TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 388 di Venerdì 7 agosto 2020

 
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INTERPELLANZE URGENTI

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:

   Italtel è una società con un secolo di storia e di esperienza nel settore delle telecomunicazioni, con oltre mille dipendenti in Italia distribuiti principalmente nelle tre sedi di Carini (Palermo), Roma e Settimo Milanese;

   a inizio maggio 2020 Italtel ha depositato al tribunale di Milano domanda prenotativa, ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, della legge fallimentare, chiedendo la concessione di un termine di 120 giorni per raggiungere un accordo per la ristrutturazione dei propri debiti e la ricapitalizzazione dell'azienda;

   il 23 giugno 2020 si è svolto un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico durante il quale, come si evince dal verbale, è stato rappresentato come il Governo stia studiando eventuali possibili interventi a salvaguardia dell'azienda e che sarebbe rimasto in contatto con le parti, con l'azienda e con i suoi investitori per le vie brevi prima della riconvocazione del tavolo per successivi aggiornamenti;

   risulta necessario salvaguardare tale azienda con le connesse competenze, professionalità e asset, in un settore strategico, scongiurando soluzioni di smembramento a scapito dei lavoratori e dell'interesse industriale del Paese –:

   se intenda riconvocare tempestivamente il tavolo di crisi al fine di guidare questo percorso a tutela dei lavoratori, dell'azienda e del suo know how.
(2-00883) «Varrica, Davide Aiello, Bella, Alaimo, Flati, Vignaroli, Francesco Silvestri, Salafia, Penna, Baldino, D'Orso, Licatini, Olgiati, Tuzi, Alemanno, Corneli, Costanzo, Cubeddu, Currò, Daga, D'Ambrosio, D'Arrando, Sabrina De Carlo, De Lorenzo, Deiana, Del Grosso, Del Monaco, Del Sesto, Di Lauro, Di Sarno, Di Stasio, Dieni, D'Ippolito, Donno, Sapia, Sarti, Scerra, Scutellà, Zanichelli».

(28 luglio 2020)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   è del 6 luglio 2020 il drammatico comunicato stampa firmato da ben 130 associazioni di tutta Italia in rappresentanza di 1.300 famiglie, con cui si chiede disperatamente che venga riorganizzato al più presto il centro multidisciplinare «Uosd (Unità operativa semplice dipartimentale) Malattie rare displasie scheletriche – patologia metabolismo osseo in età pediatrica ed evolutiva» dell'Azienda ospedaliera universitaria policlinico Umberto I di Roma, che è stato gradualmente frammentato e disperso;

   l'Uosd è stato per quindici anni un sicuro punto di riferimento per i pazienti affetti da malattie rare dell'osso provenienti da tutta Italia, tra cui i 700 malati rari di osteogenesi imperfecta, talmente fragili che fin dalla nascita possono soffrire di decine di fratture spontanee, quadro che peggiora gravemente con il passare degli anni e per cui purtroppo non è ancora stata trovata una cura;

   a seguito della notizia dell'adozione, da parte dell'Umberto I, di un atto che disponeva la soppressione dell'Uosd, la deputata Vittoria Baldino, in data 5 novembre 2019, ha presentato una interpellanza urgente; la sottosegretaria di Stato per la salute, Sandra Zampa, ha risposto a tale interpellanza che l'attività sulle malattie rare scheletriche del metabolismo osseo sarebbe stata comunque svolta ed effettuata negli ambiti del Dipartimento materno infantile, e che avrebbe continuato a monitorare la situazione, al fine di verificare che non venissero meno le garanzie di cure per i pazienti;

   in data 11 dicembre 2019 il direttore generale del Policlinico Umberto I ha emanato la delibera n. 000158 per disporre la disattivazione dell'Uosd Malattie rare displasie scheletriche – patologia metabolismo osseo età pediatrica ed evolutiva;

   a decorrere dal 1° giugno 2020 (circolare del 29 maggio 2020 del Policlinico Umberto I prot. 0019638) i dottori del dismesso Uosd venivano riassegnati ad altre aree dell'ente ospedaliero; la riassegnazione degli operatori sanitari e la sospensione dei day hospital per la terapia dei pazienti con malattie rare delle ossa hanno comportato la distruzione della «filiera di intervento specialistico» che partiva dalla barella del pronto soccorso e arrivava fino al decorso postoperatorio;

   inoltre, da quanto si apprende dal detto comunicato stampa, il personale specializzato in grado di intervenire e gestire questi particolari pazienti soprattutto in età neonatale, oltre ad essere stato dislocato fisicamente in reparti differenti, non avrebbe l'opportunità di trattare le malattie rare dell'osso se non in momenti residuali rispetto alla loro nuova occupazione principale;

   la conseguenza è che il team che da quindici anni lavorava in sinergia con infermieri e personale dedicato non ha più la possibilità di collaborare, e non ha più gli strumenti per assicurare i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta) previsti dal decreto ministeriale n. 279 del 2001 che ha istituito la Rete nazionale delle malattie rare –:

   quali iniziative il Ministro interpellato intenda mettere in atto, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, alla luce dei recenti fatti esposti in premessa, affinché siano assicurati i livelli essenziali di assistenza e i dottori riassegnati siano messi nelle condizioni di operare in sinergia e tornare a erogare ai pazienti con malattie rare delle ossa prestazioni con gli standard assistenziali raggiunti in passato, a partire dal ricovero in pronto soccorso e dal day hospital terapeutico, e fino al follow-up clinico e così garantire loro il diritto di accesso alle cure come sancito dall'articolo 32 della Carta Costituzionale.
(2-00895) «Massimo Enrico Baroni, D'Arrando, Ianaro, Lapia, Lorefice, Mammì, Menga, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Troiano».

(4 agosto 2020)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   nel 2014, il Governo Renzi aveva istituito (con il decreto del Presidente del Consiglio – Dpcm – del 27 maggio di quell'anno) un'apposita unità di missione presso la Presidenza del Consiglio, chiamata ItaliaSicura, con il compito di curare coordinamento, pianificazione e gestione del rischio idrogeologico in Italia di concerto con le regioni, al fine di mettere in sicurezza il Paese e contrastare il dissesto idrogeologico (che interessa quasi l'80 per cento del territorio italiano), individuando gli interventi necessari ed i relativi fondi;

   in tre anni tale struttura ha investito 9 miliardi di euro e aperto 1.334 cantieri; con la legge di bilancio per il 2018 erano stati inoltre individuati circa 1.150 milioni di euro e raggiunto un programma di intervento con le regioni;

   con il decreto-legge n. 86 del 2018, approvato dal precedente Governo, tale struttura di missione è stata poi soppressa, affidando al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i relativi compiti;

   il Ministro interpellato, intervistato dal quotidiano La Repubblica il 24 luglio 2020, ha motivato la chiusura della unità di missione con gli alti costi di gestione valutati intorno a «900 milioni di euro». La questione era già stata oggetto di un'interrogazione parlamentare l'11 gennaio 2017, quando il presidente della Commissione ambiente del Senato Giuseppe Mannello (Nuovo centrodestra) aveva chiesto, tra le altre cose, «quali siano i costi di funzionamento della struttura e su quali capitoli di bilancio gravino»;

   il rappresentante del Governo pro tempore, allora il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luciano Pizzetti (Pd), aveva risposto che le spese della struttura di missione «sono state sostenute a valere sui capitoli di spesa n. 170 e n. 172 del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, su cui sono stati stanziati, dal 2014 ad oggi, 1.383.876 euro»;

   dai bilanci di previsione della Presidenza del Consiglio negli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, emerge che in tutti questi anni è stata prevista una «spesa per il funzionamento della struttura di missione» (capitolo di spesa n. 170) compresa tra i 190 e i 200 mila euro all'anno, e «retribuzioni del personale in servizio presso la struttura di missione» (capitolo di spesa n. 172) pari, nel complesso, a 595.763 euro all'anno. Si tratta dunque, in totale, di poco meno di 800 mila euro all'anno, una cifra, dunque, ben lontana dai 900 milioni di euro denunciata dal Ministro Costa;

   in virtù della soppressione dell'unità di missione in questione sono stati conseguentemente bloccati 12 miliardi di euro di investimenti già programmati anche con fondi europei e con accordi di programma sottoscritti con tutte le regioni per interventi su infrastrutture, scuole e territori a rischio;

   le esondazioni avvenute nelle ultime settimane in numerose territori del nostro Paese hanno confermato la necessità di apportare interventi mirati ed efficaci per contrastare il dissesto idrogeologico alimentato anche dai cambiamenti climatici;

   recenti studi hanno rilevato infatti che, dall'inizio del 2020 ad oggi, lungo la penisola si sono verificati 66 nubifragi con precipitazioni violente e bombe d'acqua, con un aumento del 22 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno;

   in una recente intervista il Ministro interpellato ha confermato che molte risorse stanziate per contrastare il dissesto idrogeologico non sono state ancora spese e che nel 2018 tali investimenti non utilizzati ammontavano a circa 11 miliardi di euro, individuando inoltre che tali ritardi sarebbero da attribuire soprattutto agli adempimenti burocratici causati proprio da «Italia Sicura» –:

   se i costi effettivamente sostenuti per l'unità di missione Italia Sicura siano quelli riportati in premessa e indicati in occasione della risposta all'interrogazione l'11 gennaio 2017 al Senato o se, invece, siano quelli citati dal Ministro interpellato al quotidiano la Repubblica il 24 luglio 2020;

   quanti cantieri siano stati effettivamente avviati e conclusi dal 1° giugno 2018, data della chiusura della unità di missione, ad oggi.
(2-00878) «Fregolent, Occhionero, Paita, Noja».

(28 luglio 2020)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   con delibera n. 5 del 18 ottobre 2019, la comunità del Parco nazionale dei Monti Sibillini designava quali suoi rappresentanti in seno al consiglio direttivo dell'Ente – in regolare applicazione della legge n. 394 del 1991, dello statuto parco nazionale dei Monti Sibillini e del regolamento della comunità del Parco – i signori: Alessandro Gentilucci, Domenico Ciaffaroni, Giammario Ottavi, Nicola Alemanno;

   la delibera in questione veniva successivamente trasmessa al Ministro interpellato ai fini dell'emanazione del decreto di nomina dei quattro componenti designati, come previsto dall'articolo 9 della già richiamata legge n. 394 del 1991;

   in data 27 novembre 2019, in riscontro alla richiesta ministeriale, il direttore dell'Ente Parco inviava anche i curriculum vitae dei soggetti designati, in uno alla dichiarazione d'insussistenza delle cause d'inconferibilità e incompatibilità previste dal decreto legislativo n. 39 del 2013;

   con atto protocollo n. 13464 del 25 febbraio 2020, il Ministero comunicava all'Ente quanto segue: «dal certificato rilasciato dalla Procura di Spoleto risulta pendente a carico del dottor Nicola Alemanno un procedimento penale per reato che rientra nella casistica per la quale il decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede l'inconferibilità dell'incarico. Tanto si comunica al fine di una ponderata valutazione, da parte di codesta Comunità, in merito all'opportunità di provvedere alla designazione di altro nominativo»;

   alla missiva in questione, la Comunità del Parco, in persona del suo presidente, replicava con nota protocollo n. 1391 del 4 marzo 2020, rappresentando che con «delibera n. 5 del 18 ottobre 2019 la Comunità del Parco ha designato i quattro componenti per il nuovo Consiglio direttivo del Parco. Nel corso della seduta la circostanza (della sussistenza di un procedimento penale pendente) è emersa ed è stata oggetto di discussione e valutazione da parte dei rappresentanti della Comunità del Parco, prima della elezione. All'esito del dibattito, effettuata la votazione, la Comunità del Parco ha ritenuto di eleggere il candidato Alemanno quale componente del Consiglio Direttivo. Non sussistendo all'atto della designazione la causa di preclusione prevista dal decreto legislativo n. 39 del 2013, risultando solo pendente procedimento penale, si ritiene che la Comunità del Parco abbia già effettuato, con il dibattito e la votazione di propria competenza, una ponderata valutazione circa l'opportunità della designazione»;

   a conferma della correttezza dell'operato della Comunità del Parco, occorre rilevare come l'articolo 3 del decreto legislativo n. 39 del 2013, là dove vengano in rilievo reati contro la pubblica amministrazione, ricolleghi l'inconferibilità dell'incarico alla condanna (a seconda dei casi, definitiva o anche di primo grado), non già alla mera pendenza di un procedimento o di un processo in primo grado non ancora definito. La stessa rubrica della disposizione è illuminante, dal momento in cui recita: «inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione»;

   tale soluzione, del resto, appare quella più conforme alla Costituzione, che, come noto, all'articolo 27, prevede la presunzione di non colpevolezza per i soggetti sottoposti a procedimento penale, fino a condanna definitiva. La pendenza di un'indagine o un rinvio a giudizio, a giudizio degli interpellanti, non sono, in quanto tali, rivelatori di alcun disvalore penale o di alcuna rimproverabilità in capo al soggetto che vi è sottoposto, e sono dunque, a ragione, irrilevanti sul piano che qui interessa;

   alla luce di quanto sopra, non sussiste alcuna preclusione normativa alla nomina del sindaco Alemanno, e l'ente Parco ha già assolto, con spirito di leale collaborazione e rispetto sia formale che sostanziale della legge, alla richiesta di ponderare e valutare l'incidenza del procedimento pendente ai fini della propria determinazione –:

   se il Ministro interpellato intenda fornire chiarimenti in ordine alla propria posizione sul punto e procedere all'adozione del decreto di nomina di propria competenza.
(2-00880) «Polidori, Aprea, Bagnasco, Barelli, Anna Lisa Baroni, Battilocchio, Bergamini, Bond, Brunetta, Calabria, Cannatelli, Caon, Carrara, Casciello, Dall'Osso, Della Frera, Fasano, Fiorini, Marin, Marrocco, Milanato, Mugnai, Musella, Polverini, Rosso, Rotondi, Elvira Savino, Sandra Savino, Spena, Squeri, Palmieri, Mazzetti».

(28 luglio 2020)

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   l'emergenza Covid-19, ancora in atto, seppur in forma molto attenuata, impone il rispetto di determinate prescrizioni igieniche, anche a livello di comportamenti individuali, al fine di prevenire la diffusione del contagio. Tra queste prescrizioni, dettate anche da decaloghi ministeriali, dell'Istituto superiore di sanità e dall'Organizzazione mondiale della sanità, rientra una regola basilare anche nella normalità, quella di lavare frequentemente le mani, gli oggetti a contatto con il corpo, come i dispositivi di protezione individuale, e gli abiti. Una regola che le condizioni climatiche del periodo estivo, appena iniziato, renderanno ancora più indispensabile;

   eppure, tali prescrizioni vanno a scontrarsi con le inefficienze del servizio idrico nei comuni della Campania che rientrano nell'ambito della società Alto Calore Servizi, che è al servizio di una vasta area comprendente la provincia di Avellino ed alcuni comuni della provincia di Benevento;

   l'estate irpina è stata finora accompagnata dai disagi dovuti alle prime sospensioni stagionali dell'erogazione dell'acqua. Nel corso dei mesi di giugno e luglio si sono contati disservizi, con cadenza quasi quotidiana, durante i quali l'acqua è venuta a mancare soprattutto in una fascia oraria compresa tra la sera e la mattinata del giorno successivo;

   una situazione divenuta insostenibile per gli utenti del servizio, i quali, oltre a subire pesanti disagi, continuano a pagare bollette piuttosto elevate, decisamente sproporzionate rispetto a normali consumi individuali e familiari, soprattutto se rapportate alla cattiva qualità del servizio erogato. Ci si attendeva da parte dell'Alto Calore un'inversione di tendenza per quanto riguarda la gestione della risorsa idrica e l'erogazione dei servizi ai cittadini. Evidentemente, però, l'amministratore unico Michelangelo Ciarcia, non è riuscito ad imprimere ad oggi la svolta auspicata;

   innanzitutto, è più che opportuno mettere nuovamente in risalto come la regione Campania, durante l'emergenza idrica del 2017, istituiva una unità di crisi composta dai rappresentanti della direzione generale dell'ambiente, dell'Ente idrico campano (Eic) e dai Gestori del servizio idrico, al fine di programmare interventi urgenti. Interventi da effettuare da parte dell'Alto Calore Servizi s.p.a. e della Gesesa S.p.A. per un totale di euro 2.430.000,00, nell'arco di sessanta giorni al fine di permettere il recupero di risorsa idrica pari a circa 545 litri al secondo, riattivando soprattutto campi pozzi inutilizzati e sostituendo tronchi di adduzione. Ci si chiede se tali interventi siano stati effettuati, e, se veramente compiuti, quanto siano stati efficaci. Inoltre, un anno dopo, sulla scia delle misure adottate nel 2017, il Comitato esecutivo dell'Ente idrico campano (Eic), in data 22 novembre 2017, si riuniva ed emanava la delibera n. 6/2017, nella quale veniva richiesto a ciascun ambito territoriale di predisporre piani finalizzati a fronteggiare possibili emergenze nel corso dei periodi estivi ed autunnali del 2018;

   queste indicazioni all'Eic avrebbero dovuto consentire di elaborare un piano di interventi emergenziali da porre all'attenzione della giunta della regione Campania (ai sensi della legge regionale n. 15 del 2015). Il coordinatore del distretto «Calore Irpino», ingegner Giovanni Colucci, nella seduta del 19 dicembre 2017, decretava priorità e indirizzi, individuando gli interventi finalizzati al recupero della risorsa idrica da eventuali nuovi pozzi o captazione di sorgenti;

   successivamente, il Rup ingegner Carmine Montano, dell'Autorità ambito territoriale ottimale n. 1 «Calore Irpino», inoltrava a tutti i gestori territoriali dell'ex Ato 1 una nota, prot. n. 32 del 2 gennaio 2018, nella quale si chiedeva di individuare i possibili interventi per fronteggiare una probabile nuova emergenza, stabilendo tempistiche di livello di progettazione e importi degli interventi. Tali opere, incluse nel piano degli interventi di mitigazione della crisi idrica dell'Ato 1 «Calore Irpino» avrebbero dovuto incrementare l'immissione di acqua attraverso nuovi prelievi e/o potenziamento di captazioni già in atto;

   si ricorda che le opere programmate, a carico dei comuni interessati o della stessa Alto Calore Servizi s.p.a., finalizzate a recuperare una portata d'acqua stimata pari a circa 1316 l/s, a realizzare 75 chilometri di nuovi adduttori e nuovi volumi di accumulo per circa 4.000 metri cubi, avevano un costo stimato in euro 38.242.205,42. Fondi che, in base ai piani sopra descritti, avrebbe dovuto mettere a disposizione la regione Campania. Non è noto se l'Ente idrico campano abbia mai sottoposto tale piano di interventi alla regione, e se quest'ultima, una volta recepito, lo abbia finanziato;

   sotto il profilo della ripartizione della risorsa idrica è assolutamente fondamentale evidenziare come siano stati determinanti la delibera della giunta regionale n. 309 del 28 giugno 2012 ed il protocollo d'intesa tra la regione Campania e la regione Puglia, ratificato dalla stessa delibera e sottoscritto a Roma il 10 maggio 2012. Protocollo che, a giudizio degli interpellanti iniquamente, riserva ai comuni serviti da Alto Calore soltanto una piccola parte dell'acqua sorta in Irpinia;

   le attuali restrizioni alle attività economiche e sociali devono essere accompagnate da adeguate condizioni di vivibilità negli ambienti domiciliari, nelle strutture sanitarie e nei luoghi di lavoro, anche allo scopo di garantire il rispetto delle prescrizioni igienico-sanitario, sia sociali che individuali, dirette a prevenire il contagio da Covid-19 –:

   se il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica sul rispetto dei parametri igienico-sanitari nel corso delle attuali e successive fasi dell'emergenza Covid-19, affinché venga assicurata l'erogazione dell'acqua alle popolazioni della Campania interna;

   se il Governo, per quanto di competenza, anche tramite la competente autorità di bacino, intenda assumere iniziative in relazione all'esigenza di riequilibrare la ripartizione della risorsa idrica tra la regione Campania e la regione Puglia;

   se il Governo non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza, al fine di garantire il potenziamento e l'adeguamento delle reti e delle altre infrastrutture idriche al servizio dei territori ricompresi nell'ambito della società Alto Calore Servizi.
(2-00884) «Maraia, Deiana, Ilaria Fontana, Daga, D'Ippolito, Di Lauro, Federico, Licatini, Alberto Manca, Micillo, Terzoni, Varrica, Vianello, Vignaroli, Zolezzi, Dori, D'Uva, Ehm, Emiliozzi, Faro, Frusone, Gagnarli, Galizia, Gallinella, Giordano, Giuliano, Giuliodori, Grillo, Grimaldi, Gubitosa, Ianaro, Invidia, Iorio, Iovino, Lapia, Lattanzio, Lombardo, Segneri, Siragusa, Sportiello, Tucci».

(28 luglio 2020)

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   i composti perfluoroalchilici (Pfas) sono stati impiegati per anni nel Polo chimico di Spinetta Marengo (Alessandria) e sono stati rilasciati nelle falde acquifere e nei corsi di acqua. Sono defluiti dalla Bormida al Tanaro e via via fino al Po. Tali composti sono altamente nocivi alla salute umana: per questo motivo sono stati banditi su scala mondiale a decorrere dal 2012; anche nell'alessandrino è documentata un'inversione sessuale dei pesci a seguito dell'esposizione a questi interferenti endocrini;

   nell'ottobre 2018 ha smesso di produrre Pfas la Miteni di Trissino (VI) ed è fallita. Da alcuni anni stava trattando il ciclo cC604 proveniente in parte dalla Solvay di Spinetta Marengo (AL). Oltre 300 mila persone hanno avuto l'acqua potabile contaminata e sono stati necessari oltre 80 milioni di euro versati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla regione Veneto per nuove infrastrutture idriche; la bonifica vede solo iniziali progetti;

   Solvay, nel 2012, fu costretta a sostituire il Pfoa – vietato, come ricordato, dalle convenzioni e normative internazionali – con un altro componente fluorurato, appunto il cC604 che iniziò a produrre in un reparto allestito all'interno dello stabilimento di Spinetta Marengo e che in parte veniva inviato a Trissino finché la Miteni era aperta;

   Solvay ha richiesto alla provincia di Alessandria una nuova Aia (autorizzazione integrata ambientale) per poter costruire un nuovo e più grande reparto per la preparazione del cC604, in modo da aumentarne la produzione e l'impiego;

   Legambiente si è opposta alla richiesta ed il 28 ottobre 2019 ha inviato alla provincia di Alessandria un documento nel quale si afferma che tale autorizzazione debba essere concessa solo a conclusione di studi condotti da centri di eccellenza «super partes» e ha richiesto alla provincia medesima di poter visionare la documentazione integrale prodotta da Solvay Speciality Polymers Italy Spa riguardante il procedimento in questione, rendendo accessibile il contenuto dei ben 56 «omissis» presenti nella relazione tecnica attualmente resa pubblica sul sito della provincia;

   la provincia di Alessandria, a quanto consta agli interpellanti, avrebbe espresso il diniego alla suddetta richiesta. Legambiente ha allora richiesto la sospensione del procedimento di autorizzazione a costruire il nuovo impianto (Aia) appellandosi al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza della provincia di Alessandria. Anche questo ricorso sembrerebbe non essere stato accolto e il 19 novembre 2019 si è svolta in provincia la conferenza di servizi per l'autorizzazione a produrre tale composto, alla quale, per Legambiente, ha partecipato un suo rappresentante. Solvay ne ha contestato la presenza per preservare «segreti industriali». La provincia ha allora deciso che il rappresentante di Legambiente avrebbe potuto presenziare unicamente agli interventi di Arpa, comune e Asl, ma depurati di dati quantitativi e senza prendere la parola. In seguito pare che Arpa abbia reso noto che nelle acque del Bormida a valle dello scarico del polo chimico la concentrazione di cC604 è di 1,6 microgrammi/litro contro un valore di fondo inferiore a 0,1 micro grammi/litro. La direzione ambiente e pianificazione territoriale della provincia di Alessandria avrebbe espresso seri dubbi sull'efficacia dei sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti di cC604 adottati da Solvay e richiesto una serie di precisazioni. Nel corso della recente audizione della Solvay in Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esse correlate è emerso che la produzione della Solvay è orientata per l'85 per cento all'export –:

   se i Ministri interpellanti abbiano a disposizione istruttorie tecniche indipendenti sulla sicurezza del cC604 e di quali elementi dispongano circa l'ampliamento del reparto cC604;

   quali iniziative di competenza intendano adottare in relazione al grave inquinamento di tutto il bacino del Po e del mare Adriatico, anche in considerazione del fatto che la produzione della Solvay è destinata prevalentemente all'export;

   se sia stata verificata la sicurezza della molecola cC604, la sua cancerogenicità, non teratogenicità e la sua compatibilità con l'ecosistema fluviale.
(2-00894) «Zolezzi, Deiana, Alberto Manca, Ilaria Fontana, Daga, D'Ippolito, Di Lauro, Federico, Licatini, Maraia, Micillo, Terzoni, Varrica, Vianello, Vignaroli».

(4 agosto 2020)

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, per sapere – premesso che:

   il ponte Marino, posto sul canale Fossalta, lungo la strada statale 12 «dell'Abetone e del Brennero», nel territorio comunale di Borgo Mantovano, è utilizzato dall'agosto del 2017, a senso unico alternato per ragioni di sicurezza, a causa del rilevamento di danni nella struttura e dal mese di agosto 2020 sarà del tutto chiuso al traffico pesante;

   la strada statale 12 rappresenta un asse strategico di estrema rilevanza per il territorio dell'Oltrepò e per la sua economia per il quale il trasporto di merci è parte fondamentale del processo produttivo;

   per la demolizione e la ricostruzione del ponte, Anas, in data 3 settembre 2019, ha indetto conferenza di servizi decisoria per l'approvazione del progetto di demolizione, da tenersi ai sensi degli articoli 14 e 14-bis della legge n. 241 del 1990 in forma semplificata e in modalità asincrona, con indicazione di conclusione del procedimento di acquisizione delle determinazioni dei soggetti interpellati entro il 1° novembre 2019:

   tutti gli enti coinvolti nella conferenza si sono espressi in senso favorevole al progetto, alcuni formulando osservazioni non ostative alla sua realizzazione, tranne la Soprintendenza archeologica per le belle arti e il paesaggio delle province di Cremona, Lodi e Mantova che, in data 31 ottobre 2019, a un giorno dalla scadenza della conferenza, ha comunicato ad Anas il dissenso all'intervento, in quanto il ponte, costruito nel 1932 come opera pubblica di bonifica, si configura quale bene culturale assoggettato a tutela, per intervenire sul quale si rende necessaria la preliminare verifica dell'interesse culturale da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo – direzione generale archeologia belle arti e paesaggio, poiché solo in assenza di interesse culturale sul manufatto si sarebbe potuto procedere alla demolizione e alla ricostruzione del manufatto medesimo;

   la Soprintendenza, inoltre, pur indicando la necessità di adire il Ministero in merito all'acquisizione del parere di sussistenza di interesse culturale, si esprimeva comunque nel senso che le caratteristiche costruttive e formali di interesse storico e architettonico avrebbero richiesto una conservazione più attenta che valutasse la possibilità di soluzioni progettuali più rispettose del costruito;

   in conseguenza di tale dissenso Anas ha sospeso il procedimento per la parte afferente alla Soprintendenza, in attesa dell'acquisizione del parere del Ministero, pur rilevando, a seguito del parere della Soprintendenza, che la documentazione per la verifica dell'interesse culturale era già parte del progetto trasmesso in prima istanza, che le eventuali integrazioni non avrebbero dovuto gravare sul decorso temporale della pratica e, inoltre, che l'acquisizione del parere da parte del Ministero in quanto competente a livello centrale avrebbe dovuto avvenire per vie interne agli uffici della amministrazione al fine di semplificare l'iter approvativo del progetto;

   come da indicazioni della Soprintendenza, Anas ha formalizzato e depositato l'istanza di verifica dell'interesse culturale presso la citata direzione generale in data 10 febbraio 2020;

   il 10 aprile 2020, a quanto consta agli interpellanti, l'Anas ha sollecitato l'evasione dell'istanza depositata il 10 febbraio 2020, pur non essendo scaduti i 120 giorni previsti per la risposta, considerate le condizioni del manufatto e la sua inadeguatezza a sostenere i carichi veicolari disposti dalla normativa:

   la strada sulla quale si trova il ponte è percorsa da traffico pesante che arriva anche dal nord Europa e la chiusura del ponte ai camion rappresenta un danno di portata estremamente rilevante per il tessuto economico della zona nonché per il distretto del settore biomedicale di Mirandola, già fortemente compromessi dall'emergenza sanitaria;

   non è stata ancora individuata e indicata la deviazione che occorrerà fare per aggirare la chiusura della strada ma, considerate le condizioni delle strade e tenuto conto dei divieti che sussistono nella zona, i camion dovranno probabilmente effettuare una deviazione di circa 30 chilometri per il mancato attraversamento di 30 metri di ponte –:

   data la situazione di crisi economica in cui versa il Paese e la gravità della situazione del territorio del Desto Secchia Mantovano, se e quando il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo intenda provvedere all'espressione del parere, considerato che le risorse finanziarie per l'intervento sono state già stanziate e che, inoltre, il termine di 120 giorni previsti dalla normativa vigente in materia è già scaduto da settimane.
(2-00896) «Anna Lisa Baroni, Gelmini».

(4 agosto 2020)

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, è stata introdotta una norma (articolo 17-bis) che dispone la sospensione di tutte le procedure esecutive di rilascio fino al 31 dicembre 2020;

   la sospensione era già in vigore dal 17 marzo per effetto del decreto «cura Italia» (17 marzo 2020, n. 18), che l'aveva prevista dapprima fino al 30 giugno e poi, in sede di conversione, fino al 1° settembre;

   sono interessati tutti gli affitti, abitativi e non abitativi, e tutte le procedure, sia per morosità sia per finita locazione;

   si tratta di una misura di una gravità inaudita, della quale non è stata valutata appieno la portata;

   si parla di una sospensione del diritto nel campo delle locazioni, vietando per quasi un anno l'esecuzione di sentenze emesse dai giudici a tutela di centinaia di migliaia di cittadini che attendevano di rientrare in possesso del proprio immobile, essendo spirato il termine di durata del contratto ovvero per il mancato pagamento dei canoni –:

   quali urgenti iniziative i Ministri interpellati intendano assumere per ripristinare la tutela del diritto di proprietà e disporre forme di ristoro per i proprietari interessati dalla sospensione.
(2-00879) «Mazzetti, Gelmini, Cortelazzo, Casino, Labriola, Ruffino, Martino, Angelucci, Baratto, Cattaneo, Giacometto, Giacomoni, Porchietto, Costa, Bartolozzi, Cassinelli, Cristina, Pittalis, Siracusano, Zanettin, Mandelli, Cannizzaro, D'Attis, Occhiuto, Pella, Prestigiacomo, Paolo Russo, Calabria, Ravetto, Tartaglione».

(28 luglio 2020)

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   in un servizio andato in onda su Rainews 24 la mattina del 29 luglio 2020 è stato denunciato un uso fraudolento della sanatoria sui lavoratori immigrati voluta dai Ministri Bellanova e Catalfo;

   la frode consiste nell'ottenere un certificato retrodatato attestante la permanenza sul territorio italiano, utile a ottenere i requisiti voluti dai Ministri per la sanatoria. Segnatamente, dietro al pagamento di 500 euro, all'Ospedale di Vittoria è possibile ottenere una tessera sanitaria Stp – straniero temporaneamente presente – dedicata alla cura degli irregolari. Con questa tessera, a seguito di un pagamento di 4.000 euro, ci si rivolge a patronati compiacenti che procedono con la pratica della sanatoria;

   nel servizio è stato intervistato uno straniero che aveva appena sistemato i documenti per far ottenere la sanatoria ad un suo amico che si trova in Francia e che non è mai stato in Italia;

   è evidente che, ancora una volta il Governo non è riuscito a centrare il proprio obiettivo politico, ma si è reso, ad avviso degli interpellanti, moralmente complice degli affari di chi specula sull'immigrazione e sul business del lavoro nero. I numeri della sanatoria, decisamente più bassi rispetto a quelli auspicati dalla sinistra, certificano il «flop» dello strumento, ad avviso degli interpellanti utile solo per aver preparato il terreno a ulteriori comportamenti fraudolenti;

   invece di combattere il caporalato, la sanatoria «Bellanova-Catalfo» ha contribuito ad aggravare le condizioni di lavoratori già sfruttati e vessati, mentre ha favorito quei clandestini che hanno la disponibilità di pagare 4.500 euro per ottenere fraudolentemente il permesso per restare in Italia;

   invece dei corridoi verdi per far accedere operai specializzati, selezionati nei Paesi d'origine in base alle loro capacità e che verrebbero in Italia in presenza di un contratto di lavoro, con la sanatoria sono state create le condizioni per un autentico business criminale. È il lavoro nel rispetto delle regole che crea le condizioni dell'integrazione e non la falsa promessa di poter accogliere tutti indiscriminatamente che, al contrario, genera delusione e comportamenti antisociali –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto citato in premessa, se intenda avviare iniziative ispettive per verificare, per quanto di competenza, le responsabilità dei dipendenti pubblici coinvolti e quali correttivi intenda adottare per verificare la genuinità delle dichiarazioni documentali rese dalle persone che hanno fatto domanda e perseguire chi ha presentato documentazioni false.
(2-00893) «Delmastro Delle Vedove, Lollobrigida».

(3 agosto 2020)

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