FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2357

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
TURRI, MOLINARI, BISA, CANTALAMESSA, DI MURO, MARCHETTI, MORRONE, PAOLINI, POTENTI, TATEO

Modifiche alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, e ripristino dell'efficacia delle disposizioni preesistenti in materia di prescrizione del reato

Presentata il 29 gennaio 2020

Onorevoli Colleghi! – La legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, solleva rilevanti perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale e della logica sistematica di molti istituti sui quali essa è intervenuta, che, invece, il legislatore dovrebbe osservare e rispettare.
Con particolare riguardo alle innovazioni operate da tale legge sull'istituto della prescrizione, occorre sottolineare con forza la dubbia legittimità costituzionale della modifica apportata all'articolo 166 del codice penale, la quale prevede che per alcuni reati, diversi tra loro e che conseguono a comportamenti di gravità diversa essendo profondamente differenziate le varie condotte sussunte nella norma incriminatrice, il giudice possa disporre che la sospensione condizionale concessa non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Tale modifica introduce una significativa graduazione dell'apparato sanzionatorio, poiché consente al giudice di limitarsi a sospendere la pena principale, lasciando invece intatta l'applicazione di quella accessoria. In tale ipotesi, la durata delle pene accessorie, che si prolunga sine die o in misura determinata ben oltre la durata della pena principale, viola in maniera evidente il principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Inoltre, l'assoluta mancanza di qualsiasi criterio limitativo della discrezionalità del giudice rischia di sconfinare dalla discrezionalità al possibile arbitrio, in violazione del principio di cui all'articolo 27 della Costituzione. Appare, poi, di palmare evidenza la contraddizione tra la natura social-preventiva delle sanzioni accessorie e il loro prolungarsi senza proporzione e senza limite.
Inoltre, molte delle fattispecie inserite nella legge n. 3 del 2019 allo scopo di combattere la corruzione appaiono fortemente sospette di incostituzionalità e al tempo stesso del tutto inefficaci per conseguire il fine proposto; per di più, con il forzato allargamento al tema della prescrizione – inizialmente estraneo al provvedimento e avvenuto durante l'esame in Commissione – si è deliberatamente omesso di ricordare che un'ampia riforma della prescrizione era già stata compiutamente attuata nella scorsa legislatura all'interno della riforma del processo penale e che, come sottolineato con vigore anche da molti degli esperti auditi dalla Commissione, sarebbe quantomeno necessario attendere i tempi tecnici occorrenti per valutare l'impatto e l'efficacia delle nuove norme prima di intervenire nuovamente su di esse, con la previsione dell'imprescrittibilità per taluni reati gravissimi e di un congruo innalzamento dei termini di prescrizione per altri reati considerati più gravi.
Non si può non ricordare, infatti, che con la sentenza n. 143 del 2014 la Corte costituzionale ha affermato che al legislatore non è certamente inibito introdurre deroghe alla regola generale di computo della prescrizione, posta dallo stesso legislatore, non potendo nella regola generale «scorgersi un “momento necessario di attuazione – o di salvaguardia – dei principi costituzionali” (sentenza n. 455 del 1998, ordinanza n. 288 del 1999)».
La riforma dell'istituto della prescrizione, dunque, con il blocco della decorrenza dei termini dopo la sentenza di primo grado, anche se di assoluzione, pur secondo un'autorevole dottrina, pare procedere incurante dei princìpi che la Costituzione riconosce e che la prescrizione presidia, tra i quali la finalità rieducativa della pena, di cui al citato articolo 27, terzo comma, della Costituzione, poiché una pena irrogata dopo molto tempo potrebbe non avere, in concreto, alcuna funzione rieducativa, nonché il diritto alla difesa, di cui all'articolo 24 della Costituzione, che potrebbe essere mortificato da un processo celebrato a notevole distanza dai fatti, una distanza che rende oggettivamente complicato raccogliere elementi che permettano di esercitare a pieno il diritto di difendersi.
Nell'esercizio della sua discrezionalità, il legislatore può pertanto stabilire termini di prescrizione più brevi o più lunghi di quelli ordinari in rapporto a determinate ipotesi criminose, sulla base di valutazioni correlate alle specifiche caratteristiche degli illeciti considerati e alla ponderazione complessiva degli interessi coinvolti, come è avvenuto nella riforma approvata nella scorsa legislatura. Tuttavia, questione ben diversa e di dubbia costituzionalità è la previsione, introdotta durante l'esame del provvedimento in Commissione, che ha disposto la sospensione automatica della prescrizione dopo il primo grado di giudizio quale improprio strumento per affrontare il tema della lunghezza dei processi per tutti i reati. Come affermato, infatti, dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 115 del 2018, essendo la prescrizione «Un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l'effetto di impedire l'applicazione della pena», essa «nel nostro ordinamento giuridico rientra nell'alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall'articolo 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza. La prescrizione pertanto deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all'oblio e l'interesse a perseguire i reati fino a quando l'allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere l'applicazione per delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto di tale premessa costituzionale inderogabile (ex plurimis, sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006; ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999)».
Invece, nel corso dell'esame in sede referente, con un'assai discutibile operazione di «ampliamento del perimetro del provvedimento», sono state introdotte norme volte a modificare gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale che disciplinano, rispettivamente, la decorrenza, la sospensione e l'interruzione del corso della prescrizione. In particolare, la lettera d) del comma 1 dell'articolo 1 della legge n. 3 del 2019 sostituisce il primo comma dell'articolo 158 del codice penale, reintroducendo la formulazione anteriore alla cosiddetta legge «ex Cirielli» (legge n. 251 del 2005), in base alla quale nel reato continuato il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione. L'effetto della modifica è dunque quello di allungare i termini di prescrizione per il reato continuato.
La lettera e) ha modificato, invece, l'articolo 159 del codice penale, relativo alla sospensione del corso della prescrizione. In particolare, sostituendo il secondo comma dell'articolo, si è disposta la sospensione del corso della prescrizione dalla pronuncia della sentenza in primo grado (alla quale è equiparata la pronuncia del decreto penale di condanna) fino alla data della sentenza irrevocabile (o alla data di irrevocabilità del citato decreto penale), che definisce il giudizio.
L'istituto della prescrizione, come è noto, non trova una disciplina diretta nella Costituzione o nei trattati internazionali ai quali l'Italia ha aderito; sia questi ultimi sia la nostra Carta, però, pongono princìpi che condizionano in profondità la discrezionalità del legislatore. Su un piano più generale, la prescrizione deve essere intesa come un istituto giuridico presupposto, in qualche modo coessenziale ad ogni ordinamento: sia in prospettiva storica che comparatistica, tutti i sistemi giuridici riconoscono effetti al decorso del tempo, alla luce di esigenze di certezza e di garanzia tipiche dello Stato di diritto; anche queste, dunque, concorrono a definire i limiti e, ancor prima, la struttura logica che eventuali interventi normativi devono osservare. In questa prospettiva, la norma presenta criticità e incongruenze assai rilevanti: la sospensione della prescrizione viola senza dubbio l'articolo 111 della Costituzione ed è irragionevole nell'economia del processo penale a causa di un'eterogenesi dei suoi fini, tanto che la prima vittima di tale meccanismo sarà la stessa persona offesa dal reato, visto che l'eventuale risarcimento verrebbe rinviato ad libitum.
Sono evidenti, infatti, l'irragionevolezza del bilanciamento operato e il rischio di eterogenesi dei fini, alla luce del principio di ragionevole durata del processo, sancito dagli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955. L'obiettivo dichiarato della legge n. 3 del 2019 – del tutto condivisibile – è assicurare che i colpevoli siano puniti e che non si sottraggano alla giustizia sfruttando espedienti processuali e, più in generale, contenere gli sprechi di attività della macchina giudiziaria. Con le misure previste, però, non si fa che scaricare sull'imputato tutto il peso delle inefficienze del sistema giudiziario: ogni ritardo, dilazione o rinvio dovuto a carichi di lavoro eccessivi o mal distribuiti, alle carenze di personale, agli atteggiamenti del personale, dai magistrati ai cancellieri, diviene processualmente irrilevante e, anzi, normativamente legittimato e coperto dal provvedimento. Quasi come se il legislatore, anziché cercare di risolvere questi problemi, li assumesse come una costante invariabile e immodificabile. Tutte queste disfunzioni, ataviche nel nostro sistema e per nulla presidiate da adeguate sanzioni disciplinari, non avranno più alcuna conseguenza neanche di ordine processuale: si tratta di una sorta di impunità dell'apparato, a integrale detrimento dell'imputato, che si vede destinato a languire nel limbo di una vicenda processuale senza termini. In questo modo, l'intento di assicurare i colpevoli alla giustizia non viene conseguito, mentre si allungano i tempi del processo, sottoponendo indiscriminatamente colpevoli e innocenti alla pretesa punitiva dello Stato per un periodo indefinito.
In conclusione, se si vuole – come è doveroso – ricondurre il funzionamento della giustizia italiana entro una regola conforme sia all'esigenza di punire i colpevoli sia ai parametri costituzionali e convenzionali dell'equo processo, non è certo dalla prescrizione che si deve partire, ma da altri aspetti organizzativi e procedurali, situati a monte di essa: la disciplina dei termini e dei rinvii del processo, l'organizzazione e le dotazioni degli uffici delle procure della Repubblica e dei tribunali, la graduazione dei reati da perseguire secondo un ordine di priorità e la responsabilità disciplinare dei magistrati per i ritardi ingiustificati. Insomma, occorre affrontare tutti gli elementi rispetto ai quali innumerevoli volte la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il nostro Paese. In tale quadro, l'intervento sulla prescrizione dovrebbe rappresentare un complemento, un posterius, da innestare sul tronco di una riforma organica del sistema giudiziario, volta a definire disposizioni per la ragionevole durata del processo, e non certo la riforma salvifica cui affidare le sorti della giustizia.
Sulle modifiche in materia di prescrizione il gruppo della Lega – Salvini premier si è adoperato, nel corso dell'esame parlamentare della legge n. 3 del 2019, per ottenere che la normativa che ne prevedeva la sospensione dopo la sentenza di primo grado non entrasse in vigore prima del 2020. La nostra preoccupazione, condivisa da gran parte degli operatori del diritto, era ed è, infatti, che ciò potesse allungare all'infinito i tempi di definizione dei processi, prima che la normativa fosse controbilanciata dall'inevitabile e improcrastinabile riforma del processo penale che deve assicurare tempi certi per la conclusione dei procedimenti. Tale riforma, pertanto, avrebbe dovuto essere imprescindibilmente legata all'approvazione della legge n. 3 del 2019. Essa invece, per l'inerzia del Ministro della giustizia Bonafede, non ha visto la luce entro il 1° gennaio 2020, né si può riporre alcun affidamento nella riforma che la nuova maggioranza di Governo potrà operare per ridurre il tempo di durata dei processi. Per questo chiediamo l'abrogazione, e non il mero rinvio, delle modifiche in materia di prescrizione introdotte dalla legge n. 3 del 2019 e il ripristino dell'efficacia delle disposizioni preesistenti.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 1 della legge 9 gennaio 2019, n. 3, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le lettere d), e) e f) del comma 1 sono abrogate;

b) il comma 2 è abrogato.

2. Gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale riacquistano efficacia nel testo vigente alla data del 31 dicembre 2019.

Art. 2.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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