TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 500 di Martedì 4 maggio 2021

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN RELAZIONE AL NUOVO QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI INADEMPIENZA BANCARIA E CREDITI DETERIORATI

   La Camera,

   premesso che:

    il 1° gennaio 2021 sono entrate in vigore le nuove norme in materia di inadempienza bancaria dettate dall'Eba – European banking Authority – l'Autorità bancaria europea (EBA/GL/2016/07 e EBA/RTS/2016/06), che introducono soglie più restrittive ed accentuano la prociclicità, accrescendo i crediti deteriorati;

    le esposizioni verso una banca o un intermediario finanziario sono classificate come deteriorate se il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni consecutivi (180 giorni per le amministrazioni pubbliche) e, al contempo, l'obbligazione è considerata rilevante, ovverosia abbia superato una prefissata soglia di materialità; dal 1° gennaio 2021 tale soglia è diventata, per l'appunto, più stringente, comportando una nuova nozione di default o «credito deteriorato» che individua lo stato di inadempienza di un cliente verso la banca;

    nello specifico, il nuovo quadro normativo prevede che la classificazione a «default» avvenga automaticamente quando un debito scaduto considerato rilevante superi tutte e due le soglie previste dal regolamento, ovvero:

     a) la soglia assoluta di 100 euro per le esposizioni al dettaglio e di 500 euro per le esposizioni diverse da quelle al dettaglio;

     b) la soglia relativa dell'1 per cento dell'esposizione verso una controparte;

    allorquando, dunque, lo sconfinamento supera la soglia di rilevanza, vale a dire superi contemporaneamente entrambe le soglie a) e b) testé citate, e si protragga per oltre 90 giorni consecutivi, è automatica la classificazione in default, con la conseguenza che il cliente correntista finirebbe nella categoria di cattivo pagatore e tutta la sua esposizione verso la banca verrebbe etichettata come «non performing loan» (npl); soltanto dopo ulteriori 90 giorni consecutivi di «buon stato di salute» il correntista ritorna «in bonis»;

    indubbiamente l'entrata in vigore della nuova disciplina è coincisa con un periodo di incertezza economica legata alla pandemia da COVID-19 e proprio in considerazione del periodo di difficoltà economica si rilevano una serie di criticità, che vanno affrontate per evitare una restrizione dell'offerta di credito, assolutamente deleteria nel contesto attuale, ed impatti sociali sulle famiglie e sulle imprese; sarebbe auspicabile pertanto un intervento per modificare e adattare temporalmente la normativa per garantire il massimo supporto all'economia reale e la tenuta del tessuto produttivo;

    altra novità rispetto al passato riguarda le compensazioni tra diverse esposizioni del debitore verso la banca e la possibilità – un tempo consentita – di compensare gli importi scaduti con le linee di credito aperte e non utilizzate (cosiddetti margini disponibili); tale eventualità non è più ammessa e dal 1° gennaio 2021 è necessario, in questi casi, che il debitore si faccia parte attiva utilizzando eventuali margini disponibili per far fronte al pagamento scaduto;

    Unimpresa prevede un quadro allarmante per i risparmiatori italiani, sottolineando il pericolo di un improvviso arresto a tutta una serie di pagamenti e la criticità «per molti artigiani, commercianti, piccoli imprenditori e anche per molte famiglie di non poter più usufruire di quelle piccole forme di flessibilità che, specie in questa fase così critica a causa degli effetti economici della pandemia COVID-19, sono fondamentali per far fronte ai pagamenti di utenze o altri adempimenti, come gli stipendi e i contributi previdenziali, le rate di finanziamenti e mutui»;

    si registrano protesta e preoccupazione unanime da parte di molte associazioni di categoria (Confartigianato, Alleanza delle cooperative italiane, Casartigiani, Cia agricoltori italiani, Claai, Cna, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confcommercio, Confedilizia, Confesercenti, Confetra, ConfimiIndustria, Confindustria), che, in una lettera alle istituzioni europee inviata congiuntamente e unanimemente nel mese di dicembre 2020, hanno avanzato la richiesta di intervenire urgentemente su alcune norme in materia bancaria che, pensate in un contesto completamente diverso da quello attuale e caratterizzate da un eccesso di automatismi, rischiano di compromettere irrimediabilmente le prospettive di recupero dell'economia italiana ed europea;

    i timori, peraltro, non riguardano solo l'eventuale blocco dei depositi bancari, bensì anche gli effetti sulle concessioni di prestiti e sulla necessità di liquidità per molte imprese, partite Iva, famiglie;

    è evidente l'alto rischio di una fortissima stretta al credito, quale inevitabile conseguenza delle segnalazioni alla centrale rischi e della riclassificazione degli affidamenti della clientela in caso di piccoli sconfinamenti;

    la classificazione di un'impresa in stato di default, difatti, anche in relazione ad un solo finanziamento, comporta il passaggio in default di tutte le esposizioni nei confronti della banca, con probabili ripercussioni negative anche su altre imprese ad essa economicamente collegate ed esposte nei confronti del medesimo intermediario finanziario;

    la Banca d'Italia, dal canto suo, ha emesso una nota e pubblicato una sezione di Faq sul proprio sito, ove ha precisato che i nuovi requisiti, sebbene più stringenti, non introducono un vero e proprio divieto per gli istituti bancari e intermediari finanziari sullo sconfinamento oltre la disponibilità presente sul conto corrente, ovvero oltre il limite dell'eventuale fido, giacché la possibilità di sconfinare non è un diritto del cliente, bensì una facoltà concessa dalla banca e che le nuove regole non modificano la sostanza delle segnalazioni alla centrale dei rischi, poiché riguardano esclusivamente il modo in cui le banche e gli intermediari finanziari devono classificare i clienti a fini prudenziali, ossia ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali;

    tale nota di Banca d'Italia, tuttavia, non elimina completamente il timore che le banche nel momento in cui cambia per loro il modo di classificare i clienti, ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali, possano avere un diverso approccio di trattamento dei propri clienti medesimi rispetto al passato, stante che la condizione di default sarà per la banca sinonimo di cattiva qualità del credito e rifletterà negativamente sul relativo costo;

    si segnala la posizione dell'Abi – Associazione bancaria italiana che, per il tramite di un articolo di stampa a firma del suo vicepresidente, ha tenuto a ribadire la propria contrarietà al nuovo quadro normativo sin dal 2015, quando le nuove regole erano state proposte;

    all'uopo si evidenzia che le stesse nuove regole sono state formalizzate nel 2019, vale a dire in uno scenario ben diverso dal contesto socio-economico attuale, caratterizzato da una forte crisi economica ed occupazionale per effetto dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 tuttora in corso; se dunque le medesime regole potevano già essere penalizzanti in un contesto economico di «normalità», a maggior ragione diventano oltremodo nuocenti in una fase post pandemica in cui per la ripresa è inevitabilmente necessaria maggiore semplicità e facilità di accesso al credito;

    nella lettera inviata dall'Abi il 15 marzo 2021 alle istituzioni europee e a quelle italiane, è stato espressamente richiesto di continuare a garantire liquidità alle imprese e ottimizzare l'attuale disciplina del Temporary framework sugli aiuti di Stato in relazione all'evoluzione della situazione. In particolare: «Il prolungarsi della crisi sanitaria determinata dalla diffusione del COVID-19 continua a incidere negativamente sulle attività di impresa e allontana per molte di esse la ripresa. Tale grave situazione ha evidenti rilevanti impatti non solo economici e sociali. È quindi ancora fondamentale sostenere le imprese, evitando che esse perdano capacità produttiva (...) In particolare, con riferimento al tema della liquidità, è necessario che le banche possano accordare alle imprese e alle famiglie nuove moratorie di pagamento dei finanziamenti e prorogare le moratorie in essere, senza l'obbligo di classificazione del debitore in forborne o, addirittura, in default secondo la regolamentazione europea in materia, riattivando la flessibilità che l'Eba aveva concesso alle banche europee all'inizio della crisi economica. (...) È necessario estendere la garanzia pubblica da sei anni a non meno di quindici anni. Ciò consentirebbe alle imprese di diluire il proprio impegno finanziario su un arco di tempo più lungo, avendo a disposizioni maggiori risorse per affrontare la fase della ripresa con successo»;

    è indubbio che il grande shock economico e sociale provocato dalla pandemia ed il conseguente coinvolgimento delle banche europee per sostenere famiglie e imprese in questo particolare momento, mediante moratorie, prestiti ed altri tipi di assistenza finanziaria correlata all'emergenza COVID-19, abbia sottolineato l'importanza di garantire non soltanto un certo volume di credito, ma anche una certa flessibilità al credito medesimo e, a tal fine, sospendere, allentare o ricalibrare, almeno temporaneamente, la nuova regolamentazione sui non performing loan, la cui attuale rigidità rischia una massa di non performing loan, per la spaventosa cifra di 1.400 miliardi di euro nell'Unione europea;

    ad evidenza che le decisioni operative dell'Eba non sempre risultano essere uniformi al proprio mandato di vigilanza finanziaria, si rammentano le recenti dichiarazioni dell'avvocato generale della Corte di giustizia dell'Unione europea, secondo cui la Corte medesima dovrebbe dichiarare invalidi gli orientamenti Eba sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio, avendo l'Eba agito al di fuori dei suoi poteri;

    da ultimo, la Ministro della giustizia, illustrando presso la Commissione giustizia alla Camera dei deputati le linee guida del suo Ministero, ha sottolineato che per contrastare la possibile esplosione del contenzioso civile legato agli squilibri generati dagli effetti economici della pandemia la giustizia preventiva e consensuale rappresenta una strada necessaria, quando cesseranno gli effetti dei provvedimenti che bloccano controversie relative all'esecuzione di sfratti, licenziamenti e contratti commerciali. La stessa Ministra della giustizia si è detta favorevole a «misure alternative di risoluzione delle controversie, come mediazione, negoziazione e conciliazione (...) offrendo al giudice la possibilità di incoraggiare misure alternative (...)», anche attraverso misure premiali,

impegna il Governo:

1) ad adottare con urgenza ogni utile iniziativa di competenza volta a sostenere l'incremento di offerta di credito a beneficio di famiglie, imprese e partite Iva nel 2021 rispetto al 2020;

2) a promuovere, in raccordo con gli istituti creditizi, una capillare campagna informativa sulla mutata normativa europea;

3) a promuovere l'attuazione di politiche a livello comunitario che concorrano al progressivo riassorbimento dei debiti determinati dalla pandemia, anche attraverso il rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese non finanziarie e anche con riferimento alle filiere che caratterizzano il tessuto produttivo italiano;

4) ad adottare iniziative per verificare con le competenti istituzioni europee la possibilità di modificare il Temporary framework sugli aiuti di Stato al fine di estendere la durata del limite temporale per gli aiuti sotto forma di garanzia sui prestiti a quindici anni dagli attuali sei;

5) ad adottare iniziative per continuare ad assicurare liquidità alle imprese e garantirne la solvibilità sino al termine dell'emergenza e, comunque, a prorogare fino al 31 dicembre 2021:

   a) la moratoria in favore delle micro, piccole e medie imprese relativamente all'apertura di credito e concessione di prestiti non rateali o prestiti e finanziamenti a rimborso rateale, nonché l'operatività dell'intervento straordinario in materia di garanzie erogate dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese a supporto della liquidità delle piccole e medie, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 23 del 2020;

   b) l'operatività del Fondo patrimonializzazione piccola media impresa, di cui all'articolo 26 del decreto-legge n. 34 del 2020, valutando altresì la possibilità di abbassare le soglie di accesso al Fondo da 5-10 milioni a 2 e 5 milioni di euro;

   c) l'operatività delle disposizioni di cui all'articolo 32 del decreto-legge n. 34 del 2020 in materia di Garanzia cartolarizzazione sofferenze – Gacs;

6) ad adottare iniziative per verificare la possibilità di prorogare il termine del periodo transitorio, attualmente fissato al 31 dicembre 2021, entro il quale agli intermediari finanziari non appartenenti a gruppi bancari è consentita l'applicazione dei criteri antecedenti la nuova disciplina per la classificazione a default dei crediti;

7) a farsi promotore, in sede europea, di un'ulteriore iniziativa volta a disapplicare la disciplina del backstop prudenziale per un periodo di due anni, al fine di evitare il rischio di prociclicità dell'erogazione del credito in una fase ciclica ancora così debole;

8) ad adottare iniziative per eliminare alla radice il motivo principale generante l'accumulazione di non performing loan, stante la situazione di perdurante lockdown, causa pandemia, la conseguente attività ridotta o ferma di molti tribunali civili, con posticipo e ritardi delle procedure di esecuzione delle garanzie, e il correlato rischio di una crescita esponenziale della crisi economica, dei fallimenti di imprese e della perdita di posti di lavoro;

9) ad assumere ogni utile iniziativa di competenza, in tutte le sedi opportune, quanto meno per le banche meno significative soggette alla vigilanza delle competenti autorità nazionali, finalizzata – come consentito dal regolamento delegato (UE) 171/2018 – a fissare una soglia di rilevanza relativa superiore all'1 per cento e comunque non superiore al 2,5 per cento;

10) a mettere in atto ogni iniziativa volta ad incentivare, anche attraverso l'adozione di iniziative per introdurre misure fiscali ad hoc, soluzioni di mercato e su base volontaristica volte a favorire la gestione dei crediti in sofferenza, nonché accordi transattivi tra debitori e banche, anche al fine di ridurre gli effetti restrittivi sull'offerta di credito derivanti dal «calendar provisioning»;

11) ad adottare iniziative di competenza per raccordarsi con le autorità preposte alla vigilanza nazionale ed europea – pur nel rispetto dei relativi ruoli – al fine di garantire la piena tutela finanziaria sia delle imprese che dei piccoli risparmiatori, nonché, con riguardo ad un allentamento delle regole sugli aiuti di Stato e alla sospensione della nuova disciplina in materia di non performing loan, di cui ai precedenti capoversi 3) e 8), a mettere in atto ogni iniziativa che consenta di contenere l'aumento del gap tra l'Italia e gli altri Paesi europei, attraverso un periodico scambio di informazioni con le istituzioni vigilanti italiane ed europee, e che consenta altresì di intervenire tempestivamente allorquando si profilino processi di deterioramento degli equilibri aziendali tali da fare presagire la manifestazione di crisi bancarie irreversibili.
(1-00413) (Ulteriore nuova formulazione) «Bitonci, Boccia, Martinciglio, Pettarin, Librandi, Pastorino, Angiola, Centemero, Ubaldo Pagano, Baldelli, Cantalamessa, Fragomeli, D'Ettore, Cavandoli, Buratti, Squeri, Covolo, Giacometto, Gerardi, Barelli, Gusmeroli, Torromino, Alessandro Pagano, Baldini, Ribolla, Porchietto, Zennaro, Polidori, Tarantino, Ruocco, Cancelleri, Adelizzi».

(7 gennaio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    dal 1° gennaio 2021 sono in vigore le nuove regole in base alle quali le banche classificano in stato di default prudenziale i debitori, previste dal regolamento delegato (UE) n. 171/2018 della Commissione europea del 19 ottobre 2017, che individua la soglia di rilevanza delle obbligazioni creditizie in arretrato, riducendo sensibilmente – dal 5 all'1 per cento – la cosiddetta soglia relativa;

    il regolamento delegato (UE) 2018/171 stabilisce che un'esposizione creditizia scaduta va considerata rilevante quando l'ammontare dell'arretrato supera entrambe le seguenti soglie: la cosiddetta soglia assoluta, fissata in 100 euro per le esposizioni al dettaglio e 500 euro per le esposizioni diverse da quelle al dettaglio, e la cosiddetta soglia relativa, fissata all'1 per cento dell'esposizione complessiva verso una controparte;

    superate entrambe le soglie, prende avvio il conteggio dei novanta giorni consecutivi di scaduto oltre i quali il debitore è classificato in stato di default, che permarrà per almeno ulteriori novanta giorni a far data dal momento in cui il cliente regolarizza verso la banca l'arretrato di pagamento e/o rientra dallo sconfinamento di conto corrente;

    in base alle nuove regole è anche previsto il blocco dei pagamenti con addebito diretto sul conto corrente nel caso in cui il cliente, sia esso un'impresa o una famiglia, non abbia adeguata disponibilità, rendendo, di conseguenza, il cliente «moroso» nei confronti del titolare della domiciliazione bancaria;

    è opportuno, inoltre, ricordare che le nuove regole si applicano singolarmente a ciascuno dei rapporti di credito con la banca e, pertanto, uno sconfinamento su un conto potrebbe condurre alla classificazione in default anche in presenza di giacenze su altri rapporti presso il medesimo istituto;

    la nuova definizione di default non modifica nella sostanza i criteri sottostanti alle segnalazioni alla Centrale dei rischi, utilizzate dagli intermediari nel processo di valutazione del «merito di credito» della clientela, ma può avere riflessi sulle relazioni creditizie fra gli intermediari e la loro clientela, la cui gestione, come in tutte le situazioni di default, può comportare l'adozione di iniziative per assicurare la regolarizzazione del rapporto creditizio;

    l'Associazione bancaria italiana, Unimpresa e altre associazioni di imprese e consumatori hanno fatto presente che sin dal momento in cui nel 2015 sono state avviate da parte dell'autorità bancaria europea le attività dirette alla definizione delle nuove regole in materia di default, erano emerse in modo evidente, nelle risposte alle consultazioni pubbliche, l'eccessiva rigidità delle soglie indicate, le potenziali ricadute negative e i rischi connessi all'eventuale applicazione delle nuove regole;

    ora, con la vigenza delle nuove norme, sia per le famiglie che per le piccole e medie imprese c'è il rischio concreto non solo di un'improvvisa mancanza di piccola liquidità, derivante dallo «stop» improvviso ai conti in rosso, ma anche di una significativa stretta al credito, oltre al fatto che l'entrata in vigore dei nuovi parametri può avere comportato una condizione di insolvenza per le imprese anche laddove la situazione debitoria sia rimasta invariata;

    secondo una stima di Confesercenti effettuata rispetto ai dati dell'ultimo trimestre del 2020, le piccole e medie imprese a rischio di default a causa delle nuove regole ammonterebbero a quarantaduemila, un numero enorme che avrà conseguenze drammatiche anche in termini occupazionali;

    nella sua audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, svolta il 10 febbraio 2021, il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha affermato che «maggiori margini di flessibilità nell'applicazione delle regole prudenziali, anche in materia di crediti deteriorati, sono stati introdotti negli ultimi mesi; altri se ne possono individuare. È tuttavia essenziale che essi non mettano in discussione la capacità delle banche di finanziare adeguatamente l'economia, in particolare nella fase complessa dell'uscita dall'emergenza sanitaria»;

    in merito all'entrata in vigore della nuova disciplina, inoltre, Visco ha evidenziato come questa sia «coincisa con un periodo di incertezza economica legata alla pandemia da COVID-19. A fronte dell'impossibilità di posporre la sua applicazione a causa della mancanza di sostegno da parte degli altri Paesi europei, nei quali in molti casi già si applicavano criteri più severi rispetto a quelli in vigore in Italia, la Banca d'Italia ha utilizzato le leve a sua disposizione per facilitare, nell'attuale quadro congiunturale, la transizione al nuovo regime. Per gli intermediari finanziari non appartenenti a gruppi bancari e per i gruppi finanziari è stato previsto un periodo transitorio in base al quale alcuni dei criteri antecedenti la nuova norma rimangono in vigore fino al 31 dicembre 2021»;

    le nuove regole europee sul debito si risolveranno in un ulteriore aggravio della condizione patrimoniale di cittadini e imprese, già duramente colpiti dalla pandemia, e, in ultima analisi, incideranno in maniera molto negativa sulla stabilità dell'intero sistema economico e produttivo nazionale;

    dopo anni in cui il rapporto tra nuovi non performing loans (npl) e totale dei prestiti era rimasto su valori molto bassi, attorno all'1 per cento, contro i picchi attorno al 6 per cento registrati nel 2009 e nel 2013, e in un momento in cui i bilanci bancari non hanno ancora risentito in misura significativa della crisi pandemica, si teme ora una nuova ondata di crediti deteriorati;

    sinora infatti, l'aumento dei crediti deteriorati è stato contenuto da diversi fattori: in primo luogo i crediti deteriorati si manifestano fisiologicamente con un certo ritardo rispetto alle difficoltà dell'economia; inoltre, le moratorie – sia quelle ex lege sia quelle concesse autonomamente dalle banche – e l'offerta di garanzie pubbliche sui prestiti hanno evitato la trasmissione dello shock al credito e ai tassi di interesse; in terzo luogo, hanno contribuito le misure di politica economica – il sostegno ai redditi delle famiglie e all'attività di impresa – grazie alle quali il reddito disponibile si è contratto meno del prodotto interno lordo; infine, le misure espansive di politica monetaria poste in essere dalla Banca centrale europea hanno mantenuto i tassi d'interesse su livelli molto bassi, contenendo l'aumento delle spese per interessi di famiglie e imprese;

    i dati riferiti alla prima metà del 2020 evidenziano la mancata riduzione dei crediti non performanti dovuta principalmente alla riduzione delle vendite di crediti deteriorati e all'attività di ristrutturazione delle banche, nonché alle nuove insolvenze;

    all'aumento dei crediti deteriorati le banche risponderanno molto probabilmente con una nuova stretta creditizia, che rischia di infliggere il colpo di grazia a migliaia di lavoratori e ad aziende in sofferenza;

    in Italia la principale causa delle difficoltà nella riduzione dei crediti deteriorati è da rintracciare nei ritardi della giustizia civile, sia per quanto riguarda il recupero dei crediti, sia per quanto riguarda il rapido avvio delle procedure di ristrutturazione d'impresa — che si tradurrebbero anche in maggiore produzione e occupazione, sia rispetto alle procedure per la fissazione del prezzo offerto dagli acquirenti di crediti deteriorati nelle operazioni di cessione;

    nella lettera inviata il 15 marzo 2021 al Governo e al Governatore della Banca d'Italia, l'Associazione bancaria italiana ha evidenziato che «il prolungarsi della crisi sanitaria determinata dalla diffusione del COVID-19 continua a incidere negativamente sulle attività di impresa e allontana per molte di esse la ripresa. Tale grave situazione ha evidenti rilevanti impatti non solo economici ma anche sociali (...) In questa difficile congiuntura, è quindi ancora fondamentale sostenere le imprese, evitando che esse perdano capacità produttiva in vista della soluzione della pandemia, attraverso lo sviluppo della campagna vaccinale nei Paesi membri dell'Unione europea (...). In particolare, con riferimento al tema della liquidità, è necessario che le banche possano accordare a famiglie e imprese nuove moratorie di pagamento dei finanziamenti e prorogare le moratorie in essere, senza l'obbligo di classificazione del debitore in forborne o, addirittura, in default secondo la regolamentazione europea in materia, riattivando la flessibilità che l'Eba aveva concesso alle banche europee all'inizio della crisi economica»;

    sono mancate sinora sia campagne di informazione, sensibilizzazione e assistenza ai clienti sulle implicazioni della nuova disciplina, sia l'adozione di misure tese a comprendere il cambiamento in atto al fine di prevenire possibili inadempimenti non connessi con la difficoltà finanziaria dei debitori, con particolar riguardo alla clientela che avrebbe potuto presentare un maggior rischio di classificazione in default in seguito all'entrata in vigore della nuova definizione;

    la Banca d'Italia, resasi conto della scarsità di informazioni e del quadro poco chiaro sulla reale portata delle modifiche alla definizione di default dal punto di vista della clientela, ha adottato una comunicazione rivolta alle banche, agli istituti di credito e agli intermediari finanziari per chiedere agli operatori di adoperarsi per assicurare la piena consapevolezza da parte dei clienti sull'entrata in vigore delle nuove regole e sulle conseguenze relative alle dinamiche dei rapporti contrattuali; il quadro nazionale testimonia, infatti, una situazione nella quale la maggior parte degli utenti non sono stati messi a conoscenza in modo adeguato e con la dovuta tempistica degli avvenuti cambiamenti anche per favorire la comprensione dei possibili effetti dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni;

    il contesto economico dell'economia europea legato alla pandemia in atto è particolarmente critico, nel corso dello svolgimento un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea il 18 novembre 2020, il Ministro dello sviluppo economico affermava di ritenere «più che giustificate e condivise anche dal Governo le preoccupazioni» rispetto all'applicazione dei nuovi parametri;

    il 23 novembre 2020 veniva presentata dai parlamentari europei di Ecr un'interrogazione prioritaria alla Commissione europea per chiedere di rinviare l'entrata in vigore della nuova normativa Eba sui default dei creditori, prevista – come noto – per il 1° gennaio 2021;

    l'ordine del giorno 9/02670-A/023 presentato dal Gruppo Fratelli d'Italia il 1° aprile 2021 nell'ambito dell'esame parlamentare della legge europea, volto a impegnare il Governo «a intraprendere, anche in sede comunitaria, ogni misura necessaria volta a rivedere le nuove regole previste dall'Eba, al fine di scongiurare un ulteriore aggravio delle condizioni di famiglie e imprese, vessate a sufficienza dalla drammatica situazione economica e sociale dovuta alla pandemia», è stato oggetto di una secca bocciatura;

    alla luce di quanto sopra esposto, è quanto meno necessario rinviare alla conclusione della pandemia in atto la nuova regolamentazione che rischierebbe, in piena pandemia, di produrre effetti molto negativi sui risparmiatori e sulle aziende, nonché sul sistema del credito, mentre per contro occorre un sistema bancario espansivo a sostegno della ripresa economica,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative, nelle opportune sedi dell'Unione europea, affinché siano ampliati i parametri stabiliti dall'Autorità bancaria europea, al fine di prevedere piani di ammortamento finanziari più ampi riferiti alle esposizioni, scongiurando l'accumulazione di crediti deteriorati;

2) ad attivarsi nelle sedi competenti rispetto alle problematiche sollevate in premessa e, in particolare, per sostenere il credito a favore delle piccole e medie imprese, e, con esse, una parte fondamentale del tessuto produttivo nazionale;

3) ad assumere le iniziative di competenza affinché le banche e gli istituti di credito assicurino la piena consapevolezza da parte dei clienti sull'entrata in vigore delle nuove regole e sulle conseguenze relative alle dinamiche dei rapporti contrattuali;

4) a valorizzare, anche con apposite iniziative di carattere normativo, la funzione delle banche popolari – che sono nella media le più patrimonializzate e, conoscendo il territorio, quelle caratterizzate da minori sofferenze – sulla cui redditività grava come un macigno la pesantezza degli adempimenti, la maggior parte dei quali pretesi dall'Unione europea e dalle conseguenti norme di recepimento che non paiono rispettare il principio costituzionale europeo di proporzionalità;

5) ad adottare iniziative per tutelare il modello cooperativo di banca – una ricchezza da preservare, nell'interesse prima di tutto dell'economia e di un'economia, in particolare, come quella italiana – atteso che salvaguarda il sistema bancario dalla conquista da parte della finanza internazionale, regolarmente avvenuta dopo la riforma delle banche popolari, con conseguente trasferimento di «fiumi» di risorse in mani estere;

6) a verificare in sede europea la convenienza a costituire bad bank che abbiano come obiettivo principale quello di ripulire i bilanci delle banche dai crediti deteriorati, i cui importi sono destinati ad aumentare in modo esponenziale nei prossimi anni in conseguenza della crisi sanitaria in atto;

7) ad assumere tutte le iniziative necessarie per la riduzione dei tempi della giustizia civile, in particolare attraverso interventi di rafforzamento organizzativo, degli organici e delle dotazioni informatiche, al fine di consentire il rapido smaltimento dei crediti deteriorati in eccesso, evitando che gravino sugli istituti bancari e sul sistema produttivo nel suo complesso;

8) ad adottare iniziative nelle competenti sedi europee per la modifica del Temporary framework, con l'estensione a 15 anni, rispetto agli attuali 6, del limite temporale per gli aiuti di Stato sotto forma di garanzia sui prestiti.
(1-00463) «Lollobrigida, Meloni, Foti, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Deidda, Delmastro Delle Vedove, De Toma, Donzelli, Ferro, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(14 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    diversamente dalle aspettative, il manifestarsi della cosiddetta «terza ondata» della crisi pandemica ha generato la revisione al ribasso dei principali indicatori economici dei Paesi europei, Italia compresa;

    secondo la recente relazione del Centro studi di Confindustria le aspettative del prodotto interno lordo per il 2021 sono crollate dal +4,8 per cento del settembre 2020 all'attuale stima del +4,1 per cento e nella nuova previsione è inclusa una componente dello +0,7 per cento dovuta all'apporto del piano Next generation EU;

    la stessa relazione stima che la crescita, rispetto al 2019, potrà verificarsi solo al termine del 2022, mentre in Germania tale crescita è annunciata già a fine 2021;

    nel documento di economia e finanza 2021, il Governo stima che la crescita programmatica del prodotto interno lordo per il 2021 sia del 4,5 per cento, mentre la crescita tendenziale sia del 4,1 per cento, ipotizzando pertanto che l'impatto della manovra di finanza pubblica e l'apporto del piano Next generation EU sia in grado di aumentare il tasso di crescita del prodotto interno lordo tendenziale di 4 decimi di punto nell'anno in corso. Anche il documento di economia e finanza 2021 riconosce che il prodotto interno lordo nel 2021 non riuscirà a raggiungere il livello del 2019, ma occorrerà aspettare il 2022, quando tale livello sarà raggiunto e superato di alcune decine di miliardi;

    secondo le stime del prodotto interno lordo del documento di economia e finanza la «crescita tendenziale pura» per il 2021 è stimata attualmente al 3,8 per cento contro una stima del 5,1 per cento effettuata ad ottobre 2020, mentre, considerando l'apporto del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del nuovo scostamento in arrivo da 40 miliardi di euro, si prefigura un impatto del 4,5 per cento, a fronte di una previsione che a dicembre 2020 arrivava al 4,1 per cento, con conseguente abbattimento del rapporto deficit/prodotto interno lordo dall'11,8 per cento al 5,9 per cento;

    occorre rilevare che i ritardi delle ratifiche parlamentari dei Paesi dell'Unione europea, in primis in Germania, circa la cosiddetta «Decisione sulle risorse proprie» dell'Unione, presupposto giuridico essenziale per l'emissione dei titoli pubblici europei per finanziare il Next generation EU, pongono un rischio grave sulla tempistica dell'erogazione della prima tranche di risorse europee nel 2021 (pari al 13 per cento del totale), risorse da cui dipende il quadro macroeconomico programmatico stimato dal Governo. Nella migliore delle ipotesi le risorse europee potrebbe essere erogate solo nel quarto trimestre del 2021. Un altro rischio non trascurabile è che le successive tranche di risorse, versabili solo a stato di avanzamento lavori, non possano essere erogate se gli investimenti programmati non saranno effettuati nel nostro Paese nei tempi previsti, a motivo della ben nota scarsa capacità delle amministrazioni pubbliche italiane di attuazione degli investimenti pubblici;

    nel 2020, a fronte di una crescita dei prestiti del 4,1 per cento, indicata nell'ultimo bollettino economico della Banca d'Italia, a cui ha contribuito in maniera rilevante il sistema delle garanzie pubbliche (Sace ed altro), i depositi sono cresciuti del 10,2 per cento ed in particolare quelli delle famiglie del 6,4 per cento. La propensione al risparmio dei «cassettisti» ha la liquidità depositata a quota 1700 miliardi di euro;

    questa prudenza, evidentemente, sconta anche l'incertezza sul fronte del monte salari crollato, per Eurostat del 7,5 per cento rispetto all'1,9 per cento della media europea. L'Italia è non solo tornata indietro di 5 anni, ma fa registrare per il 2020 il dato peggiore dell'Europa a 27 ed i contributi sociali versati dalle imprese, che registrano un –5,24 per cento, sono un indice impietoso dell'aspettativa di reddito futuro;

    la scarsa fiducia degli italiani si sta traducendo nell'immobilizzazione dei capitali, come indica la crescita dei volumi dei depositi dei conti correnti bancari;

    la ripresa italiana sarà probabilmente legata ancora una volta alla locomotiva dell'export, mentre la domanda interna avrà difficoltà a ripartire; la spesa interna per consumi è crollata (dati documento di economia e finanza) del 12,3 per cento;

    il piano del Governo, raccogliendo solo in parte le indicazioni europee, punta sulla digitalizzazione e sulla transizione ecologica, mentre vi sono interi settori tradizionali della piccola e media impresa, microimpresa, come il settore «Ho.Re.Ca.» o attività economiche non organizzate in forma di impresa, che costituiscono l'ossatura dell'economia italiana o comunque un'importante forma di integrazione al reddito, soprattutto in aree del Paese dove non vi è altra possibilità di instaurare fonti di profitto alternative, che sono fermi ormai da 12 mesi o hanno lavorato ad intermittenza; il documento di economia e finanza stima un abbattimento dei consumi (2020/2019) verso alberghi e ristoranti del 40,5 per cento, un dato che fa ripiombare la categoria ai livelli del 1995;

    tale intermittenza ha causato una debolezza finanziaria e la volontà di alienare le attività stesse, favorendo lo «shopping» della criminalità organizzata e il pericolo di spopolamento di aree montane ed isole minori, e difficilmente la teoria della distruzione creatrice schumpeteriana si potrà applicare a queste imprese;

    in questo contesto il quarto rapporto per il 2020 dell'organismo permanente di monitoraggio ed analisi sul rischio di infiltrazione nell'economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso del Ministero dell'interno indica come «l'analisi operata dalla Guardia di finanza e dalla Direzione investigativa antimafia sulle segnalazioni di operazioni sospette (sos) ha evidenziato un significativo incremento, rispetto al 2019, del flusso di segnalazioni pervenute all'Unità di informazione finanziaria (Uif) durante il periodo pandemico, dato che – alla luce del blocco delle attività commerciali e produttive imposto dal Governo nella primavera 2020 – appare particolarmente indicativo»; in particolare, detto rapporto precisa che: «nel periodo 1° marzo – 15 ottobre 2020, sono pervenute all'Unità di informazione finanziaria ben 67.382 segnalazioni, con un incremento, rispetto al medesimo periodo dell'anno precedente, superiore all'8 per cento. Tale incremento, corrispondente a 5.011 comunicazioni, risulta, peraltro, interamente riferibile alla categoria del riciclaggio. L'incidenza delle segnalazioni riguardanti tale “settore”, infatti, raggiunge il 99,2 per cento del totale, registrando, in termini assoluti, un aumento pari al 9,2 per cento»;

    le difficoltà commerciali, creditizie e, più in generale, reddituali rischiano di acuirsi ulteriormente a seguito dell'introduzione dal 1° gennaio 2021 delle nuove regole dell'European Banking Authority (EBA/GL/2016/07 ed atti successivi), poiché le nuove ipotesi di individuazione dello stato di default obbligano il debitore a rientrare dalle esposizioni bancarie entro 90 giorni se lo sconfinamento supera il limite dei 500 euro e se, contestualmente, è esposto nei confronti dello stesso soggetto creditore oltre l'1 per cento; detta normativa diventa ancor più stringente se il debitore appartiene alle piccole e medie imprese; la soglia di rientro obbligatorio dallo «sforamento» si assottiglia a 100 euro in caso di esposizioni al dettaglio (finanziamenti fino ad 1 milione di euro da parte di persone fisiche e piccole e medie imprese);

    l'applicazione di tale meccanismo, concepito prima della crisi pandemica e la cui applicazione in Italia già scontava i ridotti tassi di crescita dell'economia italiana dalla precedente crisi del 2008, rischia di creare ulteriori difficoltà alle aziende che tentano faticosamente di risalire la china e spingerle a rivolgersi a fonti di finanziamento illegali, come del resto già paventava il predetto rapporto del Ministero dell'interno;

    ad ogni modo, anche se l'istituto di credito decidesse di non applicare le norme, rimane fermo il principio per il quale l'aggravarsi del grado di solvibilità del cliente grava direttamente sui fondi rischi bancari, influendo negativamente sui rendimenti; tali difficoltà vanno ad aggiungersi a quelle create dall'introduzione della normativa in tema di crediti deteriorati e dagli ostacoli ai salvataggi bancari frapposti dalla Commissione europea;

    in un'economia fortemente depressa per carenza di domanda diventa fondamentale introdurre nuovo potere d'acquisto, per dare prospettive di futuro a famiglie ed imprese e seguire la strada del «superbonus 110 per cento» i cui benefici sono stati validati dalla Business school- Openeconomics che stima un incremento in termini di Ires ed Iva di 811 milioni di euro ed un valore aggiunto che permette alla misura di autofinanziarsi;

    i dati diffusi dall'Enea evidenziano, però, che in Italia sono stati avviati soltanto 6.512 interventi, corrispondenti a lavori per 670 milioni di euro ed una copertura dello Stato di 730 milioni di euro, a fronte di 18 miliardi di euro stanziati;

    il «superbonus» applica in forma embrionale i principi della «moneta fiscale» e ne rafforza, con un'analisi empirica, la validità delle ipotesi teoriche, rendendola una valida possibilità di finanziamento alternativa, ma si scontra, soprattutto al Sud, con la burocrazia e la disorganizzazione all'interno dei comuni, dove l'influenza della politica sul dipartimento urbanistica è essa stessa un fattore di rallentamento delle pratiche, un fattore disincentivante per condomini e singole famiglie;

    l'idea di una moneta fiscale è efficace se riesce a «smobilitare» crediti di imposta in settori chiave della domanda interna e contemporaneamente restituisce potere d'acquisto ai soggetti economici provati dalla crisi pandemica, tenendo conto che la sua forza è proprio nella creazione di un circuito dove sia accettato quale strumento di pagamento, a cominciare dalle grandi aziende pubbliche di servizi,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni utile iniziativa per il sostegno economico a famiglie ed imprese in termini di credito e liquidità per sostenere i consumi e la domanda interna, in particolare:

   a) verificando e vincolando l'uso delle garanzie di Stato all'effettivo rilascio di nuovi prestiti verso privati;

   b) sostenendo la diffusione e circolarizzazione dei crediti fiscali e adottando ogni utile iniziativa finalizzata al rafforzamento ed ampliamento del mercato di scambio di tali crediti, al fine di fornire uno strumento patrimoniale in grado di alleggerire la pressione finanziaria, in questo momento di difficoltà, per i privati;

   c) promuovendo in ambito europeo la sospensione del «calendar provisioning» e una revisione nella definizione di default;

   d) prorogando le moratorie e garanzie, in particolare in favore delle piccole e medie imprese;

2) ad adoperarsi in ambito europeo per una corretta implementazione degli «aiuti di Stato», al fine di inquadrare tali aiuti nel perimetro degli «aiuti per eventi eccezionali», ambito entro il quale non sussistono limiti di importo autorizzabili dalla Commissione europea, rispetto all'attuale Temporary framework di aiuti come «rimedio ad un grave turbamento dell'economia» che presenta il limite massimo di 800.000 euro in termine di plafond di aiuti richiedibili;

3) a promuovere in ambito nazionale iniziative per:

   a) istituire un fondo nazionale, in capo a Ministero dell'economia e delle finanze/Cassa depositi e prestiti/Poste italiane, finalizzato alla gestione e remunerazione (tasso minimo >0 per cento) della raccolta privata italiana, al fine di monetizzare tranche dedicate di titoli di Stato italiani, emessi per sostegno diretto a famiglie ed imprese, colpite dalla pandemia, con accredito diretto su conti correnti postali dedicati;

   b) rafforzare il ruolo di Amco nella gestione di titoli cartolarizzati per continuare il processo di de-risking in atto già dal 2017;

   c) promuovere l'istituzione di un polo bancario nazionale, che racchiuda gli istituti già partecipati dallo Stato (Banca popolare di Bari, Carige, Monte dei Paschi di Siena) in sinergia con Bancoposta/Poste;

   d) tutelare e valorizzare le sinergie tra le attività produttive nazionali, utilizzando la «golden rule» per difendere le imprese nazionali strategiche dai tentativi di acquisizione provenienti dall'estero;

   e) sostenere le imprese a rischio di chiusura/cessione dell'attività a mani terze straniere, in particolare nell'ambito dei servizi turistici ed alberghieri, con sovvenzioni a fondo perduto o prestiti a lungo termine a tassi agevolati, rimborsabili anche tramite crediti fiscali;

   f) istituire un'agenzia italiana del debito pubblico, che rispecchi quanto fatto in Germania, con «trattenuta» di porzioni di emissioni di debito pubblico italiano, nei casi in cui la domanda del mercato si discosti sostanzialmente da quanto offerto dal Ministero dell'economia e delle finanze, preferendo in ogni caso l'allocazione del debito pubblico in ambito nazionale, piuttosto che straniero;

   g) costituire, anche attraverso contributi di solidarietà da parte delle categorie che non hanno subito gli effetti della crisi, specifici «fondi di riavvio» che favoriscano la ripresa dei settori più fragili e più duramente colpiti ed il regolare adempimento delle obbligazioni assunte.
(1-00465) (Nuova formulazione) «Trano, Sapia, Colletti, Maniero, Cabras, Paxia, Vallascas, Corda, Testamento, Forciniti».

(14 aprile 2021)

MOZIONI IN MATERIA DI INFRASTRUTTURE DIGITALI EFFICIENTI E SICURE PER LA CONSERVAZIONE E L'UTILIZZO DEI DATI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia – allineata con il resto dei Paesi europei – ha avviato già da tempo un processo di trasformazione e innovazione dei servizi della pubblica amministrazione attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali, spesso però fornite da operatori terzi i quali, mettendo a disposizione le loro infrastrutture, diventano indirettamente detentori di dati e informazioni di esclusivo appannaggio delle amministrazioni interessate;

    la costruzione di un e-government «autosufficiente», che veda quale obiettivo principale l'accelerazione dei processi di informatizzazione della pubblica amministrazione, in linea con i principi previsti dall'Agenda digitale sia europea che italiana, dalle Comunicazioni della Commissione europea del 26 settembre 2003 e del 19 aprile 2016, nonché dal Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2020-2022, anche mediante la definizione di un sistema pubblico autonomo nello sviluppo e nell'impiego di tecnologie emergenti, rappresenta un passo fondamentale nella creazione di un più efficiente apparato amministrativo, volto a meglio coniugare l'acquisizione di nuove competenze digitali, con la messa a punto di processi di rafforzamento ed efficientamento dell'azione amministrativa;

    in tale contesto, uno degli aspetti più complessi della trasformazione digitale della pubblica amministrazione è dato certamente dalla gestione della vasta e articolata mole di dati che le pubbliche amministrazioni raccolgono e detengono, troppo spesso non ancora in formato digitale;

    questa può essere definita come un vero e proprio «patrimonio informativo pubblico», composto da diverse tipologie di informazioni che necessitano di essere collocate all'interno di una strategia complessiva mirata alla loro condivisione, valorizzazione e diffusione tra le amministrazioni pubbliche, siano esse centrali o periferiche;

    per realizzare i suddetti obiettivi è necessario che si ceda il passo nella pubblica amministrazione al progresso delle Information and communication technologies (Ict), mediante un approccio istituzionale connotato da modalità di gestione più flessibili ed efficaci rispetto al passato;

    il ricorso alle Ict nel settore pubblico può infatti agevolare e rendere più efficiente l'attività della pubblica amministrazione e l'interscambio di dati tra le sue articolazioni. Difatti, la diffusa mancanza di interoperabilità tra le varie banche dati della pubblica amministrazione, da intendersi come la capacità delle singole componenti del sistema pubblica amministrazione di fare rete tra loro e dialogare in forma automatica, scambiando informazioni e condividendo risorse, provoca un rallentamento notevole nella messa in atto dell'azione amministrativa, nonché un aggravio inutile dei costi che gravano sul bilancio pubblico, arrivando cioè a determinare inefficacia e inefficienza della stessa;

    allo scopo di evitare il protrarsi di questa situazione, è necessaria la creazione di un sistema di infrastrutture di in cloud computing per la raccolta e gestione centralizzata dei dati delle pubbliche amministrazioni, che consenta, mediante l'implementazione delle più moderne tecnologie nel settore pubblico – nel rispetto dei principi della trasparenza, efficienza e tutela dei dati personali, così come richiamati dalla normativa europea e nazionale –, di raccogliere, archiviare, elaborare e trasmettere i dati in possesso delle amministrazioni attraverso un cambio di paradigma basato sullo sviluppo di innovative procedure che le tecnologie digitali consentono;

    il cloud computing, infatti, rappresenta il prerequisito per l'erogazione e la fruizione efficiente di processi e attività come l'archiviazione, l'elaborazione e la trasmissione di dati, mediante la presenza di servizi diversificati e integrati tra loro, quali i cosiddetti IaaS (Infrastructure as a Service), PaaS (Platform as a Service) e SaaS (Service as a Service), ove la disponibilità dei dati è fornita on demand attraverso la rete telematica internet, a partire da un insieme di risorse preesistenti e configurabili;

    sul mercato, esistono numerosi operatori che già permettono ad amministrazioni e aziende, a costi contenuti, di accedere a simili infrastrutture It, prescindendo dal possesso delle strutture a cui vengono materialmente trasferiti i dati. Ciononostante, non può tralasciarsi la necessità, per la pubblica amministrazione, sia di acquisire maggiori competenze in termini di capacità di gestione diretta di siffatte infrastrutture, che di relazione con i principali player attivi nell'offerta di tale categoria tecnologica. Tali circostanze, inoltre, si sommano a dubbi legati alla sicurezza, alla compliance, alla localizzazione e alla proprietà dei dati, oltre a non lasciare indenne l'amministrazione che si volesse avvalere di tali servizi da eventuali ulteriori rischi quali il «vendor lock-in» – ossia la creazione di un rapporto di dipendenza col fornitore del servizio – o il pericolo che fornitori e/o operatori terzi acquisiscano e usino impropriamente dati pubblici. Infine, a fronte dei citati rischi, perdura l'assenza di una reale garanzia in termini di incremento dell'affidabilità dei sistemi, qualità dei servizi erogati e risparmio di spesa;

    pertanto, solo mediante la creazione di un sistema infrastrutturale cloud di proprietà totalmente pubblica, la cui gestione venga affidata ad un ente pubblico dedicato e/o ad un'azienda pubblica dotata di personale altamente qualificato, sarà possibile far sì che le amministrazioni pubbliche non siano costrette ad avvalersi di fornitori privati per la fruizione di servizi di cloud storaging. Ciò, inoltre, permetterà di innescare sinergie virtuose capaci di coniugare, al contempo, una maggiore efficienza dell'azione pubblica con elevati standard di sicurezza e protezione, così come richiesti dal regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679;

    il «Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021» ha previsto il censimento del patrimonio Ict delle pubbliche amministrazioni e la procedura di qualificazione dei poli strategici nazionali (Psn). Secondo la circolare n. 1 del 14 giugno 2019 dell'Agenzia per l'Italia digitale per polo strategico nazionale si intende un soggetto titolare dell'insieme di infrastrutture It (centralizzate o distribuite), ad alta disponibilità, di proprietà pubblica, eletto a polo strategico nazionale dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e qualificato da Agid ad entrare ad altre amministrazioni, in maniera continuativa e sistematica, servizi infrastrutturali on-demand, servizi di disaster recovery e business continuity, servizi di gestione della sicurezza It ed assistenza ai fruitori dei servizi erogati. Sulla base dei risultati ottenuti a seguito del censimento dei data center italiani, è emerso che su 1.252 data center censiti, appartenenti a pubbliche amministrazioni centrali e locali, ad aziende sanitarie locali e a università sono solo 35 le strutture candidabili a polo strategico nazionale, 27 sono i data center classificati nel gruppo A ovvero con carenze strutturali o organizzative considerate minori e i restanti 1.190 sono stati classificati nel gruppo B, ossia come infrastrutture che non garantiscono requisiti minimi di affidabilità e sicurezza dal punto di vista infrastrutturale e/o organizzativo o non garantiscono la continuità dei servizi o non rispettano i requisiti per essere classificati nelle due precedenti categorie;

    il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha previsto disposizioni dirette a promuovere la realizzazione di un cloud nazionale. In particolare, l'articolo 35 stabilisce che, al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni, garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali, la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei centri per l'elaborazione delle informazioni (ced) destinata a tutte le pubbliche amministrazioni;

    con riferimento al rafforzamento della digitalizzazione della pubblica amministrazione, il Recovery Plan propone l'obiettivo di razionalizzare e consolidare le infrastrutture digitali esistenti della pubblica amministrazione, promuovendo la diffusione del cloud computing e rafforzando la cybersicurezza, con particolare attenzione all'armonizzazione e all'interoperabilità delle piattaforme e dei servizi di dati. Nello specifico al fine di dotare la pubblica amministrazione di infrastrutture affidabili e di accompagnare le amministrazioni centrali verso una nuova logica di conservazione e utilizzo dei dati e di fornitura di servizi, si prevede l'attuazione di un sistema cloud efficiente e sicuro. L'obiettivo dell'investimento è, dunque, lo sviluppo sul territorio nazionale di un'infrastruttura affidabile, sicura, efficiente sotto il profilo energetico ed economicamente sostenibile per ospitare i sistemi e i dati della pubblica amministrazione,

impegna il Governo

compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, ad adoperarsi affinché venga creato un sistema di raccolta, conservazione e scambio dei dati della pubblica amministrazione, in precedenza classificati meticolosamente in base alla rilevanza e al livello di sicurezza, mediante lo sviluppo di infrastrutture e sistemi di cloud computing di unica proprietà dello Stato, valutando di affidarne la gestione ad un ente pubblico e/o ad un'azienda pubblica, che ne garantisca la sicurezza, la consistenza, l'affidabilità e l'efficienza.
(1-00424) (Nuova formulazione) «Giarrizzo, Elisa Tripodi, Alaimo, Luciano Cantone, Casa, Scerra, Sodano, Sut, Scanu, D'Orso, Saitta, Rizzo, Penna, Berti, Aresta, Brescia, Maurizio Cattoi, Masi, Alemanno».

(24 febbraio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la sovranità digitale è uno dei temi chiave per affrontare le sfide della contemporaneità ed assicurare tutela e protezione ai dati dei cittadini;

    ovunque si è affermata una compiuta consapevolezza sul ruolo e sul valore dei dati personali prodotti dalle pubbliche amministrazioni e fondati sui dati dei cittadini;

    l'Europa, in considerazione dell'assenza di grandi operatori di cloud continentali, ha adottato politiche di sviluppo e di rafforzamento del cloud europeo;

    in Stati come Francia e Germania le politiche del cloud relativamente ai dati dei cittadini sono non a caso nelle mani dei rispettivi Ministri dell'economia e delle finanze, Bruno La Maire e Peter Altmaier, a conferma della considerazione che nei due Paesi riscuote il settore dei dati personali dei cittadini come patrimonio della nazione;

    le legislazioni di alcuni Paesi prevedono l'obbligo per le loro società nazionali operanti in giro per il mondo di garantire l'accesso alle amministrazioni nazionali per ragioni di sicurezza o di interesse nazionale, come nel caso del «Cloud Act» approvato dal Congresso americano nel febbraio 2018;

    in considerazione di tali legislazioni invasive, alcuni Paesi hanno immediatamente aggiornato le proprie normative sul cloud, come nel caso della Francia, che nel maggio del 2018 ha appositamente modificato la propria legge nazionale sul cloud;

    l'Italia ha un enorme ritardo rispetto agli altri Paesi europei e ad altri Paesi avanzati esterni all'Unione europea, disponendo in modo limitato di infrastrutture cloud nazionali dedicate alla raccolta, custodia e trattamento dei dati;

    appaiono a tutt'oggi deboli le politiche pubbliche nazionali di supporto alla creazione di asset nazionali di cloud sin qui adottate dai precedenti Governi;

    le azioni promosse dall'Agenzia per l'Italia digitale in ambito di sviluppo del cloud non hanno risposto alle originarie aspettative, dal momento che hanno tradito gli stessi obiettivi previsti dal primo piano triennale 2017-2019 della stessa Agenzia per l'Italia digitale e, in particolare, non sono riuscite a rendere operativi i poli strategici nazionali ideati per soddisfare la domanda pubblica di cloud da parte di strutture centrali e periferiche della pubblica amministrazione, purtroppo invece oggi obbligate, in conseguenza di tale grave manchevolezza, a rivolgersi necessariamente ai grandi player privati multinazionali che operano sul mercato;

    lo sviluppo di società italiane nel settore del cloud non è solo un fattore di sovranità e tutela dei dati, ma stimola e sostiene la crescita e la diffusione di competenze digitali nel Paese;

    i dati dei cittadini italiani, raccolti e custoditi da pubbliche amministrazioni centrali e locali, a differenza dei dati dei consumatori, devono poter essere affidati a strutture pubbliche e, in caso di insufficienza di queste, a strutture private di nazionalità italiana e con database su territorio italiano;

    la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (...)» e, alla lettera r) del secondo comma, specifica che lo Stato ha legislazione esclusiva sul «(...) coordinamento informativo e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale (...)»;

    l'articolo 117, secondo comma, lettera r), indica il contesto per la realizzazione di un cloud nelle mani dello Stato che tuteli e protegga i dati prodotti dai cittadini, ma che li usi in modo intelligente come supporto alle decisioni assunte nell'interesse pubblico, con l'obiettivo di migliorare la qualità dei servizi e di istituirne di nuovi;

    per adottare tutte le misure, le procedure e le metodologie di uso dei dati come supporto intelligente all'assunzione di decisioni sui servizi destinati ai cittadini, che possono pertanto essere di maggior qualità e di minor costo, occorrono organismi centrali competenti e lungimiranti, attenti alle evoluzioni delle tecnologie e rispettosi delle prerogative di tutela e protezione dei dati personali;

    con l'avvio dei nuovi servizi di 5G e in seguito di 6G, al cloud si affiancherà sempre più l'edge computing, che sarà necessario sviluppare in modo decentrato e dislocato territorialmente in linea con l'architettura di rete del 5G e 6G;

    devono essere adottate con tempestività tutte le misure normative necessarie per assicurare una inversione di tendenza;

    nell'ultima Relazione annuale presentata al Parlamento, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza ha rilevato come l'anno della pandemia da COVID-19 sia stato caratterizzato da una minaccia cibernetica sempre più crescente e sofisticata;

    in merito, il Rapporto Clusit sulla sicurezza Ict in Italia e nel mondo ha rilevato come il 2020 abbia registrato il record negativo degli attacchi informatici: a livello globale: sono stati infatti 1.871 gli attacchi gravi di dominio pubblico rilevati nel corso del 2020, ovvero con un impatto sistemico in ogni aspetto della società, della politica, dell'economia e della geopolitica;

    i dati evidenziano, quindi, un'intensificazione degli attacchi sia in termini qualitativi che quantitativi, complice il contesto della pandemia che ha spinto organizzazioni e professionisti a un rapido ricorso alla digitalizzazione,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per istituire un organismo di vigilanza, controllo e gestione delle politiche pubbliche sul cloud e sulla custodia, tutela e protezione dei dati personali raccolti dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali;

2) ad adottare iniziative volte a porre tale organismo in condizione di operare e cooperare in sintonia con il Garante per la protezione dei dati personali e con le università italiane che svolgono attività di ricerca in ambito di raccolta e trattamento dei dati in ambito tecnologico e giuridico;

3) a qualificare, nel più breve tempo possibile, la lista dei poli strategici nazionali, da affiancare a Sogei, impartendo precise direttive all'Agenzia per l'Italia digitale, al fine di recuperare le manchevolezze dell'Agenzia sin qui registrate;

4) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a valorizzare le strutture pubbliche di cloud oggi gestite dalle locali società in-house pubbliche di molte regioni italiane, perché hanno grandi competenze e perché rappresentano l'interlocuzione naturale per le strutture di pubblica amministrazione che cercano fornitori di cloud nella stessa regione;

5) ad adottare iniziative di competenza volte a far sì che le aziende private italiane fornitrici di cloud e oggi qualificate come cloud service provider dalle direttive dell'Agenzia per l'Italia digitale operino nelle loro regioni come riferimenti privilegiati di offerta cloud per le strutture di pubblica amministrazione territoriale, affiancando i poli strategici nazionali;

6) nell'ottica di evitare la concentrazione dell'intero patrimonio informativo pubblico in un'unica infrastruttura, con i conseguenti rischi in termini di sicurezza dei dati e dell'infrastruttura stessa, ad assicurare che i dati oggetto di migrazione verso l'infrastruttura unica siano esclusivamente quelli che vengono classificati come critici e strategici, predisponendo a tal fine un'adeguata politica di catalogazione delle informazioni, che consenta di effettuare valutazioni di impatto, di introdurre un'adeguata etichettatura dei dati in possesso delle pubbliche amministrazioni, di operare decisioni sulla dislocazione dei dati sul territorio nazionale e di predisporre un monitoraggio continuo dei dati delle pubbliche amministrazioni;

7) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a tutelare la sovranità digitale e la sicurezza cibernetica, anche attraverso l'istituzione di un'apposita Agenzia, e a migliorare la qualità dell'architettura di sicurezza della nazione, nonché a costituire un'Agenzia per la competitività, al fine di garantire la sicurezza nazionale e incentivare la promozione di tecnologia nazionale, che possa sostenere l'industria nazionale nei processi di produzione di tecnologia avanzata, evitando la dipendenza tecnologica da nazioni ostili;

8) ad adottare tutte le iniziative di competenza nelle sedi europee affinché sia dato seguito agli intendimenti di cui alla dichiarazione congiunta «Building the next generation cloud for businesses and the public sector in the EU», firmata il 15 ottobre 2020 dal Governo italiano e dai Governi di altri 26 Stati europei, assicurando che il progetto per la creazione di un cloud federato europeo (Gaia-X) non sia vanificato attraverso il coinvolgimento di soggetti extra-europei, quali Huawei e Alibaba.
(1-00466) (Nuova formulazione) «Lollobrigida, Meloni, Butti, Mollicone, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Deidda, Delmastro Delle Vedove, De Toma, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(19 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Agenzia per l'Italia digitale definisce il cloud come «un modello di infrastrutture informatiche che consente di disporre, tramite internet, di un insieme di risorse di calcolo (ad esempio reti, server, storage, applicazioni e servizi) che possono essere rapidamente erogate come un servizio. Questo modello consente di semplificare drasticamente la gestione dei sistemi informativi, trasformando le infrastrutture fisiche in servizi virtuali fruibili in base al consumo di risorse»;

    in Italia i servizi cloud si sono diffusi in tempi abbastanza recenti. La diffusione, all'inizio, è stata condizionata da vari fattori, quali, ad esempio, la dimensione delle aziende e le loro caratteristiche di crescita, la necessità o meno di disporre di dati distribuiti sul territorio, nonché la disponibilità di capacità informatiche interne. Il mercato è però ora in forte crescita, in parte anche in virtù della formidabile spinta venuta, nel 2020, dalla situazione di emergenza scaturita dalla pandemia da COVID-19, che ha richiesto ad aziende e collettività di riorganizzare in modalità «agile» attività e processi. Alla fine del 2020, il 59 per cento delle imprese italiane faceva uso di servizi di cloud computing;

    secondo le stime dell'osservatorio cloud del Politecnico di Milano, nel 2020 il mercato cloud italiano ha raggiunto i 3,34 miliardi di euro, in crescita del 21 per cento rispetto al consuntivo del 2019, pari a 2,77 miliardi di euro. In termini di spesa assoluta i primi tre settori merceologici per rilevanza sono il manifatturiero (24 per cento), il settore bancario (21 per cento) ed il telco/media (15 per cento);

    secondo dati del Ministero per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, il 60 per cento del mercato italiano del cloud è fornito da operatori non europei;

    attualmente, il mercato mondiale dei principali fornitori di infrastrutture cloud è dominato da cinque gruppi societari, quattro dei quali (Amazon, Microsoft, Google, Ibm) hanno la sede principale negli Stati Uniti, il quinto, Alibaba, in Cina;

    la spesa aziendale per le infrastrutture cloud sta crescendo rapidamente e gli esperti si attendono che supererà quella per le infrastrutture di information technology tradizionali entro il 2022;

    il potenziamento del cloud computing occupa quindi il ruolo di tematica strategica per l'immediato futuro. L'obiettivo è quello di realizzare un affrancamento dalle soluzioni che oggi poggiano quasi integralmente su infrastrutture messe a disposizione da fornitori internazionali;

    in un'epoca di costante dematerializzazione dei beni e dei servizi, i dati rivestono un valore fondamentale per individui ed imprese, un valore che può essere economico o semplicemente intrinseco, sia che siano personali o non personali (ad esempio: quelli aziendali);

    affidare questi dati ad un cloud provider significa affidare il proprio universo, sia personale che professionale, ad un soggetto terzo;

    occorre anche considerare la nazionalità del cloud provider, poiché questa può comportare la giurisdizione di Paesi terzi e non europei che possono ritenersi autorizzati ad intervenire sulle proprie aziende, anche con riferimento a dati di cittadini europei da esse custoditi in server localizzati in Europa; pertanto, la collocazione fisica dei server non attenua le cogenze derivanti dalla nazionalità del cloud provider. La fattispecie maggiormente diffusa, quella cioè del cloud provider di nazionalità statunitense, richiede di valutare l'applicabilità della legislazione americana e, in particolare, il cosiddetto «Cloud Act», che può variare a seconda degli accordi assunti con i vari Stati europei. Con altre nazionalità e con Paesi la cui normativa appare molto distante da quella europea, ad esempio la Cina, come altri Paesi dell'Asia, il caso appare ancora più complesso e delicato, per cui la raggiungibilità dei dati affidati in cloud deve essere attentamente valutata;

    la preliminare valutazione della normativa e della giurisdizione applicabili costituisce dunque un passaggio necessario ed irrinunciabile, accanto alle considerazioni economiche e tecnologiche. Le incertezze e i rischi risultanti da tale valutazione possono peraltro essere compensati dalla predisposizione di modelli contrattuali e politiche che disciplinino in anticipo ed in dettaglio il comportamento che il cloud provider deve tenere nel caso di provvedimenti di autorità di Paesi terzi, con riferimento all'accessibilità e alla conservazione dei dati;

    la strategia per la riorganizzazione delle infrastrutture digitali del Dipartimento per la trasformazione digitale, in accordo con la strategia europea, rappresenta il fondamento per razionalizzare le risorse, rendere più moderni i servizi pubblici e mettere in sicurezza i dati;

    la strategia opera una distinzione fondamentale tra: infrastrutture che gestiscono servizi strategici, ovvero un ridotto numero di asset tecnologici (server, connettività, reti e altro) che abilitano funzioni essenziali del Paese, come ad esempio la mobilità, l'energia, le telecomunicazioni; tutte le altre infrastrutture gestite dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali che gestiscono la stragrande maggioranza dei servizi, erogati al cittadino o interni agli enti che permettono il funzionamento di servizi comuni;

    il piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, adottato nell'ambito della «strategia per la crescita digitale del Paese», ha previsto una strategia per l'adozione del cloud computing nella pubblica amministrazione che si articola attraverso tre elementi principali:

     a) il principio cloud first secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono, in via prioritaria, adottare il paradigma cloud (in particolare i servizi SaaS) prima di qualsiasi altra opzione tecnologica tradizionale, normalmente basata su housing o hosting;

     b) il modello cloud della pubblica amministrazione, cioè il modello strategico che si compone di infrastrutture e servizi qualificati dall'Agenzia per l'Italia digitale sulla base di un insieme di requisiti volti a garantire elevati standard di qualità e sicurezza per la pubblica amministrazione. In funzione di questo modello è stata creata un'apposita piattaforma, il Cloud marketplace dell'Agenzia per l'Italia digitale, che consente di visualizzare la scheda di ogni servizio mettendo in evidenza le caratteristiche, il costo e i livelli di servizio dichiarati dal fornitore. Le pubbliche amministrazioni possono così confrontare servizi analoghi e decidere, in base alle loro esigenze, le soluzioni più adatte;

    il programma di abilitazione al cloud (cloud enablement program), vale a dire l'insieme di attività, risorse, metodologie da mettere in campo per rendere le pubbliche amministrazioni capaci di migrare e mantenere in efficienza i propri servizi informatici (infrastrutture e applicazioni) all'interno del modello cloud della pubblica amministrazione;

    a decorrere dal 1° aprile 2019, le amministrazioni pubbliche possono acquisire esclusivamente servizi IaaS, PaaS e SaaS qualificati dall'Agenzia per l'Italia digitale e pubblicati nel catalogo dei servizi cloud per la pubblica amministrazione qualificati;

    grazie al censimento dei centri di elaborazione dati, trentacinque sono stati individuati come eleggibili a poli strategici nazionali; sarebbe quindi sufficiente federarli e convogliare gli investimenti sull'interoperabilità per ottenere i migliori risultati e salvaguardare gli investimenti che i territori hanno fatto sulle proprie società in house;

    è ormai indifferibile la necessità di provvedere alla creazione di una piattaforma nazionale di cloud storaging, nella quale far confluire tutti i dati e le informazioni disponibili e quotidianamente impiegati dalle amministrazioni pubbliche;

    il fine è duplice: da una parte, evitare che le medesime amministrazioni si rivolgano a fornitori privati di servizi di cloud storaging, evitando così il rischio che gli stessi soggetti privati possano detenere ed eventualmente utilizzare per fini diversi una grande mole di dati (sensibili e no) e, dall'altra, garantire la massima interoperabilità tra le amministrazioni pubbliche nell'accesso e nell'impiego dei dati riconducibili ai cittadini italiani per fini espressamente connessi alle loro attività istituzionali,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta all'istituzione di un sistema telematico nazionale ad architettura distribuita per l'archiviazione, l'elaborazione e la trasmissione di dati disponibili in remoto a utenti predeterminati e riconoscibili attraverso specifiche caratteristiche, quale una piattaforma basata su più server reali tra loro collegati in cluster, fisicamente collocati presso uno o più data center;

2) ad assumere iniziative di carattere normativo volte ad ampliare le competenze attribuite all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni includendovi: il controllo del corretto funzionamento del sistema cloud e la legittima fruizione dei dati archiviati da parte dei soggetti ad essa titolati; la vigilanza sul rispetto dei protocolli di sicurezza da parte delle amministrazioni pubbliche; la segnalazione alle autorità competenti di eventuali illeciti civili, penali o amministrativi commessi dalle amministrazioni pubbliche, dai privati cittadini e dagli enti commerciali e non commerciali nell'accesso e nell'utilizzo del sistema cloud;

3) ad adottare ogni opportuna iniziativa per rafforzare il ruolo dell'Italia sul fronte dell'intelligenza artificiale per quanto riguarda l'offerta formativa delle università italiane e le attività di ricerca, anche in sinergia con attori privati;

4) ad adottare ogni opportuna iniziativa per promuovere attività di formazione, ricerca e sviluppo nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca italiani relativamente a tali tecnologie e a sostenerne le applicazioni rispetto alla produzione industriale e ai servizi civili in imprese consolidate e start up innovative per creare nuovi posti di lavoro per le nuove generazioni.
(1-00467) «Capitanio, Donina, Fogliani, Furgiuele, Giacometti, Maccanti, Rixi, Tombolato, Zanella, Zordan».

(21 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la trasformazione digitale è uno dei driver strategici per lo sviluppo delle moderne economie ed è pertanto essenziale investire nell'evoluzione dei servizi in ottica cloud e di data management;

    per concretizzare l'evoluzione digitale delle attività e dei servizi della pubblica amministrazione italiana è necessario definire un modello operativo di riferimento che assicuri rapidamente l'efficientamento e la messa in sicurezza dei data center della pubblica amministrazione, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio di dati della pubblica amministrazione, la razionalizzazione di costi per lo sviluppo e la manutenzione dei sistemi Ict delle pubbliche amministrazioni;

    secondo il censimento dei data center nazionali curato dall'Agenzia per l'Italia digitale, la stragrande maggioranza dei centri elaborazione dati della pubblica amministrazione non forniscono idonee garanzie di sicurezza, efficienza ed affidabilità;

    l'Italia ha avviato un processo di trasformazione e innovazione dei servizi della pubblica amministrazione attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali, anche alla luce delle recenti modifiche al codice dell'amministrazione digitale operate dal decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che ha previsto disposizioni dirette a promuovere la realizzazione di un cloud nazionale;

    in particolare, l'articolo 35 stabilisce che, al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni, garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali, la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni destinata a tutte le pubbliche amministrazioni;

    nell'ambito della missione 1, componente 1, «Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA», del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 12 gennaio 2021 sono descritti interventi finalizzati a favorire l'adozione e lo sviluppo delle tecnologie cloud nel settore pubblico e, al contempo, a rimuovere gli ostacoli all'utilizzo del cloud da parte della pubblica amministrazione;

    in questo ambito, si prevede lo sviluppo di un cloud nazionale e l'effettiva interoperabilità delle banche dati delle pubbliche amministrazioni, in parallelo e in sinergia con il progetto europeo Gaia-X, dove l'Italia intende avere un ruolo di primo piano. L'investimento mira a favorire l'adozione dei servizi cloud secondo quanto previsto nella strategia cloud first del piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, attraverso lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei data center di tipo B della pubblica amministrazione centrale e il rafforzamento in chiave green dei data center di tipo A candidabili a poli strategici nazionali in base al censimento dell'Agenzia per l'Italia digitale. Si prevede inoltre la realizzazione di un cloud enablement program per favorire l'aggregazione e la migrazione delle pubbliche amministrazioni centrali e locali verso soluzioni cloud e fornire alle stesse pubbliche amministrazioni procedure, metodologie e strumenti di supporto utili a questa transizione;

    come affermato dal Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale nel corso di un'audizione davanti alla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, l'obiettivo del Governo è di assicurare che le amministrazioni vengano aiutate a migrare in cloud diversi a seconda del diverso livello di sensibilità dei dati dei quali dispongono e questo implicherà classificare innanzitutto le tipologie di dati in ultrasensibili, sensibili e ordinari, per garantire scelte che tutelino in maniera appropriata cittadini e amministrazioni, come già fatto da molti altri Paesi. In tal senso, per i dati più sensibili si intende creare un polo strategico nazionale a controllo pubblico, localizzato sul suolo italiano e con garanzie, anche giurisdizionali, elevate. Il polo strategico permetterà di razionalizzare e consolidare molti di quei centri che ad oggi non riescono a garantire standard di sicurezza adeguati, mentre per le tipologie di dati e applicazioni meno sensibili si prevede la possibilità per le amministrazioni di usufruire di efficienti cloud messi a disposizione da operatori di mercato,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per definire e attuare un modello di infrastrutture digitali di cloud per le pubbliche amministrazioni centrali e locali basato sulla complementarietà, in funzione della tipologia di dati e della loro rilevanza, tra un sistema di fornitori di servizi di mercato qualificati certificati e un polo strategico nazionale a controllo pubblico;

2) ad adoperarsi affinché la gestione del polo strategico nazionale sia affidata a uno o più soggetti pubblici che ne garantiscano la sicurezza, la consistenza, l'affidabilità e l'efficienza e, in tal modo, a favorire l'interoperabilità tra le banche dati delle pubbliche amministrazioni fruitrici dei servizi del suddetto polo strategico nazionale.
(1-00468) «Bruno Bossio, Serracchiani, Gariglio, Cantini, Delrio, Del Basso De Caro, De Luca, Gualtieri, Madia, Morassut, Pizzetti, Andrea Romano».

(21 aprile 2021)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO ECONOMICO E PRODUTTIVO DELLA NAZIONE

   La Camera,

   premesso che:

    la gestione della pandemia è stata fallimentare sotto molteplici aspetti, a partire dalle mancate forniture dei dispositivi di protezione individuale nelle prime fasi dell'emergenza, passando per la scarsità dei ventilatori e di risorse a disposizione del personale medico, con lo scandalo dei banchi a rotelle rimasti nei magazzini delle scuole e la costruzione delle cosiddette «primule» per l'inoculazione dei vaccini: ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo uno spreco di risorse, tempo e denaro che potevano essere impiegati in maniera più mirata e utile;

    il lavoro, specie quello autonomo, è diventato una vera emergenza sociale, con il prodotto interno lordo del prossimo anno stimato ad un meno 12/18 per cento e con migliaia di esercizi commerciali e di imprese che in questi mesi sono stati costretti a chiudere; mentre il Governo trovava le risorse per finanziare i monopattini, in alcuni casi non è ancora stata pagata la cassa integrazione di marzo 2020; Fratelli d'Italia è stata vicino ai liberi professionisti e alle partite Iva, proponendo l'abolizione dei famigerati Isa, nuova versione dei vecchi studi di settore, e l'estensione a tutti i professionisti del «minimo tariffario», mutuato dalla legge forense, una battaglia vinta per tutelare la dignità del lavoro intellettuale; Fratelli d'Italia ha chiesto l'immediato potenziamento degli uffici giudiziari e il rispetto della garanzia costituzionale del pieno diritto alla difesa, così come ha detto «no» alla politica dei bonus una tantum, puntando, invece, su un'ampia moratoria fiscale che preveda il blocco totale di tasse e tributi e non la loro semplice posticipazione, computando nelle scadenze del 2021 sia gli utili del 2019 che le perdite del 2020, e semplificando il sistema delle aliquote; ancora, nel «decreto ristori» ha chiesto di portare il credito di imposta sui locali commerciali al 100 per cento e ha studiato un meccanismo, solo in parte accolto, simile alla cassa integrazione anche per i liberi professionisti, gli artigiani e i lavoratori impegnati in mare e in agricoltura, con una liquidità immediata sui conti correnti pari all'80 per cento del fatturato del 2019 calcolato non solo sui dati del mese di aprile, ma di tutto l'anno, al fine di non tagliare fuori i lavoratori stagionali, gli addetti alle mense e alla ristorazione collettiva, il mondo del turismo, dello sport, dell'intrattenimento e dello spettacolo;

    è necessario uscire progressivamente dall'emergenza da COVID-19, superando la psicosi creata dai metodi adottati anche a livello comunicativo nell'ambito della prassi della decretazione d'urgenza, utilizzata con particolare frequenza all'epoca dei Governi Conte I e Conte II, per tutelare la salute dei cittadini, ma anche per non finire di distruggere ciò che resta della nostra economia; in questa fase molte categorie produttive sono state fortemente penalizzate, con ristori insufficienti e tardivi, mentre la tanto decantata «pace fiscale» si è risolta sostanzialmente in un nulla di fatto;

    il Servizio sanitario nazionale ha dimostrato tutta la sua fragilità nel corso della pandemia, soprattutto per la carenza di personale medico; il problema è stato reso ancora più evidente a causa dell'imbuto formativo, quel fenomeno che definisce la differenza tra numero di accessi al corso di laurea in medicina e chirurgia e l'insufficiente numero di borse per accedere a medicina generale e agli altri corsi specialistici;

    per combattere questa situazione, bisogna programmare oltre l'emergenza, in una prospettiva di oltre dieci anni, che equivalgono ad un ciclo completo di studi; inoltre, per evitare la fuga di cervelli all'estero il sistema universitario dovrebbe essere riformato completamente, prevedendo ad esempio i test di accesso ai corsi di medicina e chirurgia dopo il primo anno, per verificare l'effettiva conoscenza delle materie che permetteranno il proseguimento degli studi;

    i test di ammissione, infatti, spesso vertono su temi che non sono insegnati nelle scuole secondarie di secondo grado, generando un ennesimo imbuto, questa volta però in entrata;

    la «rivoluzione» in ambito universitario potrebbe essere realizzata attraverso un utilizzo mirato delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza in questo settore;

    i finanziamenti che arriveranno all'Italia dall'Europa tramite il meccanismo del Recovery fund assommano complessivamente a 209 miliardi di euro, dei quali 81,4 come trasferimenti diretti di bilancio e 127 miliardi sono prestiti, totalizzando 222 miliardi di euro se si comprendono anche i fondi per la coesione territoriale;

    in seguito al famoso «compromesso» di fine luglio 2020 l'Italia mantiene, quindi, invariata la quota dei sussidi prevista nel primo accordo di maggio 2020 e aumenta esclusivamente la parte dei prestiti di circa il 30 per cento; questo a differenza di altri Paesi, come Francia e Germania, che non faranno ricorso a prestiti, limitandosi solo ad una quota dei sussidi, rispettivamente circa 45 e 35 miliardi di euro;

    dei 222,9 miliardi di euro previsti per il Recovery plan italiano, 68,9 andranno ai progetti «green», tra cui superbonus, piano contro il dissesto idrogeologico e mobilità verde, circa 46 miliardi saranno impegnati per la digitalizzazione, innovazione e competitività del Paese, 28,4 per l'istruzione e la ricerca e 20 per la sanità, al netto delle eventuali future decisioni sul ricorso o meno al Mes, mentre appena 31 miliardi (pur con un aumento di 10 miliardi rispetto alla prima stesura del documento) per le opere infrastrutturali quali strade, autostrade e ferrovie;

    le necessità della Nazione sul fronte delle infrastrutture sono molteplici: dal rilancio del sistema ferroviario, stradale e autostradale al primato nazionale nel settore delle tecnologie avanzate e delle infrastrutture immateriali, con il chiaro obiettivo di difendere gli interessi dell'Italia sempre e comunque, come abbiamo fatto, ad esempio, per la nostra compagnia aerea di bandiera, l'Alitalia, chiedendo la tutela dei lavoratori del comparto e il mantenimento di quello che è stato un simbolo dell'eccellenza italiana nel mondo;

    la crisi economica acuita dalla pandemia mette a rischio l'interesse nazionale e la proprietà dei nostri asset strategici; per questo è necessario estendere il golden power anche ai settori indicati nella proposta di legge di Fratelli d'Italia (intelligence, intelligence economica, settore bancario creditizio e assicurativo, estensione anche ai soggetti interni all'Unione europea) e introdurre una legge annuale per la sicurezza nazionale;

    il trasporto pubblico locale nelle grandi aree metropolitane non è stato adeguatamente potenziato, creando un ulteriore rischio in termini di mancato distanziamento personale e di possibile diffusione del contagio da COVID-19;

    riguardo alle politiche fiscali, la linea è sempre quella di intervenire per la riduzione delle aliquote più basse, al fine di agevolare l'inclusione sociale; la proposta di Fratelli d'Italia invece si basa su una semplificazione e una riduzione del numero delle aliquote, andando ad eliminare quelle intermedie che più penalizzano il ceto medio in difficoltà attraverso l'introduzione della flat tax; inoltre è necessario prevedere una no tax area e deduzioni ad esenzione totale dei redditi bassi;

    in materia fiscale appare, altresì, necessaria una vera pace fiscale per tutti i piccoli contribuenti che si trovano in condizioni di difficoltà economica, l'abolizione dell'inversione dell'onere della prova fiscale e la riforma del contenzioso tributario;

    l'abolizione del tetto al denaro contante è una misura importante, perché il tetto è un rischio per la privacy e rappresenta un grande limite per l'economia reale; non ha alcun senso avere un limite al contante quando in Austria, Germania e gran parte d'Europa non c'è alcun limite; chi vuole evadere con il contante potrà farlo lo stesso, la criminalità può spendere i suoi fondi negli altri Stati europei; il limite è solo un inutile fardello all'economia italiana;

    l'Italia è il terzo Stato al mondo per consistenza di riserve auree, con 2.451,8 tonnellate di oro, pari ad una somma di circa 110 miliardi di euro; l'oro è custodito per il 48 per cento a Palazzo Koch, sede della Banca d'Italia in via Nazionale a Roma, e per il restante 52 per cento è distribuito fuori dai confini nazionali; si rende assolutamente necessario un atto normativo che ribadisca, in maniera esplicita, che le riserve auree sono di proprietà dello Stato italiano e non della Banca d'Italia e che le riserve auree eventualmente ancora detenute all'estero debbono rientrare nel territorio nazionale;

    Fratelli d'Italia ha chiesto e in parte ottenuto adeguati ristori per il comparto della montagna e dello sci, messi in ginocchio dalle recenti politiche adottate dal Governo; ha inoltre richiesto in epoca non sospetta, e ancora prima della pandemia, di completare il definitivo ristoro per le popolazioni colpite in questi anni da eventi sismici e di avviare una messa in sicurezza complessiva di tutto il territorio italiano;

    servono ulteriori stanziamenti significativi ed immediati per il mondo della cultura, del turismo, dello sport, dell'università e della ricerca scientifica e della scuola, che la ex Ministra Azzolina, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha ridotto a barzelletta con l'unica iniziativa assunta dell'acquisto dei famosi «banchi a rotelle» per garantire quel distanziamento in classe il cui rispetto è stato lasciato nella responsabilità di insegnanti e presidi, letteralmente abbandonati al loro destino, insieme a milioni di famiglie;

    si è arrivati all'assurdo per cui risulta possibile viaggiare per turismo all'estero, ma non tra le regioni italiane di diverso colore;

    le riaperture previste dal 26 aprile 2021 sono un primo passo, ma ancora non saranno sufficienti, specie per il mondo legato ai settori del turismo e della ristorazione, con l'assurda vigenza del coprifuoco alle ore 22,00, la cui efficacia effettiva in termini di contenimento del contagio risulta assolutamente incomprensibile;

    le chiusure hanno fatto aumentare in maniera esponenziale i profitti dei colossi del web, di pari passo con i fallimenti e le perdite di fatturato delle attività di prossimità, una concorrenza sleale anche perché i giganti del web non pagano, se non in maniera risibile, tasse in Italia;

    altra concorrenza sleale è quella dei negozi aperti da stranieri: per i primi due anni non c'è controllo fiscale e quindi possono permettersi prezzi impossibili per chi deve pagare le tasse e dopo due anni spesso questi esercizi commerciali cambiano proprietario, e così proseguono distruggendo il tessuto commerciale locale; per ovviare a questo fenomeno, è necessario introdurre una caparra così da coprire l'eventuale elusione della tassazione;

    cinema, teatri, palestre e piscine sono oramai arrivati al collasso, mentre manca una chiara indicazione sul perché si sia ritenuto più pericoloso assistere ad uno spettacolo in numero contingentato e in sicurezza, piuttosto che affollarsi senza distanziamento sui mezzi pubblici;

    l'importanza dello sport dal punto di vista dei rapporti sociali e per lo sviluppo delle difese immunitarie è certificata da innumerevoli studi, ma questa centralità, ancor più evidente in tempi di pandemia, non è riconosciuta né con una giusta attenzione ai ristori per chi lavora nel settore e alle riaperture, né con l'istituzione di un Ministero, né con l'inserimento di una specifica norma nella Costituzione;

    i luoghi della cultura – teatri, cinema, musei in particolare – sono sull'orlo del fallimento e con loro gli organizzatori d'eventi, gli artisti e tutti quelli che, come associazioni o partite iva, lavorano nella filiera;

    la cultura ha un ruolo fondamentale nella vita quotidiana e anche nella promozione del turismo italiano, eppure è totalmente estranea al dibattito e all'attenzione del Governo;

    i dati presentati dall'Agis – Associazione generale italiana dello spettacolo sono molto chiari in tal senso: «Su 347.262 spettatori in 2.782 spettacoli monitorati tra lirica, prosa, danza e concerti, con una media di 130 presenze per ciascun evento, nel periodo che va dal 15 giugno 2020 (giorno della riapertura dopo il lockdown) ad inizio ottobre 2020, si registra un solo caso di contagio da COVID-19 sulla base delle segnalazioni pervenute dalle aziende sanitarie locali territoriali»;

    la gestione della pandemia ha dimostrato ancora una volta che l'architettura dello Stato va riformata partendo dall'elezione diretta del Presidente della Repubblica che possa, proprio perché eletto direttamente dagli italiani a rappresentare e guidare la Nazione, e rappresentare l'unità nazionale può garantire una maggiore autonomia delle regioni;

    le polemiche interne al Governo in un momento così complesso rendono evidente l'utilità del vincolo di alleanza per impedire che nascano Governi «innaturali» e incapaci di politiche coerenti con i programmi presentati agli elettori;

    appare assolutamente ingiustificabile l'ulteriore incremento proposto di un miliardo di euro per il cosiddetto «reddito di cittadinanza», mentre tale cifra, unitamente alla previsione di ricavo di cinque miliardi di euro dal meccanismo del cash back, potrebbe essere impegnata per garantire ristori più adeguati alle milioni di piccole e medie imprese e ai liberi professionisti in ginocchio;

    si assiste alla perdurante furia «gender» portata avanti dalla sinistra, a cominciare dalla sostituzione della mamma e del papà con la triste dizione «genitore uno» e «genitore due», mentre per alcune forze di Governo tematiche quali lo «ius soli» sembrano avere maggiore importanza della ripresa economica, che è la vera sfida di oggi, con la crisi che morde milioni di famiglie e di imprese italiane;

    la cosiddetta «cancel culture» e l'iconoclastia, cioè la vandalizzazione o addirittura l'abbattimento di parte del patrimonio culturale considerato «politicamente scorretto», è un fenomeno che dagli Usa e da alcune nazioni europee sta arrivando, grazie ad alcuni presunti intellettuali, in Italia; il dibattito sul passato, totalmente decontestualizzato, rischia d'inasprire il confronto e di cancellare, dai libri e dal nostro patrimonio, la nostra cultura;

    è insensato pensare di invertire il trend della caduta della curva demografica e della natalità zero nel nostro Paese, attraverso l'agevolazione di un ingresso incontrastato di immigrati e clandestini, anche attraverso la semplificazione contenuta nell'ultimo «decreto sicurezza» delle pratiche necessarie per ottenere accoglienza e residenza, non solo per chi provenga da zone teatro di guerra ma anche per motivi di lavoro, ove ne ricorrano i requisiti;

    sul fronte della sicurezza e della lotta all'immigrazione clandestina Fratelli d'Italia ha proposto fin da subito la soluzione del blocco navale: per evitare che il Mediterraneo continui ad essere un mare di morte, regno degli scafisti e delle organizzazioni non governative che, dietro presunte operazioni umanitarie, sono state spesso complici anche involontarie ma non per questo meno colpevoli del traffico di esseri umani; ma Fratelli d'Italia ha anche chiesto in tutte le leggi di bilancio aumenti concreti per gli stipendi delle forze dell'ordine, dei vigili del fuoco e di tutti quelli che ogni giorno lottano contro il crimine, aumenti che troppo spesso per il Governo si sono ridotti a semplice elemosina,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per raddoppiare la percentuale prevista per i ristori una tantum, relativamente alle perdite di fatturato rispetto al precedente esercizio finanziario delle imprese, dei liberi professionisti, dei lavoratori autonomi ammessi a godere del relativo contributo una tantum a fondo perduto, con un ristoro pari ad almeno l'80 per cento della perdita di fatturato relativamente alla annualità 2019 e garantendo un'immediata e corrispondente liquidità nei conti correnti delle imprese e dei liberi professionisti beneficiari della relativa misura;

2) ad adottare iniziative per autorizzare l'accesso ai cosiddetti «ristori» anche per le imprese medie con fatturato fino a 50 milioni di euro e a prevedere come ulteriore condizione un calo medio del fatturato mensile non inferiore al 25 per cento, per garantire, da un lato, a una platea più ampia di imprese la possibilità di accedere alla misura e per non escludere, dall'altro, soggetti anche di piccole dimensioni, come bar, pub e locali di somministrazione al dettaglio, che specie nelle periferie urbane si trovano spesso con un fatturato sensibilmente ridotto, ma non nella misura capestro del 30 per cento;

3) ad adottare iniziative per prorogare la misura del credito di imposta per i canoni di locazione di botteghe e negozi o di immobili a uso non abitativo e affitto d'azienda fino al 31 dicembre 2021, elevando la percentuale fino al 100 per cento dell'ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell'attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all'esercizio abituale e professionale dell'attività di lavoro autonomo;

4) ad adottare iniziative per introdurre la golden power per tutte le infrastrutture e le aziende strategiche;

5) ad adottare iniziative per rivedere il modello attuale di tassazione progressiva, mirata ad un'ulteriore riduzione delle aliquote più basse in termini di inclusione sociale, andando a semplificare e a ridurre il numero delle aliquote stesse, eliminando quelle intermedie che più penalizzano il ceto medio in difficoltà;

6) ad adottare iniziative per introdurre la flat tax al posto della attuale tassazione progressiva, riducendo le aliquote intermedie ed estendendo l'area «no tax» a vantaggio dei ceti meno abbienti;

7) ad adottare iniziative per abolire il tetto all'utilizzo del contante;

8) ad adottare iniziative per garantire una vera e duratura «pace fiscale» con i contribuenti, considerato che il «condono» per le cartelle esattoriali fino a 5 mila euro maturate entro il 2010 per contribuenti con reddito fino a 30 mila euro annui appare assolutamente insufficiente rispetto alle decine di milioni di cittadini che per oggettive difficoltà economiche hanno accumulato in questi anni pendenze con il fisco;

9) a ribadire la proprietà pubblica delle riserve auree e a riportare in Italia le riserve auree di proprietà dello Stato italiano custodite all'estero;

10) ad adottare iniziative per prevedere l'introduzione di una vera web tax per i giganti del web per garantire una concorrenza più equa;

11) ad adottare iniziative per introdurre una caparra di 30.000 euro per autorizzare l'apertura di attività commerciali gestite da cittadini extra-Unione europea;

12) a rendere effettiva e veloce la cosiddetta vaccinazione di massa, dopo i ritardi accumulati dal precedente Governo e dalla struttura commissariale guidata dall'ex commissario Arcuri, considerato che oggi Paesi come l'Inghilterra, che hanno effettuato una massiccia campagna vaccinale e stanziato ingenti risorse economiche per lo sviluppo in proprio e l'acquisizione del vaccino, stanno riaprendo imprese e attività commerciali e che il rischio, oltre che per la salute, è quello di perdere ulteriore competitività economica rispetto alle Nazioni che si sono mosse prima e meglio dell'Italia;

13) ad adottare iniziative per riformare la formazione universitaria in ambito medico per impedire l'imbuto formativo e la cosiddetta «fuga di cervelli» attraverso l'aumento delle borse di studio per l'iscrizione alle scuole di specializzazione e per una maggiore collaborazione pubblico-privato;

14) a non porre in essere nessun pregiudizio politico, che possa ritardare la disponibilità di vaccini nel nostro Paese, vincolando le scelte ad una mera ricognizione tecnica dei prodotti attualmente esistenti in commercio;

15) a rilanciare un grande piano per la messa in sicurezza del territorio e per il potenziamento delle infrastrutture materiali ed immateriali capaci di ammodernare definitivamente il sistema Paese, attraverso una scelta decisa in favore dell'alta velocità nel trasporto ferroviario da portare anche al Sud dell'Italia, per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, per il completamento del «corridoio ferroviario europeo» e il collegamento attraverso la Val di Susa, per il rilancio definitivo della compagnia aerea di bandiera, per la difesa degli interessi nazionali sul fronte delle nuove tecnologie legate al 5G e alla banda larga ultraveloce;

16) ad adottare iniziative per prevedere un rifinanziamento di 1 miliardo di euro del Fondo nazionale trasporti, per consentire alle regioni e ai comuni di mettere in campo risposte adeguate in termini di potenziamento del trasporto pubblico locale, anche in relazione ai nuovi standard imposti dalla pandemia da COVID-19 ancora in corso;

17) ad adottare iniziative per definire l'assetto e i poteri di Roma capitale, fermi alle disposizioni di cui alla legge n. 42 del 2009 e alle funzioni amministrative conferite, tra l'altro, ancora esclusivamente sotto un aspetto puramente formale, con il decreto legislativo n. 61 del 2012, un impegno tra l'altro preso solennemente in occasione del voto unanime all'ordine del giorno 9/02790-bis-AR/092, a prima firma Meloni, presentato alla Camera ed approvato nel mese di dicembre 2020;

18) a completare le ricostruzioni delle aree colpite da sisma e ad adottare iniziative per prevedere ulteriori stanziamenti per gli operatori della montagna, superando il meccanismo proporzionale sulla differenza dei biglietti venduti nell'anno precedente;

19) a rendere immediate le riaperture di tutte le attività, ristoranti, bar e pub, cinema, teatri, piscine e palestre e a togliere immediatamente quella che i firmatari del presente atto di indirizzo valutano l'inutile misura del coprifuoco alle 22, la cui efficacia in termini di contenimento del contagio non è stata mai provata, né avallata da alcun organismo scientifico qualificato;

20) ad adottare iniziative per prevedere interventi straordinari per chi lavora nei settori dello sport e della cultura, garantendo la riapertura dei luoghi della cultura – teatri, cinema, musei – e sostenendoli attraverso sgravi fiscali, in particolare per le spese relative alla sanificazione e alla sicurezza dei luoghi;

21) ad adottare iniziative per rivedere il decreto-legge n. 130 del 2020, cosiddetto «decreto sicurezza», limitando i casi di accoglienza a quelli strettamente previsti dalle leggi e dalle convenzioni internazionali vigenti, in termini di controlli di frontiera, permesso di soggiorno, accoglienza di richiedenti e riconoscimento della protezione internazionale, anche in considerazione della grave e perdurante crisi economica in cui versa l'Italia, aggravata dall'epidemia di COVID-19;

22) ad evitare l'adozione di iniziative, la cui priorità appare del resto ai firmatari del presente atto di indirizzo incomprensibile nell'attuale fase di pandemia e di crisi economica che l'Italia sta attraversando, che, sotto la formula dello «ius soli» e dello «ius culturae», mirino surrettiziamente ad affrontare il problema del preoccupante calo demografico nel nostro Paese, con l'estensione erga omnes del diritto di cittadinanza, anche a soggetti mossi da motivazioni contingenti, spesso di natura meramente economica, talvolta portatori di principi estranei e incompatibili con la nostra tradizione culturale e non anche di quell'idem sentire che deve caratterizzare sempre il requisito minimo per far parte di una comunità nazionale;

23) ad adottare iniziative per prevedere maggiori stanziamenti per le forze dell'ordine, per un importo ulteriore di un miliardo di euro, in considerazione dell'impegno straordinario profuso per garantire la sicurezza particolarmente in questo ultimo anno di pandemia, anche in relazione alle specifiche ed ulteriori incombenze relative al supporto alla campagna vaccinale di massa nel nostro Paese;

24) a difendere la famiglia tradizionale, come nucleo fondante della società, prima cellula di protezione e difesa delle vecchie e nuove fragilità, e presidio ineludibile per qualunque prospettiva tesa a garantire un futuro prosperoso e florido alla Nazione;

25) ad adottare iniziative per inasprire le pene per chi vandalizza, deturpa, distrugge o rimuove indebitamente opere e monumenti del nostro patrimonio culturale.
(1-00469) «Lollobrigida, Meloni, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(23 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la pandemia globale da COVID-19 ha generato una profonda crisi economica, con conseguente riduzione nel 2020 del prodotto interno lordo dell'8,9 per cento e dell'occupazione del 2,8 per cento;

    per fronteggiare la crisi pandemica che continua a condizionare pesantemente la vita economica e sociale del Paese e del mondo intero, è necessario utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, dalla campagna di vaccinazione all'impulso alla ricerca medica e al rafforzamento del Sistema sanitario nazionale; in campo economico, dai sostegni e ristori al rilancio degli investimenti e dello sviluppo con il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) finanziato dal Next Generation EU (Ngeu) e da ulteriori risorse nazionali;

    dopo le misure di sostegno a famiglie e imprese già erogate nell'anno 2020 e all'inizio del 2021, per superare la fase ancora difficile dell'emergenza e consolidare la ripresa, con la Relazione annessa al Def 2021, il Governo ha richiesto il 22 aprile 2021 l'autorizzazione al Parlamento al ricorso all'indebitamento di 40 miliardi di euro (2,3 per cento dei prodotto interno lordo) per l'anno 2021, ai fini del varo di un nuovo provvedimento di sostegno ad imprese e famiglie, e di circa 6 miliardi di euro medi annui (0,3 per cento del prodotto interno lordo) per il periodo 2022-2033, principalmente finalizzati a finanziare spese per investimenti pubblici;

    in risposta alla crisi generata dalla pandemia da COVID-19, il Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020 ha concordato il Quadro finanziario pluriennale di 1.074,3 miliardi di euro e il programma Next Generation EU (Ngeu) da 750 miliardi di euro, risorse ingenti da destinare al sostegno di investimenti e riforme degli Stati membri, nonché al contrasto delle conseguenze economiche della crisi sanitaria da COVID-19;

    il più importante programma previsto nell'ambito di Next Generation EU è il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), che ha l'obiettivo di sostenere gli investimenti, anche in vista della transizione verde e digitale, e le riforme degli Stati membri nell'ambito del Semestre europeo, al fine di agevolare una ripresa duratura, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, migliorare la resilienza delle economie dell'Unione europea e ridurre le divergenze economiche fra gli Stati membri;

    il Piano è articolato in progetti di investimento e riforme, la cui realizzazione dovrebbe determinare effetti significativi sulle principali variabili economiche: si prevede infatti che nel 2026, al termine dell'attuazione del Piano, il prodotto interno lordo sarà di circa 3,6 punti percentuali superiori rispetto ad uno scenario che non tiene conto delle riforme, mentre l'occupazione aumenterà di 3,2 punti percentuali rispetto allo scenario base del triennio 2024-2026;

    nelle risoluzioni al Def 2021 approvate nei due rami del Parlamento, in data 22 aprile 2021, sono stati inseriti, tra gli interventi prioritari da realizzare: il miglioramento dell'efficienza e del funzionamento della pubblica amministrazione; la rinegoziazione del debito per regioni e province; la riduzione dei tempi dei procedimenti giudiziari; la predisposizione di un disegno di legge delega sulla riforma fiscale con il pieno coinvolgimento del Parlamento, improntato alla semplificazione del sistema e alla riduzione complessiva della pressione fiscale; il completamento dell'attuazione del Green new Deal; l'introduzione di misure straordinarie volte a sostenere l'istruzione, l'università e la ricerca; la promozione di un nuovo modello di sviluppo produttivo orientato verso la riconversione e il rilancio dell'industria, soprattutto quella del comparto automotive; la proroga della misura del cosiddetto Superbonus 110 per cento fino a tutto il 2023, includendo tutte le tipologie di edifici, ivi compresi quelli del settore alberghiero ed extra-alberghiero e turistico-ricettivo; il rafforzamento dei servizi pubblici per il lavoro e delle politiche attive del lavoro; la realizzazione di una definizione organica e completa dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep); l'incremento degli investimenti relativi al rafforzamento della resilienza e della capacità del sistema sanitario; lo stanziamento di ulteriori risorse agli enti territoriali da destinare al sostegno delle fasce più deboli e al potenziamento del trasporto pubblico locale;

    altre sollecitazioni contenute nelle risoluzioni approvate sono: la promozione di una revisione sostanziale del meccanismo del Patto di stabilità e crescita, che tenga conto delle conseguenze della pandemia e delle esigenze di ripresa socio-economica in ciascuno Stato membro; interventi volti a garantire al sistema imprenditoriale la necessaria liquidità per superare la crisi economica correlata alla pandemia, anche verificando con le competenti istituzioni europee la possibilità di modificare il Temporary Framework sugli aiuti di Stato; la proroga, almeno fino alla fine dell'anno 2021, della moratoria sui crediti in favore delle micro, piccole e medie imprese,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per impiegare le risorse finanziarie derivanti dallo scostamento di bilancio, da ultimo autorizzato dal Parlamento, al fine di introdurre – con la massima celerità – nel primo provvedimento utile, misure volte al rilancio economico e produttivo del Paese;

2) a dare attuazione agli impegni contenuti nelle risoluzioni relative al Documento di economia e finanza 2021, approvate da entrambi i rami del Parlamento;

3) a dare attuazione al Piano nazionale di ripresa e resilienza, assicurando il pieno coinvolgimento del Parlamento, anche con riferimento al monitoraggio della relativa attuazione, all'impatto dei singoli interventi, al rispetto dei tempi e degli obblighi di risultato previsti dal regolamento (UE) 2021/241.
(1-00476) «Davide Crippa, Molinari, Serracchiani, Occhiuto, Boschi, Fornaro, Schullian, Silli, Lapia, Lupi, Magi, Tasso».

(3 maggio 2021)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE

   La Camera,

   premesso che:

    ormai 10 anni fa, nel 2009, il Parlamento italiano ratificava la Convenzione Onu per i diritti per le persone con disabilità, approvata dall'Assemblea delle Nazioni unite nel dicembre 2006;

    l'articolo 19 di detta Convenzione recita: «Le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere (...); le persone con disabilità abbiano accesso ad una varietà di servizi di sostegno domiciliari residenziali e di altro tipo, compresa l'assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere ed essere incluse nella società e impedire che siano isolate o segregate dalla collettività; i servizi e le strutture destinati alla popolazione generale siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattati ai loro bisogni»;

    affinché le persone con disabilità possano veramente vivere una vita indipendente è necessario che riprenda con vigore l'impegno delle istituzioni nazionali e locali per l'abbattimento delle barriere architettoniche;

    l'articolo 24 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», prevede l'obbligo per tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che siano suscettibili di limitare l'accessibilità e la visibilità di essere eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni, al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, alla legge n. 13 del 1989, e successive modificazioni, e al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236;

    inoltre, sempre per quanto disposto dall'articolo 24 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, tutte le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone handicappate, sono dichiarate inabitabili e inagibili;

    l'articolo 26 della sopra citata legge obbliga le regioni a disciplinare «le modalità con le quali i comuni dispongono gli interventi per consentire alle persone handicappate la possibilità di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi» ed a elaborare «nell'ambito dei piani regionali di trasporto e dei piani di adeguamento delle infrastrutture urbane, piani di mobilità delle persone handicappate»;

    il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503 («Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici»), ha dettato disposizioni più specifiche per gli spazi ed edifici pubblici. Più in particolare, l'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 recita: «I progetti relativi agli spazi pubblici e alle opere di urbanizzazione a prevalente fruizione pedonale devono prevedere almeno un percorso accessibile in grado di consentire (...) l'uso dei servizi, le relazioni sociali e la fruizione ambientale anche alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale»;

    in merito a una completa applicazione delle disposizioni di legge relative al superamento delle barriere architettoniche in spazi pubblici, nonché di quelle relative alla fruizione pedonale di aree urbane, resta ancora moltissimo da fare;

    l'abbattimento delle barriere è di fatto un modo per migliorare la qualità della vita di tutti e non deve essere pensato esclusivamente per le categorie di estremo disagio, ma anche per la popolazione di età anziana, per persone colpite da infortunio, per le donne in gravidanza, ma anche per genitori e nonni alle prese con carrozzine o passeggini o per i lavoratori che devono movimentare dei carichi;

    è quindi necessario attivarsi per avere un quadro chiaro e completo sul reale adempimento delle normative in materia, sia in riferimento all'edilizia pubblica che in riferimento agli spazi di mobilità urbana,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per effettuare, in accordo con regioni ed enti locali, un censimento degli immobili ed edifici pubblici non in regola con le norme relative al superamento delle barriere architettoniche;

2) a promuovere analogo censimento sullo stato dell'usufruibilità della viabilità pubblica;

3) a promuovere un piano a lungo termine di investimenti pubblici per intervenire e sanare le situazioni risultate non in regola con le normative in materia;

4) ad adottare iniziative per rifinanziare il fondo di cui all'articolo 10 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, onde favorire l'abbattimento delle barriere architettoniche anche negli edifici privati.
(1-00212) «Novelli, Dall'Osso, Versace, Mugnai, Bagnasco, Pedrazzini, Bond, Brambilla, Occhiuto».

(25 giugno 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (Crpd), ratificata dall'Italia con legge n. 18 del 2009, sancisce il diritto umano all'accessibilità delle persone con disabilità (articoli 3 e 9 Crpd);

    è, tra l'altro, la mancanza di accessibilità che crea la cosiddetta «disabilità», definibile quale la conseguenza o il risultato di una complessa interazione tra, da una parte; la condizione di salute in senso stretto della persona (caratterizzata o meno da certe limitazioni funzionali) e, dall'altra, i cosiddetti «fattori contestuali», ovverosia un ambiente – fisico e sociale – escludente, che impedisce la partecipazione e lo sviluppo della personalità di ciascuno, secondo le proprie legittime aspirazioni (Organizzazione mondiale della sanità 2001, Classificazione ICF);

    la mancanza di accessibilità non è soltanto una violazione dei diritti umani, ma anche un pesante deficit per il nostro tessuto economico e produttivo, in quanto non permette a milioni di persone – italiane e di Paesi esteri – di accedere al lavoro e produrre reddito nel nostro Paese, nonché di fruire dei più svariati servizi e beni di consumo, elemento che è particolarmente significativo in un Paese ad altissima vocazione turistica, come l'Italia;

    in altre parole, garantire una piena ed efficace accessibilità a tutte e tutti, in tutti gli ambiti della vita, rappresenta un importantissimo «volano» per l'economia (Commissione europea – DG Enterprise and Industry, 2014);

    il diritto all'accessibilità è da intendere in senso ampio, come accessibilità non soltanto fisica o materiale, ma anche all'informazione e alla comunicazione, che deve essere garantita dagli Stati parti a tutte le persone con disabilità su base di eguaglianza con gli altri, sia nelle aree urbane che in quelle rurali e con riferimento a:

     a) ambiente fisico: trasporti, edifici, viabilità ed altre strutture cosiddette «interne» ed «esterne» (esempio scuole, alloggi, strutture sanitarie, luoghi di lavoro, luoghi e servizi turistici, luoghi per l'esercizio del diritto di voto, tribunali, uffici pubblici, attrezzature ed altri ambienti o servizi aperti e/o forniti al pubblico);

     b) ambiente virtuale: tecnologie di informazione e comunicazione, servizi informatici e di emergenza ed altri servizi aperti e/o forniti al pubblico (articoli 3, 9 e 21 Crpd);

    il diritto all'accessibilità è sia diritto in sé e per sé, sia diritto fondamentale «funzionale», presupposto imprescindibile per il godimento di tutti gli altri diritti della persona umana, perché la sua garanzia consente alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente, di compiere le proprie scelte e di partecipare a tutti gli aspetti della vita su base di eguaglianza con gli altri (articoli 9, 19, 20, 21, 29 e 30 Crpd);

    è compito della Repubblica, a tutti i livelli, «rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti (...) all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (articolo 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2 e 32 della Costituzione);

    a tale proposito, la Corte costituzionale ha affermato che la «mancanza di accessibilità abitativa, non può non determinare quella disuguaglianza di fatto impeditiva dello sviluppo della persona che il legislatore deve, invece, rimuovere (...), ledendo più in generale il principio personalista che ispira la Carta costituzionale e che pone come fine ultimo dell'organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana» e «comport[ando] anche una lesione del fondamentale diritto (...) alla salute intesa quest'ultima nel significato, proprio dell'articolo 32 della Costituzione, comprensivo anche della salute psichica la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica» (così Corte costituzionale, sentenza n. 167 del 1999);

    non esiste accessibilità senza garanzia dei diritti fondamentali alla «progettazione universale» e all'«accomodamento ragionevole»;

    per accomodamento ragionevole si intendono «le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali» (articolo 2 Crpd);

    il rifiuto di un accomodamento ragionevole integra una discriminazione fondata sulla disabilità, illegittima sul piano internazionale, europeo e nazionale, nonché – in quanto tale – censurabile dinanzi ad un giudice, sia nei confronti di soggetti privati sia nei confronti delle autorità pubbliche (articolo 1 Crpd; direttiva 2000/78/CE; legge n. 67 del 2006; decreto legislativo n. 216 del 2003, come modificato nel 2013);

    per progettazione universale si intende «la progettazione di prodotti, strutture, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate», diritto che in ogni caso «non esclude dispositivi di sostegno per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari» (articolo 2 Crpd);

    l'Unione europea e il Consiglio d'Europa – ciascuno secondo il proprio ambito di competenze – impongono agli Stati membri l'obbligo di garantire alle persone con disabilità, in condizioni di eguaglianza rispetto al resto della popolazione, l'accesso generalizzato a beni e servizi (esempio oggetti e prodotti tecnologici e di telefonia, e-commerce, servizi bancari, infrastrutture, trasporti, informazioni e mezzi di comunicazione, servizi d'emergenza, siti web e app mobile di enti pubblici), sia con riferimento a beni e servizi già esistenti, sia rispetto a quelli di nuova progettazione – da attuare secondo i principi del cosiddetto «Universal Design» o del «Design for All» (Regolamento (CE) n. 661 del 2009, Regolamento (UE) n. 1107 del 2006, Regolamento (UE) n. 1371 del 2009; direttive (UE) n. 2019/882 e n. 2016/2102; Strategia europea sulla disabilità 2021-2030; Strategia per le persone con disabilità 2017-2023 del Consiglio d'Europa);

    lo Universal Design delinea un paradigma di progettazione universale (di spazi, tempi, servizi, oggetti, edifici, e altro) inclusivo non soltanto delle persone con disabilità, ma di tutte e tutti; l'ambiente diventa così «antropizzato», ovverosia a misura di tutti i suoi cittadini, qualunque sia la loro complessità identitaria, le loro caratteristiche ed i loro bisogni; in altre parole, si tratta di progettare prodotti e ambienti utilizzabili da tutte le persone, nella misura più ampia possibile, senza necessità di adattamento o progettazione specializzata;

    la variante europea del Design for All – elaborata dall'Eidd (Istituto europeo per il design e la disabilità) nel 2004 – si autodefinisce «il design per la diversità umana, l'inclusione sodale e l'uguaglianza», per la garanzia delle pari opportunità in ogni aspetto della vita sociale; di conseguenza, ogni cosa progettata deve essere: accessibile, comoda da usare per ognuna capace di rispondere all'evoluzione della diversità umana;

    quanto al contesto nazionale, la legge n. 118 del 1971 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) prevede che in nessun luogo pubblico o aperto al pubblico, compresi i trasporti, possa essere impedito l'accesso alle persone con disabilità «non deambulanti», così come che nei nuovi edifici pubblici, nonché in quelli di interesse sociale debbano necessariamente mancare o essere rimosse eventuali barriere architettoniche (articolo 17);

    la legge finanziaria n. 41 del 1986 sancisce che per gli edifici pubblici già esistenti e non ancora adeguati agli standard di accessibilità «dovranno essere adottati da parte delle Amministrazioni competenti piani di eliminazione delle barriere architettoniche (...)» (articolo 32, comma 21);

    il decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 (Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici), statuisce che «nell'elaborazione degli strumenti urbanistici le aree destinate a servizi pubblici sono scelte preferendo queste che assicurano la progettazione di edifici e spazi privi di barriere architettoniche» (articolo 3) e detta norme specifiche con riferimento a parcheggi, circolazione e sosta dei veicoli, contrassegno speciale, edifici scolastici, trasporto tranviario, automobilistico e metropolitano, trasporto ferroviario, navigazione marittima;

    il medesimo decreto del Presidente della Repubblica rinvia poi alla disciplina di cui al decreto ministeriale n. 236 del 1989 (di attuazione della legge n. 13 del 1989, Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati – oggi trasfusa nel T.U. dell'edilizia, decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 77 e seguenti), per quanto concerne arredo urbano, scale e rampe, servizi igienici pubblici, spazi pedonali, norme generali sugli edifici, unità ambientali e loro componenti – estendendo in molta parte a edifici, spazi e servizi pubblici quanto previsto per gli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica;

    il decreto ministeriale n. 236 del 1989 (Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche) introduce all'articolo 2 – a seconda della tipologia di spazi e ambienti – i concetti di:

     a) «accessibilità»: la possibilità di raggiungere un edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di poter fruire dei suoi spazi e attrezzature in condizioni di eguaglianza con gli altri, nonché di adeguata sicurezza e autonomia (esempio scuole, ospedali, tribunali, uffici pubblici);

     b) «adattabilità»: sorta di «accessibilità differita» o possibilità di modificare nel tempo lo spazio già progettato e costruito a costi sostenibili, affinché lo stesso, in origine escludente rispetto alle persone con disabilità, diventi completamente e agevolmente fruibile a tutti (esempio possibilità di installare un ascensore e/o un servo scala negli edifici con più di tre piani);

     c) «visitabilità»: la possibilità di accesso limitatamente ad una parte dell'edificio o delle unità immobiliari, in modo che sia consentita la fruizione degli spazi di relazione (esempio zone o posizioni riservate per assistere alle funzioni religiose e agli spettacoli);

    la legge n. 104 del 1992 contiene diverse disposizioni inerenti all'eliminazione delle barriere architettoniche, alla mobilità e ai trasporti e – con statuizione di portata generale – sancisce che l'inclusione della persona non può che realizzarsi, tra gli altri aspetti, mediante la garanzia dell'accesso agli edifici pubblici e privati e l'eliminazione o il superamento delle barriere fisiche e architettoniche che ostacolano i movimenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, nonché per mezzo di provvedimenti che assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e, contestualmente, l'organizzazione di trasporti specifici (articolo 8);

    la medesima legge, inoltre, stabilisce l'obbligo da parte dei comuni di integrare i Peba (Piani di eliminazione delle barriere architettoniche – di cui alla sopra citata legge n. 41 del 1986, articolo 82, comma 21) con il piano di accessibilità urbana (articolo 24, comma 9);

    è poi prevista l'erogazione di sanzioni per la violazione delle norme a tutela della partecipazione sociale e dell'accessibilità delle persone con disabilità, così come si prevede che le opere in edifici pubblici o aperti al pubblico realizzate in modo difforme dalle disposizioni vigenti debbano essere dichiarate «inabitabili» o «inagibili» laddove tale difformità renda le stesse inutilizzabili da parte delle persone con disabilità (articoli 23 e 24, della legge n. 104 del 1992, nonché articolo 82 T.U. edilizia);

    ancora, la legge n. 4 del 2004 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 75 del 2005 si occupano di garantire che gli enti pubblici e le pubbliche amministrazioni tutelino «il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici», «eroga[ndo] servizi e forn[endo] informazioni fruibili, senza discriminazioni» (articoli 1 e 2);

    tuttavia, molte delle disposizioni appena descritte risultano, ad oggi, frequentemente violate e disattese, come attestato dai dati disponibili in materia;

    per citare alcuni degli ambiti di maggiore violazione del diritto all'accessibilità, dal mondo della scuola emergono carenze preoccupanti: soltanto il 31,5 per cento delle scuole ha abbattuto le barriere architettoniche, percentuale che «crolla» addirittura al 17,5 per cento in caso di barriere senso-percettive, con differenze marcate tra regioni; mancano inoltre gli insegnanti ed il personale specializzato (ad esempio assistenti educativi), che spesso non risultano comunque essere adeguatamente formati in materia di accessibilità fisica, sensoriale e/o alla comunicazione (Istat 2019; Istat 2020);

    la mancanza di accessibilità pregiudica le relazioni sociali tra gli studenti con disabilità e il resto della classe, sia rispetto alla fruizione delle lezioni, sia rispetto ai rapporti interpersonali, dentro e fuori dall'aula scolastica (esempio partecipazione a gite), creando stigma e isolamento e pregiudicando lo sviluppo della propria personalità (Istat 2019);

    con riferimento al turismo accessibile, l'Unione europea ha stimato come in Europa soltanto il 9 per cento delle strutture siano accessibili alle persone con disabilità, con una perdita di mercato potenziale di almeno 400 miliardi di euro;

    in questo contesto, l'Italia si colloca agli ultimi posti della classifica relativa all'accessibilità – assieme a Ungheria, Estonia, Slovacchia, Belgio, Bulgaria, Croazia e Romania (Commissione europea 2018);

    come detto, il dato è particolarmente allarmante non soltanto con riferimento alla garanzia dei diritti fondamentali delle persone con disabilità, ma anche in relazione alle perdite economiche ingenti che produce, in un Paese, come il nostro, a vocazione turistica e culturale – con riferimento al patrimonio naturale e paesaggistico, museale ed archeologico: più nel dettaglio, si stima la perdita di una cifra pari ad almeno il 20 per cento del fatturato annuale (Commissione europea – DG Enterprise and Industry, 2014);

    la situazione non è migliore sotto il profilo della salute e del diritto alla protezione dalla violenza, registrandosi su tutto il territorio nazionale preoccupanti e numerosi di casi di inaccessibilità dei centri antiviolenza e delle case rifugio, dei percorsi ospedalieri e di acquisizione del consenso informato, nonché degli ambulatori e dei macchinari di cui ai servizi di ginecologia e ostetricia (Comitato Onu 2016; Irpps-CNR 2018; Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane – Spes contra Spem 2016; Rapporto Uildm 2013);

    il sopra citato obbligo di redazione dei Peba, rivolti al superamento delle barriere in edifici pubblici, privati ad uso pubblico e nel contesto di pertinenza dei medesimi edifici risulta ampiamente disatteso in quasi ogni regione d'Italia, con percentuali che arrivano fino a oltre il 90 per cento di comuni non dotati di Peba (Anci 2018);

    altrettanto disatteso è l'obbligo di redazione dei piani di accessibilità urbana (Pau) ex articolo 24, comma 9, della legge n. 104 del 1992, che estende l'obbligo di accessibilità a tutti gli spazi urbani (strade, piazze, parchi, giardini, arredo urbano, parcheggi, trasporto pubblico e altro);

    entrambe le disposizioni, peraltro, non specificano gli standard minimi e inderogabili di accessibilità, da attuare mediante la redazione dei Piani su tutto il territorio nazionale, con una conseguente ed allarmante disomogeneità nell'attuazione di un diritto – quello all'accessibilità – avente substrato costituzionale; l'assenza di indicazioni comuni tecnico-operative, sulla mappatura di luoghi ed edifici, sugli obiettivi da perseguire e sugli strumenti e metodi di monitoraggio, infatti, fa sì che in alcuni casi i piani si traducano in mere petizioni di principio, prive di reale efficacia in concreto;

    non ultimo, vi è poi il tema della effettiva garanzia del diritto costituzionale al voto, che spesso le persone con disabilità non possono esercitare liberamente e segretamente, a causa di ostacoli e barriere architettoniche, ambientali, sensoriali e alla comunicazione (Cese 2019);

    con specifico riferimento alla partecipazione alla vita politica italiana, inoltre, il Comitato delle Nazioni Unite si è definito preoccupato «perché le persone con disabilità intellettiva e/o psicosociali non ricevono un sostegno adeguato per poter esercitare il diritto di voto» (Comitato Onu 2016, n. 3);

    la mancanza di accessibilità agli spazi e/o agli strumenti mediante i quali esercitare il diritto di voto priva la rappresentanza politica – tutta, senza eccezioni – di una grossa fetta di base elettorale, con evidenti implicazioni relative alla piena attuazione del principio di democrazia rappresentativa e dell'articolo 48 della nostra Costituzione;

    più in generale, con riferimento al nostro Paese, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità si è definito «preoccupato per l'insufficienza delle informazioni sui reclami e il monitoraggio degli standard di accessibilità [dei siti web, dei servizi di emergenza, del trasporto pubblico, degli edifici e delle infrastrutture] compresi quelli relativi all'utilizzazione di gare d'appalto pubbliche, per la carente applicazione e la mancanza di sanzioni in caso di inosservanza» ed ha raccomandato di rafforzare la raccolta dei dati e gli strumenti di monitoraggio e sanzionatori, per garantire che vengano rispettati gli standard di accessibilità, nonché – tra gli altri aspetti – di potenziare il trasporto pubblica «per garantire l'accesso a sistemi di trasporto sicuri, economicamente accessibili e sostenibili per tutti» (Comitato Onu 2016, nn. 21 e 22);

    il Comitato ha poi evidenziato «la carenza dei dati riguardanti la scarsa disponibilità di comunicazioni accessibili in tutto il settore pubblico, tra cui il settore dell'istruzione», raccomandando «una verifica e un piano d'azione per garantire in tutti i settori pubblici la fornitura di servizi di assistenza», tra cui rientra senz'altro quella educativa e la continuità didattica (nn. 23 e 24);

    la situazione descritta, inoltre, è stata di recente ulteriormente aggravata dalla pandemia da Covid-19, durante la quale le persone con disabilità e/o anziane non autosufficienti hanno assistito ad un arretramento dei loro diritti all'accessibilità e alla vita indipendente, se non ad una vera e propria violazione degli stessi (report Alto Commissariato delle Nazioni Unite 2020; EDF 2021; CESE 2021; Istat 2020; Istat 2021);

    molte delle disposizioni di cui alla normativa nazionale, oltre che inapplicate, risultano – allo stato attuale – spesso tra loro contraddittorie, perché frutto di stratificazione normativa, nonché ormai ampiamente superate, a seguito dello sviluppo dei principi della Universal Design (progettazione universale, accomodamenti e soluzioni ragionevoli), nonché del loro recepimento normativo nella Convenzione delle Nazioni Unite e nel diritto dell'Unione europea, entrambe fonti giuridiche vincolanti per istituzioni e autorità pubbliche nazionali, a tutti i livelli;

    inoltre, la disciplina sopra descritta risulta parziale, poiché l'accessibilità è un concetto complesso, dinamico e multiforme, che deve necessariamente comprendere sia l'accessibilità fisica o materiale (ad esempio agli spazi, agli ambienti, ai trasporti, ai servizi, ai beni o prodotti), sia quella virtuale (alle tecnologie, all'informazione, alla comunicazione), e deve essere declinata – in quanto diritto fondamentale della persona umana – con riferimento a qualsiasi tipo di disabilità (fisica, motoria, sensoriale, intellettiva, psichica e altro);

    in altre parole, l'accessibilità non deve e non può mai essere limitata al solo abbattimento delle barriere architettoniche e all'accessibilità dei siti internet, affinché tutte le persone con disabilità – qualsiasi sia la propria disabilità – siano pienamente cittadini, alla pari di tutti gli altri e in tutti gli ambiti della vita umana, in attuazione del principio di eguaglianza formale e sostanziale, di cui alla nostra Costituzione;

    di conseguenza, anche alla luce dei dati sopra esaminati, la disciplina nazionale necessita di revisione, aggiornamento ed implementazione, in attuazione dei principi di accessibilità, progettazione universale e accomodamento ragionevole sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite e dal diritto dell'Unione europea, entrambi vincolanti per le autorità pubbliche italiane;

    questa necessità, peraltro, è stata fortemente evidenziata anche dall'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità nel Secondo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità in attuazione della legislazione nazionale e internazionale ai sensi dell'articolo 3, comma 2, della legge 3 marzo 2009, n. 18, adottato con decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2017, che delinea – tra le altre – le seguenti azioni: revisione e adeguamento della disciplina sull'accessibilità, interventi afferenti all'area mobilità e trasporti, interventi per l'accessibilità dei servizi della pubblica amministrazione, implementazione del turismo accessibile e dell'accessibilità al patrimonio culturale, azioni di monitoraggio e di raccolta dati,

impegna il Governo:

1) ad applicare il cosiddetto «principio del mainstreaming» in tema di disabilità, prendendo in considerazione la necessità di garantire i diritti delle persone con disabilità – con particolare riferimento al diritto all'accessibilità – in tutte le politiche e in ciascuna materia affrontata, nonché in tutti gli interventi infrastrutturali – quale, in primo luogo, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr);

2) ad applicare il principio «nothing about us without us», consultando necessariamente le persone con disabilità e le loro organizzazioni rappresentative nella predisposizione delle politiche, ivi incluse quelle relative all'accessibilità, nonché coinvolgendole attivamente nel loro monitoraggio – come richiesto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall'Italia e dunque vincolante (articoli 4 e 33);

3) ad assumere tutte le iniziative necessarie per assicurare pienamente il diritto all'accessibilità, tenendo conto che lo stesso «attiene (...) al livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost.» (Corte costituzionale, sentenza n. 111 del 2014), ed in particolare ad assumere iniziative volte a:

   a) monitorare e assicurare il pieno e puntuale rispetto delle leggi già vigenti in materia di accessibilità, sia fisica/materiale, sia all'informazione e alla comunicazione e a predisporre regolamenti, protocolli e linee guida efficaci in materia;

   b) aggiornare – nell'ambito delle proprie competenze (compresi regolamenti, decreti, linee guida, protocolli) – la disciplina vigente, predisponendo nuove norme in materia di progettazione universale e accomodamento ragionevole, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità;

   c) realizzare una mappatura: dei comuni che hanno adempiuto efficacemente all'obbligo di predisposizione dei piani di eliminazione delle barriere architettoniche e di accessibilità urbana; degli immobili ed edifici pubblici non ancora in linea con gli standard di accessibilità; dello stato di accessibilità di trasporti e viabilità pubblica;

   d) garantire il diritto alla mobilità delle persone con disabilità, anche promuovendo l'adozione di misure uniformi su tutto il territorio nazionale che consentano la sosta gratuita nelle cosiddette Strisce blu ai titolari del contrassegno di cui all'articolo 188 del codice della strada;

   e) adottare linee guida volte a supportare le autorità amministrative competenti nella redazione dei piani di cui alla lettera c), al fine di promuovere l'adozione ed effettiva applicazione di criteri realmente omogenei sull'intero territorio nazionale;

   f) porre in essere le azioni di cui alle lettere precedenti in stretta collaborazione con le regioni, mediante l'attività della Conferenza Stato-regioni, nonché mediante stretto raccordo tra tutte le Amministrazioni competenti;

   g) assicurare – anche attraverso iniziative di formazione specifica e continua – che tutti i professionisti ed il personale della pubblica amministrazione e dei servizi di pubblica utilità, nei diversi ambiti (esempio istruzione, lavoro, salute, giustizia, protezione dalla violenza, mobilità e trasporti, accesso alla p.a. e all'informazione, turismo, attività culturali e ricreative, situazioni di emergenza, partecipazione alla vita politica), siano adeguatamente e professionalmente formati in materia di accessibilità, progettazione universale, accomodamenti ragionevoli e vita indipendente, come richiesto dalla Convenzione delle Nazioni Unite e dal diritto antidiscriminatorio europeo nonché nazionale;

4) a promuovere e sviluppare la ricerca, l'utilizzazione e la diffusione di beni e servizi, nonché la creazione di spazi, ambienti, ausili e tecnologie progettati universalmente, anche prevedendo meccanismi premiali – anche all'interno dei bandi di gara – per i progetti che rispondono agli standard di accessibilità e ai principi dello Universal Design (progettazione universale e accomodamento ragionevole, ex articolo 2 Crpd);

5) ad assumere iniziative volte ad assicurare che i tecnici incaricati della progettazione e della direzione dei lavori di opere pubbliche abbiano competenze adeguate in materia di accessibilità, progettazione universale e accomodamenti ragionevoli;

6) a promuovere un Piano nazionale sull'accessibilità, la progettazione universale e gli accomodamenti ragionevoli, per supportare – tra gli altri – gli investimenti nel campo del turismo e della cultura accessibili, nonché iniziative di informazione e sensibilizzazione sul tema;

7) ad adottare iniziative per assicurare il rifinanziamento periodico e adeguato del Fondo per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati (articolo 10 della legge n. 13 del 1989);

8) più in generale, ad attuare, per quanto di propria competenza, le iniziative previste dalla Linea di intervento 6 (Promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità), di cui al Secondo programma di azione biennale, citato in premessa e adottato con decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2017.
(1-00471) «Noja, Boschi, Rosato, Fregolent, Gadda, Paita, Ungaro, Moretto, Occhionero, Annibali».

(26 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    com'è noto, con la legge 3 marzo 2009, n. 18, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, sottoscritta dall'Italia il 30 marzo 2007;

    nell'ambito della predetta Convenzione viene dedicata, ovviamente, un'attenzione particolare al tema dell'accessibilità, quale fattore determinante per consentire l'esercizio e il pieno godimento dei diritti e delle libertà da parte delle persone con disabilità;

    in linea con l'evoluzione del concetto di disabilità, la Convenzione accoglie una nozione molto ampia di accessibilità, riconoscendone l'importanza non soltanto con riferimento agli edifici e alle strutture fisiche e materiali, ma anche in relazione agli ambiti della salute, dell'istruzione, dell'informazione, della comunicazione e delle nuove tecnologie. In tale ottica, l'accessibilità viene citata, innanzitutto, fra i «principi generali» della Convenzione e, poi, inquadrata compiutamente nell'articolo 9, quale presupposto fondamentale per consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare attivamente a tutti gli aspetti della vita;

    la garanzia e la promozione dell'accessibilità non possono prescindere dall'implementazione, anche nel nostro ordinamento, dei principi della progettazione universale e dell'accomodamento ragionevole, veri e propri capisaldi della normativa sovranazionale che disciplina la materia;

    in particolare, per progettazione universale si intende la realizzazione di «prodotti, strutture, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate», ferma restando ovviamente la garanzia di «dispositivi di sostegno per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari» (articolo 2 della Convenzione);

    l'accomodamento ragionevole è, invece, definito dalla medesima Convenzione come l'insieme delle «modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali»;

    i temi dell'accessibilità e della progettazione universale hanno formato oggetto di numerosi atti e provvedimenti a livello europeo. Tra questi, si richiama la «Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030», oggetto della Comunicazione della Commissione europea del 3 marzo 2021, nell'ambito della quale l'accessibilità, riferita in generale agli ambienti fisici e virtuali, alla comunicazione, all'informazione, ai beni e ai servizi, viene definita un «fattore abilitante dei diritti» e, in quanto tale, un «prerequisito per la piena partecipazione delle persone con disabilità su un piano di parità con gli altri»;

    ulteriori riferimenti all'accessibilità in ambito europeo si rinvengono nella direttiva 2019/882/UE, riguardante i requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi; nella direttiva 2016/2102/UE, riferita all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici; nelle direttive in materia di appalti pubblici; nonché – ovviamente – nei regolamenti riguardanti i diritti dei passeggeri e il settore dei trasporti;

    quanto al contesto nazionale, così come purtroppo accade in altri ambiti di legislazione, il quadro normativo in materia di accessibilità risulta obiettivamente disomogeneo, frammentario e, sotto alcuni aspetti, obsoleto, soprattutto in seguito all'affermazione del menzionato criterio della progettazione universale;

    tra le fonti di rango primario che si occupano di accessibilità, occorre citare, innanzitutto, la legge n. 41 del 1986 (legge finanziaria per il 1986), con la quale sono stati introdotti per la prima volta i Peba, i Piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche;

    negli anni seguenti è stata approvata la legge n. 13 del 1989, recante «disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati», oggi confluita nel testo unico in materia edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001);

    in attuazione della legge sopra citata, si è poi proceduto all'adozione del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236, tuttora in vigore, recante le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica;

    ulteriori norme in materia di abbattimento delle barriere architettoniche si rinvengono, ancora nella legge n. 104 del 1992, in specie con riguardo agli edifici pubblici e privati aperti al pubblico. Per essi, in particolare, si stabilisce che le opere realizzate in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone con disabilità, siano dichiarate inagibili e comportino l'irrogazione di sanzioni e responsabilità a carico del progettista, del direttore dei lavori, dei responsabili tecnici e dei collaudatori, ciascuno per i rispettivi ambiti di competenza;

    la stessa legge n. 104 del 1992, inoltre, ha previsto l'obbligo di integrare i Piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche di cui alla citata legge finanziaria per il 1986 con le previsioni in materia di accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti e alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone con disabilità;

    proseguendo in ordine cronologico, si richiama il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996, recante «norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici», con il quale sostanzialmente il concetto di accessibilità contenuto nel predetto decreto ministeriale n. 236 del 1989 è stato traslato nel contesto degli spazi pubblici e delle opere di urbanizzazione;

    le fonti normative e regolamentari che si sono rapidamente passate in rassegna hanno avuto sicuramente il merito di concentrare l'attenzione su un tema importante e delicato, come quello dell'accessibilità degli edifici privati e pubblici. Tuttavia, a distanza di diversi anni della loro adozione e visti anche gli scarsi risultati attuativi che obiettivamente sono stati conseguiti, è evidente la necessità di compiere uno sforzo per il riordino, l'aggiornamento e la semplificazione delle predette norme;

    in tale ottica è necessario innanzitutto che il tema dell'accessibilità assuma, anche nella normativa nazionale, il carattere trasversale che gli è proprio e che gli è stato giustamente riconosciuto nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità;

    occorre, quindi, superare l'attuale impostazione che vede nell'accessibilità un concetto legato, unicamente, alla rimozione delle barriere architettoniche e sposare un approccio nuovo, che a questa prima tipologia di interventi, comunque importante, affianchi il principio della progettazione universale e dell'accessibilità multiforme, riconoscendone l'importanza in tutti gli ambiti della vita, compresi quelli della salute, dell'istruzione, della comunicazione, dell'istruzione e della partecipazione alla vita sociale e politica;

    allo stesso tempo, è evidente l'esigenza di conferire alle politiche in materia di accessibilità una nuova connotazione, di modo che le prescrizioni e gli adempimenti burocratici siano percepiti dai destinatari (amministrazioni, enti locali, imprese e cittadini) non più solamente come oneri burocratici da rispettare ai sensi di legge, pena l'irrogazione di sanzioni, ma anche e soprattutto in termini di opportunità, per lo sviluppo dell'economia, peraltro duramente provata dagli effetti della pandemia da COVID-19;

    la mancanza di accessibilità, in effetti, costituisce indubbiamente un freno alle potenzialità di numerosi settori economici, precludendo di fatto a milioni di persone, non solo con disabilità, ma anche a persone anziane, a donne in gravidanza e, in generale, ad altre persone che possono riscontrare una difficoltà nei movimenti, seppure per una fase transitoria della loro vita, la possibilità di lavorare e usufruire di servizi, prestazioni e beni di consumo;

    occorrerà, dunque, promuovere un cambio di prospettiva nelle politiche in materia di accessibilità, allargando il focus dalla protezione alla promozione, e, contestualmente, facilitare l'incontro tra la domanda e l'offerta di beni e servizi universalmente accessibili, in tutti gli ambiti, dai trasporti, agli esercizi commerciali e di somministrazione, alle strutture ricettive, ai luoghi della cultura e dello spettacolo e, in generale, a ogni attività aperta al pubblico;

    il ripristino, anche per volontà della Lega, di un Ministero dedicato specificamente alla disabilità rappresenta indubbiamente un presidio fondamentale per le persone con disabilità e potrà sicuramente garantire un contributo importante, di concerto con gli altri Ministeri competenti, anche nel raggiungimento di questi riconosciuti e condivisi obiettivi, attesi da anni, dei quali occorre conseguire prontamente la piena attuazione,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per riordinare, armonizzare e aggiornare, nell'ambito delle proprie competenze e di concerto con le regioni e gli enti locali, la normativa vigente in materia di accessibilità, recependo in maniera effettiva il criterio della progettazione universale e, con essa, gli altri principi affermati nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità;

2) ad adottare iniziative per supportare gli enti locali nelle fasi di elaborazione e aggiornamento dei Piani di eliminazione delle barriere architettoniche e dei Piani di accessibilità urbana, anche mediante la predisposizione di linee guida e la previsione di meccanismi premiali;

3) ad adottare iniziative volte a integrare il tema dell'accessibilità nell'ambito dei progetti programmati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, nell'ottica di coniugare gli interessi, ivi considerati, relativi alla transizione ecologica e alla mobilità sostenibile con le esigenze, altrettanto importanti, di promuovere la progettazione universale e l'abbattimento delle barriere architettoniche;

4) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per ammettere alla detrazione del 110 per cento e alle opzioni per la cessione del credito e per lo sconto in fattura, previste dagli articoli 119 e 121 del decreto-legge n. 34 del 2020, la totalità degli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dal fatto che gli stessi siano eseguiti congiuntamente, o meno, ad altre tipologie di interventi cosiddetti «trainanti»;

5) ad adottare iniziative per rifinanziare il Fondo speciale per l'eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati, istituito dall'articolo 10 della legge n. 13 del 1989;

6) a promuovere la realizzazione di un elenco e di un'applicazione mobile ad esso collegata per la geolocalizzazione delle attività e dei pubblici esercizi universalmente accessibili, suddivisi per categorie comprendenti – tra le altre – le attività di ristorazione, turistiche, ricettive, dei servizi alla persona, del commercio al dettaglio, dei luoghi della cultura e dello spettacolo, al fine di facilitare l'incontro tra la domanda e l'offerta di servizi accessibili e promuovere, anche per tale via, l'abbattimento delle barriere architettoniche e l'adeguamento ai criteri della progettazione universale;

7) a promuovere campagne di sensibilizzazione sul tema dell'accessibilità e sul rispetto dei diritti delle persone con disabilità, anche al fine di disincentivare comportamenti impropri che possono creare ostacoli e barriere alla loro mobilità, come, ad esempio, l'occupazione abusiva degli stalli riservati alle persone con disabilità ovvero l'occlusione di strutture, marciapiedi e passaggi per persone con disabilità motoria e/o disabilità sensoriali;

8) ad adottare iniziative volte a promuovere la consultazione e la partecipazione attiva delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative nell'ambito di tutte le politiche in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, sia a livello nazionale che locale, al fine di assicurare una migliore e più puntuale attuazione degli interventi.
(1-00473) «Panizzut, Molinari, Foscolo, Sutto, Lazzarini, Boldi, De Martini, Paolin, Tiramani, Zanella, Bordonali, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Bitonci, Boniardi, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Capitanio, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Frassini, Furgiuele, Galli, Gastaldi, Gerardi, Germanà, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Mariani, Maturi, Micheli, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Saltamartini, Snider, Stefani, Tarantino, Tateo, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zennaro, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(27 aprile 2021)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI CURE PALLIATIVE, NEL CONTESTO DELL'EMERGENZA PANDEMICA DA COVID-19

   La Camera,

   premesso che:

    dall'inizio della pandemia da Covid-19 ad oggi si sono registrati 36.616 decessi in Italia e 1.113.750 nel mondo; a questi numeri andrebbero aggiunti anche i decessi per altre patologie correlati al Covid-19, quale conseguenza diretta della complessità emergenziale determinatasi;

    secondo gli indicatori demografici Istat, nel 2019 sono morte in Italia 647.000 persone, ossia l'1,07 per cento circa della popolazione residente che al 1° gennaio 2019 si stimava essere pari a 60.391.000. Nei primi 5 mesi del 2020 si stimano 36.445 decessi in eccesso rispetto allo stesso periodo del 2015-2019;

    con dura brutalità è emerso che buona parte di queste morti avviene in solitudine e nel contesto di una disattenzione colpevole nei confronti della complessità dei sintomi e delle problematiche sociali, psicologiche e spirituali che compaiono nelle ultime fasi e soprattutto nelle ultime ore di vita; toccare, ascoltare, parlare, guardare, prendersi cura sono quegli atti mancati nei rapporti con la persona morente e di cui tutti dobbiamo sentirci responsabili;

    si è sostenuto che i sistemi ospedalieri durante l'emergenza pandemica da Covid-19 non sono stati in grado di gestire numeri così elevati di pazienti con problematiche cliniche talmente gravi e che la medicina territoriale non è stata pronta ad affrontare la complessità assistenziale di tutti coloro che non sono riusciti a trovare spazio all'interno degli ospedali e delle rianimazioni;

    sono numerose le segnalazioni che pervengono dalla comunità circa l'impossibilità per i familiari di comunicare con i pazienti ricoverati nelle strutture sanitarie, sia nei dipartimenti dell'emergenza-urgenza e nei pronto soccorso sia nei reparti di degenza, soprattutto con quei pazienti che per condizioni patologiche e di fragilità non sono in condizioni di poter utilizzare gli apparecchi di telefonia mobile;

    sono altresì numerose le segnalazioni circa la difficoltà, per i familiari, di avere informazioni scadenzate o quotidiane sullo stato di salute dei pazienti ricoverati;

    uno degli aspetti più dolorosi che caratterizza questa pandemia è l'isolamento umano di tutte le persone più fragili, sia con patologia Covid-19 sia con altre patologie; l'interruzione traumatica dei contatti umani e familiari, per le persone più fragili, è stata ed è lacerante dal punto di vista affettivo e psicologico, fino ad essere essa stessa causa di aggravamento della patologia e, non di rado, di exitus per i pazienti più fragili;

    la solitudine per i pazienti più fragili e anziani causa disorientamento cognitivo e sofferenza psicologica percepita con vissuti di inutilità e di abbandono e genera depressione, inappetenza e altri disturbi dell'umore che possono aggravare le patologie esistenti;

    nel fine vita la solitudine è un dolore insostenibile e l'assenza dei familiari rende ancora più traumatico il distacco per tutti i soggetti coinvolti, il paziente e i familiari;

    tali considerazioni preliminari sono alla base anche del documento «Le Cure palliative durante una pandemia» elaborato, nel mese di ottobre 2020, dalla Società italiana di cure palliative e dalla Federazione italiana cure palliative; il documento fornisce un utile strumento di lavoro per elaborare politiche sanitarie finalizzate a dare risposte adeguate ai bisogni di cure palliative ed alle necessità assistenziali di chi affronta l'ultimo tratto della propria vita nel contesto dell'emergenza pandemica;

    il documento «Le cure palliative durante una pandemia» si pone l'obiettivo di analizzare brevemente il ruolo svolto dalle cure palliative, fornendo alcuni spunti di riflessione derivati dalle esperienze italiana e internazionale acquisite nei mesi della cosiddetta «fase 1» della pandemia e, al contempo, delineare alcune linee di indirizzo finalizzate ad un'integrazione delle cure palliative nel più ampio piano pandemico nazionale;

    gli autori del citato documento, già nel 2017, denunciavano «la carenza di una presenza organica delle cure palliative nei piani e nelle strategie di soccorso nei confronti delle crisi umanitarie», com'è ad esempio una pandemia, che complicano in modo sostanziale alcuni elementi che identificano e definiscono i bisogni di cure palliative della popolazione colpita, a partire dall'individuazione dei pazienti vulnerabili e a rischio di morte, tra i quali sono incluse le «persone che prima della pandemia erano altamente dipendenti da trattamenti intensivi (ad esempio: ventilazione, dialisi), le persone affette da patologie croniche la cui salute si deteriora a causa delle restrizioni e delle misure di isolamento (riduzione degli accessi ospedalieri o ambulatoriali per visite ed esami di controllo), ma soprattutto anche persone precedentemente sane le quali a causa dell'infezione vengono sottoposte a trattamenti di supporto vitale ma necessitano di un adeguato controllo sintomatologico o, ancora, pazienti non suscettibili di tali trattamenti o che non possono accedervi per scarsità di risorse o loro stesso rifiuto»;

    è condivisibile l'assunto – riportato sempre nel documento – che «la risposta dinamica a un evento catastrofico come una pandemia dovrebbe, dunque, essere non solo orientata a “massimizzare il numero di vite salvate” ma anche a “minimizzare la sofferenza di coloro che potrebbero non sopravvivere” e l'esperienza italiana della fase 1 del Covid-19 ha dimostrato che “nonostante le difficoltà, laddove la rete di cure palliative era sufficientemente organizzata prima dell'inizio della pandemia, il sistema di cure palliative ha retto alla pressione delle nuove sfide emergenziali”»;

    «nella fase emergenziale le équipe specialistiche di cure palliative – si legge nel documento – sono, infatti, state coinvolte con diverse modalità (...) la pandemia, d'altra parte, ha inevitabilmente modificato il lavoro delle reti di cure palliative, le attività di assistenza domiciliare sono state spesso caratterizzate da visite brevi, talora sostituite da contatti telefonici, barriere indotte dalla necessità di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, distanziamento sociale, ridimensionamento del concorso dei volontari. Allo stesso modo le attività di ricovero presso gli hospice hanno dovuto subire processi di triage complessi, divieto o drastiche limitazioni all'ingresso dei congiunti, ricoveri molto brevi per terminalità avanzata spesso lontani dagli usuali standard di cura»;

    anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha rappresentato che: «nelle epidemie causate da infezioni potenzialmente letali, come in altre emergenze e crisi umanitarie, la sofferenza delle vittime e gli sforzi per alleviarla spesso vengono trascurati nella fretta di salvare vite»;

    sempre l'Organizzazione mondiale della sanità definisce le cure palliative come «un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di un'identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e di altre problematiche di natura fisica, psicologica, sociale e spirituale»;

    secondo quanto si evince dal documento citato, le misure di isolamento e le limitazioni per i visitatori «portano ad un forte senso di separazione da parte dei pazienti che si avvicinano alla fine della vita e delle loro famiglie. Questo aspetto è stato sottolineato anche nel corso dell'epidemia da SARS-CoV-1 del 2003; da allora, i progressi tecnologici hanno reso maggiormente diffuse le forme di comunicazione a distanza come le videochiamate, che dovrebbero essere adottate per alleviare il senso di isolamento. È stato suggerito che le strutture sanitarie dovrebbero dotarsi di smartphone, tablet o laptop e connessioni internet da mettere a disposizione dei pazienti. Tuttavia, alcuni pazienti potrebbero non essere in grado di utilizzare le videochiamate a causa delle loro condizioni cliniche: gli operatori sanitari, sociali e gli assistenti spirituali dovrebbero, quindi, organizzarsi per fornire un supporto al fine di favorire, comunque, la comunicazione, tra i pazienti e i loro familiari (talora essi stessi in isolamento obbligatorio). Allo stesso modo, viene suggerito che venga consentita la possibilità di visita da parte dei membri della famiglia con l'uso dei dispositivi di protezione individuale necessari, laddove il contesto di cura lo permetta»;

    l'11 agosto 2020 il Ministero della salute ha emanato la circolare «Elementi di preparazione e risposta a COVID-19 nella stagione autunno-invernale», predisposta dall'Istituto superiore di sanità in collaborazione con il Coordinamento delle regioni e province autonome, che descrive le principali azioni attuate dal sistema sanitario nazionale in risposta alla pandemia. La circolare riporta alcuni elementi di criticità affrontate nelle prime fasi della crisi da considerare in un'ottica di preparedness, ma – come evidenziano gli autori del documento citato – le cure palliative sono genericamente citate una sola volta nell'ambito della sezione 3-area territoriale, che prevede: «Incremento delle azioni terapeutiche e assistenziali a livello domiciliare, per rafforzare i servizi di assistenza domiciliare integrata per i soggetti affetti da malattie croniche, disabili, con disturbi mentali, con dipendenze patologiche, non autosufficienti, con bisogni di cure palliative, di terapia del dolore e, in generale, per le situazioni di fragilità, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2020, come convertito nella legge n. 77 del 2020»;

    il documento «Le cure palliative durante una pandemia» reca dunque importanti indicazioni concrete per implementare ulteriormente l'integrazione delle cure palliative tra i servizi sanitari offerti in corso di pandemia, sviluppare connessioni e integrazioni con le branche specialistiche ospedaliere, rafforzare i modelli di rete e il ruolo operativo dei dipartimenti di cure palliative, fornire risorse e indicazioni operative alle strutture operative nei diversi setting assistenziali, secondo il modello stuff-staff-space-systems;

    l'articolo 8 della legge n. 38 del 2010 statuisce che l'esistenza di specifici percorsi formativi universitari in materia di cure palliative rappresenti la condizione necessaria affinché il sistema delle cure palliative sia perfettamente funzionale ed il fabbisogno nazionale di medici esperti in cure palliative e il relativo ricambio generazionale siano adeguatamente garantiti;

    il diffondersi del Covid-19 ha evidenziato, in maniera più marcata, la carenza di personale sanitario con competenze specialistiche per gestire la sofferenza dei pazienti, in maniera appropriata in tutti i setting assistenziali, nonché la necessità di fornire risposte adeguate ai bisogni di una popolazione crescente di malati sempre più anziani, affetti da patologie cronico-degenerative in fase avanzata o terminale, in condizioni cliniche di estrema fragilità e di grave sofferenza, oltre che fornire una risposta alla complessità assistenziale dei bambini affetti da malattie inguaribili;

    è giusto che siano specialisti in cure palliative ad accompagnare con la necessaria competenza e formazione universitaria la fine della vita di ogni persona e questo va fatto all'interno di un percorso di cura che comprende numerosi attori. Il medico di medicina generale rimane punto di riferimento insostituibile e con esso la figura dell'infermiere che rappresenta il cardine intorno a cui si sviluppa l'assistenza. Psicologi, fisioterapisti, assistenti sociali, volontari ed assistenti spirituali compongono l'équipe assistenziale ed ognuno con le proprie competenze e specifiche formazioni curriculari;

    con il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, cosiddetto «decreto rilancio», a decorrere dall'anno accademico 2021/2022, si istituisce la scuola di specialità in «medicina e cure palliative» per i laureati in medicina e chirurgia e si introduce «il corso di cure palliative pediatriche nell'ambito dei corsi obbligatori della scuola di specializzazione in pediatria»;

    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2020, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, come successivamente prorogato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 settembre 2020, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19 sull'intero territorio nazionale, al comma 6 dell'articolo 1, lettere aa) e bb), prevede che:

     a) è fatto divieto agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso, salve specifiche diverse indicazioni del personale sanitario preposto;

     b) l'accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite, hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, è limitato ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che è tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione;

    anche i recenti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 e del 24 ottobre 2020 hanno reiterato le suddette misure;

    tali decreti del Presidente del Consiglio dei ministri citati prevedono, inoltre, ulteriori disposizioni specifiche per la disabilità, specificando che le attività sociali e socio-sanitarie erogate dietro autorizzazione o in convenzione, comprese quelle erogate all'interno o da parte di centri semiresidenziali per persone con disabilità, qualunque sia la loro denominazione, a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e socio-sanitario vengono svolte secondo piani territoriali, adottati dalle regioni, assicurando attraverso eventuali specifici protocolli il rispetto delle disposizioni per la prevenzione dal contagio e la tutela della salute degli utenti e degli operatori;

    il 24 agosto 2020 l'Istituto superiore di sanità ha aggiornato le «Indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell'infezione da SARS-CoV-2 in strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali», indicazioni elaborate dal gruppo di lavoro dell'Istituto superiore di sanità prevenzione e controllo delle infezioni ed aggiornate con lo scopo principale di riprendere in sicurezza le attività a regime delle strutture sociosanitarie e socio-assistenziali e creare le condizioni per rivedere in sicurezza parenti e amici;

    «Il benessere degli anziani e delle persone fragili, di coloro che vivono lontani dai nuclei familiari per motivi di non autosufficienza, è intimamente collegato anche alla loro sfera emotiva – spiega Paolo D'Ancona, ricercatore dell'Istituto superiore di sanità e coordinatore del gruppo di lavoro multidisciplinare che ha realizzato il rapporto –. La possibilità di poter incontrare i propri cari e di alimentare la loro vita relazionale non è ininfluente sul loro stato di salute e perciò, oggi che la situazione epidemiologica lo permette, dopo gli sforzi fatti per frenare i contagi, è necessario imboccare una strada che riporti gradualmente alla normalità»;

    in considerazione dell'elevato fabbisogno assistenziale dell'anziano fragile, il citato rapporto dell'Istituto superiore di sanità fornisce, quindi, delle indicazioni per permettere alle strutture residenziali e socio-assistenziali di fornire il servizio di assistenza, riducendo il rischio di COVID-19 negli ospiti e negli operatori;

    il rapporto dell'Istituto superiore di sanità, pur riferendosi principalmente ai soggetti fragili ricoverati nelle strutture residenziali sociosanitarie, è sussumibile anche per i medesimi soggetti fragili ricoverati nelle strutture ospedaliere, la cui permanenza, non di rado, può prolungarsi anche per periodi di tempo non brevi;

    sulla base delle disposizioni presenti nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri citati, nell'ambito delle strutture sanitarie ospedaliere, le direzioni generali dispongono diversamente in riferimento a ciascuna struttura e risulta che, ad esempio, anche in una medesima regione, alcune strutture sanitarie abbiano disposto il divieto di accesso generalizzato da parte dei famigliari/visitatori sia nelle strutture di pronto soccorso sia nei reparti di degenza dei pazienti dei famigliari, mentre in altre viene consentito l'accesso di un visitatore per ciascun paziente, nel rispetto di diversificati protocolli di sicurezza, come, ad esempio, la diversificazione degli orari di accesso;

    è auspicabile, invece, quanto meno per i pazienti che non siano affetti da Covid-19, assicurare ambienti dedicati che, in condizioni di sicurezza, siano adibiti all'accesso di almeno un familiare, così come appare auspicabile ripensare, anche in termini organizzativi e strutturali, le relazioni di cura che siano inclusive delle famiglie dei pazienti e di tutto il personale sanitario e socio-assistenziale coinvolto e finalizzate a recuperare il processo di umanizzazione delle cure, soprattutto per i pazienti più fragili e anziani, che oltre alla sicurezza sanitaria tenga conto anche della loro dignità;

    tutte le strutture sanitarie, nell'ambito di ciascun dipartimento, dovrebbero adottare un protocollo uniforme sull'intero territorio nazionale, recante misure volte a:

     a) mantenere le comunicazioni con operatori e familiari, garantendo a questi ultimi la possibilità di ricevere informazioni sullo stato di salute del proprio familiare attraverso una figura appositamente designata, all'interno di reparto di degenza, ivi incluso il pronto soccorso;

     b) definire un protocollo per le visite con regole prestabilite che possa essere consultato dai familiari che richiedano le visite e assicurarsi che sia correttamente recepito e applicato;

     c) prevedere, in subordine o in caso di impossibilità oggettiva di effettuare la visita o come opportunità aggiuntiva, strumenti alternativi alla visita in presenza, come, ad esempio, videochiamate organizzate dalla struttura sanitaria;

    il protocollo citato dovrebbe contenere misure efficaci per sensibilizzare e formare adeguatamente i visitatori/famigliari nella prevenzione e nel controllo dei casi di Covid-19 e per la predisposizione di tutte le procedure ottimali per una visita in sicurezza dei pazienti da parte dei famigliari/visitatori;

    diverse strutture sanitarie, a seguito della pandemia, hanno coraggiosamente adottato sistemi di comunicazione avanzati per garantire stabilmente le comunicazioni tra staff, medici, pazienti e familiari; a riguardo anche il Garante per la protezione dei dati personali, proprio in considerazione della normativa d'urgenza adottata per il Covid-19, è intervenuto affermando che le strutture sanitarie che intendono avvalersi di strumenti (app), volti a fornire servizi diversi dalla telemedicina o comunque non strettamente necessari alla cura (app divulgative; app per la raccolta di informazioni sullo stato di salute della popolazione di un dato territorio), che comportino il trattamento di dati personali, che possono essere utilizzabili, in linea generale, previo consenso libero, specifico, esplicito e informato dell'interessato;

    la risoluzione di maggioranza sulla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2020, approvata alla Camera il 14 ottobre 2020, all'8° capoverso del dispositivo impegna il Governo a «potenziare il sistema sanitario nazionale, incluse la domiciliarità e la medicina territoriale ivi comprese le cure palliative, rafforzando la governance dei distretti sanitari e promuovendo una rinnovata rete sanitaria territoriale attraverso nuovi modelli organizzativi integrati»,

impegna il Governo:

1) ad adottare le iniziative di competenza finalizzate:

   a) nell'ambito della predisposizione di tutte le attività volte a minimizzare i rischi posti dalle malattie infettive ed a mitigare il loro impatto durante l'emergenza di sanità pubblica, a tener conto delle indicazioni del documento «Le cure palliative durante una pandemia», citato in premessa, volte ad implementare ulteriormente l'integrazione delle cure palliative tra i servizi sanitari offerti in corso di pandemia, sviluppare connessioni e integrazioni con le branche specialistiche ospedaliere, rafforzare i modelli di rete ed i percorsi assistenziali di cure palliative, fornire risorse e indicazioni operative alle strutture operative nei diversi setting assistenziali, secondo il modello stuff-staff-space-systems, ripensare, anche in termini organizzativi e strutturali, le relazioni di cura che devono essere inclusive delle famiglie dei pazienti e di tutto il personale sanitario e socio-assistenziale coinvolto e che devono essere finalizzate a recuperare il processo di umanizzazione delle cure, soprattutto per i pazienti più fragili ed anziani e che, oltre alla sicurezza sanitaria, devono tenere conto anche della dignità dei malati;

   b) ad adeguare le dotazioni organiche delle unità di cure palliative al fine di rispondere ai bisogni dei malati Covid-19 e non Covid-19, in attuazione di quanto previsto nell'ambito del documento ministeriale dell'11 agosto 2020, citato in premessa, con riferimento alla sezione 3-area territoriale, circa il rafforzamento dei servizi di assistenza domiciliare per i soggetti con bisogni di cure palliative, assicurando che i piani di intervento, a livello regionale e locale, prevedano l'integrazione delle cure palliative specialistiche nei contesti ospedalieri e territoriale, per i malati Covid-19 e per l'utenza ordinaria;

   c) ad assicurare la disponibilità per le équipe di cure palliative di strumentazioni tecnologiche, cliniche e di telecomunicazione adeguate alla gestione delle situazioni cliniche e relazionali determinate dalla pandemia da Covid-19 e l'expertise necessario per utilizzarle;

   d) a programmare interventi di formazione in cure palliative rivolti al personale sanitario che opera in ambito ospedaliero, della residenzialità extraospedaliera e territoriale, al fine di assicurare tempestivi interventi palliativi di «base» e l'integrazione con il livello specialistico della rete di cure palliative per i malati Covid-19;

   e) ad attivarsi per l'identificazione, in base alle specificità locali e alla gravità della epidemia, di aree dedicate di ricovero per pazienti affetti da Covid-19 in fase di fine vita (da patologia COVID-19 o da patologie pregresse) nettamente distinte dalle aree di degenza Covid-19 free, anche attraverso la riconversione di reparti ospedalieri (o extraospedalieri) o attraverso la riconversione di hospice, al fine di rispondere ai bisogni di cure palliative anche per i pazienti affetti da patologie cronico-degenerative, non affetti da Covid-19 e non assistibili a domicilio;

   f) a consolidare lo sviluppo delle unità di cure palliative domiciliari, attraverso la loro progressiva estensione alla presa in carica di malati in condizioni di cronicità complesse e avanzate;

   g) a garantire un servizio di cure palliative (ambulatoriali e di consulenza) per ogni ospedale di base, un hospice ospedaliero per ogni presidio ospedaliero di primo livello o per Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, garantendo nell'azienda sanitaria territoriale standard di rapporto tra posti letto hospice e residenti;

   h) ad implementare il coordinamento delle reti locali di cure palliative, attraverso il loro finanziamento, al fine di garantire attivazione e operatività delle reti locali di cure palliative, così come previsto dall'accordo della Conferenza Stato-regioni del 27 luglio 2020;

   i) a prevedere il contributo di professionisti esperti con competenze in cure palliative nelle unità di crisi e nei diversi organismi di programmazione e gestione, dell'emergenza sanitaria a livello nazionale, regionale e locale, anche con lo scopo di adottare un set di indicatori in grado di misurare, in particolare, la disponibilità di risorse tecnologiche e di presidi (stuff) per gli operatori delle cure palliative e l'implementazione delle attività assistenziali e formative (staff), in relazione ai livelli di gravità dell'epidemia e di diffusione del virus;

   l) ad adottare un protocollo uniforme sul territorio nazionale che, nell'ambito della riorganizzazione della rete ospedaliera correlata al Covid-19, assicuri:

   aa) il mantenimento delle comunicazioni tra operatori e familiari, garantendo a questi ultimi la possibilità di ricevere informazioni sullo stato di salute del proprio familiare attraverso una figura appositamente designata, all'interno dell'unità operativa di degenza, ivi incluso il pronto soccorso;

   bb) lo svolgimento delle visite da parte dei familiari, secondo regole prestabilite consultabili dai familiari ovvero, in subordine o in caso di impossibilità oggettiva di effettuare la visita o come opportunità aggiuntiva, l'adozione di strumenti alternativi alla visita in presenza, come, ad esempio, videochiamate organizzate dalla struttura sanitaria;

   cc) l'individuazione, quanto meno per i pazienti che non siano affetti da Covid-19, di ambienti dedicati che, in condizioni di sicurezza, siano adibiti all'accesso di almeno un familiare;

   m) ad assicurare, all'interno della rete ospedaliera e territoriale, la disponibilità di personale dedicato all'assistenza psicologica, sociale e spirituale con preparazione idonea a gestire le esigenze psicosociali e spirituali dei pazienti Covid-19 e delle loro famiglie.
(1-00397) «Trizzino, Bella, Mammì, Nappi, Lapia, Villani, Misiti, Nesci, Ianaro, Martinciglio, Saitta, Perantoni, Grimaldi, Papiro, Davide Aiello, Suriano, Giarrizzo, Alaimo, Manzo, Lombardo, Brescia, Sarli, Lorefice, Colletti, Maurizio Cattoi, Ehm, Licatini, Sodano, Faro, D'Uva, Leda Volpi, Cancelleri, Galizia, Tripiedi, Melicchio, Cubeddu, Iorio, Ficara, Roberto Rossini, Menga, Chiazzese, Pignatone, Grillo, Cabras, Casa, Zolezzi, Penna, Cataldi, Torto, Aresta, Flati, Spadoni, Costanzo, D'Orso, Ascari, Paxia, Gallo, Emiliozzi, Macina, Adelizzi, Varrica, Rizzo».

(29 ottobre 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    le cure palliative consistono nell'assistenza attiva, globale e interdisciplinare rivolta ai pazienti affetti da patologie gravi che hanno smesso di rispondere ai trattamenti specifici e per i quali il controllo del dolore, dei sintomi, ma anche degli aspetti emotivi, relazionali e sociali assume un'importanza fondamentale;

    secondo la definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) il trattamento palliativo è «un approccio che migliora la qualità di vita dei pazienti e delle famiglie che hanno a che fare con i problemi associati ad una malattia potenzialmente mortale, attraverso la prevenzione e il trattamento della sofferenza e tramite l'identificazione tempestiva e il trattamento di altri problemi, fisici, psicologici e spirituali»;

    a livello nazionale, la prima norma riferita espressamente alle cure palliative risale al decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 1999, con il quale è stato previsto un programma per la realizzazione, in ciascuna regione, di strutture dedicate all'assistenza palliativa, al supporto dei pazienti e dei relativi familiari;

    la disciplina delle cure palliative ha formato oggetto di nuova regolazione, più di recente, attraverso la legge 15 marzo 2010, n. 38, recante «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore»;

    la finalità generale della citata legge n. 38 del 2020, enunciata all'articolo 1, è quella di garantire l'accesso alle cure palliative nel rispetto dei principi fondamentali di dignità della persona umana, qualità ed equità nell'accesso all'assistenza;

    le misure di maggiore rilevanza introdotte dalla legge n. 38 del 2010 riguardano, in particolare, la «promozione delle reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore» (articolo 5), la previsione dell'obbligo di riportare la «rilevazione del dolore all'interno della cartella clinica» (articolo 7), le disposizioni in materia di formazione e aggiornamento del personale medico e sanitario (articolo 8) e la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore (articolo 10);

    ulteriori disposizioni rilevanti in materia si rinvengono: nell'accordo in Conferenza Stato-regioni del 16 dicembre 2010, contenente le linee guida per la promozione e il coordinamento degli interventi regionali nell'ambito delle cure palliative; nell'intesa in Conferenza Stato-regioni del 25 luglio 2012, con la quale sono stati definiti i requisiti minimi necessari «per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore»; nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, recante «definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza», i cui articoli 23 e 31 sono dedicati, rispettivamente, alle cure palliative domiciliari e residenziali;

    nonostante i provvedimenti sopra citati, nell'ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della citata legge n. 38 del 2010, pubblicata in data 31 gennaio 2019, il Ministero della salute ha riscontrato la presenza di talune criticità con riferimento, in particolare, allo sviluppo delle reti locali palliative, ai percorsi assistenziali di presa in carico, all'offerta formativa per gli operatori sanitari e alla diffusione delle reti di cure palliative pediatriche, «fortemente carenti in quasi tutto il territorio nazionale»;

    a queste difficoltà di ordine strutturale si vanno adesso a sovrapporre quelle determinate dalla diffusione della pandemia da Covid-19;

    quest'ultima, in effetti, ha provocato un'estensione notevole della platea di soggetti che normalmente necessitano di cure palliative, giacché ai malati tradizionalmente in carico presso le reti in questione si sono aggiunti migliaia di pazienti Covid-19, nonché le persone affette da patologie croniche la cui salute è peggiorata repentinamente a causa dei mancati accessi in struttura per esami e visite di controllo;

    di questi radicali cambiamenti si dà atto nel documento dal titolo «Ruolo delle cure palliative durante una pandemia», elaborato dal gruppo di lavoro tra la Società italiana di cure palliative (Sicp) e la Federazione cure palliative (Fcp);

    il documento fornisce indicazioni utili al potenziamento delle cure palliative, suddividendo gli ambiti sui cui si dovrebbe operare in quattro macroaree principali denominate stuff, staff, space e systems (cose, personale, spazi e sistemi);

    lo stesso documento denuncia, in apertura, «la carenza di una presenza organica delle cure palliative nei piani di soccorso nei confronti delle crisi umanitarie», sollevando un problema che nel nostro Paese ha fatto discutere molto, giacché il piano pandemico italiano, quello che avrebbe dovuto organizzare la risposta del Paese, non veniva modificato – a quanto consta – dal 2006 e, conseguentemente, non poteva ricomprendere le reti nazionali di cure palliative implementate successivamente;

    è di tutta evidenza la necessità di sopperire a tali mancanze e di operare una definizione specifica dei bisogni di cure palliative della popolazione, giacché è proprio nei contesti più duri e difficili come quello che si sta attraversando che la loro implementazione diviene ancora più importante;

    in tale prospettiva, è certamente condivisibile l'assunto – riportato sempre nel documento Sicp-Fcp e ribadito anche dall'Oms – secondo cui la risposta a un evento catastrofico come una pandemia dovrebbe essere non solo finalizzata a «massimizzare il numero di vite salvate» ma anche, parallelamente, a tutelare, proteggere e «minimizzare la sofferenza di coloro che potrebbero non sopravvivere»;

    d'altro canto, oltre a ridurre le sofferenze legate ai sintomi, migliorando la qualità di vita dei pazienti, le cure palliative possono diminuire gli accessi ai servizi di emergenza, riducendo ricoveri ospedalieri e cure intensive inappropriate, risultandone pertanto fondamentale l'implementazione anche sotto questo aspetto;

    sempre con riferimento alla pandemia da Covid-19, occorre esaminare le gravi criticità che nei vari setting assistenziali si sono registrate in conseguenza dell'applicazione delle misure di contenimento, quali il distanziamento sociale, del ridimensionamento del concorso dei volontari, ma anche in conseguenza delle riduzioni drastiche alle visite dei familiari presso le strutture;

    per i malati di Covid-19 affetti da gravi complicanze, per le persone con disabilità, per i soggetti fragili e, ovviamente, per tutti i pazienti delle reti di cure palliative, tali misure hanno pregiudicato i rapporti familiari e, pertanto, sono state vissute drammaticamente, generando solitudine, senso di abbandono e sofferenze che hanno investito non solo la sfera psicologica e cognitiva del malato, ma anche la sua sfera fisica, con insorgenza di depressione e altri disturbi in grado di incidere negativamente sul decorso delle patologie preesistenti;

    sono altresì numerose le segnalazioni circa la difficoltà, dal lato dei familiari, di ricevere informazioni, aggiornamenti quotidiani o comunque periodici sullo stato di salute dei pazienti ricoverati;

    in tali situazioni, a maggior ragione nei contesti in cui si trovano pazienti con patologie ad esito sfavorevole, è evidente la necessità di individuare protocolli omogenei e uniformi che sappiano conciliare la qualità della vita, dell'assistenza e delle relazioni con le esigenze di sicurezza e prevenzione delle infezioni, di modo che la tutela di un diritto non annulli l'altro;

    sul punto, i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati negli ultimi mesi hanno stabilito che: «l'accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungodegenza, residenze sanitarie assistite Rsa, hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, è limitato ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che è tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione» (si veda, da ultimo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 gennaio 2021);

    nel corso delle prime fasi della pandemia, tuttavia, sono mancati protocolli nazionali uniformi. La disposizione sopra citata, pertanto, ha avuto l'effetto di riversare il problema degli «accessi» in capo singole strutture, abbandonandole di fatto a loro stesse, e alimentando in questo modo le situazioni di disomogeneità nell'applicazione dei divieti e delle limitazioni;

    le prime indicazioni uniformi a livello nazionale sono arrivate solo successivamente, in seguito all'approvazione dell'articolo 1-ter del decreto-legge n. 34 del 2020, e hanno riguardato inizialmente le strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali (si veda il rapporto dell'Istituto superiore di sanità dal titolo «Indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell'infezione da SARS-CoV-2 in strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali») e, solo di recente, in data 15 dicembre 2020, gli hospice e le cure palliative domiciliari (si veda il successivo rapporto dell'Iss dal titolo «Indicazioni per la prevenzione e il controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 negli hospice e nelle cure palliative domiciliari»);

    in tale ultimo documento si riconosce che gli hospice, «pur rientrando nell'ambito delle strutture sociosanitarie territoriali, hanno caratteristiche che li differenziano in maniera sostanziale da queste ultime [...]. I motivi sopra esposti impongono la necessità di mettere in atto strategie di prevenzione e controllo dell'infezione da SARS-CoV-2 specifiche per gli hospice e per le attività di cure palliative domiciliari»;

    del pari evidente, è la necessità di ripristinare gradualmente le attività delle organizzazioni di volontariato, il cui supporto, soprattutto nelle cure palliative, risulta essenziale, garantendo la vicinanza ai malati e alle famiglie nei momenti più difficili della malattia;

    nel documento «Misure operative per la ripartenza del volontariato in epoca COVID», elaborato dalla Federazione cure palliative, si dà conto della brusca interruzione subita dalle attività in questione, evidenziandosi come «ancora oggi appaia confusa e incerta una possibile ripartenza tanto delle attività dello stare accanto alle persone malate, che del fare; attività di segreteria, orientamento, raccolta fondi, formazione e divulgazione, che sostengono in larga parte la sopravvivenza degli enti non profit, sono tuttora ferme»;

    al fine di ovviare a tale situazione, il documento sopra citato ha quindi fornito indicazioni «per la ripresa delle attività di volontariato in ambito cure palliative nei vari setting assistenziali» formulando una serie di proposte dichiaratamente rivolte alle istituzioni che, tuttavia, non risultano ancora oggi recepite in atti formali, sebbene presuppongano il rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza e riduzione del rischio infettivo;

    un ulteriore aspetto sul quale occorre un cambio di passo, anche alla luce degli effetti determinati dalla pandemia da Covid-19, è quello della formazione specifica;

    com'è noto, l'articolo 8 della citata legge n. 38 del 2010 ha previsto la possibilità di istituire percorsi formativi universitari in materia di cure palliative, demandando a successivi decreti attuativi il compito di stabilire i criteri generali per la disciplina degli ordinamenti didattici e le misure affinché possa essere garantito un aggiornamento periodico del personale medico, sanitario e sociosanitario;

    da ultimo, il decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto «decreto rilancio»), ha previsto, a decorrere dall'anno accademico 2021/2022, l'istituzione della scuola di specialità in «medicina e cure palliative» e del «corso di cure palliative pediatriche nell'ambito dei corsi obbligatori della Scuola di specializzazione in Pediatria»;

    è di tutta evidenza la necessità di dare seguito alle norme sopra citate, adottando tempestivamente i decreti attuativi ancora mancanti e incrementando in maniera consistente il numero dei posti di specialità a disposizione, onde fronteggiare la grave carenza di personale con competenze specialistiche, la quale veniva già denunciata da molti anni a questa parte dagli operatori del settore e risulta adesso conclamata, anche nell'ambito delle reti di cure palliative, in conseguenza della pandemia da Covid-19;

    del pari evidente è la necessità di garantire la multidisciplinarietà del percorso di cura e presa in carico del paziente, nel quale è fondamentale la partecipazione di diversi attori, ciascuno con le proprie competenze e formazioni e, in particolare, dei medici di medicina generale, degli psicologi, dei fisioterapisti, degli assistenti sociali, degli infermieri e, non ultimi, dei volontari;

    con riguardo a questi ultimi, si rammenta che la Conferenza Stato-regioni, nella seduta del 9 luglio 2020, ha raggiunto l'Intesa sui profili formativi omogenei per il volontariato nelle reti di cure palliative e di terapia del dolore: «un tassello molto importante» – ha rilevato la Federazione cure palliative – «poiché il volontariato è una risorsa preziosa per le cure palliative, ne è parte fondante e contribuisce alla sua sostenibilità, oltre ad essere espressione di solidarietà civile delle nostre Comunità»,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative finalizzate a promuovere, d'intesa con le regioni, un processo di potenziamento delle reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore, incrementando le risorse a tal fine stanziate dalla normativa vigente, al fine di consolidare il ruolo di tali reti, ridefinire i bisogni dei pazienti in carico presso di esse e mitigare l'impatto della pandemia da Covid-19;

2) ad adottare iniziative finalizzate a recepire, per quanto di competenza, le raccomandazioni diramate dalla Società italiana di cure palliative (Sicp) e dalla Federazione cure palliative (Fcp) nel documento «Le cure palliative durante una pandemia», garantendo l'integrazione delle cure palliative nei servizi sanitari offerti, la multidisciplinarietà delle équipe, la sinergia con le branche specialistiche ospedaliere e l'attuazione delle altre proposte formulate nel documento stesso, secondo il modello «cose, personale, spazi e sistemi» (stuff-staff-space-systems);

3) a riordinare le circolari ministeriali e le indicazioni diramate dall'Istituto superiore di sanità per la prevenzione delle infezioni da Sars-CoV-2 presso gli hospice, le strutture sociosanitarie e le strutture socioassistenziali, attivando tavoli di raccordo con le strutture medesime di modo che i protocolli in vigore possano essere migliorati, monitorati e applicati in maniera uniforme nel territorio nazionale;

4) ad assumere iniziative per adottare protocolli di prevenzione delle infezioni da Sars-CoV-2 che assicurino, per l'ambito ospedaliero e residenziale:

   a) il mantenimento delle comunicazioni tra i pazienti, il personale sanitario e i familiari, tutelando il diritto di questi ultimi a ricevere aggiornamenti periodici sullo stato di salute del loro caro;

   b) la presenza di personale appositamente designato al mantenimento delle comunicazioni stesse, anche a tutela dei pazienti impossibilitati ad utilizzare autonomamente gli strumenti di comunicazione;

   c) lo svolgimento delle visite dei familiari nel rispetto di regole prestabilite e preventivamente consultabili dagli stessi;

5) ad adottare iniziative per consentire, dopo la brusca interruzione determinata dalle prime fasi della pandemia, la ripartenza piena ed effettiva del volontariato, anche nell'ambito delle reti di cure palliative e di terapia del dolore, considerato il contributo insostituibile che viene garantito dalle organizzazioni in questione a supporto delle équipe, dei pazienti e dei relativi familiari;

6) a sostenere gli enti del terzo settore che svolgono attività di volontariato presso le reti medesime, anche da un punto di vista formativo, al fine di valorizzare il ruolo fondamentale dei volontari nell'ambito delle équipe e dare seguito all'intesa in Conferenza Stato-regioni sui percorsi omogenei di formazione dei volontari stessi;

7) ad adottare iniziative per garantire la fornitura continua e prioritaria, anche presso le strutture che compongono le reti delle cure palliative, di mascherine, dispositivi di protezione individuale, tamponi rapidi, disinfettanti, ossigeno, strumenti di telecomunicazione e altri dispositivi utili alla prevenzione e alla corretta gestione delle situazioni cliniche determinate dalla pandemia da Covid-19;

8) ad adottare iniziative per rafforzare i servizi di assistenza domiciliare per i soggetti bisognosi di cure palliative, promuovendo la presa in carico precoce dei pazienti, l'anticipazione dell'intervento palliativo nei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta) e l'integrazione tra quest'ultimo e i trattamenti per la patologia specifica secondo il modello delle cosiddette simultaneous care domiciliari;

9) ad adottare iniziative per sostenere le regioni nel processo di potenziamento delle reti di cure palliative pediatriche, al fine di ovviare alla carenza di offerta che di tali reti si riscontra sul territorio;

10) ad adottare i provvedimenti attuativi delle disposizioni del decreto-legge «Rilancio» che prevedono l'istituzione del «corso di cure palliative pediatriche» e della scuola di specializzazione in «medicina e cure palliative»;

11) ad adottare iniziative per incentivare la programmazione di interventi formativi in cure palliative rivolti al personale sanitario che opera in ambito ospedaliero, residenziale e territoriale, al fine di assicurare, anche per tal via, l'implementazione di interventi palliativi di «base»;

12) ad adottare iniziative per incrementare, in maniera consistente, il numero dei posti di specializzazione in area medica al duplice fine di assorbire l'imbuto formativo e sopperire alla carenza conclamata di medici specialisti che, inevitabilmente, si registra anche presso le reti di cure palliative;

13) ad adottare iniziative per garantire, nell'ambito della rete assistenziale ospedaliera e territoriale, la presenza di personale dedicato all'assistenza psicologica, sociale e spirituale con preparazione idonea a gestire le esigenze dei pazienti affetti da Covid-19, in condizione di maggiore rischio, e dei relativi familiari;

14) a promuovere, d'intesa con le regioni, la definizione di un sistema tariffario di riferimento per la remunerazione delle prestazioni e delle attività erogate nell'ambito delle reti delle cure palliative e della terapia del dolore, nell'ottica di superare le difformità esistenti e attuare pienamente quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, della legge n. 38 del 2010;

15) ad adottare iniziative per favorire la telemedicina come risorsa sia per la rete ospedaliera e territoriale che per le cure palliative domiciliari dell'adulto e pediatriche, garantendo servizi di consulenza per i pazienti e i caregiver familiari e professionali, teleconsulti tra professionisti sanitari per discussioni interattive sui casi, formazione del personale sanitario e supporto psicologico.
(1-00419) «Boldi, Bagnasco, Bellucci, Bologna, Panizzut, Baldini, Gemmato, Rospi, Locatelli, Bond, Tiramani, Brambilla, De Martini, Dall'Osso, Foscolo, Mugnai, Lazzarini, Novelli, Paolin, Versace, Sutto».

(26 gennaio 2021)

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