TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 473 di Martedì 23 marzo 2021

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A IMPLEMENTARE LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE DI VACCINI ANTI COVID-19, ANCHE ATTRAVERSO L'AUTORIZZAZIONE TEMPORANEA DELLA CONCESSIONE DI LICENZE OBBLIGATORIE

   La Camera,

   premesso che:

    dall'inizio della pandemia da COVID-19 fino ad oggi i casi riscontrati di contagiati sono 2,81 milioni, le guarigioni 2,32 milioni e 95.718 i decessi;

    per affrontare l'attuale crisi causata dal COVID-19, la Commissione europea e gli Stati membri hanno concordato un'azione comune a livello di Unione europea per garantire l'approvvigionamento e sostenere lo sviluppo di un vaccino contro il COVID-19, decisivo nella strategia di contrasto alla pandemia;

    la somministrazione di 4.682.710 dosi di vaccino in Italia è iniziata il 31 dicembre 2020: alla data del 22 febbraio 2021 sono 3.537.975 il totale delle somministrazioni e 1.332.163 le persone a cui sono state somministrate la prima e la seconda dose di vaccino;

    i tagli e i ritardi nelle forniture al momento attuale comportano un ritardo di due mesi nel compimento del programma vaccinale. L'immunità di gregge che doveva essere raggiunta a fine estate, lo sarà forse a fine autunno 2021, quasi in pieno inverno, con tutti i maggiori rischi che ciò comporta;

    la preoccupazione più grave è il ritardo nella vaccinazione delle fasce di età più anziane e più vulnerabili;

    il Presidente del Consiglio dei ministri, nel suo primo intervento programmatico, ha affermato: «Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle Forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all'interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private», perché «la velocità è essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus»;

    è condivisibile quanto auspicato dal Commissario europeo Thierry Breton, alla guida della task force europea per il rafforzamento della capacità produttiva dei vaccini, di accrescere la produzione anche con la riconversione di impianti destinati a produzioni di altri prodotti per la salute umana e animale, ma più giusto ancora sarebbe poter liberare i brevetti dei vaccini, per garantirne uno sfruttamento diffuso e universale;

    la questione dei brevetti dei farmaci emerge fragorosamente ogni volta che le ragioni del profitto si scontrano con quelle della salute e della vita delle popolazioni; è accaduto anche per i brevetti sui farmaci antiretrovirali necessari per la cura di Hiv/Aids; dalla scoperta nel 1997 sono passati 10 anni e milioni di morti prima che la cura raggiungesse i malati dei Paesi più poveri;

    pur osservando che la tutela brevettuale rappresenta un incentivo fondamentale affinché le imprese investano nell'innovazione e producano nuovi medicinali e dispositivi medici, si rileva che l'effetto preclusivo dei brevetti può comportare un approvvigionamento limitato sul mercato e un accesso ridotto a medicinali e prodotti farmaceutici;

    l'esperienza di questi mesi in merito all'emergenza epidemiologica da COVID-19 rende necessario trovare un equilibrio tra la promozione dell'innovazione, mediante l'effetto preclusivo dei brevetti e la garanzia dell'accesso ai medicinali per la tutela della salute dei cittadini, in piena sintonia con la risoluzione 2020/2071 (Ini) approvata dal Parlamento europeo in data 17 settembre 2020 avente ad oggetto «Penuria di medicinali – come affrontare un problema emergente»;

    già il 2 ottobre 2020, i Governi di India e Sudafrica hanno inviato all'Organizzazione mondiale del commercio una proposta congiunta con cui chiedono una deroga ai brevetti e agli altri diritti di proprietà intellettuale in relazione a farmaci, vaccini, diagnostici, dispositivi di protezione personale e alle altre tecnologie medicali per tutta la durata della pandemia;

    l'iniziativa dei Cittadini europea (Ice), in corso, «Right to cure. No profit on pandemic», chiede alla Commissione europea di proporre una normativa intesa, tra le altre cose, a garantire che i diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, non ostacolino l'accessibilità o la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro il COVID-19;

    la legislazione internazionale vigente (TRIPs – Agreement on trade related aspects of intellectual property rights – articolo 31) prevede la possibilità di sospendere un brevetto in caso di emergenze di sanità pubblica, concedendo licenze obbligatorie per la vasta produzione dei prodotti necessari;

    i Governi possono dunque ricorrere alla licenza obbligatoria in situazioni di emergenza sanitaria per permettere anche ad aziende non detentrici del brevetto di produrre versioni generiche (equivalenti) dei farmaci, pagando una royalty all'azienda titolare della proprietà intellettuale;

    la deroga è prevista in base all'articolo IX, commi 3 e 4, dell'Accordo di Marrakech che ha costituito l'Organizzazione mondiale del commercio e consentirebbe una sospensione temporanea di tutti gli obblighi contenuti nella sezione I, parte II, dell'Accordo TRIPs, quella concernente copyright, disegni industriali, brevetti, protezione di informazione non condivisa. La condizione è che vi sia una giustificazione fondata su circostanze eccezionali e che siano esplicitati i termini anche temporali di suddetta sospensione;

    la licenza obbligatoria, ex articolo 31 del Trade-related aspects of intellectual property rights (TRIPs), consente agli Stati membri dell'Organizzazione mondiale del commercio di includere nella loro legislazione una disposizione per l'uso del brevetto senza autorizzazione del titolare, per facilitare l'accesso ai farmaci, consentendo la produzione e l'esportazione di brevetti sui vaccini o vaccini in corso di brevettazione, senza il previo consenso del titolare del monopolio;

    la procedura implica la formale richiesta al titolare del brevetto di un'autorizzazione immediata alla produzione dei farmaci necessari e, qualora il titolare neghi il consenso, si può imporre una licenza obbligatoria circoscritta temporalmente e geograficamente, la quale implica il pagamento di una royalty al titolare del brevetto;

    durante la pandemia COVID-19 diversi Paesi hanno utilizzato lo strumento della licenza obbligatoria (ad esempio, Israele per alcuni farmaci antivirali sul COVID-19), poiché i rispettivi ordinamenti hanno disciplinato compiutamente la licenza obbligatoria consentita dall'Organizzazione mondiale del commercio, ossia hanno previsto una norma che consente ai Governi di superare la tutela brevettuale;

    con questa deroga, i centri di ricerca avrebbero la possibilità di condividere la conoscenza scientifica e accelerare le collaborazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti per combattere il virus, a costi inferiori, anche per i Paesi a basso reddito;

    il decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 – Codice della proprietà industriale – disciplina i diritti di proprietà industriale e, all'articolo 141, contempla l'espropriazione dei diritti di proprietà industriale da parte dello Stato nell'interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità; l'espropriazione può essere limitata al diritto di uso per i bisogni dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie in quanto compatibili; il medesimo decreto legislativo, all'articolo 70, disciplina inoltre la licenza obbligatoria per mancata attuazione, ma indica una tempistica che non appare essere compatibile con la pandemia in corso;

    l'espropriazione, ai sensi del sopra citato Codice della proprietà industriale, è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sentito il Consiglio dei ministri, e nel decreto di espropriazione è fissata l'indennità spettante al titolare del diritto di proprietà industriale;

    l'implementazione del codice della proprietà intellettuale è pertanto una strada percorribile e doverosa al fine di autorizzare, temporaneamente, la concessione di licenze obbligatorie in caso di emergenze sanitarie nazionali, in modo da consentire la produzione di medicinali e dispositivi medici considerati indispensabili per il benessere e la salute dei cittadini;

    sarebbe auspicabile che la licenza obbligatoria per i medicinali possa essere concessa su proposta del Ministro della salute, mediante definizione dei medicinali ritenuti essenziali da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, sentito il titolare dei diritti di proprietà intellettuale, ovvero mediante definizione dei dispositivi medici ritenuti essenziali da parte dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, sentito il titolare dei diritti di proprietà intellettuale;

    in data 2 dicembre 2020, è stata approvata, in Assemblea alla Camera dei deputati, la risoluzione di maggioranza n. 6-00158 che ha impegnato il Governo pro tempore, tra gli altri compiti, ad adoperarsi in seno all'Unione europea affinché l'Organizzazione mondiale del commercio deroghi per i vaccini anti COVID-19 al regime ordinario dell'Accordo TRIPs sui brevetti o su altri diritti di proprietà intellettuale, per garantire l'accesso gratuito e universale ai vaccini;

    negli ultimi mesi sono diversi gli appelli del mondo scientifico che richiedono al Governo italiano di attivarsi per utilizzare lo strumento delle licenze obbligatorie per il vaccino anti COVID-19;

    a tal proposito, Silvio Garattini, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri», in un articolo su Quotidiano Sanità ha affermato che è necessario «verificare a livello europeo tutti gli stabilimenti che possono produrre i 3 vaccini già autorizzati, rafforzandone eventualmente le capacità produttive. E se vi fossero difficoltà ricorrere alla sospensione temporanea del brevetto utilizzando licenze obbligatorie»;

    sul tema si è espresso anche Gino Strada, fondatore di Emergency, affermando che «perché il vaccino sia disponibile per il maggior numero di persone è indispensabile aumentare la produzione e abbassare i prezzi: un risultato che potrebbe essere raggiunto se le regole che tutelano la proprietà intellettuale venissero – almeno temporaneamente – sospese o se le farmaceutiche concedessero licenze ad aziende terze»;

    come riferito da Riccardo Palmisano, presidente Assobiotec, in un articolo pubblicato il 22 febbraio 2021 su Il Fatto Quotidiano, nel nostro Paese ci sono società con competenze di alto livello «nel settore delle terapie avanzate, dove l'Italia che pure ha fatto parte dell'avanguardia in Europa nella messa a punto delle prime terapie, non ha oggi una capacità produttiva correlata al suo potenziale, nonostante la presenza di eccellenze come Holostem a Modena, Agc biologics a Bresso o l'Ospedale Bambino Gesù di Roma, con il suo “bioreattore” (fondamentale per produrre vaccini a Rna). La fotografia del settore dice che su più di 230 società di terapie geniche, cellulari e rigenerativa in Europa, solo 8 sono italiane e nessuna di queste è preparata, nell'immediato, con bioreattori per la produzione di vaccini a Rna. Se l'Italia vuole essere competitiva nel settore della produzione biofarmaceutica e sfruttare eccellenza delle maestranze e costo del lavoro contenuto deve fare adesso un deciso salto di qualità»;

    i 50 Paesi più ricchi hanno acquistato il 60 per cento delle dosi disponibili di Pfizer, Moderna e AstraZeneca e, nonostante i finanziamenti per i vaccini anti COVID-19 siano pubblici, i brevetti per la loro produzione restano privati; così facendo la copertura vaccinale rischia di rimanere troppo limitata e a farne le spese saranno, ovviamente, anche i Paesi più poveri;

    aumentare la produttività dei vaccini significa pertanto aumentare, anche a livello mondiale, la capacità di reazione di tutti i Paesi, anche quelli che ad oggi non hanno dosi sufficienti di vaccini e medicinali per combattere il COVID-19;

    se l'epidemia non sarà contenuta in tutti i Paesi del mondo ci saranno sempre dei reservoirs di virus che, libero di diffondersi, muterà rapidamente rendendo vano qualunque sforzo compiuto per arginare la pandemia; l'obiettivo primario, quindi, è il contenimento della diffusione virale non solo nei Paesi maggiormente dotati di risorse, ma anche e soprattutto in quei Paesi dove le disponibilità economiche non consentono il tracciamento, il sequenziamento e il blocco della diffusione del virus stesso;

    la rimozione dei brevetti e di altri ostacoli è fondamentale per garantire che vi siano sufficienti fornitori a produrre e distribuire vaccini e farmaci anti-COVID a prezzi accessibili e in regime di libera concorrenza;

    appare necessario che il Ministero della salute avvii una ricerca di stabilimenti produttivi sul territorio italiano per rendere operativa una maggiore produzione nel nostro Paese,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere, in seno alle competenti sedi decisionali europee, ogni possibile iniziativa al fine di promuovere e sollecitare la necessità di iscrivere il regime di licenze obbligatorie all'interno di un'azione più ampia dell'Unione europea per affrontare la questione dell'accesso ai medicinali, in conformità all'approccio comune e alla strategia globale dell'Unione europea nella lotta al COVID-19;

2) a farsi promotore, in sede europea, di proposte di modifica riguardo ai termini e alle condizioni sulle restrizioni derivanti dai diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, affinché non rappresentino, in una situazione di pandemia e di difficoltà economica, un ostacolo all'accessibilità e alla distribuzione diffusa di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro il COVID-19, consentendo così la massima condivisione possibile di conoscenze, proprietà intellettuale e dati relativi alle tecnologie sanitarie, a beneficio di tutti i Paesi e di tutti i cittadini;

3) a disciplinare nell'ordinamento italiano, nella prima iniziativa normativa utile e in maniera compiuta, la licenza obbligatoria normata dall'Organizzazione mondiale del commercio, al fine di consentire al nostro Paese di superare con celerità la tutela brevettuale dinanzi a circostanze eccezionali, com'è il caso della pandemia COVID-19, garantendo che siano esplicitati i termini temporali e geografici di suddetta sospensione della licenza brevettuale;

4) ad avviare – tramite il Ministero della salute, coadiuvato da Agenzia italiana del farmaco e d'intesa con le regioni – una ricerca di stabilimenti produttivi per la produzione di vaccini contro il COVID-19 nel territorio italiano;

5) a valutare l'opportunità, nella prima iniziativa utile, anche attraverso un investimento pubblico strategico, di rafforzare la capacità produttiva e tecnologica delle aziende presenti sul territorio italiano nell'ottica di garantire, nel più breve tempo possibile, la produzione di mRna per i vaccini nonché dei medicinali e dei dispositivi medici ritenuti essenziali da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, anche attraverso un adeguamento degli impianti esistenti.
(1-00423) «Ianaro, Grillo, Provenza, Sportiello, D'Arrando, Lorefice, Mammì, Nesci, Nappi, Ruggiero, Villani, Troiano».

(23 febbraio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    i leader dell'Unione europea nel Consiglio europeo che si è svolto il 25-26 febbraio 2021, a fronte dei ritardi nelle consegne già contrattualizzate con AstraZeneca e Moderna, hanno concordato la necessità di accelerare con urgenza l'autorizzazione, la produzione, la distribuzione dei vaccini e di velocizzare la campagna di vaccinazione, nonché di potenziare la capacità di sorveglianza, intensificando gli sforzi per collaborare con l'industria e gli Stati membri, al fine di aumentare la produzione di vaccini e adeguarli alle nuove varianti;

    ad oggi la strategia europea sulla campagna di vaccinazione ha prodotto scarsi risultati, tenendo conto che meno del 5 per cento degli europei è stato vaccinato e che, nell'ambito delle quote redistribuite, una dose di vaccino su tre non è ancora utilizzata, secondo quanto affermato di recente dallo stesso Thierry Breton, Commissario europeo al mercato interno che guida la task force per aumentare la capacità produttiva dei vaccini nell'ambito dell'Unione europea;

    occorre superare la posizione timida, sia della Commissione europea che degli Stati membri, verso le grandi aziende produttrici di vaccini che producono in Europa ed esportano fuori dall'Unione europea, ritardando le consegne già contrattualizzate con la Commissione; in tal senso, è da accogliere positivamente la recente decisione del nostro Paese di bloccare le esportazioni di 250 mila dosi di AstraZeneca assemblate in Italia e destinate all'Australia, dando seguito all'orientamento espresso dal Presidente Draghi in sede di Consiglio dell'Unione europea, in applicazione del recente regolamento europeo in materia;

    è necessario scongiurare ulteriori errori, ritardi e scarsi risultati sulla strategia vaccinale, che incentivano la moltiplicazione di iniziative unilaterali non concordate, minando sempre di più la solidarietà europea, in uno scenario di rischio che vede il continente europeo sempre più schiacciato dalle potenze globali in azione, per un uso geopolitico dei vaccini, dai quali dipende la principale scommessa per superare la crisi sanitaria ed economica. La sfida sui vaccini è una competizione a livello internazionale: dall'approvvigionamento dei vaccini e dalla tempestività della campagna vaccinale dipenderà la ripresa anche in termini economici, pena il declassamento del continente in un prossimo futuro;

    il Presidente Draghi, in occasione del suo discorso di insediamento in Parlamento, ha sottolineato come scienza, salute e sostenibilità vadano di pari passo e che questa è una sfida nella quale l'urgenza sui vaccini, su scala nazionale ed europea, si innesta con politiche di lungo periodo;

    nell'ambito di una necessaria rinnovata strategia vaccinale, il Consiglio europeo di febbraio 2021 ha, inoltre, concordato la necessità di un approccio e di un piano comune sui certificati di vaccinazione, con la realizzazione di un Green pass digitale europeo entro l'estate;

    si è aperto un grande dibattito in sede di Unione europea circa la necessità di un green pass digitale europeo e su come debba essere configurato e usato, con opinioni diversificate da parte degli Stati membri, che evidenziano la stretta connessione tra il tema dell'accelerazione della campagna vaccinale e quello di un passaporto europeo;

    la Commissione europea presenterà a breve (17 marzo 2021) una proposta per un «passaporto verde» per i vaccini dell'Unione europea; un pacchetto incentrato sui viaggi e sulla revoca delle restrizioni per una riapertura comune sicura;

    il Vicepresidente dell'esecutivo comunitario, Margaritis Schinas, al termine della recente videoconferenza dei Ministri della salute dell'Unione europea, ha chiarito che il «Digital green pass» fornirà una prova della vaccinazione per la persona in possesso del documento, con i risultati dei test effettuati da coloro che ancora non si sono potuti sottoporre al vaccino COVID-19 ed eventuali informazioni sulla guarigione dal Coronavirus, avendo cura di sottolineare: «senza comportare discriminazioni tra chi ha effettuato la vaccinazione e chi no»;

    la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato come il nuovo documento rispetterà la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy e faciliterà la vita degli europei allo scopo di consentire gradualmente ai cittadini di muoversi in sicurezza nell'Unione europea o all'estero, per lavoro o per turismo;

    il passaporto vaccinale ha precedenti importanti nella storia e un suo impiego secolare; basti pensare alle «Fedi di sanità» o alle «Fedi di salute marittime», che certificavano la provenienza di persone, animali e merci, antesignani dei moderni certificati sanitari, durante le secolari epidemie di peste; stando all'attualità, i precedenti sono rinvenibili nei certificati dell'Organizzazione mondiale della sanità, che permettono di viaggiare, previa vaccinazione, in taluni Paesi afflitti dalla febbre gialla;

    i 27 Paesi dell'Unione europea dovranno, dunque, accelerare il processo per definire un protocollo comune e un sistema digitale valido in tutta Europa per permettere ai cittadini dotati di passaporto vaccinale di viaggiare più liberamente. La proposta è partita dal Primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis il 12 gennaio 2021, anche se all'interno dell'Unione europea ci si divide tra i Paesi che lo adotterebbero subito ed altri che creano resistenze, considerando tale certificato come discriminatorio;

    la questione dell'introduzione del passaporto vaccinale è, infatti, delicata sotto il profilo del bilanciamento tra l'interesse alla ripresa dei settori economici e la garanzia dei diritti individuali, affinché siano evitati discriminazioni, uso improprio ai fini delle privacy e la non sufficiente tutela da frodi e abusi, nell'ambito di realtà sempre più complesse;

    pur avendo tutti i passaporti vaccinali un potenziale nel bloccare le persone dall'accesso a beni e servizi essenziali ed escludere coloro che mancano di identificazione o non possiedono o non possono permettersi uno smartphone, tuttavia è possibile prefigurare ed istituire un certificato di vaccinazione con regole semplici, per un tempo determinato in relazione al periodo di immunizzazione dei vaccini quale individuato dalla comunità scientifica, con una regolamentazione che eviti forme di discriminazione per chi ne sarà sprovvisto; in tal senso, il Commissario europeo alla giustizia, Didier Reynders, ha suggerito che anche chi non si è sottoposto all'immunizzazione possa continuare a muoversi, avvalendosi dei test e delle quarantene, escludendo dunque l'idea di una limitazione alla circolazione sulla base della certificazione vaccinale; inoltre, come alcuni Stati ipotizzano, potrebbe essere rilasciata una versione cartacea del passaporto vaccinale per coloro che non dispongano di uno smartphone;

    la Commissione europea sta lavorando, inoltre, anche con organismi internazionali come Organizzazione mondiale della sanità, Ocse e Iata, per far sì che il «green pass» venga riconosciuto al di fuori dell'Unione europea, cercando di non subire «decisioni assunte altrove» con riferimento ai programmi di alcuni colossi digitali, affinché vi sia l'adozione di una certificazione dell'avvenuta vaccinazione contro il Coronavirus, da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità. David Nabarro, inviato speciale su COVID-19 per l'Organizzazione mondiale della sanità, prevede che in futuro verrà introdotto un documento che attesti l'immunità. La Presidente von der Leyen ha aperto all'idea, sostenendo che la proposta andrà discussa non appena esisterà un certificato vaccinale riconosciuto dall'Organizzazione mondiale della sanità stessa; è evidente la necessità di standard globali come il certificato di vaccinazione intelligente dell'Organizzazione mondiale della sanità;

    occorrerà soppesare i diritti umani e la protezione dei dati contro il dovere di cura e la libertà commerciale di agire e, in tale direzione, si potranno rendere obbligatori i passaporti dei vaccini per motivi economici o per proteggere la salute pubblica, evitando un'ingerenza eccessiva da parte delle autorità sul cittadino;

    in relazione al dibattito sul «passaporto verde» in Europa e alla diversa situazione dei Paesi membri, è utile rilevare che:

     a) la Grecia è uno dei Paesi precursori, con la lettera inviata dal Primo ministro greco a Ursula von der Leyen e con la firma di un accordo con Israele, al fine di far circolare liberamente i turisti vaccinati tra i due Paesi;

     b) la Francia, il Belgio e la Germania al momento sono i Paesi più «attendisti», propensi a rinviare la decisione tra qualche mese, in considerazione della mancanza di un obbligo vaccinale e in attesa di risultati più consistenti circa il numero di vaccinati; in particolare, la Ministra degli esteri e Vice Premier belga Sophie Wilmès ha espresso preoccupazioni relative al rischio discriminazione, dal momento che non è garantito un accesso universale ai vaccini. La Germania appare divisa tra chi vorrebbe allentare le restrizioni per gli immuni, come il Ministro degli esteri Heiko Maas, e chi invita alla prudenza, come il titolare degli interni Horst Seehofer, secondo il quale distinguere fra vaccinati e non, renderebbe, di fatto obbligatorio il vaccino nel proprio Paese;

    nel nostro Paese non è stato ancora indicato un vero e proprio piano in merito ai certificati di vaccinazione. Va segnalato, tuttavia, che: a) la Federazione nazionale dell'industria dei viaggi e del turismo del sistema Confindustria ha invitato il Governo italiano ad accelerare l'implementazione della vaccinazione nazionale, anche al fine di rilasciare certificati a coloro che saranno, o sono stati, sottoposti al vaccino contro il virus, segnalando che dopo dieci mesi di inattività l'industria turistica italiana ha necessità di ripartire, sollecitando il Governo a trovare soluzioni compatibili, come il rilascio di certificati di vaccinazione per i viaggi; b) il certificato vaccinale, da istituire entro la metà di marzo 2021, è stato annunciato dalla regione Lazio, anticipando una soluzione, nelle more di una disciplina a livello nazionale e a livello europeo, secondo cui tutti i cittadini vaccinati potranno scaricare on line il certificato vaccinale dal fascicolo sanitario elettronico di ogni residente, un certificato in doppia lingua, nel quale verrà segnalata la doppia somministrazione e l'attestazione con la tecnologia QRcode;

    nell'ambito del dibattito brevemente descritto, rilevano anche posizioni e interessi degli attori privati e le raccomandazioni delle organizzazioni internazionali, come quella dell'Associazione delle compagnie aeree (Iata) che richiedono al più presto l'introduzione del «passaporto verde»,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi nelle competenti sedi europee in favore dell'istituzione di un passaporto vaccinale UeB (green pass digitale europeo) che diventi operativo entro pochi mesi, in concomitanza con la necessità di imprimere avanzamenti e accelerazioni della campagna vaccinale, anche allo scopo di facilitare i viaggi per lavoro e per turismo in ambito europeo;

2) a sostenere un sistema di «passaporto verde» che fornisca la prova sia della vaccinazione che dei risultati del test COVID-19, con carattere di eventuale temporaneità sulla base della durata delle relative immunizzazioni, nel rispetto della protezione dei dati, della sicurezza, della privacy e del principio di non discriminazione, con riguardo alla libertà di circolazione, tra vaccinati e non vaccinati, i quali potranno avvalersi di test e quarantene;

3) a lavorare in tutte le sedi sovranazionali, anche in vista del summit globale per la salute (Global health summit) che si terrà a Roma nel mese di maggio 2021 e in considerazione dell'attuale Presidenza italiana del G20, affinché il passaporto vaccinale dell'Unione europea sia coerente con gli standard internazionali e riconosciuto al di fuori dell'Unione europea, avendo particolare riguardo alle decisioni da concordare (e non subire) nell'ambito di organismi internazionali come Organizzazione mondiale della sanità, Ocse e Iata per il riconoscimento dei certificati vaccinali;

4) a valutare, in tutte le sedi europee e internazionali competenti, l'esigenza di un passaporto vaccinale internazionale che risponda alle seguenti caratteristiche: a) soddisfare i parametri di riferimento per l'immunità COVID-19; b) rispettare le differenze tra i vaccini nella loro efficacia e i cambiamenti nell'efficacia del vaccino contro le varianti emergenti; c) essere conforme agli standard internazionali; d) avere credenziali verificabili; e) avere usi definiti; f) essere basato su una piattaforma di tecnologie interoperabili; g) essere sicuro per i dati personali; h) essere portatile; i) essere accessibile a individui e Governi; l) rispettare gli standard legali; m) rispettare gli standard etici; n) avere condizioni di utilizzo comprese e accettate dai titolari del passaporto;

5) a proseguire con fermezza l'indirizzo, appena avviato, in favore di un'autosufficienza europea tecno-scientifica in ambito farmaceutico e bio-medicale, anche mediante la promozione di un consorzio pubblico-privato per la produzione di vaccini che tenga conto delle specializzazioni e delle eccellenze degli Stati membri;

6) ad adottare iniziative per rafforzare le capacità nazionali di partecipazione (anche parziale) alla produzione dei vaccini nell'ambito dell'Unione europea ed extra-Unione europea, insieme alla produzione futura di vaccini italiani, con la creazione di un polo nazionale per la ricerca di farmaci e vaccini, allo scopo di rafforzare il contrasto al COVID-19, con le nuove varianti che pongono ulteriori sfide, e di prevenire future crisi pandemiche.
(1-00428) «Rossello, Occhiuto, Valentini, Mandelli, Battilocchio, Marrocco, Pettarin, Ruggieri, Elvira Savino, Cosimo Sibilia, Saccani Jotti, Baldini, Anna Lisa Baroni».

(10 marzo 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'accelerazione e il potenziamento della campagna di vaccinazione rappresentano obiettivi fondamentali che devono essere perseguiti con determinazione per favorire l'auspicato ritorno alla normalità e superare la pandemia che, ormai, da oltre un anno ci affligge con conseguenze pesantissime sul piano sanitario, economico e sociale;

    ad oggi, la strategia dell'Unione europea sul fronte vaccini non può assolutamente ritenersi soddisfacente, collocandosi ampiamente al di sotto delle attese e dei risultati raggiunti in altri Paesi che si sono mossi con maggiore rapidità;

    tagli alle forniture, mancate consegne, lunghi processi decisionali sono alcune delle criticità che, negli scorsi mesi, hanno rallentato il piano di immunizzazione, alimentando ritardi che impattano gravemente sulla salute dei cittadini e sulla ripartenza economica degli Stati membri;

    alla data odierna, in Italia, sono state effettuate 7,6 milioni di somministrazioni, mentre le persone effettivamente vaccinate, che hanno ricevuto entrambe le dosi, sono circa 2,4 milioni;

    si prevedono incrementi consistenti nel numero delle vaccinazioni a partire dal mese di aprile 2021, con l'arrivo di forniture più ingenti e l'implementazione del piano vaccinale potenziato dal nuovo commissario straordinario all'emergenza COVID-19;

    in questa delicata fase, il ritmo delle immunizzazioni è frenato, principalmente, dalle scarse quantità di dosi disponibili che limitano il margine di manovra delle regioni che, vaccini alla mano, sarebbero in grado di incrementare notevolmente il numero delle somministrazioni giornaliere;

    lo scenario e le complicazioni registrate in questi primi mesi della campagna vaccinale rendono evidente la necessità di un approccio più risoluto e pragmatico da parte dell'Unione europea, soprattutto dal punto di vista del rispetto degli accordi presi con le aziende farmaceutiche e delle limitazioni all'export dei vaccini, in linea con le richieste avanzate dal Presidente del Consiglio dei ministri in occasione del vertice straordinario del Consiglio europeo tenutosi nelle giornate del 25 e del 26 febbraio 2021;

    nella stessa ottica, è necessaria un'accelerazione sul fronte del vaccino russo Sputnik V, utilizzato in oltre 50 Paesi al mondo, promuovendone il rapido esame da parte dell'Agenzia europea dei medicinali e verificando, in caso di inerzia, la possibilità di una sua valutazione e utilizzo a livello nazionale, sulla scia di quanto fatto da altri Paesi europei;

    accanto a queste azioni di breve periodo, peraltro, occorre innestare politiche di più ampio respiro che sappiano valorizzare eccellenze, competenze e poli industriali del nostro Paese, di modo che questo possa contare su un motore produttivo proprio di farmaci e vaccini, raggiungere un livello di indipendenza in questo ambito e gestire eventuali tagli negli approvvigionamenti che potrebbero ripresentarsi in futuro;

    com'è noto, l'Italia è uno dei Paesi leader in Europa nel settore della produzione conto terzi in ambito farmaceutico, con un valore della produzione di oltre 2 miliardi di euro, superiore a quella di Germania (1,95 miliardi di euro) e Francia (1,72 miliardi di euro), generata da aziende affermate a livello mondiale nella produzione di prodotti dall'elevato valore tecnologico;

    è necessario sostenere e creare le condizioni affinché questa eccellenza produttiva sia valorizzata e messa al servizio del nostro Paese, con riflessi positivi sia da un punto di vista sanitario, nelle azioni di contenimento della pandemia, sia da un punto di vista dello sviluppo economico, considerata l'elevata domanda mondiale di farmaci e vaccini che chiaramente dovrà essere soddisfatta nel prossimo futuro;

    in questa prospettiva, una visione prospettica nella gestione della pandemia può rappresentare un innesco per la ricrescita del Paese e dare impulso allo sviluppo di aree tecnologicamente strategiche per le nuove generazioni;

    l'esigenza di procedere in questa direzione è stata immediatamente colta dal neo Ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che a pochi giorni dal suo insediamento ha subito programmato la strategia da seguire, istituendo un tavolo finalizzato alla produzione del vaccino anti-Covid in Italia e alla creazione di un polo nazionale di alta specializzazione pubblico privato per realizzare nel medio lungo periodo un contributo italiano in questo ambito;

    nel corso dell'ultima riunione del tavolo, svoltasi in data 11 marzo 2021, il Ministro ha ribadito la forte determinazione del Governo, verificando la disponibilità a produrre i «bulk» – ossia il principio attivo e gli altri componenti del vaccino – da parte di alcune aziende che già dispongono o, comunque, potranno disporre in un arco temporale ristretto dei necessari bioreattori e fermentatori. La fase di produzione, a quanto consta, potrebbe partire a conclusione dell'iter autorizzativo da parte delle autorità competenti, in un tempo stimato di circa 4/6 mesi;

    con riferimento, poi, alla successiva fase dell'infialamento e della finitura dei vaccini, è stata appurata la disponibilità di molte aziende italiane a partire anche immediatamente, in quanto già in possesso degli stabilimenti, delle competenze e delle dotazioni all'uopo necessarie;

    l'iniziativa del Ministro dello sviluppo economico ha ricevuto l'appoggio del commissario europeo Breton, alla guida della task force per aumentare la capacità produttiva di vaccini nell'ambito dell'Unione europea, il quale ha sottolineato il ruolo centrale dell'Italia in questo ambito, anche in occasione della conferenza tenuta con lo stesso Ministro in data 4 marzo 2021;

    l'avvio del progetto in esame rappresenta indubbiamente un cambio di passo rispetto al passato che si auspica potrà consentire di rimediare ai ritardi fin qui accumulati e rivelarsi strategico non solo nell'attuale fase emergenziale, ma anche per le future esigenze, tanto in campo vaccinale quanto della ricerca e dello sviluppo;

    da valutare con favore è anche l'annunciato stanziamento nel «decreto sostegni», approvato venerdì 19 marzo 2021 in Consiglio dei ministri, di risorse destinate specificamente ad accompagnare l'iniziativa in questione, che potranno favorire i necessari processi di potenziamento e riconversione degli stabilimenti produttivi,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa utile al fine di sostenere la produzione di vaccini anti-Covid in Italia, anche attraverso la creazione di un polo nazionale pubblico-privato di alta specializzazione, dando seguito agli incontri del Tavolo a tal fine istituito presso il Ministero dello sviluppo economico;

2) ad adottare iniziative per affermare e consolidare il ruolo di protagonista dell'Italia nell'ambito della strategia di rafforzamento della produzione industriale di vaccini avviata a livello europeo;

3) a conferire al progetto avviato dal Ministero dello sviluppo economico una visione prospettica di medio e lungo termine, al fine di garantire all'Italia un apparato produttivo in grado di rispondere efficacemente non solo all'attuale pandemia da Covid-19, ma anche a ulteriori esigenze che potrebbero presentarsi in futuro, tanto in campo vaccinale quanto, in generale, negli ambiti della ricerca e dello sviluppo farmaceutico;

4) a proseguire l'attività di individuazione di stabilimenti e aziende in grado di produrre, in un ristretto arco temporale, farmaci a vaccini contro il Covid-19;

5) ad adottare iniziative per assicurare la rapida erogazione delle risorse che saranno stanziate nel «decreto sostegni» allo scopo di potenziare la ricerca e favorire la riconversione industriale del settore biofarmaceutico verso la produzione di nuovi farmaci e vaccini;

6) ad attivarsi presso le competenti sedi europee affinché si promuova il trasferimento tecnologico da parte delle aziende titolari dei vaccini e si consenta, attraverso di esso, l'avvio della produzione italiana.
(1-00435) «Panizzut, Molinari, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Bitonci, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Capitanio, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Galli, Gastaldi, Gerardi, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Maturi, Micheli, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Saltamartini, Snider, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(22 marzo 2021)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO E TUTELA DELLE DONNE

   La Camera,

   premesso che:

    a quasi un anno dalla comparsa della pandemia in Italia, diversi studi e analisi mettono in evidenza il peso che le differenze di genere hanno avuto sugli impatti sociali, economici e sanitari del COVID-19;

    nello specifico, il virus Sars-CoV-2 ha colpito in modo particolare le donne che si sono ritrovate esposte su molteplici fronti, come quello economico, familiare e sanitario;

    nel settore dell'occupazione, le donne hanno pagato, più di tutte le altre categorie, le ripercussioni derivanti dall'epidemia ancora in corso: secondo l'ultimo report Istat sul lavoro, reso noto il 1° febbraio 2021, nell'ultimo mese del 2020 ci sono stati 101 mila occupati in meno e di questi 99 mila sono donne;

    i dati mostrano una situazione allarmante, tanto che dei 444 mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70 per cento è costituito da donne;

    nel dettaglio, il solo mese di dicembre 2020 mostra rispetto a novembre 2020 una dinamica decisamente diversa tra donne e uomini: per le prime cala il tasso di occupazione (-0,5 punti) e cresce quello di inattività (+0,4 punti), per i secondi la stabilità dell'occupazione si associa al calo dell'inattività (-0,1 punti);

    non può sottacersi il fatto che le misure del cosiddetto lockdown, adottate per combattere la pandemia, hanno avuto un impatto significativo nei settori economici con un'alta presenza femminile e sulle professioni svolte in prevalenza da donne, che hanno inoltre visto aumentare il carico della cura dei figli a causa della chiusura delle scuole e degli asili nido, con conseguenze particolari soprattutto per le madri lavoratrici;

    la pandemia sta agendo in un contesto dove la disparità di genere nel settore occupazionale rappresentava una criticità già prima dell'emergenza sanitaria: il Censis fino all'inizio del 2020 rilevava che le donne rappresentano circa il 42 per cento degli occupati complessivi del Paese e il tasso di attività femminile era intorno al 56 per cento, contro il 75 per cento degli uomini;

    la nota dolente del nostro Paese continua infatti a essere l'occupazione, che è la peggiore in tutta Europa: solo il 31,3 per cento delle donne ha un lavoro a tempo indeterminato, contro la media europea del 41,5 per cento, e lo stipendio medio femminile resta uno dei più bassi d'Europa ed è di un quinto inferiore rispetto a quello degli uomini;

    la disparità tra donne e uomini si spiega con la qualità degli impieghi in cui sono maggiormente coinvolte le donne, in media più precari, meno tutelati e sempre più interessati dal ricorso al part time involontario, cioè a un part time imposto dal datore di lavoro, come confermano i dati Istat;

    le donne, in Italia, hanno anche molte meno prospettive di carriera rispetto al resto del continente: il Career prospects index dell'Eige, che valuta l'autonomia nel lavoro, le tipologie di contratto, le possibilità di avanzamento di carriera e la probabilità di essere licenziate in caso di ristrutturazione aziendale, assegna al nostro Paese un punteggio di 52 su 100, contro la media europea di 64;

    secondo l'ultimo Global gender gap report 2020 del World economic forum ci vorranno 99,5 anni per raggiungere la parità tra uomini e donne e per la parità a livello di accesso alla partecipazione economica 257 anni;

    a ciò si aggiunga che i dati del World economic forum dimostrano che, se nel 2018 l'Italia aveva raggiunto il 70esimo posto (dall'82esimo posto del 2017), nel 2019 è scivolata al 76esimo posto su 153 Paesi;

    da un'analisi dei dati il problema si registra principalmente in merito alle opportunità e sulla partecipazione alla vita economica, a cui fa seguito la disparità di trattamento salariale che relega l'Italia al 125esimo posto in una lista di 153 Paesi;

    a ciò si aggiunga che sull'Italia pesa anche il divario salariale tra uomini e donne;

    a parità di livello e di mansioni, tanto che più le donne studiano, più aumenta il divario: se un laureato uomo guadagna il 32,6 per cento in più di un diplomato, una laureata guadagna solo il 14,3 per cento in più;

    le difficoltà si rintracciano nei posti di lavoro in cui sono maggiormente rappresentate le donne – nel commercio al dettaglio e nel settore impiegatizio – più penalizzati dalla progressiva automazione, mentre non rientrano in quelle professioni dove la crescita dei salari è stata più significativa (nel settore Stem in particolare);

    oltre ad avere difficoltà nell'accesso al mercato del lavoro, le donne scontano anche le problematiche legate al bilanciamento vita-lavoro: a livello globale, il lavoro di cura non retribuito è svolto per il 75 per cento dalle donne, che vi dedicano dalle tre alle sei ore al giorno, mentre il numero di donne che lavorano part time è il 32,9 per cento del totale delle occupate;

    il gender pay gap cresce al diminuire della categoria contrattuale ed è più alto fra impiegati e operai, che tra dirigenti e quadri: a parità di inquadramento contrattuale, le donne hanno sempre una retribuzione inferiore rispetto ai colleghi uomini;

    una donna guadagna meno di un collega maschio sia a parità di ruolo professionale che a parità di settore d'impiego: da un'analisi statistica condotta da Jobpricing, nel 77,8 per cento dei casi gli uomini hanno retribuzioni superiori alle donne e questa situazione è estesa a tutti i settori professionali;

    ancora oggi, purtroppo, per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono due percorsi paralleli e spesso incompatibili: per questo una donna occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time (nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all'8,5 per cento), che molto spesso viene scelto per mancanza di alternative da circa due milioni di lavoratrici ed è involontario per il 60,2 per cento delle donne che, invece, lo richiede;

    sono quasi 6 milioni le donne italiane che hanno figli minori e che allo stesso tempo lavorano e tra quelle occupate con almeno tre figli quasi 1,3 milioni lavora a tempo pieno e 171.000 (l'85 per cento del totale delle occupate) sono dirigenti, quadri o imprenditrici;

    è necessario insistere con l'adozione di misure strutturali volte a favorire la creazione di un quadro certo su cui le donne possano fare affidamento per la costruzione del loro progetto di vita;

    in questa prospettiva, due sembrano le criticità sulle quali è doveroso operare in maniera strutturale e di lungo periodo: il problema dei carichi familiari e la scarsa copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, attuando politiche della famiglia indirizzate alla piena possibilità di armonizzare la vita familiare con la vita sociale, lavorativa e relazionale, affinché l'indispensabile sostegno al contrasto alla denatalità possa svilupparsi anche attraverso l'implementazione di politiche di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia e di strategie family friendly;

    secondo l'Istat le donne presentano, infatti, una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari: più della metà delle donne occupate (54,1 per cento) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e familiare (46,6 per cento nel caso degli uomini);

    la presenza di forti carichi familiari si riverbera in modo decisivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro in ogni suo segmento: dall'ingresso alla progressione di carriera;

    un altro dato assolutamente degno di nota è quello che riguarda la copertura territoriale dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia e le relazioni che intercorrono fra questo aspetto e l'occupazione femminile;

    la copertura dei servizi di asilo nido e di scuola per l'infanzia nel nostro Paese è scarsa: la media nazionale dei bambini che ne fruiscono è del 20 per cento, con riduzioni drastiche al Meridione, pari al 7 per cento circa dei bambini, a fronte di una media europea del 40 per cento circa;

    la scarsa partecipazione femminile è legata in buona parte all'incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare i tempi della vita lavorativa e familiare, come peraltro si sta verificando dall'inizio della pandemia: si è innescato un circolo vizioso per cui la conciliazione lavoro e vita privata è complicata e il reddito medio delle famiglie non è adeguato per domandare servizi privati per l'infanzia, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la «divisione del lavoro» all'interno delle famiglie è fortemente dicotomica per genere e la partecipazione femminile al mercato del lavoro patologicamente bassa;

    l'accesso delle donne alle posizioni apicali resta ancora molto basso, soprattutto nelle aziende private: secondo dati Istat del 2019 la percentuale di dirigenti donna è del 32 per cento, quella dei quadri il 46 per cento;

    a tal proposito il principio della parità di genere ha avuto un significativo riconoscimento con la cosiddetta legge Golfo-Mosca (legge n. 120 del 2011), la cui efficacia è stata prorogata dal decreto-legge n. 124 del 2019 e modificata dalla legge di bilancio per il 2020 con cui è stata aumentata, per le società quotate in borsa, la quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo (30 per cento) a due quinti (40 per cento);

    si tratta di una battaglia bipartisan proseguita nella XVIII legislatura, che ha avuto il merito di cambiare in modo decisivo l'atteggiamento degli operatori di mercato nei confronti del gender board diversity; la vigenza della legge citata è utile per permettere a quelle donne che stanno maturando esperienze nella governance di società quotate di conseguire gli skill professionali necessari per accedere anche a ruoli apicali esecutivi o di massima rappresentatività;

    l'Istat, nel suo Rapporto sul mercato del lavoro 2020 frutto della collaborazione tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, evidenzia i molteplici effetti negativi occupazionali prodotti dalla pandemia, sottolineando come le peggiori conseguenze stiano ricadendo su donne e giovani che hanno subito le maggiori perdite occupazioni, poiché in larga parte interessati da lavori temporanei;

    la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha avviato, sul tema della parità salariale, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, l'esame di alcune proposte di legge che intervengono sulla materia e delle quali si auspica una rapida approvazione;

    la questione della parità salariale e occupazionale tra donne e uomini assume una rilevanza strategica anche in riferimento alla violenza domestica, soprattutto in quei casi in cui le donne che hanno subito violenza non trovano il coraggio di denunciare le violenze subite nel timore di non trovare una propria autonomia anche dal punto di vista economico;

    a ciò si aggiunga che nelle fasi più acute della pandemia si è registrato un preoccupante quanto allarmante incremento di episodi di violenza domestica nei confronti dei più fragili e, in particolare, delle donne;

    purtroppo, la violenza sulle donne è una piaga che non arresta a fermarsi e l'emergenza sanitaria ha creato e amplificato le tensioni familiari senza considerare che la chiusura in casa per alcuni mesi, necessaria per rallentare la diffusione del COVID-19, ha peggiorato le situazioni di abuso domestico; gli ultimi dati Istat rilevano come il 31,5 per cento delle donne dai 16 a 70 anni ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro e il tentato stupro;

    dall'indagine dell'Istat, che ha analizzato i dati dei servizi dello Stato per combattere la violenza di genere, è emerso che nel periodo del lockdown (marzo-giugno 2020) le telefonate al 1522 e le richieste di aiuto via chat sono passate da 6.956 a 15.280 rispetto allo stesso trimestre del 2019, con un aumento del 119,6 per cento;

    uno degli aspetti più rilevanti nell'analisi Eures riguarda la «correlazione tra convivenza e rischio omicidio», considerato che il più delle volte il femminicidio è un reato commesso all'interno delle mura domestiche e segnatamente all'interno della coppia;

    in valori assoluti, nel confronto tra i dieci mesi del 2019 e il medesimo periodo del 2020, il numero dei femminicidi familiari con vittime conviventi sale da 49 a 54 (+10,2 per cento), mentre contestualmente scende da 36 a 26 quello delle vittime non conviventi (-27,8 per cento);

    nella maggior parte dei casi gli autori dei crimini così efferati sono soprattutto il partner attuale (nel 58,4 per cento dei casi), l'ex partner (15,3 per cento) e un familiare, come un genitore a un figlio (18,8 per cento);

    dal punto di vista economico, il monitoraggio operato da Actionaid sui fondi antiviolenza nazionali ripartiti tra le regioni ha rilevato che solo il 10 per cento dei fondi del 2019, nonostante la pandemia, siano arrivati direttamente ai centri antiviolenza per rispondere ai nuovi bisogni delle strutture di accoglienza;

    nonostante il 2 aprile 2020 il Ministro competente abbia siglato il decreto per la procedura accelerata di trasferimento delle risorse per il 2019, prevedendo la possibilità di usare i fondi destinati al Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, ai sensi della legge 15 ottobre 2013, n. 119, per coprire le spese dell'emergenza sanitaria, a distanza di sei mesi dall'incasso delle risorse, solo cinque regioni hanno erogato i fondi (Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Molise e Veneto);

    la situazione non sembra migliorare rispetto agli anni precedenti: al 15 ottobre 2020 solamente il 72 per cento delle risorse per il 2015-2016 è stato liquidato dalle regioni, il 62 per cento di quelle del 2017 e il 39 per cento per il 2018: nonostante le regioni negli ultimi tre anni abbiano fatto qualche passo in avanti, i fondi mettono ancora dai 10 ai 12 mesi per arrivare direttamente nelle casse dei centri antiviolenza;

    a ciò si aggiunga che il Piano nazionale antiviolenza 2017-2020, che ha terminato di produrre i suoi effetti dal dicembre 2020, ha mostrato la sua incompletezza: le risorse effettivamente impegnate non sono sufficienti a coprire le azioni programmate, ma ancor più grave è la poca trasparenza che non consente di verificare se esse siano realmente spese;

    dalle ultime rilevazioni dell'Istat emerge un'evidente carenza delle case rifugio sull'intero territoriale nazionale, tanto che sono circa 272 quelle attive in Italia, pari a 0,04 case per 10 mila abitanti (232 nel 2017);

    la loro presenza è molto differenziata nel territorio: il 36 per cento delle case rifugio è attiva nel Nord-Est, in particolare nel Friuli Venezia Giulia e in Emilia-Romagna, il 32,4 per cento nel Nord-ovest, con la Lombardia che da sola conta 57 case rifugio attive, e il 17,1 per cento al Centro Italia, con la Toscana in cui sono presenti 21 case rifugio a fronte delle sole 6 dislocate in tutto il Lazio. Nelle altre regioni la presenza di case rifugio è molto più bassa;

    l'89,6 per cento delle case che hanno partecipato all'indagine Istat aderisce a una rete territoriale antiviolenza, il 4,1 per cento non vi aderisce e un restante 6,3 per cento non aderisce perché nel 2018 questa rete non esisteva sul proprio territorio; in particolare, tutte le case rifugio del Nord-Ovest, l'87,5 per cento di quelle del Nord-Est, il 92,1 per cento di quelle del Centro Italia e il 90 per cento di quelle attive nelle Isole aderiscono a una rete territoriale per contrastare la violenza contro le donne;

    una forma di violenza molto diffusa e difficile da riconoscere, esplicitamente citata nella Convenzione di Istanbul, è la violenza economica. Una delle ragioni per cui le donne faticano a denunciare le violenze subite nello stesso ambito familiare sono le difficoltà economiche legate a percorsi di fuoriuscita dalla relazione, soprattutto quando il partner detiene il controllo completo sulle finanze e sulle risorse familiari, cosicché molte donne, nel momento della denuncia nei confronti del partner, rischiano di perdere la casa senza più alcuna risorsa economica;

    il rapporto del Gruppo di esperti del Consiglio d'Europa contro la violenza nei confronti delle donne (Grevio) esorta le autorità ad adottare maggiori misure per proteggere le donne dalla violenza: il documento valuta l'attuazione da parte dell'Italia della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come «Convenzione di Istanbul», e, nel riconoscere i progressi compiuti per promuovere i diritti delle donne in Italia, il rapporto sottolinea che la causa dell'uguaglianza di genere incontra ancora resistenze nel Paese e che sta emergendo una tendenza a reinterpretare e riorientare la nozione di parità di genere in termini di politiche per la famiglia e la maternità;

    a ciò si aggiunga che le donne con disabilità rimangono troppo spesso ai margini: non solo la loro condizione è peggiore rispetto a quella delle donne non disabili, ma lo è anche rispetto a quella degli uomini con disabilità;

    ancora oggi, prendendo in considerazione la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3 per cento di coloro che soffrono di gravi limitazioni (26,7 per cento tra le donne e 36,3 per cento tra gli uomini) contro il 57,8 per cento delle persone senza limitazioni; a livello territoriale il dato peggiore è quello del Mezzogiorno, dove solo il 18,9 per cento delle persone con disabilità è occupato;

    appare necessario e non più procrastinabile dare finalmente piena attuazione alla Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone disabili per quanto attiene all'inclusione lavorativa delle persone con disabilità, al fine di garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale di tutti i cittadini con disabilità;

    la differenza di sesso nella disabilità condiziona anche la prospettiva di accesso alla formazione e di conseguenze anche al lavoro: le bambine e le ragazze con difficoltà, dopo l'obbligo scolastico, spesso non vengono avviate a cicli di istruzione che potrebbero garantire delle posizioni lavorative più elevate;

    per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, durante i Governi Berlusconi sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne; non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto, ad esempio, delle misure poste in essere contro la violenza di genere e lo stalking;

    c'è però ancora molto da fare: benché il 4 marzo 2020 la Camera dei deputati abbia approvato varie mozioni a sostegno delle donne e per contrastare i fenomeni di violenza, ancora oggi mancano interventi concreti volti a dare concreta attuazione a tutti gli impegni profusi nelle mozioni citate;

    eccezion fatta per rarissimi casi virtuosi, ove sia consolidato un lavoro integrato con i servizi specialistici, le donne che subiscono violenza si rivolgono, in prima battuta, ai servizi generali, tra i quali servizi sanitari e il servizio sociale del territorio, e solo di rado ricevono informazioni adeguate sui servizi specializzati, pur essendo espressamente previsto dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119;

    le procure e le forze di polizia, il più delle volte, adottano strumenti informativi per le vittime che si traducono, nella maggior parte dei casi, in una mera riproduzione del contenuto normativo, di difficile comprensione per le vittime, raramente fruibili in una lingua diversa dall'italiano e, ove presenti, disponibili solo nel caso in cui la vittima decide di presentare denuncia/querela;

    ancora oggi, in Italia le donne trovano ancor troppi ostacoli sia con le forze dell'ordine che con professionisti/e dell'ambito sociale e sanitario, dovuti ancora ad una scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza, ma soprattutto al substrato culturale italiano, caratterizzato da profondi stereotipi sessisti e diseguaglianze tra i generi, oltre che da pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano situazioni di violenza, cui ancora si tende a non credere;

    dal momento in cui una donna trova la forza per denunciare la violenza subita, deve poter contare su un'adeguata assistenza da parte dello Stato che in questa partita gioca un ruolo cruciale;

    su questo tema la XVIII legislatura si è caratterizzata per l'approvazione del cosiddetto «codice rosso» (legge 19 luglio 2019, n. 69), che ha visto l'inserimento in sede parlamentare di numerose proposte provenienti da gruppi di maggioranza e opposizione. Il provvedimento nei suoi punti salienti ha inasprito le pene per i reati di violenza sessuale (da 5-10 anni a 6-12 anni), ha introdotto il reato di sfregio del volto punito con 14 anni di reclusione, ha previsto per la violenza su bambini fino a 24 anni di carcere, ha previsto una corsia preferenziale per le denunce, indagini più rapide sui casi di violenza alle donne e l'obbligo per i pubblici ministeri di ascoltare le vittime entro tre giorni. Ha, inoltre, introdotto il delitto di revenge porn, previsto una fattispecie specifica di reato, diretta a punire la «costrizione o induzione al matrimonio mediante coercizione», l'applicazione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (braccialetto elettronico) nei casi di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;

    oltre alle proposte appena citate, è significativa l'approvazione dell'emendamento con cui è stato previsto lo stanziamento di una quota pari a 3 milioni di euro per l'anno 2019 e 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020 da destinare a misure di sostegno e di aiuto economico in favore delle famiglie affidatarie degli orfani per crimini domestici;

    un fenomeno in crescita è quello delle donne che ricevono molestie o minacce sul luogo di lavoro: i dati Istat – basati sulla rilevazione effettuata negli anni 2015-2016 – danno atto che le donne che hanno subito un ricatto sessuale nel corso della loro vita lavorativa sono un milione e 404 mila;

    tali dati rilevano, altresì, che, quando una donna subisce violenza, nell'80,9 per cento dei casi non ne parla con nessuno e che solo la quota dello 0,7 per cento si è rivolta alle forze di polizia;

    come se non bastasse, ancora oggi la società italiana è caratterizzata da stereotipi di genere radicati e da diffuso sessismo;

    partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si può raggiungere la parità effettiva tra donne e uomini, sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a superare le reali necessità delle donne, madri e lavoratrici,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa volta a favorire la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e a prevedere misure strutturali di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche alla luce delle evidenti difficoltà emerse durante l'emergenza sanitaria ancora in corso;

2) ad adottare opportune iniziative volte a superare le condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro che siano, di fatto, pregiudizievoli per l'avanzamento professionale di carriera ed economico della donna;

3) ad adottare iniziative per colmare il divario retributivo tra donne e uomini, prevedendo sgravi contributivi per incentivare anche la contrattazione di secondo livello, al fine di introdurre, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure ad hoc di monitoraggio e di valutazione delle condizioni di lavoro e di retribuzione dei due sessi;

4) a promuovere, per quanto di competenza, interventi permanenti per il potenziamento e la riqualificazione di strutture destinate agli asili nido e alle scuole dell'infanzia;

5) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza (sessuale, psicologica ed economica), da intendersi soprattutto quale strumento di inclusione sociale;

6) ad adottare tempestivamente iniziative per rendere operativo il nuovo Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, al fine di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza contro le donne, attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, e di potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza;

7) ad assumere le opportune iniziative di competenza al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima;

8) ad adottare le iniziative di competenza per l'istituzione del «soccorso di libertà» quale misura volta al sostegno economico e all'inserimento sociale delle donne vittime di violenza di genere esposte al rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro e diretta a favorire, garantendo la loro indipendenza economica, l'autonomia e l'emancipazione delle vittime da ogni forma di sopruso o ricatto, al fine di accedere ai beni essenziali e di partecipare liberamente alla vita sociale;

9) a intraprendere le opportune iniziative al fine di prevedere misure di prevenzione e di sensibilizzazione contro il sessismo e l'utilizzo degli stereotipi che alimentano la vittimizzazione secondaria a tutti i livelli;

10) ad adottare iniziative per rivedere ed adeguare i meccanismi di finanziamento statali, garantendo su tutto il territorio nazionale una presenza delle case rifugio e dei centri antiviolenza sufficiente in linea con i parametri internazionali;

11) a valutare l'opportunità di adottare le iniziative di competenza per prevedere forme di coordinamento e di raccordo tra interventi nazionali e regionali, coinvolgendo le associazioni di donne che offrono servizi specialistici, con allocazione di risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate e stabili nel tempo per un'attuazione sistematica ed efficace delle azioni, nonché il monitoraggio e la valutazione del loro impatto;

12) ad adottare ogni iniziativa atta a far emergere il fenomeno delle molestie in ambito lavorativo e favorire al più presto l'adozione di accordi specifici nel settore privato;

13) ad assumere iniziative per promuovere e favorire l'inclusione sociale delle donne con disabilità attraverso un effettivo inserimento nel mercato del lavoro, anche con riguardo ai congedi di maternità e alla flessibilità degli orari, rafforzando la normativa vigente in materia o, se necessario, attraverso ulteriori iniziative normative.
(1-00433) «Polidori, Occhiuto, Valentini, Bagnasco, Baldini, Cappellacci, Cassinelli, Cristina, D'Attis, Giacometto, Giannone, Labriola, Marrocco, Orsini, Palmieri, Perego Di Cremnago, Pettarin, Pittalis, Ripani, Rossello, Rotondi, Saccani Jotti, Sarro, Elvira Savino, Spena, Versace, Vietina».

(19 marzo 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    come emerge dal Rapporto Istat 2020, la pandemia da Covid-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze e le donne sembrano aver pagato il prezzo maggiore in termini economici, sanitari e familiari, con particolare riguardo all'aspetto occupazionale, nonché per l'ulteriore criticità legata alle difficoltà di conciliare i tempi tra vita privata e vita professionale, quadro anche aggravato per l'aumento dei casi di violenze perpetrate ai danni delle donne;

    l'emergenza da Covid-19, dunque, ha ulteriormente evidenziato le distorsioni, le iniquità e le discriminazioni presenti nel mondo del lavoro e nella nostra società che incidono negativamente non solo sulla vita delle persone, ma anche sulla qualità del nostro sistema produttivo e sulle prospettive di crescita del Paese;

    a pagare il prezzo più alto in termini di diritti sono soprattutto le donne e, tra queste, coloro che vivono e lavorano nelle aree più svantaggiate;

    i dati inerenti il mercato del lavoro attualmente disponibili indicano: 1) un gap tra occupazione maschile e femminile di circa il 17 per cento (nell'anno 2019, l'occupazione femminile si ferma al 42 per cento); 2) un gap nel tasso di occupazione fra donne di 25-49 anni, con figli in età prescolare e donne senza figli; 3) un gap occupazionale a livello territoriale che vede l'occupazione femminile al Sud pari al 44,8 per cento rispetto, invece, al 67,9 per cento del Nord; 4) il 55,9 per cento dei posti di lavoro persi durante la pandemia, nel 2020, attiene proprio alle donne;

    a fronte di tali dati, è di tutta evidenza l'urgenza di intervenire con misure dirette e ben strutturate, sostenute da opportuni e adeguati stanziamenti economici;

    investire sull'occupazione femminile, e sull'accessibilità dei servizi educativi per la prima infanzia non può, quindi, che essere la priorità in questo momento di crisi economico-sanitaria;

    le percentuali sempre più alte di donne costrette a lasciare il proprio lavoro sono allarmanti: secondo i dati Istat, solo nel mese di dicembre del 2020, dei 101 mila posti di lavoro persi a causa della pandemia da Covid-19, 99 mila sono stati persi dalle donne;

    le imprese femminili sono quelle che hanno pagato il conto più salato della crisi sanitaria ed economica innescata dalla pandemia da Covid-19: dopo anni nei quali ogni trimestre le imprese femminili segnavano crescite superiori alle imprese maschili, dal secondo trimestre 2020 ad oggi tale velocità si è praticamente annullata, soprattutto per effetto di un sostanziale blocco nella nascita di nuove imprese femminili (fonte Unioncamere);

    se durante le crisi economiche più recenti l'occupazione femminile aveva subito un rallentamento senza però subire una diminuzione drastica, nella congiuntura attuale i settori economici più colpiti, almeno nella prima fase, sono stati e continueranno ad essere il turismo, il commercio, la comunicazione, il terziario avanzato, i servizi in genere, tutti ad elevata, se non prevalente, presenza femminile; in questo quadro, è prevedibile che i contratti part-time e a tempo determinato siano i primi a non essere rinnovati, così come faticheranno a «riprendersi» le start up femminili che hanno rappresentato un peculiare elemento di vivacità economica nell'intero Paese;

    al centro dell'agenda di questo Governo è stata posta la sostenibilità e tutto ciò che riguarda la tutela dell'ambiente. Fino ad oggi le donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella formazione di una coscienza ecologica, per questo è necessario continuare a dare alle donne gli strumenti necessari per partecipare attivamente: la legge di bilancio 2020, ha disposto l'istituzione del cosiddetto Fondo «Green New Deal», con una dotazione iniziale di 470 milioni di euro per l'anno 2020, di 930 milioni di euro per l'anno 2021, di 1.420 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023, per sostenere progetti economicamente sostenibili con precise finalità tra cui l'imprenditorialità giovanile e femminile;

    il rilancio del nostro Paese, per essere tale, dovrebbe passare mediante un cambiamento totale del paradigma su cui è basato il nostro sistema produttivo, di consumo e di relazione al fine di realizzare un nuovo modello, frutto di una cultura dell'innovazione, della sostenibilità, dell'etica e dell'equità, capace di mettere al centro la persona e il benessere generale, di cui proprio le donne possono e devono essere protagoniste e principali interpreti;

    come rilevato nel rapporto Istat sui livelli di istruzione e i ritorni occupazionali – anno 2019, pubblicato nel luglio 2020 – il livello di istruzione femminile nel nostro Paese è peraltro sensibilmente superiore a quello maschile: nel nostro Paese, infatti, le donne con almeno il diploma sono quasi i due terzi del totale (il 64,5 per cento), quota di circa 5 punti percentuali superiore a quella degli uomini (il 59,8 per cento); una differenza che nella media dell'Unione europea è di appena un punto percentuale. Le donne laureate sono il 22,4 per cento, contro il 16,8 per cento degli uomini; vantaggio femminile ancora una volta più marcato rispetto alla media Ue. Tale risultato deriva anche da una crescita dei livelli di istruzione femminili più veloce rispetto a quella dei maschi: in cinque anni la quota di donne almeno diplomate e di quelle laureate è aumentata, in entrambi i casi, di 3,5 punti (+2,2 punti e +1,9 punti i rispettivi incrementi tra gli uomini);

    nonostante i livelli di istruzione delle donne siano più elevati, il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (56,1 per cento contro 76,8 per cento) evidenziando un divario di genere più marcato rispetto alla media Ue e agli altri grandi Paesi europei. Lo svantaggio delle donne si riduce tuttavia all'aumentare del livello di istruzione: il differenziale, che tra coloro che hanno un titolo secondario inferiore è pari a 31,7 punti, scende a 20,2 punti tra i diplomati e raggiunge gli 8,2 punti tra i laureati. Le donne in possesso di un diploma hanno un tasso di occupazione di 25 punti superiore a quello delle coetanee con basso livello di istruzione (un vantaggio doppio rispetto agli uomini) e la differenza tra laurea e diploma è di 16,6 punti (scarto di oltre tre volte superiore a quello maschile). Sui «premi» occupazionali incide sia la maggiore spendibilità nel mercato del lavoro dei titoli di studio più alti (tra i 25-64enni, il tasso di disoccupazione per chi ha un basso titolo di studio è più che doppio rispetto a chi ha la laurea), sia il maggiore interesse alla partecipazione al mercato del lavoro (il tasso di inattività è circa tre volte più alto);

    nel 2019 il 24,6 per cento dei laureati (25-34enni) ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche: le cosiddette lauree Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Emerge in questo contesto un divario di genere molto forte: il 37,3 per cento degli uomini ha una laurea Stem contro il 16,2 per cento delle donne. Le quote si invertono per le lauree umanistiche: 30,1 per cento tra le laureate e 15,6 per cento tra i laureati. Anche le lauree nell'area medicosanitaria e farmaceutica sono conseguite più frequentemente dalle donne (18,2 per cento contro 14,5 per cento di uomini), mentre per l'area socio-economica e giuridica la proporzione è simile (35,5 per cento tra le laureate e 33,2 per cento tra i laureati);

    le cause per cui le donne che scelgono percorsi Stem sono una minoranza sono molte e spaziano da fattori individuali (motivazione personale e autostima) a quelli di background familiare e elementi sociali, tuttavia questi ultimi (come lo stereotipo dell'incompatibilità tra genere femminile e materie scientifiche, la mancanza di modelli nell'immaginario collettivo) sono più determinati nella scelta del percorso di istruzione;

    la dimensione discriminatoria pervade l'ambito dei percorsi Stem dove le donne oltre a percepire salari mediamente più bassi, a parità di livello di istruzione, devono misurarsi con l'idea che la popolazione femminile debba occuparsi dei lavori di casa e del mantenimento dei figli. Questa situazione riduce il loro potere contrattuale sul mercato del lavoro, anche per promozioni interne ed esterne. Nelle carriere accademiche – anche Stem – la maternità porta a interruzioni lavorative che ostacolano un'ascesa della carriera lavorativa paragonabile a quella degli uomini: che la discriminazione sia consapevole o inconsapevole, il risultato è che le donne vengono penalizzate sia nel mondo accademico Stem, che in quello lavorativo, quindi, è un misto di barriere sociali, psicologiche ed economiche a tenere lontane le donne dalla scienza. I campi Stem rappresentano i lavori del futuro e quelli che garantiranno maggiori possibilità di carriera e di ritorno economico, quindi la presenza delle donne in questi percorsi sarà utile per contribuire a sanare il «gender pay gap» – il divario retributivo di genere;

    al di là di benefici individuali, avere più donne – e quindi individui – nella scienza garantisce più capitale umano per affrontare le sfide tecnologico-scientifiche del futuro. La diversità è poi un elemento essenziale nella scienza: riuscire a osservare un problema da prospettive differenti aumenta la possibilità di trovare soluzioni, tanto che la diversità di un gruppo di persone risulta più importante delle abilità individuali;

    urgono, pertanto, misure ed interventi in sostegno all'occupazione, di conciliazione della vita lavorativa con la vita professionale; misure ed interventi che possono trovare subito riscontro e rafforzamento all'interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

    a questa dimensione lavorativa fortemente caratterizzata da un oggettivo e drammatico divario di genere, sottende un problema culturale che trova la sua peggiore espressione in quelle situazioni dove le donne sono vittime di abusi e violenze;

    quella delle donne uccise per mano dei propri compagni di vita non può che essere definita come una gravissima emergenza; l'8 marzo, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha letto i nomi delle 12 donne uccise dall'inizio del 2021;

    gli interventi approvati già dalla scarsa legislatura, e incrementanti in quella attuale – si pensi, da ultimo, all'approvazione del cosiddetto «codice Rosso», la legge n. 69 del 2019 – necessitano di ulteriore rafforzamento, in una fase quale quella che stiamo vivendo, ove purtroppo i numeri relativi ad episodi di violenza/femminicidi hanno subito una forte impennata;

    i dati statistici disponibili rivelano che il costo della violenza, in particolare domestica, stimato per difetto nel 2013, è di 16.719.540.330 euro, a fronte di una spesa per interventi di prevenzione e contrasto pari a soli 6.323.028 euro. Occorre pertanto stanziare e impegnare in tempi brevi risorse per interventi incisivi sia di carattere preventivo, sia di effettivo e urgente sostegno alle donne vittime di violenza, per evitare la reiterazione dei comportamenti ed i femminicidi;

    la legge n. 69 del 2019, all'articolo 6, ha modificato l'articolo 165 codice penale, introducendo, quale condizione per la sospensione condizionale della pena ai condannati di reati di violenza familiare e di genere, la «partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati». In tal senso è riscontrabile una difficoltà applicativa ed interpretativa che non permette, nei fatti, di esplicare i potenziali effetti di contrasto alla recidiva in termine di rieducazione del condannato. Inoltre, soprattutto nelle regioni meridionali, i servizi territoriali, in molti casi, non sussiste una specifica preparazione in relazione a strutture e professionalità, mentre dove tali servizi operano è stata riscontrata un'assenza di recidiva nell'80 per cento dei casi trattati;

    nella scorsa legislatura, il decreto-legge n. 93 del 2013 ha previsto che il Governo provveda ad adottare, con cadenza biennale, piani straordinari di contrasto alla violenza contro le donne; nel 2015 è stato emanato il primo Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere; in attesa che il Governo adotti il terzo Piano nazionale per il biennio 2021-2023 è attualmente operativo il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020;

    appare essenziale, per un efficace contrasto alla violenza contro le donne e per un'effettiva tutela delle vittime, un'adeguata integrazione delle risorse del Fondo per le pari opportunità al fine di ripartire tra le Regioni – anche tenuto conto dell'incidenza del fenomeno su base territoriale – risorse destinate al finanziamento dell'assistenza e del sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, essenzialmente allo scopo di mettere a disposizione una rete omogenea di servizi territoriali su tutto il territorio nazionale, in particolare con la creazione di centri antiviolenza e di servizi di assistenza (case rifugio) alle donne vittime di violenza;

    l'impatto della pandemia da Covid-19 nel contesto economico e sociale del Paese, acutizzando le criticità e le disuguaglianze già presenti, ha fatto esplodere quale ulteriore criticità quella correlata ad un equo e diffuso accesso ai servizi educativi, di cura e assistenza; tale criticità investe inevitabilmente l'equilibrio di genere nel contesto familiare, professionale e sociale, a discapito della donna che si è trovata a dover sostenere i carichi legati all'assistenza dei figli, alla cura degli anziani e dei componenti fragili del nucleo familiare; carichi cresciuti esponenzialmente per la chiusura delle scuole, dei centri dedicati all'infanzia e alla cura e al sostegno delle persone disabili e fragili;

    l'Ipsos certifica che il 74 per cento delle donne ha sulle spalle la gestione della casa senza aiuti da parte del partner. Occorre, pertanto, particolare attenzione quando si parla di lavoro agile: se una donna deve occuparsi dei figli, della casa e dei genitori anziani, peraltro, lo smart working rischia di essere una modalità di lavoro fortemente penalizzante;

    nel settore del sostegno all'occupazione, non può trascurarsi che la domanda di servizi di assistenza e cura in Italia è in costante crescita. Secondo il 1° rapporto Domina sul lavoro domestico, infatti, la stessa ha generato oltre 2 milioni di posti di lavoro per colf, badanti, babysitter e altri assunti direttamente da circa un milione e mezzo di famiglie;

    si stima che un investimento strutturato nel settore di assistenza e cura potrebbe non solo essere un valido supporto per le famiglie, ma potrebbe creare 1,4 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030;

    l'emergenza da Covid-19, confermando la grande sproporzione di genere nella distribuzione delle responsabilità di cura domestica e familiare, oltre ad evidenziare la necessità di una profonda riforma del sistema di tutte le attività di cura, ha posto analoga necessità quanto alle attività riferibili al sistema di istruzione, come asili nido, centri estivi, centri diurni, e servizi residenziali per non autosufficienti, per persone con disabilità, per i soggetti fragili e per le dipendenze;

    le misure emergenziali, costituite da bonus o voucher, tra l'altro non dissimili dalle misure a regime, hanno evidenziato la necessità di ripensare il sistema secondo una più giusta ed equa impostazione strutturale che sia in grado di cogliere le disuguaglianze esistenti tra le diverse regioni o territori; a riguardo si pensi al minore accesso, documentato dall'ISTAT, ai contributi erogati per il bonus asilo nido da parte delle regioni del mezzogiorno determinato dall'assenza di servizi e di posti negli asili nido;

    come evidenziato dall'Istat in una memoria depositata presso la Commissione XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, 12 novembre 2020, nonostante i segnali di miglioramento, l'offerta di posti negli asili nido si conferma sotto il parametro del 33 per cento fissato dall'Ue per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro; ancora ampio il divario tra Centro-nord e Mezzogiorno seppure le regioni del Sud registrino l'incremento più significativo rispetto all'anno precedente. Il ritardo del Mezzogiorno è infatti ancora più evidente: sommando i posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi, pubblici e privati, mediamente non si arriva a coprire il 15 per cento dei bambini fino a 3 anni di età;

    la salute della donna rappresenta un parametro indispensabile per assicurare la personalizzazione delle cure sia in ambito clinico, sia nell'organizzazione dei servizi sanitari, e dunque, garantire e promuovere la salute delle donne, in particolar modo la salute riproduttiva, è indice di qualità dell'assistenza sanitaria di un Paese;

    l'indagine «I Consultori Familiari a 40 anni dalla loro nascita tra passato, presente e futuro», evidenzia una rilevante variabilità interregionale, con bacini di utenza per Consultorio familiare tendenzialmente più ampi al Nord rispetto al Centro e al Sud, si evidenzia inoltre che in media sul territorio nazionale è presente un consultorio familiare ogni 35.000 abitanti, dunque andrebbe necessariamente rafforzata capillarmente la presenza di tali strutture sul territorio;

    le donne con disabilità vivono una condizione di discriminazione molteplice: come donne, condividono la mancanza di pari opportunità che prevale nella nostra società e, come persone con disabilità, soffrono di restrizioni e limiti alla partecipazione sociale, pertanto non godono di pari opportunità né rispetto alle altre donne, né rispetto agli uomini con disabilità; le stesse, peraltro, hanno una probabilità di essere vittime di violenza da due a cinque volte superiore rispetto alle donne non disabili, frequentemente nell'ambito delle relazioni domestiche, a causa della posizione di maggiore fragilità e vulnerabilità sofferta;

    evidentemente cultura, istruzione e formazione non possono che rappresentare i principali fattori chiave per il superamento degli stereotipi di genere e per il raggiungimento di una effettiva parità tra donne e uomini dal punto di vista sociale ed economico, in termini di diritti e accesso alle opportunità,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere misure volte al superamento del divario retributivo di genere, anche dando attuazione al Fondo per il sostegno della parità salariale di genere istituito dall'articolo 1, comma 276 e 277, della legge n. 178 del 2020 e incentivando l'uso di strumenti come il bilancio delle competenze per superare ogni tipo di discriminazione e dare attuazione ad una piena inclusione lavorativa e sociale;

2) ad adottare iniziative per introdurre incentivi a favore della lavoratrice e dell'impresa nel periodo intercorrente tra la fine del congedo obbligatorio e i ventiquattro mesi dopo il parto al fine di disincentivare il fenomeno delle cosiddette «dimissioni in bianco»;

3) ad adottare iniziative per incentivare e sostenere con adeguati strumenti di tutela le lavoratrici autonome, le libere professioniste nonché l'imprenditoria femminile, anche attraverso la previsione di sgravi contributivi, agevolazioni fiscali, misure per favorire la conciliazione di vita professionale e vita privata, con un particolare impegno anche in relazione al settore dell'agricoltura, nonché dell'economia verde e digitale;

4) a promuovere il lavoro flessibile (flex work) come diritto fondamentale, allo scopo di incrementare la produttività del lavoro e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nonché riconoscere il valore della figura del caregiver familiare;

5) promuovere un potenziamento della rete pubblica dei servizi per l'infanzia e degli asili nido, anche attraverso la riqualificazione infrastrutturale delle strutture, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione ai territori del Sud, prevedendo adeguato personale in relazione al fabbisogno territoriale, nonché ad adottare adeguate politiche volte ad incentivare, all'interno di aziende pubbliche e private, forme di welfare aziendale a sostegno delle famiglie e finalizzate a garantire l'effettiva conciliazione dei tempi di vita e lavoro;

6) ad adottare iniziative per rivedere la disciplina dei congedi parentali, estendendo il concedo di paternità a 5 mesi, quale misura sperimentale per 3 anni, nonché prevedere l'allungamento del congedo di allattamento fino ai due anni del bambino, così da favorire l'allattamento al seno come suggerito dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms);

7) ad adottare iniziative, al livello normativo, sulla disciplina dello smart working, soprattutto rispetto al diritto di disconnessione, in modo che siano le lavoratrici a scegliere l'organizzazione dei tempi del loro lavoro, prevedendo comunque anche per loro il bonus baby sitting e introducendo misure ancora più stringenti rispetto a quelle previste per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, anche istituendo un apposito numero telefonico a tal fine dedicato;

8) ad adottare tutte le iniziative necessarie al raggiungimento dell'obiettivo n. 5 dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ossia raggiungere l'uguaglianza di genere e l'emancipazione, facilitando l'accesso e l'informazione sulle risorse a disposizione dell'imprenditoria femminile, con particolare attenzione ai progetti rivolti alla sostenibilità ambientale anche attraverso apposite campagne comunicative e pubblicitarie;

9) a predisporre iniziative, anche di carattere normativo, che includano la declinazione delle misure ritenute necessarie ad incoraggiare la presenza femminile nelle discipline Stem, con particolare riferimento all'integrazione dei percorsi universitari, per promuovere dialogo e complementarietà tra materie umanistiche e materie scientifiche nel contesto di un nuovo modello lavorativo e di conoscenza, che richiede metodo e competenze rinnovate e multidisciplinari e a promuovere l'importanza di una formazione Stem per le ragazze rispetto alle professioni di domani, e del ruolo centrale che le conoscenze/competenze in questi settori hanno nella costruzione del futuro;

10) ad attivare tempestivamente il nuovo piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, nonché a prevedere iniziative concrete volte a garantire una rete omogenea su tutto il territorio nazionale dei Centri Antiviolenza e delle Case rifugio, con stanziamento di adeguate risorse economiche anche per garantire personale adeguatamente formato, prevedendo inoltre incentivi fiscali al crowdfunding;

11) ad adottare ogni iniziativa utile per la parità dei generi e i diritti delle donne, favorendo la paritaria progressione di carriere, eliminando ogni forma di discriminazione e garantendo lo sviluppo di una cultura organizzativa e di rispetto dei generi, ivi compreso l'impegno per l'equilibrio di genere nelle candidature, sia nell'ambito delle cariche istituzionali, sia del management delle società pubbliche, nonché la rimozione gli ostacoli, anche normativi, che impediscono alle donne di accedere alle cariche elettive di qualsiasi livello;

12) ad adottare iniziative per tutelare le donne con disabilità che subiscono spesso una doppia discriminazione, sia per essere donne, sia per essere persone con disabilità, garantendo loro il diritto alla relazione e all'affettività;

13) a porre in essere iniziative volte a dare piena attuazione alla Convenzione di Istanbul, rendendo omogenei, su tutto il territorio nazionale, norme e finanziamenti per le azioni di contrasto alla violenza contro le donne;

14) ad adottare iniziative per la promozione da parte dei media della soggettività femminile e l'introduzione di efficaci meccanismi di monitoraggio e di intervento sanzionatorio su comportamenti mediatici e comunicativi di ogni tipo che esprimano sessismo e visione stereotipata dei ruoli tra uomo e donna;

15) ad adottare iniziative per incrementare le risorse destinate al Fondo contro la violenza e le discriminazioni di genere, al Fondo per le pari opportunità, al Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, al Fondo antitratta e, in generale, a tutte le politiche per la promozione della parità di genere e per la prevenzione ed il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne anche sui luoghi di lavoro, ferma restando l'assoluta urgenza di disciplinare, nel nostro ordinamento, i fenomeni di mobbing e straining;

16) ad assicurare l'aggiornamento costante della mappatura dei centri anti violenza del Dipartimento per le pari opportunità, tenendo conto delle indicazioni fornite dalle regioni e province autonome, nonché ad adottare le iniziative di competenza per garantire che la violenza contro le donne sia affrontata in modo globale attraverso misure monitorate tramite un coordinamento efficace tra autorità nazionali, regionali e locali;

17) ad adottare iniziative per prevedere l'attivazione di programmi di trattamento per gli uomini maltrattanti nella fase di esecuzione della pena, al fine di combattere la recidiva, predisponendo specifiche disposizioni di dettaglio ed indirizzi operativi rispetto a quanto previsto dall'articolo 6 della legge n. 69 del 2019, oltre ad attivarsi affinché su tutto il territorio nazionale sia garantito un adeguato numero di strutture preposte a fornire percorsi di recupero;

18) ad adottare iniziative per destinare una percentuale del Fondo unico giustizia, delle liquidità e dei capitali confiscati ai mafiosi e ai corrotti, all'imprenditoria femminile, privilegiando, nell'assegnazione, le donne vittime di violenza al fine di incentivare un percorso, di reinserimento sociale, oltre che l'indipendenza economica;

19) ad attivare tutte le iniziative necessarie per contrastare la violenza di genere sui social network, ed in particolare le forme di istigazione che prendono di mira l'aspetto fisico, l'appartenenza religiosa o razziale, anche attraverso l'istituzione di un osservatorio sul fenomeno;

20) ad adottare iniziative per potenziare il raccordo fra scuola, servizi territoriali e consultori famigliari e per adolescenti per intervenire più efficacemente nelle politiche educative, sull'educazione all'uguaglianza e sul rispetto delle differenze;

21) a promuovere, con specifico riferimento al campo dell'editoria scolastica, l'attivazione di strumenti di sensibilizzazione, formazione e monitoraggio degli operatori della filiera e degli editori rispetto degli standard più avanzati in materia di inclusione e diversità;

22) a dare attuazione, per quanto di competenza, alle risultanze e alle raccomandazioni contenute nella relazione conclusiva dei lavori della «Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio» della scorsa legislatura promuovendo iniziative normative, anche di carattere fiscale, e amministrative volte ad accompagnare o orientare le donne vittime di violenza nel percorso di recupero della libertà e dell'integrità fisica, morale ed economica;

23) a promuovere iniziative nelle scuole di ogni ordine e grado per l'educazione alla parità tra i sessi, nonché la prevenzione della violenza di genere, attraverso il potenziamento di specifici percorsi di formazione del personale docente nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa;

24) ad adottare iniziative per introdurre misure finalizzate alla riduzione del «digital divide» che ancora oggi penalizza le donne, in particolare nelle aree più svantaggiate del Paese;

25) ad adottare iniziative per stanziare risorse adeguate da destinare alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza che si relaziona con le donne che hanno subito ogni tipo di violenza, nonché alla promozione di una cultura sociale e giudiziaria maggiormente orientata alla tutela della vittima, anche attraverso iniziative di formazione, informazione e sensibilizzazione nei luoghi di socialità, di svago, di cura e benessere delle donne, anche al fine di agevolare l'emersione dei casi di violenza domestica;

26) ad adottare iniziative per prevedere, nell'ambito del reddito di cittadinanza, misure volte al sostegno di donne che vogliono fuoriuscire dal circolo vizioso della violenza domestica in modo da ottenere un'indipendenza economica;

27) ad adottare iniziative atte a tutelare la dignità e la libertà di scelta e di autodeterminazione delle donne, garantendo loro pieno accesso alle cure mediche, anche con riferimento all'ambito ginecologico, della salute sessuale e riproduttiva, ferma restando la garanzia del libero accesso all'aborto, anche farmacologico, nonché a potenziare la rete dei consultori, garantendone un numero minimo di uno ogni 20.000 abitanti, così come previsto dalla legge.
(1-00434) «Elisa Tripodi, Invidia, Scutellà, Spadoni, D'Arrando, Martinciglio, Carbonaro, Sportiello, Ascari, Ciprini, Barzotti, Giuliano, Manzo, Aresta, Scagliusi, Gagnarli, Casa, Cancelleri, Ruocco, Troiano, Alemanno, Torto, Flati, Faro, Baldino, Vacca, Azzolina, Giordano, Dieni, Corneli, Alaimo, Parisse, Del Sesto, Sarti, Saitta, Di Sarno, Cataldi, Maurizio Cattoi, D'Orso, Salafia, Bonafede, Ferraresi, Masi, Orrico, Palmisano, Sut, Scanu, Brescia, Iorio, Perantoni, De Carlo».

(22 marzo 2021)

MOZIONI IN MATERIA DI INDIVIDUAZIONE DEL DEPOSITO NAZIONALE PER IL COMBUSTIBILE NUCLEARE IRRAGGIATO E I RIFIUTI RADIOATTIVI

   La Camera,

   premesso che:

    in seguito all'emanazione del decreto interministeriale del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 30 dicembre 2020, la Sogin s.p.a. (la società statale incaricata dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi) ha provveduto alla pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) ai fini della realizzazione del deposito nazionale per il combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi;

    la Carta comprende 67 aree, con priorità differenti, dislocate nelle regioni Piemonte (8 zone), Toscana e Lazio (24 zone), Basilicata e Puglia (17 zone), Sardegna (14 aree), Sicilia (4 aree); risultano 12 aree in classe A1, 11 aree in classe A2, 15 aree in classe B e 29 aree in classe C; le aree in classe A1, ossia con la massima priorità, sono ubicate: 2 in provincia di Torino, 5 in provincia di Alessandria e 5 in provincia di Viterbo;

    tale passo intende anche rispondere all'infrazione comunitaria in atto sulla mancata trasmissione del Programma nazionale per la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, verso la realizzazione del deposito per la conservazione dei rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività e del parco tecnologico;

    il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, come da ultimo modificato dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, e dal decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, disciplina i sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché i benefici economici per i territori interessati, e prevede i criteri per la scelta dei siti idonei, successivamente sviluppati da Ispra (oggi organo di controllo Isin) e da Sogin s.p.a. e più volte revisionati nel corso degli anni; le ultime revisioni della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, elaborate dalla Sogin s.p.a., contenenti la distinzione delle aree ricadenti in zone definite a rischio sismico 2 dalle regioni (classe C) e l'esame dei dati e delle stime dei quantitativi dei rifiuti radioattivi dell'Amministrazione della difesa, sono state validate dall'organo di controllo Isin il 5 marzo e il 10 dicembre 2020;

    la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, con l'elenco dei 67 luoghi potenzialmente idonei, che presentano differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche, di fatto dà l'avvio alla fase di consultazione dei documenti per la durata di due mesi, all'esito della quale si terrà, nell'arco dei quattro mesi successivi alla pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, un seminario nazionale. Pertanto, si avvia ora il dibattito pubblico vero e proprio che vedrà la partecipazione di enti locali e regioni, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, per approfondire tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere;

    in base alle osservazioni pervenute e alla discussione nel seminario nazionale, la Sogin s.p.a. aggiornerà la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee che verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Ministero dello sviluppo economico, dell'ente di controllo Isin, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In base a tali pareri, il Ministero dello sviluppo economico convaliderà la versione definitiva della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai). La Carta nazionale delle aree idonee, pertanto, sarà il risultato dell'aggiornamento della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee sulla base dei contributi emersi durante la consultazione pubblica, che verrà comunicata agli enti territoriali interessati ai fini della presentazione delle proprie candidature per ospitare l'impianto; è prevista un'apposita procedura per l'acquisizione dell'intesa della regione nel cui territorio ricadono aree idonee;

    nella guida tecnica n. 29 dell'Ispra del 2014, sono stati stabiliti i criteri di «esclusione» e di «approfondimento» per la localizzazione dell'impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività, basati anche sulle raccomandazioni elaborate da organismi internazionali e, in particolare, dalla International atomic energy Agency (Iaea), utilizzati da Sogin s.p.a. per la redazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee;

    sono state escluse: le aree vulcaniche attive o quiescenti e quelle sismiche e interessate da fenomeni di fagliazione; le aree caratterizzate da rischio e/o pericolosità geomorfologica e/o idraulica di qualsiasi grado e le fasce fluviali e quelle contraddistinte dalla presenza di depositi alluvionali di età olocenica; le aree ubicate ad altitudine maggiore di 700 metri sul livello del mare, o caratterizzate da versanti con pendenza media maggiore del 10 per cento o ubicate sino alla distanza di 5 chilometri dalla linea di costa attuale, oppure ubicate a distanza maggiore ma ad altitudine minore di 20 metri sul livello del mare; le aree interessate dal processo morfogenetico carsico o con presenza di sprofondamenti catastrofici improvvisi (sinkholes) o caratterizzate da livelli piezometrici affioranti o che, comunque, possano interferire con le strutture di fondazione del deposito, nonché tutte le aree naturali protette identificate ai sensi della normativa vigente, quelle che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati o che siano a distanza inferiore a 1 chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e da linee ferroviarie fondamentali e complementari; le aree caratterizzate dalla presenza nota di importanti risorse del sottosuolo e quelle caratterizzate dalla presenza di attività industriali a rischio di incidente rilevante, di dighe e sbarramenti idraulici artificiali, di aeroporti o poligoni di tiro militari operativi;

    i criteri di approfondimento valutano, inoltre, i seguenti aspetti: presenza di manifestazioni vulcaniche secondarie; presenza di movimenti verticali significativi del suolo in conseguenza di fenomeni di subsidenza e di sollevamento (tettonico e/o isostatico); assetto geologico-morfostrutturale e presenza di litotipi con eteropia verticale e laterale; presenza di bacini imbriferi di tipo endoreico; presenza di fenomeni di erosione accelerata; condizioni meteo-climatiche; parametri fisico-meccanici dei terreni; parametri idrogeologici; parametri chimici del terreno e delle acque di falda; presenza di habitat e specie animali e vegetali di rilievo conservazionistico, nonché di geositi; produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico; disponibilità di vie di comunicazione primarie e infrastrutture di trasporto; presenza di infrastrutture critiche rilevanti o strategiche;

    l'impianto, il cui finanziamento è previsto a carico della quota delle bollette elettriche destinata allo smantellamento degli impianti nucleari, interessa un'area di circa 150 ettari, di cui 40 sono destinati al Parco tecnologico. Il deposito consiste in 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, ove verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all'interno i rifiuti radioattivi già condizionati; si tratta di circa 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività provenienti dal mondo civile, dagli impianti nucleari in dismissione nel nostro Paese, da combustibili inviati in Francia e Gran Bretagna e in special modo dal settore medico e ospedaliero; sono previste misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale per i territori che ospiteranno il deposito, da definire con trattative bilaterali;

    le premesse del nulla osta del 30 dicembre 2020 specificano che la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, l'ordine di idoneità delle aree sulla base delle caratteristiche tecniche e socio-ambientali ed il progetto preliminare del Parco tecnologico sono definiti dalla Sogin s.p.a. a titolo di «proposta» e che, solo a seguito delle procedure di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 dell'articolo 27 del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, e successive modificazioni, verrà approvata la Carta nazionale delle aree idonee con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; in particolare, l'articolo 3 citato prevede la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee sul sito internet della Sogin s.p.a. e il contestuale avviso della pubblicazione almeno su cinque quotidiani a diffusione nazionale, affinché, nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione, le regioni, gli enti locali, nonché i soggetti portatori di interessi qualificati, possano formulare osservazioni e proposte tecniche in forma scritta e non anonima, trasmettendole ad un indirizzo di posta elettronica della Sogin s.p.a. appositamente indicato;

    nonostante la realizzazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee sia stata prevista già da 10 anni e i criteri tecnici siano stati ben stabiliti da Ispra nel 2014, il modo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo inquietante, adottato dal Governo per la presentazione di una questione di massima delicatezza, come quella della realizzazione di un deposito nucleare, ha creato tensioni sociali, divisioni conflittuali nella popolazione e rivolte da parte delle regioni e dei comuni coinvolti;

    «no» categorici sono apparsi sulla stampa da parte di presidenti di regioni e province e di sindaci dei comuni individuati sulla Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, nonché critiche pesanti provenienti da associazioni di comuni, come l'Anci, e da associazioni ambientaliste come Italia nostra, Greenpeace, Wwf;

    infatti, in seguito alla firma del nulla osta interministeriale del 30 dicembre 2020, sono state diffuse notizie sulla stampa e sui social, senza un minimo di ufficialità e senza alcun chiarimento sul valore effettivo della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, sulle procedure fino ad oggi attivate per giungere alla redazione di tale carta e sulle procedure che verranno attivate prossimamente per la scelta effettiva del sito;

    le regioni e i comuni interessati hanno visto il proprio nome sulla Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee senza un minimo di preavviso da parte del Governo, peraltro, in un momento particolare, laddove l'attenzione di tutti è posta sulla crisi pandemica da COVID-19 oltre che sulle tensioni nell'ambito della maggioranza di Governo;

    alcune proposte, come quelle dei siti ubicati nelle due isole della Sardegna e della Sicilia, contrastano chiaramente con il criterio dell'efficacia delle vie di comunicazione primarie e delle infrastrutture di trasporto e, inoltre, sembra discutibile la scelta della distanza di solo 1 chilometro da autostrade, ferrovie e infrastrutture di comunicazione principali e anche dai centri abitati molto piccoli e, in generale, non è assolutamente chiara la definizione di «adeguata» distanza dai centri abitati, né la scala della cartografia permette calcoli esatti;

    alcune province presentano una massima concentrazione di siti idonei, come quella di Alessandria, che comprende 6 siti idonei, nei comuni di Alessandria, Castelletto Monferrato, Quargnento, Fubine, Oviglio, Bosco Marengo, Frugarolo, Novi Ligure, Castelnuovo Bormida, Sezzadio, con ben 5 siti classificati in categoria A1, ossia con il massimo grado di priorità; in analoga situazione si trova anche la provincia di Viterbo; eppure le amministrazioni comunali non sono state informate preventivamente delle prerogative del proprio territorio;

    solo il 5 gennaio 2021 è apparso un comunicato stampa sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ha annunciato ufficialmente la notizia della pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee da parte della Sogin s.p.a. e dell'avvio della consultazione pubblica, riportando il nulla osta del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e i riferimenti per tutte le informazioni sul sito appositamente indicato da Sogin s.p.a. «www.depositonazionale.it»;

    tale comportamento dell'Esecutivo su un tema delicato e fortemente divisivo, come quello dei rifiuti nucleari, è stato giudicato sulla stampa pericoloso, arrogante e irresponsabile da parte di molti esponenti della classe politica, volto a creare ulteriori inaccettabili conflitti nella società, tra i territori e le comunità locali e accrescere l'ansia sociale e la paura;

    inoltre in piena pandemia sanitaria da COVID-19, ove le amministrazioni locali cercano con grande fatica di corrispondere agli impegni in corso tra le assenze di personale per malattia e lo smart working, un periodo di soli 60 giorni per esprimere osservazioni sulla mole di documentazione tecnica e complessa, pubblicata da Sogin s.p.a. sul sito www.depositonazionale.it, si presenta estremamente ridotto ed insufficiente e diventa impraticabile lo svolgimento del seminario nazionale in presenza,

impegna il Governo:

1) ad adottare tutte le opportune iniziative, nell'ambito della leale collaborazione tra enti istituzionali, per porre rimedio alle carenze di informazione ufficiale intervenute e alla mancanza di una preventiva informazione delle regioni e degli enti locali in merito alle caratteristiche tecniche del proprio territorio, che lo hanno reso idoneo ad ospitare il deposito nazionale per il combustibile irraggiato e i rifiuti radioattivi e ad inserirsi nella Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee;

2) ad attivare la massima condivisione con i territori interessati e una strategia di effettivo coinvolgimento delle regioni in tutto il processo successivo per la scelta dei siti definitivamente idonei, da inserire nella Carta nazionale delle aree idonee, e ad escludere qualsiasi imposizione ai territori di scelte di livello governativo centrale;

3) ad informare preventivamente il Parlamento sugli esiti della consultazione pubblica e sulle scelte dei Ministri interessati per la definitiva approvazione della Carta nazionale delle aree idonee;

4) ad adottare iniziative per informare i cittadini sulla procedura tecnica fino ad oggi attivata per giungere alla redazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e sulle procedure che verranno attivate prossimamente per l'approvazione della Carta nazionale delle aree idonee e la scelta effettiva del sito per il deposito nazionale;

5) a promuovere iniziative di carattere normativo per prorogare i tempi a disposizione degli enti territoriali e dei soggetti interessati per la consultazione pubblica e lo svolgimento del seminario nazionale in presenza, almeno per sei mesi dalla cessazione dello stato di emergenza dovuta alla pandemia sanitaria per COVID-19;

6) nell'ambito della consultazione pubblica, ad informare gli enti territoriali sulle effettive e congrue compensazioni economiche e di riequilibrio ambientale e territoriale che dovranno essere assegnate ai territori che ospiteranno il deposito nucleare per tutto il periodo di giacenza di rifiuti nucleari, in aggiunta alle compensazioni ambientali che verranno previste nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale;

7) allo scopo di evitare tensioni sociali, nell'ambito della consultazione pubblica e in accordo con gli amministratori locali, a valutare l'opportunità di adottare maggiore attenzione nel coinvolgimento della popolazione per l'individuazione definitiva nella Carta nazionale delle aree idonee dei siti in territori con alta densità abitativa o particolare vocazione agricola;

8) anche in seguito alla consultazione pubblica, ad approfondire promuovendo l'eliminazione delle proposte che eventualmente presentano distanze di un solo chilometro da strade, ferrovie e centri abitati, come risulta da alcuni criteri Ispra-Sogin esposti nelle premesse, e ad esplicitare la definizione di «adeguata» distanza dai centri abitati;

9) ad approfondire nell'ambito del seminario nazionale promuovendo l'esclusione delle proposte relative all'ubicazione dei siti nelle due isole maggiori che inevitabilmente richiederebbero trasporto di rifiuti radioattivi per via marittima o aerea, con alti profili di rischio;

10) ad approfondire nell'ambito del seminario nazionale promuovendo l'esclusione delle proposte che interessano aree prossime a siti definiti dall'Unesco «Patrimonio dell'umanità», come quello de «I Sassi e Parco delle chiese rupestri di Matera» o quello de «I paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato», o quello di Pienza Val d'Orcia e alle relative «buffer zone».
(1-00414) (Nuova formulazione) «Molinari, Gava, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Bitonci, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Capitanio, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Durigon, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Galli, Garavaglia, Gastaldi, Gerardi, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Guidesi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Liuni, Locatelli, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Maturi, Minardo, Molteni, Morelli, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Panizzut, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Saltamartini, Sasso, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Vinci, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(12 gennaio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, come modificato dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, e, successivamente, dal decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, disciplina i sistemi di stoccaggio del combustibile e dei rifiuti radioattivi e individua criteri generali per stilare una lista di siti idonei, sviluppati nel dettaglio da Ispra (oggi Isin) nella guida tecnica 29, in linea con gli standard della Iaea (International Atomic Energy Agency), tra i quali individuare, tramite apposita procedura, il sito unico su cui realizzare il deposito nazionale;

    i criteri sono stati formulati per individuare aree dove sia garantita l'integrità e la sicurezza nel tempo del Deposito nazionale e sono suddivisi in 15 criteri di esclusione, per escludere le aree del territorio nazionale le cui caratteristiche non permettono di garantire piena rispondenza ai requisiti di sicurezza. L'applicazione dei criteri d'esclusione porta all'individuazione delle «aree potenzialmente idonee» e ulteriori 13 criteri di approfondimento, per valutare le aree individuate a seguito dell'applicazione dei criteri di esclusione;

    l'applicazione dei criteri di esclusione dovrebbe essere stata effettuata attraverso verifiche basate su normative, dati e conoscenze tecniche disponibili per l'intero territorio nazionale, anche mediante l'utilizzo dei Gis – Sistemi informativi geografici e, in alcuni casi, di banche dati gestite da enti pubblici;

    l'applicazione dei criteri di approfondimento dovrebbe invece essere stata effettuata attraverso indagini e valutazioni specifiche sulle aree risultate non escluse;

    ad interpretare, elaborare e applicare i criteri, individuando i siti idonei e redigendo la bozza di Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) è stata chiamata Sogin Spa e le ultime revisioni della Cnapi, contenenti la distinzione delle aree ricadenti in zone definite a rischio sismico 2 dalle regioni (classe C) e l'esame dei dati e stime dei quantitativi dei rifiuti radioattivi dell'Amministrazione della difesa, sono state validate dall'organo di controllo Isin il 5 marzo e il 10 dicembre 2020;

    la redazione della Cnapi ha avuto una gestazione molto lunga, la versione conclusiva risalirebbe al 2015; pur se risultano da allora ad oggi alcuni innesti su cui sarebbe interessante individuare le procedure seguite, tuttavia è ragionevole ritenere che molti dei dati su cui si basano le valutazioni potrebbero non essere più attuali, così come molti territori, ora esclusi, potrebbero invece avere le caratteristiche opportune per avanzare le proprie candidature;

    la bozza di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) elaborata da Sogin, in seguito all'emanazione del decreto interministeriale del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 30 dicembre 2020, ha ricevuto il nullaosta e il 5 gennaio è stato dato il via alla pubblicazione, togliendo il segreto che incideva sul documento;

    in seguito, la Sogin S.p.A. (la società statale incaricata dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi) ha provveduto alla pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) ai fini della realizzazione del deposito nazionale per il combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi;

    con la pubblicazione della Cnapi, che contiene l'elenco dei 67 luoghi potenzialmente idonei, che presentano differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche, si avvia la fase di consultazione dei documenti che ha una durata di due mesi, all'esito della quale si terrà, nell'arco dei quattro mesi successivi alla pubblicazione, il prescritto seminario nazionale;

    benché il processo di redazione della Cnapi sia stato assai lungo e i criteri tecnici siano stati stabiliti da Ispra nel 2014, la sua pubblicazione ha creato forti tensioni sociali, e aspre contestazioni da parte delle regioni e dei comuni coinvolti;

    non sono chiari, infatti, il processo e il metodo seguiti da Sogin, nell'individuare i siti e in che modo siano stati interpretati i criteri definiti da Ispra, ora Isin – Guida tecnica n. 29 – e quelli indicati nelle linee guida Iaea (International Atomic Energy Agency), anche perché, nell'ambito di tale interpretazione non sembrano essere stati tenuti adeguatamente in considerazione diversi elementi, in ragione del fatto che nell'elenco compaiono siti ad alto pregio agricolo (Carmagnola), ad elevata pericolosità sismica (Alessandrino) ed aree adiacenti a siti Unesco (Pienza e Val d'Orcia);

    tra i siti individuati dalla Cnapi vi sarebbe perfino quello «Patrimonio dell'umanità» Unesco dei «sassi e Parco delle Chiese Rupestri di Matera», città capitale della cultura 2019 sul cui territorio sono stati impiegati consistenti investimenti in termini di restauro di beni culturali, di nuove infrastrutture e di riqualificazioni che rischierebbero seriamente di essere del tutto vanificati ove il sito unico andasse ad incidere su tale territorio;

    inoltre, alcune province sembrerebbero, a ben guardare, presentare una fortissima concentrazione di siti idonei, quella di Alessandria, in Piemonte, ad esempio, che comprende ben 6 siti idonei e quasi tutti in fascia A1 (ben 5 su 6) o quella del viterbese, nel Lazio;

    alcune altre proposte, poi, come quelle dei siti ubicati nelle due isole maggiori del Paese, Sardegna e Sicilia, sembrano contrastare chiaramente con il criterio dell'efficacia delle vie di comunicazione primarie e delle infrastrutture di trasporto e non è chiaro se i siti sardi e siciliani fossero già nella versione Cnapi del 2015 o siano parte delle integrazioni successive e, ancora, quali procedure fino ad oggi si siano attivate per addivenire a tali integrazioni;

    in ragione del fatto che non si comprende a fondo la scelta della distanza dei siti da autostrade, ferrovie e comunicazioni principali, né quale sia la distanza «adeguata» che si è presa a parametro dai centri abitati più vicini, né essendovi a disposizione rilievi cartografici tali da consentire un esame approfondito che possa definire calcoli esatti in merito alle distanze e considerando che il processo di consultazione pubblica per l'individuazione del sito prevede anche la possibilità per amministratori, comitati, associazioni e cittadini di recarsi direttamente sui siti ed effettuare rilievi e sopralluoghi, il termine di due mesi per la fase di consultazione, per di più in piena emergenza pandemica appare assolutamente inadeguato;

    anche l'indizione del seminario nazionale, che dovrebbe svolgersi in presenza, nei prossimi quattro mesi, con il perdurare dell'emergenza sanitaria, sembra di difficilissima realizzazione, anche in considerazione del fatto che, nella procedura di selezione dei sito e delle prescritte osservazioni, sono coinvolte associazioni, enti locali e territoriali e regioni, tutti soggetti a corto di personale, il quale in buona parte svolge ora i propri compiti in regime di lavoro agile;

    molte regioni, province, comuni e associazioni di comuni, a partire dall'Anci, oltre ad associazioni ambientaliste come Italia Nostra, Greenpeace e Wwf, solo per citarne alcune, hanno espresso forti perplessità tanto sull'elenco dei siti, quanto sulle procedure seguite e da seguire per individuare il sito unico;

    risulterebbe, poi, che una serie di comunità territoriali, comuni ed enti locali avrebbero avanzato la candidatura dei propri territori per la realizzazione del sito unico, ma che tali candidature non verranno prese in considerazione, in quanto tali territori non sono ricompresi nella Cnapi, che come si è ricordato, proviene da un percorso istruttorio assai lungo e complesso e potrebbe pertanto darsi il caso che, pur non inseriti nell'elaborato, essi presentino le caratteristiche per avanzare le suddette candidature,

impegna il Governo:

1) a favorire, promuovere e facilitare in ogni modo il coinvolgimento delle comunità territoriali, delle popolazioni, degli enti locali e territoriali, delle regioni e delle associazioni, anche al di fuori e al di là delle prescrizioni della consultazione pubblica, in modo da addivenire ad un piano che sia compatibile con le aspirazioni e le esigenze delle comunità locali e territoriali, consentendo anche una procedura di selezione e di consultazione pubblica che sia libera dai vincoli dettati dall'emergenza pandemica;

2) a promuovere ogni iniziativa normativa tesa a prorogare i tempi previsti per lo svolgimento della consultazione pubblica e lo svolgimento del seminario nazionale in presenza, in considerazione tanto dell'emergenza pandemica, quanto dell'effettiva necessità di rivedere normativamente il processo e la carta stessa;

3) a ritirare il nullaosta rilasciato con il decreto interministeriale del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 30 dicembre 2020, in vista e in previsione di aggiornamenti tanto normativi che della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee stessa;

4) a promuovere ogni iniziativa normativa tesa ad individuare un criterio di redazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e, più in generale di individuazione del sito unico, che parta dal basso, come si è fatto in altri Paesi europei, ad esempio la Spagna, attraverso le candidature delle comunità locali, in luogo di un processo che parta da un censimento di siti idonei o presunti tali, redatto in maniera centralistica, attraverso un'applicazione quantomeno discutibile di criteri non aggiornati.
(1-00417) «Fregolent, Occhionero, Anzaldi, Paita, Nobili, Del Barba, Annibali, Migliore, Ferri, Toccafondi».

(25 gennaio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    il decreto legislativo n. 31 del 15 febbraio 2010, emanato durante il Governo Berlusconi IV, ha previsto la predisposizione di una proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) per la localizzazione di un deposito unico nazionale delle scorie nucleari da parte della Sogin s.p.a., la società statale per lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi. Il medesimo decreto riconosce altresì un contributo economico al territorio che ospiterà il deposito secondo modalità che gli enti locali interessati regoleranno attraverso la stipula di una specifica convenzione con la medesima Sogin;

    il suddetto decreto legislativo definisce le norme per l'individuazione del sito e della successiva costruzione del parco tecnologico e del deposito nazionale per lo stoccaggio definitivo dei materiali a bassa e media radioattività, e lo stoccaggio temporaneo di lunga durata dei rifiuti ad alta radioattività provenienti dalla attività di decommissioning delle centrali nucleari italiane spente a seguito del referendum del 1987 e dalle attività industriali e sanitarie annualmente prodotti nel nostro Paese. Il deposito ospiterà esclusivamente i rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese;

    il medesimo deposito nazionale e il parco tecnologico saranno realizzati in un'area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al parco. Nel deposito saranno definitivamente smaltiti i rifiuti a molto bassa e bassa attività, ossia quelli che nell'arco di 300 anni raggiungeranno un livello di radioattività tale da non rappresentare più un rischio per l'uomo e per l'ambiente. Inoltre, saranno stoccati temporaneamente i rifiuti a media e alta attività, ossia quelli che perdono la radioattività in migliaia di anni e che, per essere sistemati definitivamente, richiedono la disponibilità di un deposito geologico;

    il parco tecnologico ospiterà un centro di ricerca, dove svolgere attività nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato. La realizzazione e la gestione dell'infrastruttura sono affidate a Sogin, come previsto dal suddetto decreto legislativo n. 31 del 2010;

    il deposito e il parco tecnologico prevedono un investimento di circa 900 milioni di euro, che saranno prelevati dalle componenti della bolletta elettrica pagata dai consumatori, e che genererà più di 4.000 posti di lavoro (diretti e indiretti) per ciascuno dei 4 anni del cantiere e un migliaio per gli anni di esercizio successivi. Il deposito dovrà essere costruito nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza radiologica e salvaguardia ambientale, anche al fine di superare la logica delle decine di depositi temporanei sparsi su tutto il territorio nazionale;

    il deposito definitivo ha l'obiettivo di conservare in assoluta sicurezza questi materiali irraggiati, in attesa che gradualmente perdano il loro grado di radioattività. Ciò risponde in primo luogo ad un'esigenza di sicurezza nazionale, peraltro sollecitata da tutte le autorità internazionali, in primis l'Unione europea, che nell'autunno scorso ha aperto una procedura di infrazione a carico dell'Italia per non aver ancora definito il sito entro cui conferire i rifiuti radioattivi presenti sul nostro territorio nazionale;

    in base alle normative internazionali (direttiva europea 2011/70 Euratom), gli Stati membri sono obbligati a dotarsi di strutture e sistemi finalizzati alla gestione e al deposito, in condizioni di massima sicurezza, delle scorie radioattive prodotte dalle vecchie centrali nucleari nazionali e di quelle provenienti dalle attività industriali, mediche e di ricerca. Rifiuti che secondo la direttiva dell'Unione europea richiedono una gestione responsabile per garantire un elevato livello di sicurezza e proteggere i lavoratori e cittadini dai pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. L'obiettivo della misura è anche quello di evitare di imporre oneri indebiti alle generazioni future, visto che spesso questi materiali restano radioattivi per diverse centinaia di anni;

    il deposito nazionale è un'infrastruttura indispensabile per la messa in sicurezza definitiva dei rifiuti radioattivi, e la sua realizzazione consentirà così di completare lo smantellamento degli impianti nucleari italiani, nonché di gestire in sicurezza i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca;

    le principali strutture in cui attualmente si producono e/o si stoccano rifiuti radioattivi sul territorio nazionale che saranno poi conferiti al deposito nazionale sono: 4 centrali in decommissioning (Sogin); 4 impianti del ciclo del combustibile in decommissioning (Enea/Sogin); 1 reattore di ricerca CCR ISPRA-1 (Sogin); 7 centri di ricerca nucleare (ENEA Casaccia, CCR Ispra, Deposito Avogadro, LivaNova, CESNEF – Centro Energia e Studi Nucleari Enrico Fermi – Università di Pavia, Università di Palermo); 3 centri del Servizio integrato in esercizio (Nucleco, Campoverde, Protex); 1 centro del Servizio integrato non più attivo (Cemerad);

    per volume e livello di radioattività dei rifiuti prodotti, i principali centri sono comunque i siti nucleari in fase di smantellamento. Di tutti i rifiuti radioattivi che saranno conferiti nel deposito nazionale, circa il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;

    la scelta di un deposito definitivo ha una grande valenza ambientale, perché un solo deposito realizzato in un luogo idoneo con tutti gli standard di sicurezza ha il merito di superare l'attuale situazione italiana, caratterizzata da circa 20 depositi nucleari di bassa e media intensità sparsi lungo tutta la nostra penisola, cui si aggiungono decine di aree di stoccaggio temporanee. Siti provvisori, che non sono idonei ai fini dello smaltimento definitivo;

    già nel giugno 2014 l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), rendeva nota la Guida tecnica n. 29 «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività», elaborati stalla base degli standard dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), mediante la quale sono stati individuati i requisiti fondamentali e gli elementi di valutazione che devono essere tenuti in conto da parte della Sogin s.p.a., per la definizione della proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) poi validata da Isin;

    la Carta delle aree potenzialmente idonee è stata per diversi anni volutamente tenuta segreta; impedendo così, perlomeno alle istituzioni locali e centrali, di poter essere messe a conoscenza, sia pure in via preliminare, dei territori individuati dalla medesima Sogin per la realizzazione del medesimo deposito nazionale;

    l'elenco delle aree potenzialmente idonee era pronto dal 2015, e i Governi Renzi, Gentiloni, Conte 1 e l'attuale Governo, per oltre un anno, hanno perso anni di tempo prezioso per far partire la procedura per scegliere il luogo dove costruire in sicurezza il deposito nazionale nucleare;

    la Carta nazionale è infatti a disposizione dei Ministeri da oltre 5 anni. Come dichiarava il rappresentante del Governo pro tempore il 30 settembre 2015, in risposta ad una interrogazione (n. 5-06515) presentata alla Camera, «il 20 luglio 2015 la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee è pervenuta agli uffici dei Ministeri competenti (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dello sviluppo economico) che si sono immediatamente messi al lavoro perché possano essere compiute al più presto le valutazioni necessarie al fine di comunicare il nulla osta alla pubblicarne della Cnapi»;

    nel marzo 2018, l'allora Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, prometteva che avrebbe pubblicato a giorni il decreto per la Carta nazionale per le aree potenzialmente idonee al deposito nucleare di superficie. Così non è stato;

    il 30 dicembre 2020, così come previsto dall'articolo 27, comma 3, del citato decreto legislativo n. 31 del 2010, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, hanno finalmente dato il proprio nulla osta alla società Sogin s.p.a., la società di Stato incaricata del decommissioning degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, per la pubblicazione sul sito internet della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) ad ospitare il deposito nazionale di scorie radioattive per conservare in via definitiva i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività;

    il 5 gennaio 2021, la Sogin s.p.a. ha conseguentemente provveduto a pubblicare sul sito www.depositonazionale.it la suddetta Carta nazionale, dove vengono individuate 67 aree che, in base ai criteri di esclusione stabiliti nella guida tecnica 29, sono tutte equivalenti tra di esse per garanzia di sicurezza, ma presentano differenti gradi di priorità a seconda delle diverse caratteristiche logistiche e territoriali;

    la suddetta pubblicazione della Cnapi, ha dato di fatto l'avvio alla fase di consultazione dei documenti per la durata di due mesi, all'esito della quale si terrà, nell'arco dei quattro mesi successivi, il seminario nazionale a cui parteciperanno vari soggetti tra cui Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione), enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università, enti di ricerca, portatori di interesse qualificati;

    alla luce dello stato di emergenza sanitaria conseguente alla drammatica pandemia da Sars-CoV-2 in atto, i suddetti tempi di consultazione pubblica e di confronto tra i tanti portatori di interesse, previsti dal suddetto decreto legislativo n. 31 del 2010, rischiano di risultare inadeguati ed estremamente stretti, proprio perché l'attuale stato di emergenza sanitaria sta comportando tra l'altro fortissime restrizioni della normale attività amministrativa, economica, sociale ed individuale, oltre a gravi evidenti ripercussioni sulla salute delle persone, alla tenuta dei posti di lavoro e alla crisi del sistema produttivo;

    attualmente l'iter prevede un dibattito pubblico e quindi una fase successiva che vedrà la partecipazione di enti territoriali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, per approfondire tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere. Dopodiché saranno necessari almeno 4 anni per costruire il deposito e parco tecnologico;

    in base alle osservazioni e alla discussione nel seminario nazionale, la Sogin elaborerà una proposta di Cnai (Carta nazionale delle aree idonee). Questa fase prevede che il Ministero dello sviluppo economico approvi, su parere tecnico dell'ente di controllo Isin, la versione definitiva della Cnai, che sarà il risultato dell'applicazione dei criteri di localizzazione e dei contributi emersi e concordati nelle diverse fasi della consultazione pubblica. Pubblicata la Cnai, la Sogin provvederà a raccogliere le manifestazioni di interesse da parte delle regioni e degli enti locali nei cui territori ricadono le aree idonee;

    le 67 aree potenzialmente idonee individuate per ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sono situate in diverse province delle regioni Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia, e sono state individuate senza alcuna comunicazione e coinvolgimento delle amministrazioni locali interessate che hanno appreso tutto dalla stampa nazionale. La Cnapi individua 8 aree nella regione Piemonte; 24 aree complessive nelle regioni Toscana e Lazio; 17 nelle regioni Basilicata e Puglia, 14 nella regione Sardegna e 4 aree nella regione Sicilia;

    vale peraltro la pena chiedersi se, riguardo alle regioni Sardegna e Sicilia, sia stato preso in debita considerazione il rischio connesso al trasferimento via nave delle scorie radioattive;

    vale ricordare che attualmente il Piemonte, che conta 8 siti potenziali di cui 7 definiti «molto buoni – A1» e 1 definito «buono – A2»: due in provincia di Torino e sei in provincia di Alessandria, già oggi è la regione depositaria del maggior numero di scorie radioattive. Se si prendesse come riferimento l'indice di radioattività dei rifiuti (che è alla base delle compensazioni economiche erogate dal Cipe per i comuni sede e confinanti con impianti di questo tipo e che rappresenta l'indicatore internazionalmente utilizzato), per il Piemonte la soluzione di un deposito unico nazionale – alla quale corrisponderebbe il completo recupero ambientale e socioeconomico delle aree che attualmente ospitano i rifiuti radioattivi – rappresenterebbe finalmente un importante miglioramento della situazione esistente: da più di trent'anni, infatti, all'interno dei suoi sei depositi sono stoccati rifiuti i nucleari che arrivano al 74 per cento rispetto all'indicatore di radioattività (circa 2,3 milioni di Gigabequerel, su un totale di circa 3,1 milioni in Italia), quasi totalmente stoccati nell'area Eurex di Saluggia, in una zona esondabile per la contiguità con il letto del fiume Dora Baltea e nei pressi delle falde acquifere che alimentano i pozzi dell'Acquedotto del Monferrato (che eroga il servizio idrico a 107 comuni piemontesi, principalmente delle province di Asti e Alessandria, con una piccola quota di comuni della città metropolitana di Torino);

    una situazione precaria e pericolosa che dura da anni, e simile, seppur in misura maggiore, a quelle tante strutture (circa 20) sparse sul territorio nazionale in cui si producono e/o si stoccano rifiuti radioattivi, a cui solo il deposito nazionale può finalmente porre rimedio. Da qui la necessità ineludibile di realizzare il deposito nazionale per la messa in sicurezza definitiva dei rifiuti radioattivi, oggi stoccati all'interno di decine di depositi temporanei presenti nel Paese,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per prorogare per lo stretto necessario, alla luce della grave pandemia in atto, i tempi attualmente previsti dalla normativa vigente per il dibattito pubblico e il seminario nazionale, anche valutando di prevedere che dette scadenze partano dal termine dello stato di emergenza;

2) a garantire, al netto dell'eventuale suddetta breve proroga dei termini conseguente all'emergenza sanitaria, il pieno rispetto dei tempi previsti per la realizzazione del deposito unico nazionale e quindi per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, evitando di ripetere l'atteggiamento, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, colpevolmente dilatorio che ha caratterizzato in questi anni i Governi che si sono succeduti e che non ha consentito l'avvio dell'iter per la realizzazione del medesimo deposito nazionale;

3) a garantire che tutta la documentazione pubblicata sul sito internet sia effettivamente completa ed aggiornata, e comprenda tutta quella disponibile presso le sedi della Sogin s.p.a. e le altre sedi delle ex centrali nucleari elencate nell'avviso pubblico della Sogin e pubblicato sul sito depositonazionale.it;

4) a tenere aggiornate e a informare le Commissioni parlamentari competenti sugli sviluppi dell'iter che porterà all'individuazione del sito per il deposito nazionale e del parco tecnologico, nonché riguardo all'individuazione dei previsti benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere;

5) a definire e quantificare le risorse e i benefici economici per gli enti e le comunità residenti nel territorio dove sarà localizzato il deposito nazionale;

6) ad assumere iniziative per garantire un'adeguata indennità per i proprietari dei terreni sui quali sarà realizzato il parco tecnologico a valori di mercato che tenga anche conto della destinazione edificatoria e produttiva degli stessi;

7) ad adottare iniziative per chiarire e dare una misurazione oggettiva alla definizione di «adeguata» distanza dai centri abitati, relativamente all'individuazione dell'ubicazione del futuro deposito nazionale e parco tecnologico;

8) ad avviare tutte le iniziative utili, di concerto con gli enti territoriali interessati, volte a definire prima della conclusione dell'iter che dovrà portare all'individuazione del deposito definitivo, risorse, modalità e tempi certi relativamente allo smantellamento, alla messa, in sicurezza, alla bonifica completa e al ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale che attualmente ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare;

9) a verificare con Sogin s.p.a. se siano state presi in considerazione nell'elaborazione della Cnapi le aree militari dismesse o in fase di dismissione, o aree destinate a siti produttivi dismessi o in corso di dismissione e, in caso contrario, a richiedere a Sogin s.p.a., senza interrompere o minimamente rallentare l'iter avviato, di effettuare tale verifica, al fine di integrare nella carta eventuali ulteriori siti potenzialmente idonei;

10) ad adottare iniziative per rivedere i criteri attualmente previsti dalla normativa vigente in materia di compensazioni a favore dei siti che attualmente ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare, basati attualmente sui confini amministrativi comunali di cui all'articolo 4 del decreto-legge 314 del 2003, al fine di includere anche il parametro della distanza chilometrica dal sito che ospita i medesimi rifiuti nucleari;

11) ad adottare le opportune iniziative volte a garantire tempi più rapidi nell'erogazione delle suddette compensazioni ai territori interessati.
(1-00418) «Prestigiacomo, Cortelazzo, Barelli, Mazzetti, Baldini, Giacometto, Della Frera, Labriola, Polidori, Ruffino, Squeri, Casino, Torromino, Ferraioli, Porchietto».

(25 gennaio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, ha demandato alla Sogin spa la definizione della proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), ossia l'individuazione delle aree con le caratteristiche che corrispondono sia ai criteri di localizzazione definiti dall'ex Ispra, oggi Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, nella guida tecnica n. 29, che ai requisiti indicati nelle linee guida Iaea (International Atomic Energy Agency);

    la guida tecnica n. 29, «per aree potenzialmente idonee» ha indicato i criteri di esclusione e le caratteristiche favorevoli alla individuazione di siti in grado di risultare idonei alla localizzazione del deposito attraverso indagini tecniche specifiche e sulla base degli esiti di analisi di sicurezza condotte tenendo conto delle caratteristiche progettuali della struttura del deposito;

    la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) con tutta evidenza deve costituire un percorso condiviso, partecipato e trasparente che porterà a individuare il sito unico a livello nazionale, dove realizzare il deposito nazionale e parco tecnologico;

    il 5 gennaio 2021, la Sogin s.p.a. ha elaborato e conseguentemente provveduto a pubblicare sul sito www.depositonazionale.it la Carta nazionale, validata da Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) e dai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. La sua pubblicazione, è stata autorizzata con il nulla osta ministeriale del 30 dicembre 2020, insieme a quella del progetto preliminare del deposito nazionale e parco tecnologico, attraverso la quale vengono individuate 67 aree che, in base ai criteri di esclusione stabiliti nella Guida tecnica 29, sono tutte equivalenti tra di esse per garanzia di sicurezza, ma presentano differenti gradi di priorità a seconda delle diverse caratteristiche logistiche e territoriali;

    con la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee si è aperta ufficialmente la fase di consultazione pubblica, un primo passo per procedere alla scelta del sito, unico nazionale, idoneo per ospitare il deposito;

    critiche alla definizione dei 67 siti sono state espresse dalle regioni, dai comuni, dalle province nonché da associazioni e comitati, critiche non solo riguardanti le scelte dei siti in elenco ma anche le modalità, i criteri e le procedure nella scelta dei siti;

    inizialmente dal giorno della pubblicazione della stessa erano previsti dall'articolo 27 del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, al comma 3, 60 giorni per poter presentare le osservazioni e, dal comma 4 del citato articolo, entro 120 giorni dal termine delle osservazioni si doveva promuovere il seminario nazionale;

    i termini che erano originariamente previsti sono stati portati, attraverso modifiche all'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, con il decreto-legge «milleproroghe», convertito dalla legge 26 febbraio 2021, n. 2, al comma 3, da sessanta giorni a centottanta giorni e, al comma 4, da centoventi giorni a duecentoquaranta giorni;

    al fine di massimizzare le ricadute socio-economiche, occupazionali e culturali conseguenti alla realizzazione del parco tecnologico, è riconosciuto al territorio circostante il sito un contributo di natura economica. Tale contributo è destinato per il 10 per cento alla provincia o alle provincie nel cui territorio è ubicato il sito, per il 55 per cento al comune nel cui territorio è ubicato il sito e per il 35 per cento ai comuni limitrofi in un'area compresa nei 25 chilometri dal sito destinato a tale parco;

    per le persone residenti e le imprese operanti all'interno di un'area ricompresa entro i 20 chilometri dal centro dell'edificio del deposito saranno gli enti locali a dover riversare una percentuale di quanto avuto come beneficio attraverso una corrispondente riduzione del tributo comunale sui rifiuti o altre misure analoghe;

    dalla lettura della Cnapi, redatta dalla Sogin, si intravedono delle incongruenze che si riferiscono al metodo utilizzato per individuare i 67 siti, con una interpretazione dei criteri definiti da Isin, tenuto conto che sono indicati siti riconosciuti come patrimonio dell'umanità dall'Unesco, ma anche siti di pregio agricolo o ad alto rischio sismico;

    desta perplessità, nonché dubbi di trasparenza, l'aver inserito tra i criteri di valutazione quello della distanza autostradale e ferroviaria che ha avuto come conseguenza, ad esempio, l'inserimento nella Cnapi di numerosi siti idonei in Piemonte, che conta 8 siti di cui 7 classificati A1, quindi molto buoni, e 1 classificato A2, quindi buono, due in provincia di Torino e sei in provincia di Alessandria che conquista il «primato» con sei siti dei quali cinque in fascia A1;

    Sogin non ha, inoltre, ritenuto di prendere in considerazione candidature di comuni che hanno dato la disponibilità a realizzare nel proprio territorio il sito unico, per il solo fatto che non figurano nell'elenco predisposto, mentre sarebbe auspicabile nel percorso partecipativo prendere in considerazione comuni e comunità locali che fossero disponibili ad accogliere il sito sul proprio territorio,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per garantire la piena trasparenza sia nei criteri che nelle procedure di individuazione del sito sul quale sarà realizzato il deposito nazionale e l'annesso parco tecnologico;

2) ad adottare iniziative per chiarire e fornire una chiara indicazione su cosa si intenda per adeguata distanza dai centri abitati, al fine della individuazione trasparente dell'ubicazione del deposito nazionale e parco tecnologico;

3) ad adottare iniziative per valutare le candidature da parte di amministrazioni comunali per la realizzazione del deposito nazionale e parco tecnologico anche non presenti nella Cnapi qualora in possesso di requisiti e caratteristiche che le rendono idonee e, a tal fine, a prevedere la possibilità di integrazione e aggiornamento della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee;

4) ad escludere dalla lista della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee le aree di alto pregio agricolo, quelle definite dall'Unesco «Patrimonio dell'umanità» nonché le zone di rispetto (buffer zone), dei siti Unesco;

5) ad adottare iniziative per inserire, nei parametri di valutazione ai fini dell'individuazione di siti in grado di risultare idonei alla localizzazione del deposito nazionale e parco tecnologico, l'indice di pressione ambientale calcolato a livello dei comuni nel raggio di 20 chilometri;

6) ad adottare iniziative per escludere dai criteri per l'individuazione delle aree potenzialmente idonee il criterio della distanza autostradale e ferroviaria;

7) ad informare dettagliatamente i cittadini e le competenti commissioni parlamentari sui criteri e sulle procedure adottate per la definizione dei 67 siti inseriti nella Cnapi nonché a pubblicare sul sito della Sogin tutta la documentazione acquisita al fine di definire la lista dei 67 siti pubblicata il 5 gennaio 2021.
(1-00429) «Fornaro, Bersani, Conte, De Lorenzo, Epifani, Fassina, Palazzotto, Pastorino, Stumpo».

(10 marzo 2021)

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