TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 723 di Lunedì 11 luglio 2022

 
.

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE A SOSTEGNO DELLE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI E DELLE CASE DI RIPOSO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'AUMENTO DEI COSTI DELL'ENERGIA E ALLA CARENZA DI PERSONALE INFERMIERISTICO

   La Camera,

   premesso che:

    la crisi internazionale in atto in Ucraina ha determinato, tra le altre drammatiche conseguenze, un'impennata senza precedenti dei costi dell'energia e delle materie prime;

    tra i settori maggiormente colpiti dai rincari energetici vi è, certamente, quello dell'assistenza alle persone anziane e con disabilità. Case di riposo, residenze sanitarie assistenziali, hospice e altre analoghe strutture a carattere residenziale hanno subito un aumento insostenibile delle bollette di luce e gas, al culmine peraltro di un biennio difficilissimo, dovuto alla pandemia da COVID-19, abbattutasi in maniera violentissima su queste realtà;

    i gestori delle strutture di tutta Italia hanno lanciato un appello alle istituzioni, ripreso anche da numerosi articoli di stampa, parlando, conti alla mano, di situazione drammatica e rischio di default;

    in assenza di adeguati sostegni, le strutture residenziali che ospitano e prestano assistenza in favore di anziani, persone con disabilità e soggetti fragili non potranno far altro che ricorrere, loro malgrado, all'aumento delle rette, con gravi ripercussioni sociali ed economiche per gli ospiti delle strutture stesse, per i relativi nuclei familiari e per le amministrazioni comunali, tenute a compartecipare, in base alla normativa vigente, al pagamento della quota sociale delle rette di ricovero per le persone non abbienti;

    secondo le associazioni Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) e Arsac (Associazioni delle residenze socio-sanitarie della provincia di Cremona), nelle strutture della regione Lombardia, «per pareggiare il solo incremento dei costi dell'energia elettrica (...) le rette di degenza dovranno aumentare tra i 2 e i 4 euro al giorno» e questo nonostante l'incremento del 3,7 per cento della quota sanitaria delle tariffe che la regione Lombardia ha già garantito alle strutture stesse;

    sulla base delle attuali previsioni – fanno notare le medesime associazioni – «molte strutture avranno grosse difficoltà a redigere i bilanci preventivi del 2022, tra l'altro in una situazione economica aziendale che non ha ancora del tutto recuperato, nel 2021, i grossi deficit generati dalla pandemia»;

    analoghe criticità sono state rappresentate, a più riprese, dall'associazione Uripa della regione Veneto (Unione regionale istituti per anziani della regione veneta), nel perseguimento dei propri scopi statutari di coordinamento e rappresentanza delle strutture associate presso le autorità centrali e regionali;

    la situazione è purtroppo destinata ad aggravarsi in questi mesi, complice la stagione estiva, durante la quale ai consumi ordinari legati, ad esempio, all'illuminazione e all'utilizzo delle apparecchiature elettromedicali, si aggiungono quelli per l'attivazione a pieno regime degli impianti di condizionamento;

    inoltre, per le residenze sanitarie assistenziali, le case di riposo e le altre strutture a carattere residenziale gestite da enti pubblici e privati non commerciali, il prezzo finale della fornitura di energia elettrica risulta gonfiato in maniera rilevante dall'applicazione dell'aliquota Iva del 22 per cento, superiore di oltre il doppio rispetto a quella del 10 per cento che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, dovrebbe invece applicarsi a tali strutture ai sensi della normativa vigente;

    la tabella A, parte III, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, infatti, menziona espressamente, al numero 103, tra i «beni e servizi soggetti all'aliquota del 10 per cento», la fornitura di «energia elettrica per uso domestico»;

    l'amministrazione finanziaria, interpellata sul punto, aveva giustamente osservato che la nozione di «uso domestico» di cui alla sopra citata disposizione non riguarda solamente le ipotesi di impiego dell'energia all'interno delle case e delle abitazioni, ma anche gli impieghi diretti a soddisfare i fabbisogni di ambienti diversi da queste, purché caratterizzati dal «requisito della residenzialità», come caserme, scuole, «case di riposo» e altre strutture a carattere collettivo (si confronti la circolare del Ministero delle finanze n. 82/E del 7 aprile 1999);

    tale interpretazione, che avrebbe giustificato l'applicazione dell'aliquota ridotta sui consumi delle strutture di cui si discute, non è stata tuttavia seguita fino in fondo dall'Agenzia delle entrate. Con la risoluzione n. 8/E del 19 gennaio 2017, infatti, quest'ultima è pervenuta ad una conclusione opposta, affermando che le case di riposo e le residenze sanitarie assistenziali, ancorché gestite da enti non commerciali e ancorché in possesso del requisito della residenzialità, «pongono in essere un'attività (...) rilevante ai fini dell'Iva», alla quale non potrebbe riferirsi – secondo la risoluzione – la nozione di «uso domestico»;

    per effetto di quanto sopra, gli anziani ospiti di residenze sanitarie assistenziali, case di riposo e strutture analoghe finiscono per pagare nella retta, oltre al rincaro dell'energia, anche l'annessa aliquota Iva del 22 per cento, più che doppia rispetto a quella del 10 per cento che invece avrebbero corrisposto qualora fossero stati in grado di vivere autonomamente nella propria abitazione;

    all'aumento incontrollato dei costi energetici, si aggiunge, inoltre, il nodo relativo al personale, in particolare quello infermieristico, del quale si registra una gravissima carenza sul territorio nazionale che sta mettendo a serio rischio l'operatività delle strutture in esame;

    secondo il rapporto Ocse Health at a glance 2020, l'Italia – secondo Paese più longevo al mondo – ha un rapporto di appena 5,7 infermieri ogni 1.000 abitanti, inferiore alla media Ocse di 8,2 infermieri per 1.000 abitanti e quasi dimezzato rispetto alla media degli Stati del Nord Europa, tutti sopra i 10 infermieri ogni 1.000 abitanti. Analoghe criticità vengono ravvisate e confermate anche nel rapporto Ocse Health at a glance 2021, che pone, peraltro, l'Italia al quart'ultimo posto tra i Paesi Ocse per numero di posti a disposizione degli infermieri negli atenei;

    la carenza di personale infermieristico è stata denunciata, a più riprese, anche dalla Fnopi (Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche), secondo cui, ad oggi, nel nostro Paese, mancano all'appello circa 63.000 infermieri; un vuoto enorme che nei prossimi anni è destinato, peraltro, ad aggravarsi per effetto dei pensionamenti e del maggiore fabbisogno di personale che inevitabilmente si renderà necessario per attuare la riforma dell'assistenza territoriale di cui al cosiddetto «Dm71»;

    il susseguirsi degli eventi drammatici che tutti abbiamo vissuto nelle fasi più dure della pandemia da COVID-19 ha colpito duramente le residenze sanitarie assistenziali e le strutture residenziali per anziani, sulla cui situazione si è spesso «pontificato» senza conoscere la realtà di fatto sottostante;

    per tutto il 2020, nonostante gli accorati appelli delle associazioni, delle famiglie, delle parti sociali e di autorevoli esponenti della società civile, il precedente Governo non ha previsto misure a sostegno delle strutture di cui si discute, abbandonate di fatto a loro stesse;

    la nuova situazione di crisi che investe oggi le residenze sanitarie assistenziali, le case di riposo e le altre analoghe strutture a carattere residenziale deve, quindi, essere gestita in maniera differente, nella consapevolezza del carattere essenziale delle prestazioni erogate da queste realtà a beneficio dei soggetti fragili e non autosufficienti;

    nella stessa ottica bisogna ricomprendere e coinvolgere attivamente le strutture in esame nell'ambito delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, in armonia con quanto rilevato – tra l'altro – nell'indagine pubblicata dall'associazione Italialongeva per l'anno 2020, dal titolo: «Stress-test della long-term care: riflettori accesi su malattie croniche e fragilità»;

    l'indagine sopra citata, nella prefazione a cura dell'Istituto superiore di sanità, redatta dal professor Graziano Onder, riconosce infatti che: «è necessario migliorare il governo e gli standard assistenziali nelle strutture residenziali da realizzarsi attraverso una riorganizzazione che passi necessariamente dal censimento delle strutture stesse, dal rafforzamento del sistema di sorveglianza e monitoraggio costante e dalla ridefinizione di nuovi standard organizzativi (per esempio, presenza di un responsabile medico per struttura, adeguata formazione del personale, interconnessione con l'intero sistema dei servizi sanitari), strutturali (ad esempio, miglioramento della capacità ricettiva delle strutture) e tecnologici. Il Recovery fund offre una possibilità concreta per raggiungere un tale cambiamento in quanto uno specifico progetto in esso contenuto è focalizzato sulla riorganizzazione delle strutture residenziali»,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di sostegno economico rivolte specificamente alle case di riposo, alle residenze sanitarie assistenziali e alle altre analoghe strutture a carattere residenziale gestite da enti pubblici ed enti privati non commerciali, al fine di mitigare l'impatto degli eccezionali rincari del settore energetico e scongiurare gli aumenti delle rette;

2) ad adottare iniziative per garantire l'applicazione dell'aliquota Iva del 10 per cento nei contratti di fornitura di energia elettrica stipulati dalle strutture sopra citate, facendo ricadere detti contratti nel perimetro applicativo della previsione di cui al n. 103) della tabella A, parte III, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 («energia elettrica per uso domestico»);

3) ad adottare iniziative per arginare la grave carenza di infermieri, personale delle professioni sanitarie e operatori sociosanitari che si riscontra nel territorio nazionale, prevedendo in particolare:

  a) il superamento, a regime, del vincolo di esclusività che lega l'infermiere e il personale delle professioni sanitarie di cui all'articolo 1 della legge 1° febbraio 2006, n. 43, nel rapporto di lavoro con il servizio sanitario pubblico;

  b) la valorizzazione della professione infermieristica nelle strutture sociosanitarie territoriali;

  c) un'adeguata programmazione degli accessi ai corsi di laurea e un allargamento delle maglie del numero chiuso, almeno in via transitoria e compatibilmente con la capacità formativa dei singoli atenei, anche favorendo l'accreditamento delle strutture sociosanitarie quali sedi di tirocinio dei corsi di laurea in infermieristica;

4) a promuovere, nell'ambito dell'attuazione delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, il potenziamento degli standard organizzativi, strutturali e tecnologici delle residenze sanitarie assistenziali e delle strutture analoghe, destinando un'adeguata quota di risorse a tale obiettivo;

5) ad assicurare la rappresentanza delle case di riposo, delle residenze sanitarie assistenziali, del mondo del sociale e del terzo settore nell'ambito delle commissioni e dei gruppi di lavoro che, a livello ministeriale e interministeriale, stanno trattando le tematiche legate all'invecchiamento della popolazione.
(1-00681) «Comaroli, Molinari, Paolin, Panizzut, Boldi, De Martini, Foscolo, Lazzarini, Patelli, Sutto, Tiramani, Andreuzza, Badole, Basini, Bazzaro, Bellachioma, Belotti, Benvenuto, Bianchi, Billi, Binelli, Bisa, Bitonci, Boniardi, Bordonali, Claudio Borghi, Bubisutti, Caffaratto, Cantalamessa, Caparvi, Carrara, Castiello, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cestari, Coin, Colla, Colmellere, Comencini, Covolo, Andrea Crippa, Dara, De Angelis, D'Eramo, Di Muro, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Donina, Durigon, Fantuz, Ferrari, Fiorini, Fogliani, Lorenzo Fontana, Formentini, Frassini, Furgiuele, Galli, Gastaldi, Gerardi, Germanà, Giaccone, Giacometti, Giglio Vigna, Gobbato, Golinelli, Grimoldi, Gusmeroli, Iezzi, Invernizzi, Legnaioli, Liuni, Lolini, Eva Lorenzoni, Loss, Lucchini, Lucentini, Maccanti, Maggioni, Manzato, Marchetti, Mariani, Maturi, Micheli, Minardo, Morrone, Moschioni, Murelli, Alessandro Pagano, Paolini, Parolo, Patassini, Paternoster, Pettazzi, Piastra, Picchi, Piccolo, Potenti, Pretto, Racchella, Raffaelli, Ravetto, Ribolla, Rixi, Romanò, Saltamartini, Scoma, Snider, Stefani, Tarantino, Tateo, Toccalini, Tomasi, Tombolato, Tonelli, Turri, Valbusa, Vallotto, Viviani, Raffaele Volpi, Zanella, Zennaro, Ziello, Zoffili, Zordan».

(28 giugno 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL CONTRASTO DELLA SICCITÀ E AD UN EFFICIENTE UTILIZZO DELLE RISORSE IDRICHE

   La Camera,

   premesso che:

    il 17 giugno 2022 è stata celebrata la giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità; i dati del rapporto delle Nazioni Unite sulla Convenzione per combattere la desertificazione riportano che nel 2022 più di 2,3 miliardi di persone stanno affrontando i problemi legati alla grave mancanza di acqua, quasi 160 milioni di bambini sono esposti a siccità grave e prolungata e, sempre secondo l'Onu, a meno che non si intervenga prontamente, si stima che entro il 2030 circa 700 milioni di persone corrono il rischio di essere sfollate a causa della siccità e conseguente desertificazione;

    come noto e rilevato da tutte le categorie di settore e dalle istituzioni competenti per materia, i cambiamenti climatici stanno avendo un pesante impatto sulla disponibilità di risorse idriche anche nel nostro Paese;

    la scarsità di precipitazioni piovose e nevose dello scorso inverno e un'estate che si preannuncia molto calda, con temperature già a maggio 2022 ben al di sopra della media, destano preoccupazione e preannunciano una situazione particolarmente critica per diversi bacini idrici, dal Nord al Sud Italia, con un forte impatto sulle attività produttive agricole e non solo;

    in Lombardia, ad esempio, i dati sul riempimento dei laghi mostrano al 1° maggio 2022 un confronto con la media 2006-2020 di analogo periodo pesantemente negativo (-43,1 per cento) e, riguardo più in generale lo stato delle riserve idriche, il dato peggiore rimane quello del manto nevoso (snow water equivalent – swe) che, alla stessa data, registra –63,7 per cento rispetto alla media. Complessivamente, il totale della riserva idrica (laghi + invasi + snow water equivalent – swe) si attesta al 55 per cento sotto la media del periodo di riferimento. Rispetto, quindi, ai quasi 3 miliardi di metri cubi di acqua solitamente accumulati in questa fase dell'anno, il dato attuale è di soli 1,3 miliardi (dati Arpa Lombardia);

    la Società meteorologica italiana (Nimbus web) ha rilevato che nel territorio piemontese è stato registrato il secondo periodo – riferito ai mesi dicembre-aprile – più secco della serie iniziata a partire dal 1802, con 37 millimetri di piogge (dati di Arpa Piemonte), pari a solo al 15 per cento di quanto avvenuto nella media, sostanzialmente eguagliando il record negativo del biennio 1843-44, in cui, nello stesso periodo, si registrarono 36,4 millimetri di piogge cadute. La situazione è resa oggi ancora più problematica dalle temperature medie di 2,5 gradi più alte rispetto a quelle di metà Ottocento;

    si rileva poi che, oltre ai periodi di deficit pluviometrici estremi, come l'attuale, che impoveriscono il suolo e più in generale tutto il territorio, con un forte rischio legato anche al fenomeno degli incendi soprattutto in estate, per effetto dei cambiamenti climatici si assiste anche a fenomeni di segno diametralmente opposto, come lo scatenarsi di violenti nubifragi che comportano erosione del suolo, rischio di frane, mareggiate intense, trombe d'aria e sbalzi termici, che vanno ad aggravare il già precario equilibrio del territorio, compromettendo lo ulteriormente e provocando frequenti e ingenti danni al sistema produttivo;

    oltre che per gli aspetti quantitativi legati all'approvvigionamento, il fenomeno della siccità comporta un decadimento della qualità della risorsa idrica e ciò rappresenta una grave criticità soprattutto per il settore agricolo. Si tratta del cosiddetto fenomeno dell'intrusione del cuneo salino, per il quale la progressiva diffusione di acqua salata nelle acque di falda determina un inquinamento dei pozzi con cui vengono irrigate le colture, che risultano così irrimediabilmente danneggiate;

    la Coldiretti ha inoltre rilevato che ai problemi determinati della scarsità di risorse idriche si sono aggiunti, anche a causa della guerra in Ucraina, altri fattori di preoccupazione per il settore, come gli incrementi fino al 170 per cento del prezzo dei concimi e fino al 129 per cento di quello del gasolio;

    a seguito di altre annate particolarmente critiche, come quelle del 2012, del 2014 e del 2017, con la risoluzione n. 7-01287 sono state segnalate le possibili cause della crisi e prospettate possibili soluzioni, alcune delle quali in seguito effettivamente messe in atto. A seguito della presentazione di tale risoluzione è stata svolta un'indagine conoscitiva sull'emergenza idrica e sulle misure necessarie per affrontarla;

    a seguito dell'indagine conoscitiva è proseguito il lavoro, tuttora fondamentale e che andrebbe potenziato, degli osservatori permanenti sugli utilizzi idrici, ed è stato istituito il Piano nazionale di interventi per il settore idrico di cui ai commi 516-525 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205 del 2017), inizialmente suddiviso in piano invasi e piano acquedotti. Anche tra le milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono state inserite misure importanti per affrontare gli effetti di cambiamenti climatici sulle risorse idriche. Si fa riferimento alla missione M2C4 che prevede «Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell'approvvigionamento idrico» e, in particolare, all'investimento 1.1 «volto ad azioni di monitoraggio e prevenzione dei rischi naturali e indotti sul territorio italiano, sfruttando le conoscenze e le tecnologie esistenti e all'avanguardia, al fine di garantire l'elaborazione e l'attuazione di piani di prevenzione e resilienza adeguati al territorio e alle infrastrutture, a difesa e protezione delle risorse nazionali esistenti e future»;

    con l'ordinanza n. 37 del 2022, a firma del presidente della regione Veneto, è stato dichiarato lo stato di crisi idrica nel territorio regionale. L'ordinanza, valida dal 3 maggio 2022 e con riserva di modifica dei contenuti in relazione all'andamento meteorologico, individua le misure necessarie a fronteggiare la situazione di deficit idrico;

    vanno considerati gli effetti dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e sulla capacità di ricarica delle falde, con la conseguente necessità di monitorare costantemente il bilancio idrologico; inoltre, anche per quanto riguarda le concessioni per la ricerca e la coltivazione delle acque minerali, è previsto il rispetto delle prescrizioni di tutela ambientale, così come previste dagli articoli 56, 95, 97 e 121 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152;

    l'impronta idrica della produzione zootecnica in Italia ammonta a circa 70 miliardi di metri cubi. Le infrazioni per la presenza di nitrati in falda permangono in molte zone d'Italia e gli indici di eutrofizzazione peggiorano lo stato di molti corpi idrici, con la conseguenza che la diminuzione dell'acqua in falda non può che aggravare l'effetto dei nitrati e di altri inquinanti chimici nelle acque;

    secondo il rapporto del Ministero dell'economia e delle finanze sulle acque minerali, in annate complesse, come quelle tra il 2014 e il 2017, i produttori di acque minerali, nei territori soggetti a crisi idrica, hanno estratto rilevanti quantitativi di acqua (2 milioni e mezzo di metri cubi di acqua in Veneto e 3 milioni di metri cubi in Piemonte), senza che siano state previste limitazioni nei periodi di più grave carenza idrica,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative finalizzate ad aumentare gli investimenti nella ricerca sulle tecnologie volte a migliorare lo stoccaggio e il risparmio idrico in infrastrutture per l'irrigazione sotterranee e di precisione, in tecniche di irrigazione, attraverso condotte che consentano di regolare le portate, e in nuovi bacini di stoccaggio nelle cave dismesse;

2) a valutare la possibilità di adottare iniziative per prevedere incentivi all'uso di software di consumo irriguo che indichino come procedere all'irrigazione, consentendo contestualmente di ridurre l'inutile spreco delle risorse idriche, tenendo conto delle precipitazioni e dei livelli di falda;

3) a fornire elementi in merito allo stato delle attività di rinaturazione dei corsi d'acqua previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;

4) a valutare l'introduzione, mediante apposite iniziative normative, dell'obbligo di pubblicazione della concentrazione dei nitrati nelle acque potabili erogate;

5) a valutare la possibilità di adottare iniziative per prevedere una riduzione di prelievi e captazioni da parte dei concessionari delle acque minerali nelle aree in cui la crisi idrica si presenti critica;

6) a valutare la possibilità di predisporre idonee iniziative normative, in raccordo con gli enti territoriali competenti, finalizzate alla gestione della crisi idrica da parte delle regioni in una fase precedente la dichiarazione dello stato di emergenza, mediante ordinanze che abbiano la finalità di ridurre o sospendere i prelievi idrici e di ottimizzare l'invasamento di acqua;

7) ad assumere iniziative finalizzate alla semplificazione delle procedure necessarie all'attuazione degli interventi previsti e finanziati dalla missione M2C4 – «Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell'approvvigionamento idrico», nonché di quelli previsti dal primo stralcio del piano nazionale di interventi nel settore idrico e del secondo stralcio per cui sono già stati stanziati 2 miliardi di euro tra il 2018 e il 2033;

8) a valutare la possibilità di adottare iniziative per istituire uno strumento finanziario complementare a quelli previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, per la definizione di un piano per la realizzazione di piccoli invasi per la raccolta di acqua piovana, diffusi sul territorio, da destinare sia all'uso irriguo che al servizio antincendio;

9) a promuovere campagne di sensibilizzazione volte a condividere in modo solidaristico e secondo principi di proporzionalità la necessità di riduzione dei prelievi da aste fluviali e bacini da parte di tutti i soggetti derivatori;

10) a promuovere l'attivazione di misure e progetti con la finalità di ampliare la capacità di depurazione e riutilizzo delle acque reflue;

11) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per potenziare, nell'ambito dei piani di bacino dei distretti idrografici, gli strumenti e le regole di esercizio volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico, garantendo un'equa riparazione della risorsa tra territori regionali contigui, con particolare attenzione per le deficienze idriche connesse ai periodi di siccità e scarsità della risorsa;

12) a promuovere il potenziamento del Comitato di coordinamento nazionale degli osservatori e a valutare la possibilità di adottare iniziative per istituire un'Agenzia permanente dell'acqua che si occupi di coordinare tutte le politiche e gli investimenti relativi alla risorsa, coinvolgendo al suo interno le direzioni competenti dei Ministeri, in un'ottica di efficacia ed efficienza dell'utilizzo delle risorse economiche già stanziate o da stanziare e di una migliore programmazione e realizzazione degli investimenti, in linea, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza;

13) a valutare l'opportunità di rafforzare le misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, mettendo a disposizione ulteriori fondi sulla base delle necessità che sono state evidenziate.
(1-00675) «Daga, Alaimo, Amitrano, Caso, Deiana, D'Ippolito, Fantinati, Faro, Gallinella, Giarrizzo, Giordano, Grimaldi, Iorio, Licatini, Lombardo, Maraia, Martinciglio, Serritella, Terzoni, Vacca, Valente».

(22 giugno 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    dall'inizio del 2022 e già dal luglio 2021 il fenomeno della siccità sta investendo tutto il nostro Paese, in particolare (studi e dati dell'Osservatorio siccità dell'Istituto di bioeconomia del Cnr) questa si manifesta come estrema nelle regioni del Nordovest, Piemonte e Lombardia, ma anche su parte della costa tirrenica: Lazio e una parte della Campania. Nell'arco di dodici mesi sono la Pianura Padana e il Delta del Po a soffrirne di più insieme a Veneto e Friuli Venezia Giulia. Il dato sulle precipitazioni di giugno 2022 conferma la gravità della situazione. La primavera, che si sperava potesse ridurre il deficit accumulato, ha invece confermato la previsione negativa, risultando anch'essa povera di piogge, con valori che la pongono al terzo posto dietro solo al 2003 e al 2017;

    tutti gli indici presi in considerazione dall'Osservatorio siccità dell'Istituto di bioeconomia del Cnr sono univoci nell'indicare una situazione critica. L'indice Spi – Standard precipitation index (indicatore di surplus o deficit pluviometrico estesamente utilizzato a livello internazionale) nel breve periodo, ovvero nei tre mesi primaverili marzo-maggio 2022, mostra un deficit abbastanza diffuso nelle regioni settentrionali e su Lazio, Abruzzo, Puglia e Calabria. La situazione peggiore risulta essere quella sul medio e lungo periodo, con buona parte del Nord e diverse aree del Centro-Sud che risultano essere in siccità da moderata a estrema;

    l'indice Esi (Evaporative stress index), che quantifica anomalie temporali standardizzate del rapporto fra evapotraspirazione reale e potenziale, indica nel mese di maggio 2022 forti condizioni di stress nella zona occidentale della Val Padana e dal grossetano all'Umbria meridionale, fino all'alto Lazio. Zone con anomalie negative di evapotraspirazione sono poi estese al resto della Pianura Padana, del Centro Italia, Sardegna centro-occidentale e regioni meridionali Puglia, Basilicata e Calabria. Tali condizioni si estendono ulteriormente in quasi tutto il Centro-Nord se si considerano gli ultimi 3 mesi (dal 6 marzo al 28 maggio 2022). Tali anomalie negative stanno ad indicare un forte disseccamento del suolo, dovuto sia a temperature e vento elevati che ad assenza di piogge che non hanno compensato il tasso evapotraspirativo;

    anche l'indice Tci (Temperature condition index) relativo alla parte finale di aprile 2022 e prima settimana di maggio 2022 evidenzia valori superiori rispetto alla serie storica di riferimento ancora concentrate fra Piemonte e Lombardia occidentale, Lazio e regioni meridionali, eccetto Molise, e buona parte della Campania. Nella seconda parte del mese, invece, è evidente l'ondata di caldo che ha investito praticamente l'intera penisola e, in particolare, il Centro-Nord e la Puglia meridionale;

    la siccità di questi mesi si conferma, quindi, essere una siccità di tipo idrologico, dove la scarsità di innevamento invernale e di precipitazioni degli ultimi sei mesi sta intaccando le riserve idriche superficiali principalmente nel Nord Italia. Dai dati Arpa relativi al bacino padano emerge che, fra manto nevoso, invasi e laghi, nel febbraio 2015 si stimavano 4 miliardi di metri cubi di acqua, 2,6 miliardi nel 2018, 1,5 miliardi nel febbraio 2022;

    nel bacino padano è in atto una progressiva desertificazione. Dalle foto satellitari messe a confronto nell'arco dei decenni emerge con evidenza l'aumento della superficie non coperta da vegetazione nelle aree della pianura del Po;

    dalla fine del 2021 al marzo 2022 sono stati 110 i giorni consecutivi senza pioggia. Le precipitazioni a Torino da dicembre 2021 ad aprile 2022 sono state di 37 millimetri, pari al 15 per cento della media degli ultimi anni;

    le portate del grande fiume, nel marzo 2022, hanno raggiunto i valori minimi dal 1972: a Pontelagoscuro il dato è di 603 metri cubi al secondo, con un deficit complessivo di marzo 2022 pari a –55 per cento. In Lombardia al 15 aprile 2022 risultava una carenza del 50 per cento del volume idrico (451 milioni di metri cubi) rispetto ai 5 anni precedenti;

    la tendenza è che da qui alla fine dell'estate 2022 le temperature saranno abbastanza superiori alla media; tutti i modelli concordano che potrebbe essere un'estate più secca del normale con le temperature che andranno ad incidere su territori in cui le piogge sono state molto scarse negli ultimi sei-dodici mesi;

    da quanto riportato emerge che la popolazione esposta al rischio siccità severa/estrema risulta oscillare fra il 2,3 per cento sul breve periodo fino ad arrivare al 30,6 per cento sul medio periodo (dati dell'Osservatorio siccità dell'Istituto di bioeconomia del Cnr);

    oltre all'aspetto quantitativo va considerato, sotto il profilo qualitativo, che le infrazioni per i nitrati permangono in molte zone d'Italia e gli indici di eutrofizzazione sono peggiorativi in molti corpi idrici, con un raddoppio delle falde eutrofiche nel periodo 2015-2019 rispetto al 2012-2015, come da rapporto Arpa Lombardia;

    in Emilia-Romagna si osserva un progressivo peggioramento del livello dei nitrati nelle falde, con 20 stazioni su 37 superiori a 50 milligrammi al litro nel 2015, in particolare nelle zone subappenniniche. Lo stesso fenomeno è riscontrato dal 2014 nella bassa bresciana;

    fonti di Greenpeace e Wwf mostrano che la zootecnia assorbe circa il 50 per cento delle risorse idriche nazionali e in Pianura Padana si trova circa il 60 per cento dei capi di allevamento nazionali. L'impronta idrica della produzione in Italia ammonta a circa 70 miliardi di metri cubi;

    secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 152 del 2006) tutte le derivazioni superficiali di acqua pubblica nei corsi d'acqua naturali sono soggette all'obbligo del mantenimento in alveo di una portata minima d'acqua, definita «deflusso minimo vitale» (dmv) che è stato introdotto per garantire una portata istantanea minima, a valle delle opere di derivazione (e/o captazione), in modo da salvaguardare le caratteristiche dei corpi idrici. Il concetto di deflusso minimo vitale (dmv) è stato poi integrato da quello di deflusso ecologico (de) che ne rappresenta un'evoluzione: con esso si passa dal garantire una portata istantanea minima al garantire un regime idrologico per il raggiungimento degli obiettivi ambientali indicati dalla direttiva comunitaria quadro in materia di acque n. 2000/60/CE. L'attuazione del deflusso ecologico avviene principalmente attraverso l'applicazione di «fattori correttivi» al deflusso minimo vitale (dmv), che costituiscono la «componente ambientale» del deflusso ecologico (de);

    la direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque – Dqa), recepita a livello nazionale dal decreto legislativo n. 152 del 2006, istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque perseguendo gli obiettivi di prevenire il deterioramento qualitativo e quantitativo della risorsa, di migliorare lo stato delle acque e assicurarne un utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili, nonché di contribuire a mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità;

    il piano di gestione del distretto idrografico è lo strumento operativo previsto dalla citata direttiva, per attuare una politica coerente e sostenibile della tutela delle acque attraverso un approccio integrato dei diversi aspetti gestionali ed ecologici alla scala di distretto idrografico. Nell'ambito degli strumenti del piano di gestione sopra citato è stata introdotta l'istituzione degli osservatori per la gestione delle risorse idriche. Gli osservatori rappresentano uno strumento permanente di condivisione delle conoscenze e di dialogo tra enti istituzionali e portatori di interesse ed hanno tra le loro finalità principali quelle di: favorire la raccolta sistematica ed unitaria delle informazioni relative agli scenari climatici ed idrologici e al monitoraggio in tempo reale delle disponibilità e dei consumi idrici, proporre linee strategiche di impiego stagionale delle risorse idriche del distretto, definire gli strumenti tecnici di supporto alla pianificazione del bilancio idrico a scala di bacino e di modalità di reporting idrologico, ambientale ed economico da effettuarsi al termine di ogni anno idrologico,

impegna il Governo:

1) a valutare l'adozione di iniziative per disciplinare con apposite disposizioni normative gli «osservatori permanenti sugli utilizzi idrici» nei distretti idrografici presso le autorità di bacino distrettuali ad oggi affidati a protocolli d'intesa e pertanto costituiti solo come strutture operative volontarie e di tipo sussidiario, a supporto della gestione delle risorse idriche nel distretto idrografico;

2) ad adottare iniziative per prevedere la creazione di un catasto a scala distrettuale, interoperabile con i catasti regionali, delle concessioni delle utilizzazioni delle acque pubbliche, comprensivo dell'indicazione dei punti di prelievo dell'acqua dai corpi idrici, dei punti di restituzione dell'acqua a valle dell'utilizzo, dei valori di portata concessi, del periodo di prelievo, delle tipologia di uso, della scadenza dei titoli, oltre a provvedere all'acquisizione, anche in tempo reale, e all'archiviazione delle misurazioni dei prelievi e delle restituzioni, affinché sia consentito di conoscere la ripartizione idrica tra i diversi usi e di assumere le decisioni per la gestione dell'eventuale emergenza da parte degli organi della Protezione civile e delle altre autorità competenti coinvolte;

3) ad adottare iniziative volte a prevedere una ricognizione puntuale degli scopi delle principali captazioni idriche, anche in vista di piani di riduzione differenziata delle captazioni in caso di emergenza idrica quantitativa e qualitativa in funzione dell'utilizzo primario;

4) a monitorare il completamento delle sperimentazioni sul deflusso ecologico, consentendo l'aggiornamento dei deflussi ecologici a valle delle derivazioni nel rispetto degli obiettivi ambientali fissati dal piano di gestione e di quanto disposto dagli strumenti normativi e attuativi vigenti a livello europeo, nazionale e regionale;

5) ad adottare iniziative volte a rendere pubblici i dati relativi alla concentrazione dei nitrati nelle acque potabili erogate, al fine di consentire un costante monitoraggio della qualità delle acque.
(1-00679) «Federico, Di Lauro, Gallo, Micillo, Ricciardi, Salafia, Scerra, Sportiello, Traversi, Tuzi, Varrica, Zolezzi».

(28 giugno 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'acqua è una risorsa fondamentale per la vita umana, animale e vegetale. La reperibilità e l'uso sono tra i principali problemi da affrontare e risolvere, perché i cambiamenti climatici in atto sono causa diretta dell'aumento dei periodi siccitosi, mentre crescono le esigenze idriche sia dei singoli individui che delle attività produttive, siano esse agricole o industriali;

    naturalmente, il settore agricolo è quello con la maggior necessità d'uso d'acqua, pari al 60 per cento degli impieghi, poiché l'85 per cento della produzione agroalimentare deriva da colture irrigue. Segue il settore energetico e industriale con il 25 per cento, mentre per gli usi civili la richiesta è pari al 15 per cento. Il dato più preoccupante riguarda le eccessive perdite di acqua a causa della fatiscenza delle reti di distribuzione. Gli ultimi dati Istat disponibili, pubblicati nel 2019 e relativi al 2015, evidenziano una perdita pari a circa il 42 per cento della risorsa a livello nazionale, corrispondente e 3,5 miliardi di metri cubi di acqua sprecata e dispersa a causa delle cattive condizioni dell'infrastruttura idrica, ovvero tubi vecchi e rotti. Il fenomeno comporta il conseguente sfruttamento, ulteriore ed eccessivo, delle falde acquifere e dei corsi d'acqua, necessario per compensare le risorse perdute nel trasporto. Così facendo si modifica negativamente, ed in alcuni casi permanentemente, il contesto naturale. A ciò si deve aggiungere il costo delle attività ulteriori di raccolta in invasi, captazione di acque sorgive o fluviali ed estrazione di acque sotterranee necessarie per soddisfare le richieste e compensare le perdite durante la distribuzione. A causa della fatiscenza delle reti, la sottrazione di acque all'utilizzazione finale rappresenta un danno non solo ambientale, ma anche una perdita economica rilevante per il sistema Paese;

    il volume di acqua complessivamente prelevato per uso potabile sul territorio italiano da oltre 1.800 enti gestori di fonti di approvvigionamento è pari a 9,49 miliardi di metri cubi. Il confronto internazionale del volume pro capite di acqua annualmente prelevata per uso potabile (Freshwater abstraction for public water supply 2018) da corpi idrici superficiali o sotterranei nei Paesi dell'Unione europea mostra che l'Italia, con 155 metri cubi per abitante, è seconda solo alla Grecia, che ha un consumo pressoché analogo, pari a 157 metri cubi, collocandosi tra i Paesi col prelievo maggiore. Si consideri che l'acqua si preleva, soprattutto, dal sottosuolo. L'84,8 per cento del totale arriva da sorgenti e pozzi. In Spagna e in Grecia, due Paesi mediterranei con condizioni climatiche simili a quelle presenti in Italia, l'incidenza dei prelievi da acque sotterranee è più contenuta, rispettivamente pari al 33,5 e al 44,5 per cento. Appare evidente che l'adozione di politiche in grado di evitare un futuro connotato da drammatiche scarsità di acqua, salvaguardando al tempo stesso le falde acquifere, rappresenta un obiettivo strategico da perseguire al più presto;

    per l'uso industriale non esistono censimenti diretti dei volumi idrici utilizzati, dunque i dati forniti da Istat si basano sulla consistenza della produzione manifatturiera, stimando l'impiego totale di acqua nel settore industriale in circa 3,8 miliardi di metri cubi;

    se l'acqua è vitale in ogni settore delle attività umane, lo è per antonomasia in quello agricolo. Gli usi rilevanti sono destinati all'irrigazione e alla zootecnia. Naturalmente, l'irrigazione è particolarmente necessaria nei territori in cui precipitazioni e umidità del suolo non sono sufficienti a garantire il fabbisogno idrico delle colture. Una narrazione imprecisa e partigiana imputa al settore agricolo un eccesso di consumo di acqua che non ha riscontri nei dati oggettivi. In realtà, negli ultimi anni il settore agricolo ha ridotto il consumo idrico di quasi il 40 per cento, grazie a modelli sostenibili di gestione come l'irrigazione di precisione. Come detto, il problema maggiore è rappresentato dalle perdite della rete idrica nazionale, la quale, a causa di mancati lavori di manutenzione, è in pessime condizioni. Inoltre, per carenze infrastrutturali, ogni anno viene trattenuto soltanto l'11 per cento circa dell'acqua piovana. Circostanza che rende urgente la realizzazione di nuovi invasi per la raccolta dell'acqua piovana particolarmente necessaria nei momenti di carenza idrica come quello attuale. C'è poi l'ulteriore necessità di fare un migliore utilizzo delle acque reflue, anche per realizzare forme effettive di economia circolare. Si precisa che l'acqua impiegata per uso irriguo non fuoriesce dal ciclo idrologico naturale, ma viene restituita al sistema ambientale, a valle dei processi produttivi;

    l'Italia, sino a qualche anno fa, ha goduto di un clima di tipo mediterraneo, caratterizzato da estati calde e secche e da inverni miti e piovosi, con precipitazioni ben distribuite tra novembre e marzo. Attualmente non è più così. Nei tre mesi invernali del biennio 2021 e 2022 c'è stata una diminuzione del 47 per cento delle precipitazioni rispetto alla media. Inoltre, negli ultimi anni, a causa dei cambiamenti climatici, l'Italia è stata frequentemente colpita da eventi estremi. Nel 2021 ci sono stati 187 eventi calamitosi, dei quali oltre il 70 per cento legati all'eccesso di precipitazioni o alla loro assenza, causando anche perdite di vite umane oltre a ingenti danni materiali. Sono stati ben 9 gli eventi siccitosi di intensità e durata tale da richiedere lo stato di emergenza, a cui si sono aggiunti i danni provocati da precipitazioni brevi ma molto intense, le «bombe d'acqua», che causano straripamenti, alluvioni e dissesti idrogeologici. I dati elaborati dall'Ispra confermano che il decennio 2011-2020 è stato il più caldo dal 1961 mentre l'indice di siccità Spi (Standardized precipitation index) a 6 mesi calcolato a gennaio 2022 mette in evidenza estese condizioni di aridità sul Nord Italia, dovute ad un livello di precipitazioni decisamente inferiore alle medie sulle regioni alpine. La stessa Anbi (Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue) conferma la situazione di criticità riguardo la disponibilità della risorsa idrica nel Paese;

    la maggior frequenza di questi periodi sta mettendo a repentaglio più di un quarto del territorio italiano, poiché ben il 28 per cento è a rischio desertificazione. Il fenomeno riguarda tutte le regioni, non limitandosi a quelle meridionali. Nei primi mesi del 2022 le regioni del Nord hanno sofferto di una gravissima siccità. In Piemonte il Po ha raggiunto una portata d'acqua inferiore del 72 per cento rispetto alla norma e il livello idrometrico al Ponte della Becca, in provincia di Pavia, è sceso di 3,7 metri, raggiungendo i livelli più bassi degli ultimi 70 anni. È molto preoccupante anche l'avanzare del cuneo salino, ossia il movimento di acqua dal mare verso l'entroterra attraverso il sottosuolo che desertifica le zone interessate. Sempre nel Nord del Paese è in sofferenza il lago Maggiore, con un grado di riempimento del 22,7 per cento, mentre quello di Como ha un grado pari al 30,6 per cento. Il bacino padano, per la mancanza di acqua, subirà una drastica riduzione della produzione agricola. Una riduzione superiore al 30 per cento rispetto a quella media nazionale, con un impatto a cascata anche sull'allevamento;

    la situazione è grave considerando che il Nord dell'Italia è il motore dell'economia italiana, poiché garantisce un prodotto interno lordo pari a 738 miliardi di euro, maggiore di interi Stati come i Paesi Bassi, Svezia o Polonia. La fertilità del suolo, l'abbondanza di acqua, la facilità delle vie di comunicazione hanno, storicamente, favorito lo sviluppo dell'attività economica. Il lavoro quotidiano dell'uomo, nel corso dei secoli, ha accresciuto la ricchezza di questa zona attraverso la bonifica delle aree paludose della bassa pianura e l'irrigazione della parte alta. La rilevanza agricola e industriale del maggior fiume italiano ha svolto un ruolo primario nella storia economica, sociale e politica d'Italia. Le attività economiche che orbitano attorno al bacino del Po rappresentano oltre il 40 per cento del prodotto interno lordo italiano e il 45 per cento della produzione agricola nazionale. Si tratta della «culla» del settore agroalimentare italiano e dell'indotto industriale che esiste grazie alle attività primarie svolte nella zona. Si consideri poi che più dell'85 per cento del made in Italy, pari a un valore di oltre 450 miliardi di euro, dipende dalla disponibilità della risorsa irrigua. Le esportazioni agroalimentari non solo ne costituiscono l'asse portante, ma sono cresciute nell'ultimo decennio con una media pari all'8,1 per cento ogni anno. Il settore agricolo irriguo, quindi, garantisce anche un notevole numero di posti di lavoro ad alta specializzazione. Se un ettaro di cereali estensivi mediamente necessita di 48 ore annue di lavoro, il corrispondente impegno per una produzione orticola od un frutteto irriguo è pari ad oltre 600 ore annue, un dato di ben 13 volte superiore; negli ultimi giorni la situazione è addirittura peggiorata. In Piemonte l'acqua è stata razionata in più di 200 comuni con una riduzione dell'erogazione pari al 50 per cento circa, raggiungendo il livello più basso di sempre. A Cuneo, per precauzione, sono state chiuse le fontane pubbliche. In Lombardia a causa della «grave situazione di deficit idrico» e «a sostegno della popolazione, dell'ambiente e delle attività produttive», la regione con un decreto presidenziale ha dichiarato lo stato di emergenza regionale valido fino al 30 settembre 2022, attivando il sistema regionale di protezione civile e raccomandando a tutti i cittadini «di utilizzare la risorsa acqua in modo estremamente parsimonioso, sostenibile ed efficace, limitandone il consumo al minimo indispensabile». Il Friuli Venezia Giulia, con decreto presidenziale, ha dichiarato lo stato di sofferenza idrica. Il testo impone alcune misure per mitigare l'impatto sulle scorte d'acqua, come taglio dei rilasci obbligatori verso valle per venire incontro alle esigenze irrigue dell'agricoltura e una limitazione della risorsa idrica per uso domestico. Il flusso proveniente dai pozzi artesiani dovrà essere gestito secondo regole più stringenti del solito, consentendo un prelievo d'acqua ai soli fini civili e limitato a 200 litri al giorno per abitante. Tra le zone che soffrono di più c'è quella del fiume Meduna. In Valle D'Aosta il problema coinvolge anche nevi e ghiacciai. L'acqua conservata nel manto nevoso valdostano è diminuita del 50 per cento circa rispetto alla media storica, tanto che la portata della Dora Baltea, comparata con il 2021, si è dimezzata, passando a 135 metri cubi al secondo attuali rispetto ai 243 del 2021. Nel Veneto, in provincia di Verona, il razionamento interessa 40 comuni. In Emilia-Romagna si sono fermati alcuni impianti per la produzione di energia idroelettrica e le precipitazioni sono inferiori del 62 per cento rispetto alla media; quindi, sono stati invitati tutti i comuni a emanare ordinanze per garantire il risparmio idrico e vietare gli usi d'acqua non indispensabili. Come già detto, desta particolare preoccupazione la risalita del cuneo salino, giunto a 21 chilometri dalla foce del Po. Nelle Marche i fiumi hanno portate al minimo storico, registrando una diminuzione del 53 per cento rispetto alla media decennale. Preoccupanti le diminuzioni di portata dei fiumi Chienti, Metauro, Misa ed Esino. In Umbria il lago Trasimeno ha perso 3 centimetri in poco meno di una settimana e il Tevere, nel tratto in cui scorre nella regione verde per antonomasia, ne ha persi sei. In Puglia è scattata la fase di preallarme. Per l'Ispra la regione ha il triste primato di essere quella con le minori precipitazioni. Negli invasi artificiali, secondo i dati dell'Osservatorio Anbi nazionale, a causa dell'assenza di piogge «mancano 71 milioni di metri cubi d'acqua rispetto alla capacità». Infine, il Lazio, anch'esso in gravi difficoltà, motivo per cui è stato dichiarato lo stato di calamità naturale. La provincia di Viterbo è quella con le maggiori sofferenze, la portata del lago di Bracciano è diminuita 107 centimetri e continua a calare anche quella del Tevere;

    nella giornata di venerdì 24 giugno 2022, come spesso accade dopo periodi siccitosi, nel Nord Italia sono giunte improvvise e violentissime precipitazioni di pioggia e grandine che hanno ulteriormente aggravato la situazione, causando ulteriori danni alle imprese agricole. Le forti raffiche di vento hanno spazzato via le serre e rovinato il lavoro nei campi. Dopo tanti giorni di siccità, alle piante già in sofferenza è stato inferto un colpo fatale dalla grandine. È ben noto alla comunità scientifica il fatto che, sempre più spesso, i lunghi periodi di siccità estrema sono interrotti da scarsissimi eventi piovosi, oltretutto di quasi alcuna rilevanza se non addirittura nocivi a causa del carattere temporalesco. Infatti, il terreno arso e compattato non è in grado di assorbire le grandi quantità d'acqua che precipitano in brevi periodi. In questi casi si genera un veloce scorrimento delle acque piovane sulla superficie perché non possono penetrare in profondità. Ciò provoca un ulteriore danno all'agricoltura dovuto all'erosione idrica che fa perdere molte sostanze nutrienti presenti nei primi strati di terreno. Ulteriori effetti si verificano a distanza di tempo, per esempio quando il materiale eroso finisce nei corpi idrici riducendone la capacità di portata, aumentando quindi anche il rischio alluvionale;

    data la situazione, il 23 giugno 2022 si è svolto un incontro tra i membri del Governo competenti e il capo della Protezione civile per fare il punto sull'emergenza siccità, in collegamento con i presidenti delle regioni, al fine di individuare i criteri per poter dichiarare lo «stato d'emergenza». Nello specifico, per il settore agricolo è allo studio la proclamazione dello «stato di eccezionale avversità atmosferica», ma solo nel caso in cui il danno provocato dalla siccità superi il 30 per cento della produzione lorda vendibile. Misure opportune, che, pur affrontando meritoriamente l'emergenza, non rappresentano la soluzione strutturale al problema, come ben dimostrano le affermazioni fatte sul punto da un membro del Governo commentando l'incontro: «Nel corso delle prossime settimane ci aspettiamo che quasi tutto il Paese entri in zona rossa perché le aree cosiddette rosse, quelle in cui c'è una diminuzione dei livelli dei fiumi e dei laghi e dove la risorsa idrica sta mancando, si stanno allargando sempre di più»;

    si ricorda che negli ultimi 20 anni la siccità ha provocato danni all'agricoltura italiana per più di 15 miliardi di euro;

    in questo contesto, gli invasi e le dighe italiane rappresentano una risorsa strategica fondamentale per le attività e l'economia del Paese. Lo sono nei settori energetico, agricolo, industriale e dell'uso potabile. Per questo motivo si ritiene siano necessari e urgenti dei piani di adattamento al clima che prevedano maggiori risorse destinate alla realizzazione di queste preziose infrastrutture. Opportuno appare anche il miglior utilizzo di quelle previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza al fine di realizzare opere che risolvano, o almeno riducano, il problema delle perdite di rete. Si consideri poi che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza le risorse destinate all'efficientamento degli invasi esistenti sono scarse sono solo 400 milioni di euro. Purtroppo, il piano non prevede la misura più utile, ovvero la realizzazione di nuovi invasi, bacini o sbarramenti necessari per dare continuità all'erogazione di acqua, soprattutto nei periodi siccitosi;

    anche dall'innovazione e dalla ricerca possono venire soluzioni per lenire lo stress idrico, come un più accurato monitoraggio della terra, del clima, degli utilizzi dell'acqua (tecnologia satellitare, telerilevamento, droni), digitalizzazione del settore idrico con la migliore gestione e analisi dei dati (big data science, machine learning), sistemi informativi geografici, visualizzazione integrata dei dati e piattaforme di supporto alle decisioni, uso delle migliori tecnologie disponibili per consentire e promuovere l'approvvigionamento idrico da fonti alternative come la desalinizzazione e un riutilizzo dell'acqua, nei processi produttivi, attraverso la riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani con monitoraggio in tempo reale dei parametri di qualità dell'acqua per un riutilizzo sicuro e conveniente, compreso il recupero in sicurezza dagli effluenti delle industrie di trasformazione, infine ricorrendo anche all'adozione delle migliori tecnologie disponibili per la ricarica gestita delle falde acquifere;

    oltre alle soluzioni sopra enunciate per razionalizzare usi e consumi dell'acqua disponibile, di particolare interesse appaiono le ultime tecniche scientifiche utilizzate per favorire le precipitazioni nelle zone aride. Escludendo i sistemi che ricorrono all'uso di prodotti chimici come lo ioduro d'argento, particolarmente costosi e non ancora scientificamente sicuri dal punto di vista ambientale, appare di particolare interesse un nuovo sistema studiato dall'Università di Reading, in Inghilterra. A differenza delle tecniche tradizionali per la pioggia artificiale, il nuovo sistema non prevede l'utilizzo di sostanze chimiche, bensì l'utilizzo di una serie di droni appositamente realizzati. Equipaggiati con sensori per umidità e pressione, oltre che con generatori di carica elettrica, i droni caricano elettricamente delle microscopiche particelle umide per fare in modo che si uniscano tra loro. Quando diventano sufficientemente grandi, le particelle cadono sotto forma di pioggia per arrivare fino a terra anche nelle regioni torride. La tecnologia descritta ottiene i migliori risultati nei territori connotati da un'orografia come quella italiana, con numerose zone di montagne e collinari che favoriscono le piogge grazie alle correnti d'aria calda ascensionali, le quali, al diminuire della temperatura e della pressione atmosferica, raggiungono più facilmente il punto di rugiada;

    tra le possibilità messe a disposizione della ricerca scientifica e già pronte all'uso per governare le ricorrenti siccità, si ricordano infine le tecnologie di evoluzione assistita (tea), in grado di produrre grandi quantità di cibo sano e sostenibile attraverso l'adattamento al cambiamento climatico delle piante. Esse riproducono le modifiche genetiche che avvengono spontaneamente in natura, incrociando varietà della stessa specie, per ottenere in maniera precisa i risultati dei meccanismi alla base dell'evoluzione biologica naturale. Si precisa che su questo aspetto le tecnologie di evoluzione assistita si differenziano nettamente dagli organismi geneticamente modificati transgenici, come ribadito dalla intera comunità scientifica e dalla stessa Unione europea, perché non implicano l'inserimento di Dna estraneo alla pianta. I benefìci delle tecnologie di evoluzione assistita per agricoltori e consumatori sono molteplici perché permettono di migliorare efficacemente le varietà di piante coltivate, rendendole molto più resistenti, in particolare alla siccità e alle parassitosi. Per tali ragioni l'Unione europea afferma che le tecnologie di evoluzione assistita possono contribuire alla creazione di un sistema alimentare più sostenibile, in grado di raggiungere gli obiettivi del Green deal europeo e della strategia «Dal produttore al consumatore». Tuttavia, l'Unione europea non dispone di un quadro normativo dedicato a queste tecnologie e si applica loro in via interpretativa la legislazione in materia di organismi geneticamente modificati, risalente al 2001, rischiando così di non poter usufruire di questa grande opportunità di rinnovamento varietale. Appare, quindi, fondamentale proporre una normativa specificamente dedicata alle tecnologie di evoluzione assistita;

    i fatti narrati indicano che il cambiamento climatico in Italia si sia stabilizzato, rendendo «normale» la riduzione delle precipitazioni e l'aumento dei periodi di siccità. Si propone, quindi, di affrontare in modo strutturale il problema, abbandonando la logica emergenziale, proprio perché non presenta più caratteristiche di eccezionalità. Si vogliono evitare conseguenze dannose per tutti, in particolare per il settore primario, perché potrebbe rendere scarsamente attrattiva l'attività produttiva delle aziende agricole. Si deve evitare che la siccità si trasformi in una causa di allontanamento dal lavoro in agricoltura. Si dovrebbero, quindi, assumere tutte le possibili soluzioni disponibili per evitare che i fenomeni atmosferici avversi rappresentino un gravissimo disincentivo alla realizzazione di nuovi investimenti nel settore primario. Investimenti particolarmente necessari in questo momento storico, considerando le contemporanee crisi in atto che incidono negativamente sull'agricoltura in un momento in cui la produzione agricola nazionale è ancor più essenziale per l'intero sistema Paese. Sarebbe rovinoso per tutti se la mancata adozione di misure strutturali per contrastare la siccità allontanasse dall'agricoltura i giovani desiderosi di impegnarsi in questo strategico settore economico;

    in Europa, la sola Romania investe meno dell'Italia in infrastrutture idrauliche, la cui età lungo la penisola supera mediamente i 30 anni per giungere sino a 50. Dato il contesto, appaiono necessari nuovi investimenti per la ripresa del Piano invasi, secondo obbiettivi di multifunzionalità comprendenti la prevenzione idrogeologica, la gestione irrigua, la produzione idroelettrica, la funzione ambientale, fornendo anche opportunità di sviluppo turistico. In questo quadro, si inserisce il cosiddetto «Piano laghetti», proposto da Anbi, il cui cronoprogramma prevede il completamento delle progettazioni esecutive entro il 2025 e l'espletamento delle incombenze amministrative per appaltare i lavori entro il 2026, al fine di garantire la realizzazione delle opere entro il 2030;

    per ottenere lo scopo si propone, quindi, di capovolgere il paradigma utilizzato fino ad oggi, diminuendo il ricorso a pozzi e pompe di adduzione per disporre dell'acqua necessaria, aumentando invece il numero degli invasi indispensabili per raccogliere le acque piovane grazie ai quali è possibile ottenere un gioco a somma positiva, contribuendo a risolvere un ulteriore grave problema del Paese, la carenza di fonti di energia. Infatti, con la soluzione proposta aumenterebbero anche le capacità di produzione di energia idroelettrica e fotovoltaica grazie all'apposizione di impianti galleggianti sulla superficie degli invasi stessi, come previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Invasi che garantirebbero il rilascio della risorsa acqua in caso di siccità, al fine di alimentare i sistemi irrigui garantendo la continuità e l'adeguatezza della produzione agricola necessaria all'Italia;

    per il finanziamento delle opere, si propone: di investire l'Unione europea della richiesta di ampliare il perimetro del «Next generation EU», al fine di disporre di risorse aggiuntive per incrementare la dotazione dei piani nazionali, per l'Italia il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il quale attualmente stanzia risorse pari a soli 400 milioni di euro destinati alla manutenzione degli invasi esistenti e non anche alla realizzazione di nuovi; di proporre, come già accaduto per fronteggiare la pandemia da COVID-19, un Recovery fund dedicato al settore primario, necessario per fronteggiare la straordinarietà della situazione creatasi in tutti i settori produttivi, ma in particolar modo in quello primario, e disporre delle risorse necessarie per superare la crisi in ogni singolo Paese dell'Unione europea, in particolare indicando ai Paesi del bacino Mediterraneo la destinazione prioritaria delle risorse alla realizzazione delle infrastrutture necessarie a fronteggiare le siccità e garantire, conseguentemente, l'autosufficienza alimentare a livello unionale; adottare un contratto istituzionale di sviluppo per accelerare la realizzazione di progetti strategici di infrastrutturazione, sviluppo economico, produttivo e imprenditoriale, come sono gli invasi e le altre infrastrutture idrauliche di cui necessita il Paese, da cofinanziare con risorse nazionali, dell'Unione europea e quelle del Fondo per lo sviluppo e la coesione; a prevedere lo stanziamento di risorse congrue destinate allo scopo nella futura manovra triennale di finanza pubblica con il disegno di legge di bilancio,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a rilanciare una strategia complessiva che dia continuità al piano di opere irrigue e alla ripresa del Piano invasi, in particolare realizzando 200 nuovi previsti nel progetto denominato «Piano laghetti» predisposto dall'Anbi (Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue) citato in premessa;

2) ad adottare iniziative volte ad avanzare in sede di Unione europea la richiesta dell'ampliamento delle misure e delle risorse previste nel «Next generation EU» per consentire agli Stati membri l'adeguamento di quelle adottate in sede nazionale, per l'Italia il Piano nazionale di ripresa e resilienza, e consentire il finanziamento delle ulteriori infrastrutture idriche necessarie a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento, quindi la sicurezza alimentare ai cittadini dei singoli Stati e dell'Unione europea nel suo complesso;

3) ad adottare iniziative volte a proporre in sede di Unione europea la predisposizione di un fondo dedicato al settore primario, sul modello del Recovery fund già adottato per fronteggiare la comune pandemia da COVID-19, riconoscendo la straordinarietà della situazione creatasi in seguito alla guerra in Ucraina, simmetrica in tutti i Paesi dell'Unione europea, al fine di disporre delle ulteriori risorse necessarie al finanziamento degli investimenti strutturali, con particolare attenzione in Italia per quelli destinati alle opere di regimentazione delle acque per uso irriguo, al fine di garantire la competitività nel lungo periodo delle imprese agricole e garantire l'autosufficienza alimentare dei Paesi membri dell'Unione europea;

4) ad adottare iniziative volte a sostenere in sede di Unione europea la richiesta di un'apposita normativa dedicata alle tecnologie di evoluzione assistita, distinta da quella prevista per gli organismi geneticamente modificati, ora applicata in seguito alla sentenza del 25 luglio 2018 della Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ha equiparato le piante ottenute da questa tecnologia alle piante geneticamente modificate, al fine di assicurare l'immediata sperimentazione in campo di nuove piante più resistenti alla siccità e alle parassitosi;

5) ad adottare iniziative volte a dare soluzioni strutturali all'emergenza idrica, predisponendo un piano dedicato alla filiera del settore che si occupi di realizzare le opere necessarie, in particolare invasi ed acquedotti, mediante la sottoscrizione di un contratto istituzionale di sviluppo tra enti statali e regionali, con il coinvolgimento dei territori interessati, prevedendo un approccio integrato degli investimenti articolati in più interventi tra loro funzionalmente connessi;

6) ad adottare iniziative volte a definire con urgenza norme che destinino le risorse sufficienti e necessarie ad adottare un piano completo di ristori che possa mitigare le ingenti perdite subite da aziende e lavoratori, perdite che ancora stanno subendo a causa dell'eccezionale siccità;

7) ad adottare iniziative volte ad attuare in modo efficace, efficiente ed economico, come specificato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, le misure ivi previste per dare soluzione alle «sempre più frequenti crisi idriche, dovute ai cambiamenti climatici in atto, (che) comportano la necessità di rendere più efficienti e resilienti le infrastrutture idriche primarie per usi civili, agricoli, industriali e ambientali, in modo da garantire la sicurezza dell'approvvigionamento idrico in tutti i settori e superare la “politica di emergenza”» consentendo il raggiungimento dell'obiettivo della «Riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell'acqua»;

8) ad adottare iniziative volte al rafforzamento della capacità previsionale degli effetti del cambiamento climatico tramite sistemi avanzati ed integrati di monitoraggio e analisi;

9) ad adottare iniziative volte a migliorare e ammodernare il sistema di depurazione delle acque reflue derivanti sia da usi civili che industriali, al fine consentire non solo il recupero di energia e fanghi, ma anche e soprattutto il riutilizzo delle acque reflue depurate per scopi irrigui e industriali, conseguendo obiettivi di utilizzo sostenibile della risorsa idrica e della difesa del suolo, apportando un contributo fondamentale alla crescita competitiva del made in Italy agroalimentare, anche promuovendo e incentivando l'adozione di servizi ecosistemici per ottimizzare l'uso multifunzionale della risorsa idrica, affiancando all'utilizzo dell'acqua per le attività agricole altre funzioni concomitanti, quali il contrasto alla subsidenza e alla risalita del cuneo salino nei corsi d'acqua, la tutela della qualità delle falde e la razionalizzazione dell'utilizzo della risorsa;

10) ad adottare iniziative volte a realizzare la salvaguardia e la ricarica gestita delle falde acquifere;

11) ad adottare iniziative volte a superare un approccio meramente conservativo verso la risorsa idrica, riconoscendo la funzione ambientale dell'agricoltura irrigua, capace di restituire all'ambiente un'acqua in condizioni migliori di quando prelevata, e contribuendo a divulgare una consapevolezza diffusa tra la cittadinanza che l'acqua in agricoltura è utilizzata e non consumata;

12) ad adottare iniziative volte a sperimentare l'efficacia e la salubrità delle più recenti tecniche scientifiche utilizzate per favorire le precipitazioni nelle zone aride citate in premessa.
(1-00680) «Nevi, Spena, Anna Lisa Baroni, Bond, Caon, Sandra Savino, Paolo Russo, D'Attis».

(28 giugno 2022)

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser