TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 635 di Mercoledì 9 febbraio 2022

 
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MOZIONI IN MATERIA DI INVESTIMENTI PER PROGETTI
DI RIGENERAZIONE URBANA

   La Camera,

   premesso che:

    la rigenerazione urbana rappresenta la vera grande sfida per lo sviluppo ecosostenibile di tutto il territorio nazionale, in special modo per i piccoli e piccolissimi centri storici e borghi del nostro Paese;

    nel quadro generale del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il recupero e la rigenerazione di edifici e territori urbani, con particolare attenzione a periferie e aree interne del territorio italiano, vengono qualificati come obiettivi principali all'interno della Missione 5 «Inclusione e coesione», Componente 2 «Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore», Investimento 2.1 «Investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale», al fine di supportare l'inclusione soprattutto giovanile, nonché favorire la riduzione del degrado sociale e ambientale;

    tra gli interventi disposti negli ultimi anni in tema di riqualificazione urbana, si evidenzia che l'articolo 1, commi 42 e 43, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, ha previsto, per gli anni dal 2021 al 2034, l'assegnazione (per complessivi 8,5 miliardi di euro) di contributi ai comuni per investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale;

    in data 21 gennaio 2021, è stato emanato – in attuazione della sopracitata normativa primaria – il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale sono stati fissati i criteri per assegnare le sopramenzionate risorse prioritariamente ai comuni che presentano nel proprio territorio una maggiore densità demografica caratterizzata da condizioni di vulnerabilità sociale e materiale (in base all'indice di vulnerabilità sociale e materiale – Ivsm – calcolato dall'Istat), con conseguente più elevata manifestazione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, individuando quali destinatari delle medesime i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, non capoluogo di provincia nonché i comuni capoluogo di provincia o sede di città metropolitana;

    da ultimo, con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, il 30 dicembre 2021, sono stati individuati i comuni beneficiari delle risorse previste dalla sopracitata legge n. 160 del 2019, da destinare ad investimenti in progetti di rigenerazione urbana: in particolare, per gli anni 2021-2026 i contributi in questione, confluiti nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ammontano complessivamente a 3,4 miliardi di euro;

    il Gruppo della Lega, quale forza politica fortemente radicata sui territori e attenta alle esigenze dei medesimi, pur condividendo pienamente l'importanza di adottare misure volte a sostenere i progetti di rigenerazione urbana, aveva già in precedenza evidenziato le criticità relative al sopradescritto schema normativo: in data 29 aprile 2021, con atto di sindacato ispettivo n. 4-09139, veniva sollevato il tema del carattere fortemente escludente di tali disposizioni a svantaggio dei piccoli comuni, aventi una densità demografica inferiore a 15.000 abitanti e numericamente più rappresentativi sull'intero territorio nazionale, emergendone, in sede di risposta da parte del Governo, che per i medesimi erano previste solo altre linee di finanziamento non equivalenti;

    aggiungasi che, a seguito dell'approvazione – con il summenzionato decreto ministeriale del 30 dicembre 2021 – dell'elenco dei progetti beneficiari dei contributi per investimenti in opere di rigenerazione urbana, molte amministrazioni locali hanno riscontrato la mancata assegnazione delle risorse previste, pur rientrando tali progetti nella graduatoria di quelli ritenuti ammissibili, completi del target Pnrr di riferimento;

    secondo gli ultimi dati pubblicati on-line sul sito del Ministero dell'interno, su un totale di 2.418 progetti presentati e 2.325 opere ammesse, l'elenco di opere attualmente ammesse e finanziate si compone di 1.784 unità, per complessivi 483 enti locali beneficiari: su 541 progetti che sono stati ammessi ma non finanziati, è emerso che 210 risultano presentati da 53 comuni della regione Veneto, con una percentuale generale per tutti i territori del Settentrione pari al 93 per cento dei progetti esclusi;

    a tal proposito, il criterio adottato per l'assegnazione di tali contributi ai comuni, basato – come detto sopra – sull'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm), legato a parametri quali reddito pro capite, disoccupazione, disagio sociale, si è dimostrato alquanto anacronistico e inadeguato ai fini di un'equa ripartizione delle risorse disponibili su tutto il territorio nazionale, al netto di energie e risorse già investite per la progettazione da parte dei comuni stessi e con un'evidente disparità tra comuni del Nord e comuni del Mezzogiorno nell'assegnazione dei contributi previsti;

    come risulta, infatti, dall'articolo 5, comma 2, del summenzionato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, «Qualora l'entità delle richieste pervenute superi l'ammontare delle risorse disponibili, l'attribuzione è effettuata, tenendo conto della quota riferita alla progettazione esecutiva e alle opere, a favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM)»: si tratta, dunque, di un criterio suppletivo che interviene nel caso di insufficienza di risorse, privilegiando i territori che – in base ad un mero calcolo aritmetico – possiedono i più bassi livelli degli indicatori di riferimento, riportati nelle premesse del medesimo provvedimento;

    la creazione di opportunità di investimento su territorio per gli enti locali deve necessariamente passare per uno schema normativo basato su criteri idonei a garantire l'uguaglianza formale dei soggetti coinvolti, pur coesistendo aspetti di sostanziale diversità, tenuto conto dell'obiettivo finale rappresentato dalla crescita e dallo sviluppo di tutto il nostro Paese e, quindi, dall'interesse nazionale;

    con la recente approvazione della legge di bilancio per l'anno 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234) la tematica della rigenerazione urbana è stata nuovamente affrontata: l'articolo 1, commi 534-542, al fine di favorire gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale, ha previsto l'assegnazione ai comuni di piccole dimensioni di contributi per investimenti nel limite complessivo di 300 milioni di euro per l'anno 2022;

    tuttavia, anche le recenti disposizioni sopramenzionate presentano ancora alcuni limiti normativi: la possibilità di beneficiare da parte dei comuni di contributi per investimenti in progetti di rigenerazione urbana è riconosciuta soltanto ai comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti che, in forma associata, raggiungono una popolazione superiore a 15.000 abitanti, nonché ai comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, precisando che a questi ultimi possono essere attribuiti contributi, a valere sulle risorse stanziate dal comma 534 dell'articolo 1 della citata legge n. 234 del 2021, nel limite massimo della differenza tra gli importi previsti dall'articolo 2, comma 2, del sopracitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021 e le risorse attribuite dal predetto decreto del Ministero dell'interno;

    pertanto, occorre scongiurare una potenziale e totale mancanza di finanziamenti per alcuni comuni del nostro Paese con riferimento ai progetti di rigenerazione urbana, tale da precludere la possibilità di realizzare opere rilevanti per lo sviluppo di interi territori, tradendo così le attese di tantissime comunità locali, e ridelineare altresì il quadro normativo sopra descritto in maniera più equa per tutti i soggetti interessati anche da future occasioni di investimento,

impegna il Governo:

1) ad assumere tutte le iniziative di competenza al fine di integrare le risorse disponibili per investimenti in progetti di rigenerazione urbana con l'obiettivo di finanziare tutti i progetti ammissibili;

2) ad adottare iniziative per stabilire criteri differenti da quello relativo all'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) di cui in premessa per la ripartizione tra gli enti locali di ulteriori contributi previsti da successivi bandi che riguardano il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
(1-00569) «Molinari, Bitonci, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Capitanio, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Durigon, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Galli, Gastaldi, Gerardi, Germanà, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Mariani, Maturi, Micheli, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Panizzut, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Saltamartini, Scoma, Snider, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Zicchieri, Ziello, Zoffili, Zordan».

(10 gennaio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il Governo del territorio rappresenta un tema urgente e ormai non rinviabile per un sano ed equilibrato sviluppo del nostro Paese. L'uso delle risorse naturali – a partiti dal suolo – è sempre più al centro delle attenzioni dell'opinione pubblica e della sensibilità dei cittadini e rappresenta per il sistema economico-imprenditoriale e per le amministrazioni pubbliche un fattore decisivo e prioritario per favorire la crescita sociale, civile e produttiva dell'intera nazione;

    il contesto della pandemia ha fatto emergere, con maggiore evidenza, le criticità di interi territori di fronte alle grandi sfide poste dai cambiamenti climatici, dal dissesto idrogeologico, dall'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo, dal diffuso degrado del territorio, del paesaggio e dell'ecosistema;

    con il termine rigenerazione urbana si fa riferimento, in particolare, ai programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare e degli spazi su scala urbana volti a garantire tra l'altro la qualità dell'abitare sia dal punto di vista ambientale sia sociale, anche con riferimento alle aree urbane e alle periferie più degradate. Si tratta di interventi che, rivolgendosi al patrimonio edilizio, intendono porre attenzione altresì al tema della salvaguardia del territorio, dell'ambiente e del paesaggio; le politiche per la rigenerazione urbana sono connesse anche con il terna della riduzione del consumo di suolo, poiché mirano a recuperare il patrimonio edilizio esistente;

    con riferimento al quadro regolatorio in materia, per la complessità dell'argomento e per una serie di implicazioni politiche, storiche, culturali e istituzionali, la legislazione urbanistica italiana appare oggi caratterizzata da troppi elementi contraddittori, da un'eccessiva farraginosità e da incertezze di competenze e di attribuzioni. Anche per questo, negli ultimi anni, il governo del territorio ha progressivamente perduto solide basi legislative costringendo in molti casi la giustizia amministrativa nazionale – e talora europea – a intervenire per ricondurre in un campo di certezza normativa o addirittura di legittimità l'operato di numerose amministrazioni pubbliche e di operatori privati;

    la legge fondamentale di livello nazionale di governo del territorio – la legge n. 1150 del 1942 – ha subito nel tempo, comprensibilmente, integrazioni e modifiche tese ad aggiornarne la funzionalità e l'efficacia in relazione ai mutamenti intervenuti in ragione dello sviluppo economico e sociale del Paese. Si tratta quindi di una legge molto datata che rispondeva ad una, logica edilizia di tipo «espansivo» – da inquadrare storicamente nei decenni della crescita edilizia – rispetto ad un quadro attuale che intende favorire invece l'obiettivo della tutela ambientale, della riduzione del consumo del suolo con approcci rigenerativi, del contrasto al degrado;

    la fiscalità urbana rappresenta, poi, una chiave decisiva per favorire processi di rigenerazione urbana di «comparto» in grado di modificare sostanzialmente l'assetto dei tessuti urbani e favorire rinnovo edilizio, miglioramento delle reti dei servizi, sostenibilità. Anche in questo caso, la materia della contribuzione (regolata all'articolo 16 del Testo unico per l'edilizia, decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) non risponde più né ad un equilibrato rapporto tra interessi pubblici e privati, né ad un principio di incentivazione degli interventi di rigenerazione, ma si caratterizza per essere un generico tributo che non distingue tra interventi espansivi con consumo di suolo e interventi di rigenerazione o ristrutturazione edilizia;

    di primaria importanza risulta quindi la necessità di una profonda revisione ti tale normativa che, pur essendo stata per molti anni di grande modernità anche rispetto al panorama legislativo europeo, a distanza di oltre settanta anni essa fa oggi dell'Italia il fanalino di coda, tra i Paesi più avanzati, in questo campo;

    il Parlamento – dopo i tentativi delle scorse legislature – nell'attuale legislatura sta nuovamente affrontando il tema di una legge sulla rigenerazione urbana, operando nella Commissione competente al Senato, di cui si auspica una rapida approvazione;

    si rammenta, a tal proposito, che, con il decreto n. 441 del 2021, il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ha istituito la Commissione per la riforma della normativa nazionale in materia di pianificazione del territorio standard urbanistici e in materia edilizia con compito di provvedere alla elaborazione di uno o più schemi di provvedimento finalizzati alla riforma organica dei principi della legislazione statale in materia di pianificazione del territorio e standard urbanistici, nonché al riordino e alla modifica delle disposizioni contenute nel Testo unico dell'edilizia;

    gli interventi di rigenerazioni urbana costituiscono inoltre uno strumento molto importante anche per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalle nuove norme europee in materia di efficienza energetica degli edifici e, in tale contesto, risultano fondamentali gli incentivi fiscali legati al «Superbonus 110 per cento» – che, consentendo anche alla fascia di reddito medio-bassa di vedere efficientata la propria abitazione, permettono una diffusa riqualificazione energetica del patrimonio edilizio del Paese;

    si rileva, a tal proposito, che le disposizioni contenute nel decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 cosiddetto sostegni-ter) sulla cessione dei crediti d'imposta da agevolazioni edilizie rischiano di avere effetti negativi sulla ripresa economica, l'attività di molte imprese e il sistema creditizio. La misura, che si inserisce nel solco delle previsioni del decreto-legge n. 157 del 2021 (cosiddetto) Decreto anti-frodi), in materia di contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche, ha anche effetti retroattivi sui contratti già in essere e, dunque, potrebbe generare migliaia di contenziosi, bloccando interventi già avviati;

    se l'obiettivo della norma – che è quello di evitare il meccanismo dello scambio di fatture per lavori mai eseguiti – è giusto, la soluzione individuata è suscettibile (come rilevato dalla nota di lettura 286 del Servizio del bilancio del Senato) di ridurre in modo significativo – per la sua portata rispetto alla disciplina previgente – le concrete possibilità di accesso al finanziamento degli interventi agevolati, attraverso lo strumento delle cessioni del credito; la qual cosa potrebbe dar luogo a ricadute in ordine all'entità degli investimenti futuri nel settore;

    occorre pertanto individuare soluzioni idonee volte a scongiurare gli impatti negativi sul settore e sugli interventi da effettuare;

    il tema della rigenerazione urbana è quindi emerso, in modo diretto, in numerosi interventi legislativi di recente approvazione in materia di edilizia e di governo del territorio di cui si citano, non in modo esaustivo, le leggi di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018), 2020 (legge n. 160 del 2019) e 2021 (legge n. 178 del 2020), e le misure contenute in diversi decreti-legge, volte al rinnovo e all'introduzione di agevolazioni fiscali a favore del patrimonio immobiliare privato, nonché alla riqualificazione urbana, nonché le recenti modifiche del Testo unico dell'edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001);

    la Missione 5 del Piano nazionale di ripresa e resilienza destina all'ambito della rigenerazione urbana euro 9,02 miliardi. Si rammenta che, secondo, quanto espressamente indicato nel Pnrr, il Piano mette a disposizione del Sud un complesso di risorse pari a non meno del 40 per cento delle risorse territorializzabili del Pnrr (pari a circa 82 miliardi, incluso il Fondo complementare), per le otto regioni del Mezzogiorno, a fronte – si sottolinea nel Piano – del 34 per cento previsto dalla attuale normativa vigente in favore del Sud per la ripartizione degli investimenti ordinari destinati su tutto il territorio nazionale. Il Piano prevede, infatti, in aggiunta alle risorse europee, ulteriori 30,6 miliardi di risorse nazionali che confluiscono in un apposito Fondo complementare al Pnrr;

    l'articolo 1, commi 42 e successivi, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio per il 2020), ha previsto, per ciascuno degli anni dal 2021 al 2034, l'assegnazione ai comuni di contributi per investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale, nel limite complessivo di 150 milioni di euro per l'anno 2021, di 250 milioni di euro per l'anno 2022, di 550 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024 e di 700 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034;

    il successivo comma 42-bis, introdotto dall'articolo 20 del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, ha previsto l'integrazione delle predette risorse, relative agli anni dal 2021 al 2026, confluite nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, per un ammontare pari a 100 milioni di euro per l'anno 2022 e 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024;

    la cornice giuridica di riferimento per l'erogazione dei contributi agli enti locali per investimenti in progetti di rigenerazione urbana ha trovato attuazione con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze, dell'interno e delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, a seguito di un'intesa acquisita in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali con l'Anci il 26 novembre 2020;

    in quella sede – così ha riferito il Ministro dell'interno rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo al Senato (interrogazione n. 3-03007) – si è convenuto sulla necessità di introdurre, tra i criteri per la selezione dei progetti, quello che fa riferimento all'indice di vulnerabilità sociale e materiale definito dall'Istat. Si tratta di un criterio che trova applicazione quando, l'entità delle richieste pervenute supera l'ammontare delle risorse finanziarie disponibili e che deriva dalla necessità di riconoscere una preferenza alle realtà locali più svantaggiate, in coerenza con la finalità dell'intervento legislativo. Pertanto, il decreto di individuazione dei comuni risultati beneficiari è frutto dei criteri concertati in vista della distribuzione delle risorse;

    l'articolo 5, comma 2, di tale decreto stabilisce quindi che «qualora l'entità delle richieste pervenute superi l'ammontare delle risorse disponibili, l'attribuzione è effettuata, tenendo conto della quota riferita alla progettazione esecutiva e alle opere, a favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM)»;

    il decreto del capo del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno 30 dicembre 2021 ha approvato l'elenco dei progetti ammissibili relativi alle istanze validamente trasmesse dai comuni, la graduatoria dei progetti ammissibili per un ammontare complessivo di 4.277.384.625,56 euro dei comuni con un Ivsm più elevato, e l'elenco dei progetti beneficiari per un ammontare di progetti finanziati pari a 3.399.271.176,95 euro;

    numerosi comuni, a seguito della pubblicazione del decreto 30 dicembre 2021, hanno constatato il mancato mancato finanziamento dei progetti proposti, generando un diffuso e crescente malcontento tra i sindaci e le comunità locali a seguito della pubblicazione della graduatoria;

    l'Anci, a seguito della pubblicazione del decreto 30 dicembre 2021, ha diramato un comunicato con il quale, senza mettere in dubbio l'efficacia di una misura che si è caratterizzata per modalità agevoli di assegnazione dei fondi, ha ribadito la necessità di integrare le risorse, disponibili con un ulteriore stanziamento di circa 900 milioni di euro, al fine di finanziare tutti i progetti risultati ammissibili;

    il mancato finanziamento dei progetti di rigenerazione urbana risultati ammissibili precluderebbe la possibilità di realizzare opere rilevanti per lo sviluppo di interi territori, lasciando senza risposte le attese di tantissime comunità locali;

    sempre in risposta al citato atto di sindacato ispettivo è stato rammentato che, «dopo un primo intervento già effettuato con il decreto-legge n. 152 del 2021, che ha implementato nel quadro delle risorse del PNRR i fondi disponibili integrandoli di 200 milioni di euro per gli esercizi finanziari 2023 e 2024, ulteriori interventi sono stati disposti con la legge di bilancio 2022 per corrispondere a queste esigenze di ampliamento della platea dei beneficiari. Si è stabilito che i fondi, integrati per il corrente esercizio di ulteriori 300 milioni, possono essere assegnati anche ai progetti presentati dai Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti che in forma associata superano detta soglia. Potranno concorrere a questo nuovo finanziamento anche quei Comuni che non sono risultati beneficiari del finanziamento proprio per insufficienza delle risorse. La legge di bilancio 2022 ha previsto che, a decorrere dal 2023, le Regioni potranno utilizzare le risorse già a esse assegnate per gli investimenti in tema di rigenerazione urbana, prevista dalla legge di bilancio 2019, proprio allo scopo di realizzare i progetti ricadenti nel proprio territorio ritenuti ammissibili. Tuttavia, ben consapevoli della delicatezza e della rilevanza della tematica e in coerenza con un apposito ordine del giorno approvato in sede di discussione della legge di bilancio 2022, assicuro che il Governo è impegnato nell'individuazione di ogni utile soluzione per andare incontro alle esigenze rappresentate in questa sede»;

    facendo seguito a questo impegno, a seguito anche della preposta avanzata dalle regioni, dall'Anci e dall'Upi, il Governo avrebbe garantito ulteriori 905 milioni di euro; relativi al periodo 2022-2026, da destinare a rafforzare gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti a ridurre le situazioni di emarginazione e degrado sociale già varati in attuazione del Pnrr;

    lo stanziamento delle ulteriori risorse consentirà lo scorrimento delle graduatorie e la realizzazione della gran parte dei progetti già dichiarati ammissibili rispondendo alle esigenze di tutti i territori regionali,

impegna il Governo:

1) ad adottare, nel primo provvedimento utile, le idonee iniziative normative per garantire lo stanziamento degli ulteriori 905 milioni di euro necessari al fine di consentire il finanziamento dei progetti di rigenerazione urbana presentati dai comuni e dichiarati ammissibili ai sensi della normativa richiamata in premessa;

2) a verificare, ferma restando la necessità di dispiegare una quota consistente di risorse a beneficio dei comuni del Mezzogiorno, come espressamente previsto anche dal Pnrr, le forme più opportune ed efficaci per una modulazione ed utile coerenza e concordanza tra il criterio dell'Indice di vulnerabilità sociale e materiale e quello di una effettiva ed equilibrata ripartizione territoriale dei finanziamenti tra tutte le aree del Paese: Nord, Sud e Centro;

3) a prevedere, in vista della ripartizione di ulteriori futuri contributi, criteri che consentano la realizzazione equilibrata, dal punto di vista territoriale, del maggior numero possibile di progetti relativi alla rigenerazione urbana, previa attenta valutazione del merito dei progetti stessi, affinché il finanziamento pubblico sia diretto alla realizzazione di opere sostenibili per l'ambiente, l'ecosistema e la popolazione locale, e in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione e di mobilità sostenibile;

4) a favorire ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, per un rapido iter di nuove norme per la rigenerazione urbana – già avviato presso la competente commissione al Senato – per promuovere un ordinario sviluppo su scala nazionale di un'azione di rigenerazione urbana che persegua la coesione sociale, la tutela dell'ambiente e del paesaggio e la salvaguardia delle funzioni ecosistemiche del suolo;

5) ad assumere ogni utile iniziativa, in raccordo con le competenti Commissioni parlamentari, anche in vista della revisione organica del Testo unico dell'edilizia, ai fini di un adeguamento della normativa sulla contribuzione e sulla fiscalità urbana, tesa ad una maggiore tutela, dell'interesse pubblico, degli obiettivi di sostenibilità, di semplificazione per le imprese;

6) ad individuare procedimenti idonei, considerata l'importanza che in tema di interventi di rigenerazione urbana rivestono gli incentivi fiscali edilizi, affinché le giuste esigenze di efficace contrasto alle frodi non mettano a rischio gli interventi in corso o già programmati e la continuità degli investimenti nel settore.
(1-00576) «Morassut, Braga, Nardi, Rotta, Pezzopane, Buratti, Morgoni, Pellicani, Berlinghieri, Fiano, De Luca».

(8 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la rigenerazione urbana rappresenta la vera grande sfida per lo sviluppo ecosostenibile di tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo alla riqualificazione del tessuto cittadino delle aree metropolitane, fortemente caratterizzato da periferie degradate, all'attivazione di processi di rinnovamento nelle città di media grandezza e alla rivitalizzazione dei piccoli e piccolissimi centri storici e borghi italiani;

    oggi più che mai, si avverte l'urgenza di definire un perimetro entro cui ancorare interventi finalizzati al miglioramento delle condizioni abitative, sociali, culturali, economiche, paesaggistiche nel rispetto dei principi di sostenibilità ambientale e di partecipazione e in tale ottica il tema della rigenerazione urbana può rappresentare un'opportunità di rinascita e di ripresa dell'intero territorio nazionale, ma solo se orientata, attraverso puntuali finanziamenti e progetti tali da garantire l'attivazione di processi innovativi nella vita delle città e delle comunità;

    rientra nella necessità di una riqualificazione delle aree urbane la salvaguardia e la tutela del carattere distintivo del «genio italiano», dell'architettura tradizionale, nella prospettiva della conservazione del patrimonio culturale tipico dell'identità italiana attraverso il ripensamento delle periferie dormitorio insediate con l'urbanistica moderna, oggi dissestate se non totalmente degradate, con progetti di rigenerazione organica o di sostituzione edilizia, con la reintroduzione dei concetti di città compatta e multifunzionale, organizzata intorno alle esigenze primarie della persona e della famiglia, a iniziare dalla possibilità di raggiungere a piedi i principali luoghi del proprio quartiere: servizi, scuole, commissariato di polizia o caserma carabinieri, municipio o uffici pubblici, chiesa e luoghi di culto, teatro, cinema, centro sportivo e altro;

    le città, in particolare, dovranno essere i nuovi motori della strategia europea di sviluppo e dovranno essere in grado di supportare una crescita intelligente, grazie a investimenti più efficaci nell'istruzione, nella ricerca, nell'innovazione e nell'inclusione sociale; le aree urbane rivestono un ruolo centrale nell'ambito dei grandi temi della sostenibilità e devono essere percepite come insostituibili «acceleratori» nella crescita di una Nazione;

    il processo di riqualificazione delle aree urbane ed extraurbane rientra in una tendenza culturale e politica consolidata in Europa e in Occidente, con l'introduzione di elementi fondamentali per realizzare la città sostenibile ed ecocompatibile, all'insegna della sicurezza sismica, del risparmio energetico, della bio architettura, della città compatta e multifunzionale, del ritorno alla bellezza e all'identità dei luoghi e degli stili, elementi che necessitano il superamento del concetto dirigista e obsoleto della zonizzazione;

    in tale contesto, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il recupero e la rigenerazione di edifici e territori urbani, con particolare attenzione a periferie e aree interne del territorio italiano, vengono qualificati come obiettivi principali all'interno della Missione 5 «Inclusione e coesione», Componente 2 «Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore», Investimento 2.1 «Investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale», al fine di supportare l'inclusione soprattutto giovanile, nonché favorire la riduzione delle dilaganti forme di degrado; la fase operativa dei progetti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza sta iniziando a entrare nel vivo e uno dei primi settori a muoversi in questo senso è stato proprio quello delle infrastrutture e della mobilità sostenibili con il decreto del Ministero dell'interno adottato, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, il 30 dicembre 2021, recante «Contributi ai Comuni da destinare a investimenti in progetti di rigenerazione urbana anni 2021-2026», che ha stanziato risorse per 3,4 miliardi di euro nell'ambito del Pnrr e ha approvato gli elenchi dei comuni beneficiari dei contributi da destinare ad investimenti in progetti di rigenerazione urbana con l'obiettivo di ridurre fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché migliorare la qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale;

    si tratta dei contributi previsti dall'articolo 1, commi 42 e seguenti, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, confluiti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr);

    al sensi dell'articolo 1, comma 1 del sopracitato decreto; «È approvato l'elenco dei progetti ammissibili, relativi alle istanze validamente trasmesse dai Comuni ai sensi del DPCM 21 gennaio 2021 e del successivo Decreto del Ministero dell'interno del 2 aprile 2021»;

    al successivo articolo 2, comma 1, si dispone: «È approvata la graduatoria dei progetti ammissibili (...) individuati in quelli che presentano il valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM), tenendo conto della quota riferita alla progettazione esecutiva e alle opere, in attuazione dell'art. 5 del DPCM del 21 gennaio 2021»;

    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2021, recante «Assegnazione ai comuni di contributi per investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale», disciplina le modalità con cui sarebbero stati erogati i fondi del bando, e all'articolo 5, comma 2, riporta: «Qualora l'entità delle richieste pervenute superi l'ammontare delle risorse disponibili, l'attribuzione è effettuata, tenendo conto della quota riferita alla progettazione esecutiva e alle opere, a favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM)»;

    le richieste totali presentate sono per 2.418 progetti; la graduatoria stilata comprende 2.325 progetti ammissibili e, considerate le risorse stanziate, sono stati riconosciuti contributi a 483 comuni, per un totale di 1.784 opere;

    su un totale di 7.904 comuni italiani, gli enti locali che hanno partecipato al bando sono 649, quelli che riceveranno il finanziamento sono 483;

    i criteri di ripartizione delle risorse sono due, la distribuzione «almeno proporzionale alla popolazione residente» e il suddetto «Indice di vulnerabilità sociale e materiale», calcolato sulla base di sette indicatori; «incidenza percentuale delle famiglie monogenitoriali giovani (età del genitore inferiore ai 35 anni) o adulte (età del genitore compresa fra 35 e 64 anni) sul totale delle famiglie; incidenza percentuale delle famiglie con 6 e più componenti; incidenza percentuale della popolazione di età compresa fra 25 e 64 anni analfabeta e alfabeta senza titolo di studio; incidenza percentuale delle famiglie con potenziale disagio assistenziale, ad indicare la quota di famiglie composte solo da anziani (65 anni e oltre) con almeno un componente ultraottantenne; incidenza percentuale della popolazione in condizione di affollamento grave (...); incidenza percentuale di giovani (15-29 anni) fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione scolastica; incidenza percentuale delle famiglie con potenziale disagio economico, ad indicare la quota di famiglie giovani o adulte con figli nei quali nessuno è occupato o percettore di pensione per precedente attività lavorativa» (fonte Istat),

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per integrare le risorse disponibili per investimenti in progetti di rigenerazione urbana con l'obiettivo di finanziare tutti i progetti già ritenuti ammissibili, valutando anche la indispensabile necessità di destinare ulteriore risorse economiche a nuovi progetti di rigenerazione urbana, presentati a seguito dell'emissione di nuovi bandi;

2) a adottare iniziative per integrare i criteri di distribuzione «almeno proporzionale alla popolazione residente» e dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) per la ripartizione tra gli enti locali di ulteriori contributi previsti da successivi bandi che riguardano il Piano nazionale di ripresa e resilienza con criteri aggiuntivi, tra i quali – ad esempio –: vulnerabilità della sicurezza e situazione dell'ordine pubblico, diffusione della criminalità, liberazione delle coste e dei siti archeologici e monumentali da abusivismo (a partire dagli ecomostri), rimodulazione delle aree di pregio delle città con esplicito divieto di trasformazioni nelle zone vincolate e comunque di conclamato interesse storico, artistico e culturale, ad eccezione della rimozione di manufatti edilizi oggetto di degrado, abbandono e fatiscenza;

3) ad assumere iniziative di competenza per supportare, anche dal punto di vista tecnico, i comuni in modo da renderli idonei a intercettare le risorse economiche disponibili presentando progetti ammissibili.
(1-00577) «Lollobrigida, Meloni, Rampelli, Foti, Montaruli, Trancassini, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Osnato, Prisco, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Varchi, Vinci, Zucconi».

(8 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la rigenerazione urbana rappresenta una straordinaria occasione per ripensare le aree urbane e rimettere al centro il benessere delle persone, e allo stesso tempo anche una grande opportunità di rilancio economico, sociale e culturale per l'intero Paese;

    sotto questo aspetto è necessario continuare e rafforzare gli interventi normativi finalizzati ad una maggiore e indispensabile semplificazione procedurale per poter favorire realmente la riqualificazione e il riuso del patrimonio edilizio esistente, e contenere conseguentemente il consumo del suolo senza pervenire a blocchi, più o meno mascherati dell'attività edilizia, che rappresenta un comparto centrale per l'economia del nostro Paese;

    va quindi avviato un piano di riqualificazione e rigenerazione urbana che consenta di adeguare il patrimonio edilizio a criteri estetici coerenti con le tipologie dei singoli territori, con le norme antisismiche e con le più moderne tecnologie di efficienza energetica. A tal fine, si ritiene altresì necessario armonizzare le leggi regionali oggi esistenti in Italia con un intervento articolato e strutturato da parte del legislatore centrale;

    l'articolo 1, comma 42, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020), ha assegnato contributi per ciascuno degli anni dal 2021 al 2034, ai comuni per investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale. A tal fine sono state stanziate risorse nel limite di 150 milioni di euro per l'anno 2021, di 250 milioni di euro per l'anno 2022, di 550 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024 e di 700 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034;

    il comma 43 del medesimo articolo 1 della legge n. 160 del 2019 ha quindi previsto l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per individuare i criteri e le modalità di ammissibilità delle istanze e di assegnazione dei contributi, ivi incluse le modalità di utilizzo dei ribassi d'asta, di monitoraggio, anche in termini di effettivo utilizzo delle risorse assegnate;

    la normativa relativa all'erogazione dei contributi ai comuni per investimenti in progetti di rigenerazione urbana ha trovato quindi attuazione con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2021, a seguito dell'intesa acquisita in Conferenza Stato-città e autonomie locali il 26 novembre 2020. Si prevede che possano richiedere i suddetti contributi, i comuni con popolazione superiore ai 15 mila abitanti, non capoluogo di provincia, ed i comuni capoluogo di provincia o sede di città metropolitana che intendono realizzare interventi per la rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale, che non siano integralmente finanziati da altri soggetti pubblici e/o privati;

    il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2021, ha altresì definito i criteri e le modalità di ammissibilità delle istanze e di assegnazione del contributi per investimenti in progetti di rigenerazione urbana, di cui all'articolo 1, comma 42, della citata legge n. 160 del 2019. Qualora l'entità delle richieste pervenute superi l'ammontare delle risorse disponibili, si prevede che l'attribuzione venga effettuata, tenendo conto della quota riferita alla progettazione esecutiva e alle opere, a favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) come definito dall'Istat;

    è stata subito evidente la necessità di prevedere una integrazione delle risorse vigenti al fine di poter erogare i previsti contributi in favore di tutti i progetti ritenuti ammissibili, in virtù del fatto che i progetti di rigenerazione urbana presentati per l'ammissione al finanziamento sono stati circa 2.400, per un totale di circa 650 comuni, appartenenti a tutte le aree geografiche del Paese;

    sotto questo aspetto, l'articolo 20 del decreto-legge n. 152 del 2021, convertito dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233, ha integrato le risorse di cui al comma 42, della legge n. 160 del 2019, confluite nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), per 100 milioni di euro per l'anno 2022 e 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024;

    la suddetta linea di finanziamento è confluita nel Pnrr con l'utilizzo di una parte delle risorse attualmente stanziate a legislazione nazionale vigente per il periodo 2021-2026, pari a 2,8 miliardi di euro (le risorse complessive ammontano a 2,9 miliardi di euro), nonché con risorse aggiuntive per 500 milioni di euro, per un totale di 3.300 milioni di euro. Dette risorse, nell'ambito del Pnrr, sono confluite nella Missione 5: Inclusione e coesione; Componente C2: Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore; Investimento 2.1: Investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale (3,30 miliardi);

    successivamente, con la legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio 2022), sempre al fine di favorire gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado ha assegnato ulteriori risorse per investimenti nel limite di 300 milioni di euro per l'anno 2022 a favore: a) dei «piccoli» comuni con popolazione inferiore ai 15 mila abitanti che, in forma associata, presentano una popolazione superiore a 15 mila abitanti, nel limite massimo di 5 milioni di euro; b) dei comuni più grandi sopra ai 15 mila abitanti che non beneficiano delle risorse previste dai citati commi 42-43 dell'articolo 1 della legge n. 160 del 2019;

    la medesima legge di bilancio 2022 pone comunque un limite alle risorse attribuibili ai comuni sopra i 15 mila abitanti, precisando che agli stessi possono essere attribuiti contributi, a valere sui suddetti 300 milioni stanziati, nel limite massimo della differenza tra gli importi previsti dall'articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, e le risorse attribuite dal predetto decreto del Ministero dell'interno del 30 dicembre 2021;

    il decreto del Ministero dell'interno emanato il 30 dicembre 2021, in accordo con quanto previsto dall'articolo 5 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2021, ha provveduto a individuare i comuni beneficiari delle risorse previste dalla suddetta legge n. 160 del 2019 e ha determinato l'ammontare del contributo attribuito a ciascun comune;

    la lista dei comuni beneficiari pubblicata ha evidenziato come la riserva territoriale del 40 per cento unitamente all'applicazione della priorità per i progetti dei comuni con indice di vulnerabilità sociale e materiale di Istat abbia escluso dal finanziamento la quasi totalità dei comuni del Nord dell'Italia che avessero presentato richieste e progetti di rigenerazione urbana, pur se ritenuti ammissibili;

    le risorse complessivamente disponibili a legislazione vigente per il finanziamento di progetti di rigenerazione urbana proposti dagli enti locali, come integrate dal decreto-legge n. 152 del 2021, ammontano a 3,4 miliardi di euro; mentre le richieste di finanziamento di progetti, attualmente avanzati dagli enti locali ammontano ad un onere complessivo di 4,3 miliardi di euro;

    le problematiche del degrado urbano e del recupero delle periferie costituiscono temi di grande rilievo, molto sentiti dalle amministrazioni locali, che come tali necessitano di interventi finalizzati al loro recupero, come sottolineato anche dalla lettera a firma del Presidente Anci del 17 dicembre 2021 rivolta ai Ministri Franco e Lamorgese che manifestava il disappunto dell'Associazione rispetto all'assenza allo stato di una soluzione positiva della questione posta più volte, in varie sedi, in ordine alla necessità di integrare la posta finanziaria disponibile consentendo il finanziamento di tutti i progetti in corso di ammissione;

    il 30 dicembre 2021, in sede di approvazione alla Camera del disegno di bilancio 2022, il Governo ha accolto l'ordine dei giorno Pella 9/03424/093 con il quale si è chiesto un impegno del Governo a integrare ulteriormente le risorse destinate al finanziamento di progetti di rigenerazione urbana, al fine di ampliare i progetti ammessi al finanziamento e di garantire che la quota di risorse attribuita ad interventi riguardanti il sud Italia sia pari al cinquanta per cento di quelle complessive;

    in data 3 gennaio 2022, in una lettera sottoscritta da tutti i Presidenti delle Anci regionali, rivolta ai Ministri competenti, è stata sottolineata la necessità di integrare le risorse disponibili con un ulteriore stanziamento di circa 900 milioni di euro al fine di finanziare tutti i progetti ammissibili, in quanto opere medie e rapidamente cantierabili per le quali i comuni hanno già investito energie e risorse per la progettazione, anche per contribuire al raggiungimento dei target di spesa del Pnrr, previsti in modo stringente dalla Commissione europea;

    il 10 gennaio 2022, in una lettera sottoscritta dai Presidenti di Anci, Upi e Conferenza delle regioni, a nome di tutte le autonomie territoriali, è stata nuovamente manifestata l'esigenza di valutare la situazione determinatasi in seguito alla pubblicazione della graduatoria dei comuni beneficiari della misura Pnrr cosiddetta rigenerazione urbana che, all'esito di un'accurata e lunga istruttoria, rischia di non finanziare molti comuni medio-grandi concentrati in alcune regioni in particolare del centro-nord;

    si tratta di interventi fortemente attesi dalle comunità locali delle diverse regioni e che rispondono a bisogni di trasformazione generalizzata del territorio urbano, necessari per favorire lo sviluppo socio-economico dei diversi territori regionali,

impegna il Governo:

1) ad assumere tutte le iniziative di competenza al fine di individuare e integrare le risorse necessarie, pari a circa ulteriori 900 milioni di euro, nella misura che garantiscano comunque al Mezzogiorno risorse pari ad almeno il 40 per cento delle risorse complessive (pari a 4,3 miliardi di euro) per assicurare il finanziamento di tutti i progetti che abbiano superato il vaglio di ammissibilità e le progettazioni pronte e rapidamente cantierabili in grado di imprimere un forte sviluppo alle economie locali di tutto il territorio nazionale e di rispondere alle reali esigenze dei territori;

2) ad adottare iniziative volte a migliorare la performance dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) per la ripartizione tra gli enti locali di eventuali nuovi bandi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, adeguando i parametri per una distribuzione equa delle risorse a disposizione, ferma restando la riserva territoriale di almeno il 40 per cento a favore del Mezzogiorno;

3) a potenziare le iniziative normative solo in parte già avviate, finalizzate ad una maggiore e indispensabile semplificazione procedurale per favorire realmente la riqualificazione e il riuso del patrimonio edilizio esistente, e contenere conseguentemente il consumo del suolo.
(1-00578) «Pella, D'Attis».

(8 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    in data 30 dicembre 2021, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, sono stati individuati i comuni beneficiari dei contributi da destinare ad investimenti in progetti di rigenerazione urbana con l'obiettivo di ridurre fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché migliorare la qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale;

    con il termine «rigenerazione urbana» si fa riferimento ai programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare e degli spazi, su scala urbana, volti a garantire, tra l'altro, la qualità dell'abitare, e ciò sia dal punto di vista ambientale, sia sociale, anche con riferimento alle aree urbane e alle periferie più degradate. Si tratta di interventi che intendono porre attenzione, altresì, al tema della salvaguardia di assetto del territorio, ambiente e paesaggio: le politiche per la rigenerazione urbana sono connesse anche con il tema della riduzione del consumo di suolo, poiché mirano a recuperare e restaurare il patrimonio edilizio esistente, regolando il ricorso al consumo di ulteriore suolo edificabile;

   in tale direzione, l'impegno non può prescindere dal superamento dei divari territoriali, peraltro uno tra gli specifici obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), e richiamato, in specifico, nella gran parte delle Missioni;

   è evidente che la rigenerazione urbana non possa prescindere dal garantire un seguito alle agevolazioni fiscali comprese nel cosiddetto «Superbonus» – volto ad un miglioramento dei problemi energetici, statici ed antisismici degli edifici – nonché l'accessibilità a tale misura, ferma restando la necessità di un rafforzamento dei controlli;

   in linea con gli Obiettivi dell'Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, l'obiettivo della rigenerazione urbana consiste nel realizzare, fondamentalmente, città sostenibili e più a misura d'uomo; è evidente, dunque, la rilevanza del tema, peraltro anche oggetto di diverse proposte di legge depositate in Parlamento;

   per gli anni 2021-2026, i contributi confluiti nell'ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), già ammontavano a euro 3,4 miliardi di euro. La procedura telematica, predisposta dal Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha rilevato – a fine dicembre 2021 – la presentazione di 649 certificazioni per un totale di 2.418 progetti ed una richiesta di risorse pari ad euro 4.402.667.449,17. L'ammontare del contributo attribuito a ciascun ente è stato determinato a favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021;

   il Governo, da ultimo, si è impegnato ad assicurare i fondi necessari a finanziare alcuni progetti rimasti, di fatto, esclusi dalla rigenerazione, seppur approvati e già cantierabili. Tali fondi sono stati reperiti e sono stati destinati, a tal fine, ulteriori 905 milioni di euro, per il periodo 2022-2026;

   i finanziamenti dello Stato copriranno tutti i progetti locali per la riqualificazione di edifici e spazi pubblici che hanno superato l'esame ministeriale, e non si limiteranno ai 1.784 in 483 comuni, coperti dai 3,4 miliardi di euro, fin qui a disposizione, e distribuiti con il decreto interministeriale del 30 dicembre scorso;

   la grande sfida per lo sviluppo ecosostenibile di tutto il Paese, oltre agli stanziamenti evidenziati può contare, altresì, sui 159 interventi del PINQuA (Programma innovativo nazionale per la qualità dell'abitare) per 2,82 miliardi di euro, su quelli che il Pnrr sta per finanziare attraverso i Piani urbani integrati da oltre 2,7 miliardi di euro per le città metropolitane e su quelli per 300 milioni di euro nei comuni sotto i 15.000 abitanti,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative, con estrema urgenza, per:

   a) introdurre, nel primo provvedimento utile, la norma relativa al nuovo stanziamento di 905 milioni di euro da destinare alla realizzazione dei progetti di rigenerazione urbana, presentati dalle amministrazioni comunali e dichiarati ammissibili;

   b) assicurare le risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per le amministrazioni del Mezzogiorno, al fine della riduzione dei divari territoriali tra tutte le aree del Paese;

   c) garantire che le condizioni di vulnerabilità sociale e materiale, rappresentate nel criterio dell'Ivsm, permangano come criterio qualificante, perché siano assegnate le risorse ai comuni per la rigenerazione urbana;

   d) valorizzare gli interventi di rigenerazione urbana, in piena coerenza con gli obiettivi di sostenibilità ambientale, energetica e sociale del Piano nazionale di ripresa e resilienza, tenendo anche conto dei divari territoriali esistenti;

   e) individuare puntuali interventi che garantiscano la continuità delle agevolazioni fiscali ricomprese nella misura del cosiddetto «Superbonus» – anche valutando una proroga per gli interventi riferiti alla edilizia residenziale pubblica – al fine di consentire agli operatori del settore di agire all'interno di un quadro normativo certo e consolidato dotato di margini operativi tali da rendere effettivo e non penalizzare il ricorso al meccanismo della cessione del credito, pur nella previsione di opportune misure di contrasto alle frodi, a tal fine rafforzando gli strumenti di controllo;

   f) anche in considerazione della tempistica particolarmente stringente e delle scadenze imminenti, individuare modalità più snelle ed accessibili relativamente alle procedure da seguire per accedere ai suddetti finanziamenti.
(1-00579) «Baldino, Alemanno, Perconti, Orrico, Carabetta».

(8 febbraio 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL SOSTEGNO DEI SETTORI PRODUTTIVI MAGGIORMENTE INTERESSATI DAI PROCESSI DI TRANSIZIONE ECOLOGICA

   La Camera,

   premesso che:

    è in corso a Glasgow la ventiseiesima Conferenza delle parti (COP26) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico per cercare di approvare una efficace azione concertata e coordinata sul clima da parte di tutti gli Stati partecipanti. I Paesi dovranno spingersi oltre quanto deciso in sede di COP21 nello storico vertice di Parigi 2015, per contenere l'aumento della temperatura a 1,5 gradi. Andranno prese ulteriori decisioni di politica economica e industriale che consentano la transizione dal carbone alle energie pulite per contrastare il global warming. Misure che si dovranno tradurre sempre più in nuove opportunità di crescita economica e di occupazione, anche attraverso l'innovazione, lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie pulite;

    la lotta ai cambiamenti climatici rappresenta una sfida fondamentale e decisiva per l'umanità che non può essere persa, e tutti i Paesi e gli attori a livello mondiale devono mettere in campo efficaci azioni condivise e vincolanti;

    è ormai condivisa a livello internazionale la necessità che, accanto agli ambiziosi ma necessari obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici, si debbano inevitabilmente affiancare iniziative volte comunque a sostenere quei territori e quei comparti produttivi che più di altri hanno oggettive difficoltà alla riconversione e nel loro drastico adattamento produttivo in questa fase di transizione verde;

    sotto questo aspetto si ricorda che nell'ambito dello stesso Green Deal europeo, parte integrante della strategia della Commissione europea per attuare l'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l'Unione europea si è impegnata a fornire sostegno finanziario e assistenza per aiutare i soggetti più colpiti dal passaggio all'economia verde. Si tratta del cosiddetto «meccanismo per una transizione giusta», che contribuirà a mobilitare risorse per il periodo 2021-2027 nelle regioni più penalizzate;

    a tal fine è stato previsto un «Fondo per una transizione giusta» che dovrebbe aiutare i Paesi dell'Unione europea a far fronte all'impatto sociale ed economico della transizione verso la neutralità climatica. Il pacchetto di investimenti comprende 7,5 miliardi di euro dal quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e 10 miliardi di euro supplementari dallo strumento europeo per la ripresa;

    il «Fondo per una transizione giusta» finanzierà l'assistenza nella ricerca di lavoro, le opportunità di riqualificazione e miglioramento delle competenze, ma anche l'inclusione attiva dei lavoratori e delle persone in cerca di occupazione durante la transizione dell'economia europea verso la neutralità climatica. Nei loro piani nazionali per una transizione giusta, i Paesi dell'Unione europea devono identificare i territori maggiormente colpiti dalla transizione energetica e concentrare in quelle zone le risorse del Fondo. Particolare attenzione sarà dedicata alle specificità di isole, zone insulari e regioni ultraperiferiche;

    nel processo di adattamento produttivo, legato alla transizione in atto, è quindi indispensabile sostenere e aiutare quella parte importante delle attività produttive e dei lavoratori che sono maggiormente coinvolti e che hanno maggiori difficoltà ad adattarsi al cambio di paradigma;

    la sostenibilità ambientale è ormai una esigenza ineludibile da tutti riconosciuta, ma la sostenibilità ambientale deve essere perseguita parallelamente con la sostenibilità economica. Infatti, se la transizione ecologica significa nuove opportunità per ampi settori produttivi, è anche vero che comporta inevitabilmente degli svantaggi, seppur temporanei per quei settori produttivi e quei lavoratori che hanno meno alternative e devono quindi sostenere un maggiore sforzo produttivo ed economico di adattamento al processo di decarbonizzazione. È questo un aspetto assai importante, ma a volte sottovalutato. È quindi necessario prevedere forme di reale sostegno alle imprese che devono sostenere crescenti costi per potersi riconvertire e comunque per rispettare e adeguarsi ai sempre più ambiziosi standard ambientali di prodotto e di processo;

    tra i numerosi settori produttivi fondamentali per l'economia del nostro Paese, che hanno evidenti difficoltà ad adeguarsi alla transizione energetica, vi sono, per fare un solo esempio tra i tanti, i grandi impianti industriali e i poli per la raffinazione del petrolio. Nella sola Sicilia detti poli assorbono quasi il 46 per cento della capacità di raffinazione del Paese;

    in questo ambito si ricorda che la legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), all'articolo 1, comma 159, ha introdotto una importante norma volta a favorire gli investimenti nelle regioni del meridione da parte delle imprese operanti nel settore della raffinazione e bioraffinazione;

    in dettaglio, il citato articolo 1, comma 159, ha previsto che: «Al fine di promuovere lo sviluppo industriale e occupazionale nelle regioni del Mezzogiorno attraverso il mantenimento e l'aumento dell'occupazione, il miglioramento della qualità degli investimenti e l'adeguamento delle attività ai cambiamenti economici e sociali, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dello sviluppo economico, assicurando il coinvolgimento delle imprese, degli enti locali e delle regioni interessati, attiva la procedura per la stipulazione di un accordo con il settore della raffinazione e della bioraffinazione, finalizzato alla promozione degli investimenti da parte delle imprese operanti in tale settore per la realizzazione di iniziative volte a perseguire gli obiettivi della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile mediante l'utilizzo di quota parte delle risorse derivanti dal gettito delle accise e dell'imposta sul valore aggiunto»;

    la suddetta importante disposizione di legge, a un anno dalla sua approvazione, è praticamente rimasta lettera morta;

    è necessario prevedere, sia in ambito nazionale che europeo, lo stanziamento pluriennale di specifiche risorse finanziarie volte a sostenere la transizione verde, in particolar modo per quei settori che hanno estrema difficoltà ad abbattere le emissioni di anidride carbonica, al fine di aiutarli nella realizzazione di progetti di decarbonizzazione, e per cercare di contenere gli inevitabili elevati costi economici e sociali conseguenti al loro difficile adattamento alla transizione energetica. Senza questo supporto, molte imprese rischieranno di finire fuori mercato;

    è quindi necessario accompagnare questi comparti più esposti nel percorso e sostenere anche economicamente la loro decarbonizzazione;

    il necessario graduale passaggio dal fossile al rinnovabile è un punto delicato ma centrale nella lotta ai cambiamenti climatici e rappresenta un vero cambio di paradigma. Proprio per questo è indispensabile che questo passaggio avvenga in maniera economicamente sostenibile per le industrie, soprattutto quelle più energivore, e per i lavoratori interessati, e che, nella fase di transizione debbano essere incentivati anche quegli investimenti che comunque consentono a queste industrie di ridurre la anidride carbonica;

    seppur nel mantenimento degli obiettivi di decarbonizzazione nel tempo, preme ricordare come, ad esempio, il Green Deal europeo sia proiettato verso quote di biocarburanti sempre più elevate, proprio al fine di supportare una transizione, altrimenti insostenibile, ecco perché sarebbe dannoso qualunque inasprimento e ulteriore restrizione su questo tema, in particolare in riferimento ai fasci di frutti di olio di palma vuoti e acidi grassi derivanti dal trattamento dei frutti di palma da olio (Pfad), in quanto rispettivamente residui e sottoprodotti di lavorazioni industriali che, per definizione, non hanno alcun impatto sul rischio Iluc;

    la norma italiana dovrebbe essere in linea con la legislazione comunitaria e con gli obiettivi di sviluppo dell'economia circolare;

    sempre in ambito di economia circolare e in linea con il processo di transizione definito verso la decarbonizzazione, altrettanta importanza va acquisendo la produzione di carburanti (ad esempio idrogeno o biometano) prodotti da rifiuti non pericolosi di origine non rinnovabile ma inidonei al recupero di materia;

    infatti, lo sviluppo di tali produzioni consente, da un lato, di far fronte alla fase di transizione, nella quale è necessario abbassare le emissioni, pur non avendo ancora sufficiente produzione di energia rinnovabile nell'ambito del mix energetico, dall'altro, consente di chiudere il ciclo dei cosiddetti «rifiuti dei rifiuti», riducendo gli ingenti volumi ancora destinati allo smaltimento, grazie alla valorizzazione dei rifiuti non riciclabili prodotti dagli impianti di trattamento o riciclaggio dei rifiuti e dal trattamento degli effluenti (ad esempio, Css, frazione secca, biostabilizzato, pulper, fanghi essiccati);

    d'altra parte, le tecnologie utilizzate per la produzione di tali carburanti da rifiuti non riciclabili sono in grado di garantire un'elevata riduzione delle emissioni di gas effetto serra lungo il ciclo di vita anche grazie allo spiazzamento di due processi, la produzione tradizionale di carburante da un lato e l'incenerimento o lo smaltimento in discarica dall'altra, tanto ciò è vero che la Commissione europea, nella sua proposta di revisione della direttiva sulla promozione delle fonti rinnovabili, ha già individuato al 70 per cento il saving di gas serra lungo il ciclo di vita per tali carburanti, riservandosi soltanto l'eventuale facoltà di adottare un atto delegato per definire la metodologia di valutazione del risparmio emissivo;

    su queste basi, anche il Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, nel corso della COP26 di Glasgow, ha voluto sottolineare come le energie rinnovabili non saranno sufficienti i prossimi anni, in quanto potranno contare solo per il 20 o 30 per cento del mix energetico. Quello che conta è ridurre le emissioni da carbonio del 55 per cento entro il 2030;

    la realtà è che le rinnovabili, attualmente, non sono inoltre in grado di sostituire i combustibili fossili nell'alimentazione di tutta una serie di industrie (cemento, acciaio, chimica, raffinazione) e di mezzi di trasporto (aerei, navi, treni). Sono settori estremamente difficili da alimentare con energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e quindi da decarbonizzare. Ridurre il loro impatto climatico è però una priorità, se il mondo vorrà rispettare gli impegni di contenimento del riscaldamento globale, visto che emettono un'alta quantità di gas serra;

    con questa consapevolezza, il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, il 2 novembre 2021, sempre in occasione della Conferenza Onu COP26, ha voluto sottolineare come «nel lungo periodo le energie rinnovabili possono avere dei limiti, e quindi occorre investire in tecnologie innovative in grado di catturare il carbonio», ossia di quella tecnologia che consente appunto di catturare le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte da stabilimenti industriali ed evitarne l'immissione nell'atmosfera;

    una tecnologia, quella della cattura del carbonio, che qualora utilizzata, potrebbe contribuire a ridurre le emissioni in atmosfera di anidride carbonica, soprattutto per quegli impianti industriali che, per loro caratteristiche produttive, non riuscirebbero a riconvertirsi pienamente, se non a costi elevatissimi e con ricadute pesanti in termini occupazionali;

    è comunque importante che, proprio per incentivare gli investimenti soprattutto delle imprese che operano in settori ad alta intensità energetica, il disegno di legge di bilancio per il 2022, preveda uno stanziamento 150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022 per finanziare tra l'altro investimenti per favorire l'efficientamento energetico delle medesime imprese nonché per la cattura, il sequestro e il riutilizzo dell'anidride carbonica,

impegna il Governo:

1) a dare piena attuazione a quanto previsto dal comma 159 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), che ha introdotto un'importante norma volta a favorire gli investimenti nelle regioni del Meridione da parte delle imprese operanti nel settore della raffinazione e bioraffinazione, al fine di perseguire gli obiettivi della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile, estendendo dette previsioni anche ad altre aree interessate dalle medesime problematiche, attivando le opportune risorse già individuate dalla citata norma;

2) ad avviare le opportune iniziative, anche nell'ambito dell'Unione europea, per l'istituzione di un fondo per la decarbonizzazione, finalizzato a uno specifico sostegno per quei settori produttivi che, per le specifiche caratteristiche produttive, hanno oggettive evidenti difficoltà ad abbattere le emissioni di anidride carbonica e a riconvertirsi, con conseguenze negative in termini economici e occupazionali, con particolare riguardo ai settori dell'autotrasporto, dell'agricoltura, della pesca e dei settori maggiormente energivori;

3) ad adottare iniziative per prevedere che le risorse del suddetto fondo per la decarbonizzazione siano cumulabili con le risorse nazionali e europee, volte a sostenere e agevolare le imprese nella ristrutturazione produttiva e per la riconversione ai fini della transizione energetica;

4) ad adottare iniziative per valutare l'utilizzabilità di quota delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza per interventi legati alla fase di transizione ecologica volti a supportare anche economicamente riconversioni produttive anche utilizzanti energie non necessariamente rinnovabili;

5) ad avviare un serio e costante confronto con il mondo imprenditoriale, le parti sociali e quei settori produttivi maggiormente colpiti dagli oneri della transizione verde, al fine di individuare le più opportune strategie e iniziative volte a sostenerle nel percorso di decarbonizzazione, favorendo altresì il cambiamento professionale e tecnologico attraverso la formazione, la riqualificazione e l'aggiornamento delle competenze dei lavoratori;

6) ad avviare tutte le iniziative nell'ambito dell'Unione europea, volte ad implementare le risorse del «Fondo per una transizione giusta» per sostenere i territori maggiormente colpiti dalla transizione verso la neutralità climatica, anche al fine di ricomprendere ulteriori poli e territori italiani in aggiunta a quelli già individuati dai piani territoriali per una transizione giusta;

7) ad adottare iniziative per valorizzare e sostenere, nella fase di transizione, la produzione e l'utilizzo dei biocarburanti, bioliquidi e combustibili da biomassa, garantendo di mantenere inalterato il timing relativo alla graduale esclusione dell'olio di palma dalla produzione di carburanti e consentendo, in linea con il Green Deal europeo, lo sviluppo di tali fonti di energia, anche prodotta da rifiuti, ovvero da colture alimentari e foraggere, ciò al fine di raggiungere l'obiettivo di contenere le emissioni da carbonio entro il 2030 per almeno il 55 per cento e in attesa di un pieno e più ampio sviluppo delle energie rinnovabili.
(1-00542) (Terza ulteriore nuova formulazione) «Prestigiacomo, Fregolent, Galli, Ruffino, Barelli, D'Attis, Bagnasco, Brambilla, Calabria, Fitzgerald Nissoli, Labriola, Mazzetti, Nevi, Pittalis, Polidori, Rotondi, Saccani Jotti, Spena, Squeri, Maria Tripodi, Marrocco, Moretto, Gagliardi, Binelli, Lucchini, Andreuzza, Patassini, Benvenuto».

(9 novembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    senza un'azione urgente la crisi climatica rischia di diventare irreversibile, compromettendo il futuro delle nuove generazioni e lo stesso presente delle popolazioni più vulnerabili del mondo;

    l'ultimo rapporto dell'Ipcc sottolinea che è in gioco il futuro del nostro pianeta: solo attraverso un percorso ambizioso, caratterizzato da scelte nette e inequivocabili, possiamo scongiurare una catastrofe climatica;

    per mantenere raggiungibile tale obiettivo occorre arrivare a zero emissioni nette entro il 2050, che significa che le emissioni globali dovrebbero diminuire del 7,6 per cento ogni anno nel prossimo decennio;

    gli obiettivi della Cop26, Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, erano quelli di: impegnarsi a ridurre la produzione di anidride carbonica per contenere l'aumento della temperatura globale non oltre 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, proteggere le comunità e gli habitat naturali, mobilitare la finanza per arrivare a 100 miliardi di dollari l'anno in finanziamenti per il clima entro il 2020, collaborazione e cooperazione;

    il Patto di Glasgow prevede impegni che riguardano la deforestazione, l'accelerazione degli sforzi verso la riduzione graduale dell'energia a carbone e l'eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili, fornendo al contempo un sostegno mirato ai Paesi più poveri e vulnerabili, in linea con i contributi nazionali e il riconoscimento della necessità di sostegno verso una transizione giusta. Ai Paesi sottoscrittori viene chiesto di rivedere e rafforzare i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 entro la fine del 2022, tenendo conto delle diverse circostanze nazionali. E ai Paesi ricchi si chiede di «almeno raddoppiare» entro il 2025, rispetto ai livelli del 2019, i finanziamenti per sostenere l'adattamento dei Paesi in via di sviluppo;

    al fine di raggiungere gli obiettivi proposti, la Commissione europea ha inoltre presentato il 14 luglio 2021 una serie di proposte, in cui si rivede e si aggiorna la normativa dell'Unione europea. Tali dodici strumenti legislativi assieme costituiscono il cosiddetto pacchetto «Fit for 55» che andranno a riorientare sensibilmente tutto il sistema dell'energia, interessando i diversi comparti produttivi e di consumo, dal mercato dell'anidride carbonica a quello del gas, le energie rinnovabili e l'infrastrutturazione per i carburanti alternativi, fino alla riduzione delle emissioni di metano nel settore energetico;

    quanto alla decarbonizzazione gli impegni italiani seguono quelli europei («net zero» al 2050 e riduzione del 55 per cento al 2030 delle emissioni di anidride carbonica rispetto al 1990) e la quota di elettrificazione del sistema dovrà progressivamente tendere e superare quota 50 per cento. L'apporto delle energie rinnovabili alla generazione elettrica dovrà raggiungere almeno il 72 per cento al 2030 e coprire al 2050 quote prossime al 100 per cento del mix energetico primario complessivo;

    l'articolo 4 del decreto-legge n. 22 del 2021 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) con il compito di assicurare il coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica e la relativa programmazione. In particolare, il Comitato approva il Piano per la transizione ecologica, al fine di coordinare le politiche in materia di: a) riduzione delle emissioni di gas climalteranti; b) mobilità sostenibile; c) contrasto del dissesto idrogeologico e del consumo del suolo; c-bis) mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici; d) risorse idriche e relative infrastrutture; e) qualità dell'aria; f) economia circolare; f-bis) bioeconomia circolare e fiscalità ambientale, ivi compresi i sussidi ambientali e la finanza climatica sostenibile;

    tale Piano individua le azioni, le misure, le fonti di finanziamento, il relativo cronoprogramma, nonché le amministrazioni competenti all'attuazione delle singole misure. Si tratta di un «piano aperto», con target specifici, soggetto ad una continua attività di monitoraggio, in relazione allo stato di avanzamento delle trasformazioni in atto e ai progressi scientifici e tecnologici;

    il Piano per la transizione ecologica deve rappresentare un sostegno a processi, prodotti e servizi realmente e oggettivamente sostenibili (ambientalmente, economicamente e socialmente), applicando il principio della neutralità tecnologica nel definire le politiche e nel promuovere lo sviluppo delle diverse tecnologie che costituiranno l'insieme di soluzioni per il raggiungimento dei target climatici al 2030 e al 2050, e un reale impulso al processo di transizione ecologica, anche come strumento di coordinamento e integrazione con i processi di digitalizzazione e di transizione energetica nel nostro Paese, in un'ottica globale e locale;

    nella proposta di Piano per la transizione ecologica trasmessa al Parlamento per il prescritto parere si evidenzia che il Piano si sviluppa a partire dalle linee già delineate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, proiettandole al completo raggiungimento degli obiettivi al 2050 come previsto dal Green deal europeo;

    per il finanziamento del Green deal sono state messe a disposizione specifiche risorse all'interno di «Next generation EU». In particolare, il 37 per cento delle risorse complessivamente richieste dagli Stati membri nei rispettivi Piani nazionali di ripresa e resilienza è dedicato a interventi di contrasto al cambiamento climatico. Specifiche risorse sono poi disponibili all'interno del Fondo speciale per una transizione giusta, focalizzato al sostegno delle attività che più di altre risentiranno negativamente dell'impatto di tale transizione, con una dotazione di 17,5 miliardi di euro;

    tra le proposte che il Governo individua nella proposta di piano come particolarmente importanti si ricordano quelle relative alla revisione del sistema di scambio di quote di emissione dell'Unione europea (EU-Ets) e nei settori non compresi nell'EU-Ets, alla revisione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, ad un insieme di misure atte a ridurre le emissioni nel settore dei trasporti stradali, nonché all'istituzione di un Fondo sociale per il clima;

    consapevoli della sfida che la transizione energetica comporta, nella proposta di Piano si ribadisce il principio fondamentale secondo il quale «nessuno deve essere lasciato indietro»;

    la transizione verso la neutralità climatica e digitale deve essere un processo condiviso e sostenuto dai cittadini italiani ed europei con la loro partecipazione attiva. Affinché abbia successo, nel suo orizzonte deve includere target economico-sociali ambiziosi e indicare la strada per raggiungerli: maggiore solidarietà tra generazioni; parità di genere; valorizzazione dei giovani; superamento dei divari territoriali; posti di lavoro e migliori condizioni di vita; educazione, formazione e innovazione di qualità; protezione sociale e sanitaria adeguata;

    la transizione energetica ed il phase-out dai combustibili fossili avranno come prevedibile conseguenza anche la trasformazione radicale di intere filiere produttive; pertanto, la difesa del lavoro deve essere il pilastro sociale della transizione;

    da ciò deriva inevitabilmente la necessità di politiche di sostegno al lavoro e di integrare la dimensione sociale, anche in virtù della rilevanza del Piano per le prossime generazioni e in omaggio al principio per cui «nessuno deve essere lasciato indietro». Nella proposta di Piano si prevede, in particolare, la necessità di attivare specifici interventi di politiche attive per il lavoro, ricorrendo a ammortizzatori sociali ma anche a percorsi di formazione specifica e riqualificazione;

    in parallelo, viene evidenziata l'importanza di dedicare più risorse alla ricerca scientifica, rafforzando le sinergie fra attori e finanziamenti pubblici già disponibili e creando interconnessioni stabili tra il mondo di ricerca, università, start-up e imprese, al fine di favorire il trasferimento tecnologico in grado di ridurre gli impatti ambientali del sistema produttivo;

    il Piano nazionale di ripresa e resilienza (M2-c2-3.2) prevede il finanziamento per la progressiva decarbonizzazione dei settori industriali «hard-to-abate». I progetti saranno coordinati con altri progetti a livello europeo (Ipcei idrogeno) a cui l'Italia intende partecipare con altri Stati membri, con i quali si sono già tenute riunioni di coordinamento (Francia e Germania). Per le industrie hard-to-abate (escluse quelle siderurgiche) il progetto mira a promuovere la transizione dal metano all'idrogeno verde attraverso la pubblicazione di bandi di gara per la realizzazione di progetti di trasformazione sostenibili e innovativi del ciclo produttivo;

    l'acciaio – si legge sempre nel Piano nazionale di ripresa e resilienza – è uno dei settori hard-to-abate dove l'idrogeno può assumere un ruolo rilevante in prospettiva di progressiva decarbonizzazione. Per l'industria siderurgica, nella prima fase, verrebbe utilizzato il metano in cui miscelare gradualmente volumi di idrogeno a basso contenuto di carbonio e successivamente verde. Sono contemplati 2 progetti, uno il cui budget è di 1,6 miliardi di euro e l'altro di 400 milioni di euro, il cui periodo (relevant period) è dal 1° gennaio 2022 al 1° gennaio 2026;

    la produzione attuale di idrogeno nelle raffinerie è di circa 0,5 Mton H2 /anno, rappresentando quindi uno dei settori più promettenti per iniziare a utilizzare l'idrogeno verde e sviluppare il mercato. Verrà lanciata una gara generale per i settori industriali che utilizzano il metano come fonte di energia termica (cemento, cartiere, ceramica, industrie del vetro ed altro) per sostenere la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione nei processi industriali e per finanziare progetti pilota e lo scale up industriale dei progetti. Una gara d'appalto specifica sarà lanciata per sostenere la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione per il processo di produzione dell'acciaio attraverso un aumento dell'uso dell'idrogeno, tenendo conto della specificità dell'industria siderurgica italiana (Piano nazionale di ripresa e resilienza – M2-C2-3.2);

    rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo, il 30 novembre 2021 in Commissione industria, commercio, turismo al Senato della Repubblica, il Governo ha puntualizzato che il bilancio energetico nazionale sarà basato su una quota sempre crescente di energie rinnovabili, anche grazie alle misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma inevitabilmente sarà presente una quota di fonti fossili nella fase di transizione energetica verso la decarbonizzazione, anche al fine di garantire sicurezza e stabilità al sistema in trasformazione;

    inoltre, dopo aver rimarcato che il (Piano nazionale di ripresa e resilienza, nell'ambito della missione 2 «Rivoluzione verde e transizione ecologica», prevede investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale volti alla decarbonizzazione di tutti i comparti della generazione di energia e suo utilizzo, è stato precisato che nella componente 2 «Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile», per quanto concerne il vettore idrogeno, sono previste linee di finanziamento volte a promuoverne la produzione, la distribuzione, gli usi finali specie nei settori a più alta intensità di energia e lo stoccaggio. Sia per la produzione che per lo stoccaggio è previsto l'utilizzo, previe verifiche specifiche, dei siti delle ex concessioni di coltivazione di idrocarburi a fine vita in dismissione;

    riguardo a quest'ultimo punto, il Governo ha fatto presente che, nell'ambito delle interlocuzioni fra il Governo e la Commissione europea, ci si è accordati sull'assicurazione di un livello minimo di idrogeno green al 10 per cento nei grandi progetti rivolti alle aziende «hard to abate», proprio in considerazione delle ingenti quantità necessarie della risorsa che deve essere miscelata;

    gli obiettivi climatici non possono, poi, prescindere da una complessiva e strutturata riforma del sistema fiscale orientata ad affrontare le problematiche ambientali;

    occorre, infatti, che le risorse disponibili siano dedicate a misure che portino famiglie e imprese, piccole e grandi, ad investire in efficienza e rinnovabili, eliminando, così come previsto dalla normativa europea, i cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi, mediante un'operazione di valorizzazione delle risorse economiche rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione nei tempi stabiliti;

    in sede di audizione presso le Commissioni riunite ambiente di Camera e Senato, il 7 dicembre 2021, il Ministro della transizione ecologica ha dichiarato che, già nel disegno di legge di bilancio per il 2022, ha proposto, parlandone con il Ministro dell'economia e delle finanze, un emendamento per eliminare un piccolo numero di sussidi ambientalmente dannosi, che possono essere tolti subito senza causare un impatto sociale particolare;

    è necessaria una roadmap di uscita dalle fossili e dai sussidi che preveda interventi da fare entro il 2025, anche in vista della chiusura delle centrali a carbone che non può essere affrontata solo con una semplice riconversione a gas, la quale comporterebbe una dipendenza dalle importazioni per ulteriori 20/30 anni;

    in tal senso, occorre giungere nei tempi più rapidi all'eliminazione su tutto il territorio delle centrali a carbone coerentemente con il programma di Enel impegnata nell'attivazione di poderosi investimenti in questa direzione, con particolare riferimento alle realtà di La Spezia, Civitavecchia e Brindisi;

    la mobilità rappresenta un settore strategico per raggiungere gli obiettivi climatici che, nel periodo successivo al 2030, prevedono che almeno il 50 per cento delle motorizzazioni dovrà essere elettrico;

    a tal fine, il decreto-legge n. 77 del 2021, anche per sostenere il comparto dell'automotive nel percorso di transizione, ha introdotto misure di semplificazione al fine di garantire processi autorizzativi snelli per l'installazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici ad accesso pubblico,

impegna il Governo:

1) a vigilare affinché gli interventi volti alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nei prossimi decenni siano sostenibili anche dal punto di vista sociale ed economico, soprattutto nei cosiddetti settori hard-to-abate, e consentano la ripartenza e il rilancio della competitività nel contesto europeo e mondiale;

2) ad assumere iniziative per prevedere che la promozione dell'idrogeno nel mix energetico contempli l'utilizzo di idrogeno cosiddetto verde da fonti rinnovabili e nei settori hard to abate, dove il vettore elettrico risulta di non facile applicazione, valutando a tal fine l'opportunità, per gli investimenti in questo ambito, di adottare misure di semplificazione amministrativa per la costruzione e l'esercizio degli elettrolizzatori;

3) ad adottare iniziative per prevedere idonei meccanismi di interlocuzione con i territori, i sindacati e le imprese dei settori produttivi maggiormente interessati dalla trasformazione energetica, al fine di individuare le più opportune strategie e iniziative volte ad accompagnarli nel percorso di decarbonizzazione;

4) ad individuare una road map di uscita, entro un tempo determinato, dai sussidi ambientalmente dannosi che ne preveda una loro rimodulazione e/o eliminazione, a partire dalla prima iniziativa normativa utile, dando certezza e chiarezza ai beneficiari e prevedendo misure ad hoc per i settori maggiormente interessati, quali l'autotrasporto e l'agricoltura.
(1-00561) «Pezzopane, Braga, Buratti, Morassut, Morgoni, Pellicani, Rotta, Lorenzin».

(9 dicembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    dal 1° al 13 novembre 2021 a Glasgow si è svolta la Cop26 sul clima, sede deputata a effettuare una revisione degli impegni per realizzare riduzioni quantificabili delle emissioni di gas a effetto serra previsti dagli Accordi sul clima adottati nell'ambito della Conferenza Cop21 tenutasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015;

    i negoziati hanno portato all'adozione del Glasgow climate pact, che ha fissato, tra gli altri, l'obiettivo minimo di decarbonizzazione per tutti gli Stati firmatari: un taglio del 45 per cento delle emissioni di anidride carbonica al 2030 rispetto al 2010, che dovrebbero poi arrivare a zero intorno al 2050;

    tra gli obiettivi della Cop26 di Glasgow figurava anche il rafforzamento della collaborazione tra i Governi, le imprese e la società civile per un più efficace raggiungimento degli obiettivi, sancendo il ruolo importante svolto dalle realtà produttive e dai siti industriali in tali processi, e i risvolti sulle medesime imprese sia in termini di produzione che di occupazione, soprattutto nei settori in cui appare più difficile abbattere le emissioni di anidride carbonica e per le imprese operanti in settori ad alta densità energetica;

    in ambito europeo il 14 luglio 2021 la Commissione europea ha adottato un pacchetto di proposte legislative che definiscono come si intende raggiungere la neutralità climatica nell'Unione europea entro il 2050, compreso l'obiettivo intermedio di riduzione netta di almeno il 55 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2030, denominato Fit for 55 per cent, che intende rivedere diversi atti legislativi dell'Unione europea sul clima, il regolamento sulla condivisione degli sforzi, la legislazione sui trasporti e l'uso del suolo, definendo in termini reali i modi in cui la Commissione intende raggiungere gli obiettivi climatici dell'Unione europea nell'ambito del Green Deal europeo;

    nel mese di giugno 2021, con l'approvazione del regolamento (UE) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio, è stato, altresì, istituito a livello europeo il «Fondo per una transizione giusta», al fine di fornire sostegno alle persone, alle economie e all'ambiente dei territori che fanno fronte a gravi sfide socioeconomiche derivanti dal processo di transizione verso gli obiettivi 2030 dell'Unione per l'energia e il clima e verso un'economia climaticamente neutra dell'Unione entro il 2050;

    tuttavia, e la Commissione europea non lo dovrebbe affatto sottovalutare, è l'Europa ad essere colpita, in questo momento, dalla crisi energetica a causa della scarsità di metano, con un'esplosione vera e propria dei suoi prezzi. Una crisi assolutamente non di breve periodo, per ragioni di domanda (per l'incremento dovuto alla ripresa economica, alla fame di gas in Asia, alla ridotta disponibilità di risorse rinnovabili quali la bassa ventosità) e di offerta (per aver evidenziato l'incapacità di soddisfare interamente la domanda nelle attuali condizioni). Al riguardo, è fortemente ipotizzabile che il mondo abbia assoluta necessità del gas naturale, se non altro perché se la Cina vorrà interrompere il trend di crescita delle sue emissioni nel 2030 dovrà necessariamente raggiungere un picco nei suoi consumi di carbone nel giro di pochi anni, sostituendolo quasi interamente con il gas naturale, la qual cosa porterà la domanda di gas della Cina da qui a metà secolo ad aumentare di un quantitativo pari all'intero consumo attuale dell'intera Europa;

    non di meno, il nucleare inteso come sviluppo della nuova tecnologia di fusione è tornato al centro del dibattito energetico, essendo ritenuta la ricerca in corso in detto ambito non la soluzione ma certamente una parte della soluzione alla lotta ai cambiamenti climatici;

    a livello nazionale, il più ampio stanziamento di risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza è previsto per la missione «Rivoluzione verde e transizione ecologica», alla quale sarà destinato circa il 30 per cento dell'ammontare complessivo del Piano, pari a 69,93 miliardi di euro, per «intensificare l'impegno dell'Italia in linea con gli obiettivi del Green Deal sui temi legati all'efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, mobilità sostenibile, potenziando le infrastrutture e le ciclovie e rinnovando in modo deciso il parco circolante del trasporto pubblico locale, per incrementare la quota di energia prodotta da rinnovabili e stimolare la filiera industriale, inclusa quella dell'idrogeno, e digitalizzare le infrastrutture di rete»;

    il Piano per la transizione ecologica, inoltre, individua otto obiettivi principali delle politiche ambientali dell'Italia: decarbonizzazione, mobilità sostenibile, miglioramento della qualità dell'aria, contrasto al consumo di suolo e al dissesto idrogeologico, risorse idriche e relative infrastrutture, biodiversità, tutela del mare, promozione dell'economia circolare;

    la Conferenza unificata, nella seduta del 2 dicembre 2021, ha espresso parere negativo sulla proposta del citato Piano per la transizione ecologica. In particolare, la Conferenza ha evidenziato il permanere delle condizioni preclusive all'espressione di un parere positivo, quali:

     a) il mancato coinvolgimento delle regioni, non essendo stati convocati incontri tecnici bilaterali specifici;

     b) un ruolo importante da attribuire alle autonomie locali nella definizione della governance del Piano;

     c) la mancata esplicitazione della gerarchizzazione e dei rapporti tra il Piano di transizione ecologica, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la programmazione 2021/2027 e gli obiettivi della Strategia di sviluppo sostenibile;

     d) la mancata chiarezza sull'assoggettabilità a valutazione ambientale strategica, il mancato accoglimento di molte osservazioni tecniche delle regioni e della pubblica amministrazione (in particolare in tema di qualità dell'aria);

    nonostante l'adozione negli ultimi anni di diverse disposizioni in materia di lotta al cambiamento climatico, tra le quali figurano anche la creazione del Fondo per la transizione energetica nel settore industriale e del Fondo per la riconversione occupazionale nei territori in cui sono ubicate centrali a carbone, appaiono del tutto insufficienti gli strumenti prospettati a sostegno della svolta green delle aziende e dei conseguenti riflessi sul mercato occupazionale;

    scorrendo gli interventi realizzati sin qui, o quantomeno studiati fin qui, si nota il mancato coinvolgimento del mondo dell'industria e delle imprese nella definizione delle politiche per il raggiungimento degli obiettivi, assenza che, peraltro, fa sospettare un atteggiamento di accondiscendenza nei confronti dell'Europa che non tenga conto delle specificità produttive nazionali;

    in questo senso è già stato segnalato da diverse organizzazioni di categoria come alcune scelte di politica ambientale a livello europeo rischiano di provocare impatti molto pesanti sulle imprese manifatturiere italiane, soprattutto se non si dovessero tenere nel debito conto le differenze tra le economie dei singoli Stati dell'Unione europea;

    la Vice presidente di Confindustria per l'ambiente, la sostenibilità e la cultura ha, di recente, sottolineato come «porre gli stessi obiettivi a tutti potrebbe generare degli effetti distorsivi tra gli stessi Stati dell'Unione (...) se si applicano gli obiettivi di decarbonizzazione in maniera uniforme e indistinta alle economie di Paesi che hanno diversi tassi di industria manifatturiera, si rischia di premiare in maniera del tutto irragionevole quelle a più basso tasso di manifattura e al contempo di penalizzare in modo altrettanto irragionevole quelle che, come la nostra, hanno invece una grande concentrazione di manifattura di livello eccellente»;

    non solo, ma la crisi energetica sta spingendo l'Italia sull'orlo di un lockdown produttivo e industriale. Intere filiere, a partire da quelle legate alla manifattura, rischiano di collassare sotto il macigno degli aumenti in bolletta, con ricadute occupazionali ed economiche potenzialmente devastanti. A parere dei firmatari del presente atto di indirizzo a questo scenario non corrisponde – allo stato – una strategia di medio e lungo periodo da parte del Governo: su una partita così cruciale, che si gioca anche sul fronte geopolitico europeo e mondiale, non si registra infatti né una visione, né un piano di intervento;

    appare del tutto evidente che il raggiungimento degli obiettivi dettati dall'Unione europea, finalizzati ad accelerare la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nei prossimi decenni, non deve comportare un'ulteriore penalizzazione dell'economia nazionale, ma – per contro – favorire la ripartenza e il rilancio della competitività nel contesto mondiale ed europeo;

    la promozione, lo sviluppo e l'impiego delle diverse tecnologie necessarie per dare attuazione alla politica strategica dell'Unione europea per la decarbonizzazione non possono prescindere da un'attenta e circostanziata analisi degli impatti (ambientali, economici, sociali e geopolitici) conseguenti la disponibilità, l'approvvigionamento, i costi e la dipendenza estera dei metalli, dei minerali critici e delle terre rare, indispensabili nella transizione fondata sull'elettrificazione spinta dei consumi e sull'impiego di impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili (quali fotovoltaico ed eolico);

    particolare attenzione dovrebbe, quindi, non solo essere prestata alle problematiche concernenti l'approvvigionamento delle materie critiche necessarie a garantire la continuità del processo di transizione ecologica, ma anche estesa al gas e alle altre fossili importate;

    se è vero che la promozione delle fonti di energie rinnovabili è uno degli obiettivi prioritari dell'Unione europea, altrettanto vero è che in Italia l'affrettata e disordinata installazione di impianti destinati a tale finalità ha, in alcuni casi, determinato effetti diversi, per non dire opposti, a quelli auspicati. Nei fatti, la duplicazione, rispetto a quelli attivi nel 2009, degli impianti destinati alla produzione di elettricità da pannelli fotovoltaici non sempre risulta bilanciata con l'interesse a garantire un'adeguata tutela ambientale e paesaggistica, volta a preservare il suolo agricolo, risorsa limitata e non rinnovabile. Occorre inoltre considerare che, in ambito agricolo, una transizione ecologica netta, sprovvista delle necessarie misure di accompagnamento e di agevolazione, è destinata a pregiudicare la tenuta economica di un comparto che si è mostrato particolarmente resiliente nell'ambito della recente crisi da COVID-19 e protagonista della transizione verde;

    la recente nota del Cite (Comitato interministeriale per la transizione ecologica), con la quale viene fissato per il 2035 l'anno di cessazione della produzione di auto con motore a combustione, risulta fortemente criticata dall'Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia) e dai sindacati, che denunciano il gravissimo pericolo della perdita di oltre settantamila posti di lavoro nel comparto in questione a causa di un'accelerazione troppo spinta verso l'elettrificazione; a tacere del fatto di dovere rinunciare a uno dei fiori all'occhiello dell'industria italiana, la filiera del powertrain endotermico;

    lo sviluppo di tecnologie innovative sarà determinante per il completo abbattimento delle emissioni di processi industriali e prodotti, nonché lo strumento per una transizione energetica votata al successo. In tale prospettiva la fusione a confinamento magnetico assume un ruolo di rilievo nella ricerca tecnologica finalizzata al processo di decarbonizzazione, in quanto consentirà di potere disporre di grandi quantità di energia pulita, sicura, virtualmente inesauribile e senza la produzione di gas serra;

    in tale contesto va evidenziato anche l'investimento, da parte dell'Italia, di 10 miliardi di euro per la messa in funzione di 5 gigawatt di elettrolizzatori, entro il 2030, anno in cui il 2 per cento della domanda energetica nazionale dovrebbe essere coperta dall'«idrogeno pulito»;

    la necessità di rivedere i nostri processi produttivi non può dunque prescindere dalla tutela dell'ambiente e dalla salvaguardia dei livelli occupazionali;

    non risulta inoltre in linea con i fini di tutela ambientale l'annunciata predisposizione di una direttiva europea che, con il pretesto di contenere le emissioni ed il contenuto energetico, vieterebbe dall'anno 2027 la compravendita e l'affitto di abitazioni aventi una classificazione energetica sotto la classe E, con successivo passaggio alla classe D e poi alla C (la compravendita sarebbe prevista come possibile solo dall'impegno tassativo da parte del compratore di effettuare entro tre anni i lavori necessari a raggiungere la classe richiesta), atteso che i costi aggiuntivi che si verrebbero a determinare finirebbero per favorire grandi gruppi finanziari – specialmente stranieri – tra i pochi in grado di potere acquistare centinaia di immobili, assumendosi l'onere di sostenere le spese necessarie nei tre anni per il raggiungimento della classe pretesa;

    quanto al tema del «consumo di suolo» l'esame ad oggi effettuato in sede parlamentare, con riferimento in particolare alla rigenerazione urbana, risulta ispirato ad una filosofia legislativa volta a privilegiare l'adozione di regole vecchie ed obsolete non funzionali alla trasformazione delle città, eludendo, in particolare, la questione centrale del recupero dei centri storici, atteso che, al di là degli edifici che godono di tutele particolari, è importante potere intervenire senza ulteriori vincoli sugli edifici ricadenti in tali ambiti ma privi di pregio o addirittura degradati e pericolanti, certamente privi di significativi elementi volti a contenere il consumo energetico,

impegna il Governo:

1) a predisporre e sottoporre al Parlamento un piano di medio-lungo periodo volto ad individuare le azioni più opportune per efficacemente contrastare la crisi energetica in atto;

2) a promuovere l'adozione di urgenti iniziative a livello europeo al fine di tutelare le economie dei Paesi membri messe in situazione di gravi difficoltà dagli aumenti dei costi dei metalli, dei minerali critici e delle terre rare di cui in premessa, introducendo dazi di civiltà a carico di quei Paesi che, non rispettando limiti e fini della transizione ecologica, operano sul mercato in spregio agli stessi, con gravi conseguenze sia sulla salute delle persone sia sull'ambiente;

3) a valutare con razionale attenzione, senza quindi condizionamenti di natura ideologica, la proposta – se e in quanto formalizzata – di inserire il gas naturale nella tassonomia dell'Unione europea che definisce le regole per la finanza cosiddetta sostenibile, e ciò al fine di evitare che aprioristiche valutazioni finiscano per impattare negativamente proprio sulla transizione energetica che si vorrebbe implementare;

4) ad assumere con la massima urgenza ogni utile iniziativa volta a sottoporre alla Conferenza unificata un testo del Piano per la transizione ecologica che, prevedendo con chiarezza il coinvolgimento nell'attuazione dello stesso di regioni ed enti locali ed accogliendo le richieste allo stato formulate, consenta alla stessa di pronunciarsi favorevolmente al riguardo;

5) ad adottare iniziative per definire obiettivi e percorsi chiari per sostenere le aziende nella programmazione dei percorsi di decarbonizzazione delle stesse e a stanziare adeguate risorse economiche per gli investimenti in tal senso;

6) nella trasposizione delle normative europee in materia di lotta al cambiamento climatico, ad adottare iniziative per tutelare le specificità imprenditoriali, produttive e di conformazione del territorio della nostra Nazione;

7) in questo ambito, a sostenere la nostra industria manifatturiera, definendo percorsi di transizione attraverso scelte che possano orientare e accelerare l'evoluzione dei processi industriali in senso ecosostenibile, considerando in particolare la criticità costituita dal settore tessile che rappresenta nel mondo la seconda causa inquinante dopo il petrolio;

8) a sostenere efficacemente le strategie aziendali di adeguamento ai più elevati parametri ambientali nell'ambito di investimenti in tecnologie e impianti che riducano le emissioni, nonché i consumi energetici e di materie prime;

9) ad orientare gli strumenti e le risorse previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e, più in generale, le risorse pubbliche nazionali ed europee, per creare sviluppo e innovazione industriale in Italia, sostenendo la riconversione di produzioni che avrebbero altrimenti un impatto negativo dal processo di transizione;

10) a perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione promuovendo il rafforzamento delle filiere per la produzione di tecnologie innovative e ad alta efficienza nel settore delle rinnovabili, dell'efficienza energetica e della mobilità sostenibile, favorendo gli investimenti sul territorio nazionale;

11) ad assumere opportune iniziative di carattere normativo volte a definire un «consumo di suolo positivo» se destinato a riqualificare aree urbanisticamente compromesse e «negativo» se orientato per fini speculativi verso il consumo di zone agricole e aree pregiate, anche mantenendo un bilancio netto di suolo pari a zero fra superfici impermeabilizzate e de-impermeabilizzate, come più volte richiesto dall'Unione europea;

12) al fine di realizzare una vera indipendenza energetica dell'Italia da altri Stati, a sostenere con forza, anche attraverso la specifica destinazione dei fondi a disposizione o che saranno disponibili, studi, ricerche e progetti volti a giungere il prima possibile all'obiettivo dell'utilizzo del «nucleare da fusione», proseguendo ed incentivando nel contempo ogni utile attività ed impegno a favore dell'«idrogeno pulito»;

13) ad assumere, per quanto di competenza, ogni opportuna iniziativa volta a garantire un equilibrato inserimento paesaggistico, rispettoso dell'articolo 9 della Costituzione, degli impianti fotovoltaici ed eolici, la cui collocazione dovrà privilegiare l'uso di aree industriali, zone urbanizzate, aree compromesse, e comunque mediante l'adozione di specifiche iniziative che ne definiscano più restrittivamente limiti dimensionali e localizzativi;

14) a mantenere l'attuale regime di incentivi e sussidi destinati ai carburanti utilizzati in agricoltura, favorendo al tempo stesso, anche con ulteriori risorse economiche, il ricambio del parco macchine nel settore, così che migliore risulti l'impatto sull'ambiente;

15) a concorrere ad elaborare un piano di politica industriale con una road map italiana per la transizione produttiva nella mobilità sostenibile, come risultano avere fatto altri Stati.
(1-00562) (Ulteriore nuova formulazione) «Foti, Lollobrigida, Rampelli, Butti, Rachele Silvestri, Ferro, Zucconi, Galantino, Mantovani, Caiata, De Toma, Trancassini, Deidda, Gemmato, Maschio, Osnato, Prisco, Caretta, Ciaburro, Bignami».

(13 dicembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la politica energetica dell'Unione europea, la cui base giuridica è rinvenibile già nell'articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, si è rafforzata con l'avvio del «Green Deal europeo» nel dicembre 2019 che ha dato impulso alla decarbonizzazione del sistema energetico dell'Unione europea, con una forte spinta su rinnovabili ed efficienza energetica di edifici, industria e mobilità: il documento, che riformula su nuove basi l'impegno europeo ad affrontare il cambiamento climatico, andando oltre il Clean Energy Package avviato nel 2016, ricomprende infatti un ambizioso piano d'azione per trasformare l'Unione in un'economia competitiva, con l'obiettivo di azzerare le emissioni nette di gas serra entro la metà del secolo;

    nell'ambito del Green Deal europeo, i leader dell'Unione europea hanno approvato, nel dicembre 2020, un obiettivo riveduto di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. In particolare, per conseguire tale ambizioso obiettivo, la Commissione europea ha preso in considerazione le azioni necessarie in tutti i settori, compresi un aumento dell'efficienza energetica e dell'energia da fonti rinnovabili, e il 14 luglio 2021 ha presentato ai membri della Commissione ambiente del Parlamento europeo il pacchetto di proposte legislative denominato «Fit for 55%», contenente 12 iniziative, sia di modifica di legislazioni esistenti sia di nuove proposte, tese a mettere in atto e realizzare tale maggiore livello di ambizione;

    arrestare il cambiamento climatico attraverso una transizione energetica equa e sostenibile resta obiettivo prioritario delle politiche dell'Unione europea anche dopo la crisi provocata dalla pandemia di COVID-19 ed è parte centrale dell'azione di medio periodo che l'Europa si prefigge con il Next Generation EU (Ngeu), in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (SDGs) e con gli impegni dell'Accordo di Parigi del 2015;

    inoltre, il nuovo bilancio rafforzato dell'Unione, definito nel luglio 2021 dal Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, impone agli Stati membri di rispettare i vincoli di spesa minima a sostegno della transizione energetica: in particolare, almeno il 37 per cento della spesa finanziata dal Qfp e da Ngeu è dedicata al perseguimento degli obiettivi climatici e le iniziative previste dai Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (Pnrr), in attuazione di Ngeu, in coerenza con il principio do not significant harm, sancito negli accordi di Parigi. Specifiche risorse sono poi disponibili all'interno del Fondo speciale per una transizione giusta, focalizzato al sostegno delle attività che più di altre risentiranno negativamente dell'impatto di tale transizione, con una dotazione di 17,5 miliardi di euro;

    nella premessa della proposta di Piano per la transizione ecologica (Pte) viene evidenziato che tale piano «intende fornire informazioni di base e un inquadramento generale sulla strategia per la transizione ecologica, dare un quadro concettuale che accompagni gli interventi del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)»;

    il Piano transizione per la ecologica (Pte) ricorda che le tappe della decarbonizzazione italiana sono scandite dagli impegni europei («net zero» al 2050 e riduzione del 55 per cento al 2030 delle emissioni di CO2 rispetto al 1990) e che la quota di elettrificazione del sistema dovrà progressivamente tendere e superare quota 50 per cento. L'apporto delle energie rinnovabili alla generazione elettrica dovrà raggiungere almeno il 72 per cento al 2030 e coprire al 2050 quote prossime al 100 per cento del mix energetico primario complessivo;

    per consentire il passaggio a un'efficace economia climaticamente neutra, la predetta complessiva attività di pianificazione, programmazione e coordinamento che interessa i nuovi soggetti istituzionali deve confrontarsi ed essere coerente con i principi e gli obiettivi chiave della transizione ecologica, con particolare riferimento a quei settori come l'industria, i trasporti e l'energia che, pur avendo un grande potenziale in termini di promozione della transizione verde e di stimolo della crescita, possono anche comportare il rischio di arrecare un danno significativo a uno o più obiettivi ambientali, in funzione di come sono progettate. Per tali ragioni, in questi settori, la stessa Commissione pone riserve in ordine al ricorso ad un approccio semplificato agli investimenti e alle riforme;

    la Strategia dell'Unione europea per l'integrazione del sistema energetico COM(2020)299 persegue l'obiettivo di guidare gli Stati membri nella graduale eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. Inoltre, il Pte prevede l'istituzione di un gruppo di lavoro interministeriale, con la partecipazione delle regioni, al fine di presentare proposte normative volte alla razionalizzazione e progressiva eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad);

    alla luce dei medesimi principi declinati a livello europeo, laddove esistano alternative tecnologicamente ed economicamente praticabili a basso impatto ambientale, come quelle associate allo sviluppo delle Fer in sostituzione della produzione di energia elettrica e/o di calore a partire da combustibili fossili, l'effetto ambientale delle attività dovrebbe essere valutato in termini assoluti, ossia rispetto allo scenario che si prefigura in assenza di interventi che abbiano un impatto ambientale significativo;

    in questa prospettiva, dovrebbe essere collocato anche il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), in fase di approvazione, disciplinato dall'articolo 11-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12. Il piano prevede un orizzonte temporale dal 2020 al 2050 che si coniuga con l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e della decarbonizzazione dell'economia italiana, in linea con l'Accordo sul clima di Parigi del 2015 e l'European Green Deal, per un modello energetico sostenibile che affronti le sfide dell'approvvigionamento energetico e della tutela ambientale promuovendo lo sviluppo del risparmio energetico e delle energie rinnovabili;

    per adempiere gli obiettivi del Green Deal, nel 2030, il 70 per cento dei consumi elettrici italiani dovrà essere coperto da energie rinnovabili (quasi il doppio rispetto alla quota attuale del 38 per cento) e dovranno essere installati 65 GW di nuova potenza rinnovabile;

    le emissioni di anidride carbonica – 428 milioni di tonnellate nel 2018, di cui il 24 per cento dal settore dell'industria e dei trasporti ed il 20 per cento dai sistemi di riscaldamento presenti nelle nostre case ed edifici – dovranno essere ridotte attraverso la diffusione dell'elettricità rinnovabile e dell'efficienza energetica in tutti i settori;

    l'analisi della realtà produttiva italiana, condotta nel report pubblicato ad ottobre 2020 e coordinato da Italian Climate Network, con la collaborazione scientifica del team di ricerca di EStà ed il supporto della European Climate Foundation, rileva che le maggiori criticità sono rappresentate dai settori industriali in cui si investe poco in innovazione tecnologica, da una scarsa capacità di evoluzione del sistema del trasporto privato e da basse prestazioni energetiche degli edifici;

    gli investimenti del periodo 2021-2030 nei settori strategici devono quasi raddoppiare ossia salire dai 1.000 miliardi di euro previsti dal Piano nazionale energia e clima, alla cifra di 1780 miliardi di euro. Tali sforzi si tradurrebbero in una crescita dell'occupazione stabile nell'ordine del 2,5-3 per cento e in un maggior aumento annuo del Pil dell'ordine dello 0,5-0,6 per cento, numeri che migliorerebbero ulteriormente nel caso in cui l'Italia mirasse i suoi investimenti verso gli ambiti green a maggior contenuto tecnologico e che sottolineano la necessità di aumentare la spesa in ricerca e sviluppo, nonché gli sforzi di industrializzazione dei brevetti, di modo che il nostro Paese non resti nelle retrovie dell'innovazione, limitandosi ad acquistare la tecnologia green prodotta da altri;

    al maggior avanzamento nell'identificazione delle possibili soluzioni tecnologiche che dovranno essere scelte, contribuisce la cosiddetta «Tassonomia Green» che costituisce la base per la pianificazione degli investimenti nel prossimo decennio. Essa, poi, non solo è lo strumento di indirizzo degli investimenti del Next Generation EU, ma soprattutto è il framework che informa le scelte degli investitori istituzionali, interessati a costruire portafogli sostenibili dal punto di vista ambientale, dato che precisa per ogni settore di attività, gli interventi che sono in grado di mitigare i cambiamenti climatici, rispetto a quelli che viceversa contribuiscono a incrementare le emissioni. Di conseguenza ciò che rientra nel novero della Tassonomia diviene elemento centrale nell'identificare le prospettive d'investimento nei settori energetici e, per tale ragione, presuppone decisioni oculate soprattutto con riferimento alle soluzioni che, ad oggi, presentano considerevoli margini di incertezza in termini di fattibilità tecnica ed economica degli investimenti e dei rischi ambientali, anche secondari;

    essendo la transizione energetica un driver di sviluppo che impatta su una molteplicità di interessi generali i quali richiedono una visione d'insieme, programmare l'adempimento degli impegni assunti con il Green Deal per il sistema industriale italiano, fatto di imprese anche piccole e medie (Pmi), non significa solo «programmare» l'innovazione, ma anche fare scelte mirate e consapevoli rispetto a dinamiche che toccano la società e l'ambiente nel loro complesso e che esigono una nuova governance nazionale basata su un efficace coordinamento, suscettibile di consentire il dialogo tra i diversi livelli di governo del territorio nelle sedi istituzionali deputate, e al contempo una sintesi dei diversi interessi;

    si auspica altresì la nascita di un Sistema nazionale dell'innovazione, ossia un «luogo» in cui tutti, il mondo delle imprese e della ricerca, pubblica e privata, possano coerentemente disegnare un piano di investimenti ad alta intensità tecnologica e impatto ambientale ridotto, in grado di migliorare la performance del sistema Paese nel senso di una maggiore capacità produttiva in termini di ricchezza e, insieme, decarbonizzazione;

    l'offerta industriale dovrà avere un ruolo fondamentale, non tanto e non solo per le prestazioni ambientali dei suoi impianti, quanto per il mutamento qualitativo della produzione che, condizionato dalla domanda green, influenzerà la struttura produttiva nel suo insieme;

    il sistema produttivo e industriale è influenzato da una correlazione positiva tra diminuzione dell'anidride carbonica da un lato, e aumento degli investimenti in ricerca-sviluppo, nonché innovazione tecnologia dall'altro: è, pertanto, anzitutto strategico «aggredire» i settori più inquinanti, responsabili del 75 per cento delle emissioni di anidride carbonica delle attività industriali, a loro volta responsabili di circa il 20 per cento delle emissioni totali, ma capaci di produrre solo l'11 per cento del valore aggiunto e il 9 per cento degli occupati del comparto industriale. Il percorso di transizione energetica in questi settori è, infatti, elemento essenziale alla loro stessa futura capacità di competizione nel mercato, sempre più green e sostenibile;

    con riguardo alla produzione di energia elettrica, le azioni prioritarie dovranno concentrarsi sull'accelerazione dei percorsi di decarbonizzazione e sull'ammodernamento delle centrali elettriche, attraverso un aggiornamento del Pniec 2030, in relazione ai nuovi obiettivi Ue di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e la revisione dell'obiettivo della quota delle fonti energie rinnovabili (Fer) rispetto ai consumi finali lordi di energia;

    per quel che concerne il settore industriale, sarà necessario adottare misure ad hoc per la riconversione delle imprese, tramite il superamento dell'attuale ripartizione delle quote di emissioni nell'ambito dell'European Union Emissions Trading Scheme EU ETS, per favorirne un impiego ottimale; promuovere e sostenere i Power Purchase Agreements (Ppa) al fine di minimizzare gli oneri in bolletta e garantire i produttori di energia da Fer rispetto dalla volatilità dei prezzi;

    coerentemente con il processo di transizione ecologica in atto, occorre puntare poi sull'idrogeno da fonti rinnovabili il cui utilizzo, commisurato alla sua funzione di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni, è da prevedersi solo nei settori «hard to abate» (siderurgia, raffinazione del petrolio, chimica, cemento, vetro e cartiere) e non in quelli dove l'elettrificazione è già ora la soluzione più idonea e conveniente. A tal fine, è fondamentale dare vita ad una filiera nazionale di tecnologie connesse alla sua produzione (elettrolizzatori, celle a combustibile e componenti ancillari al processo produttivo);

    per ridurre in modo significativo la dipendenza energetica dalle importazioni di energia di combustibili fossili, l'approvvigionamento energetico dovrà essere orientato verso un cambiamento strutturale nel mix delle fonti energetiche a favore di un aumento significativo di nuova capacità rinnovabile e di un incremento di produzione elettrica da Fer;

    una maggiore diffusione di energie rinnovabili e un maggiore ricorso a forme di autoconsumo collettivo e alla costituzione di comunità energetiche rinnovabili, oltre a contribuire alla decarbonizzazione dell'approvvigionamento energetico, contribuisce ad ottenere prezzi accessibili per le piccole e medie imprese e i consumatori domestici, soprattutto per le famiglie più vulnerabili che versano in condizioni di forte disagio economico e sociale. Sempre in tema di riduzione dei costi per gli utenti finali, si pone la necessità di trasferire sulla fiscalità generale gli oneri generali di sistema presenti in bolletta;

    con specifico riguardo al settore automotive, settore italiano con il più elevato numero di eccellenze nella produzione di autoveicoli di alta gamma e commerciali e relativa componentistica, sarà necessario sviluppare un piano di riconversione dell'intera filiera. Quello dei motori elettrici è l'orizzonte tecnologico con cui tutte le principali case automobilistiche si dovranno confrontare nel corso dei prossimi anni e, di conseguenza, risulta fondamentale sin da ora riconvertire, riqualificare e sviluppare le competenze dei lavoratori del comparto, ponendo tuttavia la dovuta attenzione, sia sotto il profilo industriale che occupazionale, alla risoluzione delle crisi aziendali in atto per scongiurare un effetto critico moltiplicatore anche sulle aziende dei servizi e della componentistica. Sarà inoltre necessario indicare una data precisa a partire dalla quale vietare la commercializzazione di nuovi autoveicoli a combustione interna come parte degli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra;

    come noto la tecnologia Ccs è nata dall'esigenza di ottenere una estrazione supplementare di petrolio e gas naturale in giacimenti ormai depleti attraverso immissione di anidride carbonica;

    nonostante le numerose valutazioni effettuate in molti Paesi europei, ancora manca una valutazione positiva sulla fattibilità tecnica ed economica della cattura, dell'utilizzazione, del trasporto e dello stoccaggio del carbonio;

    la necessità di stoccare l'anidride carbonica ad alte pressioni in vecchi giacimenti ad 800 metri di profondità o in mare comporta numerosi rischi, specie nelle aree sismiche e in quelle classificate a sismicità medio-alta, in quanto l'attività sismica può causare fratturazione nei siti di stoccaggio e possibili fuoriuscite in caso di stoccaggio geologico;

    la Corte dei conti europea ha esaminato i precedenti programmi di finanziamento a sostegno delle tecnologie Ccs (programma NER 300 e EEPR) e ne ha certificato il fallimento dopo aver esaminato i risultati ottenuti con i predetti programmi, tanto che i sei progetti finanziati sono stati cancellati o conclusi senza essere entrati in funzione, con l'eccezione dell'impianto pilota in Spagna che, però, non ha dimostrato l'utilizzo del Ccs su scala reale. Secondo la Corte dei conti europea, pertanto, i sussidi Ue in materia non hanno portato a risultati soddisfacenti. Nello stesso tempo, non è giustificabile dare supporto pubblico a progetti commerciali di Ccs e Ccus in assenza di risultati incoraggianti in quelli pilota. Nella stima dei costi sono da considerare il rischio connesso allo stoccaggio e al trasporto, nonché i costi per le prossime generazioni, sia nella gestione del rischio che nella manutenzione e monitoraggio dei siti, che andrebbe calcolato a parte in una logica corretta di analisi costi/benefici;

    le attività del settore fossile rappresentano il 9 per cento di tutte le emissioni di gas serra (Ghg) prodotte dall'uomo. Inoltre, producono i combustibili che creano un altro 33 per cento delle emissioni globali. Tali operazioni hanno generato, solo nel 2020, quasi 120 milioni di tonnellate di metano, quasi un terzo di tutte le emissioni di metano dovute all'attività umana. Le possibilità di ridurre queste emissioni sono enormi: ciò è particolarmente vero nel settore del petrolio e del gas, dove è possibile evitare più del 70 per cento delle emissioni attuali con la tecnologia esistente e dove circa il 45 per cento potrebbe essere evitato senza costi netti;

    la produzione di energia rappresenta circa i due terzi delle emissioni di produzione di petrolio e gas. La richiesta di energia delle piattaforme di petrolio e gas tramite cavo alla riva o da un vicino parco eolico potrebbe portare a una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di 2-3 Mtpa nonché supportare fino a 4 gigawatt di nuova capacità eolica offshore. Il supporto all'industria petrolifera e del gas nella transizione verso un futuro a basse emissioni risulta cruciale nella lotta ai cambiamenti climatici e nella riduzione dei gas climalteranti ottenibile tramite, ad esempio, la sostituzione di macchinari ad alto contenuto di carbonio con collegamenti a operazioni onshore che generano elettricità a partire da idrogeno verde, energia solare, energia eolica offshore, la modifica dei processi produttivi interni e l'efficientamento dell'intera catena di approvvigionamento;

    in Italia muoiono prematuramente secondo l'Agenzia europea per l'ambiente quasi 66 mila persone all'anno per esposizione a inquinanti dell'aria (soprattutto polveri, ossidi di azoto, ozono) legati con grande prevalenza alla combustione di fonti energetiche fossili;

    ad ottobre 2020, la Commissione europea ha pubblicato la «Strategia per il metano» che funge da punto di partenza per un processo di sviluppo di una legislazione orientata a vietare le pratiche di combustione e sfiato di routine e ad introdurre l'obbligo di rilevamento e riparazione delle perdite nelle infrastrutture del gas. Anche per la tecnologia Ccs deve essere, infatti, posta particolare attenzione alle problematiche connesse all'attività di monitoraggio dei siti e alla necessità di marker per rendere visibili le perdite di anidride carbonica,

impegna il Governo:

1) a verificare, in base ai nuovi obiettivi europei della transizione ecologica, tempi certi e stringenti per garantire il phase-out dalle fonti fossili, salvaguardando la sicurezza dell'approvvigionamento energetico mediante un massiccio ricorso alle fonti alternative;

2) ad adottare iniziative volte ad accompagnare la riconversione dell'industria oil & gas, tramite investimenti in nuove tecnologie ed ecoinnovazione (analisi avanzate, intelligenza artificiale), mediante il ricorso a misure volte a facilitare l'ammodernamento e/o la sostituzione degli impianti obsoleti esistenti, ad incoraggiare l'automazione, la digitalizzazione e l'elettrificazione diffusa della filiera di produzione energetica, nonché l'utilizzo di sistemi per il rilevamento accurato e l'individuazione puntuale delle perdite di metano;

3) a definire appositi piani per una «transizione giusta» e una maggiore competitività, nel medio e lungo periodo, dei lavoratori del settore petrolifero e del gas verso il comparto delle energie rinnovabili, garantendo continuità occupazionale e produttiva attraverso misure di sostegno per le aziende e i dipendenti, di concerto con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le parti sociali, le istituzioni interessate e i sindacati, nonché sostenendo il cambiamento professionale e tecnologico attraverso la formazione, la riqualificazione e l'aggiornamento delle competenze dei lavoratori;

4) ad operarsi, in sede europea, per l'adozione di apposite misure normative tese a ridurre le emissioni derivanti dall'estrazione, dalla produzione, dalla trasmissione e dalla distribuzione di petrolio e gas, che includano il rilevamento, il monitoraggio e i requisiti di riparazione delle perdite, gli standard tecnologici minimi e i divieti di flaring e venting come pratiche di routine, nonché apposite sanzioni in caso di mancata ottemperanza, con chiari e dettagliati obiettivi vincolanti entro cui ridurre le emissioni;

5) a garantire in modo adeguato che siano messe a disposizione del pubblico le informazioni ambientali concernenti tutte le fasi dei progetti sperimentali avviati attinenti lo stoccaggio geologico di anidride carbonica, ai sensi del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162, nonché le relative risultanze al fine di orientare i processi decisionali sulla base di dati certi;

6) a prevedere che il Piano per la transizione ecologica sia coordinato con la pianificazione di settore finalizzata al perseguimento degli obiettivi di neutralità climatica, a cominciare dal Pitesai, in fase di approvazione, considerato che, a tal fine, occorre che il Piano sia redatto sulla base di criteri stringenti sia nell'individuazione delle aree idonee, orientati verso il progressivo ed effettivo abbandono della produzione di idrocarburi, con conseguente divieto di conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi e di proroga o rinnovo delle concessioni di coltivazione in essere oltre il 2040 in tutto il territorio nazionale;

7) a prevedere, nella prossima iniziativa normativa utile, la progressiva ma effettiva e rapida eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti (cosiddetta «sunset clauses»), nell'ambito della complessiva individuazione dei sussidi ambientalmente dannosi, contestualmente prevedendo forme positive di incentivazione delle attività economiche in linea con gli obiettivi della decarbonizzazione;

8) a manifestare, in sede europea, il proprio deciso dissenso nei confronti dell'inserimento del gas naturale tra le attività economiche che possono essere considerate sostenibili e in quanto tali finanziate nell'ambito della tassonomia verde;

9) ad esprimere, in modo perentorio, l'esclusione dell'energia nucleare dal novero delle attività riconducibili nell'ambito della tassonomia verde, nel rispetto degli esiti referendari del 1987 e del 2011;

10) ad adottare iniziative per provvedere alla definitiva approvazione della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), assicurando la massima ed effettiva concertazione e condivisione con i territori e le comunità locali interessati, nel rispetto dei principi di trasparenza, leale collaborazione e cooperazione istituzionale, come da impegni assunti dal Governo con riferimento alla mozione sul deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (mozione n. 1-00414);

11) ad adottare iniziative per favorire la nascita di un Sistema nazionale dell'innovazione, ossia un «luogo» in cui tutti, il mondo delle imprese e della ricerca, pubblica e privata, possano coerentemente disegnare un piano di investimenti ad alta intensità tecnologica e impatto ambientale ridotto, in grado di migliorare la performance del sistema Paese nel senso di una maggiore capacità produttiva in termini di ricchezza e, insieme, di decarbonizzazione;

12) ad adottare iniziative per incentivare la produzione e l'utilizzo di idrogeno da fonti rinnovabili unicamente per i settori specifici per i quali l'elettrificazione sia tecnicamente difficile o altamente inefficiente e per i quali il ricorso a questo vettore sia la soluzione economicamente ed ambientalmente più efficace (ad esempio settori «hard-to-abate» e trasporti pesanti);

13) ad adottare iniziative per trasferire gradualmente sulla fiscalità generale gli oneri generali di sistema presenti in bolletta, a cominciare dalle componenti relative ai bonus sociali riconosciuti alle famiglie disagiate;

14) ad adottare iniziative per programmare ed accompagnare la riconversione dell'industria automobilistica e i settori produttivi ad essa collegati tramite massicci investimenti per lo sviluppo di una filiera nazionale di veicoli elettrici, riqualificando e aggiornando, al contempo, le competenze dei lavoratori del settore, al fine di rendere il comparto maggiormente competitivo a livello internazionale nel medio e lungo periodo.
(1-00565) «Davide Crippa, Sut, Maraia, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Licatini, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Zolezzi, Alemanno, Carabetta, Chiazzese, Fraccaro, Giarrizzo, Masi, Orrico, Palmisano, Perconti, Scanu».

(14 dicembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 191 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) stabilisce la lotta al cambiamento climatico quale obiettivo dichiarato della politica ambientale dell'Unione europea. Si prevede che, qualora non vengano adottate ulteriori misure volte a ridurre le emissioni, nel corso di questo secolo la temperatura globale media possa subire un aumento compreso tra 1,1 e 6,4 °C. Attività umane quali l'utilizzo di combustibili fossili, la deforestazione e l'agricoltura producono emissioni di biossido di carbonio (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O) e fluorocarburi. Tali gas a effetto serra catturano il calore che viene irradiato dalla superficie terrestre e ne impediscono la dispersione nello spazio, provocando il riscaldamento globale;

    il riscaldamento globale ha provocato e provocherà fenomeni meteorologici estremi più frequenti (quali inondazioni, siccità, piogge intense e ondate di calore), incendi boschivi, scarsità delle risorse idriche, scomparsa dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare, mutamento dei modelli di distribuzione o persino estinzione di fauna e flora, malattie delle piante e parassiti, scarsità di alimenti e acqua potabile, nonché migrazione di persone in fuga da tali pericoli. La scienza dimostra che il rischio di un cambiamento irreversibile e catastrofico aumenterebbe in modo rilevante qualora il riscaldamento globale superasse i 2 °C – o anche solo i 1,5 °C – rispetto ai valori preindustriali;

    il Green deal europeo, il programma europeo per una nuova crescita sostenibile dell'Unione europea, finalizzato a rendere l'Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, vuole dare impulso alla transizione ecologica in un'ottica di sostenibilità con un ambiente sano e una popolazione che possa aspirare, senza discriminazioni, a più che soddisfacenti condizioni di vita. Tutti i 27 Stati membri hanno assunto l'impegno di fare dell'Unione europea il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050;

    l'Unione europea ha approvato, nel dicembre 2020, un obiettivo riveduto di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. In particolare, per conseguire tale ambizioso obiettivo, la Commissione europea ha preso in considerazione le azioni necessarie in tutti i settori, compresi un aumento dell'efficienza energetica e dell'energia da fonti rinnovabili, e il 14 luglio 2021 ha presentato ai membri della Commissione ambiente del Parlamento europeo il pacchetto di proposte legislative denominato «Fit for 55 per cent», contenente 12 iniziative, sia di modifica di legislazioni esistenti sia di nuove proposte, tese a mettere in atto e realizzare tale maggiore livello di ambizione. Per raggiungere questo traguardo si sono impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e l'apporto delle energie rinnovabili alla generazione elettrica dovrà raggiungere almeno il 72 per cento al 2030 e coprire al 2050 quote prossime al 100 per cento del mix energetico primario complessivo, in Italia ciò si traduce con un raddoppio nel 2030 dell'attuale quota del 38 per cento di produzione da Fer installando circa 65 Gigawatt di nuova potenza rinnovabile;

    in questo modo si creeranno nuove opportunità per l'innovazione, gli investimenti e l'occupazione, ma anche per ridurre le emissioni, creare posti di lavoro e favorire la sostenibilità economica, affrontare il problema della povertà energetica, ridurre la dipendenza energetica dall'esterno, migliorare la salute e il benessere. Al tempo stesso, la trasformazione garantirà opportunità per tutti, in quanto sosterrà i cittadini vulnerabili affrontando le disuguaglianze e la povertà energetica e rafforzerà la competitività delle imprese europee;

    il metano ha un impatto sul riscaldamento globale maggiore rispetto a quello dell'anidride carbonica con un potenziale climalterante tra le 20 e le 30 volte superiore. In uno scenario business as usual le emissioni annuali di metano sono destinate ad aumentare fino al 2040. È pertanto necessario invertire la rotta con politiche decise diminuendo ogni anno le emissioni di circa 180 milioni di tonnellate tanto da risparmiare un aumento della temperatura globale di 0,3 °C al 2045. In termini di costi sanitari e sociali, equivarrebbe a prevenire nel mondo 260.000 morti premature, 775.000 visite in ospedale per asma, 73 miliardi di ore di lavoro risparmiate da ondate di calore estremo, salvare 25 milioni di tonnellate di coltivazioni altrimenti andate perdute ogni anno;

    le aziende partecipate dallo Stato Eni e Snam hanno il loro core business negli idrocarburi e pertanto, per definizione, ogni progresso di decarbonizzazione completa entrerebbe in contrasto con la mission delle due partecipate. Modificare la loro mission, adeguandola alla completa decarbonizzazione dei processi energetici, rappresenta l'unica soluzione per permettere prosperità alle suddette aziende di Stato;

    il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI) stabilirà quali sono le aree idonee del Paese dove effettuare prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, tuttavia la sua approvazione è in forte ritardo rispetto a quanto stabilito dall'articolo 11-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, che ne prevedeva l'approvazione entro il 30 di settembre 2021 e, al momento, dopo l'intesa sancita con le regioni, manca ancora l'atto definitivo. Inoltre i documenti pubblicati sul sito del Ministero della transizione ecologica prevedono una zonizzazione delle aree il che indebolirà il valore del PiTESAI. Infine, dopo 3 anni è scaduta al 30 settembre 2021 la moratoria nei confronti dei nuovi progetti di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi per cui le attività inquinanti finalizzate ad estrarre idrocarburi da nuovi giacimenti potrebbero riprendere. Tutto ciò rappresenta un netto arretramento dell'Italia nei confronti della transizione ecologica. Anche la proposta delle regioni di estrarre nelle aree idonee solo gas metano oltre a non essere in linea con il dettato costituzionale e la norma in questione in quanto non hanno competenza sulle zone a mare, è comunque impattante sull'ambiente, in quanto per verificare la presenza di idrocarburi in mare occorrono operazioni di prospezione e ricerca di idrocarburi che prevedono l'utilizzo di Air Gun fortemente e impattante sulla fauna marina;

    la narrazione condotta dai Governi italiani che ha portato alla costruzione del gasdotto TAP veniva motivata dalla necessità di ulteriore approvvigionamento di gas dall'estero per abbassare le bollette elettriche dei cittadini. Oggi invece il Ministro della transizione ecologica afferma che al fine di diminuire il costo delle bollette elettriche dei cittadini si dovrebbe diminuire l'approvvigionamento di gas importato dall'estero e aumentare la produzione nazionale. Tutto ciò oltre a rappresentare una evidente contraddizione non è corroborato da alcun dato scientifico dato per assodato che un eventuale incremento della produzione domestica italiana verrebbe scambiato a mercato secondo il livello di prezzo a cui si attesta in quel momento il mercato del gas italiano, ossia il PSV ed inoltre l'ambito di riferimento di tale dinamica non è solo il mercato italiano, ma quello europeo nel suo complesso, essendo i mercati di gas all'ingrosso strettamente interconnessi sia come scambi di volumi che come logiche di formazione del prezzo, per cui qualsiasi volume in tal senso dev'essere misurato su scala europea. Pertanto se ne deduce che un aumento di estrazione di idrocarburi in Italia di circa 4 miliardi di metri cubi annui rispetto l'attuale fabbisogno europeo di circa 400 miliardi di metri cubi annui, avrebbe un effetto ininfluente sul costo delle bollette elettriche dei cittadini;

    i risultati dei programmi di finanziamento EEPR e NER 300 a sostegno delle tecnologie di cattura e stoccaggio di carbonio nei giacimenti fossili in via di esaurimento (CCS) sono stati bocciati dalla Corte dei conti europea al punto che i progetti finanziati sono stati cancellati o conclusi senza essere entrati in funzione oppure senza che abbiano dimostrato vantaggi significativi. Inoltre, al momento non si conoscono i prevedibili rischi legati a tale tecnologia, gli impatti ambientali e i costi di manutenzione. È ormai accertato che i progetti di CCS sono utili soltanto alle multinazionali degli idrocarburi al fine di esaurire i giacimenti;

    l'industria è una componente fondamentale dell'economia europea. Secondo Eurostat, nel 2018, rappresentava il 17,6 per cento del prodotto interno lordo (Pil) e impiegava direttamente 36 milioni di persone. Allo stesso tempo, l'industria è responsabile di oltre la metà delle emissioni totali di alcuni principali inquinanti atmosferici e dei gas a effetto serra, nonché di altri importanti impatti ambientali, tra cui il rilascio di inquinanti nell'acqua e nel suolo, la produzione di rifiuti e il consumo energetico. L'inquinamento industriale in Europa sta diminuendo grazie a una combinazione di normative e sviluppi nelle iniziative manifatturiere e ambientali. Tuttavia, l'industria continua a inquinare e la transizione verso la neutralità climatica in questo settore è una sfida ambiziosa. L'inquinamento atmosferico è spesso associato alla combustione di fonti fossili. Ciò vale ovviamente per le centrali elettriche ma anche per molte altre attività industriali che possono disporre in loco di produzione di energia elettrica o termica, come la produzione di ferro e acciaio o la produzione di cemento. Dalla produzione di acciaio primario da ciclo integrato vengono prodotte anche emissioni di inquinanti cancerogeni e genotossici come le diossine e il benz(a)pirene;

    in Italia al 2020 sono stati prodotti 20,9 milioni di tonnellate di acciaio nei 39 siti di produzione dislocati in tutto il Paese di cui 37 siti da forni elettrici che rappresentano l'83,5 per cento della produzione nazionale e 2 siti da altoforno che rappresentano il 16,5 per cento della produzione nazionale. Relativamente ai 2 siti di produzione di acciaio da altoforno, mentre la produzione di Piombino è ferma per inadempienze del gestore, a Taranto la produzione non si è mai fermata. Taranto e Piombino sono gli ultimi due siti rimasti in Italia di produzione di acciaio da altoforno, poiché per risolvere le criticità ambientali e sanitarie da ciclo integrato da altoforno, nel 1999 per Genova e nel 2021 per Trieste, sono stati realizzati degli accordi di programma al fine di chiudere gli impianti più inquinanti che sono nelle «aree a caldo» dei siderurgici, rinforzare le «aree a freddo», sostenere il reddito dei lavoratori formandoli per altre occupazioni;

    inspiegabilmente a Taranto non è stato deciso lo stesso destino di Genova e Trieste nonostante nel capoluogo jonico gli effetti della produzione di acciaio su ambiente e salute siano notevolmente più impattanti. Infatti, a Taranto l'area a caldo è sottoposta dal 2012 a sequestro giudiziario senza facoltà d'uso della magistratura con l'accusa di aver «creato eventi di malattia e morte nella popolazione» e il relativo processo è in fase di svolgimento; tuttavia, con oltre 13 decreti-legge è stata creata una legislazione speciale per la continuità produttiva del siderurgico di Taranto stabilendo tra l'altro nel 2012, subito dopo il sequestro giudiziario, la continuità produttiva anche in caso di sequestro senza facoltà d'uso. A causa della produzione di acciaio dell'ex Ilva di Taranto l'Italia è stata condannata nel 2019 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dal 2013 è soggetta a procedura d'infrazione per la mancata realizzazione dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il termine temporale di realizzazione dell'autorizzazione integrata ambientale è stato di volta in volta prorogato nel tempo e dal 2015 è scivolato ad agosto 2023. I dati sanitari e ambientali continuano a rappresentare una realtà drammatica. Dagli annunci del Governo si evincerebbe un ulteriore piano industriale – al momento – non pubblico che teoricamente decarbonizzerebbe l'ex Ilva non prima del 2030 al costo stimabile, ma presumibilmente molto più alto, di 6 miliardi di euro. Tale opzione non permetterà di bonificare l'intera area inquinata in quanto molte aree che necessitano di bonifica sono occupate da impianti esistenti o di prossima costruzione;

    sia la produzione di acciaio da forno elettrico che quella da altoforno creano fenomeni emissivi inquinanti. Notoriamente l'acciaio prodotto da Altoforno è qualitativamente migliore rispetto a quello prodotto da forno elettrico ma al contempo crea effetti maggiormente inquinanti. Tuttavia, l'utilizzo di Dri – un semilavorato siderurgico contenente prevalentemente ferro metallico ottenuto a partire da pellet (palline) di minerale ferroso trattate per mezzo di monossido di carbonio (CO) e idrogeno (H2) – nei forni elettrici migliorerebbe la qualità dell'acciaio che potrebbe essere qualitativamente paragonabile a quello da altoforno e al contempo si stimano impatti emissivi più tenui, anche se non esistono studi che corroborano questa tesi redatti dal Ministero della transizione ecologica e da quello della salute. La realizzazione di grandi impianti da Dri in Europa non è economicamente sostenibile da parte di privati se non con costi totalmente a carico della collettività;

    oltre il 70 per cento delle emissioni del settore dei trasporti in Europa si devono ai trasporti su strada. Gli inquinanti atmosferici, come il particolato (PM) e il biossido di azoto (NO2), danneggiano la salute umana e l'ambiente. Sebbene l'inquinamento atmosferico provocato dai trasporti sia diminuito nell'ultimo decennio grazie all'introduzione di norme di qualità per i carburanti, alle norme europee sulle emissioni dei veicoli e all'uso di tecnologie più pulite, le concentrazioni di inquinanti atmosferici sono ancora troppo elevate. L'inquinamento acustico rappresenta un altro importante problema di salute ambientale legato ai trasporti. Il traffico stradale costituisce la fonte di rumore più diffusa, con più di 100 milioni di persone colpite da livelli nocivi nei Paesi membri dell'Aea. Inoltre, le infrastrutture di trasporto hanno un grave impatto sul paesaggio, perché dividono le aree naturali in piccoli appezzamenti con gravi conseguenze per gli animali e le piante. L'utilizzo di veicoli elettrici per la mobilità urbana ed extraurbana al posto di quelli endotermici ridurrebbe sia le emissioni inquinanti sia l'impatto acustico della circolazione stradale, inoltre diminuirebbe la domanda di fonti fossili come petrolio e gas;

    modificare i modelli di consumo dei materiali e gestire correttamente i rifiuti non solo permette di risparmiare denaro e aumentare l'occupazione, ma è anche importante per migliorare le prestazioni ambientali e ridurre il cambiamento climatico, preservando inoltre le materie prime. A tal fine, devono essere necessariamente perseguiti gli obiettivi stabiliti in senso gerarchico dall'articolo 4 della direttiva 98/2008 incentivando la riduzione a monte della produzione dei rifiuti e la preparazione al riutilizzo, in seconda istanza il riciclo dei materiali e soltanto in modo residuale – e quindi non dovrebbero essere incentivati – il recupero e il recupero energetico. L'incenerimento dei rifiuti è un trattamento che, a seconda dell'efficienza energetica, si colloca tra la pratica residuale del recupero energetico e lo smaltimento al pari di una discarica e pertanto non deve essere promosso, in quanto è una pratica in contrasto con il principio europeo di «non arrecare un danno significativo»;

    le città contribuiscono fortemente al cambiamento climatico in quanto circa il 75 per cento degli europei vive in aree urbane. Le aree urbane sono responsabili del 60-80 per cento del consumo di energia a livello mondiale e più o meno della stessa percentuale di emissioni di CO2, dunque è logico che abbiano un'impronta di carbonio voluminosa. Edifici ed elettrodomestici più efficienti possono far risparmiare ingenti quantità di energia, emissioni e denaro. Una porzione considerevole dell'energia utilizzata dalle famiglie europee serve per riscaldare le abitazioni pertanto la riqualificazione energetica deve essere pianificata e sostenuta con adeguati incentivi fruibili nel tempo dalla totalità delle famiglie;

    il regolamento (UE) 2020/852 relativo all'istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (il «regolamento tassonomia dell'Unione europea») è entrato in vigore il 12 luglio 2020. A norma di tale regolamento il Parlamento europeo e il Consiglio hanno conferito alla Commissione europea il mandato di fornire, mediante atti delegati, i criteri di vaglio tecnico per determinare se un'attività economica contribuisce in modo sostanziale agli obiettivi ambientali. Tali criteri aiuteranno le imprese, gli investitori e i partecipanti ai mercati finanziari a stabilire adeguatamente quali attività possono essere considerate ecosostenibili. Attualmente, vi sono due punti controversi che hanno spaccato l'Europa e sono rappresentati dalla proposta di alcuni Stati di inserire nucleare e gas tra le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. L'Italia non ha pubblicamente preso posizione in merito nonostante la produzione di energia nucleare sia stata oggetto di ben due referendum abrogativi del 1987 e del 2011 che hanno decretato (con forza di legge rinforzata) la fine della produzione e dello sfruttamento dell'energia nucleare;

    in data 9 gennaio 2022 il Commissario europeo al mercato interno Thierry Breton ha affermato che «le centrali nucleari europee di nuova generazione richiederanno all'Unione europea un investimento di 500 miliardi di euro, da qui al 2050», aggiungendo che «solo gli impianti nucleari già in funzione necessitano di 50 miliardi di euro di investimenti fino al 2030». Tali dichiarazioni rendono chiara l'idea dello spropositato e insostenibile esborso economico a carico dei cittadini europei di politiche energetiche che confermino e/o rilancino la produzione di energia da nucleare nel continente;

    inoltre, in Italia, come nel resto del mondo, perdura il problema del decommissioning, in quanto dopo 34 anni dallo spegnimento dei reattori italiani il problema dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari e dagli altri siti nucleari ad esse correlate non sono stati ancora risolti e attualmente i rifiuti radioattivi sono in parte all'estero per essere riprocessati per poi tornare in Italia e in parte sono dislocati in 19 siti temporanei sul territorio nazionale, così sono scaricati sulle bollette dei cittadini. Se per i rifiuti radioattivi a bassa e molto bassa attività si è in fase di individuazione di un deposito nazionale dove stoccarli definitivamente e che dovrebbe essere pronto non prima del 2029, il problema rimane irrisolto per i rifiuti a media e soprattutto per quelli ad alta attività per i quali al mondo non si è ancora riusciti a trovare metodi e/o siti dove smaltirli definitivamente. Tantomeno i roboanti annunci sul rilancio del nucleare di IV generazione ma anche sulla fusione nucleare non si sono ancora concretizzati e i tempi di realizzazione da oltre 10 anni vengono di volta in volta spostati avanti e al momento le stime molto approssimative indicano la realizzazione nei prossimi decenni, sicuramente troppo avanti nel tempo per rispettare gli impegni presi per contrastare i cambiamenti climatici. Occorre aggiungere che, nonostante i costi della ricerca in tali settori siano quadruplicati rispetto alle stime iniziali, al momento non si conoscono gli impatti ambientali e gli effetti sulla salute per cui è impossibile definire come «sicure e sostenibili» queste produzioni energetiche;

    in merito ai costi per la produzione di energia elettrica, secondo lo studio «World Nuclear Industry Status Report 2020» (Wnisr) – un rapporto annuale prodotto da un gruppo di esperti internazionali indipendenti – produrre 1 chilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l'eolico 4,0 centesimi di dollaro, con il gas è costato 5,9 centesimi di dollaro, con il carbone 11,2 centesimi di dollaro e con il nucleare 16,3 centesimi di dollaro. È quindi ovvio che continuare a puntare sulle fonti fossili così come sul nucleare abbia un costo economico maggiore scaricato sulla cittadinanza rispetto al puntare sulle fonti rinnovabili;

    per velocizzare la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili la direttiva dell'Unione europea n. 2018/2001 (cosiddetta RED II) prescrive che gli Stati membri pianifichino le aree idonee alla loro installazione, nel rispetto del principio «non arrecare un danno significativo» all'ambiente. Il Governo ha parzialmente dato attuazione alla direttiva RED II con il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, senza ancora, tuttavia, individuare, tramite il Ministero per la transizione ecologica, le suddette aree idonee e non idonee, nonostante abbia già ricevuto, in data 26 luglio 2021, una lettera di messa in mora da parte della Commissione europea, determinando in tal modo il concreto rischio di sospensione dell'erogazione delle prossime tranche di finanziamenti europei del Recovery Plan, necessari per realizzare la transizione ecologica;

    parimenti il Governo ha dato attuazione solo parzialmente, tramite il decreto legislativo n. 201 del 2016, alla direttiva dell'Unione europea n. 2014/89 sulla pianificazione dello spazio marittimo, anche ai fini della individuazione delle aree più idonee alla installazione degli impianti eolici off shore, come precisato nella comunicazione della Commissione europea n. 741 del 19 novembre 2020. Nonostante le linee guida approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° dicembre 2017, ad oggi ancora nessun piano di gestione dello spazio marittimo è stato approvato dal Comitato tecnico istituito presso il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, rendendo concreto il pericolo di una procedura di infrazione e non fornendo un quadro chiaro sugli interventi ammissibili agli imprenditori del settore eolico, alla cittadinanza e agli enti pubblici coinvolti nelle procedure autorizzative;

    per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo per l'energia, secondo i dati del «Rapporto annuale per l'energia elettrica» del Ministero della transizione ecologica, nel 2018 la spesa per ricerca nell'efficienza energetica è diminuita al 57 per cento, mentre nel 2016 era al 58 per cento, ma è quadruplicata rispetto al 2007. L'efficienza energetica assieme alle fonti rinnovabili e alle tecnologie per la conversione, la trasmissione, la distribuzione e lo stoccaggio di energia elettrica, rappresenta il 76 per cento della ricerca energetica italiana, mentre il peso della ricerca sulle fonti fossili è circa del 12 per cento, mentre sul nucleare è circa del 7 per cento;

    la valorizzazione di fonti energetiche, come il nucleare ed il gas, costituisce il fondamento della tesi ritardista che propugna la necessità di rallentare la transizione ecologica, al fine di spalmare nel tempo gli enormi costi ad essa connessi. Sennonché è convinzione molto radicata e difficilmente contestabile che la transizione ecologica non debba essere rallentata ma al contrario accelerata con politiche di stimolo degli investimenti di lungo periodo necessari ad aumentare l'offerta di energia pulita e il nucleare come anche il gas non sono, quindi, la soluzione al problema della crisi energetica, per cui sarebbe necessario che la Commissione europea e i Governi nazionali cogliessero l'opportunità (se non la necessità) di rivolgere i propri sforzi e la propria attenzione verso l'accelerazione di una transizione ecologica fondata sullo sfruttamento delle energie veramente pulite;

    il 3° Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli identifica sussidi ambientalmente favorevoli (Saf) stimati per il 2018 in 15,3 miliardi di euro e sussidi ambientalmente dannosi (Sad) stimati in 19,7, quelli di incerta classificazione in 8,6 miliardi di euro. Fra i dannosi, i sussidi alle fonti fossili sono stimati in 17,7 miliardi di euro. La Strategia dell'Unione europea per l'integrazione del sistema energetico COM(2020)299 persegue l'obiettivo di guidare gli Stati membri nella graduale eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili;

    con la strategia dell'Unione europea sulla biodiversità per il 2030 gli Stati membri si sono impegnati a creare una rete di zone protette ben gestite comprendenti almeno il 30 per cento della superficie terrestre e marina dell'Unione europea. L'Italia è ben lontana da questo obiettivo avendo una superficie terrestre protetta del 20 per cento e una superficie marina protetta del 15 per cento. La biodiversità è un presupposto per lo sviluppo sostenibile dell'uomo e degli altri esseri viventi nonché degli ecosistemi. La biodiversità e le foreste contribuiscono alla riduzione della povertà, per esempio garantendo la salute e la sicurezza alimentare, mettendo a disposizione acqua e aria pulite, immagazzinando le emissioni di CO2 e fornendo una base allo sviluppo ecologico. Inoltre, la promozione e la fruizione sostenibile delle aree protette rappresenta un volano per il turismo sostenibile da preferire a quello invasivo e di massa. Le statistiche mostrano tuttavia una costante riduzione della biodiversità e una perdita delle superfici boschive,

impegna il Governo:

1) a stabilire una pianificazione con tempi certi e stringenti per garantire il phase-out dalle fonti fossili, salvaguardando la sicurezza dell'approvvigionamento energetico mediante un importante ricorso alle fonti di energia rinnovabile, adeguati stoccaggi di energia e mirati investimenti per migliorare la stabilità delle rete elettrica nazionale;

2) ad adottare iniziative per pianificare la riconversione del «core business» delle società partecipate Eni e Snam al fine di renderle libere dagli idrocarburi e compatibili con una decarbonizzazione totale e quindi garantirle un futuro anche oltre il phase-out dalle fonti fossili;

3) ad adottare iniziative per diminuire gradualmente in Italia l'estrazione di idrocarburi in mare e in terra ed inoltre vietare il rilascio di nuovi permessi di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi;

4) a prevedere una zonizzazione delle aree non idonee nel Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai) con mappe dove si possa verificare quali sono le zone in mare e in terra dove i procedimenti sono vietati e, quindi, dove le concessioni in essere non verranno prorogate a termine della concessione e, di conseguenza, gli iter dei procedimenti non ancora rilasciati verranno respinti;

5) ad adottare iniziative volte ad accompagnare la riconversione dell'industria oil & gas, pianificando in tempi certi una graduale dismissione e una riconversione ove possibile e facendo sì che siano assicurati da parte del mercato, in virtù del principio europeo «chi inquina paga», investimenti privati in nuove tecnologie, la sostituzione e la dismissione degli impianti obsoleti esistenti, e ad incoraggiare l'automazione, la digitalizzazione e l'elettrificazione diffusa della filiera di produzione energetica, nonché l'utilizzo di sistemi per il rilevamento accurato e l'individuazione puntuale delle perdite di metano;

6) ad adottare iniziative per disincentivare la realizzazione dei progetti di CCS, in quanto non garantiscono alcun ritorno economico, ambientale e sociale per il Paese;

7) ad esprimere pubblicamente e in sede europea il netto dissenso nei confronti dell'inserimento del gas naturale e del nucleare nella tassonomia verde;

8) ad adottare iniziative per incentivare e semplificare la riduzione a monte della produzione dei rifiuti e la preparazione al riutilizzo, e in via subordinata, il riciclo dei materiali, posto che il recupero e il recupero energetico non devono ottenere né semplificazioni normative né incentivi diretti e indiretti;

9) a velocizzare la pubblicazione delle linee guida per l'individuazione delle aree idonee e non idonee per la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e la redazione dei piani di gestione degli spazi marittimi;

10) ad adottare iniziative per condizionare la concessione dei finanziamenti pubblici per la realizzazione degli impianti di produzione di energia rinnovabile, alla loro collocazione sulle aree e sugli spazi marittimi pianificati come idonei dal Ministero competente e dalle regioni;

11) a promuovere l'eolico off shore e l'agrovoltaico nel rispetto dei vincoli ambientali, paesaggistici e senza arrecare danno alla fauna, alla flora e alle colture caratteristiche;

12) a promuovere, con un Piano nazionale dell'acciaio, una visione moderna, competitiva, innovativa e sostenibile della produzione italiana dell'acciaio migliorando la qualità dell'acciaio prodotto nei forni elettrici attualmente esistenti, tramite l'utilizzo di Dri e di idrogeno verde e a concludere entro il 2022, attraverso accordi di programma con gli enti locali in analogia al modello Genova, la chiusura delle «aree a caldo» dei cicli integrati dell'acciaio primario, a cominciare dal polo di Taranto, adottando iniziative affinché gli accordi di programma prevedano la formazione lavorativa e il reimpiego degli eventuali lavoratori in esubero garantendo i livelli reddituali;

13) ad adottare iniziative per ripristinare gli incentivi per i veicoli elettrici fino al 2035 prevedendone una graduale riduzione a partire dal 2030 e contestualmente modernizzare in tempi certi la rete stradale di competenza di Anas e la rete autostradale italiana in «Smart Road» con punti di ricarica elettrica «Fast Charge» almeno ogni 50 chilometri;

14) ad adottare iniziative per incentivare la riqualificazione energetica dell'edilizia pubblica e privata rinnovando la misura del «bonus 110 per cento» fino al 2030;

15) ad adottare iniziative per pianificare in tempi certi la dismissione dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad) prevedendo altresì entro il 2023 che gli stessi sussidi ambientalmente dannosi siano esclusi dalle bollette elettriche dei cittadini;

16) a pianificare ed adottare iniziative volte alla formazione occupazionale dei lavoratori attualmente impiegati nei settori «hard to abate» e «oil & gas», garantendone i livelli reddituali e riconvertendo tali posizioni lavorative nei settori delle energie rinnovabili, nella riqualificazione energetica degli edifici, nelle bonifiche ambientali, nella protezione e tutela ambientale, nella digitalizzazione dei servizi e dei processi, nell'economia circolare;

17) a porre in essere ogni iniziativa affinché i Piani territoriali per una «transizione giusta» siano diretti prevalentemente ad agevolare le persone, le piccole e medie imprese e gli enti territoriali attualmente svantaggiati e arretrati rispetto la transizione ecologica, agevolando le opportunità di lavoro in nuovi settori e in quelli in fase di transizione, investendo nella lotta alla povertà energetica, facilitando l'accesso a un'energia pulita e rinnovabile, sicura e a prezzi equi, sostenendo la transizione delle piccole e medie imprese verso tecnologie a basse o bassissime emissioni di CO2, incentivando la decarbonizzazione dei settori dell'agricoltura e della pesca sostenibile, investendo nella creazione di nuove aziende, piccole e medie imprese e start-up e investendo in attività di ricerca e innovazione.
(1-00570) (Nuova formulazione) «Vianello, Cabras, Colletti, Corda, Costanzo, Forciniti, Giuliodori, Raduzzi, Paolo Nicolò Romano, Sapia, Spessotto, Testamento, Trano, Vallascas, Leda Volpi, Lombardo, Benedetti, Sarli».

(11 gennaio 2022)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   dal 31 dicembre 2021 non sono stati rinnovati i 425 contratti dei lavoratori in somministrazione che, tramite Adecco, prestavano la propria attività da circa 3 anni in Poste italiane;

   da quanto si apprende Poste italiane continua a mettere in discussione, a giudizio dell'interrogante senza alcuna giustificazione, gli impegni già assunti al Ministero dello sviluppo economico circa la continuità occupazionale di questi lavoratori e con un atteggiamento giudicato incomprensibile non si è presentata all'incontro del 30 novembre 2021 con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la «procedura di raffreddamento» a seguito della proclamazione dello stato di agitazione da parte dei lavoratori;

   la condizione di precarietà lavorativa nella quale versano i 425 lavoratori somministrati in missione in Poste italiane a parere dell'interrogante non è più accettabile e il Ministro interrogato deve farsi garante degli impegni sottoscritti chiamando Poste italiane alle proprie responsabilità verso i lavoratori, le lavoratrici e le loro famiglie, anche per evitare che si affermi un modello di precarietà generale nella più grande azienda di Stato nel nostro Paese;

   il 19 gennaio 2022, dopo il presidio dei 425 lavoratori somministrati, il Governo si è impegnato ad aprire un tavolo di crisi entro metà febbraio 2022, tavolo sollecitato dalle organizzazioni sindacali il 4 febbraio 2022 con l'invio di una lettera al Ministero dello sviluppo economico;

   con il perdurare della pandemia e dell'emergenza sanitaria che sta moltiplicando gli effetti di una crisi economica e sociale che era già presente nel nostro Paese ben prima dell'avvento del COVID, è compito prioritario del Governo compiere ogni sforzo per tutelare e salvaguardare l'occupazione nel nostro Paese, a partire dalle aziende controllate e partecipate dallo Stato che hanno il dovere sociale di anteporre il benessere pubblico, il diritto al lavoro, il sostegno alle famiglie a logiche di profitto e non è, quindi, ammissibile che le aziende di Stato siano le prime ad abbandonare lavoratrici e lavoratori, scaricando su di loro i costi di piani industriali in cui il profitto viene garantito dal ribasso sui diritti dei lavoratori –:

   se il Governo, confermando l'impegno ad aprire urgentemente un tavolo di crisi, non intenda richiamare Poste italiane, azienda di Stato, al rispetto degli impegni presi e ad assicurare il mantenimento della continuità lavorativa di tutto il perimetro occupazionale esistente all'epoca del verbale sottoscritto al Ministero dello sviluppo economico nell'ottobre 2020 e alla condivisione di eventuali ulteriori percorsi occupazionali, al fine di garantire continuità occupazionale a tutti i 425 lavoratori e lavoratrici in somministrazione che hanno prestato servizio nel corso del 2021.
(3-02744)

(8 febbraio 2022)

   ANDREA ROMANO, NARDI, BENAMATI, BURATTI, CANTINI, CECCANTI, CENNI, CIAMPI, DI GIORGI, LOTTI, ROTTA, SANI, SENSI, BERLINGHIERI, LORENZIN e FIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il futuro dell'impianto Eni di Stagno (Livorno) desta fortissime preoccupazioni negli oltre mille lavoratori diretti e dell'indotto, nelle associazioni sindacali e nelle amministrazioni locali dei comuni della costa livornese per il sommarsi dell'assenza di impegni chiari di parte aziendale circa le prospettive di investimento, della comunicazione relativa alla chiusura a fine 2022 della linea di produzione di carburanti, del mancato coinvolgimento dello stesso impianto nei piani di transizione energetica ricompresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza;

   in conseguenza di questo scenario di incertezza e dell'annunciata riduzione della produzione, alcune aziende dell'indotto hanno già avviato procedure di licenziamento;

   il 5 agosto 2021 i sindaci dei comuni di Livorno, Rosignano Marittimo e Collesalvetti hanno scritto al Ministro interrogato sollecitando la convocazione urgente del comitato esecutivo dell'accordo di programma per il rilancio competitivo dell'area costiera livornese, sottolineando che tale comitato non si riunisce da oltre diciotto mesi, che la pandemia ha duramente colpito un territorio già riconosciuto come area di crisi industriale complessa, che esistono «forti elementi di incertezza sulle prospettive della raffineria Eni che devono trovare risposte, garantendo un futuro di lungo periodo di questo insediamento»; tale lettera non ha finora avuto alcuna risposta da parte del Ministro interrogato;

   il 10 dicembre 2021 il presidente della regione Toscana Giani ha scritto al Ministro interrogato e in copia al Viceministro Todde, «sollecitando la convocazione di un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico per discutere la situazione della raffineria Eni di Livorno»;

   il 6 ottobre 2021 il Viceministro dello sviluppo economico Pichetto Fratin, rispondendo ad un'interrogazione in X Commissione (attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati presentata dal Partito democratico, ha affermato che «il Governo intende rispondere positivamente alla richiesta di un tavolo di confronto con Eni per condividere una strategia sul futuro dell'impianto»; ad oggi, trascorsi oltre quattro mesi dall'impegno formale assunto dal Governo, non si ha notizia di alcuna conseguente iniziativa del Ministero dello sviluppo economico –:

   alla luce dei fatti esposti in premessa, quali iniziative concrete e urgenti il Governo intenda assumere per dar seguito all'impegno già preso in Commissione e, dunque, per convocare un tavolo tra Eni, enti locali e associazioni sindacali che abbia al centro la condivisione di una strategia industriale relativa all'impianto Eni di Stagno capace di dare certezze sugli investimenti e, quindi, sui livelli occupazionali della raffineria, la cui centralità per il territorio livornese e per l'intera costa toscana è imprescindibile da decenni.
(3-02745)

(8 febbraio 2022)

   DAVIDE CRIPPA, SUT, ALEMANNO, CARABETTA, CHIAZZESE, FRACCARO, GIARRIZZO, MASI, ORRICO, PALMISANO e PERCONTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   alla crisi sanitaria e a quella economica, conseguita all'emergenza epidemiologica da COVID-19, si è aggiunta l'impennata dei prezzi dell'energia e del gas con pesanti ripercussioni sulle imprese, oramai in forte difficoltà nel mantenere la propria capacità produttiva e nel far fronte al pagamento delle spese relative alle utenze;

   nel comunicato dell'8 gennaio 2022, la Cgia ha segnalato che, rispetto al 2019, l'extra costo stimato che le imprese italiane sosterranno nel 2022, a causa solo dell'aumento del prezzo delle tariffe elettriche, ammonta a quasi 36 miliardi di euro;

   tale evoluzione dello scenario energetico, secondo i calcoli effettuati dal Centro studi di Confindustria, comporta per la manifattura italiana un incremento di costi per la fornitura di energia che passano dagli 8 miliardi di euro circa nel 2019 ad oltre 20 miliardi di euro nel 2021 e ad oltre 37 miliardi di euro nel 2022, ovvero un costo complessivo del 350 per cento nel 2021 e del 650 per cento rispetto ai costi del 2020;

   dal bilancio realizzato da Unioncamere-Bmti sull'evoluzione delle tariffe pagate nell'ultimo anno dalle piccole e medie imprese italiane del 13 gennaio 2022 emerge, inoltre, che a pesare sugli aumenti è il forte rincaro delle quotazioni internazionali del gas naturale, a causa degli squilibri nel mercato tra l'aumento della domanda mondiale di gas e le rigidità dell'offerta. Seppur in calo rispetto ai picchi di dicembre 2021, le quotazioni del gas naturale al Ttf, il mercato olandese di riferimento per l'Europa, si sono attestate a fine gennaio 2022 sugli 85 euro per megawatt, di fatto quadruplicate rispetto ad un anno fa;

   il sostegno ai settori previsto dal recente decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (cosiddetto sostegni-ter), non pare suscettibile di garantire in via strutturale e permanente una soluzione alle criticità sopra menzionate e relative ai rincari dei costi dell'energia per le categorie produttive, gravemente colpite dalla cosiddetta pandemia energetica –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per sostenere le piccole e medie imprese, la cui capacità produttiva è fortemente penalizzata dall'impennata dei prezzi dell'elettricità e del gas, e se il Governo intenda, a tal fine, valutare l'opportunità di presentare al Parlamento una relazione ai sensi dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, sullo scostamento dal percorso di rientro all'obiettivo di medio termine, al fine di proseguire nel percorso di mitigazione degli effetti negativi citati in premessa, anche prevedendo nuovi stanziamenti a favore delle imprese.
(3-02746)

(8 febbraio 2022)

   ANGIOLA e COSTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la crescita dei prezzi dell'energia sta raggiungendo picchi insostenibili; il Consiglio europeo attesta un aumento del prezzo del gas del 170 per cento nella seconda metà del 2021 e l'Arera ha comunicato aumenti record del +55 per cento per l'elettricità e del +41,8 per cento per il gas nelle tariffe del mercato tutelato nel primo trimestre 2022;

   le imprese italiane, in particolare le medio-piccole, sono da decenni penalizzate da un costo dell'energia maggiore rispetto ai nostri vicini dell'Eurozona; Confartigianato, ad agosto 2021, segnala che le utenze non domestiche che consumano fino a 20 megawatt (l'87,8 per cento dei punti di prelievo) pagano il prezzo più alto dell'elettricità nell'Unione europea, superiore del 18,1 per cento rispetto alla media; dal 2008 al 2020 il maggiore costo dell'elettricità pagato dalle imprese italiane rispetto all'Unione europea si attesta su una media del 25,5 per cento;

   l'aumento del costo dell'energia è una delle cause che ha determinato la crescita dell'inflazione; Eurostat stima un aumento dei prezzi al consumo a gennaio del 5,1 per cento. Tuttavia questo aumento dei prezzi – di per sé dannoso per i cittadini – è molto inferiore all'aumento del costo dell'energia e sta mettendo in difficoltà le imprese, che non possono compensare l'aumento dei costi di produzione con un aumento proporzionale dei prezzi, costringendole in alcuni casi alla drammatica scelta di non produrre, ritenendolo più conveniente;

   il Governo ha posto in essere diverse misure di brevissimo periodo – peraltro in linea con quello che Azione propone da settimane – come l'utilizzo dei proventi degli Ets per ridurre gli oneri generali di sistema per le famiglie e le imprese e la tassazione di parte degli extra-profitti per contenere l'aumento delle bollette. Tuttavia, molte di queste misure hanno un orizzonte temporale limitato al primo trimestre del 2022 e non è prevista la messa a disposizione, per le imprese gasivore, di una parte delle scorte strategiche di gas a prezzi calmierati, che l'interrogante ritiene necessaria per contenere l'aumento del prezzo medio annuale per queste imprese;

   non sono infine previste azioni di lungo periodo, che non riguardano solo il Ministero dello sviluppo economico, come l'aumento strutturale della produzione nazionale di gas, la riforma del prezzo delle energie rinnovabili e quella delle aliquote delle royalty –:

   quali iniziative di competenza, anche di carattere strutturale, intenda adottare a partire da aprile 2022 per consentire alle imprese, in particolare quelle gasivore, la pianificazione necessaria per uscire da questa grave crisi e continuare – o ricominciare – a produrre senza che questo determini perdite finanziarie.
(3-02747)

(8 febbraio 2022)

   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ALBANO, BELLUCCI, BIGNAMI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, DE TOMA, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FOTI, FRASSINETTI, GALANTINO, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, GIOVANNI RUSSO, RACHELE SILVESTRI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI, VINCI e ZUCCONI. — Al Ministro della transizione ecologica. — Per sapere – premesso che:

   tutti i quotidiani di oggi, 8 febbraio 2022, hanno riportato le dichiarazioni rese dal Ministro interrogato, in occasione del suo intervento alla terza tappa a Genova di «Italia domani: dialoghi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza»;

   secondo il Ministro interrogato, i rincari del prezzo dell'energia che stanno colpendo famiglie e imprese impediranno, di fatto, la transizione verso forme produttive ecologicamente più sostenibili, perché «l'aumento del costo dell'energia rischia di avere un costo totale l'anno prossimo superiore all'intero pacchetto del Piano nazionale di ripresa e resilienza»;

   con riferimento all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, inoltre, l'impiego dei fondi sta segnando gravi ritardi per quanto riguarda gli obiettivi da realizzare e proprio i Ministeri più coinvolti sembrano non riuscire a gestire né la mole dei finanziamenti, né tantomeno il connesso impegno amministrativo e burocratico, oltre a subire le ricadute degli aumenti dei costi delle materie prime;

   in questo quadro desta allarme anche quanto emerso a dicembre 2021 rispetto alle risorse del Fondo di sviluppo e coesione del periodo 2014-2020, che, a fronte di una disponibilità di 47,5 miliardi di euro programmati, ne ha visti impegnare poco più di 11 e pagati appena 4,2, fermandosi a una percentuale di spesa inferiore addirittura al 10 per cento –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per contrastare gli aumenti del prezzo dell'energia e al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi fissati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, nel rispetto dei tempi previsti, e un'ottimale allocazione delle relative risorse.
(3-02748)

(8 febbraio 2022)

   SIRACUSANO, PRESTIGIACOMO e CANNIZZARO. — Al Ministro per il sud e la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge n. 44 del 2021 ha introdotto, grazie ad un'importante iniziativa del Ministro interrogato, disposizioni finalizzate al risanamento e alla riqualificazione urbana e ambientale delle aree ove insistono le baraccopoli della città di Messina, nonché ad assicurare gli investimenti necessari per il ricollocamento abitativo delle persone residenti;

   con la richiamata disposizione, al fine di attuare con urgenza i necessari interventi di risanamento, è stata introdotta la figura del commissario straordinario, dotato di una struttura di supporto. Per i predetti interventi è stata autorizzata la spesa di 100 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, periodo di programmazione 2021-2027;

   con decreto del Presidente della Repubblica dell'11 giugno 2021, il prefetto di Messina, Cosima Di Stani, è stato nominato commissario straordinario del Governo per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, il risanamento, la bonifica e la riqualificazione urbana e ambientale, nonché per il ricollocamento abitativo delle persone ivi residenti;

   l'attuale emergenza epidemiologica ha aggravato la situazione di degrado di quell'area, in ragione dei concreti rischi per la salute dei suoi abitanti; si tratta di circa 8.000 persone che vivono, appunto, in condizioni fortemente precarie e senza i minimi requisiti igienico-sanitari –:

   se intenda chiarire quali siano i termini di avanzamento degli interventi, con particolare riguardo alle attività sino ad oggi realizzate.
(3-02749)

(8 febbraio 2022)

   D'ALESSANDRO, OCCHIONERO, MIGLIORE, FREGOLENT, UNGARO, MARCO DI MAIO e VITIELLO. — Al Ministro per il sud e la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, cosiddetto Governance Pnrr, prevede all'articolo 2, comma 6-bis, che «almeno il 40 per cento» delle risorse allocabili territorialmente, anche attraverso bandi, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato alle regioni del Mezzogiorno. La norma assegna, inoltre, al Dipartimento per le politiche di coesione il compito di sottoporre gli eventuali casi di scostamento alla cabina di regia, che è tenuta ad adottare le occorrenti misure correttive e compensative, nell'ambito dei suoi poteri di «indirizzo, impulso e coordinamento generale» sull'attuazione degli interventi del Piano;

   in realtà sono di questi giorni, come riportato anche da qualificate fonti stampa, alcune polemiche riferite proprio al rispetto della clausola del 40 per cento da parte delle amministrazioni titolari degli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quali, da ultimo, il bando del Ministero dell'università e della ricerca che avrebbe ridotto la quota di finanziamento per le regioni del Mezzogiorno. A ciò si aggiungono le valutazioni, a suo tempo elaborate dall'Ufficio parlamentare di bilancio, in merito al bando da 2,4 miliardi di euro per gli asili nido, i cui criteri avrebbero penalizzato regioni del Sud quali la Campania e la Sicilia;

   risulta complicato, inoltre, svolgere un'efficace azione di monitoraggio di tipo preventivo spesso per la mancanza di adeguata evidenza, da parte delle amministrazioni titolari degli interventi, della definizione dei criteri utilizzati per l'allocazione delle risorse ai singoli progetti –:

   se vi siano delle disposizioni normative e procedurali, o siano previste specifiche linee guida, oltre a quelle già indicate in premessa, per rendere davvero efficace l'attività di monitoraggio prevista dal decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, «Governance Pnrr», anche per quanto concerne la fase preventiva all'elaborazione e alla predisposizione dei bandi.
(3-02750)

(8 febbraio 2022)

   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BITONCI, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, CARRARA, CASTIELLO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, DURIGON, FANTUZ, FERRARI, FIORINI, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GALLI, GASTALDI, GERARDI, GERMANÀ, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, LUCENTINI, MACCANTI, MAGGIONI, MANZATO, MARCHETTI, MARIANI, MATURI, MICHELI, MINARDO, MORRONE, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLIN, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCHI, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RAVETTO, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SCOMA, SNIDER, STEFANI, SUTTO, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VIVIANI, RAFFAELE VOLPI, ZANELLA, ZENNARO, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro per le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   con la legge 22 dicembre 2021, n. 227, approvata all'unanimità da entrambi i rami del Parlamento, il Governo è stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle norme vigenti in materia di disabilità, in conformità alle disposizioni della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, alla Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 e alla risoluzione del Parlamento europeo del 7 ottobre 2021 sulla protezione delle persone con disabilità;

   la legge sopra citata prevede una serie di importanti misure e interventi che interessano, in particolare e tra l'altro: la «definizione della condizione di disabilità», la revisione dei suoi «processi valutativi di base», la «valutazione multidimensionale», la «realizzazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato», nonché la «riqualificazione dei servizi pubblici in materia di inclusione e accessibilità»;

   le disposizioni della legge delega declinano finalmente in principi e criteri direttivi le istanze avanzate, da molti anni, dalle persone con disabilità, dalle rispettive famiglie e dalle associazioni rappresentative della loro condizione. Si propone, quindi, di adottare una nuova definizione di disabilità, di riunificare gli organismi e le procedure esistenti, di superare i «rimpalli» delle competenze e di rafforzare il collegamento tra la parte sanitaria e quella socioassistenziale, anche attraverso la valorizzazione delle sinergie tra pubblico e terzo settore, promuovendo un cambiamento radicale di prospettiva che veda finalmente i servizi, le prestazioni e le istituzioni ruotare attorno alla persona con disabilità e non viceversa;

   nei giorni in cui ricorrono le celebrazioni per il trentennale della legge n. 104 del 1992, le associazioni più rappresentative del mondo della disabilità hanno rimarcato l'importanza strategica di questa riforma per lo sviluppo di una società veramente inclusiva, obiettivo imprescindibile per la crescita del Paese, come ribadito anche nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza –:

   se e quali aggiornamenti intenda fornire in merito all'iter attuativo della legge 22 dicembre 2021, n. 227, recante «delega al Governo in materia di disabilità», e all'adozione dei relativi decreti legislativi che ad essa dovranno dare seguito e sostanza.
(3-02751)

(8 febbraio 2022)

   BOLOGNA. — Al Ministro per le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   in Italia si stimano circa 7 milioni di caregiver familiari, quasi sempre donne, madri, figlie, sorelle che assistono persone con disabilità. Il lavoro di cura informale non produce reddito ed è oneroso perché il 66 per cento dei caregiver familiari lasciano il lavoro per accudire il loro congiunto e spesso non sono formati per un'attività che comunque richiede delle competenze specifiche;

   l'articolo 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, istituisce, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020;

   l'articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, prevede un incremento di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021; il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 97, attribuisce al Ministro delegato per la famiglia e le disabilità la competenza di definire criteri e modalità di utilizzo del fondo;

   l'articolo 1, comma 334, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, ha previsto la costituzione del Fondo per gli interventi legislativi di valorizzazione dell'attività di cura non professionale del caregiver, per la copertura finanziaria di interventi legislativi che valorizzino l'importanza, sociale ed economica, dell'attività di cura non professionale, con una dotazione nel triennio di programmazione 2021-2023 pari a 30 milioni di euro annui;

   il Piano nazionale di ripresa e resilienza, nella missione 6, mira a potenziare i servizi domiciliari affinché la casa diventi il primo luogo di cura quando possibile; per questo è necessario fornire servizi professionali di qualità che sostengano e affianchino il sistema di cura informale. Per la formazione del caregiver familiare sarebbe necessario vincolare una quota di finanziamento destinato alle regioni per interventi di sostegno del caregiver familiare di persone in condizione di disabilità –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine del riconoscimento sociale ed economico del caregiver familiare, in particolare valutando la possibilità di allocare parte delle risorse dedicate ai caregiver a sostegno di percorsi di formazione permanente, atteso che una corretta formazione appare necessaria per l'idonea gestione dei sintomi della disabilità, coadiuvando e rafforzando l'operato dei professionisti sul territorio.
(3-02752)

(8 febbraio 2022)

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