FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 615

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
GRIBAUDO, BOLDRINI, POLVERINI, CIPRINI, GIANNONE, ASCANI, QUARTAPELLE PROCOPIO, SERRACCHIANI, ANNIBALI, BERLINGHIERI, BRAGA, BRUNO BOSSIO, CANTINI, CARLA CANTONE, CARNEVALI, CENNI, INCERTI, NOJA, PAITA, PEZZOPANE, PINI, SCHIRÒ, MORETTO, DE LUCA, FIANO, FRAGOMELI, FRANCESCHINI, MAURI, MIGLIORE, MOR, ORFINI, PELLICANI, RACITI, RIZZO NERVO, ROSATO, SENSI, SIANI, UNGARO, VERINI

Modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale

Presentata l'11 maggio 2018

  Onorevoli Colleghi! — La questione delle pari opportunità fra i sessi passa inevitabilmente dal lavoro. È stato il lavoro, nel secolo scorso, il primo mezzo di emancipazione delle donne ed è il lavoro ancora oggi a determinare le discriminazioni e le disuguaglianze che impediscono la libera scelta di coniugare lavoro e famiglia, così come la possibilità di raggiungere l'indipendenza economica e la realizzazione personale.
  Nel 2017, il rapporto annuale del World Economic Forum ha visto peggiorare tutti gli indici di parità, fra i quali il trattamento economico ha registrato il dato più negativo. Come riporta infatti il Gender Gap Report 2017 di Job Pricing, in Italia gli uomini hanno guadagnato in media 30.876 euro, il 12,7 per cento in più delle donne, che si sono fermate a 27.228. I primi hanno visto crescere i loro redditi del 2,3 per cento, le donne solo dell'1,9 per cento. Una prima occhiata ai dati di Eurostat sulle paghe orarie nel nostro Paese appare ingannevole. L'istituto statistico europeo, infatti, afferma che la disparità salariale in Italia è soltanto del 5,5 per cento, un dato che porta il nostro Paese fra i migliori d'Europa, davanti anche a molti dei nostri partner del nord. Se però approfondiamo l'esame e scindiamo il lavoro pubblico dal lavoro privato, la realtà appare ben diversa: nel settore pubblico la disparità è soltanto del 3,7 per cento, ma in quello privato arriva addirittura al 19,6 per cento. La proporzione che porta al dato precedente nasce dal diverso rapporto fra uomini e donne nei due settori, poiché i dipendenti pubblici sono al 63 per cento donne, mentre a livello nazionale il tasso di occupazione femminile è soltanto del 49 per cento (di nuovo, di 18 punti percentuali inferiore a quello maschile).
  Ciò significa che una donna lavoratrice, nel settore privato, può percepire anche un quinto di stipendio in meno del suo collega uomo, a parità di mansione e di ore lavorate. Si tratta di un'ingiustizia che va a sommarsi alle difficoltà delle donne nel conciliare i tempi di vita e di lavoro: la poca disponibilità di servizi alla prima infanzia e il loro alto costo, la propensione a non rinnovare un contratto a termine alle madri lavoratrici e l'induzione al licenziamento (mitigata dallo stop alle dimissioni in bianco, ma ancora forte in molte aziende). Secondo l'INPS, a venti anni dalla nascita di un figlio, la retribuzione di una donna lavoratrice può essere più bassa del 12 per cento rispetto a una donna che non ha avuto figli. L'ISTAT rileva, invece, che le disparità salariali si allargano proprio dove crescono le competenze: più grande è l'azienda e più retribuiti sono i ruoli dirigenziali, più è facile che la forbice di genere si allarghi, a dispetto del merito e degli sforzi per accrescere lo studio da parte delle donne delle discipline scientifiche, tecnologiche e matematiche che danno accesso ai posti di lavoro più qualificati e retribuiti.
  Nella XVII legislatura, sono state molte le misure adottate per contrastare la mancanza di pari opportunità sul luogo di lavoro, a partire dal divieto delle cosiddette «dimissioni in bianco», finalmente reintrodotto dal Jobs Act, ponendo fine ad una delle più insopportabili pratiche di ricatto nei confronti della madre lavoratrice. Inoltre, è stato esteso il congedo parentale; è stato istituito e prorogato il congedo obbligatorio di paternità; è stato finanziato il voucher baby sitter; l'indennità di maternità è stata resa certa anche per le lavoratrici i cui contributi non sono stati versati dai datori di lavoro ed è stata estesa e resa flessibile per le lavoratrici autonome; sono state investite risorse per consentire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; sono stati istituiti incentivi per le assunzioni delle donne vittime di violenza; è stato esteso alle lavoratrici autonome il pagamento dell'indennità per l'assenza dal lavoro nei casi di violenza di genere.
  Manca, a fianco di queste misure, una tutela per garantire la parità salariale fra le lavoratrici e i lavoratori.
  Eppure nel nostro Paese una previsione di legge per vigilare su questo fenomeno esiste: è il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006, che all'articolo 46 prescrive alle aziende con più di cento dipendenti di redigere un rapporto biennale sui vari aspetti inerenti le pari opportunità sul luogo di lavoro, inclusa la retribuzione. Ma a questa norma manca di fatto una spinta alla trasparenza: oggi non esiste un modo per sapere quali aziende abbiano redatto il rapporto e quali no e quali siano state sanzionate, né i dipendenti delle aziende hanno modo di accedere al rapporto per verificare eventuali discriminazioni.
  Sulla spinta dell'associazionismo e degli indirizzi delle istituzioni internazionali, fra cui anche l'Unione europea con la raccomandazione 2014/124/UE del 7 marzo 2014, molti Paesi negli ultimi anni hanno provveduto a innovare la loro legislazione in merito alla parità salariale, come ad esempio la Germania e il Regno Unito, spingendo per una maggiore trasparenza sulle retribuzioni dei dipendenti delle grandi aziende. È tempo che anche in Italia si agisca in questa direzione, valorizzando la legislazione esistente che ha già dato luogo ad una consuetudine per le nostre aziende, aggiornandola e potenziandola. Si propone inoltre un'innovazione: la possibilità per le aziende che rispettano le pari opportunità e la parità salariale di ottenere un'apposita certificazione. Si tratta di una forma di incentivo alla parità che potrebbe essere adottata anche a livello europeo, nell'ambito della responsabilità sociale delle imprese.
  La proposta di legge si compone di due articoli. L'articolo 1 presenta un unico comma, che modifica l'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198. Alla lettera a) si introduce la possibilità per le aziende sotto i cento dipendenti di redigere il rapporto sulla situazione del personale su base volontaria e si richiede all'INPS di inviare annualmente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'elenco delle imprese che rientrano nell'ambito di applicazione della norma. Alla lettera b) si prevede la pubblicazione, nel sito del medesimo Ministero, dell'elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e delle aziende che non lo hanno trasmesso. La lettera c) sostituisce interamente il comma 3 dell'articolo 46 del citato codice delle pari opportunità, richiedendo che il decreto ministeriale ivi previsto specifichi, oltre alle indicazioni per la redazione del rapporto, le modalità di accesso da parte dei dipendenti dell'azienda interessata nonché le modalità di pubblicazione degli estremi del rapporto nel sito della stessa azienda; i parametri minimi di rispetto delle pari opportunità; la forma, le modalità di attribuzione e di pubblicazione di una certificazione di pari opportunità di lavoro. Le lettere d) ed e) specificano alcune modalità di controllo e di sanzione.
  L'articolo 2 prevede che la relazione biennale sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro sia svolta dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, in materia di rapporto sulla situazione del personale)

  1. All'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) al comma 1 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Le aziende pubbliche e private che occupano meno di cento dipendenti possono redigere il rapporto su base volontaria. L'Istituto nazionale della previdenza sociale invia annualmente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'elenco delle imprese che rientrano nell'ambito di applicazione del presente decreto»;

   b) al comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblica, in un'apposita sezione del proprio sito internet istituzionale, l'elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e l'elenco delle aziende che non lo hanno trasmesso»;

   c) il comma 3 è sostituito dal seguente:

   «3. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto definisce, in base alle specificazioni di cui al comma 1:

   a) le indicazioni per la redazione del rapporto;

   b) le modalità di accesso al rapporto da parte dei dipendenti dell'azienda interessata, nel rispetto della tutela dei dati personali, al fine di usufruire della tutela giudiziaria di cui al presente decreto;

   c) i parametri minimi di rispetto delle pari opportunità, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;

   d) la «certificazione di pari opportunità di lavoro», da attribuire alle aziende che rispettano i parametri minimi di cui alla lettera c); le modalità di rilascio della certificazione, tenendo conto dell'attività di controllo e verifica svolta dalle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità ai sensi del comma 2; le forme di pubblicità della certificazione»;

   e) al comma 4, le parole: «Nei casi più gravi può essere disposta» sono sostituite dalle seguenti: «Qualora l'inottemperanza si protragga per oltre dodici mesi, è disposta»;

   f) dopo il comma 4 è aggiunto il seguente:

   «4-bis. L'Ispettorato nazionale del lavoro, nell'ambito delle sue attività, verifica la veridicità dei rapporti di cui al comma 1. Nel caso di rapporto mendace si applicano le sanzioni di cui al comma 4 e le pene previste dall'articolo 483 del codice penale».

Art. 2.
(Relazione al Parlamento)

  1. Il comma 1 dell'articolo 20 del citato codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, è sostituito dal seguente:

   «1. La consigliera o il consigliere nazionale di parità, anche sulla base del rapporto di cui all'articolo 15, comma 7, nonché delle indicazioni fornite dal Comitato nazionale di parità, presenta alle Camere, almeno ogni due anni, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro delegato per le pari opportunità, una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto».

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