FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1915

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
MELONI, LOLLOBRIGIDA, VARCHI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, ZUCCONI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause della mancata individuazione dei responsabili della strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992, nella quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta

Presentata il 14 giugno 2019

  Onorevoli Colleghi! – Il 30 giugno 2018, a oltre quattordici mesi di distanza dalla fine del processo, sono state depositate le motivazioni della sentenza della corte di assise di Caltanissetta che ha chiuso il cosiddetto «processo Borsellino-quater» per la strage di via D'Amelio in cui furono uccisi il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Limuli, Claudio Traina, Emanuela Loi ed Eddie Walter Cusina.
  Il processo è stato celebrato a Caltanissetta in seguito alla revisione dei precedenti processi, fondati sulle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, rivelatesi in seguito false. Di conseguenza, la direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ha istruito il nuovo procedimento, che ha visto indagati sia altri appartenenti a Cosa nostra quali responsabili della strage, sia i quattro falsi pentiti, collaboratori «costruiti a tavolino» o indotti a mentire, quali autori di dichiarazioni calunniose.
  Con la sentenza, la corte di assise di Caltanissetta ha condannato alcuni degli imputati per il concorso nella strage di via D'Amelio e i collaboratori di giustizia per calunnia aggravata a causa delle false dichiarazioni rese nel corso dei precedenti processi; per Vincenzo Scarantino, invece, testimone chiave della tesi accusatoria sostenuta prima del processo Borsellino-quater, è stato dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.
  Contestualmente allo svolgimento del processo Borsellino-quater, la stessa procura di Caltanissetta ha avviato le indagini a carico di alcuni appartenenti al gruppo investigativo, all'epoca appositamente istituito con decreto ministeriale per indagare sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio, sulla base dell'ipotesi che i falsi pentiti fossero stati indotti a mentire proprio dagli esponenti delle Forze dell'ordine incaricate dell'inchiesta.
  Tale procedimento è stato, tuttavia, definito con un'articolata archiviazione, nella quale si è fatto riferimento a numerose difficoltà sia di natura probatoria, che non avrebbero permesso di giungere a un'univoca ricostruzione dei fatti, sia di natura tecnico-giuridica, che non avrebbero consentito il proficuo esercizio dell'azione penale. Allo stato, quindi, non esiste alcuna dichiarazione giudiziaria di responsabilità per l'inquinamento delle indagini.
  La sentenza che ha concluso il primo grado di giudizio del processo Borsellino-quater costituisce soltanto l'ultimo passo di un tortuoso iter processuale non ancora concluso, volto alla ricerca delle responsabilità penali di tutti i soggetti coinvolti nella strage in cui persero la vita il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta, nonché il primo fondamentale passaggio relativo all'accertamento di quello che la corte di assise di Caltanissetta ha definito come «uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana».
  Secondo i giudici della corte, infatti, «le anomalie nell'attività di indagine continuarono anche nel corso della collaborazione dello Scarantino, caratterizzata da una serie impressionante di incongruenze, oscillazioni e ritrattazioni»; i collaboratori di giustizia avrebbero, inoltre, dimostrato una «particolare pervicacia e continuità con l'elaborazione di una trama complessa che riuscì a trarre in inganno i giudici dei primi due processi».
  Tra gli altri punti approfonditi dai giudici figurano la «mancata audizione del dottore Borsellino nel periodo dei 57 giorni intercorso tra la strage di Capaci e la sua uccisione, benché lo stesso magistrato avesse manifestato pubblicamente la propria intenzione di fornire il proprio contributo conoscitivo, nelle forme rituali, alle indagini in corso sull'assassinio di Giovanni Falcone, cui egli era legato da una fraterna amicizia» e la vicenda relativa alla misteriosa sparizione dell'agenda rossa del magistrato assassinato a via D'Amelio: «La famosa agenda, mai trovata, dalla quale (come è noto) il magistrato, nel periodo successivo alla morte di Giovanni Falcone, “non si separava mai”, portandola sempre nella sua borsa di cuoio e nella quale appuntava, in modo “quasi maniacale” e con grande ampiezza di dettagli, fatti e notizie riservate, nonché le proprie riflessioni sugli accadimenti che si susseguivano».
  In seguito alla pubblicazione delle motivazioni della sentenza della corte di assise di Caltanissetta, Fiammetta Borsellino, figlia del giudice, ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in qualità di Presidente del Consiglio superiore della magistratura (CSM), chiedendo che «sia fatta luce sulle responsabilità dei magistrati nelle indagini e nei processi sulla morte di mio padre», lamentando l'inerzia del CSM sul tema e sottolineando che «alcuni dei magistrati che hanno avallato il falso pentito continuano a ricoprire incarichi importanti». In una lettera aperta alla vigilia del ventiseiesimo anniversario della strage di via D'Amelio, Fiammetta Borsellino ha denunciato, inoltre, i «troppi depistaggi» sulla morte del padre e ha formulato tredici domande «che non possono essere rimosse dall'indifferenza o da colpevoli disattenzioni»; tra queste la richiesta del perché, dopo la strage di Capaci, «le autorità locali non misero in atto le misure necessarie per proteggere mio padre», «perché per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze?», «perché via D'Amelio non fu preservata consentendo così la sottrazione dell'agenda rossa di mio padre?», nonché la stessa domanda già messa in evidenza dalla sentenza di Caltanissetta: «perché nei 57 giorni fra Capaci e via D'Amelio i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre?».
  Sull'accertamento delle responsabilità è in corso un ulteriore processo a Caltanissetta che ha ad oggetto il depistaggio sulle indagini.
  Il 19 luglio 2019 ricorre il ventisettesimo anniversario della strage di via D'Amelio ma le ombre sui motivi che hanno determinato l'uccisione del giudice Borsellino e degli uomini della sua scorta sono ancora lontani dall'essere chiariti; la verità giudiziaria ha fallito, ma i familiari del magistrato e degli agenti della sua scorta e il popolo italiano hanno il diritto di conoscere i veri motivi che si celano dietro all'assassinio di un esemplare servitore dello Stato e di chi era incaricato di proteggerlo.
  Appare dunque necessario che il Parlamento intraprenda un'azione concreta per la ricerca della verità perché il ricordo in occasione degli anniversari è doveroso, ma non sufficiente.
  Per questo, la presente proposta di legge è volta a istituire una Commissione parlamentare di inchiesta per appurare le ragioni del mancato accertamento della verità giudiziaria e dei responsabili della strage di via D'Amelio, nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, per accertare le motivazioni alla base dell'insufficiente tutela accordata al giudice Borsellino, in particolar modo dopo la strage di Capaci nella quale sono stati uccisi Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, e per verificare la gestione delle indagini sulla strage di via D'Amelio, sia subito dopo di essa sia nel corso dei procedimenti giudiziari, con particolare riguardo alla gestione dei collaboratori di giustizia. La Commissione durerà in carica per ventiquattro mesi e potrà agire con i medesimi poteri dell'autorità giudiziaria.
  L'auspicio è che su questa proposta di legge, che tocca una delle pagine più importanti e delicate della storia nazionale, possano convergere l'adesione e la condivisione di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, al fine di assicurare la rapida istituzione della Commissione e l'avvio dei suoi lavori.
  Accertare la verità sulla strage di via D'Amelio è un atto dovuto nei confronti della memoria delle vittime e di tutti gli italiani onesti che hanno confidato nell'operato dei giudici Falcone e Borsellino e che seguono ancora il loro esempio per liberare la nazione dall'oppressione mafiosa.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e compiti)

  1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause della mancata individuazione dei responsabili della strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992, nella quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Vincenzo Limuli, Claudio Traina, Emanuela Loi ed Eddie Walter Cusina, di seguito denominata «Commissione», con il compito di:

   a) accertare le ragioni che hanno impedito l'individuazione dei responsabili della strage di via D'Amelio;

   b) verificare le motivazioni alla base dell'insufficiente tutela accordata al giudice Borsellino, in particolar modo dopo l'assassinio del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, avvenuto nella strage di Capaci il 23 maggio 1992;

   c) esaminare la compiutezza e l'efficacia della gestione dell'attività investigativa sulla strage di via D'Amelio, sia nell'immediatezza dell'evento sia nel corso dei procedimenti giudiziari, con particolare riguardo alla gestione dei collaboratori di giustizia.

  3. La Commissione conclude i propri lavori entro ventiquattro mesi dalla sua costituzione presentando alle Camere una relazione sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta. Sono ammesse relazioni di minoranza.

Art. 2.
(Composizione della Commissione
e funzionamento)

  1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo costituito in almeno un ramo del Parlamento.
  2. Con gli stessi criteri e con la stessa procedura di cui al comma 1 si provvede alle sostituzioni che si rendano necessarie in caso di dimissioni dalla Commissione o di cessazione del mandato parlamentare.
  3. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione tra i suoi componenti. Nell'elezione del presidente, se nessuno riporta la maggioranza assoluta dei voti, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
  4. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente la Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, si procede ai sensi del terzo periodo del comma 3.
  5. La Commissione approva, prima dell'inizio dell'attività di inchiesta, un regolamento interno per il proprio funzionamento.
  6. Tutte le volte che lo ritenga opportuno la Commissione può riunirsi in seduta segreta.
  7. Le spese di funzionamento della Commissione sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati e sono stabilite nel limite massimo di euro 50.000 annui.

Art. 3.
(Poteri e limiti)

  1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le medesime limitazioni dell'autorità giudiziaria. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
  2. Per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale.
  3. Alla Commissione, limitatamente all'oggetto delle indagini di sua competenza, non può essere opposto il segreto di Stato né il segreto d'ufficio. Per i segreti professionale e bancario si applicano le norme vigenti. Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato. Quando gli atti o i documenti siano stati assoggettati al vincolo del segreto funzionale da parte delle competenti Commissioni parlamentari di inchiesta, tale segreto non può essere opposto alla Commissione.
  4. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e delle collaborazioni che ritenga necessarie. Può richiedere informazioni e documenti all'Agenzia informazioni e sicurezza interna, all'Agenzia informazioni e sicurezza esterna e al Dipartimento dell'informazione per la sicurezza.
  5. La Commissione può ottenere, anche in deroga a quanto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti o documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare, con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria, la trasmissione di copie degli atti e documenti richiesti. Il decreto ha efficacia per trenta giorni e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto.
  6. La Commissione, a maggioranza assoluta dei propri membri, decide quali atti e documenti possono essere divulgati. Devono comunque essere coperti da segreto i nomi, gli atti, i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

Art. 4.
(Obbligo del segreto)

  1. I componenti della Commissione, i funzionari e il personale addetti alla Commissione stessa e tutte le altre persone che collaborano con la Commissione o compiono o concorrono a compiere atti di inchiesta oppure di tali atti vengono a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto, anche dopo la cessazione dell'incarico, per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, comma 6.
  2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione dell'obbligo di cui al comma 1, con informazioni diffuse in qualsiasi forma, è punita ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.
  3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, le stesse pene si applicano a chiunque diffonde, in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali sia stata vietata la divulgazione.

Art. 5.
(Entrata in vigore)

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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