TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 625 di Martedì 11 gennaio 2022

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL SOSTEGNO DEI SETTORI PRODUTTIVI MAGGIORMENTE INTERESSATI DAI PROCESSI DI TRANSIZIONE ECOLOGICA

   La Camera,

   premesso che:

    è in corso a Glasgow la ventiseiesima Conferenza delle parti (COP26) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico per cercare di approvare una efficace azione concertata e coordinata sul clima da parte di tutti gli Stati partecipanti. I Paesi dovranno spingersi oltre quanto deciso in sede di COP21 nello storico vertice di Parigi 2015, per contenere l'aumento della temperatura a 1,5 gradi. Andranno prese ulteriori decisioni di politica economica e industriale che consentano la transizione dal carbone alle energie pulite per contrastare il global warming. Misure che si dovranno tradurre sempre più in nuove opportunità di crescita economica e di occupazione, anche attraverso l'innovazione, lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie pulite;

    la lotta ai cambiamenti climatici rappresenta una sfida fondamentale e decisiva per l'umanità che non può essere persa, e tutti i Paesi e gli attori a livello mondiale devono mettere in campo efficaci azioni condivise e vincolanti;

    è ormai condivisa a livello internazionale la necessità che, accanto agli ambiziosi ma necessari obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici, si debbano inevitabilmente affiancare iniziative volte comunque a sostenere quei territori e quei comparti produttivi che più di altri hanno oggettive difficoltà alla riconversione e nel loro drastico adattamento produttivo in questa fase di transizione verde;

    sotto questo aspetto si ricorda che nell'ambito dello stesso Green Deal europeo, parte integrante della strategia della Commissione europea per attuare l'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l'Unione europea si è impegnata a fornire sostegno finanziario e assistenza per aiutare i soggetti più colpiti dal passaggio all'economia verde. Si tratta del cosiddetto «meccanismo per una transizione giusta», che contribuirà a mobilitare risorse per il periodo 2021-2027 nelle regioni più penalizzate;

    a tal fine è stato previsto un «Fondo per una transizione giusta» che dovrebbe aiutare i Paesi dell'Unione europea a far fronte all'impatto sociale ed economico della transizione verso la neutralità climatica. Il pacchetto di investimenti comprende 7,5 miliardi di euro dal quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e 10 miliardi di euro supplementari dallo strumento europeo per la ripresa;

    il «Fondo per una transizione giusta» finanzierà l'assistenza nella ricerca di lavoro, le opportunità di riqualificazione e miglioramento delle competenze, ma anche l'inclusione attiva dei lavoratori e delle persone in cerca di occupazione durante la transizione dell'economia europea verso la neutralità climatica. Nei loro piani nazionali per una transizione giusta, i Paesi dell'Unione europea devono identificare i territori maggiormente colpiti dalla transizione energetica e concentrare in quelle zone le risorse del Fondo. Particolare attenzione sarà dedicata alle specificità di isole, zone insulari e regioni ultraperiferiche;

    nel processo di adattamento produttivo, legato alla transizione in atto, è quindi indispensabile sostenere e aiutare quella parte importante delle attività produttive e dei lavoratori che sono maggiormente coinvolti e che hanno maggiori difficoltà ad adattarsi al cambio di paradigma;

    la sostenibilità ambientale è ormai una esigenza ineludibile da tutti riconosciuta, ma la sostenibilità ambientale deve essere perseguita parallelamente con la sostenibilità economica. Infatti, se la transizione ecologica significa nuove opportunità per ampi settori produttivi, è anche vero che comporta inevitabilmente degli svantaggi, seppur temporanei per quei settori produttivi e quei lavoratori che hanno meno alternative e devono quindi sostenere un maggiore sforzo produttivo ed economico di adattamento al processo di decarbonizzazione. È questo un aspetto assai importante, ma a volte sottovalutato. È quindi necessario prevedere forme di reale sostegno alle imprese che devono sostenere crescenti costi per potersi riconvertire e comunque per rispettare e adeguarsi ai sempre più ambiziosi standard ambientali di prodotto e di processo;

    tra i numerosi settori produttivi fondamentali per l'economia del nostro Paese, che hanno evidenti difficoltà ad adeguarsi alla transizione energetica, vi sono, per fare un solo esempio tra i tanti, i grandi impianti industriali e i poli per la raffinazione del petrolio. Nella sola Sicilia detti poli assorbono quasi il 46 per cento della capacità di raffinazione del Paese;

    in questo ambito si ricorda che la legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), all'articolo 1, comma 159, ha introdotto una importante norma volta a favorire gli investimenti nelle regioni del meridione da parte delle imprese operanti nel settore della raffinazione e bioraffinazione;

    in dettaglio, il citato articolo 1, comma 159, ha previsto che: «Al fine di promuovere lo sviluppo industriale e occupazionale nelle regioni del Mezzogiorno attraverso il mantenimento e l'aumento dell'occupazione, il miglioramento della qualità degli investimenti e l'adeguamento delle attività ai cambiamenti economici e sociali, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dello sviluppo economico, assicurando il coinvolgimento delle imprese, degli enti locali e delle regioni interessati, attiva la procedura per la stipulazione di un accordo con il settore della raffinazione e della bioraffinazione, finalizzato alla promozione degli investimenti da parte delle imprese operanti in tale settore per la realizzazione di iniziative volte a perseguire gli obiettivi della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile mediante l'utilizzo di quota parte delle risorse derivanti dal gettito delle accise e dell'imposta sul valore aggiunto»;

    la suddetta importante disposizione di legge, a un anno dalla sua approvazione, è praticamente rimasta lettera morta;

    è necessario prevedere, sia in ambito nazionale che europeo, lo stanziamento pluriennale di specifiche risorse finanziarie volte a sostenere la transizione verde, in particolar modo per quei settori che hanno estrema difficoltà ad abbattere le emissioni di anidride carbonica, al fine di aiutarli nella realizzazione di progetti di decarbonizzazione, e per cercare di contenere gli inevitabili elevati costi economici e sociali conseguenti al loro difficile adattamento alla transizione energetica. Senza questo supporto, molte imprese rischieranno di finire fuori mercato;

    è quindi necessario accompagnare questi comparti più esposti nel percorso e sostenere anche economicamente la loro decarbonizzazione;

    il necessario graduale passaggio dal fossile al rinnovabile è un punto delicato ma centrale nella lotta ai cambiamenti climatici e rappresenta un vero cambio di paradigma. Proprio per questo è indispensabile che questo passaggio avvenga in maniera economicamente sostenibile per le industrie, soprattutto quelle più energivore, e per i lavoratori interessati, e che, nella fase di transizione debbano essere incentivati anche quegli investimenti che comunque consentono a queste industrie di ridurre la anidride carbonica;

    seppur nel mantenimento degli obiettivi di decarbonizzazione nel tempo, preme ricordare come, ad esempio, il Green Deal europeo sia proiettato verso quote di biocarburanti sempre più elevate, proprio al fine di supportare una transizione, altrimenti insostenibile, ecco perché sarebbe dannoso qualunque inasprimento e ulteriore restrizione su questo tema, in particolare in riferimento ai fasci di frutti di olio di palma vuoti e acidi grassi derivanti dal trattamento dei frutti di palma da olio (Pfad), in quanto rispettivamente residui e sottoprodotti di lavorazioni industriali che, per definizione, non hanno alcun impatto sul rischio Iluc;

    la norma italiana dovrebbe essere in linea con la legislazione comunitaria e con gli obiettivi di sviluppo dell'economia circolare;

    sempre in ambito di economia circolare e in linea con il processo di transizione definito verso la decarbonizzazione, altrettanta importanza va acquisendo la produzione di carburanti (ad esempio idrogeno o biometano) prodotti da rifiuti non pericolosi di origine non rinnovabile ma inidonei al recupero di materia;

    infatti, lo sviluppo di tali produzioni consente, da un lato, di far fronte alla fase di transizione, nella quale è necessario abbassare le emissioni, pur non avendo ancora sufficiente produzione di energia rinnovabile nell'ambito del mix energetico, dall'altro, consente di chiudere il ciclo dei cosiddetti «rifiuti dei rifiuti», riducendo gli ingenti volumi ancora destinati allo smaltimento, grazie alla valorizzazione dei rifiuti non riciclabili prodotti dagli impianti di trattamento o riciclaggio dei rifiuti e dal trattamento degli effluenti (ad esempio, Css, frazione secca, biostabilizzato, pulper, fanghi essiccati);

    d'altra parte, le tecnologie utilizzate per la produzione di tali carburanti da rifiuti non riciclabili sono in grado di garantire un'elevata riduzione delle emissioni di gas effetto serra lungo il ciclo di vita anche grazie allo spiazzamento di due processi, la produzione tradizionale di carburante da un lato e l'incenerimento o lo smaltimento in discarica dall'altra, tanto ciò è vero che la Commissione europea, nella sua proposta di revisione della direttiva sulla promozione delle fonti rinnovabili, ha già individuato al 70 per cento il saving di gas serra lungo il ciclo di vita per tali carburanti, riservandosi soltanto l'eventuale facoltà di adottare un atto delegato per definire la metodologia di valutazione del risparmio emissivo;

    su queste basi, anche il Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, nel corso della COP26 di Glasgow, ha voluto sottolineare come le energie rinnovabili non saranno sufficienti i prossimi anni, in quanto potranno contare solo per il 20 o 30 per cento del mix energetico. Quello che conta è ridurre le emissioni da carbonio del 55 per cento entro il 2030;

    la realtà è che le rinnovabili, attualmente, non sono inoltre in grado di sostituire i combustibili fossili nell'alimentazione di tutta una serie di industrie (cemento, acciaio, chimica, raffinazione) e di mezzi di trasporto (aerei, navi, treni). Sono settori estremamente difficili da alimentare con energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e quindi da decarbonizzare. Ridurre il loro impatto climatico è però una priorità, se il mondo vorrà rispettare gli impegni di contenimento del riscaldamento globale, visto che emettono un'alta quantità di gas serra;

    con questa consapevolezza, il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, il 2 novembre 2021, sempre in occasione della Conferenza Onu COP26, ha voluto sottolineare come «nel lungo periodo le energie rinnovabili possono avere dei limiti, e quindi occorre investire in tecnologie innovative in grado di catturare il carbonio», ossia di quella tecnologia che consente appunto di catturare le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte da stabilimenti industriali ed evitarne l'immissione nell'atmosfera;

    una tecnologia, quella della cattura del carbonio, che qualora utilizzata, potrebbe contribuire a ridurre le emissioni in atmosfera di anidride carbonica, soprattutto per quegli impianti industriali che, per loro caratteristiche produttive, non riuscirebbero a riconvertirsi pienamente, se non a costi elevatissimi e con ricadute pesanti in termini occupazionali;

    è comunque importante che, proprio per incentivare gli investimenti soprattutto delle imprese che operano in settori ad alta intensità energetica, il disegno di legge di bilancio per il 2022, preveda uno stanziamento 150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022 per finanziare tra l'altro investimenti per favorire l'efficientamento energetico delle medesime imprese nonché per la cattura, il sequestro e il riutilizzo dell'anidride carbonica,

impegna il Governo:

1) a dare piena attuazione a quanto previsto dal comma 159 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), che ha introdotto un'importante norma volta a favorire gli investimenti nelle regioni del Meridione da parte delle imprese operanti nel settore della raffinazione e bioraffinazione, al fine di perseguire gli obiettivi della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile, estendendo dette previsioni anche ad altre aree interessate dalle medesime problematiche, attivando le opportune risorse già individuate dalla citata norma;

2) ad avviare le opportune iniziative, anche nell'ambito dell'Unione europea, per l'istituzione di un fondo per la decarbonizzazione, finalizzato a uno specifico sostegno per quei settori produttivi che, per le specifiche caratteristiche produttive, hanno oggettive evidenti difficoltà ad abbattere le emissioni di anidride carbonica e a riconvertirsi, con conseguenze negative in termini economici e occupazionali, con particolare riguardo ai settori dell'autotrasporto, dell'agricoltura, della pesca e dei settori maggiormente energivori;

3) ad adottare iniziative per prevedere che le risorse del suddetto fondo per la decarbonizzazione siano cumulabili con le risorse nazionali e europee, volte a sostenere e agevolare le imprese nella ristrutturazione produttiva e per la riconversione ai fini della transizione energetica;

4) ad adottare iniziative per valutare l'utilizzabilità di quota delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza per interventi legati alla fase di transizione ecologica volti a supportare anche economicamente riconversioni produttive anche utilizzanti energie non necessariamente rinnovabili;

5) ad avviare un serio e costante confronto con il mondo imprenditoriale, le parti sociali e quei settori produttivi maggiormente colpiti dagli oneri della transizione verde, al fine di individuare le più opportune strategie e iniziative volte a sostenerle nel percorso di decarbonizzazione, favorendo altresì il cambiamento professionale e tecnologico attraverso la formazione, la riqualificazione e l'aggiornamento delle competenze dei lavoratori;

6) ad avviare tutte le iniziative nell'ambito dell'Unione europea, volte ad implementare le risorse del «Fondo per una transizione giusta» per sostenere i territori maggiormente colpiti dalla transizione verso la neutralità climatica, anche al fine di ricomprendere ulteriori poli e territori italiani in aggiunta a quelli già individuati dai piani territoriali per una transizione giusta;

7) ad adottare iniziative per valorizzare e sostenere, nella fase di transizione, la produzione e l'utilizzo dei biocarburanti, bioliquidi e combustibili da biomassa, garantendo di mantenere inalterato il timing relativo alla graduale esclusione dell'olio di palma dalla produzione di carburanti e consentendo, in linea con il Green Deal europeo, lo sviluppo di tali fonti di energia, anche prodotta da rifiuti, ovvero da colture alimentari e foraggere, ciò al fine di raggiungere l'obiettivo di contenere le emissioni da carbonio entro il 2030 per almeno il 55 per cento e in attesa di un pieno e più ampio sviluppo delle energie rinnovabili.
(1-00542) (Terza ulteriore nuova formulazione) «Prestigiacomo, Fregolent, Galli, Ruffino, Barelli, D'Attis, Bagnasco, Brambilla, Calabria, Fitzgerald Nissoli, Labriola, Mazzetti, Nevi, Pittalis, Polidori, Rotondi, Saccani Jotti, Spena, Squeri, Maria Tripodi, Marrocco, Moretto, Gagliardi, Binelli, Lucchini, Andreuzza, Patassini, Benvenuto».

(9 novembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    senza un'azione urgente la crisi climatica rischia di diventare irreversibile, compromettendo il futuro delle nuove generazioni e lo stesso presente delle popolazioni più vulnerabili del mondo;

    l'ultimo rapporto dell'Ipcc sottolinea che è in gioco il futuro del nostro pianeta: solo attraverso un percorso ambizioso, caratterizzato da scelte nette e inequivocabili, possiamo scongiurare una catastrofe climatica;

    per mantenere raggiungibile tale obiettivo occorre arrivare a zero emissioni nette entro il 2050, che significa che le emissioni globali dovrebbero diminuire del 7,6 per cento ogni anno nel prossimo decennio;

    gli obiettivi della Cop26, Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, erano quelli di: impegnarsi a ridurre la produzione di anidride carbonica per contenere l'aumento della temperatura globale non oltre 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, proteggere le comunità e gli habitat naturali, mobilitare la finanza per arrivare a 100 miliardi di dollari l'anno in finanziamenti per il clima entro il 2020, collaborazione e cooperazione;

    il Patto di Glasgow prevede impegni che riguardano la deforestazione, l'accelerazione degli sforzi verso la riduzione graduale dell'energia a carbone e l'eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili, fornendo al contempo un sostegno mirato ai Paesi più poveri e vulnerabili, in linea con i contributi nazionali e il riconoscimento della necessità di sostegno verso una transizione giusta. Ai Paesi sottoscrittori viene chiesto di rivedere e rafforzare i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 entro la fine del 2022, tenendo conto delle diverse circostanze nazionali. E ai Paesi ricchi si chiede di «almeno raddoppiare» entro il 2025, rispetto ai livelli del 2019, i finanziamenti per sostenere l'adattamento dei Paesi in via di sviluppo;

    al fine di raggiungere gli obiettivi proposti, la Commissione europea ha inoltre presentato il 14 luglio 2021 una serie di proposte, in cui si rivede e si aggiorna la normativa dell'Unione europea. Tali dodici strumenti legislativi assieme costituiscono il cosiddetto pacchetto «Fit for 55» che andranno a riorientare sensibilmente tutto il sistema dell'energia, interessando i diversi comparti produttivi e di consumo, dal mercato dell'anidride carbonica a quello del gas, le energie rinnovabili e l'infrastrutturazione per i carburanti alternativi, fino alla riduzione delle emissioni di metano nel settore energetico;

    quanto alla decarbonizzazione gli impegni italiani seguono quelli europei («net zero» al 2050 e riduzione del 55 per cento al 2030 delle emissioni di anidride carbonica rispetto al 1990) e la quota di elettrificazione del sistema dovrà progressivamente tendere e superare quota 50 per cento. L'apporto delle energie rinnovabili alla generazione elettrica dovrà raggiungere almeno il 72 per cento al 2030 e coprire al 2050 quote prossime al 100 per cento del mix energetico primario complessivo;

    l'articolo 4 del decreto-legge n. 22 del 2021 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) con il compito di assicurare il coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica e la relativa programmazione. In particolare, il Comitato approva il Piano per la transizione ecologica, al fine di coordinare le politiche in materia di: a) riduzione delle emissioni di gas climalteranti; b) mobilità sostenibile; c) contrasto del dissesto idrogeologico e del consumo del suolo; c-bis) mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici; d) risorse idriche e relative infrastrutture; e) qualità dell'aria; f) economia circolare; f-bis) bioeconomia circolare e fiscalità ambientale, ivi compresi i sussidi ambientali e la finanza climatica sostenibile;

    tale Piano individua le azioni, le misure, le fonti di finanziamento, il relativo cronoprogramma, nonché le amministrazioni competenti all'attuazione delle singole misure. Si tratta di un «piano aperto», con target specifici, soggetto ad una continua attività di monitoraggio, in relazione allo stato di avanzamento delle trasformazioni in atto e ai progressi scientifici e tecnologici;

    il Piano per la transizione ecologica deve rappresentare un sostegno a processi, prodotti e servizi realmente e oggettivamente sostenibili (ambientalmente, economicamente e socialmente), applicando il principio della neutralità tecnologica nel definire le politiche e nel promuovere lo sviluppo delle diverse tecnologie che costituiranno l'insieme di soluzioni per il raggiungimento dei target climatici al 2030 e al 2050, e un reale impulso al processo di transizione ecologica, anche come strumento di coordinamento e integrazione con i processi di digitalizzazione e di transizione energetica nel nostro Paese, in un'ottica globale e locale;

    nella proposta di Piano per la transizione ecologica trasmessa al Parlamento per il prescritto parere si evidenzia che il Piano si sviluppa a partire dalle linee già delineate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, proiettandole al completo raggiungimento degli obiettivi al 2050 come previsto dal Green deal europeo;

    per il finanziamento del Green deal sono state messe a disposizione specifiche risorse all'interno di «Next generation EU». In particolare, il 37 per cento delle risorse complessivamente richieste dagli Stati membri nei rispettivi Piani nazionali di ripresa e resilienza è dedicato a interventi di contrasto al cambiamento climatico. Specifiche risorse sono poi disponibili all'interno del Fondo speciale per una transizione giusta, focalizzato al sostegno delle attività che più di altre risentiranno negativamente dell'impatto di tale transizione, con una dotazione di 17,5 miliardi di euro;

    tra le proposte che il Governo individua nella proposta di piano come particolarmente importanti si ricordano quelle relative alla revisione del sistema di scambio di quote di emissione dell'Unione europea (EU-Ets) e nei settori non compresi nell'EU-Ets, alla revisione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, ad un insieme di misure atte a ridurre le emissioni nel settore dei trasporti stradali, nonché all'istituzione di un Fondo sociale per il clima;

    consapevoli della sfida che la transizione energetica comporta, nella proposta di Piano si ribadisce il principio fondamentale secondo il quale «nessuno deve essere lasciato indietro»;

    la transizione verso la neutralità climatica e digitale deve essere un processo condiviso e sostenuto dai cittadini italiani ed europei con la loro partecipazione attiva. Affinché abbia successo, nel suo orizzonte deve includere target economico-sociali ambiziosi e indicare la strada per raggiungerli: maggiore solidarietà tra generazioni; parità di genere; valorizzazione dei giovani; superamento dei divari territoriali; posti di lavoro e migliori condizioni di vita; educazione, formazione e innovazione di qualità; protezione sociale e sanitaria adeguata;

    la transizione energetica ed il phase-out dai combustibili fossili avranno come prevedibile conseguenza anche la trasformazione radicale di intere filiere produttive; pertanto, la difesa del lavoro deve essere il pilastro sociale della transizione;

    da ciò deriva inevitabilmente la necessità di politiche di sostegno al lavoro e di integrare la dimensione sociale, anche in virtù della rilevanza del Piano per le prossime generazioni e in omaggio al principio per cui «nessuno deve essere lasciato indietro». Nella proposta di Piano si prevede, in particolare, la necessità di attivare specifici interventi di politiche attive per il lavoro, ricorrendo a ammortizzatori sociali ma anche a percorsi di formazione specifica e riqualificazione;

    in parallelo, viene evidenziata l'importanza di dedicare più risorse alla ricerca scientifica, rafforzando le sinergie fra attori e finanziamenti pubblici già disponibili e creando interconnessioni stabili tra il mondo di ricerca, università, start-up e imprese, al fine di favorire il trasferimento tecnologico in grado di ridurre gli impatti ambientali del sistema produttivo;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza (M2-c2-3.2) prevede il finanziamento per la progressiva decarbonizzazione dei settori industriali «hard-to-abate». I progetti saranno coordinati con altri progetti a livello europeo (Ipcei idrogeno) a cui l'Italia intende partecipare con altri Stati membri, con i quali si sono già tenute riunioni di coordinamento (Francia e Germania). Per le industrie hard-to-abate (escluse quelle siderurgiche) il progetto mira a promuovere la transizione dal metano all'idrogeno verde attraverso la pubblicazione di bandi di gara per la realizzazione di progetti di trasformazione sostenibili e innovativi del ciclo produttivo;

    l'acciaio – si legge sempre nel Piano nazionale di ripresa e resilienza – è uno dei settori hard-to-abate dove l'idrogeno può assumere un ruolo rilevante in prospettiva di progressiva decarbonizzazione. Per l'industria siderurgica, nella prima fase, verrebbe utilizzato il metano in cui miscelare gradualmente volumi di idrogeno a basso contenuto di carbonio e successivamente verde. Sono contemplati 2 progetti, uno il cui budget è di 1,6 miliardi di euro e l'altro di 400 milioni di euro, il cui periodo (relevant period) è dal 1° gennaio 2022 al 1° gennaio 2026;

    la produzione attuale di idrogeno nelle raffinerie è di circa 0,5 Mton H2 /anno, rappresentando quindi uno dei settori più promettenti per iniziare a utilizzare l'idrogeno verde e sviluppare il mercato. Verrà lanciata una gara generale per i settori industriali che utilizzano il metano come fonte di energia termica (cemento, cartiere, ceramica, industrie del vetro ed altro) per sostenere la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione nei processi industriali e per finanziare progetti pilota e lo scale up industriale dei progetti. Una gara d'appalto specifica sarà lanciata per sostenere la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione per il processo di produzione dell'acciaio attraverso un aumento dell'uso dell'idrogeno, tenendo conto della specificità dell'industria siderurgica italiana (Piano nazionale di ripresa e resilienza – M2-C2-3.2);

    rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo, il 30 novembre 2021 in Commissione industria, commercio, turismo al Senato della Repubblica, il Governo ha puntualizzato che il bilancio energetico nazionale sarà basato su una quota sempre crescente di energie rinnovabili, anche grazie alle misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma inevitabilmente sarà presente una quota di fonti fossili nella fase di transizione energetica verso la decarbonizzazione, anche al fine di garantire sicurezza e stabilità al sistema in trasformazione;

    inoltre, dopo aver rimarcato che il (Piano nazionale di ripresa e resilienza, nell'ambito della missione 2 «Rivoluzione verde e transizione ecologica», prevede investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale volti alla decarbonizzazione di tutti i comparti della generazione di energia e suo utilizzo, è stato precisato che nella componente 2 «Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile», per quanto concerne il vettore idrogeno, sono previste linee di finanziamento volte a promuoverne la produzione, la distribuzione, gli usi finali specie nei settori a più alta intensità di energia e lo stoccaggio. Sia per la produzione che per lo stoccaggio è previsto l'utilizzo, previe verifiche specifiche, dei siti delle ex concessioni di coltivazione di idrocarburi a fine vita in dismissione;

    riguardo a quest'ultimo punto, il Governo ha fatto presente che, nell'ambito delle interlocuzioni fra il Governo e la Commissione europea, ci si è accordati sull'assicurazione di un livello minimo di idrogeno green al 10 per cento nei grandi progetti rivolti alle aziende «hard to abate», proprio in considerazione delle ingenti quantità necessarie della risorsa che deve essere miscelata;

    gli obiettivi climatici non possono, poi, prescindere da una complessiva e strutturata riforma del sistema fiscale orientata ad affrontare le problematiche ambientali;

    occorre, infatti, che le risorse disponibili siano dedicate a misure che portino famiglie e imprese, piccole e grandi, ad investire in efficienza e rinnovabili, eliminando, così come previsto dalla normativa europea, i cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi, mediante un'operazione di valorizzazione delle risorse economiche rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione nei tempi stabiliti;

    in sede di audizione presso le Commissioni riunite ambiente di Camera e Senato, il 7 dicembre 2021, il Ministro della transizione ecologica ha dichiarato che, già nel disegno di legge di bilancio per il 2022, ha proposto, parlandone con il Ministro dell'economia e delle finanze, un emendamento per eliminare un piccolo numero di sussidi ambientalmente dannosi, che possono essere tolti subito senza causare un impatto sociale particolare;

    è necessaria una roadmap di uscita dalle fossili e dai sussidi che preveda interventi da fare entro il 2025, anche in vista della chiusura delle centrali a carbone che non può essere affrontata solo con una semplice riconversione a gas, la quale comporterebbe una dipendenza dalle importazioni per ulteriori 20/30 anni;

    in tal senso, occorre giungere nei tempi più rapidi all'eliminazione su tutto il territorio delle centrali a carbone coerentemente con il programma di Enel impegnata nell'attivazione di poderosi investimenti in questa direzione, con particolare riferimento alle realtà di La Spezia, Civitavecchia e Brindisi;

    la mobilità rappresenta un settore strategico per raggiungere gli obiettivi climatici che, nel periodo successivo al 2030, prevedono che almeno il 50 per cento delle motorizzazioni dovrà essere elettrico;

    a tal fine, il decreto-legge n. 77 del 2021, anche per sostenere il comparto dell'automotive nel percorso di transizione, ha introdotto misure di semplificazione al fine di garantire processi autorizzativi snelli per l'installazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici ad accesso pubblico,

impegna il Governo:

1) a vigilare affinché gli interventi volti alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nei prossimi decenni siano sostenibili anche dal punto di vista sociale ed economico, soprattutto nei cosiddetti settori hard-to-abate, e consentano la ripartenza e il rilancio della competitività nel contesto europeo e mondiale;

2) ad assumere iniziative per prevedere che la promozione dell'idrogeno nel mix energetico contempli l'utilizzo di idrogeno cosiddetto verde da fonti rinnovabili e nei settori hard to abate, dove il vettore elettrico risulta di non facile applicazione, valutando a tal fine l'opportunità, per gli investimenti in questo ambito, di adottare misure di semplificazione amministrativa per la costruzione e l'esercizio degli elettrolizzatori;

3) ad adottare iniziative per prevedere idonei meccanismi di interlocuzione con i territori, i sindacati e le imprese dei settori produttivi maggiormente interessati dalla trasformazione energetica, al fine di individuare le più opportune strategie e iniziative volte ad accompagnarli nel percorso di decarbonizzazione;

4) ad individuare una road map di uscita, entro un tempo determinato, dai sussidi ambientalmente dannosi che ne preveda una loro rimodulazione e/o eliminazione, a partire dalla prima iniziativa normativa utile, dando certezza e chiarezza ai beneficiari e prevedendo misure ad hoc per i settori maggiormente interessati, quali l'autotrasporto e l'agricoltura.
(1-00561) «Pezzopane, Braga, Buratti, Morassut, Morgoni, Pellicani, Rotta, Lorenzin».

(9 dicembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    dal 1° al 13 novembre 2021 a Glasgow si è svolta la Cop26 sul clima, sede deputata a effettuare una revisione degli impegni per realizzare riduzioni quantificabili delle emissioni di gas a effetto serra previsti dagli Accordi sul clima adottati nell'ambito della Conferenza Cop21 tenutasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015;

    i negoziati hanno portato all'adozione del Glasgow climate pact, che ha fissato, tra gli altri, l'obiettivo minimo di decarbonizzazione per tutti gli Stati firmatari: un taglio del 45 per cento delle emissioni di anidride carbonica al 2030 rispetto al 2010, che dovrebbero poi arrivare a zero intorno al 2050;

    tra gli obiettivi della Cop26 di Glasgow figurava anche il rafforzamento della collaborazione tra i governi, le imprese e la società civile per un più efficace raggiungimento degli obiettivi, sancendo il ruolo importante svolto dalle realtà produttive e dai siti industriali in tali processi, e i risvolti sulle medesime imprese sia in termini di produzione che di occupazione, soprattutto nei settori in cui appare più difficile abbattere le emissioni di anidride carbonica e per le imprese operanti in settori ad alta densità energetica;

    in ambito europeo il 14 luglio 2021 la Commissione europea ha adottato un pacchetto di proposte legislative che definiscono come si intende raggiungere la neutralità climatica nell'Unione europea entro il 2050, compreso l'obiettivo intermedio di riduzione netta di almeno il 55 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2030, denominato Fit for 55 per cent, che intende rivedere diversi atti legislativi dell'Unione europea sul clima, il regolamento sulla condivisione degli sforzi, la legislazione sui trasporti e l'uso del suolo, definendo in termini reali i modi in cui la Commissione intende raggiungere gli obiettivi climatici dell'Unione europea nell'ambito del Green Deal europeo;

    nel mese di giugno 2021, con l'approvazione del regolamento (UE) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio, è stato, altresì istituito a livello europeo il «Fondo per una transizione giusta», al fine di fornire sostegno alle persone, alle economie e all'ambiente dei territori che fanno fronte a gravi sfide socioeconomiche derivanti dal processo di transizione verso gli obiettivi 2030 dell'Unione per l'energia e il clima e verso un'economia climaticamente neutra dell'Unione entro il 2050;

    tuttavia, e la Commissione europea non lo dovrebbe affatto sottovalutare, è l'Europa ad essere colpita, in questo momento, dalla crisi energetica a causa della scarsità di metano, con un'esplosione vera e propria dei suoi prezzi. Una crisi assolutamente non di breve periodo, per ragioni di domanda (per l'incremento dovuto alla ripresa economica, alla fame di gas in Asia, alla ridotta disponibilità di risorse rinnovabili quali la bassa ventosità) e di offerta (per aver evidenziato l'incapacità di soddisfare interamente la domanda nelle attuali condizioni). Al riguardo, è fortemente ipotizzabile che il mondo abbia assoluta necessità del gas naturale, se non altro perché se la Cina vorrà interrompere il trend di crescita delle sue emissioni nel 2030 dovrà necessariamente raggiungere un picco nei suoi consumi di carbone nel giro di pochi anni, sostituendolo quasi interamente con il gas naturale, la qual cosa porterà la domanda di gas della Cina da qui a metà secolo ad aumentare di un quantitativo pari all'intero consumo attuale dell'intera Europa;

    non di meno, il nucleare inteso come sviluppo della nuova generazione di centrali nucleari è tornato al centro del dibattito energetico, essendo ritenuta la ricerca in corso in detto ambito non la soluzione ma certamente una parte della soluzione alla lotta ai cambiamenti climatici;

    a livello nazionale, il più ampio stanziamento di risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), è previsto per la missione «Rivoluzione verde e transizione ecologica», alla quale sarà destinato circa il 30 per cento dell'ammontare complessivo del Piano, pari a 69,93 miliardi di euro, per «intensificare l'impegno dell'Italia in linea con gli obiettivi del Green Deal sui temi legati all'efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, mobilità sostenibile, potenziando le infrastrutture e le ciclovie e rinnovando in modo deciso il parco circolante del TPL, per incrementare la quota di energia prodotta da rinnovabili e stimolare la filiera industriale, inclusa quella dell'idrogeno, e digitalizzare le infrastrutture di rete»;

    il Piano per la transizione ecologica (Pte), inoltre, individua otto obiettivi principali delle politiche ambientali dell'Italia: decarbonizzazione, mobilità sostenibile, miglioramento della qualità dell'aria, contrasto al consumo di suolo e al dissesto idrogeologico, risorse idriche e relative infrastrutture, biodiversità, tutela del mare, promozione dell'economia circolare;

    la Conferenza unificata, nella seduta del 2 dicembre 2021, ha espresso parere negativo sulla proposta del predetto Pte. In particolare, la Conferenza ha evidenziato il permanere delle condizioni preclusive all'espressione di un parere positivo, quali:

     a) il mancato coinvolgimento delle regioni, non essendo stati convocati incontri tecnici bilaterali specifici;

     b) un ruolo importante da attribuire alle autonomie locali nella definizione della governance del Piano;

     c) la mancata esplicitazione della gerarchizzazione e dei rapporti tra il Piano di transizione ecologica, il Piano di ripresa e resilienza, la programmazione 2021/2027 e gli obiettivi della Strategia di sviluppo sostenibile;

     d) la mancata chiarezza sulla assoggettabilità a valutazione ambientale strategica, il mancato accoglimento di molte osservazioni tecniche delle regioni e della pubblica amministrazione (in particolare in tema di qualità dell'aria);

    nonostante l'adozione negli ultimi anni di diverse disposizioni in materia di lotta al cambiamento climatico, tra le quali figurano anche la creazione del Fondo per la transizione energetica nel settore industriale e del Fondo per la riconversione occupazionale nei territori in cui sono ubicate centrali a carbone, appaiono del tutto insufficienti gli strumenti prospettati messi in campo a sostegno della svolta green delle aziende e dei conseguenti riflessi sul mercato occupazionale;

    scorrendo gli interventi realizzati sin qui, o quantomeno studiati fin qui, si nota il mancato coinvolgimento del mondo dell'industria e delle imprese nella definizione delle politiche per il raggiungimento degli obiettivi, assenza che, peraltro, fa sospettare un atteggiamento di accondiscendenza nei confronti dell'Europa che non tenga conto delle nostre specificità produttive nazionali;

    in questo senso è già stato segnalato da diverse organizzazioni di categoria come alcune scelte di politica ambientale a livello europeo rischiano di provocare impatti molto pesanti sulle imprese manifatturiere italiane, soprattutto se non si dovessero tenere nel debito conto le differenze tra le economie dei singoli Stati dell'Unione europea;

    la Vice presidente di Confindustria per l'ambiente, la sostenibilità e la cultura ha, infatti, sottolineato come «porre gli stessi obiettivi a tutti potrebbe generare degli effetti distorsivi tra gli stessi Stati dell'Unione (...) se si applicano gli obiettivi di decarbonizzazione in maniera uniforme e indistinta alle economie di Paesi che hanno diversi tassi di industria manifatturiera, si rischia di premiare in maniera del tutto irragionevole quelle a più basso tasso di manifattura e al contempo di penalizzare in modo altrettanto irragionevole quelle che, come la nostra, hanno invece una grande concentrazione di manifattura di livello eccellente»;

    non solo, ma la crisi energetica sta spingendo l'Italia sull'orlo di un lockdown produttivo e industriale. Intere filiere, a partire da quelle legate alla manifattura, rischiano di collassare sotto il macigno degli aumenti in bolletta, con ricadute occupazionali ed economiche potenzialmente devastanti. A parere dei firmatari del presente atto di indirizzo a questo scenario non corrisponde – allo stato – una strategia di medio e lungo periodo da parte del Governo: su una partita così cruciale, che si gioca anche sul fronte geopolitico europeo e mondiale, non si registra infatti né una visione, né un piano di intervento;

    appare del tutto evidente che il raggiungimento degli obiettivi dettati dall'Unione europea, finalizzati ad accelerare la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nei prossimi decenni, non deve comportare un'ulteriore penalizzazione dell'economia nazionale, ma – per contro – favorire la ripartenza e il rilancio della competitività nel contesto mondiale ed europeo;

    la promozione, lo sviluppo e l'impiego delle diverse tecnologie necessarie per dare attuazione alla politica strategica dell'Unione europea per la decarbonizzazione non possono prescindere da un'attenta e circostanziata analisi degli impatti (ambientali, economici, sociali e geopolitici) conseguenti la disponibilità, l'approvvigionamento, i costi e la dipendenza estera dei metalli, dei minerali critici e delle terre rare, indispensabili nella transizione fondata sull'elettrificazione spinta dei consumi e sull'impiego di impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili (quali fotovoltaico ed eolico);

    particolare attenzione dovrebbe, quindi, non solo essere prestata alle problematiche concernenti l'approvvigionamento delle materie critiche necessarie a garantire la continuità del processo di transizione ecologica, ma anche estesa al gas e alle altre fossili importate;

    se è vero che la promozione delle fonti di energie rinnovabili è uno degli obiettivi prioritari dell'Unione europea, altrettanto vero è che in Italia l'affrettata e disordinata installazione di impianti destinati a tale finalità ha in alcuni casi determinato effetti diversi, per non dire opposti, a quelli auspicati. Nei fatti, la duplicazione, rispetto a quelli attivi nel 2009, degli impianti destinati alla produzione di elettricità da pannelli fotovoltaici non sempre risulta bilanciata con l'interesse a garantire un'adeguata tutela ambientale e paesaggistica, volta a preservare il suolo agricolo, risorsa limitata e non rinnovabile;

    occorre inoltre considerare che, in ambito agricolo, una transizione ecologica netta, sprovvista delle necessarie misure di accompagnamento e di agevolazione, è destinata a pregiudicare la tenuta economica di un comparto che si è mostrato particolarmente resiliente nell'ambito della recente crisi da COVID-19 e protagonista della transizione verde;

    la recente nota del Cite (Comitato interministeriale per la transizione ecologica), con la quale viene fissato per il 2035 l'anno di cessazione della produzione di auto con motore a combustione, risulta fortemente criticata dall'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia) e dai sindacati, che denunciano il gravissimo pericolo della perdita di oltre settantamila posti di lavoro nel comparto in questione a causa di un'accelerazione troppo spinta verso l'elettrificazione; a tacere del fatto di dovere rinunciare a uno dei fiori all'occhiello dell'industria italiana, la filiera del powertrain endotermico;

    lo sviluppo di tecnologie innovative sarà determinante per il completo abbattimento delle emissioni di processi industriali e prodotti, nonché lo strumento per una transizione energetica votata al successo. In tale prospettiva la fusione a confinamento magnetico assume un ruolo di rilievo nella ricerca tecnologica finalizzata al processo di decarbonizzazione, in quanto consentirà di potere disporre di grandi quantità di energia pulita, sicura, virtualmente inesauribile e senza la produzione di gas serra;

    in tale contesto va evidenziato anche l'investimento, da parte dell'Italia, di dieci miliardi di euro per la messa in funzione di 5 gigawatt di elettrolizzatori, entro il 2030, anno in cui il 2 per cento della domanda energetica nazionale dovrebbe essere coperta dallo «idrogeno pulito»;

    la necessità di rivedere i nostri processi produttivi non può dunque prescindere dalla tutela dell'ambiente e la salvaguardia dei livelli occupazionali;

    non risulta inoltre in linea con i fini di tutela ambientale l'annunciata predisposizione di una direttiva europea che, con il pretesto di contenere le emissioni ed il contenuto energetico, vieterebbe dall'anno 2027 la compravendita e l'affitto di abitazioni aventi una classificazione energetica sotto la classe E con successivo passaggio alla classe D e poi alla C (la compravendita sarebbe prevista come possibile solo dall'impegno tassativo da parte del compratore di effettuare entro tre anni i lavori necessari a raggiungere la classe richiesta), atteso che i costi aggiuntivi che si verrebbero a determinare finirebbero per favorire grandi gruppi finanziari – specialmente stranieri – tra i pochi in grado di potere acquistare centinaia di immobili assumendosi l'onere di sostenere le spese necessarie nei tre anni per il raggiungimento della classe pretesa;

    quanto al tema del «consumo di suolo» l'esame ad oggi effettuato in sede parlamentare, con riferimento in particolare alla rigenerazione urbana, risulta ispirato ad una filosofia legislativa volta a privilegiare l'adozione di regole vecchie ed obsolete non funzionali alla trasformazione delle città, eludendo, in particolare, la questione centrale del recupero dei «centri storici», atteso che, al di là degli edifici che godono di tutele particolari, è importante potere intervenire senza ulteriori vincoli sugli edifici ricadenti in tali ambiti ma privi di pregio o addirittura degradati e pericolanti, certamente privi di significativi elementi volti a contenere il consumo energetico,

impegna il Governo:

1) a predisporre e sottoporre al Parlamento un piano di medio-lungo periodo volto ad individuare le azioni più opportune per efficacemente contrastare la crisi energetica in atto;

2) a promuovere urgenti iniziative a livello europeo al fine di tutelare le economie dei Paesi membri messe in situazione di gravi difficoltà dagli aumenti dei costi dei metalli, dei minerali critici e delle terre rare, di cui in premessa, introducendo dazi di civiltà a carico di quei Paesi che, non rispettando limiti e fini della transizione ecologica, operano sul mercato in spregio agli stessi, con gravi conseguenze sia sulla salute delle persone sia sull'ambiente;

3) a valutare con razionale attenzione, senza quindi condizionamenti di natura ideologica, la proposta – se e in quanto formalizzata – di inserire il gas naturale e il nucleare nella tassonomia dell'Unione europea che definisce le regole per la finanza cosiddetta sostenibile, e ciò al fine di evitare che aprioristiche valutazioni finiscano per impattare negativamente proprio sulla transizione energetica che si vorrebbe implementare;

4) ad assumere con la massima urgenza ogni utile iniziativa volta a sottoporre alla Conferenza unificata un testo del Piano per la transizione ecologica che, prevedendo con chiarezza il coinvolgimento nell'attuazione dello stesso di regioni ed enti locali ed accogliendo le richieste allo stato formulate, consenta alla stessa di favorevolmente pronunciarsi al riguardo;

5) ad adottare iniziative per definire obiettivi e percorsi chiari per sostenere le aziende nella programmazione dei percorsi di decarbonizzazione delle stesse e a stanziare adeguate risorse economiche per gli investimenti in tal senso;

6) nella trasposizione delle normative europee in materia di lotta al cambiamento climatico, ad adottare iniziative per tutelare le specificità imprenditoriali, produttive e di conformazione del territorio della nostra Nazione;

7) in questo ambito, a dedicare maggiore attenzione alla nostra industria manifatturiera, definendo percorsi di transizione attraverso scelte che possano sostenere e orientare l'evoluzione dei processi industriali;

8) a sostenere efficacemente le strategie aziendali di adeguamento ai più elevati parametri ambientali nell'ambito di investimenti in tecnologie e impianti che riducano le emissioni, nonché i consumi energetici e di materie prime;

9) ad orientare gli strumenti e le risorse previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e, più in generale, le risorse pubbliche nazionali ed europee, per creare sviluppo e innovazione industriale in Italia, sostenendo la riconversione di produzioni che avrebbero altrimenti un impatto negativo dal processo di transizione;

10) a perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione promuovendo il rafforzamento delle filiere per la produzione di tecnologie innovative e ad alta efficienza nel settore delle rinnovabili, dell'efficienza energetica e della mobilità sostenibile, favorendo gli investimenti sul territorio nazionale;

11) ad assumere opportune iniziative di carattere normativo volte a definire il «consumo di suolo», tale per cui si abbia un bilancio netto di suolo pari a zero fra superfici impermeabilizzate e de-impermeabilizzate, come più volte richiesto dall'Unione europea;

12) al fine di realizzare una vera indipendenza energetica dell'Italia da altri Stati, a sostenere con forza, anche attraverso la specifica destinazione dei fondi a disposizione o che saranno disponibili, studi e progetti volti nel futuro a consentire l'utilizzo del «nucleare pulito», proseguendo ed incentivando nel contempo ogni utile attività ed impegno a favore dell'«idrogeno pulito»;

13) ad assumere, per quanto di competenza, ogni opportuna iniziativa volta a garantire un corretto inserimento paesaggistico degli impianti fotovoltaici ed eolici collocati a terra, e ciò anche mediante l'adozione di specifiche iniziative che ne definiscano più restrittivamente limiti dimensionali e localizzativi;

14) a mantenere l'attuale regime di incentivi e sussidi destinati ai carburanti utilizzati in agricoltura, favorendo al tempo stesso, anche con ulteriori risorse economiche, il ricambio del parco macchine nel settore, così che migliore risulti l'impatto sull'ambiente;

15) a concorrere ad elaborare un piano di politica industriale con una road map italiana per la transizione produttiva nella mobilità sostenibile, come risultano avere fatto altri Stati.
(1-00562) (Nuova formulazione) «Foti, Lollobrigida, Butti, Rachele Silvestri, Ferro, Zucconi, Galantino, Mantovani, Caiata, De Toma, Trancassini, Deidda, Gemmato, Maschio, Osnato, Prisco, Caretta, Ciaburro».

(13 dicembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la politica energetica dell'Unione europea, la cui base giuridica è rinvenibile già nell'articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, si è rafforzata con l'avvio del «Green Deal europeo» nel dicembre 2019 che ha dato impulso alla decarbonizzazione del sistema energetico dell'Unione europea, con una forte spinta su rinnovabili ed efficienza energetica di edifici, industria e mobilità: il documento, che riformula su nuove basi l'impegno europeo ad affrontare il cambiamento climatico, andando oltre il Clean Energy Package avviato nel 2016, ricomprende infatti un ambizioso piano d'azione per trasformare l'Unione in un'economia competitiva, con l'obiettivo di azzerare le emissioni nette di gas serra entro la metà del secolo;

    nell'ambito del Green Deal europeo, i leader dell'Unione europea hanno approvato, nel dicembre 2020, un obiettivo riveduto di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. In particolare, per conseguire tale ambizioso obiettivo, la Commissione europea ha preso in considerazione le azioni necessarie in tutti i settori, compresi un aumento dell'efficienza energetica e dell'energia da fonti rinnovabili, e il 14 luglio 2021 ha presentato ai membri della Commissione ambiente del Parlamento europeo il pacchetto di proposte legislative denominato «Fit for 55%», contenente 12 iniziative, sia di modifica di legislazioni esistenti sia di nuove proposte, tese a mettere in atto e realizzare tale maggiore livello di ambizione;

    arrestare il cambiamento climatico attraverso una transizione energetica equa e sostenibile resta obiettivo prioritario delle politiche dell'Unione europea anche dopo la crisi provocata dalla pandemia di COVID-19 ed è parte centrale dell'azione di medio periodo che l'Europa si prefigge con il Next Generation EU (Ngeu), in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (SDGs) e con gli impegni dell'Accordo di Parigi del 2015;

    inoltre, il nuovo bilancio rafforzato dell'Unione, definito nel luglio 2021 dal Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, impone agli Stati membri di rispettare i vincoli di spesa minima a sostegno della transizione energetica: in particolare, almeno il 37 per cento della spesa finanziata dal Qfp e da Ngeu è dedicata al perseguimento degli obiettivi climatici e le iniziative previste dai Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (Pnrr), in attuazione di Ngeu, in coerenza con il principio do not significant harm, sancito negli accordi di Parigi. Specifiche risorse sono poi disponibili all'interno del Fondo speciale per una transizione giusta, focalizzato al sostegno delle attività che più di altre risentiranno negativamente dell'impatto di tale transizione, con una dotazione di 17,5 miliardi di euro;

    nella premessa della proposta di Piano per la transizione ecologica (Pte) viene evidenziato che tale piano «intende fornire informazioni di base e un inquadramento generale sulla strategia per la transizione ecologica, dare un quadro concettuale che accompagni gli interventi del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)»;

    il Piano transizione per la ecologica (Pte) ricorda che le tappe della decarbonizzazione italiana sono scandite dagli impegni europei («net zero» al 2050 e riduzione del 55 per cento al 2030 delle emissioni di CO2 rispetto al 1990) e che la quota di elettrificazione del sistema dovrà progressivamente tendere e superare quota 50 per cento. L'apporto delle energie rinnovabili alla generazione elettrica dovrà raggiungere almeno il 72 per cento al 2030 e coprire al 2050 quote prossime al 100 per cento del mix energetico primario complessivo;

    per consentire il passaggio a un'efficace economia climaticamente neutra, la predetta complessiva attività di pianificazione, programmazione e coordinamento che interessa i nuovi soggetti istituzionali deve confrontarsi ed essere coerente con i principi e gli obiettivi chiave della transizione ecologica, con particolare riferimento a quei settori come l'industria, i trasporti e l'energia che, pur avendo un grande potenziale in termini di promozione della transizione verde e di stimolo della crescita, possono anche comportare il rischio di arrecare un danno significativo a uno o più obiettivi ambientali, in funzione di come sono progettate. Per tali ragioni, in questi settori, la stessa Commissione pone riserve in ordine al ricorso ad un approccio semplificato agli investimenti e alle riforme;

    la Strategia dell'Unione europea per l'integrazione del sistema energetico COM(2020)299 persegue l'obiettivo di guidare gli Stati membri nella graduale eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. Inoltre, il Pte prevede l'istituzione di un gruppo di lavoro interministeriale, con la partecipazione delle regioni, al fine di presentare proposte normative volte alla razionalizzazione e progressiva eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad);

    alla luce dei medesimi principi declinati a livello europeo, laddove esistano alternative tecnologicamente ed economicamente praticabili a basso impatto ambientale, come quelle associate allo sviluppo delle Fer in sostituzione della produzione di energia elettrica e/o di calore a partire da combustibili fossili, l'effetto ambientale delle attività dovrebbe essere valutato in termini assoluti, ossia rispetto allo scenario che si prefigura in assenza di interventi che abbiano un impatto ambientale significativo;

    in questa prospettiva, dovrebbe essere collocato anche il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), in fase di approvazione, disciplinato dall'articolo 11-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12. Il piano prevede un orizzonte temporale dal 2020 al 2050 che si coniuga con l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e della decarbonizzazione dell'economia italiana, in linea con l'Accordo sul clima di Parigi del 2015 e l'European Green Deal, per un modello energetico sostenibile che affronti le sfide dell'approvvigionamento energetico e della tutela ambientale promuovendo lo sviluppo del risparmio energetico e delle energie rinnovabili;

    per adempiere gli obiettivi del Green Deal, nel 2030, il 70 per cento dei consumi elettrici italiani dovrà essere coperto da energie rinnovabili (quasi il doppio rispetto alla quota attuale del 38 per cento) e dovranno essere installati 65 GW di nuova potenza rinnovabile;

    le emissioni di anidride carbonica – 428 milioni di tonnellate nel 2018, di cui il 24 per cento dal settore dell'industria e dei trasporti ed il 20 per cento dai sistemi di riscaldamento presenti nelle nostre case ed edifici – dovranno essere ridotte attraverso la diffusione dell'elettricità rinnovabile e dell'efficienza energetica in tutti i settori;

    l'analisi della realtà produttiva italiana, condotta nel report pubblicato ad ottobre 2020 e coordinato da Italian Climate Network, con la collaborazione scientifica del team di ricerca di EStà ed il supporto della European Climate Foundation, rileva che le maggiori criticità sono rappresentate dai settori industriali in cui si investe poco in innovazione tecnologica, da una scarsa capacità di evoluzione del sistema del trasporto privato e da basse prestazioni energetiche degli edifici;

    gli investimenti del periodo 2021-2030 nei settori strategici devono quasi raddoppiare ossia salire dai 1.000 miliardi di euro previsti dal Piano nazionale energia e clima, alla cifra di 1780 miliardi di euro. Tali sforzi si tradurrebbero in una crescita dell'occupazione stabile nell'ordine del 2,5-3 per cento e in un maggior aumento annuo del Pil dell'ordine dello 0,5-0,6 per cento, numeri che migliorerebbero ulteriormente nel caso in cui l'Italia mirasse i suoi investimenti verso gli ambiti green a maggior contenuto tecnologico e che sottolineano la necessità di aumentare la spesa in ricerca e sviluppo, nonché gli sforzi di industrializzazione dei brevetti, di modo che il nostro Paese non resti nelle retrovie dell'innovazione, limitandosi ad acquistare la tecnologia green prodotta da altri;

    al maggior avanzamento nell'identificazione delle possibili soluzioni tecnologiche che dovranno essere scelte, contribuisce la cosiddetta «Tassonomia Green» che costituisce la base per la pianificazione degli investimenti nel prossimo decennio. Essa, poi, non solo è lo strumento di indirizzo degli investimenti del Next Generation EU, ma soprattutto è il framework che informa le scelte degli investitori istituzionali, interessati a costruire portafogli sostenibili dal punto di vista ambientale, dato che precisa per ogni settore di attività, gli interventi che sono in grado di mitigare i cambiamenti climatici, rispetto a quelli che viceversa contribuiscono a incrementare le emissioni. Di conseguenza ciò che rientra nel novero della Tassonomia diviene elemento centrale nell'identificare le prospettive d'investimento nei settori energetici e, per tale ragione, presuppone decisioni oculate soprattutto con riferimento alle soluzioni che, ad oggi, presentano considerevoli margini di incertezza in termini di fattibilità tecnica ed economica degli investimenti e dei rischi ambientali, anche secondari;

    essendo la transizione energetica un driver di sviluppo che impatta su una molteplicità di interessi generali i quali richiedono una visione d'insieme, programmare l'adempimento degli impegni assunti con il Green Deal per il sistema industriale italiano, fatto di imprese anche piccole e medie (Pmi), non significa solo «programmare» l'innovazione, ma anche fare scelte mirate e consapevoli rispetto a dinamiche che toccano la società e l'ambiente nel loro complesso e che esigono una nuova governance nazionale basata su un efficace coordinamento, suscettibile di consentire il dialogo tra i diversi livelli di governo del territorio nelle sedi istituzionali deputate, e al contempo una sintesi dei diversi interessi;

    si auspica altresì la nascita di un Sistema nazionale dell'innovazione, ossia un «luogo» in cui tutti, il mondo delle imprese e della ricerca, pubblica e privata, possano coerentemente disegnare un piano di investimenti ad alta intensità tecnologica e impatto ambientale ridotto, in grado di migliorare la performance del sistema Paese nel senso di una maggiore capacità produttiva in termini di ricchezza e, insieme, decarbonizzazione;

    l'offerta industriale dovrà avere un ruolo fondamentale, non tanto e non solo per le prestazioni ambientali dei suoi impianti, quanto per il mutamento qualitativo della produzione che, condizionato dalla domanda green, influenzerà la struttura produttiva nel suo insieme;

    il sistema produttivo e industriale è influenzato da una correlazione positiva tra diminuzione dell'anidride carbonica da un lato, e aumento degli investimenti in ricerca-sviluppo, nonché innovazione tecnologia dall'altro: è, pertanto, anzitutto strategico «aggredire» i settori più inquinanti, responsabili del 75 per cento delle emissioni di anidride carbonica delle attività industriali, a loro volta responsabili di circa il 20 per cento delle emissioni totali, ma capaci di produrre solo l'11 per cento del valore aggiunto e il 9 per cento degli occupati del comparto industriale. Il percorso di transizione energetica in questi settori è, infatti, elemento essenziale alla loro stessa futura capacità di competizione nel mercato, sempre più green e sostenibile;

    con riguardo alla produzione di energia elettrica, le azioni prioritarie dovranno concentrarsi sull'accelerazione dei percorsi di decarbonizzazione e sull'ammodernamento delle centrali elettriche, attraverso un aggiornamento del Pniec 2030, in relazione ai nuovi obiettivi Ue di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e la revisione dell'obiettivo della quota delle fonti energie rinnovabili (Fer) rispetto ai consumi finali lordi di energia;

    per quel che concerne il settore industriale, sarà necessario adottare misure ad hoc per la riconversione delle imprese, tramite il superamento dell'attuale ripartizione delle quote di emissioni nell'ambito dell'European Union Emissions Trading Scheme EU ETS, per favorirne un impiego ottimale; promuovere e sostenere i Power Purchase Agreements (Ppa) al fine di minimizzare gli oneri in bolletta e garantire i produttori di energia da Fer rispetto dalla volatilità dei prezzi;

    coerentemente con il processo di transizione ecologica in atto, occorre puntare poi sull'idrogeno da fonti rinnovabili il cui utilizzo, commisurato alla sua funzione di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni, è da prevedersi solo nei settori «hard to abate» (siderurgia, raffinazione del petrolio, chimica, cemento, vetro e cartiere) e non in quelli dove l'elettrificazione è già ora la soluzione più idonea e conveniente. A tal fine, è fondamentale dare vita ad una filiera nazionale di tecnologie connesse alla sua produzione (elettrolizzatori, celle a combustibile e componenti ancillari al processo produttivo);

    per ridurre in modo significativo la dipendenza energetica dalle importazioni di energia di combustibili fossili, l'approvvigionamento energetico dovrà essere orientato verso un cambiamento strutturale nel mix delle fonti energetiche a favore di un aumento significativo di nuova capacità rinnovabile e di un incremento di produzione elettrica da Fer;

    una maggiore diffusione di energie rinnovabili e un maggiore ricorso a forme di autoconsumo collettivo e alla costituzione di comunità energetiche rinnovabili, oltre a contribuire alla decarbonizzazione dell'approvvigionamento energetico, contribuisce ad ottenere prezzi accessibili per le piccole e medie imprese e i consumatori domestici, soprattutto per le famiglie più vulnerabili che versano in condizioni di forte disagio economico e sociale. Sempre in tema di riduzione dei costi per gli utenti finali, si pone la necessità di trasferire sulla fiscalità generale gli oneri generali di sistema presenti in bolletta;

    con specifico riguardo al settore automotive, settore italiano con il più elevato numero di eccellenze nella produzione di autoveicoli di alta gamma e commerciali e relativa componentistica, sarà necessario sviluppare un piano di riconversione dell'intera filiera. Quello dei motori elettrici è l'orizzonte tecnologico con cui tutte le principali case automobilistiche si dovranno confrontare nel corso dei prossimi anni e, di conseguenza, risulta fondamentale sin da ora riconvertire, riqualificare e sviluppare le competenze dei lavoratori del comparto, ponendo tuttavia la dovuta attenzione, sia sotto il profilo industriale che occupazionale, alla risoluzione delle crisi aziendali in atto per scongiurare un effetto critico moltiplicatore anche sulle aziende dei servizi e della componentistica. Sarà inoltre necessario indicare una data precisa a partire dalla quale vietare la commercializzazione di nuovi autoveicoli a combustione interna come parte degli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra;

    come noto la tecnologia Ccs è nata dall'esigenza di ottenere una estrazione supplementare di petrolio e gas naturale in giacimenti ormai depleti attraverso immissione di anidride carbonica;

    nonostante le numerose valutazioni effettuate in molti Paesi europei, ancora manca una valutazione positiva sulla fattibilità tecnica ed economica della cattura, dell'utilizzazione, del trasporto e dello stoccaggio del carbonio;

    la necessità di stoccare l'anidride carbonica ad alte pressioni in vecchi giacimenti ad 800 metri di profondità o in mare comporta numerosi rischi, specie nelle aree sismiche e in quelle classificate a sismicità medio-alta, in quanto l'attività sismica può causare fratturazione nei siti di stoccaggio e possibili fuoriuscite in caso di stoccaggio geologico;

    la Corte dei conti europea ha esaminato i precedenti programmi di finanziamento a sostegno delle tecnologie Ccs (programma NER 300 e EEPR) e ne ha certificato il fallimento dopo aver esaminato i risultati ottenuti con i predetti programmi, tanto che i sei progetti finanziati sono stati cancellati o conclusi senza essere entrati in funzione, con l'eccezione dell'impianto pilota in Spagna che, però, non ha dimostrato l'utilizzo del Ccs su scala reale. Secondo la Corte dei conti europea, pertanto, i sussidi Ue in materia non hanno portato a risultati soddisfacenti. Nello stesso tempo, non è giustificabile dare supporto pubblico a progetti commerciali di Ccs e Ccus in assenza di risultati incoraggianti in quelli pilota. Nella stima dei costi sono da considerare il rischio connesso allo stoccaggio e al trasporto, nonché i costi per le prossime generazioni, sia nella gestione del rischio che nella manutenzione e monitoraggio dei siti, che andrebbe calcolato a parte in una logica corretta di analisi costi/benefici;

    le attività del settore fossile rappresentano il 9 per cento di tutte le emissioni di gas serra (Ghg) prodotte dall'uomo. Inoltre, producono i combustibili che creano un altro 33 per cento delle emissioni globali. Tali operazioni hanno generato, solo nel 2020, quasi 120 milioni di tonnellate di metano, quasi un terzo di tutte le emissioni di metano dovute all'attività umana. Le possibilità di ridurre queste emissioni sono enormi: ciò è particolarmente vero nel settore del petrolio e del gas, dove è possibile evitare più del 70 per cento delle emissioni attuali con la tecnologia esistente e dove circa il 45 per cento potrebbe essere evitato senza costi netti;

    la produzione di energia rappresenta circa i due terzi delle emissioni di produzione di petrolio e gas. La richiesta di energia delle piattaforme di petrolio e gas tramite cavo alla riva o da un vicino parco eolico potrebbe portare a una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di 2-3 Mtpa nonché supportare fino a 4 gigawatt di nuova capacità eolica offshore. Il supporto all'industria petrolifera e del gas nella transizione verso un futuro a basse emissioni risulta cruciale nella lotta ai cambiamenti climatici e nella riduzione dei gas climalteranti ottenibile tramite, ad esempio, la sostituzione di macchinari ad alto contenuto di carbonio con collegamenti a operazioni onshore che generano elettricità a partire da idrogeno verde, energia solare, energia eolica offshore, la modifica dei processi produttivi interni e l'efficientamento dell'intera catena di approvvigionamento;

    in Italia muoiono prematuramente secondo l'Agenzia europea per l'ambiente quasi 66 mila persone all'anno per esposizione a inquinanti dell'aria (soprattutto polveri, ossidi di azoto, ozono) legati con grande prevalenza alla combustione di fonti energetiche fossili;

    ad ottobre 2020, la Commissione europea ha pubblicato la «Strategia per il metano» che funge da punto di partenza per un processo di sviluppo di una legislazione orientata a vietare le pratiche di combustione e sfiato di routine e ad introdurre l'obbligo di rilevamento e riparazione delle perdite nelle infrastrutture del gas. Anche per la tecnologia Ccs deve essere, infatti, posta particolare attenzione alle problematiche connesse all'attività di monitoraggio dei siti e alla necessità di marker per rendere visibili le perdite di anidride carbonica,

impegna il Governo:

1) a verificare, in base ai nuovi obiettivi europei della transizione ecologica, tempi certi e stringenti per garantire il phase-out dalle fonti fossili, salvaguardando la sicurezza dell'approvvigionamento energetico mediante un massiccio ricorso alle fonti alternative;

2) ad adottare iniziative volte ad accompagnare la riconversione dell'industria oil & gas, tramite investimenti in nuove tecnologie ed ecoinnovazione (analisi avanzate, intelligenza artificiale), mediante il ricorso a misure volte a facilitare l'ammodernamento e/o la sostituzione degli impianti obsoleti esistenti, ad incoraggiare l'automazione, la digitalizzazione e l'elettrificazione diffusa della filiera di produzione energetica, nonché l'utilizzo di sistemi per il rilevamento accurato e l'individuazione puntuale delle perdite di metano;

3) a definire appositi piani per una «transizione giusta» e una maggiore competitività, nel medio e lungo periodo, dei lavoratori del settore petrolifero e del gas verso il comparto delle energie rinnovabili, garantendo continuità occupazionale e produttiva attraverso misure di sostegno per le aziende e i dipendenti, di concerto con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le parti sociali, le istituzioni interessate e i sindacati, nonché sostenendo il cambiamento professionale e tecnologico attraverso la formazione, la riqualificazione e l'aggiornamento delle competenze dei lavoratori;

4) ad operarsi, in sede europea, per l'adozione di apposite misure normative tese a ridurre le emissioni derivanti dall'estrazione, dalla produzione, dalla trasmissione e dalla distribuzione di petrolio e gas, che includano il rilevamento, il monitoraggio e i requisiti di riparazione delle perdite, gli standard tecnologici minimi e i divieti di flaring e venting come pratiche di routine, nonché apposite sanzioni in caso di mancata ottemperanza, con chiari e dettagliati obiettivi vincolanti entro cui ridurre le emissioni;

5) a garantire in modo adeguato che siano messe a disposizione del pubblico le informazioni ambientali concernenti tutte le fasi dei progetti sperimentali avviati attinenti lo stoccaggio geologico di anidride carbonica, ai sensi del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162, nonché le relative risultanze al fine di orientare i processi decisionali sulla base di dati certi;

6) a prevedere che il Piano per la transizione ecologica sia coordinato con la pianificazione di settore finalizzata al perseguimento degli obiettivi di neutralità climatica, a cominciare dal Pitesai, in fase di approvazione, considerato che, a tal fine, occorre che il Piano sia redatto sulla base di criteri stringenti sia nell'individuazione delle aree idonee, orientati verso il progressivo ed effettivo abbandono della produzione di idrocarburi, con conseguente divieto di conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi e di proroga o rinnovo delle concessioni di coltivazione in essere oltre il 2040 in tutto il territorio nazionale;

7) a prevedere, nella prossima iniziativa normativa utile, la progressiva ma effettiva e rapida eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti (cosiddetta «sunset clauses»), nell'ambito della complessiva individuazione dei sussidi ambientalmente dannosi, contestualmente prevedendo forme positive di incentivazione delle attività economiche in linea con gli obiettivi della decarbonizzazione;

8) a manifestare, in sede europea, il proprio deciso dissenso nei confronti dell'inserimento del gas naturale tra le attività economiche che possono essere considerate sostenibili e in quanto tali finanziate nell'ambito della tassonomia verde;

9) ad esprimere, in modo perentorio, l'esclusione dell'energia nucleare dal novero delle attività riconducibili nell'ambito della tassonomia verde, nel rispetto degli esiti referendari del 1987 e del 2011;

10) ad adottare iniziative per provvedere alla definitiva approvazione della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), assicurando la massima ed effettiva concertazione e condivisione con i territori e le comunità locali interessati, nel rispetto dei principi di trasparenza, leale collaborazione e cooperazione istituzionale, come da impegni assunti dal Governo con riferimento alla mozione sul deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (mozione n. 1-00414);

11) ad adottare iniziative per favorire la nascita di un Sistema nazionale dell'innovazione, ossia un «luogo» in cui tutti, il mondo delle imprese e della ricerca, pubblica e privata, possano coerentemente disegnare un piano di investimenti ad alta intensità tecnologica e impatto ambientale ridotto, in grado di migliorare la performance del sistema Paese nel senso di una maggiore capacità produttiva in termini di ricchezza e, insieme, di decarbonizzazione;

12) ad adottare iniziative per incentivare la produzione e l'utilizzo di idrogeno da fonti rinnovabili unicamente per i settori specifici per i quali l'elettrificazione sia tecnicamente difficile o altamente inefficiente e per i quali il ricorso a questo vettore sia la soluzione economicamente ed ambientalmente più efficace (ad esempio settori «hard-to-abate» e trasporti pesanti);

13) ad adottare iniziative per trasferire gradualmente sulla fiscalità generale gli oneri generali di sistema presenti in bolletta, a cominciare dalle componenti relative ai bonus sociali riconosciuti alle famiglie disagiate;

14) ad adottare iniziative per programmare ed accompagnare la riconversione dell'industria automobilistica e i settori produttivi ad essa collegati tramite massicci investimenti per lo sviluppo di una filiera nazionale di veicoli elettrici, riqualificando e aggiornando, al contempo, le competenze dei lavoratori del settore, al fine di rendere il comparto maggiormente competitivo a livello internazionale nel medio e lungo periodo.
(1-00565) «Davide Crippa, Sut, Maraia, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Licatini, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Zolezzi, Alemanno, Carabetta, Chiazzese, Fraccaro, Giarrizzo, Masi, Orrico, Palmisano, Perconti, Scanu».

(14 dicembre 2021)

MOZIONI IN MATERIA DI INFRASTRUTTURE DIGITALI EFFICIENTI E SICURE PER LA CONSERVAZIONE E L'UTILIZZO DEI DATI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia – allineata con il resto dei Paesi europei – ha avviato già da tempo un processo di trasformazione e innovazione dei servizi della pubblica amministrazione attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali, spesso però fornite da operatori terzi i quali, mettendo a disposizione le loro infrastrutture, diventano indirettamente detentori di dati e informazioni di esclusivo appannaggio delle amministrazioni interessate;

    la costruzione di un e-government «autosufficiente», che veda quale obiettivo principale l'accelerazione dei processi di informatizzazione della pubblica amministrazione, in linea con i principi previsti dall'Agenda digitale sia europea che italiana, dalle Comunicazioni della Commissione europea del 26 settembre 2003 e del 19 aprile 2016, nonché dal Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2020-2022, anche mediante la definizione di un sistema pubblico autonomo nello sviluppo e nell'impiego di tecnologie emergenti, rappresenta un passo fondamentale nella creazione di un più efficiente apparato amministrativo, volto a meglio coniugare l'acquisizione di nuove competenze digitali, con la messa a punto di processi di rafforzamento ed efficientamento dell'azione amministrativa;

    in tale contesto, uno degli aspetti più complessi della trasformazione digitale della pubblica amministrazione è dato certamente dalla gestione della vasta e articolata mole di dati che le pubbliche amministrazioni raccolgono e detengono, troppo spesso non ancora in formato digitale;

    questa può essere definita come un vero e proprio «patrimonio informativo pubblico», composto da diverse tipologie di informazioni che necessitano di essere collocate all'interno di una strategia complessiva mirata alla loro condivisione, valorizzazione e diffusione tra le amministrazioni pubbliche, siano esse centrali o periferiche;

    per realizzare i suddetti obiettivi è necessario che si ceda il passo nella pubblica amministrazione al progresso delle Information and communication technologies (Ict), mediante un approccio istituzionale connotato da modalità di gestione più flessibili ed efficaci rispetto al passato;

    il ricorso alle Ict nel settore pubblico può infatti agevolare e rendere più efficiente l'attività della pubblica amministrazione e l'interscambio di dati tra le sue articolazioni. Difatti, la diffusa mancanza di interoperabilità tra le varie banche dati della pubblica amministrazione, da intendersi come la capacità delle singole componenti del sistema pubblica amministrazione di fare rete tra loro e dialogare in forma automatica, scambiando informazioni e condividendo risorse, provoca un rallentamento notevole nella messa in atto dell'azione amministrativa, nonché un aggravio inutile dei costi che gravano sul bilancio pubblico, arrivando cioè a determinare inefficacia e inefficienza della stessa;

    allo scopo di evitare il protrarsi di questa situazione, è necessaria la creazione di un sistema di infrastrutture di in cloud computing per la raccolta e gestione centralizzata dei dati delle pubbliche amministrazioni, che consenta, mediante l'implementazione delle più moderne tecnologie nel settore pubblico – nel rispetto dei principi della trasparenza, efficienza e tutela dei dati personali, così come richiamati dalla normativa europea e nazionale –, di raccogliere, archiviare, elaborare e trasmettere i dati in possesso delle amministrazioni attraverso un cambio di paradigma basato sullo sviluppo di innovative procedure che le tecnologie digitali consentono;

    il cloud computing, infatti, rappresenta il prerequisito per l'erogazione e la fruizione efficiente di processi e attività come l'archiviazione, l'elaborazione e la trasmissione di dati, mediante la presenza di servizi diversificati e integrati tra loro, quali i cosiddetti IaaS (Infrastructure as a Service), PaaS (Platform as a Service) e SaaS (Service as a Service), ove la disponibilità dei dati è fornita on demand attraverso la rete telematica internet, a partire da un insieme di risorse preesistenti e configurabili;

    sul mercato, esistono numerosi operatori che già permettono ad amministrazioni e aziende, a costi contenuti, di accedere a simili infrastrutture It, prescindendo dal possesso delle strutture a cui vengono materialmente trasferiti i dati. Ciononostante, non può tralasciarsi la necessità, per la pubblica amministrazione, sia di acquisire maggiori competenze in termini di capacità di gestione diretta di siffatte infrastrutture, che di relazione con i principali player attivi nell'offerta di tale categoria tecnologica. Tali circostanze, inoltre, si sommano a dubbi legati alla sicurezza, alla compliance, alla localizzazione e alla proprietà dei dati, oltre a non lasciare indenne l'amministrazione che si volesse avvalere di tali servizi da eventuali ulteriori rischi quali il «vendor lock-in» – ossia la creazione di un rapporto di dipendenza col fornitore del servizio – o il pericolo che fornitori e/o operatori terzi acquisiscano e usino impropriamente dati pubblici. Infine, a fronte dei citati rischi, perdura l'assenza di una reale garanzia in termini di incremento dell'affidabilità dei sistemi, qualità dei servizi erogati e risparmio di spesa;

    pertanto, solo mediante la creazione di un sistema infrastrutturale cloud di proprietà totalmente pubblica, la cui gestione venga affidata ad un ente pubblico dedicato e/o ad un'azienda pubblica dotata di personale altamente qualificato, sarà possibile far sì che le amministrazioni pubbliche non siano costrette ad avvalersi di fornitori privati per la fruizione di servizi di cloud storaging. Ciò, inoltre, permetterà di innescare sinergie virtuose capaci di coniugare, al contempo, una maggiore efficienza dell'azione pubblica con elevati standard di sicurezza e protezione, così come richiesti dal regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679;

    il «Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021» ha previsto il censimento del patrimonio Ict delle pubbliche amministrazioni e la procedura di qualificazione dei poli strategici nazionali (Psn). Secondo la circolare n. 1 del 14 giugno 2019 dell'Agenzia per l'Italia digitale per polo strategico nazionale si intende un soggetto titolare dell'insieme di infrastrutture It (centralizzate o distribuite), ad alta disponibilità, di proprietà pubblica, eletto a polo strategico nazionale dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e qualificato da Agid ad entrare ad altre amministrazioni, in maniera continuativa e sistematica, servizi infrastrutturali on-demand, servizi di disaster recovery e business continuity, servizi di gestione della sicurezza It ed assistenza ai fruitori dei servizi erogati. Sulla base dei risultati ottenuti a seguito del censimento dei data center italiani, è emerso che su 1.252 data center censiti, appartenenti a pubbliche amministrazioni centrali e locali, ad aziende sanitarie locali e a università sono solo 35 le strutture candidabili a polo strategico nazionale, 27 sono i data center classificati nel gruppo A ovvero con carenze strutturali o organizzative considerate minori e i restanti 1.190 sono stati classificati nel gruppo B, ossia come infrastrutture che non garantiscono requisiti minimi di affidabilità e sicurezza dal punto di vista infrastrutturale e/o organizzativo o non garantiscono la continuità dei servizi o non rispettano i requisiti per essere classificati nelle due precedenti categorie;

    il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha previsto disposizioni dirette a promuovere la realizzazione di un cloud nazionale. In particolare, l'articolo 35 stabilisce che, al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni, garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali, la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei centri per l'elaborazione delle informazioni (ced) destinata a tutte le pubbliche amministrazioni;

    con riferimento al rafforzamento della digitalizzazione della pubblica amministrazione, il Recovery Plan propone l'obiettivo di razionalizzare e consolidare le infrastrutture digitali esistenti della pubblica amministrazione, promuovendo la diffusione del cloud computing e rafforzando la cybersicurezza, con particolare attenzione all'armonizzazione e all'interoperabilità delle piattaforme e dei servizi di dati. Nello specifico al fine di dotare la pubblica amministrazione di infrastrutture affidabili e di accompagnare le amministrazioni centrali verso una nuova logica di conservazione e utilizzo dei dati e di fornitura di servizi, si prevede l'attuazione di un sistema cloud efficiente e sicuro. L'obiettivo dell'investimento è, dunque, lo sviluppo sul territorio nazionale di un'infrastruttura affidabile, sicura, efficiente sotto il profilo energetico ed economicamente sostenibile per ospitare i sistemi e i dati della pubblica amministrazione,

impegna il Governo

1) compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, ad adoperarsi affinché venga creato un sistema di raccolta, conservazione e scambio dei dati della pubblica amministrazione, in precedenza classificati meticolosamente in base alla rilevanza e al livello di sicurezza, mediante lo sviluppo di infrastrutture e sistemi di cloud computing di unica proprietà dello Stato, valutando di affidarne la gestione ad un ente pubblico e/o ad un'azienda pubblica, che ne garantisca la sicurezza, la consistenza, l'affidabilità e l'efficienza.
(1-00424) (Nuova formulazione) «Giarrizzo, Elisa Tripodi, Alaimo, Luciano Cantone, Casa, Scerra, Sodano, Sut, Scanu, D'Orso, Saitta, Rizzo, Penna, Berti, Aresta, Brescia, Maurizio Cattoi, Masi, Alemanno».

(24 febbraio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la sovranità digitale è uno dei temi chiave per affrontare le sfide della contemporaneità ed assicurare tutela e protezione ai dati dei cittadini; ne è testimonianza l'insistenza con cui la Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen indica nella sovranità digitale dell'Unione europea uno dei cardini per la difesa della competizione e degli interessi dei consumatori;

    ovunque si è affermata una compiuta consapevolezza sul ruolo e sul valore dei dati prodotti dalle pubbliche amministrazioni e sulle ragioni per le quali un loro uso improprio può determinare perdita di autonomia, sorveglianza, se non addirittura dominio da parte di interessi economici multinazionali o comunque stranieri;

    l'Europa, in considerazione dell'assenza di grandi operatori di cloud continentali, ha adottato politiche di sviluppo e di rafforzamento del cloud europeo, puntando sulla valorizzazione delle aziende del vecchio Continente;

    le legislazioni di alcuni Paesi extraeuropei prevedono l'obbligo per le loro società nazionali operanti nel mondo di garantire l'accesso alle proprie autorità nazionali per ragioni di sicurezza o di interesse nazionale, come nel caso del «Cloud Act» approvato dal Congresso americano nel febbraio 2018, nonché del Fisa Section 702 per quanto riguarda le attività di intelligence;

    in considerazione di tali legislazioni, alcuni Paesi hanno immediatamente aggiornato le proprie normative sul cloud, come ha fatto la Francia a partire dal maggio 2018, a tutela dell'interesse nazionale; in particolare, la Francia sta attualmente rivedendo i requisiti minimi di sicurezza giuridica richiesti per i cloud provider della pubblica amministrazione francese;

    l'Italia è in ritardo decisionale rispetto agli altri Paesi europei e ad altri Paesi avanzati esterni all'Unione europea; alcune amministrazioni e alcuni enti si sono dotati di infrastrutture cloud nazionali dedicate alla raccolta, custodia e trattamento dei dati in assenza di un piano nazionale;

    la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, secondo comma, lettera r), che è attribuita allo Stato legislazione esclusiva sul «(...) coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale (...)», e indica pertanto il contesto di obbligo normativo per la realizzazione del cloud nazionale per le pubbliche amministrazioni nelle mani dello Stato anche al fine di tutelare e proteggere i dati dei cittadini;

    i dati disponibili richiamano un'intensificazione degli attacchi informatici sia in termini qualitativi che quantitativi, complice il contesto della pandemia che ha spinto organizzazioni e professionisti a un rapido ricorso alla digitalizzazione;

    nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), assumono rilevanza strategica gli investimenti e le riforme programmate per la digitalizzazione della pubblica amministrazione. In particolare, risultano stanziati 900 milioni di euro a supporto della realizzazione dell'infrastruttura cloud e 1 miliardo di euro per la migrazione dei dati dai data center obsoleti alle nuove strutture;

    il meccanismo di gara messo in campo dal Governo per la realizzazione del Polo strategico nazionale (Psn) seguirà lo schema del partenariato pubblico-privato, attraverso il coinvolgimento di società private di cui saranno in una prima fase valutate comparativamente le proposte, individuando il progetto maggiormente rispondente alle esigenze definite dal Governo, e in una seconda fase di messa a bando della proposta che verrà ritenuta più in linea con le esigenze nazionali;

    stando a quanto annunciato dal Governo, entro i primi giorni del 2022 il Governo intende pubblicare il bando di gara per l'assegnazione del Polo strategico nazionale (Psn) ed entro la fine del 2022 prevede il collaudo dell'infrastruttura, con l'obiettivo di arrivare tra la fine del 2022 e il 2025 al completamento della migrazione dei dati delle pubbliche amministrazioni;

    risulta che uno dei componenti della cordata, e cioè Tim, operi nel settore cloud in partnership e con la tecnologia fornita da Google Inc, operatore soggetto alla normativa extraterritoriale Usa del Cloud Act sopra richiamata;

    alla luce dell'estrema rilevanza per la tutela della sovranità nazionale, Fratelli d'Italia sta seguendo con estrema attenzione gli sviluppi della costruzione dell'assetto della futura infrastruttura cloud delle pubbliche amministrazioni nazionali;

    la procedura per la realizzazione del Polo strategico nazionale già in corso presenta diverse criticità, a partire da:

     a) la modalità con cui si è costruita la cordata principale (Cassa depositi e prestiti, Sogei, Leonardo e Tim), consentendo a Cassa depositi e prestiti di comportarsi come un soggetto di mercato alla ricerca dei propri partner, mentre le partnership pubblico-privato prevedono la presentazione di proposte progettuali da parte di sole imprese private, cui si potranno affiancare – solo in un secondo momento – i soggetti pubblici che per la loro natura dovranno essere equidistanti dai soggetti di mercato. Al contrario, da quanto si è letto con insistenza sulla stampa, addirittura è stato chiesto a soggetti pubblici (Poligrafico e Zecca dello Stato, Inps, Inail) di farsi da parte per non indebolire la cordata partecipata da Cassa depositi e prestiti;

     b) la presenza, in una delle cordate, di Sogei, società in house del Ministero dell'economia e delle finanze, che era già Polo strategico nazionale ai sensi dell'articolo 33-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, e lo è stato fino a poche settimane fa ovvero fino all'approvazione del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152 (cosiddetto decreto-legge Pnrr), con il quale il Governo, all'articolo 7, comma 3, ha revocato tale status di Polo strategico nazionale alla stessa Sogei. Quasi contemporaneamente Sogei diventa parte attiva in un'aggregazione che concorre all'assegnazione di ingenti investimenti pubblici per la realizzazione, guarda a caso, del Polo strategico nazionale;

     c) con tale intervento il Governo intenderebbe far venir meno, da un punto di vista meramente formale, lo status di Polo strategico nazionale di Sogei, per consentirgli di partecipare all'aggregazione di imprese pubblico-privato di cui sopra; ma l'aver cancellato con un colpo di spugna quello status di Sogei quale Polo strategico nazionale pone la stessa Sogei nella condizione di non poter operare in questo momento (e con essa tutte le altre agenzie del gruppo, dalle Dogane alle Entrate e Riscossioni) perché privo di quello status di Polo strategico nazionale necessario per poter gestire con ruolo tutti i dati strategici degli italiani che Sogei tratta e custodisce;

    risulta analogamente anomala la presenza nell'ambito del primo raggruppamento per il Polo strategico nazionale, come si è visto, anche di un altro soggetto pubblico quale Cassa depositi e prestiti, che come noto detiene una partecipazione nella stessa Tim, avendone acquistato, con il risparmio postale degli italiani, una quota azionaria, risultando così esposta oggi ad un'importante minusvalenza e facendo sorgere il dubbio che l'assegnazione della commessa relativa al cloud possa essere usata come pretesto per fare lievitare il titolo di Tim (come è peraltro accaduto più volte con il silenzio della Consob);

    la presenza di Tim in una cordata precostituita con forte partecipazione istituzionale come quella che è stata prefigurata, sembra giustificata come partecipazione industriale determinata dalle competenze di quell'azienda in ambito cloud, mentre è a tutti noto che le competenze di Tim nel cloud sono frutto di un accordo strategico tra Tim stessa e Google, che è divenuta quindi la factory cloud di Tim; questo vuol dire che in caso di assegnazione impropria ad una siffatta cordata, i dati degli italiani sarebbero presi in custodia da Google, una società americana esposta a tutti i rischi del «Cloud Act», la legge approvata dal Congresso americano e già citata come uno dei fattori di maggior rischio per la sovranità digitale del Paese;

    notizie di stampa riportano inoltre che la procura di Roma avrebbe aperto un fascicolo sul progetto del Polo strategico nazionale, a seguito di presunte pressioni sul Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti dell'Istituto Poligrafico al fine di scoraggiare la partecipazione di altri soggetti pubblici al bando per la realizzazione dell'infrastruttura cloud nazionale;

    la strategia cloud nazionale, presentata nel settembre 2021, per garantire la sicurezza giuridica dei dati strategici della pubblica amministrazione, fa perno su una coppia di strumenti, definiti rispettivamente come «doppia chiave crittografica» e «licenza esclusiva di tecnologia»;

    autorevoli esperti hanno sollevato dubbi sugli effetti di tali soluzioni e non esiste attualmente un benchmark internazionale per verificarne l'efficacia pratica come strumenti di difesa adeguati contro le normative extraterritoriali di Paesi terzi all'Unione europea che, come nel caso del «Cloud Act», consentono ad amministrazioni di altri Paesi extraeuropei di impossessarsi dei nostri dati nazionali,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte ad assicurare la chiarezza delle regole, la parità delle condizioni competitive per il mercato e la massima trasparenza nella gestione della procedura di gara per la realizzazione del Polo strategico nazionale;

2) a chiarire in che modo intenda affrontare il nodo del «Cloud Act» americano e tutti i suoi effetti negativi, per assicurare riservatezza e sicurezza ai dati dei cittadini italiani custoditi presso la pubblica amministrazione;

3) a sospendere le procedure in corso fino al momento in cui saranno chiarite le criticità esistenti e corrette le attuali anomalie della procedura di gara, a partire dalla correzione del ruolo di Sogei, escludendone la partecipazione in qualità di soggetto partecipante a uno dei raggruppamenti in gara e affidando alla società un ruolo esecutivo, successivo all'aggiudicazione della gara, a fianco del raggruppamento che risulterà vincitore;

4) a chiarire cosa intenda fare delle esperienze cloud che l'Italia ha già maturato a livello nazionale e locale per la gestione interna delle infrastrutture dati con particolare riferimento alle aziende italiane di cloud, alle società in house regionali, che custodiscono tutti i dati sanitari dei cittadini italiani, alle università che svolgono intensa attività di ricerca per sviluppare nuove soluzioni in ambito cloud computing ed edge computing;

5) a fornire chiarimenti in merito al ruolo affidato alla società Difesa servizi spa, società in house del Ministero della difesa, precisando se questa avrà un ruolo effettivo nella fase di predisposizione e aggiudicazione del bando o se invece avrà una funzione meramente notarile e, infine, come potrà eventualmente svolgere il ruolo assegnatole, considerando che potrebbe trovarsi nella posizione di conflitto di interessi di chi sceglie un assegnatario di un servizio per il quale potrebbe successivamente rivestire il ruolo di cliente;

6) a fornire, nelle competenti sedi parlamentari, ogni utile elemento su queste tematiche prima di procedere con la pubblicazione del bando e proseguire le procedure di gara per la realizzazione del Polo strategico nazionale.
(1-00466) (Seconda ulteriore nuova formulazione) «Lollobrigida, Meloni, Butti, Mollicone, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Deidda, Delmastro Delle Vedove, De Toma, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(19 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Agenzia per l'Italia digitale definisce il cloud come «un modello di infrastrutture informatiche che consente di disporre, tramite internet, di un insieme di risorse di calcolo (ad esempio reti, server, storage, applicazioni e servizi) che possono essere rapidamente erogate come un servizio. Questo modello consente di semplificare drasticamente la gestione dei sistemi informativi, trasformando le infrastrutture fisiche in servizi virtuali fruibili in base al consumo di risorse»;

    in Italia i servizi cloud si sono diffusi in tempi abbastanza recenti. La diffusione, all'inizio, è stata condizionata da vari fattori, quali, ad esempio, la dimensione delle aziende e le loro caratteristiche di crescita, la necessità o meno di disporre di dati distribuiti sul territorio, nonché la disponibilità di capacità informatiche interne. Il mercato è però ora in forte crescita, in parte anche in virtù della formidabile spinta venuta, nel 2020, dalla situazione di emergenza scaturita dalla pandemia da COVID-19, che ha richiesto ad aziende e collettività di riorganizzare in modalità «agile» attività e processi. Alla fine del 2020, il 59 per cento delle imprese italiane faceva uso di servizi di cloud computing;

    secondo le stime dell'osservatorio cloud del Politecnico di Milano, nel 2020 il mercato cloud italiano ha raggiunto i 3,34 miliardi di euro, in crescita del 21 per cento rispetto al consuntivo del 2019, pari a 2,77 miliardi di euro. In termini di spesa assoluta i primi tre settori merceologici per rilevanza sono il manifatturiero (24 per cento), il settore bancario (21 per cento) ed il telco/media (15 per cento);

    secondo dati del Ministero per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, il 60 per cento del mercato italiano del cloud è fornito da operatori non europei;

    attualmente, il mercato mondiale dei principali fornitori di infrastrutture cloud è dominato da cinque gruppi societari, quattro dei quali (Amazon, Microsoft, Google, Ibm) hanno la sede principale negli Stati Uniti, il quinto, Alibaba, in Cina;

    la spesa aziendale per le infrastrutture cloud sta crescendo rapidamente e gli esperti si attendono che supererà quella per le infrastrutture di information technology tradizionali entro il 2022;

    il potenziamento del cloud computing occupa quindi il ruolo di tematica strategica per l'immediato futuro. L'obiettivo è quello di realizzare un affrancamento dalle soluzioni che oggi poggiano quasi integralmente su infrastrutture messe a disposizione da fornitori internazionali;

    in un'epoca di costante dematerializzazione dei beni e dei servizi, i dati rivestono un valore fondamentale per individui ed imprese, un valore che può essere economico o semplicemente intrinseco, sia che siano personali o non personali (ad esempio: quelli aziendali);

    affidare questi dati ad un cloud provider significa affidare il proprio universo, sia personale che professionale, ad un soggetto terzo;

    occorre anche considerare la nazionalità del cloud provider, poiché questa può comportare la giurisdizione di Paesi terzi e non europei che possono ritenersi autorizzati ad intervenire sulle proprie aziende, anche con riferimento a dati di cittadini europei da esse custoditi in server localizzati in Europa; pertanto, la collocazione fisica dei server non attenua le cogenze derivanti dalla nazionalità del cloud provider. La fattispecie maggiormente diffusa, quella cioè del cloud provider di nazionalità statunitense, richiede di valutare l'applicabilità della legislazione americana e, in particolare, il cosiddetto «Cloud Act», che può variare a seconda degli accordi assunti con i vari Stati europei. Con altre nazionalità e con Paesi la cui normativa appare molto distante da quella europea, ad esempio la Cina, come altri Paesi dell'Asia, il caso appare ancora più complesso e delicato, per cui la raggiungibilità dei dati affidati in cloud deve essere attentamente valutata;

    la preliminare valutazione della normativa e della giurisdizione applicabili costituisce dunque un passaggio necessario ed irrinunciabile, accanto alle considerazioni economiche e tecnologiche. Le incertezze e i rischi risultanti da tale valutazione possono peraltro essere compensati dalla predisposizione di modelli contrattuali e politiche che disciplinino in anticipo ed in dettaglio il comportamento che il cloud provider deve tenere nel caso di provvedimenti di autorità di Paesi terzi, con riferimento all'accessibilità e alla conservazione dei dati;

    la strategia per la riorganizzazione delle infrastrutture digitali del Dipartimento per la trasformazione digitale, in accordo con la strategia europea, rappresenta il fondamento per razionalizzare le risorse, rendere più moderni i servizi pubblici e mettere in sicurezza i dati;

    la strategia opera una distinzione fondamentale tra: infrastrutture che gestiscono servizi strategici, ovvero un ridotto numero di asset tecnologici (server, connettività, reti e altro) che abilitano funzioni essenziali del Paese, come ad esempio la mobilità, l'energia, le telecomunicazioni; tutte le altre infrastrutture gestite dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali che gestiscono la stragrande maggioranza dei servizi, erogati al cittadino o interni agli enti che permettono il funzionamento di servizi comuni;

    il piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, adottato nell'ambito della «strategia per la crescita digitale del Paese», ha previsto una strategia per l'adozione del cloud computing nella pubblica amministrazione che si articola attraverso tre elementi principali:

     a) il principio cloud first secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono, in via prioritaria, adottare il paradigma cloud (in particolare i servizi SaaS) prima di qualsiasi altra opzione tecnologica tradizionale, normalmente basata su housing o hosting;

     b) il modello cloud della pubblica amministrazione, cioè il modello strategico che si compone di infrastrutture e servizi qualificati dall'Agenzia per l'Italia digitale sulla base di un insieme di requisiti volti a garantire elevati standard di qualità e sicurezza per la pubblica amministrazione. In funzione di questo modello è stata creata un'apposita piattaforma, il Cloud marketplace dell'Agenzia per l'Italia digitale, che consente di visualizzare la scheda di ogni servizio mettendo in evidenza le caratteristiche, il costo e i livelli di servizio dichiarati dal fornitore. Le pubbliche amministrazioni possono così confrontare servizi analoghi e decidere, in base alle loro esigenze, le soluzioni più adatte;

    il programma di abilitazione al cloud (cloud enablement program), vale a dire l'insieme di attività, risorse, metodologie da mettere in campo per rendere le pubbliche amministrazioni capaci di migrare e mantenere in efficienza i propri servizi informatici (infrastrutture e applicazioni) all'interno del modello cloud della pubblica amministrazione;

    a decorrere dal 1° aprile 2019, le amministrazioni pubbliche possono acquisire esclusivamente servizi IaaS, PaaS e SaaS qualificati dall'Agenzia per l'Italia digitale e pubblicati nel catalogo dei servizi cloud per la pubblica amministrazione qualificati;

    grazie al censimento dei centri di elaborazione dati, trentacinque sono stati individuati come eleggibili a poli strategici nazionali; sarebbe quindi sufficiente federarli e convogliare gli investimenti sull'interoperabilità per ottenere i migliori risultati e salvaguardare gli investimenti che i territori hanno fatto sulle proprie società in house;

    è ormai indifferibile la necessità di provvedere alla creazione di una piattaforma nazionale di cloud storaging, nella quale far confluire tutti i dati e le informazioni disponibili e quotidianamente impiegati dalle amministrazioni pubbliche;

    il fine è duplice: da una parte, evitare che le medesime amministrazioni si rivolgano a fornitori privati di servizi di cloud storaging, evitando così il rischio che gli stessi soggetti privati possano detenere ed eventualmente utilizzare per fini diversi una grande mole di dati (sensibili e no) e, dall'altra, garantire la massima interoperabilità tra le amministrazioni pubbliche nell'accesso e nell'impiego dei dati riconducibili ai cittadini italiani per fini espressamente connessi alle loro attività istituzionali,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta all'istituzione di un sistema telematico nazionale ad architettura distribuita per l'archiviazione, l'elaborazione e la trasmissione di dati disponibili in remoto a utenti predeterminati e riconoscibili attraverso specifiche caratteristiche, quale una piattaforma basata su più server reali tra loro collegati in cluster, fisicamente collocati presso uno o più data center;

2) ad assumere iniziative di carattere normativo volte ad ampliare le competenze attribuite all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni includendovi: il controllo del corretto funzionamento del sistema cloud e la legittima fruizione dei dati archiviati da parte dei soggetti ad essa titolati; la vigilanza sul rispetto dei protocolli di sicurezza da parte delle amministrazioni pubbliche; la segnalazione alle autorità competenti di eventuali illeciti civili, penali o amministrativi commessi dalle amministrazioni pubbliche, dai privati cittadini e dagli enti commerciali e non commerciali nell'accesso e nell'utilizzo del sistema cloud;

3) ad adottare ogni opportuna iniziativa per rafforzare il ruolo dell'Italia sul fronte dell'intelligenza artificiale per quanto riguarda l'offerta formativa delle università italiane e le attività di ricerca, anche in sinergia con attori privati;

4) ad adottare ogni opportuna iniziativa per promuovere attività di formazione, ricerca e sviluppo nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca italiani relativamente a tali tecnologie e a sostenerne le applicazioni rispetto alla produzione industriale e ai servizi civili in imprese consolidate e start up innovative per creare nuovi posti di lavoro per le nuove generazioni.
(1-00467) «Capitanio, Donina, Fogliani, Furgiuele, Giacometti, Maccanti, Rixi, Tombolato, Zanella, Zordan».

(21 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la trasformazione digitale è uno dei driver strategici per lo sviluppo delle moderne economie ed è pertanto essenziale investire nell'evoluzione dei servizi in ottica cloud e di data management;

    per concretizzare l'evoluzione digitale delle attività e dei servizi della pubblica amministrazione italiana è necessario definire un modello operativo di riferimento che assicuri rapidamente l'efficientamento e la messa in sicurezza dei data center della pubblica amministrazione, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio di dati della pubblica amministrazione, la razionalizzazione di costi per lo sviluppo e la manutenzione dei sistemi Ict delle pubbliche amministrazioni;

    secondo il censimento dei data center nazionali curato dall'Agenzia per l'Italia digitale, la stragrande maggioranza dei centri elaborazione dati della pubblica amministrazione non forniscono idonee garanzie di sicurezza, efficienza ed affidabilità;

    l'Italia ha avviato un processo di trasformazione e innovazione dei servizi della pubblica amministrazione attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali, anche alla luce delle recenti modifiche al codice dell'amministrazione digitale operate dal decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che ha previsto disposizioni dirette a promuovere la realizzazione di un cloud nazionale;

    in particolare, l'articolo 35 stabilisce che, al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni, garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali, la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni destinata a tutte le pubbliche amministrazioni;

    nell'ambito della missione 1, componente 1, «Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA», del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 12 gennaio 2021 sono descritti interventi finalizzati a favorire l'adozione e lo sviluppo delle tecnologie cloud nel settore pubblico e, al contempo, a rimuovere gli ostacoli all'utilizzo del cloud da parte della pubblica amministrazione;

    in questo ambito, si prevede lo sviluppo di un cloud nazionale e l'effettiva interoperabilità delle banche dati delle pubbliche amministrazioni, in parallelo e in sinergia con il progetto europeo Gaia-X, dove l'Italia intende avere un ruolo di primo piano. L'investimento mira a favorire l'adozione dei servizi cloud secondo quanto previsto nella strategia cloud first del piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, attraverso lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei data center di tipo B della pubblica amministrazione centrale e il rafforzamento in chiave green dei data center di tipo A candidabili a poli strategici nazionali in base al censimento dell'Agenzia per l'Italia digitale. Si prevede inoltre la realizzazione di un cloud enablement program per favorire l'aggregazione e la migrazione delle pubbliche amministrazioni centrali e locali verso soluzioni cloud e fornire alle stesse pubbliche amministrazioni procedure, metodologie e strumenti di supporto utili a questa transizione;

    come affermato dal Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale nel corso di un'audizione davanti alla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, l'obiettivo del Governo è di assicurare che le amministrazioni vengano aiutate a migrare in cloud diversi a seconda del diverso livello di sensibilità dei dati dei quali dispongono e questo implicherà classificare innanzitutto le tipologie di dati in ultrasensibili, sensibili e ordinari, per garantire scelte che tutelino in maniera appropriata cittadini e amministrazioni, come già fatto da molti altri Paesi. In tal senso, per i dati più sensibili si intende creare un polo strategico nazionale a controllo pubblico, localizzato sul suolo italiano e con garanzie, anche giurisdizionali, elevate. Il polo strategico permetterà di razionalizzare e consolidare molti di quei centri che ad oggi non riescono a garantire standard di sicurezza adeguati, mentre per le tipologie di dati e applicazioni meno sensibili si prevede la possibilità per le amministrazioni di usufruire di efficienti cloud messi a disposizione da operatori di mercato,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per definire e attuare un modello di infrastrutture digitali di cloud per le pubbliche amministrazioni centrali e locali basato sulla complementarietà, in funzione della tipologia di dati e della loro rilevanza, tra un sistema di fornitori di servizi di mercato qualificati certificati e un polo strategico nazionale a controllo pubblico;

2) ad adoperarsi affinché la gestione del polo strategico nazionale sia affidata a uno o più soggetti pubblici che ne garantiscano la sicurezza, la consistenza, l'affidabilità e l'efficienza e, in tal modo, a favorire l'interoperabilità tra le banche dati delle pubbliche amministrazioni fruitrici dei servizi del suddetto polo strategico nazionale.
(1-00468) «Bruno Bossio, Serracchiani, Gariglio, Cantini, Delrio, Del Basso De Caro, De Luca, Madia, Morassut, Pizzetti, Andrea Romano».

(21 aprile 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    il codice dell'amministrazione digitale (Cad), istituito con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni ha stabilito i principi e le finalità che lo Stato, le regioni, gli enti locali, le società pubbliche e i gestori di servizi pubblici devono perseguire nel percorso di trasformazione digitale della pubblica amministrazione, per assicurare ai cittadini «la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale» (articolo 2);

    a tale scopo è stato istituito un ente ad hoc, l'AgID, che «promuove l'innovazione digitale nel Paese e l'utilizzo delle tecnologie digitali nell'organizzazione della pubblica amministrazione e nel rapporto tra questa, i cittadini e le imprese» (articolo 14-bis);

    il Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione è il documento di indirizzo strategico, redatto da AgID in collaborazione con il dipartimento per la trasformazione digitale, per guidare la transizione digitale del Paese, finalizzata a favorire lo sviluppo di una società digitale attraverso la digitalizzazione della pubblica amministrazione;

    i principi guida del Piano triennale 2020-2022 stabiliscono che il patrimonio informativo della pubblica amministrazione è un bene fondamentale per lo sviluppo del Paese e deve essere valorizzato e reso disponibile ai cittadini e alle imprese, in forma aperta e interoperabile; le pubbliche amministrazioni devono realizzare servizi primariamente digitali;

    l'infrastruttura digitale rappresenta un bene strategico per il Paese e necessita di un serio processo di implementazione e rafforzamento nell'ottica di costruire una rete unica, gestita e controllata totalmente dallo Stato;

    attualmente il processo di trasformazione digitale dei servizi della pubblica amministrazione vede ancora l'utilizzo di tecnologie e infrastrutture digitali fornite da operatori terzi, che sono detentori di dati e informazioni di esclusiva proprietà delle pubbliche amministrazioni. È necessario dunque che lo Stato costruisca e gestisca direttamente la propria infrastruttura digitale pubblica, unico modo per eliminare i rischi in termini di sicurezza, affidabilità, autonomia e proprietà dei dati. Al riguardo, il Cad sancisce che «al fine di favorire la digitalizzazione della pubblica amministrazione e garantire il necessario coordinamento sul piano tecnico delle varie iniziative di innovazione tecnologica, [...] progettano, realizzano e sviluppano i propri sistemi informatici e servizi digitali» (articolo 13-bis) e prevede «l'adozione di infrastrutture e standard che riducano i costi sostenuti dalle amministrazioni e migliorino i servizi erogati assicurando un adeguato livello di sicurezza informatica» (articolo 14);

    nella transizione digitale della pubblica amministrazione, l'aspetto forse più delicato e complesso è la gestione e condivisione dei dati. In questo contesto, le information communication technology possono svolgere un ruolo importante, snellendo le procedure e aiutando lo scambio di dati. Il problema è cruciale, perché la mancata interconnessione tra le diverse banche dati della pubblica amministrazione rende più lento e farraginoso l'iter burocratico delle pratiche amministrative, senza considerare il costo economico delle inefficienze e i disagi per i cittadini che devono presentare più volte documenti già consegnati ad una pubblica amministrazione;

    il Cad parla di database «di interesse nazionale» (articolo 60), cioè «l'insieme delle informazioni raccolte e gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenuto e la cui conoscenza è rilevante per lo svolgimento delle funzioni istituzionali delle altre pubbliche amministrazioni», che deve possedere «le caratteristiche minime di sicurezza, accessibilità e interoperabilità»;

    l'obiettivo del Piano triennale 2020-2022 è favorire la condivisione e il riutilizzo dei dati tra le pubbliche amministrazioni e il riutilizzo da parte di cittadini e imprese, aumentare la qualità dei dati e dei metadati e aumentare la consapevolezza sulle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico e su una moderna economia dei dati;

    l'importanza strategica del patrimonio informativo pubblico era già stata ribadita nell'articolo 50-quater, che ne prevede la promozione e la valorizzazione, sempre nell'ottica della disponibilità e accessibilità ma anche della massima protezione e sicurezza dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture delle pubbliche amministrazioni (articolo 51);

    per accelerare questo processo, è fondamentale avere un sistema di infrastrutture cloud computing al fine di una raccolta, elaborazione e gestione centralizzata dei dati e di una efficiente trasmissione e fruizione dei dati. Soltanto un sistema di infrastrutture cloud pubblico, a gestione totalmente pubblica e con personale qualificato, può emancipare il Paese dalla dipendenza nei confronti degli operatori di mercato e garantire la sicurezza e tutela dei dati personali dei cittadini, come previsto dal regolamento (UE) 679/2016 per la protezione dei dati;

    i principi guida del Piano triennale 2020-2022 stabiliscono che le pubbliche amministrazioni adottano primariamente il paradigma cloud per i loro servizi (cloud first) e devono prediligere l'utilizzo di software con codice sorgente aperto; nel caso di software sviluppato per loro conto, deve essere reso disponibile il codice sorgente (open source);

    un altro aspetto cruciale è la competenza digitale del personale della pubblica amministrazione. Per il colmare il gap digitale, l'articolo 13 del Cad prevede la formazione informatica dei dipendenti pubblici, stabilendo che le pubbliche amministrazioni attuino «politiche di reclutamento e formazione del personale finalizzate alla conoscenza e all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione [...] per la transizione alla modalità operativa digitale»;

    il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha apportato modifiche al Cad, stabilendo la realizzazione di un cloud pubblico nazionale. Nello specifico il Titolo III reca misure per il sostegno e la diffusione dell'amministrazione digitale: l'articolo 31 prevede di «semplificare e favorire l'offerta dei servizi in rete della pubblica amministrazione, il lavoro agile e l'uso delle tecnologie digitali»; l'articolo 34 prevede la realizzare della piattaforma digitale nazionale dati (Pdnd) per rendere possibile «l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici»; l'articolo 35 prevede che «al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni [...] garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali», il Governo promuove «lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED)»,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi per lo sviluppo di un cloud completamente pubblico, che preveda la proprietà degli impianti e la gestione degli stessi in mano a soggetti pubblici o a totale partecipazione pubblica;

2) a promuovere la massima fruibilità e condivisione del dato tra le varie pubbliche amministrazioni nell'ottica di erogare i migliori servizi al cittadino, sempre nel rispetto della trasparenza e della privacy e sulla base del principio di accessibilità e semplificazione burocratica;

3) ad investire nella formazione del personale delle pubbliche amministrazioni e ad assumere personale con competenze specifiche in ambito digitale.
(1-00479) «Giuliodori, Colletti, Massimo Enrico Baroni, Cabras, Corda, Forciniti, Maniero, Paxia, Paolo Nicolò Romano, Sapia, Spessotto, Testamento, Trano, Costanzo».

(4 maggio 2021)

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