile differenza di trattamento con la precedente regolarizzazione relativa al primo programma di dismissione immobiliare che fu realizzata sulla base dei canoni previsti dagli accordi territoriali e si mettono le famiglie nell'impossibilità di mettersi in regola;

   secondo gli interpellanti si tratta di un calcolo doppiamente sbagliato, perché iniquo socialmente e anche insostenibile economicamente da parte delle famiglie e l'Inps rischia di coniugare, pertanto, un comportamento socialmente iniquo con una negativa performance economica;

   sarebbero altre le misure utili a garantire la tutela sociale per le famiglie e un adeguato incasso da parte dell'istituto –:

   se non ritenga necessario adottare urgentemente iniziative presso l'Inps affinché:

    a) venga effettuata una immediata correzione delle lettere di opzione inviate agli inquilini, con l'esplicitazione della sussistenza delle tutele previste per le fasce deboli dal richiamato comma 4 dell'articolo 3 della legge n. 410 del 2001, eventualmente elevandone i limiti economici, essendo trascorsi ben 18 anni dal suo varo;

    b) vengano date istruzioni affinché la regolarizzazione degli occupanti senza titolo o con titolo irregolare venga effettuata sulla base dei canoni degli accordi territoriali, ferma restando la prevista prescrizione quinquennale;

   se non ritenga opportuno, al fine di favorire l'accesso alla proprietà della prima casa e la tutela delle fragilità, assumere iniziative per:

    a) prevedere la possibilità per le famiglie di accedere ai mutui agevolati, anche autorizzando l'Inps medesima a farsene carico;

    b) prevedere la possibilità per gli anziani di acquistare l'usufrutto dell'alloggio in cui vivono ratealmente, con un importo rapportato al canone in essere;

    c) prevedere la possibilità di individuare ulteriori forme di flessibilità che favoriscano l'accesso alla prima casa di proprietà, pur mantenendo il diritto di abitazione, in particolare a favore degli anziani;

    d) favorire l'intervento di regioni ed enti locali per le residuali situazioni sociali per le quali gli interventi agevolativi non possono comunque risultare efficaci.
(2-00373) «Morassut, Sensi, Fiano».

(7 maggio 2019)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro per la famiglia e le disabilità, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   la sottrazione del minore alla famiglia, dopo l'attivazione delle misure di tutela temporanee previste dalla legge, è considerata soluzione «limite» che sancisce l'insuperabilità delle difficoltà della famiglia di origine ad assicurare al minore un ambiente familiare idoneo;

   nel caso limite in cui la famiglia non sia in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore si applicano quindi gli istituti dell'affidamento e dell'adozione (legge n. 184 del 1983). In particolare, in materia di affido, si prevede che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo sia affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. Ove non sia possibile, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare;

   la legge prevede, inoltre, che le regioni, nell'ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definiscano gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verifichino periodicamente il rispetto dei medesimi;

   in genere, sono individuate tre macro-tipologie di comunità di accoglienza residenziale per minori: le comunità familiari/case famiglia, caratterizzate dalla presenza stabile di adulti residenti, tra cui rientrano anche le comunità multiutenza; le comunità educative/socio-educative, caratterizzate da operatori/educatori che non abitano stabilmente in comunità ma sono presenti con modalità «a rotazione»; le comunità socio-sanitarie, che possono essere comunità familiari, case famiglia o comunità educative, caratterizzate dalla compresenza di funzioni socio-educative e terapeutiche;

   nell'ambito di tali strutture, opera nel Lazio la casa famiglia «La Valle dei Fiori», fondata nel 1997 dall'associazione G.M. Gioventù Mariana Centro Sociale Ragazzi, che accoglie minori da 0 a 6 anni, e che si avvale di un’équipe di professionisti che operano a favore dei piccoli, creando un ambiente sereno e stimolante. L'ambiente familiare, sereno e pieno di attenzione, favorisce il recupero psicofisico dei piccoli, affinché possano reinserirsi gradatamente in un nuovo contesto familiare: rientro nella famiglia d'origine, affido o adozione, sostenuti da figure professionali della casa famiglia e delle istituzioni. Tutta la struttura è orientata a favorire la crescita del bambino, collaborando con i servizi sociali del territorio per la rimozione delle cause che hanno determinato l'allontanamento del piccolo o il suo stato di abbandono, affinché possa recuperare la sua dimensione umana e sociale all'interno della famiglia;

   la stessa aderiva al progetto «Sostegno alla genitorialità – Asilo Nido auto-organizzato Valle Aurelia» del Municipio 18 di Roma, che rappresentava un importante sostegno alle famiglie per il dopo-scuola; purtroppo, dall'insediamento della giunta comunale presieduta dal sindaco Virginia Raggi, il progetto, a quanto consta agli interpellanti, non è stato più finanziato;

   «La Valle dei Fiori» vanta inoltre numerosi crediti da parte di diversi enti locali per il periodo 2011-2019: si tratta infatti di oltre 300.000 euro di pendenze che la struttura deve riscuotere da una decina di enti, tra municipi di Roma e comuni del Lazio;

   il tema delle risorse è centrale e coinvolge moltissime strutture: troppo frequentemente sono esse stesse a creare, spesso a proprie spese, percorsi virtuosi per questi ragazzi che diversamente si troverebbero ancora una volta soli ad affrontare il loro futuro;

   è poi compito obbligatorio dello Stato garantire un adeguato e rigoroso controllo circa l'operato delle realtà di accoglienza e il mantenimento degli standard e dei criteri di qualità; è pertanto necessario rendere effettivi ed efficienti, sull'intero territorio nazionale, i controlli previsti e le connesse responsabilità istituzionali;

   anche a tal fine occorre, tuttavia, che i soggetti preposti allo svolgimento di tali attività possano disporre di adeguate risorse finanziarie e professionali e che siano previste sanzioni nel caso in cui i controlli non siano regolarmente eseguiti;

   è inoltre fondamentale adottare iniziative di prevenzione, in particolare per evitare che si arrivi troppo tardi, con interventi riparativi dopo che maltrattamenti e abusi si sono già verificati. Il sistema di protezione va ripensato come uno degli strumenti da mettere in campo, fra gli altri, e non come il solo strumento che spesso si configura come «ultima spiaggia» –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per sostenere l'operato delle strutture di accoglienza per minori di cui in premessa, per garantire standard di qualità per tutte le strutture, da nord a sud Italia, ed evitare che vi siano comunità virtuose costrette a chiudere – interrompendo percorsi che sono di alta qualità – per i gravissimi ritardi accumulati dai comuni nel liquidare gli importi necessari alla copertura dei costi vivi;

   quali iniziative di competenza intenda adottare per assicurare la funzionalità e il servizio fino ad ora garantito dalla casa famiglia «La Valle dei Fiori»;

   quali iniziative intenda implementare, per quanto di competenza, per rendere effettivi ed efficienti i controlli sulle diverse realtà di accoglienza, e le connesse responsabilità istituzionali poste in capo alle procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni, alle aziende sanitarie e agli enti locali, volti a fare emergere casi di particolare gravità, ma anche e soprattutto a livello ordinario per analizzare aspetti di grande rilievo che ineriscono alla sensibilità di un minorenne nella vita quotidiana, per una più attenta valutazione delle esigenze del minore e delle pregresse problematiche ad esso legate, fondamentali per il collocamento presso strutture o famiglie affidatarie;

   se intenda adottare iniziative per rivedere i criteri utilizzati per il collocamento dei minori presso le diverse realtà di accoglienza, e quali azioni intenda realizzare per favorire adeguati percorsi di tutela, cura e crescita del minore, tenendo conto delle caratteristiche del minore e della compatibilità del suo personale progetto educativo con quello delle comunità presenti sul territorio o delle famiglie affidatarie in grado potenzialmente di accoglierlo.
(2-00370) «Marrocco, Occhiuto».

(30 aprile 2019)

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   il modello di servizio sanitario nazionale (Ssn) che si è andato delineando a partire dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, è ispirato alla coniugazione del principio di libera scelta dell'utente con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico e la necessità che la spesa sanitaria sia resa compatibile con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario;

   in particolare, il principio di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private e di libera scelta dell'assistito «non è assoluto e va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse finanziarie disponibili (Corte Cost. sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1996)». Le risorse disponibili per la copertura della spesa sanitaria costituiscono, quindi, un limite invalicabile non solo per l'amministrazione ma anche per gli operatori privati, il cui superamento giustifica l'adozione delle necessarie misure di riequilibrio finanziario;

   come ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale, seppure «la tutela del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone», in ogni caso «le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (sentenza n. 309 del 1999; nello stesso senso, sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1995, n. 304 e n. 218 del 1994, n. 247 del 1992 e n. 455 del 1990);

   relativamente all'anno 2019, il Commissario ad acta per il piano di rientro della regione Calabria, allo scopo di raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali secondo gli obiettivi imposti dal piano di rientro, attraverso la riduzione della spesa complessiva annua, ha abbattuto del 50 per cento circa il tetto di spesa per l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, con la previsione che le strutture pubbliche siano in grado di garantire i livelli essenziali di assistenza in condizione di efficienza e appropriatezza;

   in particolare, nella proposta di acquisto delle prestazioni per l'anno 2019, all'articolo 4 comma 7 è stabilito che: «Al fine di consentire agli aventi diritto continuità della fruizione delle prestazioni sanitarie, sia pure nell'ottica di necessario contenimento della spesa pubblica, le Parti si danno atto che l'Erogatore è tenuto all'erogazione delle prestazioni agli aventi diritto modulando la produzione per soddisfare il fabbisogno assistenziale della popolazione in modo omogeneo per tutto il corso dell'anno, tenendo conto delle liste di attesa e delle priorità assistenziali stabilite con apposito atto regionale (...)»;

   ad oggi non è stato emanato alcun «atto regionale» sulle liste di attesa e sulle priorità assistenziali, sicché appare impossibile per l'erogatore privato modulare la somministrazione delle prestazioni in regime di accreditamento in modo omogeneo in base al bisogno clinico dell'utente, non essendo in condizioni di distinguere le situazioni di oggettiva difficoltà di accesso, da quelle determinate dalla scelta discrezionale dell'utente di rivolgersi ad altra struttura sanitaria o di richiedere la prestazione in altra data, successiva alla prima proposta;

   in applicazione di ovvi princìpi di buona amministrazione (Consiglio di Stato Ad. Plen. n. 3/2012) – che rendono opportuna l'esplicazione, sia pure provvisoria, di scelte programmatorie all'inizio dell'anno – le riduzioni della spesa complessiva sono state disposte in modo consistente (-50 per cento circa) esclusivamente sui contratti o sugli accordi per l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, in assenza però di qualsiasi meccanismo di verifica infra-annuale, che consenta di monitorare che il diritto alla salute dei cittadini non risulti compromesso nel suo nucleo irriducibile, e verificare se l'opera di bilanciamento perseguita dal commissario ad acta, al fine di conseguire l'obiettivo di risparmio, abbia irragionevolmente commisurato la concreta attuazione del diritto alla salute alle risorse esistenti e al rispetto dei vincoli di bilancio, a fortiori in una regione nella quale è nota la inadeguatezza ontologica delle strutture pubbliche. Tale vulnus non può essere colmato dal generico richiamo, contenuto nell'articolo 7, n. 3, della proposta di acquisto, al meccanismo di cui all'articolo 8-quinquies del decreto legislativo n. 502 del 1992 –:

   se intenda chiarire quali siano i criteri che l'erogatore privato deve applicare per «modulare» il budget individuale annuale attribuito al fine di assicurare e preservare in modo omogeneo il nucleo incomprimibile del diritto dei cittadini all'assistenza sanitaria, nonché quale meccanismo la pubblica amministrazione debba attuare per verificare che la scelta di compressione del budget disposto a carico delle strutture private non possa pregiudicare, in concreto, detto nucleo incomprimibile.
(2-00377) «Cannizzaro, Occhiuto, D'Ettore».

(7 maggio 2019)

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