TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 717 di Giovedì 30 giugno 2022

 
.

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI ENERGIA NUCLEARE DI NUOVA GENERAZIONE

   La Camera,

   premesso che:

    gli ambiziosi progetti dell'Unione europea per uno sviluppo sostenibile e gli impegni di Cop 26 prevedono in tempi brevi un forte abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, difficilmente raggiungibile nei tempi previsti con il solo utilizzo di energie da fonti rinnovabili;

    con riferimento all'energia da fissione nucleare, molti Paesi proseguono l'investimento in energia atomica, tra cui Gran Bretagna, Russia, India, Cina e Francia, che ha annunciato la costruzione di sei nuovi reattori nucleari EPR (ad acqua pressurizzata), oltre all'entrata in servizio del reattore di Flamanville, prevista per il 2024, e all'impegno di un miliardo di euro per la realizzazione di reattori di piccole dimensioni;

    i Ministri dell'economia e dell'industria di 10 Paesi dell'Unione europea – Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria – hanno pubblicato un documento, il 10 ottobre 2021, per chiedere che l'energia nucleare sia compresa nelle fonti di energia pulita all'interno della «Tassonomia degli investimenti verdi» della Commissione europea, cioè l'insieme di regole di classificazione che si applicano alle attività economiche per poterle definire «sostenibili»;

    anche il Giappone, a 10 anni dall'incidente di Fukushima, per raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nel 2050, prosegue nel suo intento di riavviare gli impianti già localizzati sul proprio territorio e di costruirne di nuovi;

    lo sviluppo di reattori nucleari di nuova generazione coinvolge i maggiori Paesi del mondo e numerosi partner industriali europei e vedrà l'avvio della produzione di energia da parte dei primi impianti già dal 2024;

    d'altro canto, con riferimento all'energia nucleare da fusione a confinamento magnetico, mai applicata a livello industriale, la società Commonwealth Fusion Systems (CFS), nata dal Mit di Boston, e che ha come maggiore azionista privato il gruppo italiano Eni, ha condotto con successo il primo test di un supermagnete, fondamentale per la gestione del plasma, composto da isotopi di idrogeno: un passo importante verso la produzione di energia nucleare pulita, con l'impegno a costruire il primo impianto sperimentale entro il 2025,

impegna il Governo

1) nel confermare l'obiettivo di zero emissioni al 2050, a riconsiderare, previa effettuazione delle dovute verifiche di sicurezza e con il coinvolgimento della popolazione, lo sviluppo di tecnologie di fissione nucleare di nuova generazione, a supportare lo sviluppo delle tecnologie di fusione a confinamento magnetico e ad adottare iniziative per comprendere la produzione di energia atomica di nuova generazione all'interno della propria politica energetica, e far sì che la stessa venga classificata tra le fonti energetiche sostenibili.
(1-00540) (Nuova formulazione) «Lupi, Squeri, Schullian».

(4 novembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    la Commissione europea ha definito uno specifico sistema di classificazione volto a identificare le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, quale importante fattore abilitante per supportare gli investimenti sostenibili e per adottare le indicazioni del Green Deal europeo;

    il regolamento (UE) 2020/852 relativo all'istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (il «regolamento tassonomia dell'Unione europea») è entrato in vigore il 12 luglio 2020. A norma di tale regolamento il Parlamento europeo e il Consiglio hanno conferito alla Commissione europea il mandato di fornire, mediante atti delegati, i criteri di vaglio tecnico per determinare se un'attività economica contribuisce in modo sostanziale agli obiettivi ambientali. Tali criteri aiuteranno le imprese, gli investitori e i partecipanti ai mercati finanziari a stabilire adeguatamente quali attività possono essere considerate ecosostenibili. La tassonomia europea definisce sei obiettivi ambientali per identificare le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale:

     1) mitigazione dei cambiamenti climatici;

     2) adattamento ai cambiamenti climatici;

     3) uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine;

     4) transizione verso un'economia circolare;

     5) prevenzione e riduzione dell'inquinamento;

     6) protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi;

    il regolamento della tassonomia introduce un sistema di etichettatura per gli investimenti che indicherà dove indirizzare diverse centinaia di miliardi di euro alle attività produttive che ottengono l'etichetta «sostenibile» per tutte o parte delle loro attività. Pertanto, un'attività economica è definita sostenibile dal punto di vista ambientale se: contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più dei sei obiettivi ambientali; non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali (Do No Significant Harm – Dnsh); è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia;

    la Commissione europea in data 20 aprile 2021 ha presentato una prima serie di regole di attuazione nell'ambito della tassonomia della finanza sostenibile dell'Unione europea, specificando i criteri tecnici dettagliati che le aziende devono rispettare per avere un marchio di investimento «verde» in Europa;

    l'ambito di applicazione dell'atto delegato relativo agli aspetti climatici della tassonomia dell'Unione europea include già circa il 40 per cento delle imprese quotate in borsa, appartenenti a settori che sono responsabili di quasi l'80 per cento delle emissioni dirette di gas serra in Europa; altre attività saranno aggiunte in futuro. Grazie a tale ambito di applicazione la tassonomia dell'Unione europea può aumentare in modo significativo il potenziale offerto dal finanziamento verde per sostenere la transizione, in particolare per i settori ad alta intensità di carbonio, che richiedono cambiamenti urgenti. Per il momento non sono inclusi due punti controversi, ossia gas e nucleare;

    sul sito del quotidiano on line dell'A.g.i. è stato pubblicato in data 23 ottobre 2021 un articolo dal titolo «L'Ue fa i conti con la crisi energetica. Von der Leyen: Il nucleare ci serve», contenente l'allarme lanciato dalla Presidente della Commissione europea (Sig.ra Ursula Von Der Leyen) circa il fatto che l'Unione europea sarebbe «chiamata a fare i conti con la crisi energetica immediata, con i prezzi alle stelle, ma anche con l'imponente sfida della transizione ecologica. E su questo dovrà scegliere quali fonti valorizzare, quali salvare e quali abbandonare nella prossima fase di transizione. E lo farà entro dicembre»;

    sempre l'articolo in menzione evidenzia che il Presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe ammesso che «alcuni Paesi chiedono di inserirlo tra le fonti di energia non inquinanti», senza (però) assumere una posizione definita e dimostrando (al contrario) ambiguità (attestata dalla seguente dichiarazione: «La Commissione procederà a una proposta a dicembre. Ci sono posizioni molto divisive in Consiglio. Vedremo quale nucleare e poi in ogni caso ci vuole moltissimo tempo»);

    in data 29 marzo 2021 è stata diffusa la relazione del Joint Research Council (JRC), organismo scientifico consultivo della Commissione europea, che ha concluso che, non vi è evidenza scientifica alcuna che il nucleare possa recare maggior danno rispetto alle altre fonti già definite sostenibili;

    in data 12 ottobre 2021, a seguito della relazione JRC, la Francia, la Bulgaria, la Croazia, la Repubblica Ceca, la Finlandia, l'Ungheria, la Polonia, la Slovacchia, la Slovenia e la Romania hanno manifestato il proprio orientamento con una lettera con cui è stato chiesto alla Commissione europea di riconoscere l'energia nucleare come fonte di energia a basse emissioni;

    in data 2 luglio 2021 la Commissione europea ha reso nota la Scheer Review, ossia un rapporto del Comitato scientifico su Salute Ambiente e rischi emergenti che contesta fortemente il rapporto del JRC. Lo Scheer Report è categorico: il rapporto JRC è incompleto, come sui rifiuti (le scorie radioattive) o le emissioni radioattive, ricorda che il 55 per cento dei gas radioattivi del ciclo di vita dell'uranio vengono emessi nella fase estrattiva, oppure sui rischi, dove mancano le quantificazioni. Il Comitato fa inoltre notare che il Joint Research Center della Commissione europea usa l'espressione, far meno danni, e non far danni significativi, (do not significant harm). Si lascia intendere che la differenza linguistica consentirebbe nel rapporto JRC di collocare il nucleare in una classifica tra oggetti disomogenei, e in questo senso secondo JRC il nucleare, poiché emetterebbe meno CO2, provocherebbe meno danni rispetto agli impianti a carbone;

    nel luglio 2021 è stata resa nota la lettera inviata da 5 Paesi europei, Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Lussemburgo, alla Commissione europea proponendo di escludere il nucleare dalla classificazione verde della tassonomia, al fine di non favorirlo in aiuti e corsie preferenziali nel Green Deal europeo, di transizione e contrasto ai cambiamenti climatici;

    la lettera dei Ministri dei 5 Paesi afferma che il nucleare non è neutrale rispetto alla protezione dell'ambiente e della biodiversità (ossia è in contrasto con il sesto obiettivo della tassonomia) perché, per esempio, finora nel pianeta non c'è un solo deposito permanente e definitivo delle scorie, i rischi di incidente sono elevati, e si citano Fukushima e Chernobyl. Anche se non produce direttamente CO2, il nucleare non rispetterebbe il principio di innocuità, cioè non far danni significativi (do not significant harm), mentre si naviga verso la strategia a zero emissioni;

    da fonti stampa del Fatto Quotidiano del 11 novembre 2021 dal titolo Cop26, Germania Spagna e altri 5 Paesi dicono no al nucleare nella tassonomia Ue. L'Italia resta alla finestra e non partecipa, si apprende che ai 5 Paesi contrari all'inserimento del nucleare in tassonomia verde – Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Lussemburgo – si sono aggiunti altri Paesi – Spagna e Irlanda – e lo hanno manifestato in occasione di una conferenza stampa in ambito Cop26 durante la quale i suddetti Paesi hanno preso una posizione netta, sottoscrivendo una dichiarazione contro inserimento del nucleare nella tassonomia Ue. L'Italia non ha partecipato e non ha aderito a tale iniziativa. Inoltre, l'articolo sopra indicato contiene dichiarazioni in cui si afferma che l'astensione dell'Italia dipenderebbe dall'esistenza di un accordo tra Francia ed Italia teso «a consentire al nucleare di essere considerato un investimento sostenibile, in cambio dell'inserimento del gas»;

    qualora l'esistenza di tale accordo fosse confermata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non si potrebbe non condividere la considerazione dello stesso come scellerato, in quanto si produrrebbe la conseguenza del dirottamento dei «finanziamenti destinati alla transizione ecologica verso l'industria nucleare dei francesi e al mantenimento dell'industria del gas italiana», favorendo quindi il proliferare di quelle che il Ministro dell'ambiente tedesco Svenja Schulze definisce «tecnologie troppo rischiose, lente e non sostenibili» che distoglierebbero «fondi dalle energie rinnovabili, come eolico e solare»;

    la Francia ha nuovamente annunciato la costruzione di nuovi reattori nucleari Epr. Giova ricordare come, sistematicamente, in relazione agli annunci e ai presunti costi legati agli investimenti in energia atomica dichiarati dai proponenti, i risultati sono stati sempre disattesi: ad esempio nel 2008 c'erano due soli Epr in costruzione, uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamanville. In Finlandia l'azienda proprietaria della tecnologia e impegnata nella costruzione, Areva, è fallita mentre il costo stimato è lievitato circa 4 volte rispetto al costo di progetto e la nuova previsione di terminare la realizzazione non potrà essere prima del 2024. In Francia a Flamanville, cantiere gestito da Edf, i costi di costruzione sono lievitati fino a 19 miliardi di euro, tenendo conto anche dei costi finanziari come valutati dalla Corte Des Compts nel 2020, e anche questa è ancora in costruzione. Negli Usa a distanza di vent'anni dal «rinascimento nucleare» lanciato da George W. Bush nel 2001, nessun reattore di generazione III+ è entrato in funzione e dei quattro reattori AP1000 in costruzione, due sono stati cancellati e due proseguono a costi esorbitanti: dai circa 9 miliardi di dollari iniziali si è già passati a una stima di 27 miliardi di dollari. L'azienda proprietaria della tecnologia, la nippo-americana Toshiba-Westinghouse, è fallita nel 2017;

    in Italia la produzione di energia nucleare è stata oggetto di ben due referendum abrogativi. A tale scopo, si evidenzia che il referendum abrogativo è considerato un «atto-fonte dell'ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria» (Corte costituzionale 3 febbraio 1987 n. 29) e il suo esito è rinforzato dal divieto (ricavato dall'articolo 75 della Costituzione) di ripristino delle norme abrogate a seguito di un'iniziativa referendaria (Corte costituzionale 17 luglio 2012 n. 199). Ciò vale anche per i referendum del 1987 e del 2011 che hanno decretato (con forza di legge rinforzata) la fine della produzione e dello sfruttamento dell'energia nucleare in Italia mentre permangono gli studi e le procedure sul decommissioning e sulla ricerca in tale settore;

    nonostante i risultati referendari, il Ministro della transizione ecologica Cingolani ha concesso il patrocinio del proprio Ministero all'evento «Stand Up for Nuclear» (programmato in nove città italiane dal 24 settembre 2021 al 9 ottobre 2021), consistente in una serie di incontri finalizzati a sostenere e promuovere il ricorso al nucleare come fonte energetica;

    sul decommissioning vale la pena ricordare che dopo 34 anni dallo spegnimento dei reattori italiani il problema dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari e dagli altri siti nucleari ad esse correlate non sono stati ancora risolti e attualmente i rifiuti radioattivi sono in parte all'estero per essere riprocessati per poi tornare in Italia e in parte sono dislocati in 19 siti temporanei sul territorio nazionale. I sopra citati 19 siti non hanno le caratteristiche tecniche per stoccare definitivamente in sicurezza rifiuti radioattivi;

    occorre mettere in evidenza che sul territorio nazionale ci sono anche elementi di combustibile radioattivo di fattura extranazionale. In particolare, nell'impianto Itrec (Impianto di trattamento e rifabbricazione elementi di combustibile) che si trova all'interno del Centro ricerche Enea Trisaia di Rotondella (Matera) tra il 1968 e il 1970 sono stati trasferiti 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio, 20 dei quali sono stati ritrattati, provenienti dal reattore sperimentale Elk River (Minnesota). L'obiettivo era condurre ricerche sui processi di ritrattamento e rifabbricazione del ciclo uranio-torio per verificare l'eventuale convenienza tecnico-economica rispetto al ciclo del combustibile uranio-plutonio normalmente impiegato. Tale sperimentazioni si sono rivelate un insuccesso ed inoltre toccherà all'Italia smaltire definitivamente tali rifiuti radioattivi – stoccandoli provvisoriamente nel Csa-Complesso stoccaggio ad alta attività del deposito nazionale – sempre che non ritornino, previo accordo tra le parti, negli Usa;

    pertanto, si è in attesa della costruzione del deposito nazionale per stoccare definitivamente i rifiuti radioattivi a bassa attività e, temporaneamente, quelli a media e alta attività. Tuttavia, il sito non è stato ancora individuato ed attualmente è in corso il Seminario per la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi);

    i rifiuti radioattivi a media e alta attività che verranno stoccati temporaneamente in una zona all'interno del deposito nazionale (unità CSA- Complesso stoccaggio ad alta attività) verranno poi trasferiti in un deposito geologico. In considerazione degli elevati costi di realizzazione di un deposito di quest'ultimo tipo, alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, con quantità limitate di rifiuti a media e alta attività stanno valutando l'opportunità di costruire uno o più depositi di profondità condivisi, possibilità contemplata dalla direttiva 2011/70/EURATOM. L'attività di sviluppo di accordi internazionali per la realizzazione di un deposito geologico condiviso è in capo al Governo, supportato da Enea, che partecipa ad un gruppo di lavoro internazionale ad hoc denominato Erdo. In merito vale la pena evidenziare che il deposito geologico condiviso è solo una possibilità, ma attualmente manca una reale pianificazione e gli sforzi in tal senso ad oggi sono insufficienti, in quanto si basano sull'adesione ad un programma non vincolante e attualmente rimasto solo teorico; pertanto, per l'Italia non vi è ancora soluzione per lo stoccaggio dei rifiuti a media e alta attività che sono a tutt'oggi un problema irrisolto per il nostro Paese;

    confrontando i costi di gestione dei rifiuti pericolosi e quelli dei rifiuti radioattivi si può notare che mentre i primi hanno un costo di gestione di massimo alcune centinaia di euro a tonnellata (ad esempio per rifiuti contenenti amianto il costo è intorno ai 250 euro a tonnellata), i secondi hanno un costo complessivo di gestione di alcune decine di migliaia di euro a tonnellata, tipicamente nel range tra 25 mila euro per i rifiuti a bassa attività e i 50 mila euro a tonnellata per rifiuti di media attività. Per il deposito nazionale italiano si stima un costo di conferimento pari a circa 16 mila euro a tonnellata per lo smaltimento dei rifiuti nel deposito di superficie. Va evidenziato che a livello internazionale i costi di smaltimento in depositi geologici, intermedi o profondi, sono in un range tra 12 e 15 volte maggiori del costo di smaltimento in un deposito di superficie. I costi del decommissioning italiano sono attualmente scaricati sulle bollette elettriche alla voce A2RIM e rappresentano il 6 per cento degli «oneri di sistema» che incidono circa il 23 per cento della spesa di energia elettrica di una famiglia tipo;

    per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo per l'energia, secondo i dati del «Rapporto annuale per l'energia elettrica» del Ministero della transizione ecologica, nel 2018 la spesa per ricerca nell'efficienza energetica è diminuita al 57 per cento, mentre nel 2016 era al 58 per cento, ma è quadruplicata rispetto al 2007. L'efficienza energetica assieme alle fonti rinnovabili e alle tecnologie per la conversione, la trasmissione, la distribuzione e lo stoccaggio di energia elettrica rappresentano il 76 per cento della ricerca energetica italiana, mentre il peso della ricerca sulle fonti fossili è circa del 12 per cento, mentre sul nucleare è circa del 7 per cento. Quindi, contrariamente a quanto si possa pensare, l'Italia non ha mai abbandonato la ricerca sul nucleare;

    in riferimento alla ricerca si segnala le numerose attività di Enea e Leonardo sul campo. Ad esempio, Leonardo attraverso la sua controllata Vitrociset, si è aggiudicata la gara indetta da Iter «Organizzazione per lo sviluppo delle infrastrutture diagnostiche del reattore e i relativi servizi di ingegneria». «ENEA-Fusione» partecipa alla realizzazione di Iter attraverso l'Agenzia europea Fusion For Energy (F4E). Iter è un progetto che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale di 500 Megawatt di potenza. Unione europea, Giappone, Federazione Russa, Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e India hanno siglato ufficialmente l'accordo per la realizzazione di Iter il 28 giugno 2005 a Mosca. La costruzione è cominciata nel 2007 nel sito europeo di Cadarache nel sud della Francia e sarebbe dovuto terminare nel 2016, ma ad oggi le stime sono state riviste e l'avvio delle prime attività del reattore sperimentale Iter è stimato, secondo i proponenti, non prima del 2025 e il raggiungimento della piena capacità si pensa, nella più ottimistica delle ipotesi, sia ottenibile dopo il 2035, sempre che non vi siano ulteriori complicazioni o ritardi. Il costo per la ricerca e costruzione di questo impianto prototipo – che ancora non è stato realizzato – era originariamente stimato per 11 miliardi di dollari, ma già nel 2017 aveva superato i 20 miliardi di dollari;

    nel 2002 è stato costituito il Gif (Generation IV International Forum) su iniziativa degli Usa e con la partecipazione di diversi Paesi, dal 2007 anche dell'Italia, per lo sviluppo di sei sistemi nucleari di IV generazione che potessero essere progettati, sperimentati e realizzati a livello di prototipo entro il 2030. Tuttavia, anche in questo caso, le date e i costi stimati sono stati abbondantemente superati e per alcune di queste tecnologie non è stata ancora fornita alcuna scadenza realizzativa. Inoltre, nulla è dato sapere sugli impatti ambientali e sul ciclo di vita di questi impianti che sembrano non avere mai una fine per essere realizzati bensì di sicuro un esorbitante costo a carico degli Stati;

    in merito ai costi per la produzione di energia elettrica, secondo lo studio «World Nuclear Industry Status Report 2020» (Wnisr) – un rapporto annuale prodotto da un gruppo di esperti internazionali indipendenti – produrre 1 chilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l'eolico 4,0 centesimi di dollaro, con il gas è costato 5,9 centesimi di dollaro, con il carbone 11,2 centesimi di dollaro e con il nucleare 16,3 centesimi di dollaro. Secondo il dossier «Renewable power generation costs 2020» – che prende in esame solo fonti rinnovabili – il costo per kWh dell'elettricità prodotta dal fotovoltaico è di 5,7 centesimi di dollaro, mentre per quella prodotta dall'energia eolica è di 3,9 centesimi di dollaro; quindi studi recenti, anche se diversi, hanno stime simili. Tuttavia, occorrono delle precisazioni: gli studi in merito al costo per chilowattora sono molteplici e in quelli più recenti sono più favorevoli alle rinnovabili, mentre in quelli più datati (dal 2002 ai 2014) i costi sono difformi rispetto ai recenti, probabilmente perché con l'andar del tempo le rinnovabili hanno ottenuto maggior diffusione e incentivi, mentre i costi stimati per fossili e nucleare erano completamente esenti da esternalità legate all'intero ciclo di vita delle centrali o alla tassazione. Inoltre, se sulle rinnovabili il costo a chilowattora dipende dalla disponibilità del vento e dell'irraggiamento del sole – caratteristiche di cui l'Italia ha in abbondanza in molte zone del Paese e per cui potrebbe persino essere più contenuto – i costi sul nucleare non tengono in considerazione i corretti costi di smaltimento delle scorie radioattive che, come visto in precedenza, hanno un impatto economico estremamente significativo mentre per il gas, carbone e il nucleare non sono sempre stimati in modo corretto i «costi esterni», ossia gli impatti ambientali e sulla salute che queste produzioni energetiche creano in modo da quantificare il «costo sociale» che quindi presumibilmente potrebbe essere più elevato;

    la valorizzazione di fonti energetiche, come il nucleare ed il gas, costituisce il fondamento della tesi ritardista che propugna la necessità di rallentare la transizione ecologica, al fine di spalmare nel tempo gli enormi costi ad essa connessi (come quelli relativi agli investimenti necessari a sviluppare la capacità produttiva delle energie rinnovabili) ed evitare stress eccessivi del nostro sistema industriale e tensioni sociali insostenibili (cfr. l'articolo su Diario europeo del 24 ottobre 2021 dal titolo «Altro che bagno di sangue. Per stabilizzare i mercati serve la transizione ecologica»);

    sennonché è convinzione molto radicata e difficilmente contestabile che la transizione ecologica non debba essere rallentata (con la riduzione degli investimenti nelle energie fossili in funzione della decarbonizzazione, accompagnata però da un'evidente timidezza verso le rinnovabili che crea un'eccessiva dipendenza dalle fonti di energia intermedie come il gas ed il nucleare), ma (al contrario) accelerata con politiche di stimolo degli investimenti (pubblici e privati) di lungo periodo necessari ad aumentare l'offerta di energia pulita (cfr. il già citato articolo su Diario europeo del 24 ottobre 2021 dal titolo «Altro che bagno di sangue. Per stabilizzare i mercati serve la transizione ecologica»);

    il nucleare (come anche il gas) non è, quindi, la soluzione al problema della crisi energetica, suggerendo (pertanto) tale assunto alla Commissione europea ed ai Governi nazionali l'opportunità (se non la necessità) di rivolgere i propri sforzi e la propria attenzione verso l'accelerazione di una transizione ecologica fondata sullo sfruttamento delle energie pulite;

    sul sito change.org è stata lanciata una petizione promossa da Osservatorio per la transizione ecologica-Pnrr e firmata da diverse migliaia di cittadini che, rivolgendosi al Presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, al Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, al Ministro degli esteri Luigi Di Maio, chiede al Governo italiano di impegnarsi a bloccare il tentativo in sede europea di equiparare il nucleare alle energie rinnovabili, se necessario ricorrendo al veto dell'Italia;

    in conclusione, appare politicamente inappropriato che il Governo (impersonato dalle componenti apicali sopra individuate) possa manifestare interesse o propugnare la possibilità che possa sia reintrodotto un qualcosa che (come lo sfruttamento dell'energia nucleare) il nostro ordinamento ha bandito ovvero che si faccia promotore di inserire il gas, una fonte fossile fortemente climalterante, nella tassonomia,

impegna il Governo:

1) a non intraprendere iniziative tese a consentire nuovamente lo sfruttamento e l'impiego dell'energia nucleare in Italia, in ossequio alla volontà popolare espressa all'esito dei referendum del 1987 e del 2011;

2) a manifestare il proprio convinto dissenso nei confronti dell'inserimento dell'energia nucleare e del gas nella tassonomia verde dell'Unione europea;

3) ad adottare iniziative concrete affinché in ambito europeo vi sia una pianificazione certa per l'individuazione del sito che ospiterà il deposito geologico necessario per stoccare i rifiuti radioattivi ad alta attività non oltre il 2027 o comunque prima della realizzazione del deposito nazionale;

4) ad adottare iniziative per incrementare i finanziamenti per la ricerca scientifica in materia di efficienza energetica, di fonti rinnovabili, di trasmissione, distribuzione e stoccaggio dell'energia elettrica, facendo in modo che (entro il 2023) il 95 per cento dei fondi disponibili destinati alla ricerca in ambito energetico sia destinato alla ricerca nei campi sopra elencati, che siano azzerati inoltre i fondi per la ricerca sulle fonti fossili e in fine che ogni conseguente onere destinato alla ricerca e finanziato dalle bollette elettriche sia riversato sulla fiscalità generale e non pesi sul costo delle bollette elettriche;

5) ad aprire un confronto con gli Usa affinché si stabilisca che gli 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio, 20 dei quali sono stati ritrattati, provenienti dalla centrale nucleare americana di Elk River, presenti presso l'Itrec di Rotondella, tornino negli Usa.
(1-00545) (Nuova formulazione) «Vianello, Piera Aiello, Ehm, Menga, Raduzzi, Sarli, Siragusa, Sodano, Suriano, Villarosa, Muroni, Fioramonti, Lombardo, Trizzino, Romaniello, Vallascas, De Giorgi, Termini, Cecconi, Testamento, Leda Volpi, Costanzo, Benedetti».

(15 novembre 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    in linea con gli obiettivi del Green Deal e con l'impegno ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente, puntando alla riduzione entro il 2030 delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, a luglio 2021 è stato presentato il cosiddetto pacchetto Fit for 55 che, in base a nuovi e più ambiziosi obiettivi di riduzione, vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento al 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a livelli prossimi al 95-100 per cento nel 2050;

    al fine di favorire gli investimenti sostenibili, il 12 luglio 2020 è entrato in vigore il regolamento (UE) 2020/852, che ha introdotto nel sistema normativo europeo la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, all'interno del quale la Commissione europea ha previsto condizioni molto rigide per gli investimenti privati nel settore del nucleare, ammettendo unicamente soluzioni progettuali che dimostrino di avere adeguate risorse finanziare per il decommissioning ed essere dotati di impianti di smaltimento dei rifiuti a bassa attività già operativi e di un piano dettagliato per rendere operativa, entro il 2050, una soluzione per le scorie ad alta radioattività;

    il problema dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro decommissioning è di grande attualità nel nostro Paese e ancora non si è pervenuti ad una soluzione concreta per il loro smaltimento;

    rifiuti e scorie degli impianti nucleari (chiusi definitivamente dal 1990) sono in parte dislocati sul territorio nazionale, in 19 siti temporanei, e in parte collocati all'estero, prossimi a tornare in Italia una volta riprocessati;

    l'iter per arrivare all'individuazione del sito idoneo a ospitare il deposito nazionale di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, come richiesto dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo, è ancora in corso e al momento nella fase più delicata di localizzazione, a seguito della trasmissione al Ministero della transizione ecologica, il 15 marzo 2022, della proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), come previsto all'articolo 27, comma 5, del decreto legislativo n. 31 del 2010. Ad oggi non risultano emerse autocandidature da parte delle località indicate come idonee nella Carta;

    il deposito dovrà essere costruito nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza radiologica e salvaguardia ambientale, anche al fine di conservare in assoluta sicurezza i materiali irraggiati, in attesa che gradualmente perdano il loro grado di radioattività;

    i reattori attualmente esistenti, di seconda e terza generazione, sono stati costruiti in prevalenza negli anni '80 e '90, come l'impianto di Montalto di Castro e il noto reattore di Fukushima in Giappone. A partire dal 2000 sono stati progettati soprattutto reattori di terza generazione, come gli Ap1000 negli Stati Uniti, Vver-1200 in Russia, gli Epr francesi;

    nel 2001 il Generation IV international forum (Gif), a cui hanno aderito Australia, Canada, Cina, Euratom, Francia, Giappone, Russia, Sud Africa, Corea del Sud, Svizzera, Regno Unito, ha coniato il concetto di «nucleare di 4° generazione», tecnologia che sfrutta l'energia ricavabile dalla scissione di atomi, a tutt'oggi non abbastanza matura per consentire un utilizzo industriale e per garantire condizioni di sicurezza, soprattutto nel caso dei reattori di tipo «fast-breeder». Va infatti rilevato che l'unico impianto dimostrativo di 4° generazione al mondo su scala industriale si trova a Shidaowan, nella provincia di Shandong, collegato alla rete e messo in funzione solo a dicembre 2021;

    quanto alle tecnologie a fusione, attualmente il reattore più avanzato è Iter, in fase di costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, sostenuto e finanziato da Unione europea, Cina, Stati Uniti, Corea del Sud, India, Giappone e Russia, sospeso il 1° marzo 2022 dall'Autorità francese per la sicurezza nucleare (Asn), che ha mosso rilievi sull'affidabilità del modello e sul rischio di esposizione alle radiazioni per il personale. Nelle previsioni più ottimistiche i risultati delle attuali sperimentazioni vedranno la luce non prima di 30 anni;

    proprio i rischi relativi al ricorso alle tecnologie nucleari continuano a destare forte preoccupazione anche in presenza di avanzati sistemi di sicurezza. Ad oggi, infatti, non si dispone di dati sufficienti per valutarne con previsione attendibile gli impatti ambientali e gli effetti sulla salute;

    il conflitto tra Russia e Ucraina e le notizie degli attacchi russi agli impianti di Chernobyl e Zaporizhzhia hanno indotto il Governo ad accelerare sulla stesura del Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, proposto alla Conferenza unificata e teso ad individuare e disciplinare le misure necessarie per fronteggiare gli incidenti che avvengono in impianti nucleari collocati in Paesi esteri e che potrebbero richiedere azioni di intervento coordinate a livello nazionale;

    secondo quanto emerso dallo studio curato dal «World nuclear industry status report 2020» (Wnisr) produrre 1 chilowattora di elettricità con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l'eolico 4,0 centesimi di dollaro e con il nucleare 16,3 centesimi di dollaro;

    anche le stime di Lazard, autorevole istituzione finanziaria, confermano che la nuova capacità nucleare richiede investimenti, soprattutto nella fase iniziale, molto più alti e tempi lunghi per la messa in funzione rispetto a quelli richiesti per le fonti rinnovabili, pari ad almeno quattro volte tanto, a parità di energia generata. Inoltre, i costi del nucleare seguono una tendenza all'aumento, mentre quelli delle rinnovabili sono in continua diminuzione, soprattutto in una prospettiva di ulteriore crescita del settore tracciata dagli impegni assunti nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (Cop 26);

    a tale riguardo, rileva menzionare che il reattore nucleare OL3 della centrale finlandese di Olkiluoto, costruito dal gruppo francese Areva e dalla tedesca Siemens Ag, ha accumulato dodici anni di ritardo dalla data prevista per la sua entrata in funzione, con un costo triplicato rispetto ai 3 miliardi di euro originari stimati nel 2005. Analoga sorte ha avuto il reattore Epr di Flamanville, in Normandia, atteso per la fine del 2022, dopo rallentamenti che, anche in questo caso, hanno fatto registrare un ritardo di dieci anni e un costo più che triplicato;

    un ritorno dell'Italia al nucleare distrarrebbe le risorse economiche destinate allo sviluppo delle fonti rinnovabili e al miglioramento dell'efficienza energetica, tecnologie che hanno già dimostrato di innovare in modo significativo il sistema energetico nazionale e dar vita ad una struttura imprenditoriale capace di creare nuove competenze e nuovi posti di lavoro richiesti da tutta la filiera e l'indotto legato al settore. Va poi ricordato che la produzione di energia nucleare è stata oggetto di due referendum abrogativi, rispettivamente del 1987 e del 2011, con i quali è stata decretata la fine della produzione e dello sfruttamento dell'energia nucleare nel nostro Paese;

    occorre inoltre osservare che i costi connessi al decommissioning delle centrali elettronucleari dismesse, alla chiusura del ciclo del combustibile e alle attività connesse e conseguenti, affidate dal 1999 alla Sogin, sono inclusi tra le voci di costo che compongono gli oneri generali afferenti al sistema elettrico, ai sensi del decreto ministeriale del 26 gennaio 2000 e della legge n. 83 del 2003, e sono posti a carico delle utenze. Tuttavia, a più di vent'anni dall'istituzione della citata società, solo il 30 per cento dei lavori di smantellamento nucleare risulta concluso;

    risulta, quindi, di tutta evidenza che tornare ad investire nella tecnologia nucleare comporti un costo economico per i cittadini che si allontana dai meccanismi di partecipazione alla produzione di energia su base democratica, riconosciuti a livello europeo con l'adozione del Clean energy package, e pertanto significa ridimensionare il ruolo, riconosciuto ai consumatori, di protagonisti del processo di transizione energetica e quindi di prosumer, ossia di coloro che autoproducono e autoconsumano energia, nell'ottica di ottenere i vantaggi economici legati alla riduzione dei costi delle componenti variabili della propria bolletta (quota energia, oneri di rete e relative imposte), della quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera nonché della dipendenza dalle forniture dei Paesi esteri,

impegna il Governo:

1) a proseguire nella ricerca tecnologica per lo sviluppo dell'energia da fusione, in particolare sul confinamento magnetico, nell'ambito dei programmi di collaborazione con istituti e università a livello internazionale, senza tuttavia distrarre le risorse pubbliche destinate al miglioramento dell'efficienza energetica nonché allo sviluppo e all'incentivazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, da considerare predominanti e con vantaggi maggiori su scala temporale, per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 e 2050;

2) ad adottare iniziative per assicurare il rispetto dell'iter procedurale per l'individuazione del deposito unico nazionale al fine di garantire il rispetto dei parametri finalizzati alla messa in sicurezza, alla completa bonifica e al ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale dove sono attualmente collocati i rifiuti radioattivi;

3) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad imprimere un maggior impulso nell'individuazione e nella perimetrazione di aree idonee destinate alle installazioni di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo di cui agli articoli 20 e 21 del decreto legislativo n. 199 del 2021, nonché a sostenere la ricerca verso soluzioni tecnologiche innovative che consentano di ottimizzare lo sfruttamento delle medesime fonti e dei sistemi di accumulo, anche al fine di calmierare i prezzi dell'energia nel lungo periodo;

4) ad adoperarsi affinché, al fine di pervenire in tempi certi al rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti rinnovabili per l'intera potenza attualmente disponibile, siano adottate misure volte al rapido superamento degli eventuali conflitti tra gli enti pubblici che intervengono nelle procedure di valutazione ambientali e, parallelamente, a proseguire nel percorso di semplificazione delle procedure autorizzatorie, attraverso l'indicazione di regole chiare per gli enti locali e per gli operatori, in linea con i principi e i criteri eventualmente individuati dalle regioni per la loro corretta installazione sulle superfici e sulle aree ritenute idonee, per una migliore integrazione nel territorio.
(1-00614) «Masi, Federico, Sut, Alemanno, Carabetta, Chiazzese, Fraccaro, Giarrizzo, Orrico, Palmisano, Perconti, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Maraia, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Zolezzi».

(28 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'odierna crisi derivante dal conflitto Russia-Ucraina ha posto di fronte all'evidenza della necessità di una indipendenza energetica nazionale;

    la Russia è il primo fornitore dell'Italia di petrolio greggio e gas naturale, con una quota del 20,1 per cento davanti ad Azerbaigian con 15,2 per cento, Libia con 14,2 per cento, Algeria con 13,0 per cento. La Russia, inoltre, è il primo Paese fornitore di gas sia dell'Unione europea che dell'Italia: per il nostro Paese, la quota del valore delle importazioni di gas russo nei primi 10 mesi del 2021 sale al 43,0 per cento, in aumento di 1,5 punti rispetto al 41,5 per cento dello stesso periodo del 2020;

    questo fattore va posto in correlazione con gli obiettivi di lunga durata dell'Unione europea, con il green new deal e con gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e 2050;

    nell'ottica di una riduzione delle emissioni l'Europa ha deciso di intraprendere un percorso economico e progettuale verso fonti rinnovabili e a basso impatto ecologico. Perché l'Unione europea possa raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 servono ingenti investimenti privati. La tassonomia dell'Unione europea è intesa a guidare gli investimenti privati verso le attività necessarie a tal fine;

    tra le opzioni della decarbonizzazione è prevista l'elettrificazione spinta dei consumi finali dall'attuale quota del 22 per cento al 55 per cento entro il 2050;

    l'Unione europea chiede una rapida e ambiziosa attuazione di piani di investimento per l'idrogeno elaborati dagli Stati membri come elemento fondamentale per la transizione energetica della Unione europea;

    atteso che tali obiettivi non potranno essere raggiunti facendo affidamento alle sole fonti rinnovabili, anche a causa della non programmabilità del fotovoltaico e dell'eolico, la Commissione europea, ha inserito nella tassonomia verde anche determinate attività del settore del gas e del nucleare, alla luce degli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici;

    la posizione della Commissione mostra una soluzione di forte pragmatismo, considerato che allo stato attuale le fonti rinnovabili non sono completate ed implementate ovunque e non sono in grado autonomamente di sopperire al fabbisogno energetico delle diverse nazioni;

    è necessario poi compiere alcune importanti considerazioni:

    l'energia elettrica importata dall'Italia da Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, pari a circa il 13 per cento dei consumi nazionali, è in prevalenza prodotta da tecnologia nucleare;

    l'Agenzia internazionale per l'energia (Iea) ha messo in risalto che per raggiungere le emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050 sarà necessario incrementare la quota di energia nucleare a livello globale, dato confermato anche da uno studio prodotto dall'Ufficio parlamentare francese per la valutazione scientifica e tecnologica;

    secondo l'Intergovernmental panel on climate change, l'organismo scientifico intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, le emissioni da produzione elettronucleare sono pari a 12 grammi di anidride carbonica per chilowattora di elettricità, simile ai valori registrati per l'energia eolica, mentre i pannelli solari per produzione fotovoltaica arrivano a un valore di 41 grammi per chilowattora per installazioni domestiche e 48 grammi per chilowattora per i parchi solari;

    nel mondo esistono attualmente 437 reattori in operazione, una sessantina in costruzione e molti altri in progettazione avanzata;

    nell'Unione europea sono attualmente in funzione 103 reattori nucleari, 4 in costruzione e 7 in progetto e nel mix energetico europeo la generazione nucleare rappresenta circa il 26 per cento del totale con circa 732 terawattora all'anno;

    l'energia nucleare rappresenta un'alternativa low carbon agli altri combustibili fossili ed è un componente critico dei mix energetici di tutti gli Stati europei;

    la Francia che possiede il maggior numero di reattori nucleari (56) è la nazione in Europa che presenta, insieme ai Paesi scandinavi, la minore intensità di carbonio nella produzione elettrica (misurata in grammi equivalenti di anidride carbonica per chilowatt all'ora);

    l'Italia ha abbandonato definitivamente il nucleare dopo i referendum che hanno fatto seguito agli incidenti nucleari di Chernobyl del 1986 e di Fukushima del 2011 senza però riflettere sulla sicurezza relativa delle diverse fonti di energia; secondo uno studio dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica e di «Forbes» che ha calcolato il numero di morti per miliardo di chilowattora di energia prodotta: il nucleare risulta infatti la fonte di energia più sicura a fronte del carbone, di gran lunga il meno sicuro, seguito da petrolio, biomasse, gas naturale, idroelettrico, solare ed eolico;

    la crisi energetica che l'Italia sta vivendo è un fenomeno strutturale e non transitorio, esacerbato da due anni di pandemia e dalla recente crisi in Ucraina, che potrà essere affrontato solo ricorrendo all'utilizzo di un insieme di risorse che possano garantire una transizione energetica sostenibile anche da un punto di vista sociale ed economico;

    è necessario contenere il costo dell'energia per assicurare la tenuta del comparto industriale e sociale del Paese;

    bisogna rendere sostenibile la transizione ecologica, tenendo presente il forte costo per l'approvvigionamento di gas dall'estero e contestualmente tenendo a mente che i componenti per la produzione di rinnovabili provengono quasi in toto dalla Cina. La transizione ecologica deve, quindi, essere sostenuta e accompagnata dalla fruizione e sviluppo dei sistemi energetici conosciuti e attualmente in funzione. Tra i vari, il nucleare si dimostra la fonte energetica con maggiore potenziale di crescita e con un impatto climatico sempre minore;

    il nucleare si dimostra una fonte energetica su cui puntare potenziando la ricerca nell'ottica di sviluppo del nucleare di IV generazione;

    il nucleare di quarta generazione prende il nome dal Generation IV International Forum (Gif), un'iniziativa di cooperazione internazionale avviata nel 2001 dal Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti con l'obiettivo di «sviluppare le ricerche necessarie per testare la fattibilità e la performance di reattori nucleari di quarta generazione», rendendoli poi disponibili per l'uso industriale a partire almeno dal 2030;

    gli obiettivi primari sono quelli di migliorare la sicurezza nucleare, ridurre la produzione di scorie nucleari, minimizzare gli sprechi e l'utilizzo di risorse naturali e diminuire i costi di costruzione e di esercizio di tali impianti;

    nel mondo della ricerca sul nucleare, inoltre, si discute ormai da anni degli Small modular reactors, piccoli reattori modulari che avrebbero il vantaggio di essere realizzati in gran parte in fabbrica, aumentando la certificazione sulla sicurezza. Se una centrale tradizionale ha la taglia di mille megawatt, un piccolo reattore modulare si fermerebbe a 100, un decimo; si tratta di nuovi reattori nucleari di piccola taglia basati sulla tecnologia light water reactor di III generazione provata, nota e a maggiore sicurezza intrinseca, che in virtù delle loro ridotte dimensioni e modularità garantiscono una migliore e più agevole localizzazione rispetto ai tradizionali impianti nucleari. Consentono, inoltre, la riduzione dei tempi di costruzione, la capacità di abbattere drasticamente la quantità del rifiuto finale e la possibilità di essere utilizzati in modo flessibile come integrazione delle reti con impianti rinnovabili per correggere l'intermittenza che oggi ne pregiudica il pieno e continuo utilizzo e quindi essere un supporto alla stabilità della rete elettrica;

    a ciò si aggiunga l'alacre studio per passare dalla fissione alla fusione nucleare. Una materia sempre in maggiore crescita e che, secondo tutti gli esperti del settore, innoverà e stravolgerà le conoscenze in campo energetico, anche in tema di approvvigionamento e costi;

    tra fissione e fusione vi sono notevoli differenze. Infatti, nella fissione, i nuclei di elementi pesanti vengono bombardati da neutroni aventi un'energia relativamente bassa e si spezzano in due nuclei più leggeri. I neutroni, rallentati da un «moderatore», colpiscono altri nuclei di uranio creando la famosa «reazione a catena». Il calore prodotto dalla reazione nucleare viene convertito in energia elettrica da un «ciclo termodinamico» e infine da un alternatore, come in qualsiasi centrale termica. Nella fusione, due nuclei di elementi leggeri (in particolare due isotopi dell'idrogeno, il deuterio e il trizio), portati ad altissima temperatura, circa 10 volte la temperatura al centro del Sole, fondono dando origine come «prodotto della fusione» ad un nucleo più pesante (in particolare l'elio) e un neutrone dotato di moltissima energia. Un'altra differenza fondamentale tra i due processi risiede nel fatto che i prodotti della fissione sono fortemente radioattivi, mentre il prodotto della fusione è un gas, l'elio, non solo assolutamente innocuo per le persone e l'ambiente ma anche utilissimo in tante applicazioni. C'è, inoltre, da sottolineare che entrambi i processi non producono né anidride carbonica né inquinanti e perciò vanno considerate a basso impatto ambientale;

    la fusione, quindi, è CO2-free. Una produzione di energia elettrica senza immissione in atmosfera né di elementi inquinanti come ossidi di azoto od ossidi di zolfo né di anidride carbonica, il principale gas ad effetto serra. L'aspetto è centrale perché potrebbe, in futuro, garantire il giusto connubio tra transizione ecologica e potenza energetica. Sviluppando le suddette tecnologie e sostenendo la ricerca nel settore, anche mediante convenzioni con le Università e i centri di ricerca italiani, si potrebbe giungere ad un'energia green, in grado di sopperire al fabbisogno energetico nazionale ed europeo;

    importanti aziende italiane, come Exor che nel 2021 ha ottenuto uno dei maggiori contributi positivi investendo in due società canadesi attive nel ciclo dell'uranio, investono nell'energia nucleare fuori dai confini nazionali portando all'estero capitali che potrebbero creare ricchezza e lavoro in Italia,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative a sostegno della ricerca nel campo nucleare al fine di proseguire nello sviluppo del settore e nel raggiungimento di risultati applicabili al contesto industriale in materia di fissione e fusione nucleare, favorendo, altresì il dibattito sull'energia dell'atomo, in particolare per quello di ultima generazione, basato su rigore scientifico;

2) a favorire una campagna di informazione oggettiva al fine di evitare opposizioni preconcette con la consapevolezza che il problema dell'accettazione sociale rappresenta una tappa essenziale per la realizzazione di qualsivoglia impianto energetico;

3) ad aderire a progetti internazionali di realizzazione di impianti di nuova generazione, anche mediante collaborazione diretta con quelle Nazioni che hanno già in essere o stipuleranno trattati bilaterali, con il nostro Paese;

4) ad adottare iniziative per istituire idonei percorsi di ricerca e sviluppo al fine di recuperare il ruolo dell'Italia nel campo dello studio e dello sviluppo tecnico in materia, anche attraverso convenzioni con atenei e centri di ricerca per la creazione di appositi corsi universitari;

5) a definire una nuova strategia nazionale sul nucleare ed un piano nazionale che contempli un mix bilanciato fra tutte le fonti energetiche, al fine di ridurre la vulnerabilità e dipendenza dell'Italia dall'import di energia, emerse ormai con evidenza e con crescente preoccupazione agli occhi di tutti i cittadini italiani;

6) ad individuare luoghi da adibire quali depositi unici nazionali dei rifiuti nucleari;

7) ad adottare iniziative per prevedere, ove venissero realizzate sul suolo nazionale centrali nucleari di nuova generazione, misure di compensazione ambientale per enti e territori.
(1-00628) «Binelli, Molinari, Andreuzza, Carrara, Colla, Fiorini, Galli, Micheli, Pettazzi, Piastra, Saltamartini».

(19 aprile 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il dibattito intorno alla necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, scatenato dal conflitto russo-ucraino e dal conseguente forte rialzo dei prezzi del gas, ha riportato l'attenzione anche sul tema dell'energia nucleare;

    l'Italia e l'Europa intera sono, infatti, impegnate nella ricerca di fonti di approvvigionamento energetico che consentano loro di rendersi indipendenti dalle forniture di gas russo, sempre meno affidabili nell'attuale scenario geopolitico, con la finalità di garantirsi non solo la sicurezza dell'approvvigionamento ma anche la sostenibilità dei relativi costi;

    gli Stati membri dell'Unione europea devono, inoltre, contribuire agli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni inquinanti e di tutela dell'ambiente, previsti in ambito di Unione europea dal pacchetto Fit for 55, che impone il raggiungimento di obiettivi relativi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, al risparmio di energia tramite una maggiore efficienza energetica e a un maggiore uso delle energie rinnovabili, entro scadenze determinate;

    secondo il pacchetto Fit for 55, infatti, per il 2030, l'Unione europea dovrà aver ridotto le proprie emissioni complessive del 55 per cento rispetto ai valori del 1990;

    il tema dell'energia nucleare è di recente tornato d'attualità anche in seguito allo scontro avvenuto in ambito europeo in merito alla proposta, avanzata dalla Commissione europea, di inserire tale forma di produzione di energia nella tassonomia degli investimenti sostenibili di cui al regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all'istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088;

    le politiche di transizione energetica hanno, infatti, fatto tornare in auge questa tecnologia, in quanto non rilascia fumi climalteranti e il combustibile ha un costo molto basso, vantaggi cui si contrappone, tuttavia, l'elevatissimo costo di realizzazione degli impianti, anche a fronte di una potenza a volte contenuta degli stessi;

    lo scontro nell'Unione europea per l'inserimento o meno del nucleare nella tassonomia verde ha visto contrapporsi due blocchi dei quali fanno parte, tra gli Stati contrari Germania, Austria, Spagna e Lussemburgo, e tra le nazioni favorevoli Finlandia e Repubblica ceca; si è concluso il 2 febbraio 2022 con la presentazione, da parte della Commissione europea, di un «atto delegato complementare “Clima” della tassonomia, che riguarda determinate attività del settore del gas e del nucleare alla luce degli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici»;

    l'elenco delle regole che serviranno a indirizzare i flussi degli investimenti finanziari verso destinazioni dall'impatto ambientale positivo, ha quindi, incluso, tra le fonti energetiche classificate come «sostenibili» – ossia coerenti con il percorso di transizione ecologica e, dunque, meritevoli di ricevere investimenti «verdi» – il gas naturale e il nucleare;

    come si legge nel comunicato stampa rilasciato dalla Commissione europea, «Perché l'Unione europea possa raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 servono ingenti investimenti privati. La tassonomia dell'Unione europea è intesa a guidare gli investimenti privati verso le attività necessarie a tal fine. La classificazione della tassonomia non determina se una data tecnologia rientrerà o meno nel mix energetico degli Stati membri, ma ha lo scopo di presentare tutte le soluzioni possibili per accelerare la transizione e aiutarci a realizzare gli obiettivi climatici. Tenuto conto dei pareri scientifici e dello stato attuale della tecnologia, la Commissione ritiene che gli investimenti privati nel settore del gas e del nucleare possano svolgere un ruolo nella transizione»;

    in numeri assoluti l'energia nucleare prodotta in Europa nel 2020 è stata pari a 760 mila gigawattora, pari al 21,8 per cento di tutta l'energia prodotta in Europa, e al 25 per cento di quella prodotta nei soli Stati appartenenti all'Unione europea; mentre a livello mondiale l'energia nucleare rappresenta il 10 per cento di tutta l'energia prodotta;

    secondo i dati di Eurostat, inoltre, nei tredici Stati membri nei quali sono presenti centrali nucleari, la quota percentuale di energia nucleare prodotta sale al 34,3 per cento e le percentuali più elevate riguardano la Francia, che nel 2020 ha generato oltre la metà (52 per cento) della produzione totale di energia nucleare dell'Unione europea, con un valore poco superiore ai 353 mila gigawattora, seguita da Germania e Spagna, entrambe al 9 per cento, e dalla Svezia con il 7 per cento;

    guardando al peso del nucleare sull'energia prodotta dai singoli Stati dell'Unione europea, l'Eurostat segnala che la Francia è rimasta lo Stato membro più dipendente dai reattori, che hanno prodotto il 67 per cento di tutta l'elettricità generata nel Paese nel 2020, e che l'unico altro Paese dell'Unione europea con più della metà della propria elettricità generata nelle centrali nucleari è stata la Slovacchia (54 per cento), cui poi seguono l'Ungheria con il 46 per cento, la Bulgaria (41 per cento), il Belgio (39 per cento), la Slovenia (38 per cento), la Cechia (37 per cento), la Finlandia (34 per cento), la Svezia (30 per cento), la Spagna (22 per cento), la Romania (21 per cento), la Germania (11 per cento) e i Paesi Bassi (3 per cento);

    l'Italia è l'unica nazione appartenente al G8 che non possiede impianti nucleari per la generazione di energia, nonostante oltre il 10 per cento dell'energia consumata in ambito nazionale derivi proprio da importazioni di energia nucleare, prevalentemente dalla Francia;

    lo stop al nucleare in Italia è stato sancito, in momenti storici differenti, da due referendum popolari: nel 1987, l'80 per cento dei votanti ha abrogato le norme sulla realizzazione e sulla gestione delle centrali nucleari, i contributi a comuni e regioni sedi di centrali nucleari e sulle procedure di localizzazione delle centrali nucleari, mentre nel 2011, con il 94 per cento dei voti favorevoli, è stato cancellato il nuovo programma energetico nucleare elaborato dal Governo;

    in Italia ancora non è stato completato lo smantellamento dei siti: il 30 giugno 2020, a oltre trent'anni dalla loro chiusura, la Società di gestione degli impianti nucleari (Sogin) ha presentato un piano per lo smantellamento del 75 per cento dei siti italiani, con un costo complessivo di 2,3 miliardi di euro, e ancora non si è concretizzato neanche il deposito nazionale delle scorie nucleari, in cui dovranno essere stoccati 95 mila metri cubi di rifiuti radioattivi;

    in merito al deposito il Ministro della transizione ecologica ha recentemente affermato che entro la fine del 2023 sarà individuata la località dove sorgerà l'impianto, mentre entro il 2029 è prevista l'entrata in esercizio del deposito;

    la fusione nucleare è sempre stata guardata con scetticismo per la lentezza dei suoi progressi, tuttavia negli ultimi anni ha di nuovo suscitato interesse come strumento per combattere il cambiamento climatico;

    poche settimane fa Eurofusion, un consorzio cofinanziato dalla Commissione europea cui partecipano quasi cinquemila persone tra esperti, studenti e personale in staff da tutta Europa, nel quale la partecipazione italiana è coordinata dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile – Enea, ha conseguito una quantità record di energia prodotta da fusione presso l'impianto europeo Joint european torus (Jet);

    i progressi fatti dall'impianto Jet dovrebbero alimentare i futuri esperimenti dell'International thermonuclear experimental reactor (Iter), programma cui partecipano Unione europea, Federazione russa, Stati Uniti, Giappone, Cina, Corea del Sud e India e che prevede la costruzione di un grande impianto sperimentale a Cadarache, in Francia, per un costo di oltre 20 miliardi di dollari;

    tra i partecipanti al programma Iter figura anche l'eni, società impegnata nello sviluppo della fusione a confinamento magnetico perché «occupa un ruolo centrale nella ricerca tecnologica finalizzata al percorso di decarbonizzazione, in quanto potrà consentire all'umanità di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile e senza alcuna emissione di gas serra»;

    in quest'ottica Eni partecipa anche agli altri principali progetti, italiani e internazionali, per la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico: il Commonwealth fusion systems (Cfs), spin-out del Mit 2018; il Plasma science and fusion center (Psfc) del Mit; il Divertor tokamak test (Dtt), progetto dell'Enea a Frascati, in cui Eni ed Enea hanno firmato un'intesa per creare un polo scientifico-tecnologico sulla fusione, da realizzare al centro ricerche Enea di Frascati (Roma) 2019; le attività di ricerca del Cnr «Ettore Maiorana» di Gela;

    come si legge sul sito della compagnia, «Ognuno di essi sta dando un contributo importante per realizzare una rivoluzione tecnologica e industriale, uno straordinario balzo in avanti nella storia dell'umanità paragonabile alla scoperta del fuoco. Anche se lungo percorsi di ricerca differenti, l'obiettivo a cui tutto il mondo sta lavorando è realizzare la prima centrale a fusione in grado di immettere in rete energia elettrica a zero emissioni di gas climalteranti. Con qualche scostamento sulla data finale, si prevede di riuscirci nell'arco di uno o due decenni (...) Il primo traguardo è stato fissato per il 2025, quando Cfs prevede di arrivare a mettere in funzione il primo reattore pilota Sparc, mentre i programmi Iter e Dtt prevedono di ottenere il primo plasma nel 2027 e nel 2028»;

    di recente il Ministro della transizione ecologica, tra le opzioni da valutare per decarbonizzare, il settore energetico ha citato anche i mini-reattori modulari (small modular reactors, smr);

    per quanto riguarda la partecipazione italiana in centrali nucleari realizzate o da realizzare all'estero, Enel s.p.a. già dal 2005 detiene una quota di proprietà della società Slovenské elektrárne a.s., massima produttrice di elettricità in Slovacchia in parte generata da quattro reattori nucleari, e, attraverso la controllata Enel produzione, ha recentemente siglato un accordo con la compagnia ceca Energetický a Průmyslový holding per la concessione di un'ulteriore linea di credito per il completamento di due nuovi reattori della centrale nucleare slovacca di Mochovce;

    inoltre, Enel, attraverso la società di energia Endesa, della quale detiene il 70 per cento, possiede al 100 per cento la centrale nucleare spagnola Ascò I, oltre ad avere quote di proprietà nelle centrali spagnole Ascó II (85 per cento), Vandellós II (72 per cento), Almaraz I (36 per cento), Almaraz II (36 per cento) e Trillo (1 per cento);

    Ansaldo nucleare s.p.a., controllata al 100 per cento da Ansaldo energia s.p.a., nel 2007 ha concluso la costruzione, attraverso una joint venture con la società canadese Aecl, del secondo reattore della centrale rumena di Cernavodă, oltre ad avere collaborazioni in Armenia, Ucraina, Cina e Francia, e con altri costruttori per fabbricare e sperimentare componenti innovativi;

    Ansaldo nucleare s.p.a., inoltre, ha collaborato con il gruppo Toshiba-Westinghouse electric company nello sviluppo di reattori di terza generazione avanzata a «tecnologia passiva»; è attualmente impegnata, fra le altre cose, nella progettazione del recipiente di contenimento della centrale nucleare cinese di Sanmen e dal 2011 ha aderito alla joint venture fondata nell'agosto 2010 dalle società britanniche Nuvia e Cammell Laird per partecipare alla progettazione e alla costruzione di componenti pesanti per i reattori Ap1000 ed Epr delle prossime centrali nucleari inglesi,

impegna il Governo:

1) a sostenere la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico, lungo il solco già tracciato dai citati progetti, anche tenendo conto delle recenti valutazione dell'Unione europea sulla tassonomia del nucleare e sulla sancita possibilità per gli Stati di finanziare i progetti di ricerca in merito;

2) nel breve e medio periodo, a investire sulla produzione industriale di energia nucleare all'estero.
(1-00641) «Foti, Lollobrigida, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(6 maggio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la Commissione europea, al fine di fornire una definizione univoca rispetto alle tipologie di attività economiche e di investimenti che possano definirsi «ecosostenibili», a maggio 2018 ha presentato la proposta di regolamento sulla «tassonomia verde europea», approvato dal Consiglio europeo il 10 giugno 2020 e dal Parlamento europeo il 18 giugno, con il titolo «Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020, relativo all'istituzione di un quadro per favorire gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088»;

    per l'attuazione di tale regolamento, la Commissione si è impegnata ad adottare atti delegati, contenenti specifici criteri di vaglio tecnico, al fine di integrare i principi sanciti nel regolamento e stabilire quali attività economiche possano contribuire a perseguire ciascun obiettivo ambientale. In particolare, si è impegnata ad adottare criteri riguardanti la mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici entro la fine del 2021 ed entro la fine del 2022, criteri relativi agli altri quattro obiettivi ambientali: uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un'economia circolare, prevenzione e riduzione dell'inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi;

    a seguito dell'adozione di un primo atto delegato, relativo agli aspetti climatici della tassonomia dell'Unione europea avvenuta in data 21 aprile 2021, la Commissione europea ha avviato un'ampia discussione in ambito europeo sull'inclusione delle tecnologie relative all'energia nucleare e al gas naturale tra quelle che possano definirsi sostenibili;

    nel luglio 2021 è stata resa nota la lettera inviata da cinque Paesi europei, Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Lussemburgo, con la quale si proponeva alla Commissione europea di escludere il nucleare dalla classificazione verde della tassonomia al fine di non favorirlo in aiuti e corsie preferenziali nel Green Deal europeo, di transizione e contrasto ai cambiamenti climatici;

    le insanabili divergenze tra gli Stati membri hanno comportato in un primo tempo il fallimento di qualsiasi forma di mediazione in favore di un accordo che includesse anche le attività relative all'energia nucleare e al gas naturale nel regolamento delegato 2021/2139 pubblicato il 10 dicembre 2021, con cui viene integrato il regolamento (UE) n. 2020/852;

    tuttavia, il 31 dicembre 2021 la Commissione ha pubblicato una bozza di atto delegato secondo la quale i progetti nucleari con permesso di costruzione rilasciato entro il 2045 sarebbero idonei ad attrarre investimenti privati, purché in grado di prevedere piani per la gestione delle scorie radioattive e per il decommissioning delle centrali nucleari, come sarebbero ammissibili sinché i progetti sul gas con autorizzazioni rilasciate entro il 2030, purché soddisfino una serie di condizioni, come emissioni inferiori a 270 grammi di CO2 equivalente per kWh;

    il 21 gennaio 2022 la Platform on Sustainable Finance (Psf), il gruppo di esperti scientifici al quale la Commissione ha chiesto un parere in merito, ha respinto l'inclusione di gas e nucleare nella tassonomia, dichiarandosi «profondamente preoccupati dagli impatti ambientali che ne potrebbero derivare»;

    il 2 febbraio 2022 la Commissione europea ha definitivamente approvato l'atto delegato Taxonomy Complementary Climate includendo, sotto specifiche condizioni, anche nucleare e gas tra quelle attività che possono definirsi sostenibili, sottoponendolo al Consiglio e al Parlamento europeo, che hanno 3 mesi di tempo, prorogabili di un ulteriore mese, per opporre un veto attraverso una maggioranza qualificata pari a 20 Stati membri o attraverso un voto a maggioranza assoluta del Parlamento;

    tale inclusione pregiudica completamente il sistema originariamente concepito dall'Unione europea per orientare gli investimenti verso attività e progetti green nell'ottica di conseguire gli obiettivi europei di decarbonizzazione, stante il fatto che qualificare la produzione di energia nucleare e il ricorso al gas naturale come attività ecosostenibili, causa l'effetto di sottrarre risorse ad attività e progetti effettivamente «puliti» per destinarli ad attività inquinanti;

    vale infatti la pena ricordare che l'Italia ha prodotto energia nucleare per poco tempo, eppure l'attività di decommissioning e la gestione dei rifiuti radioattivi non si sono ancora concluse. Dopo 34 anni dallo spegnimento dei reattori italiani il problema dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari e dagli altri siti nucleari ad esse correlate non sono stati ancora risolti e attualmente i rifiuti radioattivi sono in parte all'estero per essere riprocessati per poi tornare in Italia e in parte sono dislocati in 19 siti temporanei sul territorio nazionale;

    sul territorio nazionale ci sono anche elementi di combustibile radioattivo di provenienza extranazionale. Infatti, nell'impianto Itrec tra il 1968 e il 1970 sono stati trasferiti 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio provenienti dal reattore sperimentale Elk River (Minnesota). In seguito, sono state condotte ricerche sui processi di ritrattamento e ri-fabbricazione del ciclo uranio-torio per verificare l'eventuale convenienza tecnico-economica rispetto al ciclo del combustibile uranio-plutonio normalmente impiegato. Dello smaltimento dei relativi rifiuti radioattivi si dovrà fare carico l'Italia, salvo che sia concordato il trasferimento negli Usa;

    si stima che a oggi il prelievo sulla bolletta elettrica per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e di smantellamento delle centrali nucleari ammonti a 4 miliardi di euro;

    come emerge da quanto sopra riportato non vi è alcuna convenienza economica a sostenere investimenti e più in generale iniziative a favore della produzione di energia nucleare;

    la produzione di energia nucleare è stata oggetto di due referendum abrogativi, nel 1987 e nel 2011, attraverso i quali i cittadini italiani hanno espresso chiaramente la volontà di non produrre energia nucleare. Sotto il profilo formale, si ricorda che il referendum abrogativo è considerato un «atto-fonte dell'ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria» (Corte costituzionale 3 febbraio 1987 n. 29) e il suo esito è rinforzato dal divieto (ricavato dall'articolo 75 della Costituzione) di ripristino delle norme abrogate a seguito di un'iniziativa referendaria (Corte costituzionale 17 luglio 2012 n. 199);

    l'Unione europea ha fissato traguardi ambiziosi per conseguire l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e l'effetto diretto della guerra in Ucraina sulla questione energetica pone l'urgenza di affrancare l'Europa dalla dipendenza dalle importazioni di gas e prodotti petroliferi dalla Russia, valutando il modo migliore per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico ai paesi membri;

    in questo contesto verrebbe rilanciato da più parti il nucleare «di IV generazione» come tecnologia da prendere in considerazione nel processo di decarbonizzazione del nostro Paese, riaprendo il dibattito sul ruolo di questa tecnologia nella lotta ai cambiamenti climatici e nell'approvvigionamento energetico dell'Italia, ma allo stato attuale, pur essendo da decenni allo studio, con stime di costi futuri ancora largamente non attendibili, non si sono ancora concretizzati impianti utilizzabili diffusamente in sicurezza e si ritiene che i primi prototipi possano essere disponibili non prima del 2030 e quelli commerciali non prima del 2040, collocando di fatto i reattori di IV generazione in un futuribile scenario, del tutto fuori gioco rispetto ai tempi di conseguimento degli obiettivi sulla neutralità climatica e alla necessità di perseguire l'autonomia energetica del Paese;

    i progetti in corso in varie parti del mondo (Cina, India e altri) non hanno le dimensioni per portare significativamente al di sopra del 2 per cento la quota di consumi finali d'energia oggi spettante al nucleare, con costi che sarebbero fino a 10 volte superiori a quelli del fotovoltaico, come si è potuto registrare in recenti bandi dell'Unione europea confrontati con i costi della centrale nucleare di Hinkley Point (GB). Nella stessa Europa il peso del nucleare è caduto dal 17 per cento al 10 per cento dei soli impieghi elettrici, mentre i reattori «III+» non vedono ancora la luce nei Paesi in cui sono in costruzione;

    Unione europea, Giappone, USA, Russia, Cina, Corea e India stanno collaborando a un programma comune per la realizzazione del reattore a fusione sperimentale Iter (International thermonuclear experimental reactor), cui partecipa «ENEA-Fusione» attraverso l'Agenzia europea Fusion For Energy (F4E). La costruzione cominciata nel 2007 nel sito europeo di Cadarache nel sud della Francia, sarebbe dovuta terminare nel 2016, ma ad oggi le stime sono state riviste e l'avvio delle prime attività del reattore sperimentale Iter è stimato, secondo i proponenti, non prima del 2025 e la sua piena capacità si pensa sia raggiungibile non prima del 2035, con un costo per la ricerca e costruzione originariamente stimato per 11 miliardi di dollari, ma che già nel 2017 aveva superato i 20 miliardi di dollari,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi e a sostenere in sede europea l'opposizione all'atto delegato complementare sul nucleare e sul gas naturale, al fine di escludere le attività nel settore del gas naturale e dell'energia nucleare dalle attività economiche considerate sostenibili e, in quanto tali, finanziabili nell'ambito della cosiddetta tassonomia verde;

2) in ossequio agli esiti dei referendum abrogativi del 1987 e del 2011, ad astenersi da ogni iniziativa volta a consentire nuovamente lo sfruttamento e l'impiego dell'energia nucleare da fissione in Italia, e, quindi, anche ad escludere che nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec) in fase di revisione siano contemplate tali attività;

3) ad adottare iniziative per perseguire velocemente la transizione verso le energie pulite, al fine di conseguire l'autonomia energetica e la riduzione dei costi energetici, accelerando lo sviluppo delle energie rinnovabili e la produzione delle loro componenti chiave, anche snellendo i procedimenti autorizzativi e migliorando l'efficienza energetica e la gestione del consumo di energia.
(1-00649) «Dori, Romaniello, Menga, Siragusa, Paolo Nicolò Romano, Fioramonti, Fratoianni, Villarosa, Paxia, D'Ambrosio».

(10 maggio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Unione europea, e con essa l'Italia, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica (cosiddetta «net zero») entro il 2050, prevedendo quindi che l'anidride carbonica immessa nell'atmosfera dovrà essere ridotta al minimo e bilanciata da una quantità equivalente, rimossa tramite sistemi di cattura e stoccaggio;

    per raggiungere questi obiettivi, occorre ridurre in modo significativo l'utilizzo di combustibili fossili (carbone, petrolio e, in via graduale, il gas naturale), ricorrendo maggiormente all'impiego di energia elettrica, la cui percentuale sugli usi finali deve passare dall'attuale 21 per cento al 55 per cento;

    questo implica dover arrivare nel 2050 ad una produzione di circa 650 terawattora all'anno senza emissioni di gas serra;

    a titolo di confronto, nel 2021 si è arrivati solamente a 95 terawattora all'anno, di cui 50 terawattora prodotti per il tramite di fonti idroelettrica e geotermica e, quindi, difficilmente incrementabili;

    attualmente, la strategia italiana prevede il raggiungimento di questi obiettivi mediante l'utilizzo esclusiva di fonti rinnovabili;

    questa soluzione, però, non è quella ottimale per il nostro Paese, in quanto, a causa del basso potenziale eolico italiano (anche off-shore), si avrebbe necessità di installare nei prossimi 30 anni enormi quantità di impianti fotovoltaici (da 400 a oltre 600 gigawatt a seconda dello scenario) e circa 50 gigawatt di impianti eolici, oltre ad 1 terawattora di batterie per l'accumulo di breve termine e, nello scenario con soli 400 gigawatt di impianti fotovoltaici, oltre 100 gigawatt di impianti di elettrolisi per la produzione di idrogeno per l'accumulo di lungo termine (stagionale) ed enormi volumi di serbatoi per lo stoccaggio dell'idrogeno prodotto; tecnologie queste ultime non ancora mature e comunque molto costose, a causa dell'impiego degli elettrolizzatori per un numero limitato di ore e per i grandi volumi di stoccaggio idrogeno necessari;

    in aggiunta, l'installazione di impianti fotovoltaici ed eolici di così ingenti capacità, atteso che sui tetti di edifici residenziali commerciali ed industriali sarebbe possibile installare impianti fotovoltaici per non più di 50 gigawatt, comporterebbe un consumo di suolo eccessivo, stimato in un range compreso tra 600 e 900 mila ettari (circa il doppio del Molise);

    un'ulteriore criticità riguarda il ritmo di installazioni annue, che dovrebbe passare da una media degli ultimi 5 anni dell'ordine di 0,8 gigawatt ad una media di oltre 20 gigawatt l'anno, 25 volte il ritmo attuale;

    l'alternativa senza dubbio migliore, sia dal punto di vista dell'impatto sul territorio (le superfici impegnate da impianti sarebbero 3 volte inferiori) che dei costi del sistema elettrico (che sarebbero sino al 50 per cento inferiori), è quella di raggiungere al 2050 la neutralità carbonica con un mix elettrico fatto di rinnovabili e nucleare; con una quota di almeno il 40 per cento di elettricità prodotta da centrali nucleari, le quali attenuerebbero i problemi legati alla variabilità, stagionalità e intermittenza di un mix fatto di sole fonti rinnovabili;

    le centrali nucleari, infatti, emettono, nel ciclo di vita, una quantità di anidride carbonica per kilowattora generato analoga a quella dell'eolico e circa la metà del fotovoltaico, con l'ulteriore vantaggio di garantire un'operatività di oltre 8.000 ore annue, rispetto alle circa 1.400 ore medie del fotovoltaico e alle 2.000 ore medie dell'eolico on shore e alle 3.000 ore dei migliori siti off-shore italiani;

    attualmente nel mondo ci sono in uso oltre 440 centrali nucleari, con ulteriori 54 in costruzione, che producono circa il 10 per cento dell'elettricità globale anche per esportarla in Paesi che non ne possiedono, tra cui l'Italia, che vanta il triste primato di unico Paese del G7 senza centrali nucleari;

    l'energia nucleare è una soluzione a bassissimo impatto ambientale, basti considerare che la Francia, Paese dell'Unione europea con il maggior numero di centrali e reattori, presenta in modo costante le minori emissioni di anidride carbonica per unità di energia elettrica generata, assieme ai Paesi scandinavi che si possono basare quasi unicamente su idroelettrico ed eolico, oltre – appunto – al nucleare nel caso della Svezia;

    ogni giorno l'Italia importa energia prodotta dalle centrali nucleari dei nostri vicini e un'elaborazione dei dati ricavati dal sito electricitymap.org – piattaforma open source nata nel 2016 per il monitoraggio dei flussi internazionali di energia elettrica – ha mostrato come anche nel mese di marzo 2022 il nucleare sia stata la seconda fonte di produzione di elettricità consumata in Italia dopo il gas naturale;

    ipotizzando una potenza media di 5 gigawatt per ogni centrale (ciascuna formata da 3-4 reattori), per produrre il 40 per cento circa del fabbisogno elettrico al 2050, sarebbero necessarie 8 centrali per una potenza installata di circa 40 gigawatt, con reattori a fissione di nuova generazione, ovvero dalla terza generazione evoluta in poi;

    la sicurezza è da sempre, soprattutto in Italia, fonte di preoccupazione ogni qualvolta si affronti il tema dell'energia nucleare a causa dei due incidenti di Chernobyl (1986) e Fukushima (2011) e dei conseguenti referendum popolari tenutisi;

    nel caso della centrale situata nell'allora Unione Sovietica, però, si trattava di un reattore privo dei più comuni sistemi di sicurezza già adottati all'epoca da decenni nelle centrali occidentali;

    nel caso giapponese, invece, la centrale era più vecchia di vent'anni rispetto a quella sovietica ed era stata costruita con la tecnologia degli anni '60; tuttavia, tutti i reattori hanno resistito al quarto terremoto più forte mai registrato nella storia dell'umanità (magnitudo 9.1, circa 30 mila volte più potente di quello de L'Aquila, con oltre 16 mila vittime del maremoto e buona parte della costa est del Giappone distrutta) e alle prime scosse si sono spenti in modo automatico e in completa sicurezza;

    il successivo incidente è stato causato dall'onda di tsunami che ha allagato il locale che ospitava i generatori diesel che, dopo il totale collasso della rete elettrica, si erano regolarmente avviati per alimentare le pompe di raffreddamento del nocciolo della centrale; in seguito all'incidente di Fukushima, stress test sono stati condotti su tutte le centrali europee e più stringenti prescrizioni sono state adottate per tener conto di possibili allagamenti in caso di eventi straordinari;

    il Giappone – così come decine di altri Paesi – considera le centrali nucleari talmente sicure e prioritarie per la generazione di energia elettrica che attualmente sono in costruzione 2 ulteriori reattori, per un totale di 2,6 gigawatt di potenza installata;

    la costruzione di una centrale nucleare, nei Paesi dove se ne costruiscono regolarmente, non richiede decenni ma pochi anni; Giappone e Corea del Sud hanno impiegato ed impiegano, in media, rispettivamente, 46 e 56 mesi, ovvero meno di cinque anni;

    è prevedibile che la riprogrammazione di molte nuove centrali in Inghilterra, Francia, Polonia, Finlandia e altri Paesi e l'esperienza acquisita dalla soluzione delle difficoltà incontrate nella costruzione delle pochissime unità realizzate negli ultimi anni in Europa portino a ridurre in modo significativo i tempi di costruzione di futuri reattori e, di conseguenza, i costi finanziari, per allinearli alle migliori esperienze prima citate; tuttavia, conservativamente, si può assumere che in Italia, la costruzione di una centrale nucleare possa richiedere circa 10 anni e che i cantieri per le 8 centrali ipotizzate vengano avviati a breve scadenza uno dall'altro, così che l'intero parco venga realizzato in circa 20 anni;

    per quanto riguarda la questione dei rifiuti radioattivi derivanti dall'esercizio delle centrali nucleari, quelli ad alto livello (Hlv, high-level waste), provenienti dal combustibile nucleare irraggiato (cioè dopo l'uso nel reattore), sono prodotti in quantità molto piccola (per esempio, in Francia, le centrali nucleari, che generano oltre il 70 per cento dell'energia elettrica, ne producono l'equivalente di una solo lattina di bibita per abitante, in un tempo pari alla sua vita); inoltre, possono essere smaltiti in un unico deposito geologico nazionale (o regionale, ovvero condiviso tra più Paesi) in modo totalmente sicuro con le attuali tecnologie, come mostra l'esempio del deposito geologico finlandese, quasi completato, o svedese, la cui costruzione è stata avviata; le altre tipologie di rifiuti, più abbondanti, sono simili a quelli generati anche dalla medicina nucleare, da attività industriali e di ricerca e possono essere smaltiti in depositi di superficie;

    peraltro, l'Italia ha già la necessità di dotarsi sia di un deposito di superficie, sia di uno geologico (eventualmente condiviso con altri Paesi), per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali e dagli impianti nucleari in esercizio sino al 1987; in particolare, rifiuti ad alta attività devono necessariamente rientrare dal Regno Unito e dalla Francia; si tratta di 4 cask (robustissimi cilindri di acciaio e rame) dal Regno Unito, per i quali i consumatori elettrici ogni anno stanno già pagando una tariffa di «parcheggio» di 18 milioni di euro e di ulteriori 6 cask dalla Francia, che, se non rientreranno in Italia entro il 2025, comporteranno presumibilmente un ulteriore esborso di 27 milioni di euro l'anno;

    il processo di localizzazione del deposito nazionale di superficie è in oggettivo ritardo, ma, una volta scelto il sito, il deposito potrebbe essere nominalmente realizzato in cinque anni, a condizione che vengano subito risolte le criticità gestionali di Sogin, già evidenziate con diversi atti di sindacato ispettivo e dallo stesso Ministro Cingolani;

    il decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73, recante «Misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali e di rilascio del nulla osta al lavoro, Tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali», dispone, all'articolo 34, il commissariamento di Sogin, prendendo atto delle evidenti criticità gestionali della società – emerse da tempo e oggetto anche di numerosi atti di sindacato ispettivo – e dei ritardi riscontrati nel processo di localizzazione e conseguente realizzazione del deposito nazionale di superficie;

    l'attuale crisi energetica mostra come sia indispensabile per un Paese pienamente sviluppato possedere un sistema energetico nazionale affidabile, stabile e con fornitori diversificati;

    tale obiettivo può essere perseguito solo con la previsione di utilizzare un insieme vario di fonti energetiche e tecnologie di generazione di energia elettrica e con la pianificazione delle modalità e dei tempi della loro entrata in servizio,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per includere l'energia elettrica generata da centrali nucleari, con reattori a fissione dalla terza generazione evoluta in poi, nel mix energetico nazionale per la transizione verso gli obiettivi «net zero» del 2050 e per ridurre la vulnerabilità italiana dovuta alla dipendenza dalle importazioni di energia;

2) a favorire campagne di informazione pubblica sulle diverse fonti e tecnologie energetiche disponibili per conseguire gli obiettivi di lungo termine di azzeramento delle emissioni di gas serra, basate unicamente sulle evidenze scientifiche, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza sugli oggettivi limiti e vantaggi di ciascuna di esse, liberandole tutte da ogni pregiudizio di parte;

3) ad adottare iniziative per sostenere la ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare di ultima generazione – inclusi i cosiddetti small modular reactor (reattori modulari di piccole dimensioni) – e sulla fusione nucleare, ampliando l'offerta formativa nelle università italiane e incrementandone l'attrattività anche per ricercatori e docenti stranieri.
(1-00664) (Nuova formulazione) «Ruffino, Angiola, Costa, Napoli, Pedrazzini, Trizzino, Schullian».

(13 giugno 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI DISCIPLINA DI BILANCIO E GOVERNANCE ECONOMICA DELL'UNIONE EUROPEA

   La Camera,

   premesso che:

    il sistema di governance economica dell'Unione europea è costituito da un complesso di misure, di natura legislativa e non legislativa, modificato a più riprese, il cui insieme principale di regole si basa sul Patto di stabilità e crescita (Psc), approvato dal Consiglio europeo di Amsterdam del giugno 1997;

    con il Patto di stabilità e crescita la governance europea si struttura maggiormente, costituendo il principale fondamento giuridico della regolamentazione delle politiche di bilancio, ai sensi dell'articolo 121 (sorveglianza multilaterale) e dell'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (procedura per i disavanzi eccessivi);

    il Patto, così come modificato, si articola in un cosiddetto braccio preventivo («preventive arm», che mira a garantire politiche di bilancio sostenibili nell'arco del ciclo economico attraverso il raggiungimento dell'obiettivo di bilancio a medio termine, che è individuale per ogni Stato membro) e in un cosiddetto braccio correttivo («corrective arm», che mira a garantire che i Paesi dell'Unione europea prendano misure correttive se il disavanzo del bilancio nazionale o il debito pubblico nazionale supera i valori di riferimento previsti nel trattato, rispettivamente il 3 per cento e il 60 per cento del prodotto interno lordo) ed era principalmente finalizzato a rendere più cogente la disciplina di bilancio degli Stati membri dell'Unione europea imponendo, in particolare, il rispetto delle soglie del 3 per cento per l'indebitamento netto e del 60 per cento del prodotto interno lordo per il debito delle pubbliche amministrazioni, regole originariamente previste dal protocollo sui disavanzi eccessivi annesso al Trattato di Maastricht;

    il Patto è stato oggetto di un primo intervento di modifica nel 2005 ad opera dei due regolamenti (CE) n. 1055 e n. 1056, con i quali, fermi restando i due parametri quantitativi del 3 per cento e del 60 per cento sono stati ridefiniti gli obiettivi di finanza pubblica a medio termine, attraverso la previsione di percorsi di avvicinamento differenziati per i singoli Stati membri, al fine di tener conto delle diversità delle posizioni di bilancio, degli sviluppi sul piano economico e della sostenibilità finanziaria delle finanze pubbliche degli Stati medesimi;

    in particolare, si è previsto che gli Stati membri, nell'ambito dell'aggiornamento dei rispettivi programmi di stabilità, presentino un obiettivo di medio termine (omt), concordato in sede europea e definito sulla base del potenziale di crescita dell'economia e del rapporto debito/prodotto interno lordo. Esso consiste in un livello di indebitamento netto strutturale (corretto, cioè, per il ciclo e al netto delle misure temporanee e una tantum) che può divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo, ma che deve essere tale da garantire, in presenza di normali fluttuazioni cicliche, un adeguato margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento ed un ritmo di avvicinamento certo ad una situazione di sostenibilità delle finanze pubbliche;

    a seguito della grave crisi finanziaria e della recessione economica che hanno investito l'economia mondiale a partire dal 2009, e che hanno determinato un forte deterioramento delle finanze pubbliche in tutti i Paesi europei, è stato avviato un ciclo di modifiche della governance economica dell'Unione europea attraverso l'approvazione, nel corso del 2011, di un pacchetto di sei proposte legislative (cosiddetto Six pack), consistenti in due regolamenti (n. 1174 e n. 1176 del 2011) volti alla creazione di una sorveglianza macroeconomica per la prevenzione e correzione degli squilibri, tre regolamenti (n. 1173, n. 1175 e n. 1177 del 2011) finalizzati ad una più rigorosa applicazione del Patto di stabilità e crescita e in una direttiva (2011/85/UE) relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri; hanno concorso a rafforzare il Patto di stabilità, nel senso di una più rigorosa applicazione, due ulteriori regolamenti del maggio 2013 (cosiddetti Two pack), volti a dettare regole più stringenti in materia di sorveglianza economica e di bilancio e di monitoraggio dei progetti di bilancio degli Stati membri (regolamento n. 472/2013 sulla sorveglianza rafforzata agli Stati in difficoltà e regolamento n. 473/2013 sul monitoraggio rafforzato delle politiche di bilancio degli Stati);

    le azioni intraprese in questo ambito hanno contribuito a delineare un'architettura delle politiche di bilancio dell'Unione europea in generale più vincolante per gli Stati membri, istituendo un quadro più rigido per il coordinamento e il controllo delle politiche di bilancio;

    a tale quadro si è aggiunta, in occasione del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012, la firma del Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria (Trattato cosiddetto Fiscal Compact, frutto di un accordo intergovernativo e concordato al di fuori della cornice giuridica dei Trattati dell'Unione europea), entrato poi in vigore il 1° gennaio 2013, che ha richiamato la riforma della governance economica dell'Unione europea già adottata nel novembre 2011;

    il Fiscal Compact ha infatti incorporato ed integrato in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche in gran parte già introdotte o in via di introduzione in via legislativa nel quadro della nuova governance economica europea;

    la nuova regola numerica, adottata con il Six pack e richiamata nel Fiscal compact, specifica il ritmo di avvicinamento del debito al valore soglia del 60 per cento del prodotto interno lordo. In particolare, la regola si considera rispettata se la quota del rapporto debito/prodotto interno lordo in eccesso rispetto al valore del 60 per cento si è ridotta in media di 1/20 all'anno nei tre anni precedenti quello di riferimento (criterio retrospettivo o backward-looking della regola sul debito), ovvero se la riduzione del differenziale di debito rispetto al 60 per cento si verificherà, in base alle stime elaborate dalla Commissione europea, nei tre anni successivi all'ultimo anno per il quale si disponga di dati (criterio prospettico o forward-looking della regola sul debito);

    nel valutare il rispetto dei due criteri precedenti, la regola del debito prevede che si tenga conto dell'influenza del ciclo economico, depurando il rapporto debito/prodotto interno lordo dell'effetto prodotto dal ciclo sia sul numeratore sia sul denominatore. Se anche in questo caso la regola non risulta rispettata, possono essere valutati i cosiddetti fattori rilevanti. In particolare, la Commissione sarà chiamata in questo caso a redigere un rapporto ex articolo 126, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) nel quale esprimere valutazioni «qualitative» in merito agli sviluppi delle condizioni economiche e della finanza pubblica nel medio periodo, oltre che su ogni altro fattore che, nell'opinione dello Stato membro, sia rilevante nel valutare complessivamente il rispetto delle regole di bilancio europee;

    solo se nessuna di queste condizioni (inclusa la mancata attribuibilità al ciclo) viene soddisfatta, la regola del debito è considerata non rispettata, portando alla redazione, da parte della Commissione europea, di un rapporto ai sensi dell'articolo 127(3) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue);

    dalla sua entrata a regime nel 2015, la regola del debito, che è stata recepita nell'ordinamento italiano con la legge n. 243 del 2012 di attuazione del principio dell'equilibrio di bilancio, non è mai stata rispettata dall'Italia in nessuna delle sue configurazioni. Grazie alla considerazione dei fattori rilevanti, la Commissione europea e il Consiglio hanno nel corso degli anni considerato valide le ragioni addotte dal Governo italiano per posticipare la riduzione del debito pubblico, e non si è mai arrivati quindi all'avvio della procedura di infrazione per disavanzi eccessivi basata sul criterio del debito;

    da ultimo, anche il Def 2021 ha confermato la difficoltà per l'Italia di soddisfare la regola del debito nelle sue varie configurazioni e il nostro Paese ha più volte contestato l'eccessiva restrizione di bilancio implicata dal pieno rispetto della regola in un contesto spesso di condizioni cicliche molto deboli rese ancora più proibitive – per il perseguimento dell'obiettivo relativo al debito pubblico – dalle conseguenze economiche della crisi pandemica;

    all'inizio del 2020, a fronte di alcuni elementi di debolezza già dimostrati dall'impianto complessivo che avevano causato difficoltà agli Stati membri, in particolare nel determinare un percorso virtuoso favorevole alla crescita di lungo periodo, la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sul riesame dell'efficacia del quadro della governance economica. Il dibattito pubblico, inizialmente sospeso poco dopo la sua apertura per via della crisi pandemica, è stato quindi rilanciato dalla Commissione europea alla fine del 2021 (COM(2021)662 final), per riavviare un confronto attorno ai cardini delle regole fiscali come modificate dalle successive integrazioni al Patto di stabilità e crescita e sulla loro efficacia per il conseguimento degli obiettivi originari;

    è stata infatti la stessa Commissione europea ad affermare che, se da una parte, le regole avevano favorito una convergenza duratura dei risultati economici degli Stati membri e un coordinamento più stretto delle politiche di bilancio nella zona euro, dall'altra il debito pubblico rimaneva elevato in alcuni Stati membri e l'orientamento della politica di bilancio a livello nazionale era stato spesso pro-ciclico;

    nonostante abbia promosso la convergenza dei saldi di bilancio verso livelli più sostenibili, l'attuale quadro di governance ha infatti rivelato notevoli debolezze, tra cui la sua elevata complessità, uno scarso livello di attuazione, la carenza di titolarità e di incentivi a perseguire politiche anticicliche, così come la mancanza di una capacità di stabilizzazione centrale per gestire gli shock idiosincratici. Inoltre, esso non è riuscito a ridurre le divergenze tra i livelli di debito nell'Unione, né a proteggere o promuovere gli investimenti che stimolano la crescita;

    il diffondersi della pandemia da COVID-19 ha innescato una crisi senza precedenti, che ha provocato gravi ripercussioni asimmetriche e causato perturbazioni in ambito sanitario, economico e sociale, che hanno determinato la necessità di adottare misure straordinarie; con l'arrivo della crisi pandemica da COVID-19, la Commissione europea ha quindi disposto l'attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita (general escape clause), al fine di assicurare agli Stati membri il necessario spazio di manovra di bilancio – nel quadro del patto – per contrastare le conseguenze sanitarie ed economiche della crisi;

    alla crisi sanitaria e a quella economica, conseguita all'emergenza epidemiologica da COVID-19, si è quindi aggiunta, già dal 2021, la cosiddetta pandemia energetica, un'impennata dei prezzi dell'energia e del gas, con pesanti ripercussioni sulle famiglie e sulle imprese, già gravate dagli effetti negativi della pandemia e in forte difficoltà nel mantenere la propria capacità produttiva e nel far fronte al pagamento delle spese relative alle utenze;

    l'aggressione russa in Ucraina – in violazione della sovranità di uno Stato libero e democratico, dei trattati internazionali e dei più fondamentali valori europei – e l'adozione delle conseguenti sanzioni da parte dell'Unione europea – hanno impresso una fortissima accelerazione alla pandemia energetica con conseguenti impatti negativi sulle economie degli Stati membri; la maggiore preoccupazione, per quanto concerne l'andamento economico dell'Italia, riguarda proprio il settore energetico, che è già stato colpito dai rincari degli ultimi mesi;

    la clausola di salvaguardia, introdotta con la revisione della disciplina fiscale operata dal Six-Pack nel 2011 ma mai applicata prima, consente agli Stati membri di deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di medio termine, discostandosi dalle esigenze di bilancio che sarebbero normalmente applicabili, a condizione che non venga compromessa la sostenibilità fiscale nel medio periodo, senza sospendere, pertanto, l'applicazione del Patto di stabilità e crescita né le procedure del Semestre europeo in materia di sorveglianza fiscale;

    l'attivazione della clausola di salvaguardia generale ha quindi consentito agli Stati membri di adottare misure molto significative sul fronte delle spese e delle entrate per ridurre al minimo l'impatto economico e sociale della pandemia. Nella comunicazione del 2 giugno 2021 (COM(2021) 500 final) la Commissione ha quindi confermato l'opportunità che la clausola di salvaguardia venga mantenuta nel 2022 e, presumibilmente, disattivata a partire dal 2023, quando si prevede che l'economia dell'Unione europea torni ai livelli pre-crisi;

    la Commissione ha inoltre affermato che la composizione delle finanze pubbliche non è diventata più favorevole alla crescita, con gli Stati membri che scelgono sistematicamente di aumentare la spesa corrente anziché proteggere gli investimenti. Dal riesame è risultato anche che il quadro di bilancio è diventato eccessivamente complesso a causa della necessità di tener conto di un'ampia gamma di circostanze in continua evoluzione nel perseguimento di molteplici obiettivi;

    in questo complesso quadro è intervenuta una risposta di bilancio europea comune che si è rivelata fondamentale per la ripresa, in un'ottica di sostenibilità ed inclusività economica e attraverso il rafforzamento della produttività e degli investimenti in tutta l'Unione europea per i meccanismi introdotti per la valutazione della qualità della spesa pubblica e per le sue modalità di finanziamento, il nuovo programma europeo Next Generation EU (Ngeu) ha infatti profondamente modificato la concezione del bilancio europeo, prevedendo, per la prima volta, l'emissione di strumenti di debito comune dell'Unione europea sui mercati globali e una impostazione solidaristica – fondata sui grants – che era del tutto mancata in occasione delle crisi finanziarie 2008/09 e 2010/12;

    l'emissione di obbligazioni dell'Unione europea è stata accolta come un chiaro segnale dell'impegno a favore di un'efficace ripresa congiunta ed offre un utile modello anche per le future sfide che l'Unione europea e i suoi Stati membri saranno chiamati ad affrontare;

    l'8 luglio 2021, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla «revisione del quadro legislativo macroeconomico per un impatto più incisivo sull'economia reale europea e una maggiore trasparenza del processo decisionale e della responsabilità democratica», con cui ha invitato la Commissione a rilanciare il dibattito pubblico sulla revisione del quadro di governance economica europea e a presentare proposte legislative complete e lungimiranti a seguito della revisione;

    fra le sue osservazioni, il Parlamento ha sottolineato l'importanza di politiche favorevoli alla crescita e di investimenti pubblici e privati sostenibili, volti ad aumentare il potenziate di crescita e raggiungere gli obiettivi dell'Unione europea incentrati sulle transizioni verdi e digitali e ad aumentare il potenziale di crescita, la competitività e la produttività e a dare impulso al mercato unico ed ha ribadito che investimenti e spese orientati al futuro hanno effetti positivi sulla sostenibilità del debito a medio-lungo termine;

    il 9 maggio 2021 è stata lanciata la Conferenza sul futuro dell'Europa, intesa come spazio pubblico di dibattito sull'Unione del futuro e sulle sue priorità che coinvolga direttamente i cittadini europei, in cui l'Italia deve avere l'ambizione e l'impulso necessari per poter svolgere un ruolo da protagonista, sostenendo le opportune riforme del quadro normativo e regolamentare attuale e le eventuali modifiche del Trattato necessarie;

    oggi, anche a seguito del conflitto in Ucraina, l'Italia e l'Unione europea sono chiamate ad affrontare una vera e propria emergenza energetica che rende improrogabile l'adozione, da parte dell'Unione europea, di tutte le misure necessarie per poter gestire al meglio e in maniera condivisa, anche nel futuro, una possibile crisi, così come l'avvio di una riflessione comune sui rischi geopolitici che condizionano duramente la politica energetica dell'Unione europea e la vulnerabilità delle sue forniture, al fine di proseguire nel percorso di mitigazione degli effetti negativi della crisi;

    in conclusione, il tema dell'aggiornamento e della revisione del quadro della governance economica europea rappresenta pertanto una questione centrale nel dibattito europeo non più rinviabile a fronte della nuova realtà economica – pesantemente influenzata dalle crescenti tensioni e dai mutati scenari geo-politici internazionali – e da rilanciare il prima possibile per sostenere una crescita inclusiva e la sostenibilità di bilancio a lungo termine,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere ogni iniziativa utile, in sede europea, finalizzata a:

  a) valutare il mantenimento dell'attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita (Psc) anche nel corso del 2023, per consentire agli Stati membri di continuare ad adottare le necessarie misure di flessibilità di bilancio finalizzate a ridurre al minimo l'impatto economico e sociale della grave crisi economica, in particolare quella energetica dovuta anche alle crescenti tensioni e ai mutati scenari geo-politici internazionali, con dirette conseguenze sulla sicurezza e sulla sostenibilità energetica dell'Unione europea, preservando gli investimenti pubblici e utilizzando al meglio i finanziamenti del dispositivo per la ripresa e la resilienza per dare impulso alla crescita;

  b) prevenire il ripristino dell'attuale quadro di governance macroeconomica europea – segnatamente del Patto di stabilità e crescita (Psc) – che deve essere ripensato alla luce del rinnovato contesto economico, per adattare le norme di bilancio alle nuove sfide che l'Unione europea e i suoi Stati membri sono chiamati ad affrontare, e perseguire politiche di bilancio sostenibili, prevedendo percorsi di rientro dal debito realistici che tengano conto delle specificità degli Stati membri e del loro quadro macroeconomico complessivo e, inoltre, superando l'utilizzo prevalente di indicatori non osservabili come il saldo strutturale, al fine di ancorare la sorveglianza macroeconomica a indicatori direttamente osservabili e misurabili;

  c) in particolare, rivedere gli irrealistici parametri quantitativi del 3 per cento e del 60 per cento privi di una reale giustificazione economica e spesso oggetto di critiche, con il conseguente superamento della fase preventiva e quella correttiva del Patto di stabilità e crescita, la cui applicazione si è dimostrata a più riprese incoerente, e garantire un'applicazione omogenea della procedura per gli squilibri macroeconomici, al fine di affrontare adeguatamente il fenomeno della pianificazione fiscale aggressiva e gli eccessivi surplus di specifici Stati membri;

  d) trasformare il programma Next Generation EU in uno strumento permanente, da finanziare attraverso il bilancio europeo con la conseguente istituzione di nuove fonti di entrate nella forma di risorse proprie dell'Unione europea e l'inclusione dell'emissione di debito comune europeo come strumento stabile, finalizzati a sostenere l'impegno comune per il rafforzamento degli investimenti nella produzione di «beni pubblici» che consentano di rispondere al meglio alle esigenze concordate a livello europeo, come ricerca, innovazione, sicurezza e transizione energetica, al fine di assicurare all'Unione europea un proprio spazio fiscale autonomo, capace di avviare una politica economica anti-ciclica, che la sottragga a quelli che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano «ricatti» dei contributi nazionali;

  e) a fronte dell'evoluzione dell'attuale scenario energetico, avviare con urgenza un confronto costruttivo per l'istituzione di un Fondo energetico europeo straordinario, quale strumento, a disposizione dell'Unione europea e dei suoi Stati membri a supporto della lotta al caro energia, per garantire una maggiore autonomia sul fronte energetico, attraverso l'attivazione di strategie di diversificazione degli approvvigionamenti energetici, di investimento sulle energie rinnovabili e di rafforzamento di meccanismi di stoccaggio comune, per evitare, nella direzione dell'Unione dell'energia, il rischio di crisi future, e per sostenere i cittadini europei e le categorie produttive gravemente colpite dalla cosiddetta pandemia energetica;

  f) sostenere ogni iniziativa diretta a mobilitare ulteriori investimenti finalizzati ad accelerare la realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili;

  g) modificare altresì le regole vigenti in materia di disciplina di bilancio, prevedendo lo scorporo dal calcolo del deficit di determinate categorie di investimenti pubblici nazionali produttivi, che sono ostacolati dall'attuale quadro di bilancio – tra cui quelli green, quelli destinati alle energie rinnovabili e ai beni pubblici europei – nonché esentare, dalla regola di spesa, gli investimenti finanziati dai prestiti del programma Next Generation EU che promuovono gli obiettivi a lungo termine dell'Unione europea, per rendere l'economia e il sistema energetico dell'Unione europea più competitivi, sicuri, omogenei e sostenibili;

  h) valutare altresì la possibilità di scorporare il debito anomalo e non strutturale accumulato a causa dell'emergenza legata al COVID-19, prevedendo la sua cancellazione, la sua perennizzazione attraverso i reinvestimenti del programma di acquisto di titoli Pepp, o in ogni caso tramite l'individuazione di un percorso di rientro ad hoc;

  i) tenere conto, nel quadro di una rinnovata governance economica dell'Unione europea, dell'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali e degli obiettivi ambientali del Green Deal, conformemente agli impegni dell'Unione europea in materia di ambiente e sviluppo sostenibile, anche attraverso la definizione di indicatori di base nel semestre europeo per misurare adeguatamente la disuguaglianza e la povertà e le conseguenze socio-economiche dei cambiamenti climatici, al fine di mettere l'economia al servizio dei cittadini e promuovere una convergenza economica e sociale verso l'alto.
(1-00586) (Nuova formulazione) «Scerra, Davide Crippa, Berti, Bruno, Businarolo, Galizia, Grillo, Ianaro, Papiro, Ricciardi, Vignaroli, Lovecchio, Buompane, Torto, Misiti, Donno, Manzo, Flati».

(14 febbraio 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la crisi ucraina, con i suoi già drammatici risvolti civili e i rischi di destabilizzazione dell'ordine mondiale, chiama l'Europa a una responsabilità decisiva a difesa della pace e della libertà dei popoli, e rende indifferibile e urgente un'accelerazione nel processo di costruzione compiuta del progetto federale, di cui un'autentica politica economica unitaria, una difesa comune e una politica energetica coordinata sono pilastri fondamentali;

    il 10 e 11 marzo 2022 i leader dell'Unione europea, in occasione del Consiglio europeo straordinario di Versailles, hanno adottato una dichiarazione riguardante l'aggressione russa nei confronti dell'Ucraina, il rafforzamento delle capacità di difesa, la riduzione delle dipendenze energetiche e la costruzione di una base economica più solida;

    per affrontare la crisi pandemica da Covid-19, dal 2020 in poi, l'Unione europea ha messo in campo strumenti eccezionali a sostegno delle economie europee quali: I) la sospensione delle regole di bilancio europee, per effetto della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita, sospensione che, sulla base dell'andamento attuale dell'economia, dovrebbe cessare il 31 dicembre 2022; II) il Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato adottato nell'aprile 2020, poi esteso e integrato più volte, alla sua sesta modifica del 18 novembre 2021, che ha prorogato il regime di deroghe alla normativa dell'Unione europea fino al 30 giugno 2022, definendo, al contempo, un percorso per la graduale eliminazione degli aiuti alla luce della ripresa dell'economia europea; III) lo strumento del Next Generation EU (NGEU) deliberato dal Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, un fondo europeo per la ripresa con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro da impiegare nel periodo 2021-2026, sulla base di Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) che comprendono riforme e progetti di investimento pubblici;

    è in corso, in seno alla Commissione europea, una revisione ulteriore del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato sulla scorta di quanto fatto con il Temporary Framework per il Covid-19;

    in seno alle istituzioni dell'Unione europea è in corso un dibattito sulla riforma della governance economica, che nei prossimi mesi si dovrà tradurre in proposte concrete su temi pregnanti per il futuro dell'Unione quali la riforma delle regole di bilancio dell'Unione europea il completamento dell'Unione bancaria e dell'Unione dei mercati dei capitali, la creazione di una capacità di bilancio dell'Unione e l'individuazione di una strategia di crescita che tenga conto delle transizioni digitali e ambientali, oltreché delle prossime sfide che l'Unione dovrà affrontare;

    durante le negoziazioni del trattato di Maastricht, l'allora Ministro del tesoro italiano Guido Carli propose l'adozione di un approccio tendenziale alla riduzione del debito pubblico, come alternativa all'introduzione di soglie numeriche su deficit e debito pubblico nei trattati;

    secondo un orientamento prevalente delle principali istituzioni finanziarie internazionali, il mantenimento di finanze pubbliche solide e sostenibili rappresenta una condizione favorevole al miglioramento della crescita delle economie degli Stati;

    il Presidente del Consiglio italiano e il Presidente della Repubblica francese, in un recente editoriale pubblicato dal Financial Times, hanno tracciato una direttrice politica con lo scopo di rafforzare la strategia comune europea sulla crescita e gli investimenti necessari ad affrontare le sfide future dell'Unione;

    la Commissione europea stima che il fabbisogno aggiuntivo di investimenti privati e pubblici relativi alle transizioni verde e digitale sarà di circa 650 miliardi di euro all'anno fino al 2030;

    l'ammontare del debito pubblico europeo è oggi in media di venti punti superiore al livello pre-pandemico, e vicino al 100 per cento del prodotto interno lordo;

    l'orientamento di politica monetaria della Banca centrale europea (Bce) sta cambiando in senso più restrittivo, con un probabile prossimo aumento dei tassi di interesse nell'eurozona, oltre alla già prevista cessazione, da marzo 2022, del programma di acquisto straordinario di titoli di Stato e di obbligazioni societarie dell'eurozona, noto come Pandemic emergency purchase programme (Pepp), del valore complessivo di 1.850 miliardi di euro;

    le recenti tensioni inflazionistiche, superiori alle attese degli analisti, accoppiate all'escalation della crisi ucraina stanno provocando un rapido deterioramento degli scenari economici globali, con impatti negativi sulle strategie europee di crescita;

    lo shock da offerta sui prezzi energetici determina un rischio di stagflazione che non può essere affrontato soltanto attraverso politiche monetarie espansive da parte della Banca centrale europea ma anche da mirate politiche di bilancio di livello comunitario, che prevedano un adeguato coordinamento in capo alla Commissione europea, di concerto con gli Stati membri,

impegna il Governo:

1) a farsi promotore, a tutti i livelli istituzionali dell'Unione europea, di iniziative volte a promuovere una riforma della governance economica che tenga in considerazione un approccio olistico e unitario e che preveda una riforma delle regole di bilancio europee in chiave evolutiva rispetto al quadro normativo precedente;

2) a farsi promotore, a tutti i livelli istituzionali dell'Unione europea, di un secondo Next Generation Ue, orientato al finanziamento degli investimenti collegati all'hard power e all'autonomia strategica dell'Unione europea (difesa, cybersicurezza, immigrazione, indipendenza energetica e tecnologica nei settori strategici), applicando il principio del «borrow to spend» per cui la Commissione reperisce risorse mediante indebitamento comune (eurobond) per poi cederle agli Stati a fondo perduto;

3) ad attivare iniziative concrete per una riforma delle regole sul deficit che crei adeguati spazi di bilancio necessari al finanziamento degli investimenti per la transizione digitale e ambientale, rendendo permanente uno strumento di finanziamento degli investimenti in beni pubblici europei sul modello Ngeu a partire dal 2027, finanziato attraverso nuove risorse proprie di bilancio dell'Unione e l'emissione di debito comune;

4) a promuovere una riforma delle regole che consenta agli Stati membri percorsi di rientro dal debito pubblico più sostenibili e legati alla dinamica tendenziale di riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;

5) ad adottare iniziative per istituire, con gli altri Stati membri, un tavolo di riforma complessiva della politica di bilancio dell'area euro, da realizzarsi anche attraverso modifiche ai Trattati che portino alla istituzione di un Ministro delle finanze europeo, recependo i suggerimenti che verranno espressi dalla Conferenza sul futuro dell'Europa;

6) a promuovere una revisione dei Trattati e, in particolare, del meccanismo di voto riducendo il ricorso al potere di veto e allargando le materie per le quali è previsto un meccanismo decisionale a maggioranza.
(1-00610) «Valentini, Rossello, Battilocchio, Fitzgerald Nissoli, Marrocco, Orsini, Perego Di Cremnago, Elvira Savino».

(21 marzo 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la crisi pandemica ha determinato rilevanti effetti negativi per il tessuto economico degli Stati membri dell'Unione europea, determinando nel 2020 un crollo del prodotto interno lordo nell'intera Unione europea del 6 per cento, del 6,5 per cento nell'eurozona e addirittura dell'8,9 per cento in Italia;

    per far fronte a ciò, una delle principali iniziative adottate dalla Commissione europea nel marzo 2020 è stata quella di utilizzare per la prima volta dall'introduzione del 2011 la cosiddetta general escape clause (clausola di salvaguardia) ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1466/97, i quali stabiliscono che «in caso di grave recessione economica della zona euro o dell'intera Unione, gli Stati membri possono essere autorizzati ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di bilancio a medio termine, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa»;

    l'utilizzo della clausola di salvaguardia ha concesso agli Stati membri di adottare per il biennio 2020/2021 delle politiche fiscali di gran lunga più espansive rispetto al passato; il deficit di bilancio della media dell'Unione europea nel 2020 è infatti aumentato al 6,9 per cento del prodotto interno lordo, al 7,2 per cento nell'eurozona ed al 9,5 per cento in Italia, ma comunque inferiore ad altre economie occidentali come Stati Uniti, Regno Unito o Giappone. Ciò nonostante, è opportuno ricordare che la clausola di salvaguardia non elimina il Patto di stabilità e neppure le sue procedure che si esplicano anche tramite raccomandazioni, monitoraggi ed esami approfonditi sugli squilibri macroeconomici;

    il 2 giugno 2021, con una comunicazione della Commissione europea, si è inoltre prorogata l'applicazione della general escape clause per tutto il 2022, prevedendo nello stesso testo la sua disattivazione per il 2023, anno in cui il prodotto interno lordo europeo, secondo le previsioni, dovrebbe tornare ai livelli pre-crisi per la maggior parte dei Paesi europei;

    alla fragile ripresa economica post pandemica si è aggiunta la crisi derivante dal conflitto tra Russia e Ucraina, che avrà forti ripercussioni sia per l'Unione europea che, in particolare, per il nostro Paese. Dal comparto energetico alla finanza, passando per l'agricoltura, sono molti i settori penalizzati;

    proprio a causa della crisi ucraina, le stime di crescita per il 2022 per l'Italia sono state già riviste al ribasso dal 4,7 per cento previsto a dicembre 2021 al 2,8 per cento. Le stime economiche potrebbero essere ulteriormente riviste in negativo col prolungarsi del conflitto: secondo banca Natixis nello scenario peggiore l'Unione europea potrebbe perdere l'8,6 per cento del prodotto intero lordo a causa del conflitto. In questo scenario l'Italia non tornerebbe ai livelli di prodotto interno lordo del 2019 nemmeno nel 2022;

    nell'ultima dichiarazione dell'Eurogruppo del 14 marzo 2022 non si è deciso di prorogare la clausola di salvaguardia anche per il 2023, anzi si chiede agli Stati «fortemente indebitati», ove possibile, di iniziare un progressivo aggiustamento fiscale per ridurre il debito pubblico;

    nonostante i numerosi appelli di economisti europei degli ultimi anni e una risoluzione di luglio 2021 del Parlamento europeo, non sono ancora state prese iniziative concrete per una modifica strutturale del Patto di stabilità e crescita;

    è opportuno ricordare che lo stesso European Fiscal Board, con il Report 2020, ha manifestato la necessità «di passare da un sistema di valutazione essenzialmente basato sul debito ad uno più attento alla spesa pubblica, con particolare riguardo alla sua qualità». La proposta istituirebbe di fatto una expenditure rule volta a promuovere gli investimenti e parallelamente a limitare la spesa corrente;

    in più occasioni numerosi esponenti dei Governi dei Paesi del Nord Europa si sono detti contrari ad una revisione delle normative di bilancio europee che non tenessero adeguatamente conto di percorsi di aggiustamento del debito pubblico;

    in parallelo alla discussione sulla potenziale revisione del Patto di stabilità sono state istituite delle iniziative di mutualizzazione del debito, prima tramite lo strumento «sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un'emergenza» (Sure) e poi tramite il pacchetto Next generation EU (Ngue) che vede nel Resilience and Recovery Facility (Rrf) il suo perno principale;

    nonostante la grande propaganda mediatica, l'impatto di questi fondi – che operano quasi esclusivamente tramite prestiti sostitutivi di emissioni nazionali – è risibile. Tanto che il Piano nazionale di ripresa e resilienza necessario per ottenere le già menzionate risorse stima un impatto sul prodotto interno lordo di appena 0,3 per cento-0,6 per cento all'anno;

    inoltre, dette risorse vengono garantite solo previo espletamento delle riforme caldeggiate dalla Commissione europea tramite le raccomandazioni per Paese. A differenza di quanto si possa pensare, le erogazioni dei contributi della Resilience and Recovery Facility avvengono per tranche semestrali dopo esplicita richiesta dello Stato membro. Le modalità di richiesta sono spiegate dall'articolo 24 del regolamento europeo e solamente gli Stati che hanno fatto progressi sostanziali con le riforme, in conformità coi tempi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, possono ricevere l'erogazione del contributo. In caso negativo il pagamento viene sospeso in parte o in toto;

    lo stesso regolamento prevede che una volta ottenuti i traguardi di riforma e investimento secondo il calendario previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, lo Stato membro può richiedere ogni sei mesi una tranche di finanziamento. La valutazione della Commissione europea deve però prevedere la richiesta di un parere del Comitato economico e finanziario (presieduto da tecnici non eletti). In questo consesso anche un solo Stato membro può eccepire che vi siano scostamenti dal piano concordato ed attivare il cosiddetto «freno di emergenza». La palla passa così al Consiglio europeo che deve discutere «in modo esaustivo» e «di norma (...) non (...) più di tre mesi». Una formulazione volutamente molto vaga per lasciare spazio di persuasione e pressione allo Stato membro affinché venga posto rimedio alle riforme non ancora implementate e correggere il comportamento dello Stato membro indisciplinato;

    per come regolamentato anche Next generation EU si pone come un vincolo estremamente stringente per le scelte politiche degli Stati membri;

    nonostante la pandemia, negli scorsi mesi, gli Stati europei hanno siglato le modifiche al Meccanismo europeo di stabilità che – contrariamente a quanto a parole si vorrebbe fare – rafforza e riafferma i vincoli del Patto di stabilità e crescita per accedere al canale di liquidità precauzionale. Tali criteri generano un'asimmetria tra i pochi Stati «virtuosi» (che possono accedere immediatamente al canale di liquidità precauzionale) e il resto dei Paesi dell'eurozona (che dovrebbero invece sottoscrivere un memorandum di intesa con la Commissione europea e il Mes. In pratica, la modifica consente un accesso alla liquidità automatico ai Paesi del Nord Europa e rende ancora più stringente l'accesso ai Paesi del Sud Europa, tra cui l'Italia;

    la stessa riforma rafforza i poteri del Mes a discapito di quelli attualmente in capo alla Commissione europea per quanto riguarda la valutazione della concessione del sostegno finanziario allo Stato membro in difficoltà e introduce l'obbligo di inserire le clausole CACs single limb nei titoli di Stato di nuova emissione dal 1° gennaio 2022. Queste clausole rendono potenzialmente più rapida e probabile un'eventuale ristrutturazione del debito pubblico, che equivale ad una perdita secca del valore dei titoli di Stato, nei momenti di stress finanziario;

    l'Italia detiene oltre 14 miliardi di euro di capitale versato, e circa 125,3 miliardi di capitale sottoscritto nella struttura del Mes;

    nella lettera mandata dal Presidente dell'Eurogruppo Pascal Donohoe a Charles Michel, Presidente del Vertice euro, prima del Vertice euro del 25 marzo 2022, in relazione all'Unione bancaria, si chiede nuovamente di trovare un accordo per la metà del 2022 che contemperi la «diversificazione del rischio dei titoli sovrani per le banche» seguendo l'approccio tipico degli Stati del Nord Europa che da tempo chiedono un coefficiente di ponderazione del rischio per i titoli di Stato nei bilanci bancari;

    tale ponderazione – come spesso ricordato dalle organizzazioni di settore e da importanti economisti – avrebbe pesanti ripercussioni sia per il tessuto bancario, che sarebbe costretto a pesanti accantonamenti di bilancio, sia per il rendimento dei titoli di Stato italiani;

    nella stessa lettera, il Presidente Donohoe ha rimarcato il lavoro che le istituzioni europee stanno compiendo, assieme alla Banca centrale europea, per istituire un euro digitale da affiancare alla moneta circolante. L'Eurogruppo ha sostenuto la necessità di un intervento legislativo dell'Unione ed anche l'iniziativa della Commissione europea di una consultazione pubblica, come parte del processo pre-legislativo, che dovrebbero concludersi entro l'anno per poi arrivare ad una proposta ad inizio 2023;

    la proposta di un euro digitale secondo molti economisti ha potenzialità enormi, che spaziano dall'affidabilità alla sicurezza dei pagamenti, ma anche devastanti per il comparto bancario che potrebbe essere quasi interamente estromesso dal sistema finanziario. Unitariamente a sistemi di identità digitale, la proposta di euro digitale potrebbe comportare un controllo totale su individui ed imprese profilando rischi per la privacy ed i diritti individuali,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere ogni iniziativa utile nelle opportune sedi europee e nazionali finalizzata a:

  a) mantenere attiva la clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita anche nel corso del 2023;

  b) abrogare entro la fine del 2023 l'insieme di regolamenti e direttive che dal 1997 ad oggi hanno portato all'attuale Patto di stabilità e crescita, con particolare riferimento al cosiddetto «Six pack» e al «Two pack», e inoltre rimuovere ogni vincolo di bilancio predeterminato da soglie di deficit strutturale basate su stime irrealistiche della disoccupazione strutturale e dell'output gap e su percorsi insostenibili di rientro dal debito o di contenimento della spesa corrente;

  c) promuovere un nuovo quadro normativo di bilancio che sia teso a degli obiettivi di finanza pubblica che possano includere dei target di disoccupazione reale e di investimenti pubblici;

  d) non presentare alcun disegno di legge di ratifica della riforma del trattato sul Meccanismo europeo di stabilità;

  e) smantellare il Meccanismo europeo di stabilità utilizzando gli oltre 14 miliardi di euro per un sostegno immediato alle piccole e medie imprese italiane;

  f) non assentire a nuove forme di mutualizzazione del debito europeo, anche per iniziative concernenti energia e difesa, che prevedano condizionalità di accesso e vincoli a riforme imposte dalla Commissione europea;

  g) porre il veto sul completamento del terzo pilastro dell'Unione bancaria qualora lo stesso includa forme di ponderazione o diversificazione obbligatoria nell'esposizione verso titoli di debito pubblico per i bilanci bancari;

  h) promuovere l'esclusione dalla vigilanza europea per i gruppi cooperativi derivanti dalla riforma del settore del 2016;

  i) favorire, per quanto di competenza, un ampio dibattito parlamentare sulle ipotesi di una legislazione europea sull'euro digitale ed evitare che lo stesso accentri in maniera esclusiva l'emissione e controllo della moneta presso le banche centrali, danneggiando le possibilità di accesso al credito tramite banche commerciali, e, inoltre, che, in parallelo al progetto di identità digitale europea recentemente supportato dalla Commissione europea, l'euro digitale divenga uno strumento di controllo coercitivo per i cittadini europei.
(1-00620) «Raduzzi, Cabras, Colletti, Corda, Costanzo, Forciniti, Giuliodori, Maniero, Sapia, Spessotto, Testamento, Trano, Vallascas, Vianello, Leda Volpi».

(1° aprile 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    la crisi economica che ha investito l'Europa a partire dal 2020 con l'inizio della pandemia sta subendo un ulteriore aggravamento a causa del conflitto tra Russia e Ucraina attualmente in corso; l'incertezza sulla durata della guerra e il continuo inasprimento delle sanzioni contro la Federazione Russa pongono l'Europa di fronte a uno scenario drammaticamente instabile e rispetto al quale occorre ideare sin da subito efficaci strategie di adattamento se si vuole scongiurare il rischio di entrare in una fase di recessione suscettibile di determinare gravissime ricadute sul tessuto non solo economico e produttivo ma, soprattutto, sociale;

    certa di andare incontro alla ripresa dopo le difficoltà delle stagioni del COVID-19, l'Europa si trova, invece, ora più che mai costretta ad affrontare uno scenario economico preoccupante e dagli sviluppi incerti;

    per fronteggiare la crisi economica conseguente alle restrizioni che i singoli Stati hanno dovuto adottare per contrastare la diffusione del virus SARS-Cov-2, l'Unione europea ha messo in campo diversi strumenti: il primo è stata l'attivazione, per la prima volta dalla sua introduzione nel 2011, della clausola di salvaguardia prevista dal Patto di stabilità e crescita, per effetto della quale gli Stati membri sono stati autorizzati a deviare dal percorso virtuoso verso l'obiettivo di medio termine delineato nel Psc per far fronte ad una situazione contingente che richiede interventi immediati, senza, tuttavia, compromettere la sostenibilità del bilancio a medio termine;

    è stato così consentito, fino al momento della disattivazione della clausola di salvaguardia, attualmente prevista a partire dal 2023, il superamento dei due valori di riferimento per il disavanzo pubblico, fissati nella misura del tre per cento per il rapporto tra disavanzo eccessivo, previsto o effettivo, e prodotto interno lordo ai prezzi di mercato, e nella misura del sessanta per cento per il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo;

    gli ulteriori strumenti messi in campo dall'Unione sono, invece, stati essenzialmente rivolti a fornire un sostegno finanziario diretto agli Stati membri per attenuare le conseguenze socioeconomiche della crisi Covid-19, e si sono concretizzati principalmente nella misura di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un'emergenza (Sure), finalizzato ad aiutare le persone a mantenere il proprio posto di lavoro durante la crisi fornendo prestiti a condizioni agevolate per coprire parte dei costi connessi alla creazione o all'estensione di regimi nazionali di riduzione dell'orario lavorativo, e il programma Next Generation EU;

    quest'ultimo è un fondo istituito con il regolamento (UE) 2020/2094 del Consiglio del 14 dicembre 2020, che prevede una dotazione finanziaria complessiva di 750 miliardi di euro, di cui 390 destinati a sovvenzioni e 360 a prestiti; per costituire questa dotazione alla Commissione europea è stato conferito il potere di contrarre prestiti sul mercato dei capitali per conto dell'Unione;

    l'Italia è il maggiore beneficiario del Recovery and resilience facility, con circa il 28 per cento del totale dei fondi a disposizione, e diversamente da tutti gli altri grandi Stati dell'area euro ha scelto di utilizzare non solo i relativi benefici ma anche l'intero ammontare dei relativi prestiti, oltre ad aver costituito un Fondo nazionale aggiuntivo per oltre trenta miliardi di euro e varato documenti di bilancio che prevedono consistenti spese pubbliche in disavanzo;

    durante la pandemia, inoltre, l'Italia ha puntato su forti e poco selettivi incrementi della spesa pubblica al fine di sostenere i redditi delle imprese e delle famiglie, scelta che ha determinato che, nonostante il già abnorme livello nel rapporto fra debito pubblico e Pil preesistente alla pandemia, il nostro sia stato lo Stato membro dell'area euro che ha fatto segnare il maggior incremento di tale rapporto nel 2020;

    da quanto esposto appare chiaro, quindi, che se la crescita non si manterrà strutturalmente superiore al tre per cento almeno fino al 2030 la questione del debito pubblico rischia di assumere dimensioni pericolose, posto che nei prossimi due o tre anni l'Europa dovrà ridiscutere il Piano di stabilità e crescita, con la reintroduzione delle regole fiscali europee riguardanti i bilanci nazionali, mentre la Banca centrale europea dovrà impostare un rientro dalle politiche monetarie espansive praticate sin qui, rientro, peraltro, già annunciato proprio negli scorsi giorni;

    appare evidente come in questo fragile scenario il conflitto russo ucraino si stia già trasformando in un fattore dirimente per l'impiego delle risorse del Piano di ripresa e resilienza e potrebbe sollecitare un cambiamento delle voci di spesa;

    come rilevato dall'European Fiscal Board, organo consultivo della Commissione, già nel Rapporto annuale 2021, tornare alla semplice applicazione del Patto di stabilità e crescita pre-pandemico sarebbe «impossibile e comunque insensato, a causa di un contesto macroeconomico radicalmente mutato» ribadendo che «non bastano semplici riaggiustamenti delle regole attuali» ma «serve un ripensamento profondo e complessivo dell'intera struttura della governance economica europea»;

    il conflitto tra Russia e Ucraina sta determinando conseguenze gravose anche per l'Europa: un drammatico aggravamento della crisi degli approvvigionamenti energetici, alimentari e delle materie prime, e il conseguente rincaro dei costi dei relativi prodotti: il solo costo addizionale dell'energia per imprese e famiglie nel 2022 è stimato in circa sessanta miliardi di euro; il rincaro delle derrate alimentari ha determinato un aumento dei prezzi sia nei mercati all'ingrosso che al dettaglio provocando sia una crisi delle aziende di produzione e trasformazione dei prodotti agricoli, sia un aumento dei costi della spesa per le famiglie; gli incrementi hanno interessato anche materie prime essenziali alla nostra industria come nickel (+50 per cento), ferro (+39 per cento), rame (12 per cento), ghisa (+29 per cento), alluminio (+19 per cento), zinco (+17 per cento), legno (+10 per cento) che, oltretutto, cominciano a scarseggiare sul mercato;

    appare evidente come questa congiuntura economica internazionale rischi di vanificare qualunque sforzo per la ripresa da parte degli Stati membri dell'Unione europea nonostante gli strumenti messi in campo per sostenere il loro tessuto produttivo se non si adotteranno ulteriori interventi a tutela delle economie nazionali,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi per la proroga della sospensione del Patto di stabilità e crescita, sino al completamento di una riforma dei vincoli di bilancio ivi previsti che possa scongiurare gli effetti negativi che l'applicazione di tali vincoli potrebbe determinare sulle economie nazionali nell'attuale congiuntura economica mondiale;

2) a promuovere la sospensione della normativa dei cosiddetti aiuti di Stato sino al termine della emergenza, consentendo agli Stati membri interventi a tutela e difesa del tessuto imprenditoriale più fortemente penalizzato dai riflessi economici interni delle sanzioni;

3) con riferimento alle politiche economiche, ad adottare iniziative nelle competenti sedi europee per pervenire a una condivisa revisione del Next Generation EU e, conseguentemente, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, alla luce del mutato contesto geopolitico e socio-economico;

4) ad assumere ogni iniziativa necessaria in ambito europeo per proporre la revisione dei valori di riferimento contenuti nell'articolo 1 del Protocollo n. 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi di cui all'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

5) a valutare l'opportunità di promuovere l'introduzione di una regola sul debito, differenziata per i singoli Stati membri;

6) ad assumere ogni iniziativa necessaria in ambito europeo volta a promuovere, in ogni caso, prima della disattivazione della clausola di salvaguardia, prevista per il 2023, la definizione di un piano di rientro graduale nei valori di riferimento previsti dall'articolo 1 del Protocollo n. 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi di cui all'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

7) a promuovere l'istituzione di un apposito Fondo, alimentato con risorse europee, volto a compensare i danni economici sopportati dai singoli Stati in conseguenza della crisi di approvvigionamenti in atto;

8) a promuovere in ogni caso un Fondo europeo volto a mitigare gli effetti dell'aumento dei prezzi dell'energia e a sostenere le imprese più penalizzate e i cittadini più vulnerabili;

9) ad adoperarsi per la creazione di un Fondo comune volto alla rilocazione e al rimpatrio delle attività strategiche localizzate anche solo parzialmente all'esterno dei confini europei (reshoring), apprezzata la fragilità, sia nel contesto dello shock pandemico che nel contesto dello shock energetico acutizzato dal conflitto in atto, del sistema produttivo europeo determinata dalla eccessiva interdipendenza economica e delle cosiddette catene globali dei valori.
(1-00632) «Lollobrigida, Meloni, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(20 aprile 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER SOPPERIRE ALLA CARENZA DI PERSONALE NEI SETTORI DEL TURISMO E DELL'AGRICOLTURA E PER SOSTENERE LE RELATIVE FILIERE PRODUTTIVE

   La Camera,

   premesso che:

    turismo e agricoltura costituiscono settori strategici e imprescindibili per l'economia della nostra Nazione, rappresentando complessivamente circa un terzo del prodotto interno lordo;

    nello specifico, il valore aggiunto generato dalle attività turistiche nel nostro Paese costituisce il 13 per cento del prodotto interno lordo e, come recentemente dichiarato anche dal Ministro del turismo, avrebbe le potenzialità di arrivare al 20 per cento, mentre quello del settore agricolo rappresenta circa il 15 per cento;

    a oltre due anni dallo scoppio della pandemia molti fattori ancora ostacolano la reale ripresa di questi comparti e, con essi, di una parte importante dell'economia nazionale;

    tra questi, il problema più urgente, e comune ai due settori, è sicuramente quello della difficoltà nel reperimento della manodopera, soprattutto con riferimento ai profili operativi;

    con particolare riferimento alle imprese del comparto turistico, secondo i dati diffusi da Unioncamere, Federturismo e Anpal, la mancanza di personale per i servizi di alloggio, ristorazione e accoglienza è stimata in circa duecentomila unità, a fronte di un fabbisogno di lavoratori tra maggio e luglio pari a 387.720 persone, che significa che le aziende del comparto riescono ad assumere poco più della metà del personale del quale avrebbero, invece, necessità;

    in particolare, come reso noto da Federturismo, le filiere del turismo più colpite sono l'ospitalità, la ristorazione, i parchi permanenti di divertimento, i bus turistici e linee di granturismo, gli impianti a fune, gli stabilimenti balneari, il settore termale, in ciascuna delle quali si registra una carenza di personale di migliaia di unità in una forbice percentuale generalmente compresa tra il 10 e il 20 per cento;

    nel settore termale la carenza di personale sta, peraltro, ostacolando la fruizione del cosiddetto bonus terme, introdotto dopo la grave crisi patita dal settore nel corso della pandemia dal cosiddetto «decreto agosto» e attualmente prorogato fino al 30 giugno 2022;

    altrettanto allarmanti sono i dati relativi alla carenza di lavoratori stagionali nel comparto agricolo pari, secondo quanto dichiarato da Coldiretti, a circa centomila unità che sarebbero necessarie per garantire le campagne di raccolta estive; nella sola regione Emilia-Romagna, secondo le stime della locale Confagricoltura, servirebbero cinque milioni di giornate lavorative per soddisfare il fabbisogno di manodopera nei frutteti;

    pur prescindendo dalle tradizionali criticità del lavoro stagionale, le carenze di personale rendicontate negli ultimi anni sono fortemente agevolate dall'istituzione del reddito di cittadinanza, che, nato «quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro» per conseguire il dichiarato obiettivo di «incentivare l'assunzione di lavoratori giovani», si è rivelato disfunzionale rispetto all'obiettivo;

    con un'incontrastata eterogenesi dei fini, la sua introduzione ha, infatti, determinato una malsana concorrenza tra reddito da lavoro, soprattutto a carattere temporaneo o interinale, e fruizione del sussidio, che dai dati Inps aggiornati al 2022 risulta che sia stato percepito, solo dall'inizio dell'anno, nella misura di almeno una mensilità pari a 585,99 euro in media, da oltre 3,2 milioni di persone, la cui età media si attesta a 36 anni;

    secondo un'analisi longitudinale dei beneficiari del reddito di cittadinanza condotta dall'Inps nel trimestre aprile-giugno 2019, su cento soggetti beneficiari, esclusi minorenni, disabili e altri, quelli teoricamente occupabili erano 60: di questi, 15 non sono mai stati occupati, 25 hanno una posizione contributiva ma non recente e 20 sono ready to work, vale a dire che hanno una posizione contributiva recente, in molti casi Naspi e part-time;

    è di tutta evidenza che il reddito di cittadinanza non ha agevolato l'inserimento professionale dei disoccupati, ma piuttosto ha costituito un disincentivo all'assunzione, quantomeno quella regolare, come ad esempio è emerso anche dal servizio di Non è l'arena, andato in onda il 29 maggio 2022 su La7, nel quale due percettori del reddito hanno rifiutato un contratto di lavoro per conservare il sussidio promosso dal MoVimento 5 Stelle, dichiarandosi favorevoli a lavorare in nero;

    come segnalato a più riprese anche dalle competenti associazioni di categoria, infatti, sono centinaia le testimonianze di imprenditori che si sono visti rifiutare delle proposte di assunzione proprio per non decadere dalla fruizione del reddito di cittadinanza;

    la decadenza dalla percezione del sussidio prevista in caso di mancata accettazione di un'offerta di lavoro congrua non costituisce, allo stato, un deterrente efficace, anche perché l'incontro tra domanda e offerta di lavoro avviene, in larga parte, nel mercato privato e al di fuori dell'intermediazione pubblica, e in questa chiave occorre che sia reso possibile per le aziende segnalare i percettori del beneficio che rifiutano un'offerta di lavoro congrua;

    oltre ad aver fallito come politica attiva del lavoro, l'erogazione del sussidio non ha rappresentato neanche la via per risolvere il problema dell'adeguatezza del reddito minimo, come pure si afferma nella «Relazione per Paese 2022-Italia» della Commissione europea, nella quale si legge che: «L'impatto in termini di riduzione della povertà delle prestazioni sociali (escluse le pensioni) registra uno dei valori più bassi dell'Unione europea (21 per cento rispetto alla media dell'Unione europea pari al 33,2 per cento)»; di fatto, per attribuire il beneficio anche a chi sarebbe perfettamente in grado di lavorare non sono stati, invece, aiutati davvero coloro che sono impossibilitati a farlo e che si ritrovano, di conseguenza, in uno stato di povertà;

    a questo si aggiungono le gravi irregolarità nella fruizione del beneficio accertate dalle forze dell'ordine: dal report dell'Arma dei carabinieri risulta che nel solo anno 2021, a seguito di verifiche e controlli effettuati su 156.822 persone, pari a circa il 5 per cento dei percettori del reddito di cittadinanza, è emerso che oltre 40 milioni di euro sono stati indebitamente percepiti da parte di soggetti che non ne avevano titolo;

    i controlli hanno rivelato anche che, nella maggior parte dei casi, le irregolarità riguardano la mancanza dei necessari requisiti di cittadinanza, anagrafici e di residenza, il possesso di beni immobili e auto o la commissione di reati, tutte circostanze che avrebbero dovuto e potuto essere verificate preventivamente se fossero stati effettuati debitamente i necessari controlli prima dell'erogazione del sussidio;

    dai dati citati emerge con chiarezza che il reddito di cittadinanza non solo non agevola l'inserimento professionale dei disoccupati e non aiuta chi si trova effettivamente in stato di povertà, ma è troppo spesso attribuito a chi non ne ha diritto, con un danno rilevantissimo per lo Stato;

    le difficoltà nel reperimento della manodopera rischiano di costituire un problema gravissimo per l'organizzazione della riapertura e potrebbero minare le aspettative di recupero delle aziende di questi due importanti settori, che, in assenza di misure adeguate e tempestive, rischiano di subire, dopo il danno della pandemia, anche quello di non poter agganciare al meglio il treno della ripresa a causa dell'indisponibilità di sufficienti maestranze;

    nella seduta del 15 giugno 2022 il Consiglio dei ministri ha adottato un pacchetto di misure «per la semplificazione delle procedure di ingresso dei lavoratori stranieri allo scopo di favorire, anche in relazione agli investimenti e agli obiettivi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, l'immissione di manodopera nei settori produttivi che hanno espresso il maggiore fabbisogno»;

    appare difficile comprendere le ragioni di tali misure laddove le stesse non siano subordinate alla previa verifica dell'impiego, nei citati settori produttivi, dei percettori del reddito di cittadinanza;

    alla questione della carenza di personale, che rende materialmente difficile la ripartenza di questi settori, si somma poi il problema dei rincari dell'energia, delle materie prime e di altri materiali assolutamente indispensabili per l'esercizio dell'attività d'impresa, come, ad esempio, i fertilizzanti in agricoltura, e, dall'altro lato, le difficoltà di approvvigionamento degli stessi beni;

    in particolare, il settore agro-alimentare è in sofferenza per il caro dei fertilizzanti, dei mangimi, dell'energia, delle terre rare e delle produzioni tecnologiche, nonché per l'aumento dei costi di trasporto e imballaggio e, in radice, per la scarsità di materie prime, resi più gravi dal crollo dei raccolti in Canada, primo Paese al mondo per produzione di grano tenero, e dall'invasione russa in Ucraina, che ha portato all'interruzione di tutti i canali di fornitura relativi all'area strategica del Mar Nero e al blocco temporaneo delle esportazioni di materie prime agricole dai due Paesi verso i mercati occidentali;

    in questo contesto di grave dipendenza alimentare ed energetica, variamente segnalato nel corso del 2021, era inevitabile che le variazioni di mercato avrebbero comportato rincari nella nostra Nazione, quantificabili, nel comparto mangimistico, nel 90 per cento; per l'orzo e la soia nel 40 e nel 12 per cento; nel settore lattiero-caseario, nel 20 per cento; nel settore degli imballaggi e, più in generale, logistico, nel 30 per cento per il vetro, 15 per cento per il tetrapak, 35 per cento per le etichette, 45 per cento per il cartone, 60 per cento per i barattoli di banda stagnata, nel 70 per cento per la plastica. A questi aumenti devono aggiungersi quelli derivanti dal trasporto su gomma, superiori del 25 per cento, e dal trasporto marittimo, incrementati dal 400 al 1.000 per cento;

    secondo il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'economia agraria l'attuale livello dei rincari e della conseguente speculazione va stimato in oltre 15.700 euro e sfiora i 47.000 euro per stalle da latte e i 99.000 euro per gli allevamenti di granivori, con un impatto che supera i 9 miliardi di euro; il danno economico che queste aziende nazionali stanno patendo, quindi, è serissimo: almeno una su dieci si dirige verso la cessazione dell'attività, considerato che solo il 10 per cento del prezzo del prodotto finale viene riconosciuto al produttore e che, in molti casi, sono addirittura costrette a lavorare in condizione di reddito negativo;

    oltre ad affossare le nostre imprese, questo aumento dei costi si converte in inflazione dei prodotti alimentari e grava, quindi, inesorabilmente sui consumatori finali, già vessati dalla dinamica di mancata crescita dei salari italiani a parità dei principali competitor europei;

    il rincaro di energia e materie prime pesa anche sul settore turistico-alberghiero, le cui potenzialità rischiano di uscire annichilite da costi sempre crescenti, sia fissi sia eventuali ma essenziali nell'attuale contesto di incontro della domanda e dell'offerta, nonché dalla decisione di mettere all'asta le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative;

    quanto ai costi fissi, solo parzialmente attenuati nel corso della pandemia da misure di sostegno, occorre tenere conto che per le imprese turistiche-alberghiere la questione dei rincari, specie energetici, ha un peso specifico maggiore, dal momento che di regola l'attività lavorativa a pieno regime non copre l'intero anno, ma solo alcuni periodi di esso;

    ai costi fissi si aggiungono quelli applicati dalle grandi online travel agencies (cosiddette «Ota») straniere, che oscillano tra il 12 e il 20 per cento della somma incassata come corrispettivo della fornitura del singolo servizio, che sono solo apparentemente costi facoltativi; infatti, in un sistema di offerta profondamente mutato, nel quale gli operatori tradizionali devono convivere con le piattaforme collaborative e i grandi player dell'intermediazione, è evidente che l'ospitalità sulle piattaforme del web è indispensabile e che, di conseguenza, l'eccessiva onerosità della commissione pagata, quando non osta all'accesso del piccolo imprenditore, sicuramente penalizza le strutture;

    drammatico per le imprese che gravitano nel settore e gestiscono in particolare stabilimenti balneari, porti turistici, alberghi e altri pubblici esercizi è stato anche l'impatto della decisione di arrestare al 31 dicembre 2023 l'efficacia delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative attualmente in essere, in esito alla sentenza n. 18 del 2021 del Consiglio di Stato, che ha ritenuto gli atti di proroga rilasciati dall'amministrazione, finanche in seguito ad un giudicato favorevole, tamquam non essent, per asserito contrasto con norme europee direttamente applicabili della legge di bilancio per il 2019, che ne aveva disposto la prosecuzione fino al 2033;

    sull'errato presupposto interpretativo, in primo luogo, che questa concessione sia di servizi, anziché di beni e, in secondo luogo, che nel settore il numero delle autorizzazioni sia limitato dalla scarsità delle risorse, presupposto per l'applicazione della cosiddetta «direttiva Bolkestein», è stato operato un intervento di taglio lineare, assolutamente inadeguato e che sta comportando non solo il fallimento di migliaia di imprenditori, il cui affidamento sulla validità della norma statale doveva essere tutelato, ma anche l'abbandono e il degrado delle nostre coste;

    simili errori interpretativi sull'applicabilità dei principi espressi dalla «direttiva Bolkestein» coinvolgono anche altre due categorie fondamentali nel settore turistico, vale dire gli esercenti la professione di guida e gli esercenti dei servizi di trasporto pubblico locale non di linea, testualmente esclusi, invece, dal campo di applicazione della direttiva dai considerando 17 e 21, nonché dall'articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della medesima;

    ai problemi esposti e, in particolare, all'emergenza scaturita dalla carenza di personale deve essere data una soluzione in via immediata; infatti, come dichiarato proprio dal Ministro del turismo in occasione della presentazione della seconda edizione della ricerca «Comunicazione, media e turismo» appena un mese fa, la domanda di servizi turistici è in crescita: «Per la prima volta dopo anni abbiamo un dato di riempimento delle strutture ricettive superiore di dieci punti percentuali rispetto alla Spagna che è il nostro concorrente più forte»; in particolare, «a maggio 2022 il Belpaese è al primo posto con il 32,5 per cento contro il 21,9 per cento della Spagna, mentre a giugno 2022 l'Italia è leader nell'andamento delle prenotazioni, facendo meglio di Spagna, Francia e Grecia. Ottime premesse, ma l'industria turistica si scontra con il problema della carenza di personale, degli stagionali, perché in vista dell'estate 2022 mancano 300-350 mila addetti»;

    le medesime considerazioni valgono per il comparto agricolo, che si trova in prossimità delle grandi campagne di raccolta e le cui inefficienze producono effetti preoccupanti proprio nel medio e nel lungo periodo, neutralizzando le prospettive di crescita del comparto e che rischiano di determinare la mancata commercializzazione dei nostri prodotti agricoli,

impegna il Governo:

1) al fine di garantire le condizioni per la ripresa e la crescita di questi fondamentali comparti dell'economia nazionale, ad assumere urgenti iniziative, anche di carattere normativo, volte a colmare le carenze di personale nel settore agro-alimentare e turistico-alberghiero, e, in tale ambito:

  a) a prevedere che l'impiego dei percettori del reddito di cittadinanza secondo il meccanismo dei progetti utili alla collettività a titolarità dei comuni (cosiddetti «Puc») sia esteso anche alle attività svolte per garantire esigenze dirette e indirette dell'economia dei comuni e in favore delle imprese dei comparti di cui in premessa, ovvero che l'erogazione del reddito di cittadinanza sia sospesa fino alla totale copertura dei posti di lavoro vacanti nei comparti agricolo e turistico, destinando le risorse rivenienti da tale sospensione all'aumento delle pensioni sociali, degli assegni di invalidità e delle somme riconosciute a titolo di reddito di cittadinanza in favore dei soggetti che non possono lavorare;

  b) conseguentemente, in relazione a quanto previsto dalla lettera a), a sancire la decadenza dalla fruizione del reddito di cittadinanza per i soggetti che rifiutano di svolgere i progetti utili alla collettività a titolarità dei comuni ovvero non adempiano ad altre attività che devono svolgere a beneficio della collettività;

  c) sempre in funzione di quanto previsto dalla lettera a), a stabilire la sospensione dal beneficio del reddito di cittadinanza nel caso in cui il percettore si renda irreperibile di fronte alla richiesta della competente amministrazione comunale della sua disponibilità a svolgere i progetti utili alla collettività a titolarità dei comuni;

  d) ad adottare le opportune modifiche normative volte a prevedere che, ai fini dell'erogazione del reddito di cittadinanza, rientrino nella nozione di offerta congrua le offerte di lavoro proposte ai beneficiari direttamente dai datori di lavoro privati, con particolare riferimento a quelli operanti nei settori di cui in premessa, e che la mancata accettazione dell'offerta debba essere comunicata dal datore di lavoro privato al centro per l'impiego competente per territorio ai fini della decadenza dal beneficio;

  e) a verificare quali misure siano state adottate dagli uffici di collocamento e dall'Inps in relazione alle politiche attive del lavoro, che dovrebbero rappresentare uno dei pilastri del reddito di cittadinanza, per colmare le carenze di personale nei settori economici di cui in premessa;

  f) a subordinare la determinazione del numero di lavoratori stranieri da includere nel prossimo «decreto flussi» per colmare le carenze di lavoratori nei già citati settori produttivi alla preventiva rigorosa verifica della possibilità di destinare alla medesima finalità i percettori del reddito di cittadinanza;

  g) a disporre la reintroduzione dei voucher per i lavoratori impiegati nel settore agricolo e nel settore turistico-alberghiero;

2) ad assumere iniziative per garantire alle filiere nazionali agro-alimentari un adeguato sostegno, in primo luogo attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di materie prime agricole e dei prodotti indispensabili allo svolgimento dell'attività d'impresa, adottando, al contempo, tutte le misure necessarie per garantire la redditività dei produttori a fronte dei continui rincari di mercato;

3) ad assumere le necessarie iniziative presso i competenti tavoli europei, volte al contenimento dei costi dell'energia, delle materie prime e degli altri beni e prodotti indispensabili allo svolgimento dell'attività d'impresa, e al contrasto delle attività di speculazione in corso sui mercati delle materie prime agricole;

4) ad adottare iniziative per prevedere come parametri di accesso per le misure di sostegno a favore dei settori economici di cui in premessa colpiti dalle ripercussioni della guerra tra Russia e Ucraina la variazione dei costi fissi in relazione all'energy crunch e la corrispondente variazione di fatturato rispetto alla fase antecedente al conflitto o, se più favorevole al beneficiario, antecedente alla pandemia da COVID-19;

5) a elaborare e proporre nelle competenti sedi europee le modifiche al Piano nazionale di ripresa e resilienza, ai sensi dell'articolo 21 del regolamento (UE) n. 2021/241, volte a permettere una più efficiente allocazione delle risorse nei comparti del turismo e dell'agroalimentare a fronte della crisi economica in atto;

6) a promuovere l'apertura dei necessari tavoli europei per rimodulare in modo organico le iniziative quali Next Generation EU, Green New Deal, REPowerEU e la politica agricola comune e, ove applicabile e necessario, la politica comune della pesca, nell'ottica dell'incentivo alla produzione nazionale di prodotti alimentari e dell'abbandono di strategie energetiche eccessivamente dannose per i comparti industriali europei del settore agroalimentare, fronteggiando le gravi ripercussioni sulle fasce di popolazione meno abbienti conseguenti alla crisi internazionale di energia e materie prime;

7) ad adoperarsi in sede europea al fine di sostenere l'inapplicabilità della direttiva 2006/123/CE al settore delle concessioni demaniali marittime, fluviali e lacuali per finalità turistico-ricreative, rilevando altresì che, ex articolo 195 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in materia di turismo l'Unione europea può limitarsi soltanto ad una politica di accompagnamento e richiedendo un trattamento equo e non discriminatorio rispetto ad altri Stati europei, come Spagna e Portogallo, che hanno prorogato le concessioni senza alcuna contestazione da parte dell'Unione europea;

8) ad assumere ogni iniziativa di competenza per escludere le guide turistiche dall'ambito di applicazione della «direttiva Bolkestein», a salvaguardia dell'interesse prevalente alla tutela del patrimonio artistico-culturale della Nazione e delle competenze professionali che vi operano, e per escludere gli operatori di trasporto pubblico locale non di linea, in considerazione dell'importante ruolo che essi svolgono nel comparto turistico, da forme di liberalizzazione già escluse dalla stessa normativa europea;

9) ad adottare le opportune iniziative, anche normative, per ridurre i costi fissi delle imprese che gravitano nel settore turistico-alberghiero nonché per promuovere la digitalizzazione dell'offerta turistica per chi ancora non riesce a essere visibile e accessibile in rete o trova eccessivamente onerose le commissioni pagate alle on-line travel agency (Ota) e per ridurle.
(1-00671) (Nuova formulazione) «Lollobrigida, Meloni, Albano, Bellucci, Bignami, Bucalo, Butti, Caiata, Caretta, Ciaburro, Cirielli, De Toma, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Galantino, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Giovanni Russo, Rachele Silvestri, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Vinci, Zucconi».

(17 giugno 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, definisce i lavoratori impiegati nelle attività stagionali come coloro che vengono assunti per svolgere una delle attività che sono individuate, rispettivamente:

     a) con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; oppure

     b) dai contratti collettivi, nazionali, territoriali o aziendali (Ispettorato nazionale del lavoro, nota 10 marzo 2021, n. 413);

    il decreto ministeriale sopra citato, ad oggi, non è mai stato emanato e, di conseguenza, continuano a trovare applicazione le norme del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, emanato in attuazione dell'articolo 1, comma 2, lettera a), della legge n. 230 del 1962, abrogata nel 2001;

    il sopra citato decreto del Presidente della Repubblica contiene, prevalentemente, attività riferite al settore agricolo o industriale ad esso correlato (ad esempio, raccolta, cernita, spedizione dei prodotti ortofrutticoli freschi e dei relativi imballaggi), molte delle quali, oggi, sono desuete;

    tuttavia, nel corso degli anni, è intervenuta la contrattazione collettiva ad individuare nuove attività definite «stagionali» rispetto alle quali è possibile giungere alla stipula di contratti che hanno, sotto l'aspetto normativo, una disciplina, sostanzialmente, parallela a quella degli ordinari contratti a termine;

    è necessario precisare che il termine «stagionalità» non può che far riferimento ad attività che si ripetono annualmente e che, in determinati periodi, comportano un incremento delle stesse;

    basti pensare agli accordi nel settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali (ex articolo 17 della legge n. 84 del 1994), oppure nel commercio ove, secondo la previsione dell'articolo 66-bis del contratto collettivo nazionale di lavoro, a livello territoriale sono state definite come stagionali alcune attività ripetitive negli anni che comportano incrementi significativi, o anche nel settore della ristorazione;

    più specificatamente si considera come lavoro stagionale quell'attività lavorativa che non si svolge in modo continuativo, ma solo in determinati periodi dell'anno; la legge e la contrattazione collettiva individuano dette tipologie di attività in modo tassativo, legandole per lo più al settore agricolo e al turismo. In particolare, per il contratto collettivo del turismo si considerano aziende stagionali quelle che osservano, nel corso dell'anno, uno o più periodi di chiusura al pubblico;

    secondo il rapporto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «I rapporti di lavoro stagionale attivati nel 2020 da datori di lavoro privati», il numero di rapporti di lavoro stagionale attivati nel 2020 da datori di lavoro privati risulta essere 1.798.953 (di cui 61,8 per cento relativi a maschi e 38,2 per cento a femmine); coinvolti 1.113.285 lavoratori (di cui 59,3 per cento maschi e 40,7 per cento femmine);

    prendendo in considerazione la cittadinanza dei lavoratori coinvolti, il 75,4 per cento sono lavoratori italiani, il 16,2 per cento coinvolge lavoratori non appartenenti all'Unione europea e, infine, l'8,3 per cento riguarda lavoratori appartenenti all'Unione europea;

    in particolare, prendendo in considerazione i settori di attività economica, risulta che il 45,5 per cento dei rapporti di lavoro stagionale attivati riguarda il settore agricolo; il 26,9 per cento il settore alberghi e ristoranti; il 12,4 per cento riguarda altri servizi pubblici, sociali e personali; il 5,5 per cento l'industria in senso stretto; il 5,1 per cento commercio e riparazioni; il 3,8 per cento il settore dei trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese; lo 0,6 per cento la pubblica amministrazione, istruzione e sanità; e, infine, lo 0,2 per cento le costruzioni;

    è evidente che la maggioranza dei rapporti di lavoro stagionale è concentrata nelle componenti delle attività economiche del settore agricolo e del settore alberghi e ristoranti (attività tipicamente turistiche) e altri servizi pubblici, sociali e personali;

    entrambi i settori economici – quello agricolo e quello turistico – sono caratterizzati da un'occupazione quasi esclusivamente a tempo determinato e dunque da una certa discontinuità lavorativa e da alcune criticità, quali la presenza di lavoro cosiddetto sommerso e la difficoltà di incrociare la domanda e l'offerta di lavoro;

    con riferimento al settore agricolo, la precarietà del lavoro è una caratteristica dell'agricoltura e questo dipende dallo svolgersi dei cicli della natura: un'esigenza produttiva, quindi, che provoca però delle ricadute retributive e di tipo pensionistico sui lavoratori, che viene in parte arginata con la contrattazione, nazionale e aziendale, e con la previsione di alcuni istituti giuridici di sostegno al reddito come la disoccupazione agricola;

    la contrattazione integrativa e la disoccupazione agricola sono due strumenti fondamentali di sostegno per i lavoratori di questo settore, che riescono così ad integrare la retribuzione precaria, nell'attesa del successivo contratto;

    sempre in relazione all'agricoltura, il Crea (Centro per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) ha pubblicato nel 2022 un rapporto dal titolo «L'impiego dei lavoratori stranieri in agricoltura». L'indagine svolta ha una storia piuttosto lunga, avviata nei primi anni '90, quando la presenza degli stranieri nell'agricoltura italiana era ancora un fenomeno limitato, fino ad oggi, quando il contesto internazionale, con flussi di migranti sia dall'Est Europa che dalle aree nordafricane, hanno alimentato il bacino cui attingere manodopera a buon mercato per mansioni poco qualificate e fisicamente impegnative;

    l'indagine evidenzia che all'inizio del nuovo secolo la percentuale di lavoratori stranieri in agricoltura era ancora piuttosto contenuta, il 4,3 per cento nel 2004 (primo anno in cui l'Istat distingue la cittadinanza nelle forze di lavoro), ma in lento aumento. Con l'ingresso di Romania e Bulgaria il ritmo di crescita diventa sostenuto, nel 2010 la percentuale è già più che raddoppiata, arrivando al 9,2 per cento, ma è ancora in linea con l'incidenza degli stranieri sul totale dell'occupazione italiana (9,3 per cento). Dopo il 2008, invece, si assiste in agricoltura a una progressiva sostituzione dei lavoratori italiani con cittadini stranieri che, nel 2020, arrivano a rappresentare il 18,5 per cento del totale;

    i dati mostrano che dal 2008 al 2018 i lavoratori complessivamente erano in numero inferiore ai 900 mila (tra italiani e stranieri), mentre per gli anni 2019 e 2020 il numero complessivo ha superato le 900 mila unità; ciononostante, i lavoratori stranieri conservano una posizione di debolezza contrattuale che si riflette sulle condizioni di lavoro e genera marginalità, creando zone d'ombra che minacciano la sostenibilità sociale del settore agricolo italiano e ne danneggiano l'immagine internazionale;

    con la legge n. 199 del 2016, infatti, è stata avviata una serie positiva di strumenti ed interventi a sostegno e a tutela dei lavoratori agricoli stagionali, compresa una più robusta strumentazione repressiva dello sfruttamento del lavoro e del caporalato, promuovendo altresì la Rete del lavoro agricolo di qualità con l'obiettivo di diffondere una migliore cultura della legalità, senza però riscuotere il successo sperato, probabilmente per la carenza di un fattore incentivante efficace;

    in relazione al periodo di impiego, l'occupazione straniera prevalente nel corso del periodo considerato è di tipo stagionale, mentre i lavoratori impiegati per l'intero anno rappresentano una minoranza, in modo particolare tra gli stranieri comunitari. Questo è prevalentemente legato al carattere periodico di una grande quantità di operazioni agricole, in particolare quelle di raccolta. Il maggiore numero di stranieri comunitari impiegati in lavori stagionali è probabilmente attribuibile a una loro maggiore facilità, rispetto agli extracomunitari, a tornare nella terra di origine una volta completata l'attività lavorativa e ritornare in Italia qualora richiamati per la successiva. A livello territoriale nelle regioni centrali, tuttavia, si nota una maggiore presenza di impiego continuativo rispetto alle altre aree del Paese, che in alcuni anni raggiunge il 50 per cento del totale lavoro straniero fisso e stagionale;

    tra le forme contrattuali di impiego, i contratti regolari, sia a tempo fisso sia stagionale, rappresentano la maggioranza e registrano un andamento crescente dal 2008 al 2020, passando da circa meno del 70 per cento a oltre l'80 per cento. I contratti informali sono più diffusi al Sud e nelle Isole, ma mostrano una diminuzione nel corso del periodo 2008-2020 anche in queste aree;

    sempre secondo l'indagine elaborata dal Crea, l'offerta di manodopera straniera risulta fondamentale a causa dell'effettiva mancanza di offerta nazionale e i comparti agricoli che manifestano i maggiori fabbisogni di manodopera straniera sono in primis l'orticolo/ortofloricolo, segue il settore zootecnico, poi l'olivicolo e il vitivinicolo e infine il frutticolo. Vi è sicuramente un problema culturale, in quanto il lavoro agricolo è visto come povero e poco dignitoso. Per quanto riguarda i punti di forza della manodopera straniera, sicuramente la disponibilità è una caratteristica molto apprezzata dai datori di lavoro. Spesso viene richiesto un supplemento di ore di lavoro giornaliero/mensile, specialmente nei periodi di maggior bisogno e i lavoratori stranieri risultano più disponibili a venir incontro alle esigenze del datore di lavoro rispetto ai lavoratori locali. Altro punto di forza emerso dall'indagine è l'impegno, l'affidabilità e la flessibilità dei lavoratori stranieri. I lavori stagionali richiedono affidabilità nello svolgimento e, solitamente, gli imprenditori ricorrono, ove possibile, agli stessi addetti per più anni, confidando non solo in un rapporto di fiducia consolidato, ma anche in un grado di apprendimento e specializzazione sempre maggiore;

    sempre nel settore agricolo si registra che i due anni di pandemia 2020 e 2021, oltre dalle difficoltà negli spostamenti, sono stati caratterizzati da una minor richiesta di forza lavoro per le attività di raccolta per via delle avversità climatiche che hanno ridotto di molto e in alcuni areali quasi azzerato le rese. Molti stagionali, quindi, hanno cercato alternative, trovandole soprattutto in Germania, Olanda e Inghilterra, Paesi tra l'altro più attrattivi, perché le aziende che li assumono beneficiano di sgravi fiscali e contributivi e, a parità di costi, i guadagni sono maggiori rispetto all'Italia;

    si rilevano altresì esigenze manifestate dalle aziende e dalle associazioni di categoria del settore primario relativamente alla necessità di procedere urgentemente al reclutamento di personale per determinati lavori a carattere stagionale e considerate le difficoltà di reperimento;

    in questo contesto però è utile rilevare che l'andamento demografico negativo, europeo e in particolar modo quello italiano, prevede che al 2040 (dati Nazioni Unite) il numero della popolazione in età lavorativa (20-64 anni) diminuirà sensibilmente. Facciamo qualche esempio: senza flussi migratori, ad esempio la Germania si avranno 9,5 milioni di lavoratori in meno, l'Italia 8 milioni in meno, la Spagna 5,4 milioni in meno e la Francia –2,3. Se invece si considerano i flussi migratori previsti, si avrà rispettivamente un numero sempre significativamente negativo di 6,9, 6,3, 4,7 e 1,3. Nel complesso in Europa mancheranno circa 47 milioni di lavoratori, considerando i flussi migratori, e 61 se si bloccano le frontiere;

    come riportato dall'Istat nel comunicato stampa su «Occupati e disoccupati – marzo 2022» pubblicato il 2 maggio 2022, il numero di occupati torna a superare i 23 milioni. L'aumento osservato rispetto all'inizio del 2022, pari a quasi 170 mila occupati, si concentra soprattutto tra i dipendenti. Rispetto a marzo 2021, la crescita del numero di occupati è pari a 800 mila unità, in oltre la metà dei casi riguarda i dipendenti a termine, la cui stima raggiunge i 3 milioni 150 mila, il valore più alto dal 1977. Il tasso di occupazione si attesta al 59,9 per cento (record dall'inizio delle serie storiche), quello di disoccupazione all'8,3 per cento, tornando ai livelli del 2010, e il tasso di inattività, al 34,5 per cento, scende ai livelli prepandemici. Si è, infatti, di fronte a una contrazione del numero dei disoccupati, tra i quali sono inseriti i percettori del reddito di cittadinanza, a una contestuale crescita degli occupati e a un decremento significativo degli inattivi (le persone tra i 15 e i 64 anni che non hanno un lavoro e non lo cercano), in media pari a circa 170.000 unità rispetto al 2018;

    dall'entrata in vigore del reddito di cittadinanza – secondo i dati Inps, aggiornati a dicembre 2021, sono 1,2 milioni i nuclei familiari beneficiari di reddito di cittadinanza in Italia (l'86 per cento di nazionalità italiana) e l'importo medio dell'assegno mensile è di 587 euro – non si rileva una flessione del numero dei lavoratori a disposizione del sistema agricolo; infatti (dati Istat elaborati dal Crea), nel 2018 si registrano 857 mila occupati per un totale di ore pari a 604.072, nel 2019 si registrano 891 mila occupati per un totale di ore pari a 613.121; nel 2020 si registrano 909 mila occupati per un totale di ore pari a 597.767 (in linea con il blocco del lavoro dovuto alla pandemia) e per il 2021 si registrano 916 mila occupati per un totale di ore pari a 620.295;

    sempre nel settore agricolo, è altresì vero che dei circa 900 mila occupati, 100 mila hanno contratti a tempo indeterminato, mentre gli altri lo hanno di tipo stagionale. Di questi, circa 350 mila (italiani e stranieri) non raggiungono i requisiti minimi per la disoccupazione. Questi dati, protetti da privacy, sono a disposizione dell'Inps e sono divisi per comune come si può vedere dal sito dell'Inps;

    relativamente a quest'ultimo punto preme segnalare due iniziative, quella di Veneto lavoro e i centri dell'impiego e quella di Ebat a Siracusa, così come altre iniziative autonome delle associazioni di categoria o «io resto in campo» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che tentano di mettere insieme domanda e offerta con varie tecniche;

    il turismo è uno dei principali motori per l'economia mondiale: la sua filiera vale quasi il 10 per cento del prodotto interno lordo globale e occupa più di 300 milioni di persone (10,6 per cento del totale);

    in Italia il turismo, settore fondamentale per l'economia del Paese, ha visto nel decennio precedente la crisi connessa allo scoppio della pandemia un'espansione forte e continua;

    nel 2019 il comparto del turismo registra un record assoluto di arrivi e presenze negli esercizi ricettivi (rispettivamente 131,4 milioni e 436,7 milioni, con una crescita, del +2,6 per cento e dell'+1,8 per cento rispetto al 2018) e dal punto di vista macroeconomico il suo peso sull'economia vale circa il 7 per cento del prodotto interno lordo e il 7,1 per cento degli occupati (quasi 1,7 milioni di addetti). Includendo effetti diretti e indiretti, genera quasi il 14 per cento del valore aggiunto totale e dell'occupazione;

    la crisi economica derivante dal dilagare della pandemia ha, pertanto, colpito un settore nevralgico dell'economia italiana, riflettendosi negativamente tanto sulle condizioni occupazionali che sul fatturato del settore, con effetti più marcati rispetto agli altri comparti;

    anche il turismo – come l'agricoltura – è un settore caratterizzato da un'elevata variabilità dovuta alla diversità delle realtà locali e alla notevole influenza esercitata dalle forze economiche e sociali che sottopongono il settore a continue oscillazioni;

    questa variabilità costringe le aziende a dotarsi di un'organizzazione flessibile, anche relativamente all'organizzazione delle risorse umane; infatti nel contratto di lavoro stagionale, in particolar modo nel settore turistico anche per effetto della contrattazione collettiva, molte delle limitazioni previste per il contratto di lavoro a termine subiscono delle deroghe;

    nonostante le ulteriori incertezze derivanti dalla guerra in Ucraina e dal connesso rialzo dei prezzi dei beni energetici, il 2022 è l'anno della ripartenza del settore: la nota redatta congiuntamente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dalla Banca d'Italia e dall'Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (Anpal) del mese di maggio 2022, che utilizza come fonti informative le comunicazioni obbligatorie (dati aggiornati al 30 aprile 2022) e le dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro (dati aggiornati al 31 marzo 2022), conferma un'accelerazione del turismo dal punto di vista occupazionale. La domanda di lavoro nel turismo sospinge l'occupazione delle donne e del Mezzogiorno;

    com'è noto il comparto del turismo – che si ricorda è assai ampio, ricomprendendo alberghi, campeggi, bar, ristoranti, stabilimenti balneari e termali, discoteche e agenzie di viaggi e parchi divertimento – è strutturalmente caratterizzato da una forte componente stagionale, i cui effetti sulla dinamica dell'occupazione sono importanti;

    la stagionalità, anche se è vissuta come fisiologica del lavoro, comporta delle criticità sia per i lavoratori che per le aziende;

    per i lavoratori rappresenta un fattore di criticità, soprattutto in termini di sicurezza pensionistica e di continuità economica;

    per le aziende le principali difficoltà sorgono sia nella fase di reclutamento di personale con competenze adeguate che in quella di costruzione di rapporti fiduciari stabili;

    l'impatto della pandemia sul settore ha messo ancor più in evidenza tali criticità, che si ritrovano certificate nel XIII Rapporto dell'Osservatorio sul mercato del lavoro del turismo – 2021, il quale evidenziava un dato allarmante: la contrazione tra il 2019 e il 2020 dei contratti a tempo indeterminato (anche nel periodo in cui essi venivano protetti dal blocco dei licenziamenti), accompagnata dalla tendenza dei lavoratori ad abbandonare il settore;

    il trend è stato confermato anche dagli ultimi dati disponibili: il settore turistico – in particolare il segmento alberghiero – ha perso tantissimi lavoratori, che hanno deciso di puntare su professioni più sicure e meno «sacrificanti» dal punto di vista degli orari;

    adesso che, con l'allentamento delle restrizioni, il settore vede una ripresa, si assiste al paradosso della crescita della domanda di lavoro, ma si fatica a trovare personale, in particolare quello stagionale: si parla di un fabbisogno occupazionale di circa 300-350 mila profili, una larga fetta dei quali introvabili;

    tra maggio e luglio 2022 Unioncamere e Anpal certificano un fabbisogno di 387.720 lavoratori per i servizi di alloggio, ristorazione e turistici;

    si tratta di una perdita che va considerata non solo in termini economici, ma soprattutto di competenze;

    con il tasso di disoccupazione all'8,3 per cento, che per i giovani tocca il 24,5 per cento, alle ultime posizioni tra i 27 Paesi dell'Unione europea, la mancanza di personale nell'industria del turismo evidenzia tutti i limiti del nostro mercato del lavoro, le carenze del sistema formativo e un insufficiente collegamento con il mondo scolastico;

    la fetta più consistente di carenze riguarda il comparto dei pubblici esercizi: mancano all'appello 194 mila lavoratori per tornare ai livelli del 2019. Secondo l'ufficio studi di Fipe-Confcommercio si sono persi 244 mila lavoratori nel 2020, di cui 116 mila con contratti a tempo indeterminato, nel 2021 si sono recuperati poco meno di 50 mila unità. Tra le figure più difficili da reperire, il personale di sala, l'aiuto cuoco e il barman;

    le associazioni datoriali di categoria denunciano la mancanza di politiche attive e di servizi di orientamento e, di contro, gli effetti distorsivi – a loro modo di vedere – di generose politiche di sussidio;

    i dati, tuttavia, delineano una situazione ben diversa, riguardo a quest'ultimo punto, ovvero che i lavoratori stagionali non vengono sottratti dal lavoro perché percepiscono il reddito di cittadinanza: il report dell'Osservatorio dell'Inps chiarisce che nel 2021 sono state fatte 920 mila assunzioni di questo tipo, 263 mila in più del 2020, 187 mila in più del 2019 e 260 mila in più rispetto al 2018, quando non c'era il reddito di cittadinanza;

    dunque, il vero punto è che la ripresa delle assunzioni nei comparti dei servizi, turismo-commercio, si scontra con il tema del mismatch, vale a dire la difficoltà di reperimento del personale occorrente e di un mercato del lavoro asimmetrico e caratterizzato da lacune informative tra chi cerca e chi offre lavoro;

    esiste anche un problema culturale, perché ancora in molti associano il lavoro al bar o al ristorante con un «lavoretto». In Italia raramente il mestiere del cameriere viene visto come una professione di alto livello, ma spesso è interpretato come un lavoro di ripiego. Si sottolineano spesso i sacrifici, in termini di orari, anche se i contratti di lavoro prevedono riposi e ferie, e per determinate figure, come il cuoco o il direttore di sala, le retribuzioni sono di tutto rilievo;

    la carenza di personale è generalizzata per tutte le figure professionali, ma l'area che al momento è in maggiore sofferenza è quella del F&B (food & beverage), soprattutto per quanto riguarda il personale di sala: dal restaurant manager, al commis di sala, dal maitre allo chef de rang, tutte figure praticamente introvabili per strutture del segmento. Inoltre, se per la figura del cuoco il richiamo mediatico delle tante trasmissioni televisive ha avvicinato il grande pubblico a questa professione, così non è stato per la figura del cameriere: a differenza dell'executive chef, la figura del restaurant manager non è mai stata pubblicizzata;

    la «fuga» dall'occupazione nel settore del turismo ha la sua matrice, altresì, nell'alta percentuale di «irregolarità» contrattuale che caratterizza il comparto. Non è un mistero, ed è opinione comune, che nei settori del turismo e della ristorazione si ricorre a rapporti di lavoro quantomeno «in grigio», approfittando della stagionalità per portare gli addetti ad accettare contratti part time con orari a tempo pieno. A questo proposito il rapporto dell'Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) dell'estate 2021, che fa riferimento alle ispezioni e ai controlli effettuati nelle aziende turistiche e della ristorazione, segnalava come su circa 200 aziende controllate solo il giorno di Ferragosto su tutto il territorio nazionale, il 70 per cento fosse risultato irregolare, con una percentuale che non diminuiva a fronte di oltre 10 mila controlli effettuati nei mesi estivi: sette aziende su dieci vedevano la presenza di lavoratori in nero, con violazioni in materia di busta paga e di tracciabilità dei pagamenti, con irregolarità in merito alla sicurezza del lavoro, a forme spurie di cooperative, agli orari di lavoro, all'illecita somministrazione di manodopera e ai trattamenti contrattuali applicati ai lavoratori. Sempre secondo i dati dell'Ispettorato nazionale del lavoro, il 46 per cento delle violazioni totali avvengono nel comparto del turismo, mentre un altro 12 per cento riguarda l'orario di lavoro;

    i dati evidenziano come il lavoro nel turismo sia il più precario: il 41 per cento dei lavoratori rispetto al 22 per cento del totale dell'economia nazionale; così come è forte l'incidenza della stagionalità, il 14 per cento rispetto al 2 per cento del dato di riferimento a livello nazionale;

    precarietà e instabilità contrattuale sono le caratteristiche di un comparto nel quale più del 55 per cento dei lavoratori sono a chiamata; lo dimostrano anche i dati relativi alle assunzioni a tempo indeterminato, nettamente inferiori nel turismo rispetto agli altri settori: il 59 per cento a tempo indeterminato rispetto all'82 per cento del totale economia;

    i lavoratori stagionali e gli altri lavoratori mobili sono spesso assunti con contratti di lavoro a tempo determinato, tramite agenzie di lavoro interinale e agenzie di collocamento o catene di subappalto. Specie se non assunti direttamente dal datore di lavoro, spesso non ricevono spiegazioni sufficientemente chiare, né protezione in materia di informazioni, obblighi e diritti;

    a tutto ciò si aggiungono le basse retribuzioni (nel turismo sono pari ai due terzi del totale economia), l'orario di lavoro ridotto (il 54 per cento di part time rispetto al 29 per cento del totale economia) e la dequalificazione professionale (82 per cento di qualifiche «operaie» rispetto al 53 per cento del totale economia);

    recentemente il Governo, considerate le difficoltà del settore del turismo, ha previsto (articolo 4, comma 2, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022, n. 25) il riconoscimento di un esonero contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo determinato – ivi compresi quelli per lavoro stagionale – stipulati nel primo trimestre del 2022, limitatamente al periodo del rapporto di lavoro previsto dal contratto e comunque sino ad un massimo di tre mesi, nei settori del turismo e degli stabilimenti termali; tale beneficio concerne i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro – relativi al rapporto di lavoro a termine in oggetto e con esclusione dei premi e contributi dovuti all'Inail – ed è riconosciuto nel rispetto di una misura massima dello sgravio, relativo al singolo dipendente assunto, pari a 8.060 euro su base annua – riparametrato e applicato su base mensile; il medesimo beneficio è riconosciuto, altresì, in caso di conversione a tempo indeterminato dei contratti di lavoro dipendente a termine nei suddetti settori, per un periodo massimo di sei mesi (decorrenti dalla conversione),

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di carattere normativo a sostegno dei lavoratori del settore del turismo e del comparto agricolo, finalizzate a:

  a) migliorare l'approccio delle politiche nazionali/regionali, soprattutto nella gestione dei flussi (politiche nazionali con il «decreto flussi») e nell'attenzione e nel controllo dell'impiego di manodopera sul territorio (politiche regionali), proprio in considerazione del forte fabbisogno stagionale, soprattutto in alcune aree regionali;

  b) dare maggiore efficacia alla legge n. 199 del 2016, promuovendo anche azioni di analisi e verifica della coerenza tra fabbisogno di manodopera ed entità del lavoro contrattualizzato, con l'ausilio di strumenti e metodi dalla solida base scientifica;

  c) attivare misure incentivanti per la rete del lavoro agricolo;

  d) promuovere con gli istituti agrari relazioni con le aziende agricole e del settore agroalimentare, al fine di favorire l'incontro tra le richieste del mercato e gli istituti formativi, anche attraverso il potenziamento degli istituti tecnici superiori operanti nell'agroalimentare;

  e) promuovere una piattaforma per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche migliorando quanto realizzato da Anpal, integrando le informazioni presenti sia nei database di Agea e dell'Inps, in modo che le imprese, con facilità, possano contattare direttamente, o tramite un corpo intermedio, il personale necessario, anche selezionandolo tra coloro che non raggiungono i requisiti minimi per la disoccupazione agricola;

  f) rafforzare e prorogare le normative volte ad introdurre specifici incentivi per le assunzioni con contratto di lavoro stagionale e nel settore del turismo, anche sostenendo la formazione prevista dalla normativa nazionale e regionale nei casi di assunzioni con apprendistato professionalizzante, anche con contratto stagionale;

  g) adottare il decreto di cui all'articolo 21 del decreto legislativo n. 81 del 2015 e individuare le attività stagionali, attraverso un aggiornamento delle stesse, previste dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, emanato in attuazione dell'articolo 1, comma 2, lettera a), della legge n. 230 del 1962, abrogata nel 2001;

  h) attivare una piattaforma informatica, quale strumento tecnologico per favorire i percorsi di incrocio tra domanda e offerta di lavoro anche di tipo stagionale;

  i) dotare i centri per l'impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro stagionale, anche stipulando convenzioni non onerose con le associazioni di categoria con il compito di raccogliere le domande e le offerte di lavoro stagionale, fornire le relative informazioni ai lavoratori ed alle imprese che ne facciano richiesta e fornire informazioni relative ai diritti e alle tutele previsti per il lavoro stagionale;

  l) garantire, supportare e finanziare forme di upskilling e formazione continua anche del lavoratore stagionale, nel periodo di non lavoro, dando priorità a corsi di qualità, innovativi ed esperienziali;

  m) assicurare, nell'ambito di una riforma degli ammortizzatori sociali, adeguate misure di sostegno al reddito per i lavoratori stagionali nei periodi di non lavoro, tenendo conto della peculiarità e specificità del lavoro stagionale;

  n) prevedere misure per incentivare nei citati comparti l'emersione spontanea, vantaggiosa del lavoro nero, sia per il datore di lavoro, sia per il lavoratore;

  o) rafforzare le azioni di contrasto al lavoro nero e irregolare, nel settore stagionale;

  p) ridurre in via sperimentale il costo del lavoro nel settore del turismo, della ristorazione e dell'agricoltura, incentivando altresì contratti di lavoro duraturi;

  q) introdurre delle premialità per le aziende dei settori di cui in premessa, che dimostrano particolare attenzione all'etica del lavoro;

  r) rafforzare la collaborazione fra imprese ed enti formativi, in particolar modo istituti tecnici superiori, gli enti che organizzano corsi di istruzione e formazione professionale (IeFP), istituti alberghieri e agrari.
(1-00672) «Manzo, Gallinella, Masi, Invidia, Gagnarli, Sut, Barzotti, Palmisano, Orrico, Davide Aiello, Amitrano, Ciprini, Cominardi, Cubeddu, Pallini, Segneri, Tripiedi, Tucci, Bilotti, Cadeddu, Cassese, Cillis, L'Abbate, Maglione, Alberto Manca, Parentela, Pignatone».

(20 giugno 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il comparto turistico-ricettivo torna nuovamente al centro della scena politica nazionale necessitando di un intervento concreto; infatti, a seguito di due anni di restrizioni derivanti dalla lotta alla pandemia COVID e dei recenti effetti della guerra, anche e soprattutto sul fronte energetico, il settore registra un ulteriore rallentamento dato dalla difficoltà di reperire personale e addetti che consentano di erogare i diversi servizi per l'intera stagione;

    negli ultimi mesi anche la situazione dell'agricoltura italiana, impegnata in una fase di delicata ripresa dopo la crisi dovuta alla pandemia, si è ulteriormente aggravata a causa dell'impennata dei prezzi dell'energia e per il conflitto Russia-Ucraina, che stanno comportando il rincaro delle materie prime essenziali per i processi produttivi della filiera agroalimentare;

    nel comparto turistico–alberghiero le stime parlano di una carenza di personale di circa 300.000 unità, nelle diverse mansioni (camerieri, cuochi, baristi, receptionist, animatori turistici, agenti di viaggio e altri), che contribuisce a frenare la crescita che stava registrando il comparto turistico al decadere delle restrizioni da COVID-19;

    nel settore agricolo da stime servirebbero almeno 100.000 lavoratori stagionali per garantire le campagne di raccolta estive di frutta e verdura; l'arrivo del grande caldo accelera la maturazione nei campi e rende ancora più urgente far fronte alla carenza di manodopera; dal Trentino-Alto Adige al Veneto, passando per l'Emilia-Romagna, fino ad arrivare in Basilicata la situazione è divenuta seria con il rischio concreto di perdere i prodotti ormai maturi;

    è utile sottolineare che il settore turistico-alberghiero in questione valeva circa tredici punti di prodotto interno lordo, un valore economico che gli esperti ritenevano replicabile proprio nel 2022, in quella che doveva essere l'estate della ripartenza;

    per il settore agricolo il «caro energia» ha già determinato una revisione al ribasso della percentuale di crescita del prodotto interno lordo in Italia prevista per il 2022, percentuale che risultava essere tra le più elevate nell'Unione europea e a livello mondiale;

    gli operatori del settore turistico-alberghiero, imprenditori e associazioni di categoria, in più occasioni hanno individuato le responsabilità di questa carenza di personale nella poca disponibilità ad andare a lavorare in città o regioni lontane dal proprio luogo di residenza e, soprattutto, nelle prestazioni di sostegno al reddito, a partire dal reddito di cittadinanza, che hanno l'effetto in questa fase di disincentivare la ricerca di lavoro;

    quanto detto va poi posto in diretta correlazione con le conseguenze della recente pandemia; infatti, lavoratori stagionali, in precedenza abituati a questa tipologia di lavoro, a seguito del COVID hanno preferito allontanarsi dal settore turistico per ricercare un mercato del lavoro ritenuto più stabile, in grado di concedere maggiori garanzie ritenute necessarie per affrontare eventuali crisi future. A ciò si aggiunga la «concorrenza» estera che, nelle località di confine riconosce paghe e stipendi più alti, qui non replicabili a causa della pressione fiscale e dell'elevata tassazione;

    il mercato del lavoro, nel settore, quindi si dimostra vetusto e inefficace, come più volte denunciato dagli imprenditori. Forme di sostegno come il reddito di cittadinanza e la Naspi non consentono al settore di crescere, con il paradosso di registrare un deficit di offerta lavorativa a fronte di un tasso di disoccupazione all'8,3 per cento, che per i giovani tocca il 24,5 per cento, alle ultime posizioni tra i 27 Paesi dell'Unione europea. Solo negli hotel, dicono i dati del centro studi di Federalberghi, ad aprile 2022 risultavano persi 84.000 posti di lavoro stagionali e temporanei di varia natura rispetto allo stesso mese del 2019 (-66,8 per cento). In media nel 2021 la perdita è stata di 55.000 lavoratori (-41,7 per cento sul 2019);

    lo strumento dei «buoni lavoro» era stato introdotto nel 2003 con la cosiddetta «riforma Biagi» per facilitare, da un lato, e regolarizzare, dall'altro, il ricorso a prestazioni di lavoro occasionale, riservato a specifici settori e platee di soggetti;

    il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, attuativo della riforma cosiddetta del Jobs Act, nel sostituire integralmente la disciplina previgente in materia di prestazioni di lavoro accessorio, ha di fatto esteso il campo di applicazione dei voucher ad una tipologia contrattuale di lavoro non più meramente occasionale, prevedendone il ricorso in tutti i settori produttivi, per tutti i committenti e per tutti i lavoratori;

    successivamente tramite un decreto-legge venivano abrogati i voucher tout court, senza prevedere alcun regime transitorio e senza alcuna preoccupazione del vuoto normativo che si sarebbe creato per tutti gli utilizzatori che, alla data di entrata in vigore di quel decreto-legge, il 17 marzo 2017, avevano già acquistato i «buoni lavoro»;

    con il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, il lavoro accessorio è stato sdoppiato in due parti: il contratto di prestazione occasionale per i committenti esercenti attività imprenditoriale, commerciale o istituzionale e il libretto di famiglia per i committenti persone fisiche;

    infine, il cosiddetto «decreto dignità», al fine di fornire una risposta concreta alle richieste di specifici settori come quello agricolo, quello alberghiero e quello turistico-ricettivo, prevede che i nuovi voucher potranno essere utilizzati dalle aziende agricole, alberghiere o strutture ricettive operanti nel settore del turismo, con massimo 8 dipendenti, nonché dagli enti locali; potranno essere utilizzati come forma di pagamento per il lavoro di pensionati, disoccupati, studenti fino a 25 anni se regolarmente iscritti a un ciclo di studi, disoccupati e percettori di forme di sostegno al reddito. La durata massima dell'utilizzo è di 10 giorni. Il limite di compenso per una prestazione occasionale è di 5.000 euro lordi annui, superato il quale il rapporto di prestazione occasionale si trasforma automaticamente in rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato;

    con riguardo al settore agricolo è stato introdotto l'obbligo per il prestatore di autocertificare la non iscrizione nell'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli. Ferma restando la responsabilità dell'utilizzatore, ciascuno utilizzatore può versare le somme dovute per l'attivazione del contratto di prestazione occasionale anche attraverso un consulente del lavoro. Inoltre, è stato previsto che l'1 per cento degli importi versati sia destinato al finanziamento degli oneri gestionali a favore dell'Inps;

    le imprese turistico-alberghiere e agricole stanno lamentando, in ogni parte d'Italia, le forti difficoltà nel reperimento della manodopera, soprattutto con riferimento ai profili operativi, perché la fruizione del reddito di cittadinanza in confronto al reddito da lavoro costituirebbe un deterrente per accettare nuove occupazioni, mettendo così in seria difficoltà l'organizzazione delle riaperture nel settore turistico-alberghiero e la raccolta nei campi, minando le aspettative di recupero delle aziende dei suddetti settori;

    non vi è dubbio che un simile effetto, del tutto paradossale, contrasta con la ratio che era stata l'ispiratrice dello strumento del reddito di cittadinanza, che non era certamente quella di scoraggiare il reimpiego dei disoccupati, ma semmai essere, oltre che un mezzo di contrasto alla povertà, uno strumento di politica attiva del lavoro;

    la prevista decadenza dalla percezione del sussidio, in caso di mancata accettazione di un'offerta di lavoro congrua, non costituisce, allo stato attuale, un deterrente efficace, anche perché l'incontro tra domanda e offerta di lavoro avviene, in larga parte, nel mercato privato e al di fuori dell'intermediazione pubblica;

    lo stesso Ministro Garavaglia ritiene fondamentale «rivedere la disciplina del reddito di cittadinanza in modo da rimodularla per agevolare l'effettivo inserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro, piuttosto che fornire una fonte di reddito non finalizzata in concreto a tale scopo». A tal fine il Ministro si è spinto a proporre di lasciare metà del reddito di cittadinanza a chi accetta un lavoro stagionale. L'ipotesi consentirebbe di risolvere il problema di alberghi e ristoranti che non trovano camerieri e addetti;

    si tenga, altresì, in debito conto che la denunciata carenza di personale viene attualmente affrontata in via emergenziale, ma palesa un orizzonte temporale molto più lungo di quello in corso; il dramma dell'occupazione estiva comprende anche il dimezzamento degli iscritti negli istituti scolastici che formano camerieri e cuochi, passati da 60 mila a 30 mila in 5 anni. Di più: solo il 20 per cento dei diplomati all'alberghiero resta nel comparto. Lo stesso Ministro Garavaglia ha lanciato l'allarme sulla mancanza di personale e sulle conseguenze che questa potrebbe avere, non solo sul settore del turismo, ma su tutta l'economia;

    il problema reale, come sempre in questi casi, ruota attorno ai numeri; secondo stime di Assoturismo Confesercenti, la difficoltà nel reperire 300.000 stagionali mette a rischio circa 6,5 miliardi di euro di consumi e potrebbe causare una perdita di 3,2 miliardi di euro di investimenti delle imprese del comparto e di 7,1 miliardi di euro di prodotto interno lordo. Un danno difficilmente immaginabile in un Paese come l'Italia che fa del turismo, delle bellezze territoriali ed enogastronomiche e del marchio made in Italy un vanto e conseguente volano economico. La ripercussione sul piano del prestigio e della capacità del Paese di rendersi attrattivo all'estero sono evidenti. L'Istat ha certificato che nel 2021 il fatturato del comparto ricettivo ha subito una riduzione del 32,2 per cento sul 2019, mentre nel 2020 la riduzione era stata del 54,2 per cento. Nel primo quadrimestre del 2022, rispetto allo stesso periodo del 2019, i pernottamenti totali sono diminuiti del 20,1 per cento. Nel 2021 le presenze totali sono state 156 milioni in meno rispetto a quelle dello stesso periodo del 2019 (-35,8 per cento), di cui 118 milioni relative ai turisti stranieri;

    in tale contesto il rischio principale, negli anni, è quello di perdere flusso di turisti nel mercato nazionale e internazionale, attesa la volontà degli stessi di orientare le proprie scelte verso altri luoghi e mete, con conseguente impoverimento del comparto italiano;

    negli ultimi mesi la situazione dell'agricoltura italiana si è aggravata a causa dell'impennata dei prezzi dell'energia, ai quali si sono aggiunte le conseguenze della guerra in Ucraina in termini di approvvigionamento e di mercato, che rischiano di vanificare il rilancio del settore agricolo;

    i rincari dell'energia hanno un impatto devastante sulla filiera, dal campo alla tavola; si stima un aumento medio di un terzo dei costi di produzione dell'agricoltura a livello nazionale, per un esborso di circa 8 miliardi di euro su base annua rispetto al precedente anno. Questo mette a rischio coltivazioni, allevamenti e industria di trasformazione nazionale, ma anche gli approvvigionamenti alimentari;

    le aziende segnalano quotidianamente una crescita esponenziale dei costi legati all'energia elettrica e al gas, ma anche un aumento dei prezzi di carburanti, fertilizzanti, mangimi, macchinari e sementi;

    il prezzo del gasolio agricolo utilizzato anche per la pesca e acquacoltura, da Nord a Sud varia, ed ha superato quota 1,20 euro al litro, quando nel 2021 si poteva acquistare per meno di 0,60 euro al litro;

    l'aumento del gasolio per la pesca mette a rischio la sopravvivenza dei 12.000 pescherecci italiani e 28.000 lavoratori, con un vasto indotto ad essa collegato; inoltre, sta danneggiando ulteriormente la produzione italiana a favore di un import che, in molti casi, non è affatto sinonimo di garanzia, sostenibilità sociale, ambientale, né tantomeno di sicurezza alimentare;

    il blocco dell'intero comparto ittico comporta inevitabilmente che sparisca dai banchi delle pescherie italiane, dei mercati, dei supermercati il prodotto ittico nostrano, sostituito con quello straniero, proveniente non solo dai vicini diretti concorrenti, come Croazia, Francia, Grecia, Spagna, Tunisia ma anche dai Paesi terzi, come ad esempio, le orate dalla Tanzania, i pangasi dal Vietnam e le seppie dalle Seychelles, a danno anche della salute dei consumatori;

    oltre al «caro gasolio» negli anni la pesca ha dovuto subire una progressiva riduzione dello sforzo di pesca. Nel 2022, gli operatori sono stati costretti a ridurre ulteriormente le giornate di pesca, arrivando a diminuire le uscite in mare a 120-130 giorni, andando di fatto al di sotto della soglia di sostenibilità e facendo registrare una riduzione del 20 per cento di fatturato; con meno giornate di pesca e costi superiori ai ricavi si va incontro ad un danno irrecuperabile al settore, con 8 imprese su 10 che rischiano la chiusura della loro attività;

    gli aiuti del Governo disposti dai vari provvedimenti o stanno arrivando con lentezza, come i pagamenti per il fermo biologico del 2021, o risultano insufficienti, come il credito d'imposta del 20 per cento previsto del decreto-legge n. 21 del 2022 per il solo primo trimestre 2022; contributi che avrebbero permesso ai pescatori di pagare qualche debito e allungare l'agonia;

    risulta, inoltre, che in Francia il prezzo del carburante per la pesca è di 0,85 euro al litro, a cui vanno tolti 0,15 euro pagati alla pompa dallo Stato e 0,20 euro dagli oneri sociali, per un costo finale di 0,50 euro al litro, mentre in Grecia e Spagna risulta essere circa la metà rispetto a quello italiano;

    i costi legati all'energia elettrica e al gas hanno comportato un aumento dei prezzi anche dei fertilizzanti, dei mangimi, dei prodotti fitosanitari, degli antiparassitari, dei diserbanti e delle sementi, fattore che ha comportato un inevitabile aumento dei costi di produzione; i rincari dei mangimi rendono antieconomico l'allevamento e in alcuni casi si sono addirittura registrati problemi nell'approvvigionamento;

    il 30 per cento delle imprese agricole è costretta a ridurre i raccolti, mettendo a rischio le forniture alimentari e la sovranità alimentare del Paese che è già obbligato ad importare il 64 per cento del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci, il 44 per cento del grano duro per la pasta e il 27 per cento dell'orzo, ma anche il 16 per cento del latte consumato, il 49 per cento della carne bovina e il 38 per cento di quella suina, senza dimenticare il mais (47 per cento) e la soia fondamentali per l'alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi dop, dove con le produzioni nazionali si riesce attualmente a coprire rispettivamente il 53 per cento e il 73 per cento;

    i costi aziendali, oramai, sono fuori controllo, riducono fortemente il profitto degli agricoltori portandolo a livelli al di sotto della sostenibilità economica: il 30 per cento delle aziende agricole ha un bilancio in negativo. Il Crea ha stimato che un'impresa agricola su dieci non riesce a far fronte alle spese, con un impatto di 15.700 euro di aumento medio dei costi annui;

    il primo problema, infatti, dell'agricoltura italiana è soprattutto il reddito delle aziende agricole;

    un eccezionale aumento del costo delle materie prime indispensabili per le attività agricole e per l'allevamento accresce i costi aziendali, riducendo fortemente il profitto degli agricoltori, portandolo a livelli al di sotto della sostenibilità economica;

    se un'azienda agricola ha un reddito adeguato, ha le risorse necessarie per sostituire le trattrici, investire in stalle più moderne, investire nell'agricoltura di precisione e, quindi, in maggiore sostenibilità ambientale allo stesso tempo e riduzione degli input, che sono un costo produttivo;

    in questo momento essere quanto più possibile autonomi nella produzione agricola e agroalimentare è fondamentale per garantire la sopravvivenza di un settore che si è rivelato fondamentale nel nostro Paese nei giorni più complessi della pandemia, non facendo mai mancare, nonostante le difficoltà, i beni di prima necessità alle famiglie;

    più di un quarto del territorio nazionale (28 per cento) è a rischio desertificazione a causa della gravissima siccità di quest'anno, che rappresenta solo la punta dell'iceberg di un processo che mette a rischio la disponibilità idrica nelle campagne e nelle città. Dalla Lombardia alla Sicilia, passando per Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Abruzzo, Puglia e Calabria, la siccità è diventata la calamità più rilevante per l'agricoltura italiana con danni stimati per il 2022 pari a circa 2 miliardi di euro per effetto del calo dei raccolti, con diminuzioni dei raccolti che costringeranno gli allevatori a comprare fieno e mangimi a prezzi, aumentati in modo vertiginoso, che vedono rincari di oltre il 100 per cento per effetto delle speculazioni sulla guerra in Ucraina;

    il livello idrometrico del fiume Po al Ponte della Becca è sceso a –3,7 metri su livelli più bassi da almeno 70 anni, ma a preoccupare è anche l'avanzare del cuneo salino per la risalita dell'acqua di mare, che rende impossibile la coltivazione nelle zone del delta;

    risulta essere in sofferenza anche il lago Maggiore, con un grado di riempimento del 22,7 per cento, così come quello di Como al 30,6 per cento. Nel bacino padano per la mancanza di acqua è minacciata oltre il 30 per cento della produzione agricola nazionale e la metà dell'allevamento che danno origine alla food valley italiana conosciuta in tutto il mondo, ma in alcune zone di Piemonte e Lombardia non piove da quasi tre mesi e in certi Paesi si ricorre alle autobotti per l'uso civile, mentre sui ghiacciai del Trentino-Alto Adige è stata misurata una quantità di neve compresa tra il 50 per cento e il 60 per cento del valore medio della serie storica;

    la situazione è però difficile su tutto il territorio italiano, dove le precipitazioni sono praticamente dimezzate e hanno portato a cambiare anche le scelte di coltivazione sul territorio con un calo stimato di 10.000 ettari delle semine di riso che ha più bisogno di acqua a favore della soia, con un impatto economico, occupazionale ma anche ambientale;

    a preoccupare è la riduzione delle rese di produzione delle coltivazioni in campo, come il grano che fa segnare quest'anno un calo del 15 per cento delle rese alla raccolta, ma in difficoltà ci sono anche girasole, mais e altri cereali, ma anche quella dei foraggi per l'alimentazione degli animali e di ortaggi e frutta che hanno bisogno di acqua per crescere;

    l'Italia è già vulnerabile sotto il profilo della dipendenza dall'estero, come si è visto a seguito delle conseguenze derivanti dal «caro energia» e dal conflitto Russia-Ucraina, ma in combinata con la siccità, che è la calamità più rilevante per l'agricoltura italiana, si rischiano di innescare effetti davvero devastanti, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno, per la sopravvivenza delle aziende agricole italiane,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte ad attenuare gli effetti distorsivi nel mercato del lavoro nei comparti turistico-alberghiero e agroalimentare, al fine di incentivare il collocamento e la ricollocazione dei percettori della misura del reddito di cittadinanza, anche per contratti di lavoro stagionale, per rispondere più efficacemente ai fabbisogni espressi dalle imprese turistiche e agricole;

2) ad assumere iniziative volte a migliorare e potenziare il mercato del lavoro, nonché le politiche attive al fine di affrontare in concreto il problema della carenza di personale nel settore turistico;

3) ad intervenire per controllare gli effetti negativi del reddito di cittadinanza, della Naspi e di ogni altro sistema di sostegno al reddito, sul mercato del lavoro nel comparto turistico-ricettivo;

4) al fine di superare le criticità relative al reperimento di manodopera stagionale nei settori del turismo e dell'agricoltura ed evitare che misure di contrasto alla povertà come il reddito di cittadinanza possano costituire un ostacolo al reperimento della stessa, a rivedere la normativa in materia di offerte lavorative per i percettori del reddito di cittadinanza, di cui al decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, disponendo l'utilizzo di tali soggetti per il lavoro stagionale, demandando all'Inps il compito di sottrarre dall'importo del beneficio economico del reddito di cittadinanza gli accrediti derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio e, al contempo, prevedendo che il rifiuto a prestazioni di lavoro accessorio e occasionale da parte di tali soggetti costituisce rifiuto di offerta congrua, con conseguente applicazione delle disposizioni in materia di decalage e di revoca di cui all'articolo 1, comma 76, della legge 30 dicembre 2021, n. 234;

5) ad individuare misure mirate alla defiscalizzazione del costo del lavoro al fine di operare una riduzione del cuneo fiscale che consenta alle imprese di proporre retribuzioni maggiormente competitive per il settore di riferimento;

6) a individuare, mediante appositi interventi normativi, modalità di sostegno e incentivazione della formazione dei giovani, al fine di incrementare le conoscenze nel comparto turistico-ricettivo mediante percorsi di studio e lavoro maggiormente professionalizzanti;

7) a regolamentare in maniera certa e uniforme il settore delle guide turistiche, con interventi che consentano agli operatori del settore di svolgere in modo professionale e continuativo tale attività;

8) a predisporre interventi volti a tutelare il comparto del made in Italy migliorando e incrementando forme di incentivazione alle imprese del settore, al fine predisporre un'offerta turistica maggiormente competitiva in grado di spingere i turisti a scegliere il territorio nazionale come meta principale;

9) ad individuare strumenti di sostegno al reddito dei pescatori, anche sotto forma di indennizzi diretti delle giornate di pesca perse a causa del fermo delle attività dovute al rincaro del costo del gasolio, magari utilizzando il nuovo strumento del Feampa, nonché a procedere, nel più breve tempo possibile, al pagamento dell'arresto obbligatorio e non obbligatorio 2021, che i lavoratori della pesca ancora oggi stanno attendendo, per dare un giusto ristoro economico ai pescatori;

10) ad accelerare i tempi per consentire ai pescatori l'accesso alla Cisoa, la cassa integrazione, istituita con la legge di bilancio per il 2022, che da gennaio 2022 spetta anche ai lavoratori del settore della pesca;

11) ad adottare iniziative volte a calmierare o determinare un prezzo fisso alla pompa del gasolio agricolo utilizzato dal comparto ittico per lo svolgimento delle proprie attività, basato sul modello francese, al fine di evitare il blocco del comparto ittico, settore fondamentale per l'economia nazionale, nonché ad effettuare i dovuti e necessari controlli capillari sui prezzi applicati dai distributori di gasolio agricolo affinché vengano arginati e bloccati eventuali fenomeni speculativi che si possano venire a creare ai danni dei pescatori, in occasione delle variazioni dei prezzi determinate dall'andamento del mercato, al fine di tutelare pescatori e imprese, la cui sostenibilità economica e sociale non sembra essere più assicurata;

12) a prevedere l'estensione a tutto il 2022 del contributo straordinario, sotto forma di credito d'imposta, previsto dal decreto-legge n. 21 del 2022, riconosciuto alle imprese esercenti attività agricola e della pesca, a parziale compensazione dei maggiori oneri effettivamente sostenuti per l'acquisto di gasolio e benzina per la trazione dei mezzi utilizzati per l'esercizio della propria attività, ed applicarlo anche per l'approvvigionamento dei concimi chimici utilizzati in agricoltura, come urea e nitrato di ammonio;

13) ad adottare scelte strutturali per rendere il nostro Paese autosufficiente dal punto di vista degli approvvigionamenti, aumentando la produzione nazionale che porterebbe ad una drastica riduzione della dipendenza del Paese dalle importazioni, che sono sempre più esposte a tensioni internazionali e di mercato che mettono a rischio la sovranità alimentare del nostro Paese;

14) a prevedere uno stanziamento di risorse finanziarie adeguate per indennizzare le imprese agricole per i danni subiti a causa della siccità, nonché a favorire, onde evitare di dover costantemente rincorrere l'emergenza, interventi infrastrutturali di medio-lungo periodo volti ad aumentare la capacità di accumulo dell'acqua e la successiva ottimizzazione nella gestione, dando precedenza al settore agricolo per garantire la disponibilità di cibo.
(1-00673) «Andreuzza, Viviani, Molinari, Binelli, Bubisutti, Carrara, Gastaldi, Colla, Germanà, Fiorini, Golinelli, Galli, Liuni, Micheli, Lolini, Pettazzi, Loss, Piastra, Manzato, Saltamartini, Romanò, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Bisa, Bitonci, Boldi, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colmellere, Comaroli, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, De Martini, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Durigon, Fantuz, Ferrari, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Foscolo, Frassini, Furgiuele, Gerardi, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Lazzarini, Legnaioli, Eva Lorenzoni, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Marchetti, Mariani, Maturi, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Panizzut, Paolin, Paolini, Parolo, Patassini, Patelli, Paternoster, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Scoma, Snider, Stefani, Sutto, Tarantino, Tateo, Tiramani, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Ziello, Zoffili, Zordan».

(20 giugno 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il tema di un sano e dinamico mercato del lavoro del nostro Paese che sappia conciliare la buona occupazione, salari dignitosi in linea con quanto disposto dall'articolo 36 della Costituzione e una moderna organizzazione delle imprese di comparti fondamentali per la nostra economia, quali il turismo e l'agricoltura, richiede una strategia complessiva che veda il fattivo coinvolgimento delle parti sociali e di tutti gli interlocutori, anche del mondo della ricerca;

    dopo il fermo dovuto alla pandemia, si assiste alla ripresa di attività di un settore, quello turistico, che con aperture e chiusure a singhiozzo, vede oggi la carenza di lavoratori, con la stima di un fabbisogno occupazionale di circa 3/400.000 lavoratori (Unioncamere e Anpal certificano un fabbisogno tra maggio e luglio di 387.720 lavoratori per i servizi di alloggio, ristorazione e turistici);

    se si guarda all'Europa, dove sono presenti i nostri principali concorrenti, dopo la pandemia, il turismo ha avuto un altro fattore che ne ha penalizzato l'attività: la carenza di personale. Mettendo insieme i dati delle organizzazioni dell'ospitalità e della ristorazione dei principali Paesi dell'Unione europea, emerge che attualmente ci sarebbero oltre 900 mila posti di lavoro vacanti. Di cui ben due terzi solo in Francia e Italia: le imprese francesi sono quelle che lamentano le carenze maggiori in termini assoluti, con 361 mila posti vacanti. Il Governo francese sta cercando di correre ai ripari, spingendo, di concerto con i datori di lavoro, per un aumento dei salari nel settore turistico (in Provenza, è stato stanziato un fondo da 1 milione di euro per la formazione del personale turistico). Se si guarda la Spagna, l'associazione di categoria delle piccole e medie imprese ha stimato che 100 mila posti di lavoro restano ancora vuoti, nonostante la stagione turistica sia di fatto già iniziata e nonostante il fatto che il Governo spagnolo abbia da poco varato una riforma del lavoro che, nelle intenzioni di Madrid, dovrebbe dare più certezze di stabilità agli stagionali, e quindi aiutare a coprire i posti vacanti. A causa dell'urgenza di trovare le figure professionali, tipo cuochi, camerieri o baristi, lo stesso Governo starebbe pensando, per accrescere rapidamente l'offerta di lavoro del settore, di utilizzare maggiormente la popolazione migrante, favorendo i visti per lavoro per gli stranieri;

    a causa di quanto accaduto durante la fase emergenziale della pandemia, molti lavoratori, prima impiegati nel turismo, avrebbero deciso di puntare su professioni più sicure e meno «sacrificanti» dal punto di vista degli orari, come la grande distribuzione, o come corrieri ed anche la manodopera straniera non riesce a dare il suo apporto al settore, visto che molti stranieri durante l'emergenza sono tornati nei loro Paesi d'origine: tra il 2020 ed il 2021, rispetto al 2019, nel turismo si sono «persi, come saldo tra cessazioni e nuove attivazioni, centinaia di migliaia di posti di lavoro, soprattutto tra lavoratrici e lavoratori già in condizioni di precarietà nel pre-pandemia». Un settore che, secondo i dati della Filcams Cgil, registra un 70 per cento di lavoro irregolare, un 40 per cento precario e un 60 per cento a tempo parziale, con retribuzioni notevolmente più basse rispetto a qualsiasi altro settore economico e produttivo del nostro Paese e un 80 per cento dei lavoratori sotto inquadrato o inquadrato ai livelli inferiori della contrattazione nazionale. Inoltre, con la fine, al 31 dicembre 2021, del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione con causale COVID, la situazione è ulteriormente peggiorata con molte imprese che, pur avendo potuto contare su sostegni e ristori a compensare il fatturato non realizzato nel 2020-2021, hanno comunque ridotto le proprie risorse occupazionali;

    per il settore del turismo, riprendere e consolidare la forte ripresa in atto passa anche attraverso il poter contare su collaboratori validi, professionalmente competenti e motivati e questo purtroppo non sta accadendo perché, oltre ai tradizionali problemi di reperimento della manodopera, si aggiunge oggi un fenomeno di allontanamento del personale di un settore, in cui la fetta più consistente di carenze riguarda il comparto dei pubblici esercizi, a cui mancano all'appello 194 mila lavoratori per tornare ai livelli del 2019. Secondo l'ufficio studi di Fipe-Confcommercio si sono persi 244 mila lavoratori nel 2020, di cui 116 mila con contratti a tempo indeterminato; nel 2021 si sono recuperati poco meno di 50 mila unità. Tra le figure più difficili da reperire, il personale di sala, l'aiuto cuoco e il barman. La situazione, al di là della temporanea ripresa estiva, resta comunque preoccupante in alcune delle città d'arte, per il turismo d'affari e per le agenzie di viaggi e i tour operator;

    il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando, aprendo i lavori del Tavolo sul turismo nella capitale, ha evidenziato come nel primo trimestre del 2022, per agevolare il ricorso agli ammortizzatori sociali, si sia intervenuti con due specifiche norme a sostegno del settore turistico: l'esonero fino al 31 marzo del pagamento del contributo addizionale dovuto in caso di ricorso ai trattamenti di integrazione salariale, per i datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti, e le ulteriori 8 settimane di cassa, fruibili fino al 31 dicembre 2022, una volta esaurite le 13 (fino a 5 dipendenti) o 26 settimane (da 6 a 15 dipendenti) riconosciute dalla riforma ammortizzatori. Secondo il Ministro, l'estensione della cassa integrazione guadagni straordinaria anche alle imprese del turismo che occupano più di 15 dipendenti consente di dotare le imprese del settore di strumenti di gestione della crisi e dei processi di trasformazione e riorganizzazione, salvaguardando i livelli occupazionali e investendo sulle competenze delle persone. Il nuovo strumento si accompagna, infatti, a mirate politiche attive che potranno essere attivate dalle regioni, anche avvalendosi delle risorse del programma «Garanzia di occupabilità dei lavoratori» (Gol), ovvero dalle imprese ricorrendo ai fondi interprofessionali;

    la carenza di manodopera nel settore del turismo stagionale è, dunque, una questione che sarebbe originata da più fattori, tra i quali vanno evidenziati prioritariamente la qualità del reclutamento e la qualità del lavoro, temi profondamente intrecciati e riguardanti, tra l'altro, la cultura d'impresa;

    porre al centro il lavoro per migliorare la situazione di milioni di addetti del settore, garantendo loro diritti e tutele, per approdare ad una nuova normalità, ad un lavoro nuovo e ad un nuovo modello di filiera più sostenibile e responsabile, con l'obiettivo di determinare, anche attraverso il rinnovo dei contratti nazionali, le condizioni per un'occupazione stabile, regolare e dignitosa, può essere la via per dare al settore stabilità e prospettive;

    anche il settore dell'agricoltura sta registrando un disallineamento tra l'offerta di occupazione, soprattutto di tipo stagionale, e la forza lavoro del Paese, tanto che, secondo i dati del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea), nel 2020 la quota dei lavoratori agricoli stranieri ha rappresentato circa un quinto della forza lavoro complessiva, confermando una tendenza incrementale registratasi nell'ultimo ventennio;

    da questo punto di vista, appare centrale il tema di una migrazione legale a fronte dell'invecchiamento della popolazione, della riduzione della popolazione in età lavorativa e della sostenibilità dei sistemi previdenziali. I nostri territori, le nostre imprese stimolano a costruire progetti di qualificazione professionale promossi dalle stesse aziende italiane, in linea con le esigenze di un moderno mercato del lavoro;

    in tale contesto riveste un'importanza centrale la prosecuzione e l'implementazione della funzionalità e dell'efficacia della rete del lavoro agricolo di qualità, di cui all'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, quale strumento per favorire la buona occupazione nel settore agricolo, per il contrasto dello sfruttamento e la precarietà dei lavoratori, nonché per la difesa delle tante imprese agricole, che applicano regolarmente i contratti nazionali sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, dalla concorrenza sleale di chi viola l'ordinamento e la contrattazione nazionale;

    altrettanto rilevante è la prosecuzione dell'attuazione del Piano triennale di contrasto al caporalato attraverso lo sviluppo di un apposito sistema informativo per lo scambio di dati e informazioni, i fabbisogni di manodopera, sulla base del calendario delle colture, e altri elementi per la pianificazione, gestione e monitoraggio del mercato del lavoro agricolo, quali la qualità e la quantità del lavoro in agricoltura, per la definizione di indicatori sullo sfruttamento del lavoro in agricoltura;

    su tale fenomeno appare utile ricordare l'approfondito lavoro svolto dalle Commissioni XI e XIII della Camera dei deputati, nel corso della XVIII legislatura, con un'apposita indagine conoscitiva, recuperando in particolare le conclusioni e gli indirizzi approvati nella seduta del 12 maggio 2021;

    tra le misure già intraprese va ricordata l'emanazione del decreto del 29 marzo 2022 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per il riparto delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza per la missione 5 – Inclusione e coesione, componente M5C2 – infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore, ambito di intervento 2 – Rigenerazione urbana e housing sociale investimento, investimento 2.2. a Piani urbani integrati, finalizzato al superamento degli insediamenti abusivi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura. Un intervento che potrà avvalersi di uno stanziamento di 200 milioni di euro;

    dopo la pandemia e le relative restrizioni che hanno rallentato la produzione e la movimentazione dei prodotti agricoli, la guerra in Ucraina sta producendo strascichi commerciali ed economici, sia diretti che indiretti, aggravando la situazione del settore agricolo, danneggiato dall'aumento dei costi energetici, dal blocco delle importazioni e da un rialzo generalizzato dei prezzi di mangimi, di colture proteiche e di fertilizzanti. Senza contare la siccità, che da diversi mesi, specie nelle regioni del Nord e in parte del Centro, sta mettendo a dura prova la produzione agricola;

    l'attuale crisi internazionale congiunturale può determinare in un'azienda agricola su dieci l'incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a realizzare un processo produttivo, estromettendola di fatto dal circuito, e almeno un terzo del totale potrebbe chiudere il 2022 con reddito negativo;

    la «condizionalità sociale» ha rappresentato uno degli aspetti più innovativi e qualificanti della riforma della politica agricola comune post 2023, che si dota di una propria «dimensione sociale» che potrà contribuire in futuro a garantire la qualificazione in chiave etica delle modalità di erogazione delle risorse pubbliche di sostegno della politica agricola comune alle aziende agricole. Si è affermato un principio fondamentale, e cioè che le aziende che non rispettano i contratti e la legislazione in materia di condizioni di lavoro non potranno più ricevere gli aiuti comunitari;

    i sindacati hanno formalmente chiesto di introdurre la condizionalità sociale della politica agricola comune a partire dal 1° gennaio 2023 attraverso l'immediata attivazione di un gruppo di lavoro composto delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per la definizione delle procedure e delle modalità di applicazione della condizionalità sociale, con particolare riguardo al campo di applicazione, alle modalità di calcolo e all'entità delle conseguenze amministrative previste, alle modalità di interazione e coordinamento tra gli organismi preposti al controllo dell'applicazione degli obblighi della condizionalità sociale e gli organismi pagatori nazionali e regionali. L'attivazione del suddetto gruppo di lavoro risulta coerente con quanto disposto dall'articolo 14 del regolamento (UE) 2115/2021, che prevede che in merito alla condizionalità sociale gli Stati membri consultino «le pertinenti parti sociali nazionali» per la definizione di quanto previsto nei propri piani strategici della politica agricola comune;

    alla luce di tali processi strategici, pensare che i problemi di carenza di manodopera in tali settori economici possano essere determinati dall'introduzione della misura di contrasto della povertà quale il reddito di cittadinanza, non solo non ha rapporto con la realtà, ma equivale ad avallare un modello di impresa orientata esclusivamente alla contrazione dei costi, che dequalificherebbe l'offerta del nostro Paese e che pregiudicherebbe le prospettive di sviluppo e rafforzamento di tali comparti;

    a tale riguardo appare utile ricordare alcuni dati, quali quelli dell'Osservatorio su reddito e pensione di cittadinanza, aggiornati al 15 marzo 2022, dai quali si evince che i nuclei percettori di almeno una mensilità di reddito o pensione di cittadinanza ammontavano a 1.413.241, con 3.145.407 persone coinvolte e un importo medio erogato a livello nazionale di 564,76 euro. La distribuzione per aree geografiche vede 600.425 beneficiari al Nord, 441.334 al Centro e 2.103.648 nell'area Sud e Isole;

    parimenti, i beneficiari soggetti al Patto per il lavoro equivalgono a meno del 40 per cento del totale dei beneficiari del reddito di cittadinanza. Mentre, secondo l'analisi Anpal, «oltre il 72,6 per cento dei beneficiari ha conseguito al massimo un titolo dell'istruzione secondaria inferiore, mentre un quarto dei beneficiari è in possesso di titolo corrispondente al diploma di scuola secondaria superiore»;

    a conferma dell'inattendibilità di tali teorie, ci sono anche le recenti parole del presidente di Federalberghi di Torino, Fabio Borio, che ha chiarito come la mancanza personale dipenda da un problema di formazione e professionalizzazione dei lavoratori rispetto alle attuali esigenze, facendo tornare i lavoratori a innamorarsi del settore del turismo, e non dal reddito di cittadinanza;

    ovviamente anche le disposizioni del reddito di cittadinanza possono essere oggetto di revisione e miglioramento, dopo quanto già fatto con la legge di bilancio per il 2022. In tale ottica appare opportuno riprendere l'analisi e le proposte emerse, a novembre 2021, dal comitato scientifico, presieduto dalla professoressa Saraceno, sia per quanto concerne la cumulabilità del reddito da lavoro con il trattamento, sia con riferimento alla retribuzione accettabile, rimodulandola in base all'orario di lavoro per tenere conto anche di occupazioni part time, nonché per quanto concerne il concetto di congruità dell'offerta di lavoro;

    per quanto riguarda, in particolare, il settore del turismo non si può non ricordare l'impatto della pandemia sulla composizione della forza lavoro, che ha comportato, per tante posizioni lavorative, una vera e propria destrutturazione del comparto, orientando molti lavoratori verso altre occupazioni e altri settori economici. Così come, da un lato, l'incremento molto significativo del numero delle imprese nei settori del turismo e della ristorazione e, dall'altro, la progressiva riduzione della popolazione giovanile under 35, che negli ultimi 10 anni si è ridimensionata di oltre un milione di unità; un fenomeno che ha riguardato particolarmente le regioni del Mezzogiorno, storico bacino del lavoro stagionale. Dinamiche che stanno interessando anche altri Paesi europei e che evidenziano che un gran numero di donne e uomini, in particolare i più giovani, nel post pandemia hanno cambiato lavoro, abbandonando molte delle occupazioni di cui oggi si lamenta mancata copertura;

    ad incidere su tali tendenze non può non ricordarsi anche l'effetto delle disposizioni che hanno modificato il regime della Naspi che, per quanto concerne i lavoratori stagionali, finiscono per compromettere la continuità di reddito di molti lavoratori per lunghi periodi dell'anno, rendendo meno attrattive tali attività lavorative;

    altresì una riflessione merita il tema della proliferazione, nei settori in questione così come nella generalità dei comparti economici, dei contratti nazionali «pirata», sottoscritti da organizzazioni di comodo e che, pur coprendo pochissimi lavoratori, spesso presentano condizioni contrattuali peggiorative, con importi sotto i minimi dei contratti di riferimento e che producono un danno economico ai dipendenti e penalizzano le aziende sane sul versante del dumping contrattuale;

    allo stesso modo, preoccupa il dato che emerge dall'ultimo rapporto disponibile dell'Ispettorato del lavoro, del 2020, che evidenzia come, sulle circa 9.500 ispezioni effettuate nelle aziende della ristorazione e dei servizi di alloggio, in oltre il 73 per cento dei casi siano emerse irregolarità,

impegna il Governo:

1) a rafforzare, d'intesa con le regioni, i percorsi di formazione per formare profili e competenze da immettere nei settori di cui in premessa, con particolare riguardo per quanto concerne la gestione del programma «Garanzia di occupabilità dei lavoratori» (Gol) e l'aggiornamento dei cataloghi di formazione;

2) a favorire l'attivazione di apposite piattaforme informatiche, coordinando le iniziative già assunte da Anpal e Agea e degli altri attori interessati, in primo luogo i centri per l'impiego, al fine di favorire l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro, anche stagionale;

3) ad adottare specifiche iniziative normative volte a far emergere in detti settori il lavoro irregolare, con benefìci per i lavoratori e per le imprese, nonché per il sostegno della contrattazione collettiva sottoscritta dalle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, anche prevedendo meccanismi di premialità aggiuntiva per le imprese che vi aderiscono;

4) ad adottare iniziative per rivedere la disciplina della indennità mensile di disoccupazione (Naspi) applicabile ai lavoratori stagionali, superando l'attuale meccanismo di calcolo di durata del trattamento, che finisce per lasciare troppi lavoratori senza alcuna forma di sostegno del reddito per lunghi periodi dell'anno;

5) ad adottare iniziative per rivedere la disciplina del reddito di cittadinanza con riferimento ai settori di cui in premessa secondo le indicazioni del comitato scientifico, istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 15 marzo 2021, in particolare per quanto concerne la cumulabilità del reddito da lavoro con il trattamento, il concetto di retribuzione accettabile, rimodulandola in base all'orario di lavoro per tenere conto anche di occupazioni part time, nonché per quanto riguarda la congruità dell'offerta di lavoro;

6) a valutare la possibilità di sperimentare, nelle forme concordate con le parti sociali, l'introduzione del salario minimo nei settori di cui in premessa;

7) al fine di favorire l'avvicinamento dei giovani ai settori di cui in premessa, a promuovere, per quanto di competenza, nell'ambito della definizione delle linee guida condivise in materia di tirocini diversi da quelli curriculari, di cui all'articolo 1, comma 721, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, apposite previsioni che tengano conto delle peculiarità di detti settori, anche alla luce della particolare congiuntura economico-internazionale, nonché l'adozione di specifiche misure di sostegno per le imprese che attivano i tirocini;

8) a proseguire e implementare la funzionalità e l'efficacia della rete del lavoro agricolo di qualità, di cui all'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, quale strumento per favorire la buona occupazione nel settore agricolo, per il contrasto dello sfruttamento e la precarietà dei lavoratori, nonché per la difesa delle tante imprese agricole che applicano regolarmente i contratti nazionali sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative dalla concorrenza sleale del dumping contrattuale;

9) a proseguire nell'attuazione del Piano triennale di contrasto al caporalato attraverso lo sviluppo di un apposito sistema informativo per lo scambio di dati e informazioni, contenente il calendario delle colture, i fabbisogni di manodopera, sulla base del calendario delle colture, e altri elementi per la pianificazione, gestione e monitoraggio del mercato del lavoro agricolo, quali la qualità e la quantità del lavoro in agricoltura, per la definizione di indicatori sullo sfruttamento del lavoro in agricoltura;

10) a dare seguito, con le opportune iniziative, anche di carattere normativo, alle conclusioni e agli indirizzi approvati, nella seduta del 12 maggio 2021, dalle Commissioni XI e XIII della Camera dei deputati, nell'ambito dell'apposita indagine conoscitiva, sul fenomeno del cosiddetto «caporalato» in agricoltura;

11) a rivedere ed aggiornare il «decreto flussi», in particolare per la parte relativa ai lavoratori stagionali, alla luce delle problematiche ricordate in premessa, tenendo conto delle esigenze delle imprese del comparto agricolo e agroalimentare, alla luce delle prossime scadenze del calendario delle colture;

12) a favorire la collaborazione tra le aziende agricole e agroalimentari con gli istituti formativi di settore, al fine di favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro qualificata;

13) al fine di migliorare la trasparenza del mercato del lavoro del settore agricolo e di favorire le imprese che garantiscono lavoro dignitoso in agricoltura, la formazione professionale della manodopera agricola, anche i principi fondamentali e diritti sul lavoro e la condivisione di buone pratiche, a formalizzare l'introduzione della condizionalità sociale della politica agricola comune a partire dal 1° gennaio 2023 nella versione definitiva del Piano strategico nazionale, che sarà trasmesso dal Governo a Bruxelles, delineando, con il contributo delle parti sociali, i processi relativi alla definizione dei vari aspetti applicativi della condizionalità sociale, attraverso specifici tavoli tecnici;

14) a valutare l'opportunità dell'utilizzo della Cisoa nel settore della pesca, nonché ad adottare iniziative per assicurare ai lavoratori agricoli le tutele assistenziali e previdenziali già previste in caso di calamità naturali («trascinamento delle giornate»), estendendole anche ad altri fenomeni distruttivi della produzione e dell'occupazione, quali quelli straordinari che stanno condizionando attualmente il comparto.
(1-00677) «Bonomo, Mura, Incerti, Cenni, Benamati, Viscomi, Avossa, Carla Cantone, Cappellani, Critelli, D'Elia, Frailis, Gribaudo, Lacarra, Lepri, Gavino Manca, Nardi, Serracchiani, Soverini, Zardini».

(27 giugno 2022)

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser