TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 409 di Giovedì 15 ottobre 2020

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALL'INTRODUZIONE DI APPOSITI INDICATORI DEL LIVELLO DI DIGITALIZZAZIONE E INNOVAZIONE (INDICE «DESI») NELL'AMBITO DEL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA

   La Camera,

   premesso che:

    l'indice Desi (Indice di digitalizzazione dell'economia e della società) è lo strumento mediante cui la Commissione europea monitora la competitività digitale degli Stati membri dal 2015. L'insieme di relazioni si compone di profili nazionali e di capitoli tematici;

    le relazioni nazionali Desi raccolgono prove quantitative derivanti dagli indicatori Desi sotto i cinque aspetti dell'indice, con approfondimenti specifici per Paese riguardanti le politiche e le migliori prassi. Un capitolo di approfondimento in materia di telecomunicazioni è allegato alla relazione di ciascuno Stato membro;

    l'indice Desi è strutturato su 5 fattori, quali: 1) la connettività; 2) il capitale umano; 3) l'uso di servizi web; 4) l'integrazione con le tecnologie digitali; 5) i servizi pubblici digitali;

    il livello di accesso ad internet tramite banda larga e ultra larga, il grado di competenze digitali, il numero di attività che vengono svolte in via informatica e digitale, in sintesi il livello di innovazione tecnologica, costituisce un indicatore indispensabile per valutare le potenzialità di sviluppo e di crescita economica di un Paese, soprattutto durante la quarta rivoluzione industriale;

    appare quanto mai opportuno, anche ai fini della predisposizione della manovra di finanza pubblica, dotarsi di un indice interno equivalente all'indice Desi, in modo non dissimile da quanto fatto durante la scorsa legislatura con il Bes (Indice del benessere equo e sostenibile), introdotto dalla legge n. 163 del 2016,

impegna il Governo

1) ad adottare iniziative normative per prevedere, a decorrere dall'anno 2021, l'integrazione del Documento di economia e finanza, degli altri atti di programmazione economica (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e Documento programmatico di bilancio) e del piano nazionale per la ripresa e la resilienza elaborato nell'ambito del Recovery Plan con appositi indicatori del livello di digitalizzazione e innovazione (indice Desi), sulla base dei dati forniti dall'Istat, al fine di monitorare l'andamento dello sviluppo tecnologico nell'arco di un triennio, nonché le previsioni sull'evoluzione dello stesso nel periodo di riferimento, anche sulla base degli obiettivi di politica economica e dei contenuti dello schema del programma nazionale di riforma.
(1-00377) (Nuova formulazione) «Invidia, Bruno Bossio, Nobili, Stumpo, Currò, Madia, Paita, Manzo, Gariglio, Carabetta, Zanichelli, Raduzzi, Giuliodori, Sodano, Barzotti, Ehm, Suriano».

(10 settembre 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi anni il tema dell'innovazione ha assunto connotati sempre più rilevanti, e la digitalizzazione è diventata progressivamente un vero e proprio fattore trasversale della produzione, assegnando efficienza, velocità ed affidabilità a tutti i settori della vita organizzata, dalla pubblica amministrazione alla produzione industriale, dalla salute alla scuola, dalla giustizia all'agricoltura, presentandosi come elemento necessario per sviluppare la competitività, rafforzare le dinamiche di mercato, assicurare cambiamento e sviluppo economico;

    l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha più volte sottolineato, nei propri report, come i Governi siano sempre più consapevoli delle opportunità e delle sfide che accompagnano la trasformazione digitale, che, con la sua capacità di stimolare le economie, è considerata come una delle principali priorità dell'agenda politica globale;

    la crisi sanitaria generata dall'emergenza Covid-19 ha mostrato in tutta la sua pervasività l'importanza che l'innovazione riveste nella vita quotidiana, rivelatasi vitale per la continuazione delle principali attività;

    in Europa, inoltre, si sta affermando sempre più nel dibattito pubblico il tema della sovranità digitale, concetto legato alla tutela della sovranità nazionale, alla autonomia delle potenzialità tecnologiche nazionali, al ruolo geopolitico dell'Italia e dell'Europa e alla protezione dei diritti individuali nello spazio del web;

    a livello nazionale, l'Italia ha adottato la Strategia per la crescita digitale 2014-2020 e la Strategia per la banda ultra larga nel marzo 2015, mentre nel settembre del 2016 l'Italia ha sviluppato la propria strategia Industria 4.0, ribattezzata «Piano nazionale Impresa 4.0» nel 2017, al fine di riflettere meglio l'ampia portata dell'iniziativa, includendo sia le imprese del settore dei servizi sia quelle del settore industriale;

    l'Agenda digitale europea rappresenta una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, tanto che per il periodo 2014-2020, sul Fondo europeo di sviluppo regionale e sul Fondo di coesione, sono stati stanziati oltre venti miliardi di euro per investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Ict) per gli Stati membri, e fissati i principali obiettivi di sviluppo di tali tecnologie, quali l'ampliamento della diffusione della banda larga e l'introduzione di reti ad alta velocità, lo sviluppo di prodotti e servizi Ict e dell'e-commerce, il potenziamento delle applicazioni Ict per la pubblica amministrazione on-line, l'e-learning, l'inclusione digitale, la cultura digitale e la sanità elettronica;

    in tale contesto, gli Stati membri sono costantemente monitorati attraverso indicatori che classificano il grado di digitalizzazione di ciascun Stato: il Digital economy society index (Desi);

    come indica la Commissione europea, «le relazioni Desi (Indice di digitalizzazione dell'economia e della società) sono lo strumento mediante cui la Commissione Europea monitora la competitività digitale degli Stati membri dal 2015. (...) Le relazioni nazionali Desi raccolgono prove quantitative derivanti dagli indicatori Desi sotto i cinque aspetti dell'indice, con approfondimenti specifici per paese riguardanti le politiche e le migliori prassi»;

    con la legge 4 agosto 2016, n. 163, il legislatore ha voluto prevedere l'introduzione nel Documento di economia e finanza e nella legge di bilancio dello Stato, di indicatori di benessere equo e sostenibile, volti a valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale e corredato da misure di valutazione della disuguaglianza e sostenibilità;

    nell'indice Desi 2020 della Commissione europea, l'Italia risulta alla venticinquesima posizione su ventotto Stati membri dell'Ue, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria, e il punteggio italiano risulta essere inferiore alla media europea di ben nove punti (43,6 rispetto a 52,6);

    la Corte dei conti, nel referto sull'informatica pubblica, ha evidenziato come la pluralità delle figure istituzionali chiamate ad operare per la trasformazione digitale della pubblica amministrazione sia tale da rendere necessaria una riflessione sulla esigenza di una governance più coesa e strutturata, che riesca a coordinare la complessa articolazione di competenze;

    in particolare, la magistratura contabile ha sottolineato come l'istituzione del Ministero dell'innovazione e del dipartimento per la trasformazione digitale, che sono chiamati a garantire la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana in coerenza con l'Agenda digitale europea, e ad assicurare lo svolgimento dei compiti necessari per l'adempimento degli obblighi internazionali assunti in materia di innovazione tecnologica e digitale, nonché il coordinamento operativo tra le amministrazioni dello Stato interessate, a vario titolo, al perseguimento degli obiettivi di Governo in materia di innovazione e digitalizzazione, rischi sovrapposizioni di competenze con l'Agenzia per l'Italia digitale, soggetto responsabile dell'attuazione dell'Agenda digitale e il dipartimento della funzione pubblica nel suo attuale ruolo di indirizzo, coordinamento e monitoraggio dello stato di attuazione della strategia digitale dell'amministrazione pubblica;

    inoltre, andrebbe meglio chiarita la ripartizione di competenze tra l'Agenzia per l'Italia digitale e il Ministero dello sviluppo economico, entrambi titolari di funzioni destinate ad incidere sulle strategie per il perseguimento degli obiettivi dell'Agenda digitale europea;

    appare, quindi, necessario e urgente dotare l'ordinamento di indicatori quantitativi di valutazione dello stato delle politiche dell'innovazione in Italia e della loro attuazione, così come di una generale riorganizzazione del governo delle politiche della digitalizzazione e dell'innovazione;

    al settore del digitale, sia nella componente pubblica che industriale (ripartizione che l'Unione europea riconosce come prerogativa dei singoli Stati), è destinato il 20 per cento dell'intero ammontare delle risorse finanziarie del Recovery fund, pari a circa 40 miliardi di euro, ma al momento non sembrano esistere né liste di progetti, né alcuna comunicazione in merito da parte del Governo;

    tali risorse, che saranno destinate in parte alle infrastrutture e in parte ai servizi, rappresentano una importante opportunità per sostenere il lancio del 5G in Italia, in vistoso ritardo, e, nell'area dei servizi quali applicazioni abilitanti, ma anche e innanzitutto cloud computing, per sollecitare il sostegno alle imprese italiane, attraverso un meccanismo selettivo che privilegi la forza d'urto del patrimonio nazionale delle piccole e medie imprese innovative e anche delle microimprese, fortemente presenti in questo settore,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per definire nel più stretto arco di tempo, in piena correttezza e totale trasparenza, i contenuti e le modalità con cui affrontare il tema della ripartizione ed assegnazione delle risorse finanziarie del Recovery fund (NextGenerationEU) destinate al settore digitale;

2) a coinvolgere il Parlamento in tutte le fasi di scelta delle modalità di ripartizione tra i settori di destinazione degli investimenti previsti e nell'individuazione dei criteri di selezione delle piccole e medie imprese e micro imprese italiane, considerato che l'intera procedura dovrà correttamente essere oggetto di un coinvolgimento del Parlamento, perché le soluzioni adottate possano rappresentare il più alto livello di condivisione tra le forze rappresentative della Nazione;

3) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, per prevedere l'integrazione del Documento di economia e finanza con appositi indicatori del livello di digitalizzazione e innovazione (indice Desi), sulla base dei dati forniti dall'Istat, con monitoraggio annuale dell'andamento dello sviluppo tecnologico e della digitalizzazione della pubblica amministrazione, sulla base degli obiettivi di politica economica e dei contenuti del programma nazionale di riforma, anche al fine di garantire la sovranità digitale nazionale;

4) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, per la semplificazione del governo e dell'amministrazione delle politiche pubbliche per l'innovazione e la digitalizzazione, con una governance unitaria (come il Ministero per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, AgID, dipartimento per la trasformazione digitale) dotata di poteri concreti nella definizione delle strategie di digitalizzazione, e di coordinamento effettivo delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche;

5) ad adottare iniziative affinché tale governance unitaria, con compiti chiari e definiti, sia in grado di tradurre le politiche di settore in azioni che ne assicurino l'attuazione a livello nazionale, e con sistemi di misurazione che rivelino il decorso di ogni fase realizzativa, con la prerogativa di sostenere, anche in questo caso, le strutture aziendali italiane nel campo delle piccole, medie e microimprese.
(1-00384) «Lollobrigida, Meloni, Mollicone, Butti, Acquaroli, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

(12 ottobre 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    le relazioni Desi (Indice di digitalizzazione dell'economia e della società) rappresentano lo strumento mediante cui la Commissione europea monitora il progresso digitale degli Stati membri dal 2014. Le relazioni Desi comprendono sia profili nazionali che capitoli tematici. Alla relazione, per ciascuno Stato membro, è allegato anche un capitolo di approfondimento dedicato alle telecomunicazioni;

    da tali relazioni, emerge, purtroppo, che il nostro Paese si posiziona sempre tra gli ultimi nelle graduatorie internazionali evidenziando la necessità di una forte accelerazione dello sviluppo tecnologico;

    nell'indice Desi 2020 della Commissione europea l'Italia, infatti, risulta in 25o posizione su 28 Stati membri dell'Unione europea, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Il punteggio italiano è di ben 9 punti inferiore alla media dell'Unione europea (43,6 vs 52,6); non migliora purtroppo neanche nelle singole composizioni dello stesso indice Desi;

    la dimensione «Capitale umano», ad esempio, ovvero quella che riguarda le competenze digitali, porta l'Italia a collocarsi all'ultimo posto nell'Unione europea; parimenti per la dimensione «Uso dei servizi Internet», l'Italia risulta al 26o posto e il gap con il resto dell'Unione europea è particolarmente evidente: il 17 per cento delle persone non ha mai utilizzato Internet (9 per cento in Unione europea, 5 per cento in Germania); solo il 48 per cento utilizza servizi bancari online (66 per cento in Unione europea e in Germania);

    nella dimensione «Integrazione delle tecnologie digitali», ovvero quella che riguarda la digitalizzazione nelle imprese, l'Italia si pone ben al di sotto la media dell'Unione europea, al 22o posto su 28 Paesi. Le imprese italiane presentano ritardi soprattutto nel commercio online: solo il 10 per cento delle piccole e medie imprese italiane vende on-line (18 per cento in Unione europea, 17 per cento in Germania); il 6 per cento effettua vendite transfrontaliere in altri Paesi dell'Unione europea (8 per cento in Unione europea, 10 per cento in Germania); sul totale del fatturato delle piccole e medie imprese, solo l'8 per cento è realizzato online (11 per cento nell'Unione europea, 10 per cento in Germania);

    anche, per la dimensione «Servizi pubblici digitali», l'Italia si colloca al 19o posto, al di sotto della media dell'Unione europea. La bassa posizione è dovuta allo scarso livello di interazione on-line tra le autorità pubbliche e il pubblico in generale: solo il 32 per cento degli utenti italiani on-line usufruisce attivamente dei servizi di e-government (67 per cento in Unione europea, 49 per cento in Germania);

    minimamente migliore risulta la dimensione «Connettività», per la quale l'Italia si posiziona diciassettesima, in linea con la media dell'Unione europea. Tra il 2018 e il 2019 la percentuale delle famiglie che ha accesso alla banda ultra-larga è salita dal 9 per cento al 13 per cento (26 per cento in Unione europea, 21 per cento in Germania);

    il ritardo nella copertura digitale è, dunque, uno dei nodi più impellenti e una delle maggiori cause di disuguaglianza all'interno del Paese; basti pensare che, secondo l'Istat, meno della metà (il 41 per cento) delle pubbliche amministrazioni locali, scuole comprese, accede a internet con connessioni veloci (almeno 30 Mbps), e solo il 17,4 per cento con quelle ultraveloci (almeno 100 Mbps);

    la stima dell'inefficienza pubblica, secondo i dati di Confindustria digitale, costa all'Italia circa 30 miliardi di euro l'anno, pari a 2 punti di Pil. I benefìci della digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana, invece, li ha calcolati il Politecnico di Milano: 25 miliardi di euro l'anno al bilancio dello Stato;

    grave, in questo quadro, il ritardo nella attuazione del piano per la banda ultra larga: nelle aree bianche, secondo le migliori previsioni attuali, saranno completate solo nel 2023, con circa 3 anni di ritardo rispetto agli obiettivi fissati inizialmente dai bandi. Al 31 luglio 2020, il collaudo dei cantieri in fibra è stato positivamente effettuato solo nel 2 per cento dei comuni sul totale dei comuni previsto dai bandi del piano su scala nazionale (7.121), con i casi estremi di Calabria, Liguria, Molise, Puglia e Sardegna dove nessun cantiere in fibra è stato terminato, a cui si aggiunge un 6 per cento di comuni in attesa di collaudo (collaudabili). Ancora più bassi sono i dati relativi ai comuni in cui il bando prevedeva interventi in Fwa in cui i lavori risultano terminati solo in 1 comune e la fase di collaudo si limita a circa 600;

    il ritardo nella realizzazione del piano fa sì che la connettività complessiva del Paese, monitorata dall'indice Desi progredisca più lentamente del previsto e che il divario digitale in questi territori sia ancora oggi significativo: 204 comuni italiani presentano oltre il 10 per cento degli indirizzi civici, senza nessuna possibilità di connessione a internet da postazione fissa (anche includendo accessi tramite Fwa), di cui 130 con percentuale superiore al 20 per cento. Inoltre, nel periodo 2017-2019 nei comuni il cui territorio ricade interamente in aree bianche, le linee totali in banda larga e banda ultra larga sono rimaste costanti, o addirittura in leggera decrescita, a fronte di una crescita di circa 700.000 unità visibile nel resto d'Italia;

    l'emergenza COVID-19 ha costretto il sistema scolastico a ricorrere alla Dad, didattica a distanza, rendendo indispensabile negli istituti e nelle abitazioni l'accesso a una rete internet veloce. Oggi ancora uno studente su cinque non possiede un device;

    in questa situazione è paradossale che, mentre ci si appresta a chiedere alla Commissione europea circa 6 miliardi di euro nell'ambito del Recovery Plan, l'Italia faccia slittare di due anni l'impiego di 1,1 miliardi di euro già stanziati per il piano banda ultralarga, come risulta dalla delibera Cipe n. 33 pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 2 settembre 2020. Si tratta di risorse del Fondo sviluppo e di coesione 2014-2020 riprogrammate per essere utilizzate nel 2020 a copertura di interventi per l'emergenza economica innescata dall'epidemia;

    in tale delibera il Cipe rimodula i profili finanziari annuali del Piano banda ultralarga finanziato con fondi del Fondo per lo sviluppo e la coesione per complessivi 3,5 miliardi di euro, varando altresì un'operazione analoga per 1 miliardo di euro relativo ai «Patti per il Sud»;

    ne consegue, pertanto, che per il 2020 avanzano soltanto 500 milioni di euro rispetto agli 1,6 miliardi di euro previsti; gli 1,1 miliardi di euro stornati verranno restituiti al Piano solo nel 2022 (500 milioni), nel 2023 (400 milioni) e nel 2024 (200 milioni);

    tale slittamento consegue il paradossale risultato di ritardare la cablatura del Paese e sembrerebbe dettato non tanto dall'esigenza di reperire risorse per l'emergenza economica in corso, quanto piuttosto dalla volontà di temporeggiare in attesa della costituzione della rete unica Tim-Open Fiber con il futuro veicolo societario AccessCo, evitando così il rischio di lanciare i bandi di gara nella seconda parte del 2020 o anche nella prima parte del 2021, senza che esista ancora il soggetto logicamente deputato a impiegare le risorse;

    l'eventuale integrazione di Tim con Open fiber invece, dovrebbe dare maggiore impulso alla realizzazione della rete unica e non rallentarne ulteriormente il già accidentato percorso;

    per quanto riguarda l'impatto sull'economia secondo i risultati di uno studio presentato al Forum Ambrosetti, la realizzazione delle reti a banda ultralarga può generare fino a 180 miliardi di euro di Pil aggiuntivo entro il 2030. Considerando l'aumento di copertura in banda ultra larga in linea con le previsioni correnti e il conseguente aumento della velocità media di connessione, oltre che del numero di sottoscrizioni, si stima che il pieno dispiegamento della rete possa generare benefici incrementali per il sistema-Paese quantificabili in più di 96,5 miliardi di euro di Pil cumulati tra il 2020 e il 2025 e oltre 180,5 miliardi di euro cumulati tra il 2020 e il 2030;

    l'attuale pandemia da Covid-19 e la correlata necessità di prosecuzione dell'attività lavorativa, scolastica, economica, in modalità smart e a distanza, ha dimostrato quanto le risorse digitali siano diventate fondamentali per la nostra società,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative normative per prevedere l'integrazione del Documento di economia e finanza a tutti i livelli con appositi indicatori del livello di digitalizzazione e innovazione (indice Desi), sulla base dei dati forniti dall'Istat, al fine di monitorare l'andamento dello sviluppo tecnologico nell'arco di un triennio, nonché le previsioni sull'evoluzione dello stesso nel periodo di riferimento, anche sulla base degli obiettivi di politica economica e dei contenuti dello schema del programma nazionale di riforma;

2) ad adottare iniziative volte alla creazione di un unico data base nel quale far confluire i dati provenienti da tutte le amministrazioni nazionali e locali per la determinazione in un unico indice nazionale di digitalizzazione;

3) ad adottare iniziative per accelerare il dispiegamento della rete nelle aree bianche con un modello che faccia leva su tutte le tecnologie disponibili;

4) ad adottare iniziative per prevedere per le aree grigie meccanismi per cui il ricorso al co-investimento debba essere elemento qualificante per l'infrastrutturazione, previa manifestazione di interesse tra tutti gli operatori;

5) ad adottare iniziative normative e finanziarie che incentivino la transizione degli operatori di mercato verso soluzioni FTTH (Fiber to the home);

6) ad adottare iniziative volte ad estendere entro la fine del 2020 la copertura con banda ultra larga alla totalità delle scuole, delle strutture ospedaliere e sanitarie;

7) ad adottare iniziative per prevedere un nuovo meccanismo di procurement in base al quale gli operatori siano in grado di stimolare presso le amministrazioni pubbliche l'adozione di nuove tecnologie premiando gli investimenti fatti in Italia da parte dell'operatore per abilitare un'offerta di servizio quanto più innovativa, completa e resiliente;

8) ad adottare iniziative per prevedere un piano di formazione delle competenze digitali, soprattutto nella pubblica amministrazione, che consenta di valorizzare al massimo l'offerta di connettività a banda ultra larga che si sta consolidando.
(1-00385) «Capitanio, Donina, Furgiuele, Giacometti, Maccanti, Morelli, Rixi, Tombolato, Zordan, Bordonali, Ziello».

(12 ottobre 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    il Digital economy and society index (Desi) è un indicatore adottato dalla Commissione europea che misura, prevalentemente sulla base di dati Eurostat, i progressi compiuti dagli Stati membri dell'Unione europea verso un'economia e una società digitali, aiutandoli così a individuare i settori cui destinare in via prioritaria investimenti e interventi. L'indice Desi costituisce anche lo strumento chiave per l'analisi degli aspetti digitali nel semestre europeo;

    l'indice Desi comprende un'analisi dettagliata delle politiche digitali nazionali che passa in rassegna i progressi compiuti e l'attuazione delle politiche da parte degli Stati membri. Un capitolo più dettagliato sulle telecomunicazioni è allegato alle relazioni per ciascuno Stato membro. Per consentire un confronto più agevole tra i Paesi dell'Unione europea, l'indice Desi effettua anche analisi tra Paesi in tema di connettività, competenze, uso dei servizi Internet, diffusione delle tecnologie digitali tra le imprese, servizi pubblici digitali, investimenti per innovazione, ricerca e sviluppo nelle Tic e uso dei fondi del programma di ricerca e innovazione «Orizzonte 2020» da parte degli Stati membri;

    l'indice è la sintesi di diversi indicatori raccolti in 5 aree principali:

     a) connettività: misura lo sviluppo della banda larga, la sua qualità e l'accesso fatto dai vari stakeholder;

     b) capitale umano: misura le competenze necessarie a trarre vantaggio dalle possibilità offerte dalla società digitale;

     c) uso di internet: misura le attività che i cittadini compiono grazie a internet, connettività e competenze digitali;

     d) integrazione delle tecnologie digitali: misura la digitalizzazione delle imprese e l'impiego del canale on-line per le vendite;

     e) servizi pubblici digitali: misura la digitalizzazione della pubblica amministrazione, con un focus sull'e-Government;

    l'indice Desi è un indicatore importante e soprattutto istituzionalizzato a livello europeo, ma come tutti gli indicatori presenta anche limiti poiché non misura precisamente l'attuazione dell'Agenda digitale, in quanto utilizza dati non completamente aggiornati. Inoltre, non sembra essere pienamente in grado di fornire indicazioni utili a quei Paesi, come l'Italia, che ha bisogno di individuare in via prioritaria in quali aree investire risorse per migliorare il proprio livello di digitalizzazione;

    l'Osservatorio Agenda Digitale del politecnico di Milano, a tal fine, ha elaborato nel corso degli anni il Digital maturity index (Dmi) un sistema di 118 indicatori (inclusi i 34 che formano il Desi) raggruppati nelle 4 aree di attuazione dell'Agenda digitale:

     a) infrastrutture – diffusione e utilizzo di banda larga, sia fissa che mobile, tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione;

     b) pubblica amministrazione – diffusione e utilizzo di servizi di e-government;

     c) cittadini – diffusione e utilizzo di strumenti digitali/internet e competenze digitali;

     d) imprese – diffusione e utilizzo di tecnologie digitali nei processi di produzione e vendita di prodotti e servizi;

    ciascuna area viene poi studiata in base ai fattori abilitanti (utili a misurare gli sforzi e gli investimenti fatti per rendere più digitale l'area) e i risultati ottenuti (per monitorare l'esito di tali iniziative di digitalizzazione). Lo scopo dei Dmi, in sostanza, è quello di consentire valutazioni più complete e mirate, offrendo ai decisori politici una migliore comprensione delle dinamiche di sviluppo e orientamento degli interventi di digitalizzazione;

    il livello di innovazione tecnologica e di digitalizzazione di un Paese costituisce un indicatore delle potenzialità economiche e di crescita in una prospettiva di medio e lungo periodo. Come tale è certamente opportuno che i documenti di programmazione economica ricompresi nella decisione di Bilancio prevedano appositi strumenti che consentano di monitorare adeguatamente lo sviluppo dell'innovazione tecnologica e digitale, anche al fine di consentire investimenti mirati e l'elaborazione di specifiche politiche di settore;

    nel caso specifico dell'Italia che, come dimostra anche l'indice Desi della Commissione europea relativo all'anno 2020, è in forte ritardo rispetto agli altri Paesi nello sviluppo del livello di digitalizzazione, attestandosi al 25° posto su 28 e con un punteggio inferiore di 9 punti alla media dell'Unione europea, sarebbe opportuno evitare la parcellizzazione di competenze e di risorse tra più soggetti in ambito amministrativo, al fine di evitare il rischio di sovrapposizioni e diseconomie, come paventato dalla Corte dei conti nell'ultimo referto sull'informatica pubblica,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, al fine di integrare il Documento di economia e finanza con appositi indicatori del livello di digitalizzazione e innovazione, sulla base dei dati forniti dall'Istat, anche tenendo conto degli studi già sviluppati in materia nel nostro Paese, al fine di monitorare l'andamento dello sviluppo tecnologico nell'arco di un triennio, nonché le previsioni sull'evoluzione dello stesso nel periodo di riferimento, anche sulla base degli obiettivi di politica economica e dei contenuti dello schema del programma nazionale di riforma;

2) a valutare l'opportunità di individuare le forme e gli strumenti più opportuni al fine di realizzare una governance più coesa e strutturata coordinando in maniera più efficace la complessa articolazione di competenze nel settore delle politiche relative alla digitalizzazione e all'innovazione tecnologica.
(1-00388) «Mandelli, Bergamini, D'Attis, Zanella, Occhiuto, Sozzani, Pella, D'Ettore, Mulè, Paolo Russo, Pentangelo, Rosso, Giacomoni, Saccani Jotti».

(13 ottobre 2020)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA REALIZZAZIONE DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA, NELL'AMBITO DI UN PIÙ AMPIO PROGRAMMA DI RILANCIO INFRASTRUTTURALE ED ECONOMICO

   La Camera,

   premesso che:

    l'emergenza sanitaria COVID-19 è ormai una vera e propria emergenza industriale e produttiva che sta mettendo in ginocchio l'economia mondiale;

    anche nel nostro Paese, la gravissima crisi economica e produttiva iniziata in conseguenza della diffusione del contagio del virus COVID-19, si sta già traducendo in una caduta della produzione e quindi del prodotto interno lordo, che il Def 2020 da poco varato dal Governo stima in oltre il 15 per cento nel primo semestre 2020 con un successivo rimbalzo nella seconda metà dell'anno. Gli ultimi dati Istat indicano una contrazione del prodotto interno lordo nel 2020 dell'8,3 per cento e solo una parziale ripresa del 4,6 per cento nel 2021;

    è indispensabile quindi mettere in campo una strategia complessiva di sostegno dell'economia italiana dopo la drammatica pandemia in atto e i cui effetti sulla produzione e sull'economia accompagneranno purtroppo per un tempo non breve;

    gli effetti sulla caduta del Pil in conseguenza del coronavirus sono quindi drammatici e stanno interessando anche un settore, quello delle costruzioni, che rappresenta oltre il 22 per cento del prodotto interno lordo nazionale, ed è un settore trainante per molti altri comparti dell'economia e quindi di crescita per tutto il sistema;

    come ricorda anche l'Ance, quello che manca al nostro Paese, ma di cui c'è grande bisogno in questa fase, sono misure shock, in grado di rimettere rapidamente in moto il Paese e il settore delle costruzioni. Misure che, invece, altri Paesi europei hanno adottato con tempestività, già all'inizio della crisi, dando certezze e prospettive alle loro economie;

    è necessario mettere in campo al più presto un piano di investimenti e un piano per le opere pubbliche e le infrastrutture. Secondo alcune stime, sarebbero 50 mila i posti di lavoro che potrebbero essere creati se solo le principali opere ferme fossero sbloccate, con un impatto enorme sulle famiglie dei lavoratori e sui loro territori;

    è indispensabile che si faccia un'analisi complessiva con tutti i soggetti interessati, per ragionare sul disegno strategico della dotazione infrastrutturale di questo Paese;

    dopo mesi di dichiarazioni nelle quali il Governo aveva promesso misure shock per ridurre finalmente la burocrazia e rilanciare le infrastrutture e le opere pubbliche, è stato approvato il decreto-legge n. 76 del 2020 in materia di semplificazioni che contiene misure troppo timide, molte delle quali non a regime, e del tutto insufficienti a sbloccare i cantieri e far ripartire il nostro sistema produttivo;

    in questi mesi si è assistito a una serie di dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, di alcuni Ministri e da componenti della maggioranza di Governo, che hanno espressamente aperto alla possibilità di riprendere in considerazione la realizzazione del ponte sullo stretto. Inaspettatamente, lo stesso Presidente Conte ha fatto riferimento alla possibilità di verificare la realizzazione di un sistema sottomarino di collegamento, tunnel interrato o ponte di Archimede (tunnel a mezz'acqua). In realtà queste ipotesi alternative al ponte erano state già esaminate negli anni 1998-2000, e successivamente archiviate perché tecnicamente non praticabili;

    così come nelle stesse 102 proposte per il rilancio dell'Italia e consegnate in questi giorni al Governo dalla task force guidata da Vittorio Colao, si propone, anche per rilanciare il turismo, il completamento dell'«alta velocità sulla dorsale tirrenica, in modo che arrivi fino in Sicilia». Una affermazione che altro non è che una chiara indicazione a riprendere in mano il «dossier» Ponte;

    si ricorda che, fortemente voluto dal presidente Berlusconi, con la legge obiettivo n. 443 del 2001, il ponte sullo stretto di Messina in quanto considerato progetto essenziale per il Mezzogiorno e per l'Italia, viene ricompreso tra le infrastrutture strategiche da inserire tra gli interventi prioritari;

    all'epoca, la difesa di quest'opera opera fu fatta, dal commissario Van Miert che precisò in Parlamento europeo che era stato realizzato un viadotto in mare per 21 chilometri per collegare la Danimarca con la Svezia, due Paesi con 4-5 milioni di abitanti ed era quindi inconcepibile non collegare con un ponte lungo 3 chilometri una isola di circa 6 milioni di abitanti con il restante Paese di circa 55 milioni di abitanti;

    nell'aprile 2004 viene pubblicato in Gazzetta ufficiale il bando internazionale per la selezione del general contractor cui sarà affidata dallo Stato la progettazione definitiva e la successiva costruzione del Ponte. L'Eurolink di Impregilo (poi gruppo Salini) si aggiudicherà la gara, con impegno di realizzare l'opera in settanta mesi;

    il quinto rapporto del luglio 2010, sullo stato di attuazione della «legge obiettivo», riguardo al Ponte sullo stretto di Messina, ricordava la previsione di completare la progettazione definitiva nel corso del 2010 e l'avvio del cantiere principale all'inizio del 2011;

    le vicende politiche degli anni successivi, hanno portato ad abbandonare il progetto di questa grande infrastruttura viaria che continua a rappresentare una occasione unica per contribuire al riequilibrio del Mezzogiorno e per il Paese tutto. Una grande ed unica occasione che produrrebbe un «cambiamento sostanziale» in termini di riequilibrio del Mezzogiorno;

    un primo «stop» all'opera era arrivato già dal Governo Prodi (2006-2008). Ma con il ritorno al Governo del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, nel maggio 2008 l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteol,i inviava alla Società Stretto di Messina una lettera in cui invitava a porre in essere, nei tempi più brevi, tutte le condizioni per la ripresa delle attività inerenti alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina;

    nel 2012 però, il Governo presieduto dal professor Mario Monti, decide di non riaprire le procedure per realizzare il ponte sullo Stretto e, con la legge di stabilità per il 2013 (legge 228 del 2012), stanzia 300 milioni di euro per il pagamento delle penali per non realizzare l'opera;

    nel 2013 decadono i rapporti di concessione con la Stretto di Messina Spa e la società viene messa in liquidazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 aprile 2013, è venuta la messa in liquidazione della società Ponte sullo Stretto di Messina spa;

    il Ponte sullo Stretto di Messina, è stato quindi classificato tra gli interventi con procedimento interrotto a seguito di quanto comunicato nell'XI Allegato Infrastrutture al Def 2013, ossia che «con delibera CIPE 6/2012 è stata disposta la riduzione totale del contributo assegnato alla Società Stretto di Messina e l'intervento non è stato inserito fra gli interventi indifferibili (...). In seguito, l'articolo 34-decies, comma 1, del decreto-legge 179 del 2012, ha disposto la caducazione degli atti contrattuali a far data dal 1° marzo 2013 non avendo le parti stipulato apposito atto aggiuntivo entro tale data»;

    il troppo timido tentativo nel 2016 con il Governo Renzi, di riaprire la discussione sulla realizzazione di questa storica infrastruttura, non ha portato a nulla;

    peraltro, è bene sottolineare che allo stato attuale, la conferma della definitiva rinuncia alla realizzazione di questa opera, costerebbe alle casse dello Stato in termini di penali da pagare al gruppo Salini, di più della sua effettiva realizzazione;

    peraltro, ogni progetto di alta velocità per il Mezzogiorno passa anche attraverso un collegamento veloce, ormai indispensabile, tra la Sicilia e l'Europa. Sotto questo aspetto, il Ponte sullo Stretto rappresenterebbe un'opera che consente di avere anche al Sud Italia l'alta velocità e alta capacità ferroviaria necessarie per la competitività e lo sviluppo delle regioni meridionali, oltre a contribuire alla riduzione del divario in termini di infrastrutture e di servizi tra il nord e il sud del Paese;

    la realtà è che il Ponte sullo Stretto può rappresentare una grandissima occasione di sviluppo per l'Italia e non solo per la Calabria e la Sicilia, permettendo tra l'altro di intercettare il traffico merci che, dal canale di Suez, oggi si dirige verso Gibilterra per puntare sui porti del Nord Europa, quando invece la Sicilia con il porto di Augusta collegato all'Alta velocità potrebbe rappresentare un hub strategico nel Mediterraneo e quindi per uno sviluppo di quei territori, del Mezzogiorno e per il Paese. E la valenza strategica di questa opera è ancora più evidente in una fase nella quale stiamo entrando in recessione e in profonda crisi economica;

    vi sono opere urgenti ed essenziali per la infrastrutturazione organica del Paese, già in parte avviate ma da troppo tempo bloccate per fatti procedurali o pronte per essere avviate e ferme da anni per le quali in poche settimane sarebbe possibile consegnare formalmente le attività propedeutiche e realizzative delle stesse. Opere che sono coerenti con quello che l'Unione europea chiede all'Italia per poter accedere alle risorse messe a disposizione per superare l'emergenza che si sta vivendo; infatti sono tutte opere ubicate sul programma delle reti Trans European Network (TEN-T). Tra queste si ricordano: Terzo Valico dei Giovi sulla tratta ferroviaria ad alta velocità Genova-Milano; raddoppio dell'autostrada A10 nel tratto di attraversamento di Genova (Gronda di Genova); tratta ferroviaria ad alta velocità Brescia-Verona; tratta ferroviaria ad alta velocità Verona-Vicenza-Padova e altre. All'elenco suddetto va certamente aggiunto il Ponte sullo Stretto;

    si ricorda che nel 2003, il Gruppo di Alto Livello per la rete di trasporto transeuropea (TEN-T) includeva il ponte sullo Stretto tra i 18 progetti prioritari a livello europeo da rendere operativi entro il 2020, e al dicembre dello stesso anno, il Consiglio dei ministri dei trasporti europei approvava la proposta della Commissione UE del 1° ottobre 2020 di revisione delle Reti TEN, che prevedeva anche la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Nel 2011, la Commissione europea adottava la proposta di regolamento sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), ma il Ponte ferroviario/stradale sullo stretto di Messina non figura tra le opere «core» del Corridoio da Helsinki a La Valletta;

    la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nell'approvare all'unanimità il documento sul Recovery Fund, ha espressamente indicato, tra le opere strategiche prioritarie, il ponte sullo stretto di Messina. Si tratta di un documento poi formalmente presentato alla Conferenza Stato-regioni e alla Commissione bilancio della Camera nell'ambito della «Indagine conoscitiva delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund»;

    nello schema di relazione della Commissione Bilancio sull'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund, al paragrafo «Mezzogiorno», si legge: «L'obiettivo prioritario resta quello di incrementare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno al fine di colmare, nel giro di alcuni anni, il divario infrastrutturale che rallenta la crescita di quei territori anche garantendo l'infrastruttura stabile e veloce dello Stretto di Messina, dettagliatamente indicata al paragrafo 8.2, ferma restando che la stessa, in ogni caso, non può essere annoverata, per l'importanza che essa riveste, tra i progetti storici menzionati tra i criteri di valutazione negativa, di cui alle linee guida del Governo»,

impegna il Governo:

1) ad avviare quanto prima le opportune iniziative volte a riconsiderare il progetto, già cantierabile, per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, quale progetto chiave per il rilancio economico del Paese, anche valutando a tal fine le penali conseguenti alla mancata realizzazione dell'opera infrastrutturale, e che consentirebbe di estendere l'alta velocità ferroviaria anche in Sicilia, fino a Messina, Palermo e Siracusa;

2) a ricomprendere la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina tra i progetti finanziabili con quota delle risorse del Recovery Fund, in quanto opera già cantierabile e strategica per il rilancio economico del Mezzogiorno e del Paese, nonché decisiva per collegare il nostro meridione all'Europa;

3) a inserire la ripresa del progetto Ponte sullo Stretto all'interno di un più ampio ed efficace programma di rilancio degli investimenti e dei lavori pubblici coerente con la drammatica fase di crisi economica e produttiva in atto conseguente alla pandemia in corso a livello mondiale e in grado di rimettere rapidamente in moto e sostenere l'economia e il settore delle costruzioni;

4) ad avviare fin da subito, per le suddette finalità, un confronto costante con le associazioni e i soggetti imprenditoriali coinvolti, al fine di individuare le misure e linee di intervento più efficaci e rapide per garantire la ripartenza e l'apertura dei cantieri.
(1-00355) (Nuova formulazione) «Prestigiacomo, Gelmini, Occhiuto, Bartolozzi, Siracusano, Cannizzaro, Mulè, Maria Tripodi, Torromino, D'Ettore, Baldelli, Cortelazzo, Casino, Labriola, Mazzetti, Ruffino, Calabria, Sozzani, Zanella, Germanà».

(9 giugno 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    ai sensi della legge obiettivo n. 443 del 2001 è stato ricompreso il Ponte sullo stretto di Messina tra le infrastrutture strategiche da inserire tra gli interventi prioritari, in ragione dell'importanza rivestita per l'intero territorio nazionale a partire dal Sud Italia;

    il bando internazionale per la selezione del general contractor cui affidare da parte dello Stato la progettazione definitiva e la successiva costruzione del ponte, vide l'aggiudicazione della gara a Eurolink di Impregilo (poi gruppo Salini), con impegno di realizzare l'opera in settanta mesi;

    con la legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012) vennero stanziati 300 milioni di euro per il pagamento delle penali per non realizzare l'opera;

    il Ponte sullo Stretto di Messina è classificato tra gli interventi con procedimento interrotto a seguito di quanto comunicato nell'XI allegato infrastrutture al Def 2013,

impegna il Governo

1) ad avviare quanto prima le opportune iniziative volte a riconsiderare il progetto, già cantierabile, per la realizzazione, nel rispetto della tutela dell'ambiente, del Ponte sullo Stretto di Messina.
(1-00386) «Lollobrigida, Meloni, Acquaroli, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

(12 ottobre 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    il rilancio del sistema economico italiano, oggi gravemente indebolito dalle conseguenze determinate dall'emergenza sanitaria da Covid-19, passa dalla realizzazione di tutte le opere pubbliche, così da colmare il gap infrastrutturale che caratterizza l'Italia;

    tra gli interventi infrastrutturali di maggiore interesse per i benefici e le ricadute per cittadini ed imprese rientra indubbiamente il Ponte sullo Stretto di Messina, la strategicità del quale è stata riconosciuta ai sensi della legge obiettivo n. 443 del 2001;

    il progetto prevede la realizzazione di un ponte sospeso a campata centrale unica di lunghezza pari a 3.300 metri, con un impalcato di complessivi 3.666 metri lineari, campate laterali comprese, e una larghezza di 60 metri lineari; la sezione stradale dell'impalcato è composta da tre corsie per ogni carreggiata (due di marcia ed una di emergenza), mentre la sezione ferroviaria comprende due binari con due marciapiedi laterali pedonabili;

    il progetto ricomprende le opere di raccordo stradale e ferroviario sui versanti calabrese e siciliano (circa 40 chilometri), in massima parte in galleria, per assicurare il collegamento del ponte al nuovo tracciato dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria ed alla prevista linea ferroviaria AV/AC Napoli-Reggio Calabria, da un lato, e alle tratte autostradali Messina-Catania e Messina-Palermo nonché alla prevista nuova stazione ferroviaria di Messina, dall'altro;

    nell'impostazione originaria, si prevede la realizzazione del Ponte in project financing, con una partecipazione pubblica pari a solo il 40 per cento, e quella dei privati pari al 60 per cento, da recuperare attraverso pedaggi e canoni durante la durata trentennale della concessione;

    per quanto concerne il costo totale dell'investimento, esso ammonta – secondo la società Stretto di Messina Spa all'uopo costituita – a 8,5 miliardi di euro, di cui:

     a) 6,5 miliardi di euro da corrispondere al general contractor per i costi di costruzione (pari a 5,7 miliardi di euro) ma anche per i servizi, gli espropri, le opere compensative, il monitoraggio ambientale e altri oneri contrattualmente previsti (800 milioni di euro); dei 5,7 miliardi di euro previsti per la costruzione dell'opera, 3 miliardi di euro sono necessari per il ponte, 2.5 miliardi di euro sono necessari per i collegamenti e 200 milioni di euro sono necessari per le cantierizzazioni;

     b) 2 miliardi di euro per i costi assicurativi e per quelli di gestione e di manutenzione ordinaria e straordinaria;

    il costo per la costruzione del ponte ammonta, di per sé, a 3 miliardi di euro, di cui 2,4 per la realizzazione della sovrastruttura e 0,6 per le sottostrutture;

    sono riscontrabili dei vantaggi connessi, tanto alla realizzazione dell'opera, quanto alla sua messa in esercizio; in particolare:

     a) in fase di costruzione, è stimabile: un aumento dell'occupazione, sia direttamente nei cantieri che nell'indotto, che si stima complessivamente in 100.000 posti di lavoro all'anno; un aumento della produzione di beni e servizi intermedi, da parte delle imprese locali e nazionali, stimato in 6 miliardi di euro, e i relativi riflessi occupazionali; un maggior gettito fiscale, derivante dal complesso insieme di imposte, di contributi sociali, di oneri tributari di vario genere collegati alla realizzazione dell'investimento;

     b) in fase di esercizio, è stimabile: una riduzione dei costi di trasporto, sia riguardo il trasporto merci privato, che contribuisce ad un aumento della produttività dei fattori produttivi, e quindi un aumento di competitività delle imprese; un risparmio medio di tempo rispetto all'attraversamento via mare (2 ore per i treni; un'ora per i mezzi gommati; diverse ore per il traffico merci ferroviario, considerando sia il tempo di puro attraversamento, che il tempo necessario per le operazioni di imbarco e sbarco, particolarmente lunghe e laboriose per i treni); la linea AV su tutta la dorsale Roma-Reggio Calabria; il potenziamento dei porti di Gioia Tauro, Messina e Palermo, intercettando il 20 per cento delle merci da distribuire nell'Europa del Sud, con benefici per tutto il sistema portuale italiano per via del risparmio dei giorni di navigazione; una maggiore facilità nella mobilità urbana tra le due sponde, corrispondente ad una domanda di migliaia di spostamenti giornalieri per motivi di studio o di lavoro;

    nonostante gli evidenti benefici connessi all'opera, nel 2012 il Governo Monti ha approvato il decreto-legge 2 novembre 2012, n. 187, con il quale sono state disposte le circostanze che comportano la «caducazione» ex lege della concessione alla Stretto di Messina e di tutti i contratti con le imprese, stanziando successivamente 300 milioni di euro per il pagamento delle penali;

    il contenzioso, creatosi nel tempo e tuttora in atto, grava notevolmente sulla finanza pubblica per un ammontare superiore agli 800 milioni di euro, cui si aggiungono i 300 milioni di euro già stanziati per il pagamento delle penali e tutti gli altri oneri connessi alla liquidazione tuttora in essere della società Stretto di Messina Spa;

    vi sono opere urgenti ed essenziali per lo sviluppo infrastrutturale del Paese, già in parte avviate ma da troppo tempo bloccate per fatti procedurali, o pronte per essere avviate e ferme da anni per le quali, in poche settimane, sarebbe possibile consegnare formalmente le attività propedeutiche e realizzative delle stesse; in particolare, trattasi di opere che insistono sulle reti europee del Trans European Network (TEN-T), dal novero delle quali il Ponte sullo Stretto è stato inspiegabilmente espunto in passato e il cui reinserimento costituisce oggi una esigenza non più procrastinabile,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa volta alla celere realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, anche riconsiderando – se necessario – il progetto approvato in passato al fine di adeguarlo ai nuovi standard ingegneristici e ambientali;

2) ad inserire la ripresa del progetto del Ponte sullo Stretto all'interno di un più ampio ed efficace programma di rilancio degli investimenti e dei lavori pubblici coerente con la drammatica fase di crisi economica e produttiva conseguente all'emergenza sanitaria globale in corso.
(1-00389) «Alessandro Pagano, Furgiuele, Minardo, Rixi, Badole, Benvenuto, D'Eramo, Lucchini, Parolo, Patassini, Raffaelli, Valbusa, Vallotto».

(14 ottobre 2020)

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