TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 195 di Lunedì 24 giugno 2019
MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE DI COMPETENZA PER L'EFFETTIVA INTERRUZIONE DELLA ESPORTAZIONE E DEL TRANSITO DI ARMAMENTI VERSO L'ARABIA SAUDITA ED ALTRI PAESI COINVOLTI NEL CONFLITTO IN YEMEN
La Camera,
premesso che:
dal marzo 2015 in Yemen è in corso un conflitto armato tra la coalizione guidata dall'Arabia Saudita, formata da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Egitto e Sudan, intervenuta a sostegno del Governo del presidente Hadi, e le forze dell'alleanza militare formata dagli Huthi, sostenuti dall'Iran, e dalle truppe vicine all'ex Presidente Saleh. Dall'inizio degli scontri 19 mila raid aerei hanno devastato scuole, ospedali e infrastrutture, obbligando 1,5 milioni di bambini a fuggire dalle loro case e uccidendo o ferendo gravemente quasi 6.500 minori. I numeri di 4 anni di guerra sono tragici: 24 milioni di persone su una popolazione di 30 milioni sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari; 20 milioni di persone soffrono di malnutrizione e di queste 11 sono sull'orlo della carestia; 18 milioni di persone non hanno accesso ad acqua pulita e a servizi igienici sanitari di base; 3 milioni sono sfollati interni;
secondo l'Ufficio dell'Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, dal 26 marzo 2015 – giorno del primo raid aereo della coalizione guidata dall'Arabia Saudita per fermare l'offensiva degli Huthi, arrivata fino alle porte di Aden, con l'obiettivo di riportare al potere il deposto presidente Hadi – fino ad agosto 2017, sono stati uccisi 5.144 civili. Secondo Oxfam, solo nel 2018 sono stati uccisi o feriti circa 100 civili ogni settimana;
tutte le parti coinvolte nel conflitto nello Yemen hanno ripetutamente violato i diritti umani e la popolazione civile sta affrontando una crisi umanitaria di vaste proporzioni. Secondo le Nazioni Unite, però, la coalizione a guida saudita sarebbe la principale responsabile delle vittime civili del conflitto, continuando a commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme internazionali sui diritti umani;
le organizzazioni umanitarie faticano sempre più ad entrare in Yemen e le loro strutture di accoglienza e assistenza alla popolazione civile sono sotto attacco, comprese quelle sostenute da organizzazioni umanitarie italiane;
il 25 ottobre 2018 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (ultima di una lunga serie con le medesime richieste) che «invita il Consiglio a raggiungere una posizione comune per imporre, a livello dell'Unione europea, un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita e a rispettare la posizione comune 2008/944/PESC; chiede un embargo sull'esportazione di sistemi di sorveglianza e di altri prodotti a duplice uso suscettibili di essere utilizzati in Arabia Saudita a fini repressivi»;
in una successiva risoluzione datata 14 novembre 2018 relativa all'implementazione della posizione comune dell'Unione europea sull’export di armamenti lo stesso Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio e all'Alto rappresentante per la politica estera di «estendere tale embargo anche a tutti gli altri membri della coalizione a guida saudita nello Yemen»;
nell'aprile 2019 la Camera dei rappresentanti statunitense ha adottato una risoluzione per porre fine a qualsiasi forma di assistenza militare degli Usa all'intervento saudita in Yemen, la stessa risoluzione era stata votata dal Senato statunitense nel mese di marzo 2019;
Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Olanda hanno recentemente annunciato la sospensione delle forniture militari che possono venire utilizzate nel conflitto in Yemen, oltre che all'Arabia Saudita, anche agli Emirati Arabi Uniti;
il Trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi permetterebbe già di sospendere l'invio di materiali bellici in considerazione di gravi violazioni del diritto umanitario. All'articolo 7 è specificato, infatti, che quando si viene a conoscenza che il sistema militare può essere usato per commettere gravi crimini di guerra un Paese può sospendere o revocare l'autorizzazione all’export;
l'Italia ha una specifica parte di responsabilità in questa guerra, poiché alcune delle armi utilizzate contro gli yemeniti sono fabbricate, vendute o transitate dall'Italia nonostante il comma 6, lettera a), dell'articolo 1 della legge n. 185 del 1990 affermi che «l'esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere»;
in Italia, a Domusnovas, in provincia di Cagliari, è operante uno stabilimento della Rwm Italia spa, società controllata dal produttore tedesco di armi Rheinmetall AG, che produce bombe d'aereo General purpose e da penetrazione, caricamento di munizioni e spolette, sviluppo e produzione di teste in guerra per missili, siluri, mine marine, cariche di demolizione e controminamento;
l'8 ottobre 2016 un raid aereo condotto verosimilmente dalla coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita ha colpito il villaggio di Deir Al-Hajari, situato nello Yemen nord-occidentale. L'attacco aereo ha ucciso una famiglia di sei persone, tra cui una madre incinta e quattro bambini. Sul luogo dell'attacco sono stati rinvenuti dei resti di bombe e un anello di sospensione prodotti da Rwm Italia spa. Ad aprile 2018, una coalizione internazionale di organizzazioni non governative (Rete Disarmo, ECCHR e Mwatana) ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Roma per chiedere che venga avviata un'indagine sulla responsabilità penale dell'autorità italiana che autorizza le esportazioni di armamenti (Unità per le autorizzazioni dei materiali d'armamento – Uama) e degli amministratori della società produttrice di armi Rwm Italia spa per le esportazioni di armamenti destinate ai membri della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita coinvolti nel conflitto in Yemen;
nonostante le violazioni segnalate in Yemen, l'Italia di fatto continua ad esportare armi verso i membri della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in violazione della legge n. 185 del 1990, che vieta l'esportazione di armi verso Paesi in conflitto armato e in contrasto con le disposizioni vincolanti della posizione comune dell'Unione europea che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni di attrezzature militari e contro le prescrizioni contenute nel Trattato internazionale sul commercio delle armi;
come evidenziato anche da numerosi servizi giornalistici, già a partire dal 2016 le bombe fabbricate dalla Rwm Italia spa in Sardegna sono partite sia dall'aeroporto di Cagliari-Elmas sia dal porto canale di Cagliari;
la relazione annuale della Presidenza del Consiglio dei ministri sulle esportazioni di materiali militari inviata alle Camere nel mese di aprile 2019 riporta che nel 2018 sono state autorizzate esportazioni di materiali militari per l'Arabia Saudita del valore totale di 13.350.266 euro e nell'allegato dell'Agenzia delle dogane riporta 816 esportazioni effettuate (consegne) nel 2018 per un valore di 108.700.337 euro. Tra queste si evidenziano tre forniture (esportazioni effettuate) del valore complessivo di 42.139.824 euro che sono attribuibili alle bombe aeree della classe MK80 prodotte dalla Rwm Italia spa che risalgono ad un'autorizzazione rilasciata nel 2016 dal Governo per la fornitura all'Arabia Saudita di 19.675 bombe aeree del valore di oltre 411 milioni di euro. Si tratta come detto delle micidiali bombe aeree della serie MK prodotte a Domusnovas in Sardegna dall'azienda tedesca Rwm Italia spa, azienda che ha la sua sede legale a Ghedi (Brescia), che vengono impiegate dall'aeronautica militare saudita per bombardare indiscriminatamente lo Yemen. Un rapporto dell'Onu del gennaio del 2017 ha documentato l'utilizzo di queste bombe nei bombardamenti sulle zone abitate da civili in Yemen e un secondo rapporto redatto da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dichiarato che questi bombardamenti possono costituire «crimini di guerra»;
alle 22,30 del 20 maggio 2019 la nave dell'Arabia Saudita «Bahri Yanbu» ha lasciato il porto di Genova senza imbarcare i due generatori elettrici per uso militare che sono rimasti chiusi nei magazzini dello scalo ligure. A impedire il carico degli impianti sulla nave Bahry Yanbu hanno contribuito in modo decisivo lo sciopero e il presidio dei lavoratori portuali di Genova che hanno impedito e boicottato le operazioni di carico di materiale bellico impiegato in operazioni definite dalle Nazioni Unite «crimini di guerra»;
i lavoratori del porto di Genova attraverso questa mobilitazione hanno voluto lanciare un segnale forte all'Italia e all'Europa contro una delle più gravi catastrofi umanitarie del mondo;
il cargo si è diretto verso Alessandria d'Egitto senza più fare tappa, come inizialmente ipotizzato, a La Spezia, dove, secondo parecchie indiscrezioni, all'arsenale avrebbe dovuto caricare otto cannoni semoventi Caesar, di produzione francese, destinati al conflitto nello Yemen per essere utilizzati dall'esercito saudita contro la popolazione civile di quel Paese;
si tratta degli stessi dispositivi bellici che per un analogo «boicottaggio» messo in atto dai lavoratori del porto francese, non erano stati fatti imbarcare a Le Havre, scalo portuale sulla costa della Normandia;
secondo notizie di stampa nel porto di Monfalcone la nave Norderney, dell'armatore tedesco Mlb Shipping, battente bandiera di Antigua, ha scaricato a fine maggio 2019 un quantitativo di tondini di ferro, ma nei container a bordo vi erano anche 360 bazooka e 415 missili anticarro ucraini destinati al Governo dell'Arabia Saudita. Del transito della nave e del contenuto dei container erano a conoscenza prefettura, guardia costiera e polizia che hanno proceduto ai controlli e alle verifiche obbligatorie. Tuttavia, non sono state avvisate le maestranze che avrebbero dovuto operare in presenza di un carico potenzialmente pericoloso, sollevando le proteste delle organizzazioni sindacali e dell'amministrazione comunale, anch'essa ignara del contenuto della nave approdata a Monfalcone;
secondo gli analisti dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) e della Rete italiana per il disarmo, Teknel s.r.l., l'azienda italiana produttrice dei generatori bloccati dai lavoratori portuali a Genova, ha ricevuto l'autorizzazione a esportare all'Arabia Saudita questo tipo di generatori elettrici di tipo militare, per la prima volta nel 2018 per un valore complessivo di 7.829.780 euro per 18 gruppi elettrogeni su trailer, dotati di palo telescopico per illuminazione, che alimentano 18 shelter per comunicazione, comando e controllo, in grado di gestire droni, comunicazioni e centri di comando aereo e terrestre;
di questi hanno già esportato due gruppi elettrogeni e due shelter Tbs per un totale di circa 786.200 euro;
essendo materiali che sono stati esportati con specifica autorizzazione da parte dell'Autorità nazionale per le esportazioni di materiali d'armamento (Uama) questi generatori vanno considerati a tutti gli effetti come materiali militari;
l'azienda Teknel s.r.l. di Roma ha inoltre ammesso pubblicamente che il destinatario e utilizzatore finale di questi generatori è la Guardia nazionale saudita, che è una delle Forze armate dell'Arabia Saudita;
nel 2018 il valore totale delle licenze all’export a Riyadh è pari a 13.350.266 euro, di cui oltre la metà a favore della Teknel s.r.l.;
dalla già citata relazione della Presidenza del Consiglio dei ministri non figurano provvedimenti relativi a sospensioni, revoche o dinieghi per esportazioni di armamenti verso l'Arabia Saudita posti in essere dal Governo Conte nel 2018;
il Presidente del Consiglio dei ministri Conte, nella conferenza stampa del 28 dicembre 2018, ha affermato: «il Governo italiano è contrario alla vendita di armi all'Arabia Saudita» e «si tratta solamente di formalizzare questa posizione». Finora, però, non risulta nessun atto di sospensione, né di revoca delle forniture di armamenti all'Arabia Saudita;
la Ministra della difesa Trenta ha dichiarato: «È un'indecenza che il nostro Paese possa essere in qualche modo complice di ciò che accade in Yemen»,
impegna il Governo:
1) ad esprimere, in ogni consesso internazionale o sede di confronto con rappresentanti di Paesi stranieri, la profonda preoccupazione dell'Italia per l'allarmante deterioramento della situazione umanitaria nello Yemen, caratterizzata da una diffusa insicurezza alimentare e una grave malnutrizione in alcune parti del Paese, da attacchi indiscriminati contro civili, personale medico e operatori umanitari e dalla distruzione delle infrastrutture civili e mediche, a causa del preesistente conflitto interno, dell'intensificarsi degli attacchi aerei ad opera della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, dei combattimenti a terra e dei bombardamenti, nonostante i ripetuti appelli per una nuova cessazione delle ostilità;
2) ad adottare iniziative per sospendere immediatamente ogni esportazione di materiali d'armamento e articoli correlati prodotti in Italia e destinati all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti che potrebbero venire utilizzati dai due Paesi nel conflitto in Yemen;
3) a farsi promotore a livello di Consiglio dell'Unione europea di una forte iniziativa politica che porti all'embargo di materiale militare di tutta l'Unione europea verso i Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen, come ripetutamente richiesto dal Parlamento europeo;
4) ad assumere iniziative per non autorizzare il transito e l'utilizzo di porti e aeroporti in Italia da parte di cargo aerei e navali che trasportino materiali d'armamento destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen, in considerazione delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell'Arabia Saudita e dei suoi alleati nello Yemen, come prevedono tutte le normative nazionali ed internazionali in vigore;
5) ad attuare tutte le misure idonee dirette alla differenziazione produttiva e alla conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa, come previsto dalla legge n. 185 del 1990, anche tramite iniziative per il rifinanziamento del comma 7 dell'articolo 6 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237, prevedendo un adeguato stanziamento pluriennale e destinando almeno il 70 per cento di tale importo alle attività di riconversione dell'industria bellica, anche per sottrarre i lavoratori e le comunità al «ricatto occupazionale» causato da questo tipo di produzioni in territori con alti livelli di disoccupazione.
(1-00198) «Fornaro, Palazzotto, Boldrini, Bersani, Conte, Epifani, Fassina, Fratoianni, Muroni, Occhionero, Pastorino, Rostan, Speranza, Stumpo».
(18 giugno 2019)