XIX LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 67 di lunedì 13 marzo 2023
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI
La seduta comincia alle 14,05.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ROBERTO GIACHETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 1° marzo 2023.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 66, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori la presidente Serracchiani. Ne ha facoltà.
DEBORA SERRACCHIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Noi vorremmo, per suo tramite, rivolgerci al Governo, in particolare, al Ministro per i Rapporti con il Parlamento, affinché chieda al Ministro Salvini di darci finalmente una data. Reitero, quindi, la richiesta di informativa urgente del Ministro Salvini per quanto riguarda i tragici fatti di Cutro, anche tenendo presente alcune novità che stanno emergendo proprio in queste ore: proprio oggi sono stati pubblicati da alcuni giornali documenti, che riteniamo molto importanti, in cui si parla esplicitamente dell'attività che svolge la Guardia costiera, la quale, lo ricordo, deve coordinarsi con il Viminale. Considerato che il Ministro Piantedosi nel corso della sua informativa non ci ha chiarito bene come funziona questa catena di comando, vorremmo reiterare ancora una volta - dopo che l'abbiamo già fatto per almeno due volte e, non ultima, in Conferenza dei presidenti di gruppo - la richiesta di informativa urgente del Ministro Salvini su questa esplicita vicenda, in particolare su ciò che sta emergendo sulla cosiddetta catena di comando, che ha fatto sì che tale vicenda non si sia trasformata da operazione di polizia in operazione di salvataggio.
PRESIDENTE. Il Governo ci ha ascoltato. Ha chiesto di parlare, sull'ordine dei lavori, il deputato Francesco Silvestri. Ne ha facoltà. Sullo stesso argomento? Sì, prego.
FRANCESCO SILVESTRI (M5S). Grazie Presidente, a nome del MoVimento 5 Stelle intendo unirmi alla richiesta della collega Serracchiani, in quanto più passano i giorni più si fa importante la presenza del Ministro Salvini in Aula, per chiarire tutte quelle zone d'ombra che non solo noi in Parlamento, ma anche il resto del Paese ancora non ha compreso e tutto ciò al fine di confezionare un giudizio politico, di dimissioni o meno.
Però, fino a che l'informazione non sarà completa - ad oggi non lo è -, sarà difficile esprimersi e, quindi, anche capire quello che è successo della tragedia che ormai tutto il Paese sta soffrendo e piangendo. Pertanto, mi unisco alla richiesta di vedere il Ministro Salvini finalmente in Aula.
PRESIDENTE. Abbiamo recepito la richiesta di informativa - l'ha recepita anche la Sottosegretaria presente - e ovviamente la comunicheremo al Presidente della Camera.
Discussione del disegno di legge: Norme in materia di procedibilità d'ufficio e di arresto in flagranza (A.C. 831-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 831-A: Norme in materia di procedibilità d'ufficio e di arresto in flagranza.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 10 marzo 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 10 marzo 2023).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 831-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.
La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Maria Carolina Varchi.
MARIA CAROLINA VARCHI , Relatrice. Grazie Presidente. La mia relazione sarà davvero telegrafica e mi riservo di depositarne il testo, con l'ausilio dei funzionari della II Commissione. È un intervento che potremmo definire di natura correttiva, in quanto prende atto della effettiva portata applicativa della cosiddetta legge Cartabia e interviene in materia di procedibilità e, dunque, di arresto in flagranza, nonché di giudizio direttissimo, per evitare che gli investigatori e gli uffici delle procure vengano privati di importanti strumenti di prevenzione del crimine. Più in particolare, infatti, si interviene sui tempi e sui modi di acquisizione della cosiddetta volontà querelatoria ad opera della persona offesa, al fine di non inficiare attività investigative che possono sfociare nell'arresto in flagranza. Quindi, è un intervento correttivo che - come ben esplicitato nella relazione dal Ministro proponente - non interviene sul corpo della legge Cartabia, piuttosto ne limita alcune distorsioni applicative. Per il momento, ritengo di non dover aggiungere altro, rimandando per intero alla relazione che deposito.
PRESIDENTE. La deputata Varchi è autorizzata a depositare il testo della sua relazione.
Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che si riserva.
È iscritto a parlare il deputato Federico Gianassi. Ne ha facoltà.
FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, oggi l'Aula è chiamata ad esaminare il disegno di legge governativo a firma del Ministro Nordio sulla ridefinizione della procedibilità d'ufficio e su nuove norme in materia di arresto obbligatorio in flagranza di reato. Il tema aveva trovato un'attenzione forte, almeno alcune settimane fa, nelle prime settimane di gennaio, e abbiamo assistito a un dibattito nei giornali, nelle TV e nelle radio in relazione all'entrata in vigore della riforma Cartabia sul processo penale, dapprima rinviata dal Governo Meloni con l'approvazione del decreto-legge cosiddetto Anti-rave e poi, invece, confermata, dopo il rinvio alla fine dell'anno 2022. Dunque, dalla fine del 2022 il nuovo processo penale contenuto nella riforma Cartabia è entrato in vigore. Solamente qualche giorno dopo abbiamo assistito alla diffusione di un clima di grande preoccupazione rispetto agli effetti che quella riforma avrebbe comportato in materia di sicurezza e punibilità degli autori di gravi reati. Il dibattito non fu alimentato soltanto da opinionisti e analisti delle dinamiche delle questioni relative al processo penale; furono anche esponenti politici di rilievo ad intervenire, denunciando il rischio e il pericolo che, con il nuovo processo penale e, in particolare, con le nuove norme in materia di procedibilità a querela, gli autori di gravi reati, portatori di grave disvalore sociale, potessero andare impuniti, a scapito delle esigenze di sicurezza.
Tra coloro che esprimevano forti avversioni verso queste norme vi era, ad esempio, l'onorevole Delmastro Delle Vedove, Sottosegretario alla Giustizia, il quale aveva anche rilasciato dichiarazioni sui giornali nelle quali per l'appunto evidenziava questa - a suo dire - certa conseguenza rispetto all'entrata in vigore della riforma Cartabia, cioè che alcuni gravi reati, a questo punto non più procedibili d'ufficio ma a querela, sarebbero stati in qualche modo meno efficacemente combattuti dalle istituzioni statali, annunciando un intervento di radicale discontinuità rispetto alla riforma Cartabia. Questa riforma ha toccato più punti ed effettua una rivoluzione copernicana del processo penale. Tra questi punti vi è certamente la ridefinizione della procedibilità per molti reati che, precedentemente procedibili d'ufficio, divengono procedibili a querela. Una lettura un po' datata della riforma Cartabia potrebbe indurre a ritenere che la procedibilità sia - e continui ad essere - lo strumento con il quale più o meno efficacemente lo Stato combatte la commissione di fatti di reato. In realtà, la riforma Cartabia offre una panoramica molto più ampia rispetto al processo, rivaluta e nobilita la figura della vittima del reato, per troppo tempo estranea alle dinamiche del processo. All'interno di una riforma che complessivamente valorizza il ruolo della vittima nel processo dal primo all'ultimo momento, anche, ad esempio, attraverso l'inserimento nell'ordinamento dei principi della giustizia riparativa, rivede anche la tipologia di procedibilità per alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio. Dunque, rispetto a quella modifica, che certamente ha anche natura deflattiva ma che non può limitarsi a essere considerata una misura deflattiva, perché si inserisce in un contesto più ampio e finalizzato a riscoprire un ruolo più partecipe della vittima nel processo, la lettura di chi in qualche modo l'ha estrapolata dalla dinamica complessiva del processo penale e vi ha visto un rischio per la tenuta della lotta dello Stato contro la criminalità si presenta a nostro giudizio limitata e superficiale. Certo è che però, rispetto a quelle denunce così forti e robuste, ci saremmo potuti attendere un intervento - ripeto - di radicale discontinuità da parte del Governo rispetto alla riforma Cartabia. In effetti, invece, questo non è successo perché il disegno di legge del Ministro Nordio e, quindi, del Governo conferma integralmente l'impianto della riforma Cartabia. Sostanzialmente, con questo intervento il Governo conferma che tutta una serie di reati, in passato procedibili d'ufficio, restano procedibili a querela. Si tratta di reati che - ripeto - hanno un disvalore sociale molto importante perché sono reati contro la persona, come le lesioni personali, la violenza privata o la minaccia, o reati contro il patrimonio, come il furto o il danneggiamento. Con la disciplina integrativa che il Governo propone, tali reati restano procedibili a querela, il che, poiché non riteniamo che il Governo voglia seguire la strada dell'insicurezza, induce a ritenere che alcune valutazioni, che vedevano nella procedibilità a querela anziché d'ufficio un grave pericolo per la tenuta della difesa dello Stato contro la criminalità, fossero quantomeno esagerate o esasperate. Rispetto alle modifiche che sono state introdotte, si tratta innanzitutto di esaminare un intervento che il Governo ha effettuato, anche su richiesta dei partiti e dei gruppi, compreso il nostro, come ad esempio quello che prevede che, nel caso in cui venga contestata l'aggravante per associazione mafiosa o associazione terroristica, il reato, quand'anche perseguibile a querela, diventi perseguibile d'ufficio.
Si tratta di una disciplina che - ripeto - condividiamo.
Avevamo espresso, anche in atti parlamentari, l'esigenza di questo correttivo, anche se ci corre l'obbligo di evidenziare che la tematica, che è stata affrontata anche pubblicamente nelle settimane scorse, come correttamente evidenziato anche nel corso delle audizioni presso la Commissione giustizia, non è nata con la riforma del processo penale, attraverso la riforma Cartabia, ma è connessa al nostro sistema ordinamentale che, da molto tempo, addirittura da 44 anni, nella prima occasione, ha previsto che, se un reato è procedibile a querela e viene contestata l'aggravante mafiosa o terroristica, resta perseguibile a querela.
Con la riforma Cartabia, laddove è stato esteso il catalogo dei reati perseguibili a querela, il tema si è rafforzato, ma, ripeto, come correttamente evidenziato anche nel corso dei lavori preparatori, il tema era preesistente. Dunque, questa è una buona occasione per correggere il nostro sistema ordinamentale e prevedere quello che sino ad oggi non era mai stato previsto, e cioè che, quando viene contestata l'aggravante per mafia o terrorismo, è ragionevole, corretto, giusto e doveroso che il reato divenga procedibile d'ufficio, per non lasciare la vittima del reato nelle condizioni di esporsi, denunciando l'autore del reato, anche quando quel reato, nel nostro ordinamento, viene ritenuto perseguibile a querela.
Anche la seconda modificazione, chirurgica, puntuale e non incide sulla riforma Cartabia, riguarda la previsione, nel caso di arresto obbligatorio in flagranza, della possibilità dell'arresto per 48 ore, nell'attesa di reperire, nel caso non sia stato possibile farlo immediatamente, la querela da parte della vittima del reato. Si cerca un punto di equilibrio tra l'esigenza di sicurezza precautelare e il diritto del cittadino che viene arrestato a non vedersi sottoposto a misure cautelari in assenza della condizione di procedibilità del processo.
Rispetto a questo intervento, nel corso delle audizioni abbiamo assistito a posizioni diverse: chi valorizzava le esigenze di sicurezza tendeva a dare un parere favorevole a questa norma, proponendone anche l'estensione temporale oltre le 48 ore; altri hanno evidenziato il rischio di procedere ad arresti rispetto ai quali, successivamente, viene a mancare la condizione di procedibilità del procedimento e, quindi, il rischio che un soggetto arrestato possa contestare di essere stato detenuto ingiustamente in assenza di una condizione di procedibilità. Tuttavia, l'intervento è finalizzato a evitare che, laddove l'ordinamento prevede che, per quel dato reato, esiste l'arresto obbligatorio, vi sia la possibilità di reperire, in tempi rapidi, la querela.
Il problema, forse, ulteriore che si pone, e che è stato evidenziato anche dai sindacati di Polizia nel corso delle audizioni, è che, attraverso questo disegno di legge, eventualmente approvato e quindi una volta divenuto legge, si finisca per scaricare, ancora una volta, sul personale di Polizia ulteriori competenze non irrilevanti, non semplici e non banali, rispetto alle tante e qualificate già su di loro incombenti, in assenza di una equivalente azione di investimento sull'attività della Polizia giudiziaria in termini di dotazioni di personale e organizzative.
Dobbiamo stare attenti a non correre il rischio di scrivere una norma che si pone obiettivi ragionevoli di equilibrio tra sicurezza e anche e tutela della persona arrestata, ma che finisce per scaricare, ancora una volta, sui Corpi di Polizia, in particolare sulla Polizia giudiziaria, tutto l'onere della complicata, difficile e puntuale attività amministrativa che ne consegue. Questo, evidentemente, è un limite che sussiste e che merita di essere considerato.
Rispetto a questo testo - che, correttamente, dal nostro punto di vista, non riscrive radicalmente la riforma, ma la conferma nei suoi contenuti, aggiungendo correttivi e integrazioni che rispondono a esigenze che si sono oggettivamente sollevate -, in Commissione, abbiamo presentato alcuni emendamenti, finalizzati a dare un contributo costruttivo al miglioramento del testo. In particolare, i nostri emendamenti - che riproponiamo anche all'Aula - attengono all'esigenza di rafforzare l'intervento che il Governo intende realizzare in materia di contrasto a fenomeni di mafia e terrorismo. In particolare, in questo disegno di legge, abbiamo detto che l'intervento di rafforzamento nel contrasto sta nella modifica della condizione di procedibilità, che diviene d'ufficio, laddove il reato, perseguibile a querela, è commesso da persona alla quale viene contestata l'aggravante di mafia e terrorismo.
Per rafforzare questo provvedimento, abbiamo suggerito, attraverso i nostri emendamenti, di prevedere il cambiamento della condizione di procedibilità - e, dunque, d'ufficio - anche laddove vi sia l'aggravante di mafia e terrorismo, pur accompagnata dall'attenuante della dissociazione. Infatti, nel caso dell'attenuante di dissociazione, viene meno, anche in caso di contestazione dell'aggravante, il passaggio dalla procedibilità a querela alla procedibilità d'ufficio. Per non rendere l'intervento governativo mancante di un pezzo, abbiamo suggerito di raccogliere, attraverso il nostro emendamento, il potenziamento di quella integrazione.
Inoltre, laddove è previsto il termine “delitti”, abbiamo proposto di modificare la previsione del termine “reati”, per consentire di approvare il cambiamento della condizione di procedibilità da querela a ufficio, anche nel caso in cui esso attenga a contravvenzioni. Può sembrare un aspetto marginale, ma, poiché l'intervento è mosso da un principio ragionevole di contrasto a fenomeni odiosi, esso dovrebbe, logicamente e razionalmente, valere anche nei casi, seppur limitati, delle contravvenzioni, che, però, potrebbero essere non considerate, in prospettiva, così rilevanti, anche in ragione dell'aumento del catalogo dei reati perseguibili a querela rispetto a quello, predominante in passato, dei reati procedibili d'ufficio.
Auspichiamo che questi interventi correttivi e migliorativi, che proponiamo e mettiamo nella disponibilità dell'Aula, trovino il consenso e la disponibilità da parte della maggioranza, che per ora non vi è stata in Commissione giustizia.
Dunque, alla prova dei fatti il Governo ha confermato l'impianto della Cartabia. Evidentemente, alcuni degli allarmi lanciati sono stati rivalutati dal Governo, che ha ritenuto di confermare quell'impianto e adottare delle integrazioni specifiche, che, ripeto, oggettivamente, meritavano di essere affrontate, anche perché da troppo tempo radicate nel nostro ordinamento anche preventivamente agli interventi della riforma Cartabia.
Auspichiamo che, a seguito del dibattito in quest'Aula, a fronte della disponibilità che abbiamo dato a lavorare nel merito e a migliorare il provvedimento, la maggioranza, concluso questo dibattito, possa ravvedere la sua posizione nei confronti dei suggerimenti e delle proposte che abbiamo messo in campo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tommaso Antonino Calderone. Ne ha facoltà.
TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Signor Presidente, Governo, colleghi, come correttamente è stato anticipato dalla collega Varchi, questo apparato normativo ha la funzione e la finalità, ove possibile, di correggere alcune norme e porre in essere alcuni aggiustamenti.
La prima questione che il Governo si è posto correttamente è quella secondo la quale, per i reati ormai procedibili a querela di parte - e, quindi non più perseguibili d'ufficio -, è necessario che questi reati, ormai non più sottoposti a condizioni di procedibilità, fossero aggravati dall'articolo 7, come si ponevano. Questo era un problema di certo e sicuro allarme sociale. Perché? È bene dirlo ai cittadini, che magari non sono pratici di questioni di diritto. Faccio l'esempio della violenza privata (articolo 610 del codice penale), che prima era perseguibile soltanto d'ufficio e adesso è, invece perseguibile a querela di parte: una persona offesa, soggetto passivo del reato, che si trovava di fronte l'agente attivo, cioè la persona che aveva commesso il reato e che apparteneva, poniamo il caso, ad una associazione criminale o ad una associazione mafiosa, certamente, era in una condizione di assoluta difficoltà, se non di vera e propria paura, a sporgere querela.
La condivisibile ratio - credo da parte di tutte le forze politiche - di questa norma è porre in condizione la persona offesa - che ha subito un danno, che ha subito il reato di violenza privata, di violazione di domicilio, di minaccia semplice, di lesioni semplici, ex articolo 582 - di non avere la necessità di sporgere querela, perché ci pensa lo Stato, nel momento in cui un reato è aggravato dall'articolo 7 o, comunque, dall'articolo 416-bis - agevolazione di una consorteria criminale mafiosa o metodo mafioso, sotto entrambi i profili - e/o anche da finalità di terrorismo. Quindi, questo primo accorgimento tecnico, signor Presidente e signori colleghi, è assolutamente condivisibile.
Altra cosa è - su questa strumentalizzazione qualche parola va spesa - far passare il fatto che questo Governo, questo schieramento di centrodestra voglia, in qualche maniera, signor Presidente, depenalizzare gravi reati. Intanto, bisogna dire la verità: nella scala dei reati, una minaccia semplice o una violazione di domicilio semplice, certamente, non sono reati che determinano e suscitano il massimo allarme sociale, però bisogna dire ai cittadini - e bisogna dirlo chiaramente - che non siamo in presenza di una depenalizzazione, ma di uno Stato che decide che alcuni reati, se non proprio bagatellari, che, comunque, determinano e suscitano minore allarme sociale, non siano più perseguibili d'ufficio. E questo perché? Perché, chiaramente, rimettono alla persona offesa la possibilità di chiedere che l'azione penale venga esercitata. Quindi, lo Stato non arretra, lo Stato non depenalizza, ma, per i reati di minimo allarme sociale, come quelli di cui abbiamo parlato, lo Stato mette in condizione la persona offesa di procedere a querela. Oggi si chiude il cerchio, perché, anche per questi reati di minore allarme, nel momento in cui vengono a essere commessi per finalità di terrorismo o di mafia, sub specie metodo o agevolazione mafiosa, si procede d'ufficio.
Secondo correttivo: l'articolo 2. Se il reato di lesioni, ex articolo 582, viene commesso da chi è sottoposto a una misura di prevenzione personale, o lo è stato nei 3 anni antecedenti, si procede d'ufficio. Anche questa nuova norma è totalmente condivisibile. Perché? Perché - lo ricordo a me stesso, ovviamente, ma dobbiamo spiegarlo ai cittadini -, per essere sottoposto a una misura di prevenzione personale, il proposto deve essere portatore di quella che, tecnicamente, viene chiamata, con una locuzione, pericolosità sociale. In altri termini, chi viene sottoposto a una misura di prevenzione è pericoloso socialmente e, per una serie di ragioni che non sto qui a spiegare, perché non sono utili, è pericoloso non soltanto socialmente, ma lo è attualmente. Quindi, cosa vuole significare questa norma? Lo dico meglio: quale è la ratio legis della norma? Se un soggetto è persona offesa del reato di lesioni semplici - faccio un esempio scolastico -, per cui viene preso a schiaffi e subisce lesioni non certamente gravi, ma entro i 20 giorni, da un altro soggetto che diventa l'agente attivo, il soggetto attivo del reato, il reato è a querela di parte. Se, però, chi commette il reato è sottoposto a misura di prevenzione, o lo è stato nei 3 anni antecedenti proprio perché è pericoloso, non è necessaria la querela, ma si procede d'ufficio, perché, anche in questo caso, come per i reati a cui avevo fatto riferimento qualche minuto fa, la persona offesa si può trovare in una situazione di assoluto timore, proprio perché quel soggetto è sottoposto a misura di prevenzione - che è cosa diversa dal metodo, dall'agevolazione mafiosa e dalla finalità di terrorismo. Proprio perché, appunto, si trova in questa condizione di soggezione, è necessario che si proceda d'ufficio, perché si trova in una condizione di deficit, subalterna rispetto al soggetto attivo, e, quindi, può essere o si può trovare nella condizione di essere intimorito. Ergo, ci pensa lo Stato.
Anche questa è una norma di assoluta ragionevolezza, signor Presidente e colleghi, che Forza Italia - credo il centrodestra, ma auspico tutto il Parlamento - saluta con in senso positivo e con assoluta condivisione.
L'ultima questione che aveva suscitato qualche problema era quella dell'arresto obbligatorio in flagranza nel momento in cui ci si trovava di fronte a reati non più perseguibili d'ufficio, ma sottoposti a condizioni di procedibilità, dunque, alla querela. Anche qui, la riforma Cartabia - bisogna dire la verità, chi si occupa di giustizia tutti i giorni, come me, se ne rende conto, ma, per carità, se ne rendono conto tutti - aveva lasciato qualche dubbio e aveva suscitato più di un problema, perché l'agente, l'ufficiale di Polizia giudiziaria che andava a intercettare, a individuare il soggetto che commetteva un reato per il quale, ex articolo 380, primo comma, del codice di procedura penale, era - ed è - previsto l'arresto obbligatorio, trattandosi di un reato a querela di parte, si trovava in una situazione di assoluta impotenza, per non dire di vera e propria frustrazione professionale. Ebbene, si è adottata una norma, anche questa, tecnicamente di assoluta ragionevolezza, perché prevede che si può procedere all'arresto entro 48 ore, però, se non c'è la querela, se la querela viene rimessa o se c'è rinuncia alla querela - trattasi, come è noto, di 3 istituti giuridici diversi -, la persona che commette il reato deve essere immediatamente posta in libertà. Su questo punto è necessario spendere qualche parola, per sgombrare il campo da inutili polemiche, se non strumentalizzazioni o, addirittura, vado ancora oltre, provocazioni. Perché? Perché si dice che è difficile rintracciare la persona offesa entro 48 ore. Questo è un falso storico. Se posso offrire la mia modesta esperienza, io avrò, come avvocato, celebrato forse migliaia di giudizi direttissimi, in tanti anni di carriera, e non è capitata, signor Presidente, una sola volta che l'attenta Polizia giudiziaria non abbia rintracciato la persona offesa nelle 48 ore. La persona offesa si presenta immediatamente – su questo andiamo oltre, ma per essere completi nel ragionamento - nel giudizio direttissimo e non è assolutamente vero che è difficilissimo rintracciarla, che con questa legge abbiamo aggravato il lavoro delle Forze dell'ordine. Non è assolutamente vero, perché le Forze dell'ordine, sempre attente, puntuali e dedite massimamente al lavoro, la prima attività che svolgono, prima ancora di interpellare, avvisare, dico meglio, il difensore del ladro - tanto per fare l'esempio, calzante, del furto – è quella di individuare, rintracciare la persona offesa. Quindi, non è, a differenza di quanto qualcuno ha tentato di affermare - devo dire la verità, facendo un po' il gioco delle tre carte, per usare un'espressione poco elegante e, certamente, non giuridica -, un aggravio, non è un appesantimento per le nostre Forze dell'ordine, che la prima cosa che fanno, lo ripeto, è rintracciare la persona offesa. Infatti, se c'è un furto in abitazione e trovano il ladro, trovare la persona offesa non è un'indagine complicatissima; se mi rubano la macchina, entro 30 secondi, attraverso il pubblico registro automobilistico, so di chi è e la vado a rintracciare.
È veramente sovrabbondante fare esempi. Potevo capire cinquant'anni fa, ma, oggi, rintracciare la persona offesa non è complicato. Veramente, queste strumentalizzazioni e provocazioni, fatte da qualche forza politica, suscitano sorpresa, ma non mi appassiono; non mi sono mai appassionato alle polemiche e non lo farò neanche oggi.
Altra osservazione che non condivido sono le seguenti: “se non si trova la persona offesa, rimettiamo un pluripregiudicato in libertà dopo 48 ore e non possiamo più agire contro di lui: che vergogna! È allarme sociale”. Non è assolutamente vero, è un altro falso storico. Infatti, anche qualora non fosse rintracciata la persona offesa nelle 48 ore (dobbiamo parlare di pratica, perché gli istituti vanno bene, la teoria va benissimo, ma poi dobbiamo confrontarci con il quotidiano processuale), tali affermazioni non sarebbero assolutamente vere, perché, se la querela interviene nei 90 giorni, successivamente alle 48 ore, cioè successivamente alla remissione in libertà, nessuno impedisce al pubblico ministero di avanzare una domanda cautelare. E, se si tratta di un pluripregiudicato, facciamo ancora una volta l'esempio plastico del furto, dopo la domanda cautelare, niente impedisce al giudice della cautela di emettere un'ordinanza, se c'è la querela. Quindi, questa preoccupazione che questo termine di 48 ore vada a mortificare il diritto, la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico, come qualcuno vuole far credere, sempre in minima parte, è un'affermazione non vera.
PRESIDENTE. Concluda.
TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Vado a concludere, signor Presidente. Ricordo un ultimo articolo, ne faccio cenno soltanto in tre secondi, che è quello voluto da Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega, che prevede la sospensione del processo fino a quando non interviene la querela, se interviene o non interviene. Anche questo è un aggiustamento tecnico assolutamente condivisibile.
Credo che il Ministro Nordio, il Governo e il Parlamento (la Commissione giustizia) abbiano fatto un buon lavoro e offerto ai cittadini italiani un buon apparato normativo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Devis Dori. Ne ha facoltà.
DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. La cosiddetta riforma Cartabia del processo penale, con l'obiettivo di ridurre il numero dei procedimenti giudiziari, quindi, con finalità deflattiva, ha ampliato il catalogo dei reati per i quali la procedibilità è subordinata alla proposizione di querela da parte della persona offesa. Da lì, sono emerse, con maggiore evidenza, criticità che, a onore del vero, erano in parte già sussistenti prima della riforma Cartabia, ma che certamente l'ampliamento della procedibilità a querela ha reso ancor più palese, rendendo, quindi, doveroso un intervento normativo ad hoc.
Il provvedimento in esame, oggi, qui, in Aula, affronta due tipi di problemi. Anzitutto, è evidente che la procedibilità a querela è problematica ogni qualvolta la persona offesa non si trovi nelle condizioni di compiere liberamente le scelte relative alla proposizione della querela o alla sua remissione. Mi riferisco, ad esempio, a quei contesti connotati dalla presenza di criminalità organizzata.
Con il presente intervento normativo, invece, i reati procedibili a querela diventano procedibili d'ufficio, se ricorre l'aggravante del cosiddetto metodo mafioso, di cui all'articolo 416-bis, primo comma, del codice penale. La stessa valutazione è stata compiuta anche rispetto ai reati connotati dall'aggravante delle finalità di terrorismo, di cui all'articolo 270-bis, primo comma, del codice penale.
Il secondo problema attiene al fatto che la modifica del regime di procedibilità ha inciso anche su reati per i quali la legge prevede l'arresto obbligatorio in flagranza, ma che possono essere connotati dalla difficoltà di reperire prontamente la persona offesa. Rispetto a questi casi, che oggi non consentirebbero l'arresto in flagranza in mancanza di querela, si è ritenuto possibile prevedere che, anche in mancanza di querela, si possa procedere all'arresto in flagranza a determinate condizioni. Tuttavia, per contenere la nuova previsione, per prima cosa, si è circoscritta la fattispecie ai soli reati ritenuti di particolare allarme sociale, ammettendo l'arresto senza querela solo quando esso è obbligatorio. Inoltre, si è specificato che gli ufficiali o agenti di Polizia giudiziaria non possano procedere all'arresto, se la persona offesa è presente o prontamente rintracciabile. In questo modo, per prima cosa, si precisa che la norma trova applicazione nelle situazioni in cui sussista l'impossibilità oggettiva di acquisire le determinazioni della persona offesa; in secondo luogo, si precisa che, quando la persona offesa sia presente, deve essere quest'ultima a manifestare la volontà che si proceda, con la conseguenza che, ove non lo faccia, l'arresto non è possibile.
Fin qui, l'intervento normativo per noi è condivisibile. Tuttavia, in aggiunta a questi correttivi, a nostro parere, nei lavori di Commissione si sarebbe potuto, anzi, dovuto, fare uno sforzo in più, approvando, tra gli altri, anche due nostri emendamenti, che, però, hanno avuto un parere contrario e, quindi, poi, sono stati bocciati, per i quali, tuttavia, chiederò nuovamente al Governo un'ulteriore riflessione, riproponendo la questione nella forma dell'ordine del giorno. Mi riferisco ai suggerimenti giunti, tra gli altri, anche da associazioni ambientaliste, come WWF, LIPU, Legambiente, che hanno opportunamente evidenziato come l'ampliamento della procedibilità a querela abbia portato a rendere inapplicabili, di fatto, alcune norme che l'ordinamento prevede a tutela dei beni demaniali e dei beni del patrimonio indisponibile dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane.
È di tutta evidenza, infatti, che in tutte le ipotesi in cui siano lo Stato, le regioni, le province, i comuni e le città metropolitane ad essere soggetti offesi dal reato, come nel caso, ad esempio, della sottrazione del proprio patrimonio indisponibile, sia oggettivamente compressa, se non, di fatto, resa impossibile, la possibilità di presentare una querela e, dunque, consentire la tutela del bene giuridico leso dalla condotta criminosa.
Nello specifico, con gli emendamenti che avevamo proposto avremmo modificato gli articoli 625 e 635 del codice penale, quindi, il reato di furto aggravato e quello di danneggiamento, quando rivolti nei confronti di beni demaniali o di beni del patrimonio indisponibile.
Con riferimento all'articolo 625 del codice penale, per fare qualche esempio, rientrerebbero anche il furto di legname facente parte del demanio forestale o del patrimonio di un ente territoriale, il furto di ghiaia o la fattispecie del cosiddetto furto venatorio, ovvero il furto aggravato ai danni dello Stato, consistente nell'illegittima apprensione di fauna selvatica, che è patrimonio indisponibile, ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 157 del 1992, da parte di un soggetto sprovvisto di licenza di caccia. Con riferimento, invece, all'articolo 635, cioè al delitto di danneggiamento, si pensi, ad esempio, alla distruzione di nidi di specie animali protette o in via di estinzione.
Di fatto, le modifiche introdotte dalla riforma Cartabia hanno reso inermi le autorità preposte alla repressione di questi reati diffusi e caratterizzati dalla mancanza di ulteriori strumenti normativi idonei a reprimerli efficacemente, come più volte è stato segnalato all'Italia dalla Commissione europea. Senza, quindi, un ulteriore intervento normativo, si rischia di rendere inefficace e di disperdere il lavoro svolto dalle autorità e ciò diventa, purtroppo, anche un incentivo a depredare beni che appartengono a tutti e che, anzi, devono essere preservati per sempre.
Quindi, pur condividendo la ratio del disegno di legge, a nostro parere, si doveva fare qualcosa in più, perché, è vero che questo è l'effetto di valutazioni politiche già effettuate da un precedente Governo rispetto all'attuale (e, con questo disegno di legge, si apportano correttivi ed integrazioni che condividiamo), però, auspichiamo che proprio il sistema delle procedibilità, come modificato dalla legge Cartabia e, poi, dai successivi correttivi, possa essere costantemente monitorato.
Ciò in modo da valutare gli effetti di queste modifiche e individuare anche possibili distorsioni che porterebbero, di fatto, a una depenalizzazione mascherata almeno dei reati di cui ho parlato poco fa, il cui perseguimento, invece, risulta necessario anche al fine di dare piena attuazione ai principi fondamentali di tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, di cui all'articolo 9 della nostra Costituzione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Pulciani. Ne ha facoltà.
PAOLO PULCIANI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, in realtà già molto è stato detto e, quindi, faremo solo alcuni riferimenti, più o meno precisi, a questo intervento sulla riforma Cartabia e alle modifiche che ad essa sono state apportate. Tale riforma ha reso procedibili a querela di parte alcune fattispecie di reato precedentemente procedibili d'ufficio non perché, in realtà, ne disconoscesse il disvalore sociale ma perché, rispetto alla pretesa punitiva dello Stato e al disvalore sociale, riteneva che, in assenza di un interesse privato che la parte offesa intendesse comunque tutelare anche processualmente e penalmente, non valesse la pena e non ci fosse motivo di perseguirli. Trattasi certamente di reati minori o, per lo meno, come vedremo, minori nella loro possibile configurazione di reati che possono avere una minore o una maggiore gravità a seconda del modo in cui vengono esplicati e del modo in cui il comportamento di chi li compie viene posto in essere.
Questo è particolarmente importante perché, in realtà, molti di questi reati, nella prassi dei tribunali, già si trovavano di fronte alla condizione per cui la parte offesa, anche avendo presentato una querela o avendo dato impulso al procedimento perché aveva fatto una denuncia o segnalato un comportamento che riteneva lesivo dei propri interessi, perdeva poi completamente interesse a perseguirli o addirittura aveva un ripensamento sull'effettiva gravità del reato e sull'effettiva natura dello stesso rispetto alla propria posizione. Tanti giudici, anche dei tribunali ordinari, quando questo accadeva mettevano sovente in atto un artifizio giudiziario con cui veniva riascoltata la parte offesa che non solo doveva ritirare la querela ma doveva spesso modificare la versione resa durante la presentazione della querela o in sede di SIT o di fronte all'autorità giudiziaria stessa, per consentire al PM o al giudice di chiedere un'archiviazione o, meglio, un'assoluzione per tenuità del fatto piuttosto che un'assoluzione perché il fatto non costituisce reato o non è stato commesso.
Chi frequenta le aule dei tribunali sa che spesso ci si trovava di fronte a questa prospettiva che, intanto, era una prospettiva insidiosa perché, dal punto di vista della responsabilità, la parte offesa, che prima dava una versione e magari poi semplicemente ne doveva dare un'altra, solo per interrompere la prosecuzione del procedimento penale, rischiava magari un'imputazione per falsa testimonianza, dato che la parte offesa presenzia nelle aule di tribunale in qualità di testimone.
Tutto questo, quindi, ha fatto sì che la riforma Cartabia in qualche modo individuasse la possibilità, allorché viene meno proprio la stessa volontà o determinazione della parte offesa di tutelare il proprio interesse, di non fare un processo penale per quelle fattispecie di reato che non avevano un allarme sociale tale da giustificare la pretesa punitiva dello Stato a prescindere dall'interesse della parte che aveva subito il danno o il torto. In tal modo, si aveva anche un effetto deflattivo rispetto a tanti procedimenti che inutilmente si protraggono nelle aule dei tribunali e impediscono ad altri, magari ben più gravi, di seguire un corso celere e veloce.
L'introduzione di questa riforma complessiva riguardo alla procedibilità dei reati aveva posto problemi che, in sede di Commissione, abbiamo cercato di risolvere e a cui abbiamo dovuto dare delle risposte. In questo senso va anche l'articolo 1 che, come già hanno illustrato i miei onorevoli colleghi, riguarda la permanenza della procedibilità d'ufficio laddove il reato presenti aggravanti specifiche particolarmente gravi o sensibili o nei casi che hanno determinato un allarme sociale particolarmente forte. Tutti quei reati che, pur nell'estrinsecazione del gesto potrebbero sembrare reati di particolare tenuità o bagatellari, ovviamente vengono perseguiti nel caso vi sia l'aggravante del metodo mafioso o della finalità di terrorismo. Lo stesso lo vedremo anche riguardo all'articolo 2, che viene modificato, di questa proposta legislativa. In quel senso, non bisogna fermarsi solamente alla superficie di ciò che si vede. In altri termini, non si tratta soltanto della lesività del reato in sé quando dietro ci sia anche la possibilità e la prospettiva, con quel piccolo reato o gesto, di lanciare un messaggio ben più grave, che può essere quello dell'intimidazione o anche quello della propaganda terroristica, o quando si vadano a ledere interessi nazionali o della collettività o pubblici che oltrepassano di gran lunga quello che parrebbe essere, in una prima istanza, semplicemente un interesse di carattere privato oppure un interesse della singola persona. Quindi, era necessario intervenire in questo senso e con questo correttivo, che giustamente è stato introdotto.
Anche l'articolo 2 va nel medesimo senso. I fatti di cronaca a cui abbiamo assistito non più tardi di qualche anno fa, quando veniva sferrata una testata a un giornalista al di fuori di una nota palestra di una cittadina vicino Roma, anzi, di un quartiere di Roma, ci hanno dato il segnale che una percossa può non essere semplicemente tale ma può nascondere o voler lanciare un messaggio ben più grave, che va ben oltre la lesione fisica del soggetto che l'ha subita, e tendere, a intimorire, a minacciare e a dissuadere. Anche in questo caso, laddove il delitto di lesioni personali, di cui all'articolo 582 del codice penale, viene commesso da una persona che è sottoposta a un regime di prevenzione sociale - regime che dovrebbe garantire che quella persona non sia socialmente pericolosa o che è stato irrogato perché quel soggetto è in qualche modo all'interno di un sistema di carattere mafioso o di associazione a delinquere - allora il delitto deve necessariamente essere procedibile d'ufficio, perché la vittima potrebbe non avere il coraggio o essere condizionata nelle proprie scelte. Lo stesso accade ancora, d'altronde, per tanti reati che sono procedibili d'ufficio laddove ci sia una condizione di subalternità morale, di subalternità fisica o di subalternità psicologica. Anche in questo caso si perseguono due scopi: in primo luogo, impedire che non si prosegua perché la vittima è intimorita; in secondo luogo, perché lo Stato in quel caso ha un interesse a fermare e a punire quel gesto, perché quel gesto non diventi il messaggio inviato per altri scopi o non diventi, in qualche modo, viatico di un atteggiamento che ha un carattere ben più grave e perché magari è stato messo in pratica da associazioni di carattere criminale.
L'articolo 3 regola, invece, il regime dell'arresto in flagranza. Come ho già detto, anche in questo caso la possibilità che in qualche modo un reato sia perseguibile solo a querela di parte non deve scontrarsi, però, con la prospettiva della celere punizione o dell'interruzione della stessa condotta lesiva qualora venga scoperta in flagranza. Qui c'è stata una mediazione, che spesso troviamo nel diritto penale, tra la necessità punitiva dello Stato e di intervento tempestivo e la necessità di tutelare la libertà individuale come principio costituzionale. La mediazione che in qualche modo si è trovata, che è ragionevole per chi conosce la procedura dei tribunali, è quella di dire che prontamente di fronte a un arresto in flagranza la parte offesa ha la possibilità, nei modi più svariati e anche informali, di presentare querela o di dichiarare di non volerla presentare o, eventualmente, se l'ha presentata, di revocarla.
Se tutto questo avviene nelle 48 ore, non si dà seguito al procedimento; diversamente, si proseguirà nel processo penale. Ovviamente, sono state avanzate, su questa questione, varie perplessità, che riguardano il fatto di intervenire con una misura restrittiva, ovvero l'arresto in flagranza, nel caso in cui non ci sia ancora una condizione di procedibilità a monte, non essendovi ancora la possibilità di querela, ma, come già spiegato dai colleghi, si interviene sostanzialmente con una mediazione. In tanti casi avviene che, prima ancora dell'accertamento del reato, possa essere disposta una misura preventiva, che però avrebbe, nel peggiore dei casi, una durata sicuramente esigua e che non darebbe problemi di carattere procedurale. Quindi, concludo per un parere favorevole, assolutamente favorevole a questi interventi, condivisibili, così come sono stati proposti dal Governo.
PRESIDENTE. Saluto studenti e insegnanti dell'Istituto di istruzione secondaria superiore Keynes, di Castel Maggiore, in provincia di Bologna, che sono qui in tribuna ad assistere ai nostri lavori (Applausi). Precisiamo che sono presenti prevalentemente i deputati impegnati nella discussione generale di questo provvedimento.
È iscritta a parlare la deputata Ascari. Ne ha facoltà.
STEFANIA ASCARI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe, colleghi, membri del Governo, ha inizio oggi alla Camera l'esame del disegno di legge Atto Camera n. 831-A, di iniziativa governativa, recante norme in materia di procedibilità d'ufficio e di arresto in flagranza.
Il disegno di legge prevede la procedibilità d'ufficio per tutti i reati per i quali sia contestata l'aggravante del metodo mafioso o della finalità di terrorismo o di eversione. Modifica il codice antimafia prevedendo la procedibilità d'ufficio anche per il reato di lesione personale quando è commesso da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale fino ai 3 anni successivi al termine della misura stessa. Interviene sulla disciplina dell'arresto in flagranza per i delitti procedibili a querela, consentendolo anche in mancanza di querela nel caso in cui la persona offesa non risulti prontamente reperibile, prevedendo, in tali casi, che la querela possa essere comunque presentata entro il termine di 48 ore dall'arresto.
È bene ricordare che il MoVimento 5 Stelle, per mesi, già dalla fine della scorsa legislatura, si è battuto in una lotta solitaria per apportare tutte queste modifiche e molte altre, considerate le tante criticità del decreto legislativo n. 150 del 2022, la cosiddetta riforma Cartabia, emerse, con evidenza prepotente, proprio all'indomani della sua entrata in vigore. La previsione della querela come condizione necessaria per perseguire diversi delitti odiosi per i cittadini e le cittadine, tra cui le lesioni in ambito familiare e nei contesti delle relazioni affettive, e persino quelle aggravate dal metodo mafioso o dalla finalità terroristica, ha creato ampi spazi di impunità e scaricato sulle vittime il rischio di subire ulteriori ritorsioni. Si tratta di un onere che si somma al danno subito. Si crea, cioè, una privatizzazione del contrasto ai reati, che determina una sovraesposizione personale delle vittime, che spesso, come è facilmente immaginabile, rinunciano a presentare querela per non divenire bersaglio di intimidazioni. Di fatto, si è aperta una grave falla sia nella capacità di risposta dello Stato nei confronti della criminalità organizzata, le cui modalità di azione sono, come sappiamo, intimidatorie e ricattatorie, sia nella lotta alla violenza maschile sulle donne. Facciamo un esempio concreto: se una donna subisce violenza da parte di un uomo, potrebbe essere tentata di non andare a sporgere querela se lui minaccia di picchiarla ancora qualora provi a denunciarlo. Quell'uomo resterà dunque impunito e lei intrappolata nella gabbia della violenza. Questi fatti - ricordiamolo, in quest'Aula - sono prodromici ai femminicidi di cui leggiamo quasi quotidianamente sui giornali. In precedenza, invece, accadeva che, quando una persona, una vittima con lesioni gravi si presentava in ospedale, il procedimento partiva automaticamente con il referto dei sanitari. Con la riforma Cartabia si è deciso di rimettere alla persona offesa la decisione se esporsi denunciando il fatto attraverso la querela o tacere e continuare a subire. Le conseguenze negative di questa decisione non hanno tardato a manifestarsi. Abbiamo tutti bene in mente la revoca della misura cautelare per tre capimafia imputati di lesioni aggravate dal metodo mafioso perché le vittime non hanno voluto procedere con la querela nei confronti degli uomini che le avevano picchiate a sangue. I tre boss sono rimasti in carcere solo perché già accusati e condannati in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso e altri reati, ma, se fossero stati accusati solo del sequestro e del pestaggio, seppure aggravati dal metodo mafioso, a quest'ora sarebbero in libertà. Di sicuro, per la questione del pestaggio non saranno più processati.
Dopo ritardi e un colpevole disinteresse, il Governo ha in parte recepito la nostra proposta, a prima firma del senatore Roberto Scarpinato, per correggere la riforma Cartabia sui reati di grande allarme per i cittadini che sono diventati procedibili solo a seguito di una querela da parte della vittima, anche nel caso di aggravante mafiosa. Si tratta, però, di un'occasione persa, perché il testo del Governo interviene solo su un aspetto, mentre il nostro testo ne affrontava anche altri. Il Governo ha ritenuto di escludere la perseguibilità a querela quando si tratta di reati aggravati dal metodo mafioso o per terrorismo, ma non ci sono solo le lesioni procurate da mafiosi e terroristi. Esiste la violenza in ambito familiare, esistono i reati informatici, le truffe a danno degli anziani. Tutto ciò merita o non merita attenzione? Perciò il MoVimento 5 Stelle ha presentato una serie di proposte emendative per migliorare il testo del Governo. Abbiamo chiesto l'applicazione del divieto di avvicinamento anche per i reati cosiddetti di genere, senza alcun limite e comprendendo la possibilità di impiego di tale strumento non solo per i conviventi o per i congiunti, ma anche per coloro che sono legati da una semplice relazione sentimentale alla persona offesa.
Abbiamo chiesto il divieto di sospensione delle misure cautelari per particolari reati, come maltrattamenti in famiglia, in caso di appello, quando sussistano specifici elementi per ritenere grave e imminente il pericolo che la persona indiziata commetta gravi delitti contro la vita o l'incolumità individuale, oppure contro la libertà personale o morale della persona offesa, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice. Abbiamo chiesto l'estensione delle tutele, in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ai figli nati fuori dal matrimonio, in ossequio alla sentenza della Corte costituzionale n. 189, del 18 luglio 2019.
Oltre che ripristinare appieno la procedibilità d'ufficio per diversi reati di particolare allarme sociale, con il MoVimento 5 Stelle, chiediamo di intervenire anche sul concordato in appello, ristabilendo che non si possa fare ricorso a questo istituto in caso di condanne per reati come mafia, terrorismo, violenza sessuale, sequestro di persona e altre gravi condotte criminali. Spero lo ricordiate: pochi mesi fa si è verificato il caso di un uomo che nel 2011, ben 12 anni fa, violentò una bambina di 11 anni, figlia della sua compagna. Il tribunale di Venezia lo condannò, in primo grado, a 6 anni di reclusione per violenza sessuale e si ritenne che non ci fossero le condizioni per chiedere la misura cautelare. L'imputato è così rimasto libero per anni, senza fare un solo giorno di carcere, in custodia preventiva. Nelle settimane scorse, in sede di concordato con rinuncia ai motivi in appello, ha ottenuto una riduzione di oltre un terzo della pena, che, essendo rimasta sotto il limite dei 4 anni, può essere scontata direttamente a casa. Risultato: un uomo che ha stuprato una bambina di 11 anni non finirà mai in carcere. Dovremmo essere tutti concordi in quest'Aula che quanto accaduto è inaccettabile, ed è urgente correre ai ripari per evitare che fatti simili si ripropongano. Invece, in Commissione giustizia di questa Camera la maggioranza ha respinto la richiesta di esaminare la nostra proposta di legge per la modifica della legge Cartabia e, insieme, del disegno di legge del Governo, gettando alle ortiche la possibilità di correggere rapidamente le varie criticità della riforma Cartabia.
Evidentemente, il Governo e la maggioranza preferiscono privilegiare il tatticismo e le bandierine politiche rispetto all'interesse di tanti cittadini preoccupati per l'insicurezza e l'impunità che queste disposizioni sbagliate stanno producendo.
Allo stesso modo si è scelto di tacere sulle norme introdotte in materia di giustizia riparativa dalla riforma Cartabia. Queste costringono le donne in uscita dalla violenza a percorsi di mediazione e conciliazione espressamente vietati dalla Convenzione di Istanbul, vietati perché le parti sono in posizione di disparità di potere e il contatto rischia di esporre le vittime ad ulteriori pericoli di vittimizzazione secondaria.
Dalla riforma Cartabia, inoltre, non viene garantito il rispetto della volontà della vittima come stabilito dalla direttiva n. 29 del 2012 del Parlamento europeo secondo cui la vittima deve poter scegliere in completa autonomia di partecipare o meno ai programmi di giustizia riparativa.
E preoccupa il fatto che non vengano espresse previsioni in merito al tipo di formazione che devono avere i mediatori e tutti gli operatori dei servizi di giustizia riparativa quando sappiamo benissimo che tutti gli operatori che si occupano di violenza di genere devono essere altamente specializzati per non rischiare di dar luogo a forme di vittimizzazione secondaria che troppo spesso vediamo nei tribunali.
Chi scrive le leggi, il legislatore, non si sveglia il mattino a scrivere una legge: il primo che deve studiare è il legislatore e dovrebbe ascoltare e interloquire con i magistrati, le magistrate, gli avvocati, le avvocate, le associazioni, i volontari e le volontarie, i cittadini e le cittadine che trattano la materia e hanno le mani in pasta, lavorando al fianco delle vittime e scontrandosi in prima persona con le storture della legge. Le loro parole sono oro per chi siede in quest'Aula! Invece, ancora una volta, con il disegno di legge che stiamo esaminando si è scelto di non ascoltarle. In Commissione giustizia io stessa ho presentato numerosi emendamenti volti a rafforzare la tutela delle donne vittime di violenza di genere; tutti i miei emendamenti non sono stati minimamente presi in considerazione da una maggioranza sorda e apatica nei confronti delle vittime.
Quanto al tema dell'arresto obbligatorio, per esempio, ho presentato un correttivo al difetto di coordinamento tra norme che si è venuto a creare con l'entrata in vigore dell'articolo 387-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 4, comma 2, della legge n. 69 del 2019, cosiddetta legge Codice rosso, che ha previsto che chiunque, essendovisi legalmente sottoposto, violi gli obblighi e i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari del divieto di avvicinamento, dell'ordine di allontanamento, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. E questo coordinamento ha trovato una stortura con la legge n. 134 del 2021, che è intervenuta modificando il testo dell'articolo 380 del codice di procedura penale. In Commissione giustizia, diversi magistrati ci hanno chiesto, hanno chiesto al legislatore di correggere questa stortura, la quale va a danno delle persone offese, va a danno delle vittime di violenza di genere.
Cosa bisogna aggiungere? Bisogna aggiungere che l'arresto obbligatorio del trasgressore di queste suddette misure cautelari, che ho appena citato, operato dalla Polizia giudiziaria e l'altrettanto obbligatorio provvedimento di liberazione immediata dell'arrestato, adottato dal pubblico ministero, successivamente alla comunicazione dell'arresto, stante l'impossibilità di richiedere qualsivoglia misura cautelare coercitiva per difetto del limite minimo di pena previsto dal reato - ricordiamolo: il massimo è tre anni - paradossalmente espone la persona offesa, che ha denunciato alla Polizia giudiziaria la violazione della misura da parte del maltrattatore o dello stalker, a sicure e immediate ritorsioni e vendette da parte dell'indagato rimesso in libertà dopo aver appreso di essere stato denunciato dalla sua vittima, accrescendo nello stesso la convinzione dell'impunità per i fatti commessi.
È urgente, quindi, intervenire con rapidità aumentando il limite edittale previsto per la violazione dell'articolo 387-bis del codice penale - portarlo almeno a tre anni e sei mesi di reclusione - al fine di consentire all'autorità giudiziaria, a fronte di un così grave reato, l'applicazione di una misura cautelare idonea a garantire le esigenze cautelari e il concreto e attualissimo pericolo di recidiva della condotta o della commissione di altri più gravi delitti commessi con l'uso di armi o di altri mezzi di violenza personale.
La sicurezza dei cittadini e delle cittadine in ogni ambito della loro vita quotidiana è la vera urgenza della giustizia, non gli abusi inesistenti sulle intercettazioni, rave party, ritornelli assurdi sulla separazione delle carriere e gli interventi realizzati e annunciati per indebolire il contrasto ai reati dei colletti bianchi!
Solo pochi giorni fa è stata la Giornata internazionale della donna, non la festa della donna come ho sentito definirla anche da alcuni rappresentanti politici. E mentre anche dal Centrodestra arrivavano parole, appelli e buoni auspici per le donne, la maggioranza in Commissione giustizia alla Camera bocciava un altro emendamento del MoVimento 5 Stelle a mia prima firma, che proponeva di introdurre un nuovo strumento operativo per proteggere le donne vittime di violenza: il fermo di indiziato dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e atti persecutori. Uno strumento che i pubblici ministeri avrebbero potuto utilizzare anche al di fuori dei casi di flagranza con decreto motivato quando sussistono fondati motivi per ritenere che il maltrattante possa ripetere le azioni violente mettendo a rischio la vita o l'integrità fisica o psichica delle vittime.
Siamo stanche e stanchi della retorica con cui in ogni celebrazione ufficiale viene costantemente ribadito il non riuscire a fare passi in avanti nel contrasto alla violenza di genere; è bene che si sappia che questi ostacoli sono il frutto di tattiche politico-parlamentari che oltre all'offesa arrecano danno alle donne, soprattutto verso quelle che ogni giorno sono alle prese con i loro persecutori.
Mettiamoci bene in testa che nel nostro Paese ogni tre giorni viene uccisa una donna; dall'inizio dell'anno 17 donne sono state uccise in ambito familiare-affettivo; nel 2022 ne sono state uccise 125. E poi c'è tutto il sommerso che non finisce sulle pagine dei giornali. Ci sono le donne che affrontano soprusi nella vita quotidiana e familiare, subiscono violenze, maltrattamenti e minacce; madri vittime di violenza a cui vengono sottratti i figli per troppo amore; donne che sentono di non poter chiedere aiuto. Di tutte loro ci si ricorda nei giorni di celebrazione o quando finiscono sulle pagine di cronaca nera o quando c'è qualcuna da piangere.
Da ultimo, un caso angosciante, che dovrebbe farci tutti riflettere. Pochi giorni fa è morta nella sua casa a Frosinone, dopo una lunga malattia, la giovane mamma che aveva chiesto invano in tribunale di poter riabbracciare un'ultima volta suo figlio, collocato presso il padre già rinviato a giudizio per maltrattamenti. Accanto alla donna era presente la figlia maggiore; con lei ha atteso che arrivasse a darle un ultimo saluto il figlio dodicenne che non vedeva da oltre un anno. Nell'ultima udienza di dicembre 2021, nonostante la richiesta di affido esclusivo alla mamma, la donna sapendo di non potercela fare per l'aggravarsi delle condizioni di salute aveva consentito che temporaneamente il figlio rimanesse con il padre. Poi, ad aprile 2022, a seguito di una consulenza tecnica d'ufficio, fu stabilito senza prendere in considerazione il rinvio a giudizio dell'uomo, che il bambino potesse stare dal padre e che dovesse essere portato dalla mamma una volta al mese. Ciò non è mai avvenuto; la donna ha visto andar via suo figlio a gennaio 2022 e non l'ha mai più riabbracciato, neanche prima di morire! Riuscite o no a immaginare l'abisso di dolore che questa madre si è portata nel cuore fino al suo ultimo giorno? Fa male ammetterlo, ma purtroppo la giustizia si è resa responsabile di questo strazio!
Vorrei che, nelle Aule del Parlamento, noi ci ricordassimo e lavorassimo ogni giorno per tutte queste donne, impegnandoci ad andare oltre le divisioni politiche e scrivendo e approvando leggi utili e di buonsenso, che la società richiede. Le donne non hanno bisogno di auguri, di solidarietà, o - peggio - di commiserazione; hanno bisogno di leggi, di pari diritti e di adeguate tutele. Con il disegno di legge in esame quest'oggi sappiate che un'altra occasione è stata sprecata. Ancora una volta, l'interesse politico è stato anteposto a quello dei cittadini e delle cittadine e, a pagarne le conseguenze, sono - come sempre - le vittime, le persone più vulnerabili, i bambini stessi, e questo non è più tollerabile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ingrid Bisa. Ne ha facoltà.
INGRID BISA (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario Castiello, il disegno di legge Atto Camera n. 831-A, di iniziativa governativa, approvato in sede referente dalla Commissione giustizia, reca alcune modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al codice antimafia e misure di prevenzione, volte a porre - come è già stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto - correttivi alla cosiddetta legge Cartabia. È composto di 4 articoli e origina appunto dalla considerazione che la riforma Cartabia ha aumentato i casi di reati per i quali la procedibilità è subordinata alla proposizione di querela da parte della persona offesa. A fronte di questo intervento però, nella praticità, sono emersi alcuni problemi con riferimento a due diversi profili: da un lato, quando la persona offesa non si trova nella condizione di compiere liberamente le proprie scelte e, dall'altro lato, per i reati per i quali la legge prevede l'arresto obbligatorio in flagranza, ma che possono essere connotati dalla difficoltà di reperire prontamente, nell'immediatezza del fatto, la persona offesa. Su questi aspetti, quindi, il Governo, nel precisare come si tratti peraltro di criticità preesistenti alla cosiddetta riforma Cartabia, ha ritenuto di intervenire con questa proposta normativa, dichiarando di non poter esercitare la potestà legislativa delegata su tale materia, in quanto estranea all'iniziale delega medesima. Nel disegno di legge oggi all'esame dell'Assemblea si prevede, quindi: la procedibilità d'ufficio per tutti i reati per i quali sia contestata l'aggravante del metodo mafioso o della finalità di terrorismo o di eversione; la modifica del codice antimafia, prevedendo la procedibilità d'ufficio anche per il reato di lesioni personali, quando è commesso da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale fino ai 3 anni successivi al termine della misura stessa; si interviene poi sulla disciplina dell'arresto in flagranza per i delitti procedibili a querela.
Nel corso dell'esame in sede referente, sono state introdotte alcune disposizioni - anche con un emendamento a mia firma, quindi con l'attenzione anche da parte della Lega - che modificano la disciplina del giudizio direttissimo e quella del giudizio direttissimo nel rito monocratico, per specificare che, nel caso di arresto obbligatorio in flagranza per reati procedibili a querela, il giudice deve sospendere il processo nel caso in cui manchi la querela e la convalida dell'arresto intervenga prima del termine per la proposizione della stessa. Questo correttivo è stato necessario perché, durante le audizioni, è emerso che gli arrestati potevano essere condotti davanti al giudice per la convalida e il giudizio direttissimo in meno di 48 ore. In questi casi, o le ricerche della persona offesa avevano buon esito – e, quindi, era possibile disporre della querela il giorno dopo -, oppure era verosimile che, per evitare la liberazione dopo la convalida, nell'impossibilità di disporre una misura cautelare senza querela, gli arrestati venissero trattenuti in stato di arresto fino a 48 ore. Quindi, ecco il correttivo che vi ho detto in precedenza.
Vorrei soffermarmi in particolare sull'articolo 3 di questo disegno di legge, che prevede appunto l'arresto in flagranza obbligatorio anche in mancanza di querela, nel caso in cui la persona offesa non risulti prontamente reperibile. L'articolo 380 del codice di procedura penale, nella sua formulazione vigente, prevede che, in caso di delitto perseguibile a querela di parte, si proceda all'arresto in flagranza soltanto qualora la querela venga proposta, anche con dichiarazione orale resa all'ufficiale o all'agente di Polizia giudiziaria presente sul luogo. La remissione della querela impone l'immediata liberazione dell'arrestato.
In base alla nuova disposizione, invece, la querela può anche intervenire successivamente, ma deve comunque essere presentata entro il termine di 48 ore dall'arresto. Gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria che hanno proceduto all'arresto sono tenuti comunque a effettuare tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa che, con gli strumenti che oggi abbiamo nel nostro sistema, avviene già in maniera molto tempestiva. L'arrestato è, quindi, immediatamente liberato se la querela non è proposta nel termine, oppure se la persona offesa dichiara di rinunciarvi o - come nel testo vigente - se rimette la querela proposta. Nella nuova previsione, per prima cosa, la si è limitata solo ai reati ritenuti di particolare allarme sociale dal legislatore, ammettendo l'arresto senza querela solo quando esso è obbligatorio. Inoltre, si è specificato che gli ufficiali o gli agenti di Polizia giudiziaria non possano procedere all'arresto se la persona offesa è presente o prontamente rintracciabile. Proprio a tal fine la norma trova applicazione solo nelle situazioni di impossibilità oggettiva di acquisire le determinazioni della persona offesa. In secondo luogo, si precisa che, in presenza della persona offesa, deve essere quest'ultima a manifestare la volontà che si proceda, con la conseguenza che, ove non lo faccia, l'arresto non è possibile. Allo stesso fine, di contenere l'ambito applicativo della nuova previsione, si è precisato che la querela deve ancora poter sopravvenire in quanto, se si fosse già manifestata la volontà di rinunciare alla querela, non ci si troverebbe nel caso disciplinato dalla norma. Ed ancora: al fine di contenere gli effetti limitativi della libertà impliciti in questa scelta, si è, in aggiunta, previsto che gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria che hanno proceduto all'arresto debbano effettuare tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa e che, se la querela non sopravviene nel termine di 48 ore dall'arresto, oppure l'avente diritto dichiara di rinunciarvi o rimettere la querela proposta, l'arrestato deve essere posto immediatamente in libertà. Nel caso in cui la persona offesa è presente o rintracciata, la querela può essere proposta anche in forma semplificata, con dichiarazioni rese oralmente all'ufficiale o all'agente di Polizia giudiziaria, ferma la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all'articolo 90-bis.
Ritengo, per concludere, quindi che il presente disegno di legge individua un non facile punto di equilibrio tra la salvaguardia delle esigenze precautelari e di sicurezza pubblica, da un lato, e la tutela della libertà personale dell'autore di reato, presunto innocente, dall'altro lato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Antonio D'Alessio. Ne ha facoltà.
ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, cercherò di essere abbastanza sintetico, perché molte considerazioni sono state già fatte e, soprattutto, il quadro nel quale oggi ci muoviamo - ossia il disegno di legge Atto Camera n. 831-A, relativo a norme in materia di procedibilità di ufficio e arresto in flagranza - è chiaro.
Allora, è chiaro che la necessità di ridurre il numero dei procedimenti penali, nel quadro degli obiettivi del PNRR, ha determinato che molti reati oggi necessitano della querela e non sono più perseguibili d'ufficio. È altresì chiaro che siamo nell'ottica di una finalità deflattiva, condivisibile e assolutamente condivisa, però sappiamo bene che si è creato un po' di allarme sociale, che ha indotto il Governo a una rivisitazione, che non è assolutamente - credo di aver interpretato bene - un passo indietro dal punto di vista legislativo, ma che sicuramente ha determinato una serie di correttivi su cui, lo dico subito, c'è qualche perplessità.
Il primo correttivo è assolutamente condivisibile anche da parte nostra ed è quello di cui all'articolo 1, ossia la procedibilità d'ufficio per tutti i reati per i quali sia contestata l'aggravante del metodo mafioso o della finalità di terrorismo o di eversione. È chiaro che la procedibilità d'ufficio vada reintrodotta, e su questo ritengo ci sia una necessità - lo ripeto - condivisibile in quei contesti caratterizzati da forte presenza di criminalità organizzata.
Infatti, in quei territori, anzi in quei contesti (perché poi non si può parlare di territori, ma di contesti generali che possono determinarsi in ogni zona del nostro Paese, anche se ci sono quelli a più forte radicamento della criminalità organizzata), a volte la querela può presentare assolutamente aspetti di problematicità. Quindi sono condivisibili questa preoccupazione e questa reintroduzione della perseguibilità di ufficio a fronte di quella a querela.
Anche l'articolo 2 credo metta un po' tutti d'accordo, cioè includere la lesione personale (articolo 582 del codice penale) tra i delitti per i quali l'articolo 71 del decreto legislativo n. 159 del 2011 prevede la procedibilità d'ufficio, qualora essi siano aggravati per essere stati commessi da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale durante il periodo di applicazione, sino a 3 anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione. Ovvero, se la ratio è quella del contrasto al comportamento posto in essere da un soggetto che ha una sua pericolosità, perché è sottoposto a misura di prevenzione personale o è stato sottoposto a misura di prevenzione personale nei 3 anni precedenti, anche questo trova una sua ratio assolutamente condivisibile, che non è una stretta, ma è una assoluta esigenza che è dettata dal comune sentire, ma che non è condizionata dal comune sentire perché è un'esigenza reale, a nostro avviso, dell'ordinamento.
I problemi nascono, però, sull'articolo 3, o meglio, più che problemi, le perplessità, cioè il fatto che si consentirebbe l'arresto in flagranza obbligatorio anche in mancanza di querela nel caso in cui la persona offesa non risulti prontamente reperibile. Qui vi è una dicotomia antica, quella dell'esigenza della sicurezza, della garanzia dell'ordine pubblico, delle esigenze pre-cautelari, che, naturalmente, devono essere contemperate con la tutela della libertà personale, della presunzione di innocenza, delle garanzie di tutti i soggetti. Ovviamente, sono princìpi costituzionali sottesi ad ambedue le esigenze.
È vero che nell'accezione comune diventa difficile spiegare che su certi tipi di reato, benché perseguibili a querela, non vi possa essere un arresto in flagranza. Bisogna però fare attenzione, cioè il favor della comunità diffusa, del comune sentire del soggetto non abituato a valutare l'ordinamento nella sua complessità delle norme anche penali, potrebbe dire: che problema c'è? Però, onestamente, bisogna fare attenzione a non scardinare dei princìpi, e qui il rischio è grosso, cioè è complicato tecnicamente accettare l'idea di un arresto, cioè di una restrizione della libertà personale, senza una condizione di procedibilità. Spiego a me stesso che c'è una summa divisio, ci sono dei reati che sono perseguibili a querela di parte, perché l'interesse dello Stato è relativamente indebolito rispetto ad altri reati. Quando, cioè, lo Stato ha un grande interesse alla perseguibilità, c'è la denuncia e c'è la perseguibilità di ufficio. Quando, invece, lo Stato non ha una grandissima esigenza di andare a perseguire un reato, rimette alla volontà del soggetto la possibilità di una querela. Ora, se il soggetto presunto danneggiato non querela, il reato non c'è, non è perseguibile. Allora come facciamo ad attribuire poteri di arresto, laddove c'è il rischio che la successiva querela non arrivi e, quindi, non si possa configurare un reato? Questa è una grandissima perplessità e c'è, è vero, la necessità deflattiva dello Stato, però bisogna avere anche coerenza, assolutamente, nel disegnare una norma. E su questo siamo un po' preoccupati. Credo che il dibattito che proseguirà poi con le dichiarazioni di voto indurrà, magari, a una riflessione ulteriore, alla quale tutti parteciperemo.
Voglio solo fare un'ultima considerazione, che è quella che mi derivava dall'esperienza di un collega penalista intervenuto prima, il quale diceva che nell'esperienza quotidiana il soggetto passivo si fa sentire subito, quindi non c'è il rischio di andare a reperire e di appesantire il lavoro delle Forze dell'ordine per andare a rintracciare il soggetto che dovrebbe poi andare a fare la querela. Ma, proprio perché sono casi così residuali, proprio perché raramente si verificherà l'esigenza di andare a arrestare senza una querela - perché è chiaro che, se la querela non ci sarà, non ci sarà la perseguibilità; se la querela ci sarà, ci sarà la perseguibilità -, si diceva: nel 99,9 per cento dei casi, il soggetto ipoteticamente leso e danneggiato immediatamente si fa sentire. Quindi è una norma di scarsa applicazione, evidentemente. Allora, se così è, perché andare a mettere in dubbio un principio finora assolutamente non contestato e mai messo in dubbio da parte dell'ordinamento penale? Cioè, se c'è una norma, se c'è un reato perseguibile a querela, bisogna verificare se c'è la querela per poter poi attribuire poteri anche di arresto. Se la querela non c'è, l'arresto non c'è. Mi si può dire: ma allora tu vuoi degradare, vuoi indebolire il potere dello Stato su dei reati, non affidando allo Stato stesso il potere di arresto? No, non è questo il problema. Se c'è un dubbio sotto questo profilo, cioè se c'è una pericolosità tale per cui lo Stato ritiene di dover attribuire alle Forze dell'ordine l'arresto, allora andiamo sulla perseguibilità d'ufficio. Se non abbiamo il coraggio di dire che quei reati sono perseguibili d'ufficio e li rimettiamo la querela di parte, dobbiamo stare attenti, poi, ad attribuire allo Stato il potere di arresto.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Annarita Patriarca. Ne ha facoltà.
ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). Grazie, Presidente. Il disegno di legge Nordio, oggi in discussione, interviene su specifiche criticità emerse nell'applicazione della cosiddetta riforma Cartabia, rintracciabili, comunque, anche nel precedente impianto normativo del codice di rito, ovvero la riorganizzazione dello strumento della procedibilità a querela di parte, al posto di quella d'ufficio, finalizzata alla contrazione e alla deflazione dei fatti penali di minore gravità, condizione imprescindibile per ridurre il carico processuale nei tribunali.
La formulazione della ratio di legge nella riforma Cartabia non prevedeva, però, un aspetto, che, soprattutto in alcuni contesti territoriali ne compromette non solo l'efficacia, ma rischia addirittura di rappresentare un vulnus per le ragioni delle parti lese, e cioè: quando questi reati per i quali è prevista la querela di parte, pur se astrattamente non gravi, sono commessi in un contesto di associazione mafiosa, di terrorismo o di eversione, c'è il rischio concreto che la vittima non sia libera di presentare querela e che finiscano, dunque, per sfuggire alla punizione proprio i criminali più pericolosi. Non è un caso astratto, ma è quanto accaduto realmente, per esempio all'inizio di gennaio, nel corso di un processo celebrato a Palermo, dove la procura del capoluogo siciliano è stata costretta a disporre la scarcerazione dei tre imputati per lesioni aggravate dal metodo mafioso solo perché mancavano le querele delle vittime; vittime che potrebbero essere state minacciate, o intimidite, o addirittura impossibilitate dalla semplice pressione psicologica del contesto ambientale in cui vivono a richiedere l'intervento dell'autorità giudiziaria. Una evidente distorsione, che, lungi dal rendere più efficiente la giustizia, come peraltro richiesto anche nel contesto europeo per le finalità del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la rende meno efficace nel perseguire i fenomeni criminali di evidente allarme sociale.
Dunque, a questo punto, con grande tempestività e chiarezza di intenti è arrivato il disegno di legge di iniziativa del Ministro Nordio, che neutralizza queste criticità e prevede la procedibilità d'ufficio per tutti i reati per i quali è contestata l'aggravante del metodo mafioso o della finalità di terrorismo e di eversione.
Quest'ultima circostanza appare ancora più urgente, considerata la recrudescenza di fenomeni terroristici legati alla galassia anarchica, su cui anche le nostre agenzie di intelligence si sono recentemente soffermate nella relazione annuale presentata a fine febbraio.
Inoltre, colmando una lacuna del codice antimafia, il disegno di legge interviene anche sul reato di lesione personale, che diventa sempre procedibile d'ufficio, quando è commesso da una persona sottoposta a misura di prevenzione personale fino ai 3 anni successivi al termine del provvedimento. Come giustamente ribadito nella relazione illustrativa, è stata ritenuta del tutto irragionevole l'esclusione dall'elenco del delitto di lesione personale, anche in considerazione del fatto che sono, invece, inclusi nell'elenco medesimo i delitti di violenza privata e minacce. Dunque, un allargamento del perimetro che, di fatto, va incontro alle esigenze di giustizia di territori dove la violenza e la presenza mafiose compromettono e inquinano il regolare svolgimento della vita quotidiana e dei suoi diversi ambiti, a cominciare da quello economico ed imprenditoriale.
Il disegno di legge di iniziativa governativa interviene, poi, anche a modifica degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, riguardanti l'arresto in flagranza obbligatorio e quello facoltativo, che potranno essere eseguiti anche in mancanza di querela, se la persona offesa non è presente o prontamente reperibile, a differenza, invece, di quanto oggi previsto.
La normativa vigente prevede, infatti, che, in caso di delitto perseguibile a querela di parte, si proceda all'arresto in flagranza, sia obbligatorio che facoltativo, soltanto qualora la querela sia proposta anche con dichiarazione orale resa all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente sul luogo. La novellazione comporta, invece, che la querela potrà essere resa anche oralmente, ma, se la vittima non intende presentarla o la querela non arriva entro le 48 ore, l'arrestato dovrà essere immediatamente scarcerato. È chiaro che tale impostazione, nei suoi fondamenti tecnici, etici e normativi, colma una lacuna che, al di là degli aspetti critici sul punto emersi con la riforma Cartabia, il nostro ordinamento sopportava già da tempo, confermando che il Governo, in tutte le sue componenti, e la maggioranza parlamentare, in tutte le sue articolazioni, intensificano la lotta alla criminalità mafiosa, garantendo ai cittadini tutti gli strumenti normativi necessari per la loro tutela e sicurezza.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata D'Orso. Ne ha facoltà.
VALENTINA D'ORSO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe, colleghi, rappresentante del Governo, siamo qui, oggi, ad esaminare il disegno di legge che prevede una serie di piccoli interventi (chirurgici, ma, a nostro avviso, troppo circoscritti), che si è resa necessaria, a detta anche del Governo (e qui citerò alcuni passaggi della relazione che introduce questo disegno di legge), per correggere alcune criticità che si sono manifestate all'indomani dell'entrata in vigore della riforma Cartabia.
Il primo problema che si è presentato era quello che la procedibilità a querela, che è stata estesa a un numeroso elenco di reati prima procedibili d'ufficio, poteva presentare aspetti problematici, distorsioni, quando la persona offesa non si trovava nelle condizioni di compiere liberamente le scelte relative alla proposizione della querela o alla sua remissione. Abbiamo visto, con tutta evidenza, questa distorsione, questa stortura della riforma Cartabia, nel momento in cui - lo ricordava la collega che mi ha preceduto - la procura di Palermo, il tribunale di Palermo ha lanciato un allarme che non poteva rimanere inascoltato, perché abbiamo rischiato di scarcerare 3 soggetti mafiosi che avevano effettuato un pestaggio, quindi lesioni volontarie aggravate, e un sequestro di persona finalizzato al pestaggio in un contesto mafioso.
Come MoVimento 5 Stelle, siamo stati i primi a raccogliere quell'accorato appello, quel grido di allarme che si è innalzato dalla procura, dal tribunale di Palermo, e lo abbiamo fatto grazie all'intervento legislativo che è stato prontamente presentato, l'indomani di questi fatti dal nostro senatore ed ex procuratore antimafia Roberto Scarpinato.
Quindi, siamo stati i primi a sentire l'urgenza di un intervento correttivo, quantomeno di un primo intervento correttivo, e dobbiamo dire, per onestà intellettuale, che l'articolo 1 di questo disegno di legge recepisce in toto la proposta del senatore Scarpinato depositata all'indomani di questo grave episodio, che abbiamo ricordato anche in quest'Aula. Ripeto, in quel caso non si è arrivati alla scarcerazione solo e soltanto perché erano stati contestati a quei soggetti altri reati in forza dei quali venivano mantenuti in carcere. Quindi, questo primo intervento ci vede assolutamente d'accordo, condividiamo senza ombra di dubbio le finalità dell'articolo 1.
Poi cosa fa il disegno di legge? All'articolo 2, fa un altro piccolo intervento, inserendo nell'elenco di reati che diventano procedibili d'ufficio, quando commessi da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale, le lesioni volontarie, ex articolo 582. Condividiamo la finalità anche di questo intervento, e va detto.
Cos'è che, in realtà, non possiamo condividere dell'impianto di questo disegno di legge? Sicuramente, non possiamo condividere il fatto che si tratti di un'occasione mancata per risolvere molte altre criticità che l'entrata in vigore della riforma Cartabia ci ha posto innanzi agli occhi. Ma dico di più, in realtà, non condividiamo neanche una soluzione così troppo miope rispetto anche alla problematica della procedibilità a querela. Il MoVimento 5 Stelle ha una posizione ben più radicale su questo, nel senso che abbiamo presentato una proposta di legge in questo ramo del Parlamento, che avremmo voluto abbinare - ma ci è stato impedito - al disegno di legge in esame, con la quale ripristiniamo la procedibilità d'ufficio per tutta una serie di reati davvero odiosi per i nostri cittadini. Quindi, la finalità del disegno di legge viene da noi condivisa, ma non possiamo condividere l'atteggiamento di assoluta chiusura e resistenza a qualsiasi tipo di ragionamento che voleva migliorare le tutele nei confronti delle vittime di reato, che abbiamo tentato di portare all'attenzione della maggioranza e del Governo, trovando, però, un muro assoluto ad arginare qualsiasi tipo di ragionamento e di nostra proposta emendativa, ripeto, al sol fine di migliorare questo testo e, soprattutto, l'impatto che si poteva avere sulla vita dei cittadini.
Nel corso dell'esame in Commissione giustizia, invece, le uniche modifiche che sono state introdotte riguardano alcune disposizioni che incidono sulla disciplina del giudizio direttissimo per specificare che, nel caso di arresto obbligatorio in flagranza, per reati procedibili a querela, il giudice deve sospendere il processo nel caso in cui ancora manchi la querela e la convalida dell'arresto intervenga prima del termine per la proposizione della stessa. Perché c'è stata necessità di queste modifiche in Commissione? Perché l'articolo 3 - che ancora non abbiamo illustrato e su cui non mi sono ancora intrattenuta - di questo disegno di legge introduce un altro correttivo, che, nella relazione illustrativa, viene spiegato con l'esigenza di rispondere ad un secondo aspetto problematico che il mutamento di regime di procedibilità - da procedibilità d'ufficio a procedibilità a querela - ha praticamente provocato, ovvero il problema per cui, spesso e volentieri, quando abbiamo innanzi l'autore di un reato per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, non solo la persona offesa non è sempre presente sui luoghi per sporgere querela, ma non è neanche sempre prontamente reperibile o rintracciabile che dir si voglia, così come è stato scritto nel disegno di legge.
Questa soluzione, quindi, in qualche modo, è un'esigenza che anche noi potremmo sottolineare, che sottolineiamo, è vero; a proposito del mandare in fumo – o, comunque, non procedere a - un arresto obbligatorio in flagranza solo perché non sia presente sui luoghi la vittima del reato - e, magari, stiamo parlando di furti aggravati, magari, stiamo parlando di violazione di domicilio, magari, stiamo parlando di varie tipologie di reati che sono odiosi per il cittadino -, voi cosa fate, che soluzione date? Date la soluzione di procedere comunque all'arresto obbligatorio in flagranza, ma attendendo queste fatidiche 48 ore e scaricando sulla Polizia giudiziaria la ricerca affannosa della persona offesa, per far sì che venga raccolta la querela entro queste 48 ore. Ebbene, anche in sede di audizione è emerso che, forse, si sarebbe fatto prima e meglio a seguire, invece, la nostra proposta, la nostra soluzione, ovverosia: se vi sono reati percepiti, giustamente, come particolarmente odiosi dalla cittadinanza, che possono minare la sicurezza collettiva e anche la stessa credibilità delle istituzioni, se non li andiamo a perseguire nell'immediatezza dei fatti, forse, la soluzione sarebbe stata quella di ricondurre al regime di procedibilità d'ufficio tali reati e non “macchinare”, passatemi il termine, questo tipo di soluzione che non è priva di talune criticità che, appunto, abbiamo avuto modo di evidenziare e di ascoltare anche dagli auditi. Quindi, siamo in presenza di un disegno di legge per il quale non possiamo fare altro che dire che si tratta di un'occasione mancata.
Ora, noi del MoVimento 5 Stelle non volevamo far finta di niente e girarci dall'altra parte rispetto a queste altre condotte che, magari, possono essere percepite come di minore rilievo rispetto a quelle che avvengono in un contesto mafioso e per le quali sicuramente il correttivo individuato è non solo utile, non solo opportuno, ma necessario; ci sono, infatti, tanti altri episodi di cronaca che, in questi ultimi mesi, ci hanno scioccato, ci hanno lasciato sgomenti, e ci sono anche varie criticità, come vi dicevo, che le associazioni a tutela delle vittime dei reati, o anche gli esponenti delle stesse Forze dell'ordine, ci hanno indicato, segnalato.
Tra i fatti di cronaca che ci hanno lasciato sicuramente sgomenti, ve ne sono alcuni che citerò puntualmente; citerò titoli di articoli di stampa: parliamo di ladri professionisti, a processo per furti plurimi che, invece di essere condannati, vengono prosciolti e scarcerati per mancanza di querela; parliamo di un condannato per reati di violenza sessuale che, in assenza di impugnazione in secondo grado, riceve, per questo solo fatto, automaticamente, lo sconto di un sesto sulla pena inflitta in primo grado; parliamo del concordato con rinuncia ai motivi di appello che, come sappiamo, è una sorta di patteggiamento tramite il quale le parti processuali possono, in qualche modo, concludere il giudizio di appello, ma a condizione che vi sia comunque un ulteriore sconto di pena nei riguardi del condannato, e tutto questo oggi è possibile anche per gravi reati sessuali, di mafia, di terrorismo, perché la riforma Cartabia ha escluso, quindi, ha abrogato un secondo comma che prevedeva esclusioni, preclusioni rigorose per alcune tipologie di reati. Ancora, parliamo di un imputato, accusato di avere rinchiuso una ventiquattrenne in un appartamento, che è stato prosciolto, perché la presunta vittima non ha mai sporto querela ed è risultata irreperibile, mandando in fumo 3 anni di lavoro di Carabinieri, procura e giudici. Lo ripeto, sono tutti estratti di articoli di stampa.
Avevamo un'occasione, che era quella di metter mano a una revisione e di correggere anche tutte le altre storture della riforma Cartabia; invece non lo avete fatto, perché noi ve l'abbiamo proposto e vi abbiamo anche dato gli strumenti per farlo, ma appunto non lo avete fatto e questo cosa significa? Significa mancanza di certezza della pena, significa far lavorare inutilmente le Forze dell'ordine, i magistrati, investendo e perdendo poi risorse importanti per lo Stato, significa scaricare il peso della giustizia unicamente sulle vittime del reato e questo, per noi, è assolutamente intollerabile, lo ha già ricordato la mia collega Stefania Ascari.
Il decreto legislativo Cartabia, lo ribadiamo, è intervenuto ampliando il regime di procedibilità a querela e vi elenco - perché è utile, è utile per i cittadini che ci seguono, sentirlo - tutti i reati a cui si riferisce: lesioni personali, lesioni personali stradali gravi o gravissime, delitto di sequestro di persona semplice, violenza privata, violazione di domicilio, furti aggravati, turbativa violenta di possesso di cose immobili, danneggiamento, frode informatica e truffa, anche quando sono aggravati dal danno di rilevante entità, e poi, l'ho già ricordato, ha tolto il divieto di applicazione dell'istituto del concordato in appello per i gravi reati di mafia, terrorismo e altri reati associativi, nonché per i reati di natura sessuale, anche, quelli di violenza alle persone, in particolare su donne e minori.
Tutto ciò è profondamente sbagliato; ne trarremo le conseguenze e, purtroppo, ne trarranno le conseguenze i cittadini che subiranno questi reati come vittime. Noi, in questo modo, stiamo scaricando la perseguibilità di alcuni fatti delicatissimi di reato sui cittadini, di quei reati che creano intimidazioni e si ripercuotono sulla volontà degli stessi cittadini di agire per chiedere giustizia, perché non c'è intimidazione solo in contesti mafiosi, ma anche in tanti altri contesti, pensiamo anche ai contesti familiari, lo ripeto e lo ha già ribadito anche la collega Stefania Ascari, che sul punto aveva presentato anche alcuni emendamenti.
Vi faccio un esempio, che può essere veramente banale, però, è significativo: se una persona subisce un furto da un borseggiatore abituale che frequenta la stessa linea di autobus che proprio quella vittima prende quotidianamente per andare a lavorare e che è l'unico mezzo per andare a lavorare, ecco, io penso che quella vittima di reato eviterà di sporgere querela, perché si sentirà intimidita dal solo fatto di incontrare tutti i giorni lo stesso soggetto che ha denunciato. Sono questi i fatti, gli episodi che incidono sulla vita del cittadino comune, non altri. Voi, invece, vi riferite e avete in mente solamente altre tipologie di reati, altre tipologie di episodi.
In secondo luogo, perché volevamo ripristinare, per certi reati, la procedibilità d'ufficio? Perché sono reati che, per la loro natura, hanno una maggiore difficoltà di emersione, se non con l'ausilio appunto di attività di polizia, o anche una difficoltà ad essere proprio compresi dalle vittime. Il disvalore del reato può essere non compreso fino in fondo dalle vittime e parliamo, ancora una volta, delle truffe, delle frodi informatiche; pensiamo a tutte quelle maxi-retate di soggetti che commettono frodi o truffe su centinaia di persone tramite mezzi informatici e telematici. Ecco, è venuta meno la procedibilità d'ufficio, anche quando la truffa sia aggravata dalla rilevante gravità del danno patrimoniale inferto, ma ricordo a me stessa che il grave danno patrimoniale potrebbe ben realizzarsi anche attraverso micro-truffe seriali che, sebbene non provochino un danno patrimoniale ingente alla singola persona offesa, nel complesso realizzano per il truffatore un enorme profitto illecito e, di certo, un grave danno per la collettività.
Mi preme ricordare una cosa, perché spesso ce lo sentiamo dire dai colleghi: guardate che la legge delega che abbiamo votato anche noi, come MoVimento 5 Stelle, la n. 134 del 2021, non conteneva l'elenco dei reati su cui apportare le modifiche al regime di procedibilità, ma stabiliva solo alcuni criteri per individuare i reati, su cui il Governo poi avrebbe fatto le sue scelte, scelte successive, che sono state appunto frutto di decisioni solo del Governo e non sono state mai avallate dal MoVimento 5 Stelle, tutt'altro. Ricordo che, in sede di esame dei decreti legislativi, non appena abbiamo visto, nero su bianco, quei principi di delega tradotti nell'elenco dei reati, abbiamo subito denunciato a gran voce la nostra contrarietà, portandovi quelle stesse ragioni e quegli stessi esempi che io oggi sto illustrando in quest'Aula, facendo veramente, sempre, questi stessi esempi, che la cronaca ci sta restituendo, oggi, come realtà. Depositammo, allora, un parere alternativo, in cui appunto chiedevamo di correggere il tiro, era settembre, e votammo contro il parere di maggioranza, che era totalmente appiattito, invece, sulla posizione governativa.
Ebbene, questa è un'occasione mancata, ma potremmo ancora avere il tempo di rimediare. Noi abbiamo ripresentato tutti i nostri emendamenti, già respinti da questa maggioranza e da questo Governo in Commissione, che ripristinano la procedibilità d'ufficio per tutti questi reati di cui vi ho fatto cenno e di cui abbiamo già avuto esempi.
Ecco, non è possibile scegliere la soluzione più facile, che è quella della fuga dal processo, perché questa è la strada che state prendendo in nome del PNRR. State prendendo la strada di aumentare i casi di impunità. State prendendo la strada della fuga dal processo. Proponevamo una cosa diversa, invece, cioè di continuare nella strada dell'investimento delle risorse per la giustizia, perché veramente quello è il cuore di tutto: continuare nel solco di quanto fatto dall'ex Ministro Bonafede in tema di assunzioni (si tratta soprattutto di risorse umane).
Tra l'altro, non possiamo neanche tacere e rimanere sordi davanti al fatto che il vostro disegno di legge ha avuto fortissime critiche da parte degli auditi, da parte sia dei procuratori intervenuti sia dei rappresentanti delle Forze dell'ordine, soprattutto con riferimento all'articolo 3, che dovrebbe correggere il tiro rispetto all'arresto obbligatorio in flagranza in assenza di querela. Ebbene, ci sono state critiche unanimi contro l'articolo 3, perché desta molte perplessità la privazione della libertà di un soggetto in un momento in cui non è neppure certo che quel soggetto potrà mai essere concretamente perseguibile, perché la querela potrebbe non sopraggiungere mai. Oggi, il soggetto arrestato in flagranza, inoltre, viene immediatamente posto nella disponibilità del pubblico ministero, il quale, molto spesso, lo porta dinanzi al giudice per la convalida dell'arresto ben prima del maturare delle 48 ore entro le quali l'arrestato deve essere tratto, appunto, dinanzi al giudice. D'ora in poi, invece, sia la polizia giudiziaria sia il pm attenderanno lo spirare di quelle 48 ore. Perché? Perché aspetteranno che la Polizia giudiziaria rintracci la persona offesa e raccolga la querela.
Forte preoccupazione, poi, per il ruolo delle Forze dell'ordine, su cui graveranno le non semplici operazioni di rintraccio delle persone offese in una tempistica considerata troppo ristretta e con risorse umane insufficienti per svolgere tutte le attività che le funzioni di polizia giudiziaria impongono nell'immediatezza del fatto di reato. E sono pure preoccupati dalle ripercussioni sotto il profilo disciplinare per la loro valutazione, nel senso dell'arresto obbligatorio o nel senso di non operare quell'arresto, perché la locuzione “non è prontamente rintracciabile” (o prontamente rintracciabile) è davvero troppo vaga e può essere suscettibile d'interpretazioni diverse
PRESIDENTE. Concluda.
VALENTINA D'ORSO (M5S). Quindi, vorremmo raccogliere tutte queste preoccupazioni degli auditi…
PRESIDENTE. Concluda.
VALENTINA D'ORSO (M5S). Sì, concludo. Vorremmo raccogliere le preoccupazioni degli auditi e vi abbiamo dato un modo, anche ora in Aula, per poterlo fare, ossia i nostri emendamenti. Scegliamo, per la prima volta, la strada più semplice, che è quella che, davanti a reati di grave allarme sociale e di grave disvalore, si torni alla procedibilità d'ufficio e non si tenti di mettere pezze in altro modo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 831-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice Maria Carolina Varchi, che rinuncia.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Lupi ed altri n. 1-00053 concernente iniziative di competenza in materia di processo penale in relazione al rispetto dei principi costituzionali (ore 16,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Lupi ed altri n. 1-00053 concernente iniziative di competenza in materia di processo penale in relazione al rispetto dei principi costituzionali (Vedi l'allegato A).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Calderone e altri n. 1-00090, D'Orso ed altri n. 1-00091 e Bisa ed altri n. 1-00092, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A).
I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare il deputato Pino Bicchielli, che illustrerà anche la mozione Lupi ed altri n. 1-00053, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il quadro normativo che regola l'ordinamento processuale penale italiano è ispirato e adeguato ai principi fondamentali incardinati nella Costituzione italiana. In particolare, l'articolo 111 della Carta costituzionale stabilisce che “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”, riservando poi al legislatore l'importante compito di regolare lo svolgimento del processo, come indicato, altresì, al secondo comma dell'articolo 111 della Costituzione: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
Da ciò deriva, peraltro, la tutela dei diritti che il sistema giudiziario italiano assicura a ciascuna parte. Proprio alla luce del suddetto articolo, trova posto il principio relativo alla ragionevole durata del processo.
La riduzione dei tempi del giudizio costituisce, altresì, una delle misure concernenti la riforma del sistema giudiziario, nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È importante sottolineare, inoltre, che il Consiglio europeo, anche precedentemente all'approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha indicato come la repressione della corruzione resta, tuttavia, inefficace in Italia, soprattutto perché la durata dei procedimenti penali continua a essere eccessiva in mancanza della tanto necessaria riforma del processo penale, ivi incluso il sistema di appello per evitare abusi dei contenziosi.
L'attenzione, quindi, che il legislatore deve prestare a tale principio è rafforzata dalle condanne che la Corte di Strasburgo ha inflitto nei confronti dell'Italia a seguito della riconosciuta violazione del suddetto principio.
Alla luce dei principi costituzionali, tra i diritti spettanti al soggetto imputato/indagato brilla il principio della non colpevolezza, altresì conosciuto come presunzione di innocenza, incorniciato dall'articolo 27, secondo comma, della Costituzione italiana, che statuisce: “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Il medesimo principio trova poi esplicita espressione nell'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a norma del quale ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata, e, altresì, nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, precisamente all'articolo 6.
L'Unione europea è intervenuta sulla materia della presunzione di innocenza con la direttiva 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali. L'articolo 3 stabilisce che la presunzione di innocenza è riconosciuta agli indagati e agli imputati fino a quando non è stata legalmente provata la colpevolezza.
L'Italia, con riguardo proprio al recepimento della direttiva 2016/343, dopo un primo momento, nel quale aveva valutato l'ordinamento giuridico nazionale come conforme alle misure minime comuni stabilite dalla direttiva unionale, ha deciso, successivamente - alla luce della relazione sullo stato di attuazione della direttiva -, di predisporre la legge n. 53 del 2021, a seguito della quale il Governo ha presentato lo schema di decreto legislativo n. 285. Difatti, seppure l'Italia non abbia ricevuto esplicito riferimento nella suddetta relazione, avendo, però, riscontrato alcune criticità, anche con riguardo all'articolo 4 della direttiva e volendo evitare di incorrere in infrazioni, ha proceduto a novellare alcuni aspetti del quadro giuridico relativo proprio alla presunzione di innocenza. Il Governo ha, pertanto, emanato il decreto legislativo n. 188 del 2021, recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.
In particolare, l'articolo 4 della direttiva stabilisce che gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato/imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato/imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità. La presunzione di innocenza, come, altresì, indicato nelle comunicazioni del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sulle linee programmatiche del suo Dicastero lo scorso 6 dicembre 2022 alla Commissione giustizia del Senato e come poi ribadito alla Commissione giustizia della Camera dei deputati il giorno successivo, è stata vulnerata in molti modi.
Diventa, pertanto, doveroso che la politica intervenga per risolvere le problematicità connesse a tale situazione. È opportuno che il legislatore identifichi le cause che, in qualsivoglia maniera, compromettano i principi costituzionali in materia di giustizia e che ci si attivi, in tempi quanto più rapidi e attraverso interventi normativi mirati, per ristabilire un sistema di giustizia ispirato e adeguato alla Costituzione, oltre che alle Convenzioni internazionali che regolano la materia.
Tra le cause che ledono i princìpi costituzionali va menzionato l'uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni. L'utilizzo improprio delle intercettazioni costituisce difatti una criticità del sistema giudiziario penale al quale il legislatore ha prestato attenzione negli ultimi anni e sul quale è opportuno intervenire. Particolare attenzione va posta sull'informazione di garanzia, che viene spesso utilizzata per costruire processi di natura mediatica, anche attraverso la diffusione di dati che dovrebbero essere riservati, generando situazioni lesive del principio di presunzione di innocenza.
È fondamentale, pertanto, che il legislatore intervenga per tutelare maggiormente la riservatezza delle comunicazioni e la segretezza dell'avviso di garanzia in quanto strumenti di tutela del soggetto. Alla luce del principio di presunzione di innocenza e del principio di ragionevole durata del processo risulta altresì importante che il legislatore si concentri sul tema della prescrizione. Come richiamato appunto nell'ordine del giorno n. 9/705/149 del 28 dicembre 2022, “l'allungamento dei tempi processuali non solo collide con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che, al contrario, ne impongono una significativa riduzione, ma si pone altresì in aperto contrasto con i principi costituzionali di presunzione di innocenza, funzione rieducativa della pena e ragionevole durata del processo”.
Come noto al legislatore, sul tema della prescrizione è intervenuta la riforma Cartabia, ma, come indicato nel suddetto ordine del giorno, “la riforma Cartabia, tuttavia, non ha modificato il principio di sospensione della prescrizione sostanziale dopo la sentenza di primo grado, che era stato fissato dalla riforma Bonafede, configurando piuttosto un'ipotesi di improcedibilità in appello; infatti, pur dovendosi apprezzare la scelta di ovviare alle macroscopiche criticità derivanti dalla cosiddetta Spazzacorrotti, non può non rilevarsi la necessità di ripristinare definitivamente la disciplina sulla prescrizione in un quadro di coerenza sistematica”.
Signor Presidente, ulteriore criticità del sistema concerne la giustizia amministrativa, la quale soffre di una paralisi che inficia il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e che richiede al legislatore di intervenire sulla revisione di alcuni reati. In particolare, si auspica un intervento legislativo sul reato di abuso di ufficio disciplinato dall'articolo 323 del codice penale, per il quale si riscontra un numero di condanne minimo rispetto al numero delle indagini avviate. In tal modo si vogliono altresì tutelare gli amministratori locali, che sempre più spesso si trovano a dover dedicare parte del loro tempo e delle proprie risorse a procedimenti non connessi a reali responsabilità per illeciti personali, ma conseguenti al mero adempimento delle proprie funzioni.
È pertanto doveroso intervenire per difendere gli amministratori locali con provvedimenti normativi dedicati, volti a impedire che il loro lavoro sia inficiato da procedimenti per reati di lieve entità e non connessi a responsabilità reali.
Si ritiene, altresì, fondamentale intervenire sulla norma che disciplina il reato di traffico di influenze illecite, che, come anche richiamato dal Ministro Nordio nel suo intervento, di cui parlavamo prima, al Senato il 6 dicembre 2022, difetta di tipicità e tassatività, consentendo pertanto l'avvio di indagini che rischiano di essere discrezionali.
Signor Presidente, quindi, alla luce di quanto esposto e con il fine di adeguare il sistema giudiziario ai principi costituzionali ed internazionali, è essenziale, secondo me, che il legislatore intervenga affinché la giustizia italiana sia regolata in modo tale da far nuovamente risplendere i principi fondamentali che sono alla base del nostro ordinamento.
Con questa mozione, signor Presidente, intendiamo impegnare il Governo: ad istituire presso il Ministero della Giustizia una commissione di esperti che puntualmente, per quanto di competenza, monitori l'applicazione dei principi costituzionali in materia di processo penale, con il fine di: identificare le criticità del sistema giudiziario penale rispetto ai principi costituzionali e di promuovere eventuali iniziative legislative al riguardo; rendere effettivo, anche attraverso iniziative culturali e di informazione, il principio di non colpevolezza previsto dall'articolo 27 della Costituzione; tutelare i diritti del soggetto indagato o imputato attraverso iniziative normative mirate; adottare iniziative normative per disciplinare ulteriormente la materia delle intercettazioni, onde evitarne l'abuso; adottare iniziative normative volte a impedire la paralisi del sistema della pubblica amministrazione; adottare iniziative normative volte a riformare il reato di abuso di ufficio; adottare iniziative normative volte a riformare il reato di traffico di influenze illecite alla luce dei principi di tassatività e tipicità; adottare, infine, iniziative normative in ordine al tema della prescrizione con il fine di ristabilire la prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Calderone, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00090. Ne ha facoltà.
TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Presidente, Governo, colleghi, la nostra mozione, la mozione di Forza Italia impegna il Governo, se così posso sintetizzare correttamente quello che non soltanto milioni di cittadini ci chiedono, ma che anche l'Europa ci chiede, a rendere attuale il cosiddetto giusto processo. Tutte le iniziative che noi abbiamo sintetizzato nella nostra mozione militano in tal senso. Intanto e per prima la risoluzione della questione prescrizione, il ritorno alla prescrizione sostanziale. La riforma Bonafede aveva veramente messo in dubbio, potrei dire, le fondamenta del giusto processo, avendo istituzionalizzato il processo senza fine; addirittura prevedendo, dopo la sentenza di primo grado, la sospensione della prescrizione. Quanto di più aberrante possa individuarsi in una norma giuridica!
La riforma Cartabia ha tentato di porre rimedio con una soluzione che, devo dire la verità, non ci convince fino in fondo, ed è questa la ragione per la quale Forza Italia chiede che si intervenga in maniera efficace ed efficiente sulla prescrizione. La riforma Cartabia ha previsto un altro istituto giuridico discutibile, se così posso affermare, cioè quello della improcedibilità. Non ci convince - lo dico in maniera netta e chiara - neanche questo istituto giuridico. Il cittadino ha il diritto sacrosanto che il processo si celebri in tempi ragionevoli; la ragionevole durata del processo è uno dei principi cardine del nostro ordinamento processuale penale e anche di più alto rango, e cioè di rango costituzionale. Ed allora celebriamo celermente i processi, ce lo chiede l'Europa, non allunghiamo sine die i processi, così come prevedeva la riforma Bonafede, a cui, devo dire, ha posto parziale rimedio la riforma Cartabia.
Altra questione molto importante, reclamata da Forza Italia, è quella relativa a un altro istituto, cioè l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero. Cari colleghi, dopo la sentenza di primo grado, se c'è un'assoluzione, questa assoluzione passa il vaglio non soltanto della fase procedimentale delle indagini preliminari, non soltanto dell'udienza preliminare, altra fase procedimentale, ma addirittura passa il vaglio di una tante volte articolata, completa, esaustiva istruttoria dibattimentale.
E se, dopo un'istruttoria dibattimentale che, spesse volte, tante volte, potrei anche dire troppe volte, si snoda in tante udienze dibattimentali, un giudice, anche collegiale, cioè tre giudici arrivano a una sentenza di assoluzione, noi non dobbiamo pensare che un processo debba durare all'infinito, anche in questo caso. Il nostro suggerimento, rectius, impegno, è quello di suggerire al Governo di pensare attentamente, di riflettere attentamente sulla possibilità di rendere inappellabili le sentenze di proscioglimento.
Abbiamo anche trattato il tema - ed è questo un argomento delicatissimo - della custodia cautelare, che riguarda appunto le misure cautelari personali. Vorrei dire e precisare non tanto e non solo le esigenze codificate dall'articolo 274 lettera a) e lettera b), cioè il pericolo di fuga e l'inquinamento probatorio, ma soprattutto una norma che lascia troppi spazi all'interprete - e sono troppi proprio perché si tratta di restrizione della libertà personale, altro diritto di rango costituzionale - vale a dire l'esigenza cautelare di cui alla lettera c) dell'articolo 274. Bisogna intervenire e, a tal riguardo, Forza Italia ha anche presentato una proposta di legge e, per questa ragione, impegna il Governo affinché veramente la custodia cautelare in carcere costituisca l'estrema ratio; invece, viene sempre più trasformata, con artifizi processuali, in un'anticipata e inammissibile espiazione della pena. Potrei fare migliaia di esempi e affermare senza tema di smentita che, per esempio, il pericolo di reiterazione, troppo spesso lasciato all'interpretazione libera dei nostri giudici di merito ed anche al nostro diritto vivente, nella realtà è un pericolo insussistente. Ma, come dico io, basta un colpo di penna per lasciare in carcere una persona e privarla per mesi, per anni, della libertà personale. Il legislatore deve allora intervenire senza indugio per meglio disciplinare l'articolo 274 del codice di procedura penale. Qualche intervento, a dire il vero, è stato fatto, facendo riferimento però a vuote formule. Ricordo la riforma di qualche anno fa, quando si faceva riferimento alla concretezza e attualità. Abbiamo visto e ci sono in carcere, a proposito dell'attualità, indagati il cui tempo del commesso reato contestato è di anni e anni fa. Questo significa, in maniera incontrovertibile, che quella norma, così modificata, facendo riferimento alla concretezza e all'attualità, ha subito, come tante volte è avvenuto, come troppe volte è avvenuto, una disapplicazione interpretativa, proprio perché il pericolo di reiterazione nasce da un giudizio prognostico e tale giudizio è rimesso esclusivamente al potere discrezionale del giudice. Ciò non va bene, bisogna ancorare la lettera c) a parametri stringenti, perché stiamo parlando di libertà personale, stiamo parlando di incarcerare e privare della libertà personale un soggetto che, fino a prova del contrario o meglio fino a sentenza definitiva, è innocente. Noi stiamo incarcerando, prima di una sentenza definitiva, un soggetto. Per carità, va fatto, quando il soggetto è pericoloso. Però, bisogna che ci siano riferimenti normativi assolutamente precisi e stringenti.
Intercettazioni. Il Ministro Nordio ne ha tanto parlato: è chiaro che bisogna intervenire sulle intercettazioni e non soltanto sul sistema di captazione all'interno degli apparecchi telefonici, il cosiddetto trojan. Questo è un sistema che invade e irrompe nella vita personale del cittadino, violando un diritto di rango costituzionale: credo sia l'articolo 15 della nostra Costituzione. Certo, ce n'è un altro, che è quello dell'ordine e della sicurezza, ma è questo il punto: è assolutamente necessario violare una norma di rango costituzionale per reati che non siano di mafia e di terrorismo? È questo quello che noi chiediamo, e dobbiamo certamente intervenire. Lo faremo, ne sono persuaso, altrimenti andremo, come dire, a non ottemperare a quanto scritto nei nostri programmi. Saremmo, per usare una frase tanto conosciuta in un famoso film, soltanto “chiacchiere e distintivo”.
Noi dobbiamo passare ai fatti perché ai cittadini italiani abbiamo promesso i fatti. L'eloquio, la contrapposizione dialettica, i convegni, le conferenze vanno tutti bene, però ora ci vogliono le leggi, le leggi bisogna scriverle e le deve scrivere il Parlamento; sia chiaro a tutti.
Concludo sempre i miei interventi dicendo che comanda la norma. E deve essere chiaro a tutti perché la politica riacquisti quell'autorevolezza che, ahimè, ha perso da trent'anni. Ogni deputato deve essere ben consapevole del principio che comanda la norma, ossia del fatto che le leggi le scrive il Parlamento, la magistratura le applica, il cittadino le osserva, perché funziona così!
E, allora, bisogna intervenire sulle intercettazioni. Come? Rendendo più stringenti i requisiti. Tante volte - chi opera nelle aule giudiziarie lo sa - abbiamo visto addirittura i decreti del GIP motivati per relationem, vale a dire che il pubblico ministero fa la richiesta e il GIP la copia. Stiamo parlando di andare a intercettare e ad ascoltare i cittadini, anche nelle loro camere da letto, con il trojan; poi, hanno trovato degli accorgimenti che a me personalmente non convincono per niente, perché sta all'onestà di chi effettua le intercettazioni osservarne i limiti. È chiaro che le intercettazioni sono un problema, una questione, un argomento sul quale bisogna mettersi a lavorare.
La pubblicazione degli atti di indagine: un'altra anomalia, vorrei dire “vergogna”, tutta italiana. Signori, cari colleghi, signor Presidente, Governo, esiste una norma, ossia quella di cui all'articolo 114 del codice di procedura penale, che purtroppo è sprovvista di sanzione o, quantomeno, è fino a oggi sanzionata con una contravvenzione, l'articolo 684 del codice penale. Pochi sanno o fanno finta di non sapere che, fino all'udienza preliminare, non un'intercettazione ma nessun atto di indagine, neanche a stralcio, può essere pubblicato. Non lo stabilisce Calderone ma una norma del nostro ordinamento processuale penale.
Perché sia chiaro a tutti. Nei titoli dei telegiornali sentiamo, tutti i giorni, dico tutti i giorni, la voce dei captati, degli intercettati: non si può fare! Ripeto: non si può fare, ma non interessa niente a nessuno. C'è una sanzione, sia pure una contravvenzione, ed è un reato perseguibile d'ufficio. Eppure, non interessa a nessuno, non se ne è accorto nessun ufficiale d'Italia che, tutti i giorni, viene violata una norma e commesso un reato perseguibile d'ufficio, perché si fa a gara per consegnare le sommarie informazioni testimoniali e le intercettazioni; si fa a gara per umiliare il cittadino italiano e, quando poi magari verrà assolto, leggeremo solo un trafiletto.
Allora, si intervenga, Ministro Nordio, per neutralizzare questa deriva. Diceva - credo Carnelutti - che subire un processo penale è già una pena; ebbene, subire il disonore sociale della pubblicazione delle intercettazioni, quando magari dopo 3, 7 o 12 anni ci sarà l'assoluzione, che cos'è? Bisogna intervenire perché, se non interveniamo - come dicevo poc'anzi - siamo solo chiacchiere e distintivo; bisogna agire perché ce l'hanno chiesto gli italiani; gli italiani ci hanno conferito questo mandato.
Poi abbiamo chiesto che si metta mano anche a un'altra legge incredibile, la legge Severino: abbiamo visto, con il caso De Magistris, il caso pugliese e tanti altri, che insomma questa legge è stata superata dall'organo giurisdizionale, ma non si possono privare intere comunità del sindaco perché è stato condannato per abuso d'ufficio o per qualche altro reato, quando poi magari risulterà innocente.
Certo, se viene condannato e arrestato per i reati di cui al 416-bis - può anche essere innocente, per carità - per terrorismo, per estorsione aggravata, di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 152 del 1991, perché ha ammazzato o ha fatto una strage, ci mancherebbe altro; ma dobbiamo mettere mano anche alla legge Severino, che esiste dal 2012 e tanto danno ha fatto. Facciamo il resoconto: questa legge è stata più utile o ha recato più danni? Facciamolo perché, alla fine dei conti, bisogna anche confrontarsi con le statistiche.
E l'abuso d'ufficio? Governo, l'abuso d'ufficio va cancellato, non modificato, perché ricordo a me stesso che, su 5.700 processi, ci sono state 9 condanne, quindi già è una fattispecie diluita. Il problema è che il sindaco ha paura - ha paura della firma, ha il terrore della firma -, il funzionario ha paura, il dirigente ha paura. Che cosa significa? Che il sindaco, che fa l'ingegnere o il veterinario, continuerà ad avere paura, se non andiamo ad abrogare una norma inutile; se, su 5.700 processi, siamo arrivati a 9 condanne significa che è una norma inutile, perché ci vuole la violazione di legge - e non basta -, ci vuole il danno, ci vuole il vantaggio, ci vuole soprattutto il dolo intenzionale, che è la forma più stringente nella gradazione dell'elemento psicologico, in particolare del dolo. Come si può provare che la norma è stata violata intenzionalmente per arrecare o per integrare tutti gli altri elementi costitutivi e, dunque, strutturali dell'articolo 323?
Il collega che mi ha preceduto ha fatto riferimento al traffico di influenze: conosciamo - non abbiamo bisogno di lezioni - anche cosa ne pensa l'Europa, però quell'aggiunta, sempre da parte del Governo a trazione 5 Stelle, della parola “utilità” rende assolutamente la norma non tassativa, ma vaga e mette in pericolo tutti, tutta la politica. E non è che la politica sia costituita soltanto da malfattori, anzi, quella è l'eccezione; la politica è costituita, fino a prova contraria, da persone perbene, che non possono essere terrorizzate da norme assolutamente non vaghe, non tassative o non specifiche, ma aleatorie, come il traffico di influenze, il cui riscontro dipende dal caso. E anche su questo abbiamo impegnato il Governo con la nostra mozione.
Altra questione che va disciplinata è quella delle intercettazioni indirette, signor Presidente: se due soggetti vengono intercettati e parlano di un terzo, il terzo non può finire in carcere; o, meglio, non può essere rimessa al potere discrezionale del giudice la consistenza probatoria della conversazione. Si badi bene, non voglio che si dia spazio a strumentalizzazioni. Noi non chiediamo che non venga presa in considerazione questa conversazione - attenzione: che nessuno strumentalizzi questa nostra proposta di legge -, ma chiediamo che abbia un valore probatorio affievolito, che venga utilizzata come viene utilizzata per esempio la chiamata in correità del collaboratore di giustizia o del soggetto che comunque chiama in correità, ossia con i riscontri. Questa conversazione di due soggetti che parlano di un terzo ha un valore probatorio - ci mancherebbe altro -, però non è sufficiente per costituire magari i gravi indizi di cui all'articolo 273 del codice di procedura penale; cioè, non rimettiamo tutto alla libera valutazione del giudice, che qualche volta ha superato anche il potere discrezionale, ma ancoriamo a una norma, a un principio di valutazione la cosiddetta intercettazione indiretta. Abbiamo impegnato il Ministro anche sotto questo profilo.
Altra questione: l'inutilizzabilità di alcuni atti acquisiti in violazione di legge nel giudizio abbreviato. Vedete, a questo proposito, veramente possiamo parlare di giurisprudenza creativa. Si dice che nel giudizio abbreviato - utilizzo un verbo usato dalla Corte di cassazione, ossia “abdicare” - l'imputato che sceglie il giudizio abbreviato va ad abdicare ai suoi diritti (sono cose dell'altro mondo) e quindi l'atto acquisito, ex articolo 191, in violazione di legge mentre non può essere utilizzato nel giudizio ordinario, può essere utilizzato nel giudizio abbreviato: siamo davanti veramente - la definisco in maniera elegante - a una giurisprudenza creativa, perché un atto, se acquisito in violazione di legge, non è utilizzabile mai e poi mai, non nel giudizio ordinario sì e in quello abbreviato no, o viceversa, perché l'imputato abdica ai suoi diritti. Sono cose veramente imbarazzanti, signori colleghi; imbarazzanti!
Allora, questo Governo e questo centrodestra devono intervenire non nell'interesse di quello o di quell'altro, ma nell'interesse dei cittadini italiani. In questo momento, ci sono 1.970.000 persone sottoposte a procedimento penale. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo dire che sono innocenti? Assolutamente no, dobbiamo celebrare i processi con le regole, con le regole del giusto processo, perché funziona così.
Concludo, Presidente. Tutte queste nostre idee legislative - ce ne sarebbero anche altre, ma certamente non possiamo appesantire gli atti parlamentari -le abbiamo racchiuse in questa nostra mozione, perché Forza Italia in tema di giustizia non farà sconti a nessuno.
Sarà in prima fila e sarà sempre presente per tutelare il cittadino. Questa è la nostra illustrazione della mozione che abbiamo presentato (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Cafiero De Raho, che illustrerà anche la mozione D'Orso ed altri n. 1-00091, di cui è cofirmatario.
FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Grazie, Presidente. La nostra mozione tende innanzitutto a sottolineare quanto sia importante, nell'ambito della giustizia, la tutela delle vittime del reato; quanto importante sia avere una giustizia realmente giusta, che consegue l'obiettivo di condannare i responsabili dei reati; quanto importante sia mantenere gli strumenti investigativi efficaci, quelli che consentono realmente di combattere la corruzione, come le mafie, come tutti gli altri reati. L'illegalità credo sia un male che necessariamente deve essere contrastato da tutti, innanzitutto dalla politica, Presidente, sì, dalla politica. Credo che la politica in questo debba mostrare la propria etica; non pensare alla lotta all'illegalità significa non avere quella morale necessaria, che consente all'Italia di contrastare una illegalità diffusa.
La difesa dei diritti fondamentali dell'individuo non può non passare, come dicevo, anche attraverso l'attenzione che il legislatore pone nei confronti delle vittime dei reati. La tutela dei soggetti deboli trova fondamento nel principio di uguaglianza.
Signori, se parlate… Io sento parlare e quindi vi chiederei di dire a chi parla di non parlare.
La tutela dei soggetti deboli trova fondamento nel principio di uguaglianza ed è nell'ambito del diritto e del processo penale che la tutela delle vittime va garantita maggiormente.
La giurisprudenza diffusa a livello europeo impone agli Stati membri di adoperarsi affinché il procedimento penale si svolga con modalità tali da garantire anche il coinvolgimento e la soddisfazione dei diritti delle vittime. Si tratta dei cosiddetti obblighi procedurali, previsti dalla Carta dei diritti dell'uomo, agli articoli 2 e 3. Questa Carta prescrive che gli Stati si adoperino per garantire lo svolgimento di indagini effettive e idonee ad accertare i fatti reato, anche in prospettiva di tutela e di ristoro della vittima del reato, nonché l'espletamento di indagini ufficiali approfondite, trasparenti, celeri, imparziali, che, in caso di accertata colpevolezza, possano condurre, all'esito del processo, ad applicare sanzioni proporzionate alla gravità del fatto commesso. La giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo pone a carico dello Stato - a carico dello Stato e, quindi, del nostro Stato - la predisposizione di una normativa adeguata a perseguire gli individui responsabili di violazioni e a garantire protezione a soggetti vulnerabili, quali i minori, le donne, i detenuti, i richiedenti asilo - sì, i richiedenti asilo, e, guardi, non lo sto dicendo io, qui, per il fatto dei migranti, ma lo dice la stessa giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo -, tenendo conto del loro specifico grado di vulnerabilità e della natura e gravità della lesione subita o minacciata. Non di rado molti Stati sono stati condannati dalla Corte di Strasburgo e anche l'Italia, ripetutamente, in quanto considerati responsabili per non aver predisposto o attuato nel caso concreto una specifica tutela penale dei diritti fondamentali, che si impone anche per preservare la fiducia del pubblico nel principio di legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza relativamente agli atti illegali. È ciò che dice la Corte europea dei diritti dell'uomo. Nel nostro codice di procedura penale e nelle nostre leggi è di tutta evidenza che il ruolo della vittima abbia finito per perdere sempre più rilevanza. Ciò è dimostrato anche dall'assenza, nel nostro codice, della nozione di vittima, laddove vengono usate parole come persona offesa, offeso, offeso dal reato. Vi è, invece, la necessità di far recuperare alla vittima una posizione di centralità nel processo di accertamento della violazione e della punizione che subisce il colpevole. È fondamentale che il processo penale sia un concreto ed effettivo strumento per la soddisfazione delle istanze di giustizia delle vittime del reato. Vittima è un termine diverso da persona offesa. Vittima significa sofferenza, dolore, significa posizione di chi è perseguitato, maltrattato, aggredito, ma non solo fisicamente, di chi soccombe all'altrui inganno e prepotenza, di chi subisce una sopraffazione, venendo comunque oppresso. Le fonti europee hanno gradualmente dimostrato un'attenzione sempre maggiore sul piano del diritto penale, e non solo rispetto alla salvaguardia delle garanzie dell'accusato, ma anche alla tutela e alle garanzie della vittima.
La direttiva 2012/29/UE del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione alle vittime di reato, afferma che un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime. Sul punto assume rilevanza la giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo, che obbliga gli Stati: a rendere penalmente rilevanti le condotte lesive dei più importanti tra i beni fondamentali; al rispetto dei doveri di carattere procedurale che prescrivono ai Paesi contraenti indagini, come ho detto; ma anche ad arrivare, alla fine delle indagini, a un processo che abbia una sentenza che accerti, individui e affermi o meno la responsabilità dell'imputato. Nella decisione del caso Petrella contro Italia, i giudici di Strasburgo hanno addirittura condannato l'Italia per la violazione dell'articolo 6, in quanto la vittima non aveva potuto costituirsi parte civile nel procedimento penale a causa del sopraggiungere del termine della prescrizione del reato. La prescrizione è la negazione di questo diritto prioritario di ogni Paese.
Con la riforma operata dal Governo Conte, con la legge n. 3 del 2019, la cosiddetta Spazzacorrotti, si è intervenuti per sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Si è ritenuto, anche in conformità agli orientamenti della giustizia europea, che la prescrizione pregiudicasse fortemente le istanze delle vittime del reato, le quali rimanevano inascoltate quando, per il decorso del tempo e il verificarsi della causa estintiva, non ottenevano un accertamento definitivo della verità. Con la prescrizione si attua la denegata giustizia, che mina fortemente la fiducia dei cittadini nella capacità dello Stato di assolvere al compito fondamentale di assicurare il rispetto della legalità e la tutela dei diritti. E quando lo Stato è incapace di tutelare i propri cittadini per i ritardi della giustizia penale, si accresce il convincimento che vivere onestamente sia inutile, che rispondere alla violenza con la violenza sia l'unico mezzo per sopravvivere, perché lo Stato non ha i mezzi per intervenire. Quale disperazione coglie i cittadini onesti, vittime di reati; ed è compito della politica guardare a questa fascia di cittadini, che è la più vasta ed è la più bisognosa di protezione.
Il meccanismo della prescrizione è stato troppo a lungo utilizzato come occulto e mirato fattore di deflazione del carico degli uffici giudiziari. Per anni, in assenza della volontà politica di potenziare gli organi della magistratura, si è lasciato che la deflazione fosse l'effetto della prescrizione, un effetto distorsivo dell'istituto della prescrizione. Questo effetto ha determinato l'intasamento delle Corti d'appello e il parziale svilimento dei riti speciali.
Ma chi sceglie un rito speciale quando sa che, facendo decorrere il termine di prescrizione, comunque, quel processo si estingue? Ma quale responsabile di reato non farà di tutto per portare il processo alla lunga? Ho sentito gli interventi finora, sono persone che sanno bene come si porta avanti il processo e cosa avviene nei processi penali, quanto durano i processi, processi che vengono portati avanti per l'eternità, perché chi è responsabile non vuole essere condannato - perché quello è il suo interesse - e il suo difensore farà di tutto perché si arrivi ad una sentenza di prescrizione del reato. È questo che si rileva nelle aule di giustizia e questo è stato il motivo per cui si è arrivati ad una sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, non immediatamente ma dopo la sentenza di primo grado, quando già c'è un decisum, già c'è qualcosa che ci proietta verso il contenuto del processo.
Un giusto processo non è estinzione del processo per decorso del tempo: questa è denegata giustizia, è incapacità o volontà di non perseguire i reati. Guardate, questo è gravissimo, perché pensare che si possa non volere la punizione dei colpevoli credo che sia la peggiore soluzione che si possa dare alla velocizzazione del processo. Il processo non può essere chiuso per il decorso del tempo, il processo deve avere una decisione. La riforma del processo con l'istituto dell'improcedibilità non ha certamente accelerato, anzi, tutt'altro e, anche qui, vi è una tagliola: due anni o un anno, corte d'appello o Cassazione.
La Commissione europea, nel report sullo Stato di diritto 2022, ha manifestato espressamente talune perplessità proprio rispetto alla fissazione di termini massimi per la conclusione dei procedimenti dinanzi alla corte d'appello e alla Corte suprema di cassazione, pena l'improcedibilità. “Le nuove misure rischiano di incidere negativamente sui processi penali e in particolare su quelli in corso, che potrebbero essere automaticamente resi improcedibili”: questo dice il report sullo stato della nostra giustizia.
Appare fondamentale e urgente superare il meccanismo dell'improcedibilità introdotto dalla riforma ma, al tempo stesso, occorre mantenere la sospensione della prescrizione, intervenire con riforme capaci ad attuare un processo rapido e giusto a garanzia degli imputati, ma a tutela anche delle vittime dei reati, ponendo sulla bilancia i due oneri che ha lo Stato, che deve assicurare una sentenza giusta, non di prescrizione o improcedibilità ma sulla responsabilità dell'imputato. Non vi sono progetti di questo tipo, Presidente, ma si parla solo di prescrizione, si parla solo di eliminazione di figure di reato, non c'è una proiezione al contrasto all'illegalità. Ma come fa il cittadino a garantirsi il futuro in legalità? Ma come farà, un domani, la prossima generazione ad andare avanti senza che vi sia tutela?
La procedibilità a querela è un altro punto su cui intervenire perché, ancora una volta, si rimette al cittadino la necessità di esercitare una propria volontà. Ancora una volta, la recente riforma ha manifestato i suoi peggiori risultati ed effetti, introducendo rilevanti modifiche sul regime della procedibilità. Non sono stati toccati, però, questa volta i reati bagatellari, cioè quelli che per la loro minima portata sono quasi irrilevanti, ma sono stati toccati i reati gravi. Pensate, il sequestro di persona procedibile a querela? Ma come? La libertà personale viene tolta e bisogna aspettare che il soggetto che è stato sequestrato eserciti la querela, che chieda allo Stato di intervenire? Altrimenti che fa? Resta in balia dei criminali? Nel caso di furto aggravato o pluriaggravato, se la persona è armata, se la persona è travisata, se sono più di tre persone, se ci sono tante di quelle aggravanti che veramente fanno tremare, di fronte a tutte quelle aggravanti lo Stato non interviene, aspetta che il soggetto si esprima.
È intervenuto ora il disegno di legge, questo disegno di legge sul quale abbiamo discusso in Commissione ma, ancora una volta, sembra che si parli al vento, ancora una volta, sembra, per la verità, che il confronto fra coloro che partecipano a queste discussioni non ci sia. Si parte con un disegno di legge, quel disegno di legge viene votato. Cosa fa la minoranza? Presenta delle opzioni? Ma che rilevanza hanno le opzioni della minoranza? Non si prendono proprio in considerazione. Non vi è un dibattito, non vi è un confronto, non vi è nessuno che dica che è sbagliato continuare ad insistere sulla procedibilità d'ufficio. È meglio mantenere la procedibilità a querela; però, è tanto falso che è meglio mantenere la procedibilità a querela che si sente l'esigenza di intervenire con l'arresto in flagranza, senza che nemmeno vi sia la querela. Quindi, il soggetto viene preso, portato in carcere o in camera di sicurezza; viene, nel frattempo, chiesta la convalida, non si sa se ci sarà ancora la querela. E le risorse? La nostra Polizia giudiziaria deve correre per arrestare il ladro, il sequestratore, l'autore di lesioni aggravate o di violazione di domicilio e lo arresta. Poi? Corre ancora, perché deve cercare colui che può esercitare il diritto di querela, la persona offesa. La deve identificare, la deve trovare, la deve portare in ufficio, deve riempire i verbali. Cosa desideriamo noi? La vogliamo un po' di giustizia in questo nostro Paese? Come faremo noi ad avere protezione dalle Forze di Polizia se dovranno correre per il territorio a fare attività del tutto marginali e irrilevanti? Come si farà in futuro?
Abbiamo sentito tutti i sindacati e tutti hanno detto che è un aggravio insopportabile. Ma anche questo non ha importanza, perché sono cose che non interessano a nessuno probabilmente, nemmeno vengono fuori, nemmeno si sanno. Ora stiamo parlando in sette persone o - quanti siamo? – otto o dieci. Ma chi sa delle nostre riflessioni? Non lo sa nessuno. Ma questa è la preoccupazione dell'informazione? Io mi stupisco che si parli dell'informazione che arriva dalle indagini e dagli arresti, che ci si lamenti di questo. È giusto che vengano informati, perché bisogna che la gente sappia che i delinquenti vengono tratti in arresto, che violare la legge non conviene. Mantenere il silenzio significa, invece, alimentare l'illegalità, perché si pensa che non c'è mai una sanzione, che si è tutti d'accordo nel consentire la corruzione, nel consentire i reati di mafia, è meglio essere conniventi, complici, piuttosto che contrastare queste forme di delinquenza. Ecco l'impressione che se ne trae, questa è l'impressione che se ne trae. Purtroppo, è una grande tristezza, è veramente una sofferenza verificare ciò che avviene, queste discussioni senza senso, che non hanno un risultato, non hanno un obiettivo.
Ancora, nel nostro ordinamento si parla di un Codice rosso, ma quel Codice rosso ha dato tante ulteriori difficoltà. Quante sono state le indagini? Tanti di più sono stati i fatti che ne sono seguiti. Allora cosa significa? Che occorrono altre innovazioni, altre leggi più efficaci. C'è qualcosa che non funziona, ci si accorge di questo o no? Mi sembra di parlare veramente con i muri. Ma come, non ci si accorge di quel che avviene? Come è possibile? Io penso che siamo tutti nello stesso Paese e vogliamo che la legalità venga affermata, che le regole vengano rispettate; ma sembra che di questo non si occupi più nessuno.
Quando parliamo, poi, di eliminazione di figure di reato, ancora una volta, cosa pensiamo? L'altra grande innovazione, la proiezione di cui il Ministro della Giustizia ci ha parlato: abroghiamo l'abuso d'ufficio. Ma come? È l'unica garanzia, l'unica tutela che hanno il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione, che sono garantiti da questo reato. No, è un reato in cui si ha una discrezionalità. Ma quale discrezionalità? Non avete letto l'articolo, allora, che è stato modificato. Qui si parla di norme di legge, si parla di condotte specifiche imposte da norme di legge, di fronte alle quali non esistono margini di discrezionalità. Questo dice la norma, ossia si riferisce a chi viola volontariamente la norma perché non esistono margini di discrezionalità e, quindi, lo fa per un fine. Qual è il fine? Il suo interesse qual è? Quello di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Ma quale utilità? Ma quale vantaggio generico? Qui parliamo di atti vincolati, per i quali non esiste la possibilità di scelta. Parliamo di un ingiusto vantaggio patrimoniale, ma nemmeno questo va bene! Allora, si vuole veramente che ci si muova, nelle amministrazioni pubbliche, nella più piena illegalità, che ciascuno faccia quel che vuole, che i sindaci possano operare senza rispettare le regole, quelle regole che impongono un comportamento, non quelle discrezionali. Le regole discrezionali non configureranno mai il reato e anche questo non va bene, e perché? Perché si vuole eliminare… perché, la verità, sa qual è Presidente? L'ho visto nelle illustrazioni delle proposte di legge costituzionale: non si tollera il controllo di legalità, è scritto a caratteri cubitali. Quel che non si tollera è che il giudice e il pubblico ministero esercitino un controllo di legalità; è detto in quelle carte. Evidentemente, è questo che non si tollera.
E, ancora. Si parla di leggi che devono essere eliminate, perché creano difficoltà. E a cosa ci si riferisce? Al traffico di influenze, che, come ben sapete, è una disposizione di legge che impone la Convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione. Lo descrive, all'articolo 12, una convenzione europea e parliamo di eliminarlo? Ma cosa diciamo? Ignoriamo tutto, Presidente! Questo è quello che veramente ci dà un grande dolore, perché ne parliamo e continuiamo a dire le stesse cose. Ma questo è un muro di gomma contro cui le parole rimbalzano, e nessuno si vuole confrontare. Nessuno vuole leggere quel che realmente avviene.
Prescrizione, improcedibilità, eliminazione delle figure di reato sono tutte cose che non possiamo tollerare e proprio per questo, Presidente, abbiamo presentato questa mozione, che vorrebbe che ci fosse unità di intenti per quanto riguarda gli strumenti utilizzati. L'unico strumento effettivo ed efficace contro le illegalità è l'intercettazione delle conversazioni telefoniche, dello scambio dei dati telematici, attraverso il captatore informatico. Questi sono gli unici strumenti. Ebbene, anche questi si vogliono ridurre, perché la corruzione è un reato ordinario e, quindi, bisogna limitare le intercettazioni. Allora, è bene che l'illegalità si diffonda? È questa la valutazione che deve avere il popolo italiano? Ma lo sa il cittadino quello che sta avvenendo in quest'Aula? Credo che non lo sappia. Conoscete tutti persone perbene, persone che osservano le leggi; ma come possono restare indifferenti di fronte a quello che sta avvenendo? Si stanno eliminando figure di reato; si parla di procedibilità a querela con determinati interventi della Polizia giudiziaria; per quanto riguarda l'ergastolo ostativo, si è parlato di forme che hanno sostituito quel divieto generale, con interventi che consentono oggi ai mafiosi di usufruire dei benefici penitenziari attraverso strumenti molto meno afflittivi e a condizioni molto più vantaggiose. Ecco cosa sta avvenendo, Presidente.
Spero veramente che il Governo voglia accogliere questa nostra mozione, che voglia ritenerla, non come sempre avviene, come una modalità per ostacolare il lavoro del Governo. Ci teniamo a confrontarci e, soprattutto, a dare un contributo, ma è un contributo di onestà, attraverso il quale chiediamo che il Governo voglia effettivamente intervenire. Come? Adottando strumenti utili a garantire l'efficacia delle disposizioni a presidio delle vittime, superando l'istituto dell'improcedibilità, astenendosi da qualsivoglia intervento volto a riformare la disciplina delle intercettazioni, intervenendo per modificare il concordato ex articolo 599-bis del codice di procedura penale, adoperandosi per dare seguito alle iniziative legislative già esistenti in materia di procedibilità di ufficio, ampliando e ritornando al passato per quei gravissimi reati, non intervenendo sul reato di abuso d'ufficio né sul traffico illecito di influenze, rispettando integralmente il Titolo IV della Costituzione, laddove vengono contemplati i principi di separazione dei poteri, tornando a investire nel comparto di giustizia per rilanciare il rapporto tra giustizia e cittadino. Grazie, Presidente, ho concluso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Abbiamo bisogno di una pausa tecnica, quindi, sospendo la seduta per cinque minuti.
La seduta, sospesa alle 17,05, è ripresa alle 17,10.
PRESIDENTE. La seduta è ripresa.
È iscritto a parlare il deputato Federico Gianassi. Ne ha facoltà.
Le chiedo scusa per l'interruzione.
FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Presidente, colleghe e colleghi, in merito alla mozione presentata dal gruppo Noi Moderati, che ci consente di affrontare nuovamente in quest'Aula le questioni in materia di giustizia, esprimiamo perplessità e contrarietà rispetto all'impostazione della mozione e alle sue conclusioni, tanto che abbiamo deciso di presentare sul tema una nostra mozione che sarà posta in votazione domani in Aula.
Ciò, in realtà non per motivazioni diverse da quelle che sono già state affrontate e discusse in quest'Aula nelle precedenti occasioni, in questa prima parte di legislatura, nelle quali vi è stata la possibilità di discutere degli orientamenti per il processo penale nel nostro ordinamento. Abbiamo già avuto occasione di ascoltare gli indirizzi programmatici del Ministro Nordio in audizione nelle Commissioni giustizia, di Camera e Senato, e di affrontare, in occasione della conversione del decreto contro i raduni musicali, questioni attinenti al processo penale per la discussione e approvazione di ordini del giorno presentati da gruppi presenti in Aula e nuovamente in occasione della comunicazione del Ministro sulla stato dell'amministrazione della giustizia nel mese di gennaio, comunicazione alla quale furono accompagnate risoluzioni presentate dai gruppi, una risoluzione della maggioranza e risoluzioni dei gruppi di minoranza. Già in quelle occasioni esprimemmo i nostri dubbi, le nostre perplessità e le nostre contrarietà rispetto all'approccio che era stato indicato dal Ministro, sia per una contraddizione che leggevamo e continuiamo a leggere nella maggioranza, che non ci pare affatto compatta sugli orientamenti circa le prospettive del processo penale, sia perché, in relazione agli auspici che il Ministro Nordio più volte ripeteva, non conseguivano azioni concrete del Governo e del Parlamento. Dicemmo, in occasione della conversione del decreto contro i raduni musicali, che rispetto all'auspicio del Ministro Nordio di contrastare la cultura pan-penalistica, di ridurre le intercettazioni e il carcere, si era ottenuto, invece, l'effetto esattamente opposto, cioè un nuovo reato, più carcere e più intercettazioni.
Ora aggiungiamo agli elementi di critica e di perplessità rispetto al comportamento del Governo, non solo di metodo ma anche di merito, il fatto che comincia a essere passato del tempo rispetto all'avvio della legislatura e assistiamo spesso a un dibattito sugli auspici, le prospettive e gli indirizzi che la maggioranza e il Governo intendono dare alla giustizia, ma a questo dibattito non corrisponde - ad oggi, magari saremo eventualmente smentiti nei prossimi giorni e nelle prossime settimane - una coerente iniziativa governativa o parlamentare rispetto agli auspici che vengono evidenziati. Ad oggi in materia di giustizia abbiamo assistito, per l'appunto, alla conversione di un decreto-legge che nel merito produceva un risultato diverso rispetto agli indirizzi che il Ministro Nordio aveva espresso, così come in occasione dell'approvazione della manovra di bilancio, abbiamo registrato i tagli al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, in contraddizione rispetto all'auspicio di un investimento maggiore sul carcere. Ancora oggi, a seguito della comunicazione sullo stato dell'amministrazione della giustizia, in cui il Ministro Nordio indicò anche le prospettive successive, non sono seguiti interventi o atti. Non che noi li attendiamo con favore, perché anche nel merito abbiamo espresso molte criticità, alcune delle quali andrò a indicare anche ora, però siamo costretti a evidenziare che il tempo del confronto sui principi e sugli auspici sembra non essere finito - e ancora oggi e domani saremo chiamati a discutere di questo - e ancora non si è attivato il tempo delle iniziative di radicale trasformazione del sistema della giustizia, che - ripeto - noi non auspichiamo, come dimostra, peraltro, l'ultimo provvedimento, di cui abbiamo discusso prima, cioè il disegno di legge in materia di procedibilità e arresto obbligatorio in flagranza di reato, rispetto al quale il Governo ha confermato l'impianto della riforma Cartabia, in ordine al quale alcuni esponenti della maggioranza, invece, avevano espresso fortissime criticità.
Probabilmente, questo è il frutto anche di una composizione eterogenea della maggioranza, alla quale partecipano forze politiche che nel precedente mandato hanno contribuito all'approvazione di riforme, compresa quella sul processo penale. La Lega e Forza Italia erano partiti protagonisti di quell'esperienza di Governo che ha determinato l'approvazione della riforma sul processo penale, così come ha fatto il Partito Democratico e così come fece il MoVimento 5 Stelle. Riforma che, per l'appunto, contiene molti punti rilevanti sul tema anche del processo e dell'ordinamento giudiziario di cui oggi discutiamo, quali il superamento della riforma del 2019 sulla prescrizione con il nuovo istituto dell'improcedibilità o il sistema di gestione delle comunicazioni da parte della Polizia giudiziaria e della Procura durante la fase delle indagini, oppure, ancora, l'intervento in materia di passaggi di funzione all'interno della magistratura, che di fatto realizza una situazione di limitazione al principio dei passaggi e qualcuno l'ha definita una separazione di fatto. Ancora, la misura sull'obbligatorietà dell'azione penale, con l'intervento che attribuisce al Parlamento la possibilità di indicare i criteri prioritari. Insomma, molto è stato fatto. Ovviamente, se ne può discutere ed è legittimo discuterne, ma molto è stato fatto con una partecipazione ampia e larga dei partiti e forse anche per queste ragioni ad oggi gli unici interventi realizzati vanno a confermare quell'impianto che è uscito dall'ultima legislatura e non a modificarlo.
Nella mozione presentata dal gruppo Noi Moderati, rispetto alla quale - ripeto - noi non esprimeremo un voto favorevole e lo diremo domani in dichiarazione di voto, vi sono sostanzialmente tre assi portanti: il primo è concedere al Governo una delega sostanzialmente in bianco rispetto alla riforma della legislazione in materia di intercettazioni; il secondo, è una delega, altrettanto in bianco, concessa al Governo di revisione della normativa in materia di prescrizione e improcedibilità; il terzo, è una disponibilità concessa al Governo affinché esso adotti normative volte a riformare il reato di abuso di ufficio. In primo luogo, bisogna evidenziare che questi impegni sono delle deleghe in bianco, perché fumosi e generici. Perdono un po' di genericità nel momento in cui si agganciano alla parte narrativa, nella quale è meglio argomentato il motivo per il quale il gruppo Noi Moderati propone l'intervento in tale materia, ma restano, ovviamente, indirizzi molto aperti che non indicano la rotta. Laddove si dice, ad esempio, “ad adottare iniziative normative volte a impedire la paralisi del sistema della pubblica amministrazione” appare un principio - ripeto - generico, che ovviamente tocca tematiche importanti. Chi vuole la paralisi del sistema della pubblica amministrazione? Ma occorre evidenziare con quali strumenti, con quali metodi, con quali rapporti e con quali responsabilità e qui non è detto. Nella parte narrativa il tema è più chiaro e si dice con chiarezza che l'attuale normativa in materia di intercettazioni non è ritenuta sufficiente a garantire la tutela della persona indagata e per questo se ne chiede un cambiamento, così come in materia di prescrizione e di improcedibilità si ritiene che non vi sia un'adeguata tutela della ragionevole durata del processo. Sul tema dell'abuso d'ufficio si parla in questa sede di riformare il reato e, dunque, non di abrogarlo. Prima il collega, l'onorevole Calderone, ha evidenziato che Forza Italia ha presentato una mozione sul medesimo tema e ha chiesto l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio. Evidentemente, sono due posizioni non conciliabili: o lo si riforma o lo si abroga o non lo si tocca, ma certamente la riforma e l'abrogazione sono due concetti radicalmente diversi e credo che la maggioranza prima o poi, se vorrà intervenire in materia, dovrà sciogliere questo nodo, perché evidentemente sono due posizioni non conciliabili.
Noi riteniamo che vi sia un errore politico che viene commesso nell'orientare il Governo ad operare in questa materia. Tale errore consiste nella rimozione del lavoro che è stato svolto nella precedente legislatura; l'analisi che viene evidenziata sembra essersi arrestata non all'anno scorso, ma ad alcuni decenni fa o perlomeno riporta indietro le lancette dell'orologio. Quando parliamo di intercettazioni, oggi dobbiamo considerare che esiste una normativa, entrata in vigore nel 2020, che disciplina le modalità mediante le quali le intercettazioni possono essere effettuate, disciplina le modalità mediante le quali possono essere gestite e predispone anche sanzioni per la violazione delle regole secondo le quali le intercettazioni possono e devono essere gestite. Prima di chiedere al Governo e al Parlamento una nuova ennesima modifica sul sistema delle intercettazioni in ragione del motivo in forza del quale la legge sarebbe violata, noi riteniamo che sarebbe opportuno un impegno del Parlamento - ma soprattutto del Governo - a garantire il rispetto della legge. Non si comprende la razionalità che si cela dietro a una riflessione in forza della quale si ritiene che, poiché la legge è violata, la legge merita di essere modificata. Prima ancora servirebbe che la legge fosse rispettata. Se a dire che la legge è violata è il Ministro, a maggior ragione si richiede al Ministro di lavorare, con l'esercizio di tutti i poteri che gli spettano, come quello di vigilanza attraverso l'Ispettorato, per garantirne il rispetto e, solo successivamente - eventualmente verificato e monitorato il funzionamento della normativa rispetto agli scopi raggiunti - mettere in campo riforme di modifica.
Anche su questo punto, in realtà, le posizioni che la maggioranza ha espresso non sono sempre univoche. Abbiamo ascoltato, da parte del Ministro, più volte l'affermazione, chiara e netta, sull'esigenza di radicale trasformazione della legislazione in materia di intercettazioni, con riferimenti, talvolta, anche al catalogo dei reati che possono essere oggetto di intercettazione. Successivamente, nel tempo, la posizione è parsa più cauta, quasi che si ridimensionasse l'esigenza di sottrarre alcuni reati al limite all'utilizzo delle intercettazioni.
Altri partiti, mi sembra, altre voci della maggioranza suggeriscono, se non ho colto male, di non procedere a modifiche del sistema delle intercettazioni, ma eventualmente valutarlo all'esito di un monitoraggio e all'esito anche del lavoro che in Senato è in corso di realizzazione circa la verifica che viene fatta sul sistema delle intercettazioni, sugli strumenti di intercettazione. Sono due posizioni molto diverse, ma non lo dico per alimentare contrapposizioni nella maggioranza, ma perché, ovviamente, tra chi sostiene che la norma debba essere cambiata e chi, invece, si riserva di cambiarla l'esito di una valutazione, è evidente che siamo appunto in presenza di due posizioni diverse. Credo che prima o poi i nodi verranno al pettine, nel momento in cui si vorranno fare atti, decreti, disegni di legge, altrimenti possiamo rimanere all'incardinamento di proposte di legge dei parlamentari, spesso di segno diverso, che però difficilmente potranno arrivare a conclusione.
Anche sul sistema della prescrizione e dell'improcedibilità noi riteniamo che l'innovazione contenuta nella riforma Cartabia meriti di essere valutata, approfondita, monitorata. È una rivoluzione, anch'essa, copernicana, perché introduce un istituto nuovo, quello dell'improcedibilità, che garantisce, nella previsione dei due anni per il giudizio d'appello e dell'anno ulteriore per il ricorso per Cassazione, fatte salve le eccezioni previste per particolari tipologie di reato, di garantire il rispetto della ragionevole durata del processo, che è un diritto fondamentale, un diritto riconosciuto dalla Convenzione, e in quella tempistica, immagino - non ho partecipato ai lavori della precedente legislatura - vi fosse la consapevolezza di agganciare l'improcedibilità, le tempistiche dell'improcedibilità alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che bene ha detto che un processo ragionevole deve rimanere entro quei limiti, 3 anni per il giudizio di primo grado, 2 anni per il giudizio di appello e un anno ulteriore per il giudizio di legittimità.
Quindi, prima di procedere all'ennesima riforma della prescrizione, magari orientata all'idea di tornare indietro nel tempo, alimentando scontri spesso ideologici anche tra soggetti che partecipano all'esercizio della giurisdizione, suggeriamo caldamente e sosteniamo la posizione che invita oggi ad effettuare un'attenta valutazione dei risultati che la nuova riforma produce prima di mettere in campo stravolgimenti o modifiche.
Infine, sul tema dell'abuso d'ufficio spesso il Governo alimenta l'esigenza della modifica della norma, peraltro recentemente emendata, sul presupposto di tutelare l'azione dei nostri sindaci. Il ruolo dei sindaci e delle sindache d'Italia è un ruolo fondamentale, rappresentano la spina dorsale delle istituzioni repubblicane nel Paese, ogni giorno sono impegnati in mezzo ai cittadini per garantire buona qualità di vita delle nostre comunità e spesso sopperiscono anche alle mancanze delle istituzioni superiori. Meritano, quindi, tutela e meritano di non essere sottoposti a responsabilità di ogni genere, non solo politiche, ma a volte anche giudiziarie per il solo fatto di essersi assunti responsabilità di governo nell'interesse delle proprie comunità; però attenzione a non strumentalizzare i sindaci. Il tema non riguarda l'abuso d'ufficio o soltanto l'abuso d'ufficio, ma riguarda complessivamente il sistema di previsione delle responsabilità e delle competenze dei sindaci. Noi abbiamo presentato, come Partito Democratico, in Senato proposte di legge, che però sono ferme, che riguardano la proroga o l'istituzionalizzazione dell'esonero della responsabilità erariale, tranne per il caso di dolo. Andrà in scadenza il 30 giugno 2023, e, se non viene prorogata, la responsabilità dei sindaci aumenterà, non diminuirà.
Abbiamo presentato una proposta di legge per la modifica dell'articolo 50 del Testo unico degli enti locali, per la radicale e netta separazione tra la funzione politica e la funzione gestionale, così come prevede la legge, ma che evidentemente, ancora non chiaramente scritta, consente ancora oggi di avere sindaci che finiscono sotto processo per responsabilità omissiva impropria.
Insomma, sono molti gli spunti, che affronteremo anche domani e che ci suggeriscono oggi di non mostrare favore rispetto all'iniziativa del gruppo Noi Moderati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mura. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MURA (FDI). Grazie, signor Presidente. La crisi pandemica ha messo in evidenza quanto sia necessario e non più differibile innovare e trasformare la giustizia italiana, non più e non solo tramite l'affidamento a singole iniziative giustificate dall'emergenza, ma attraverso un reale mutamento del paradigma culturale. Una riforma della giustizia è certamente fondamentale sia dal punto di vista economico sia da quello sociale. In primis, come purtroppo sappiamo, vi è il fattore tempo, che oggi continua a determinare medie del tutto inadeguate; rimane l'obiettivo fondamentale dei progetti e delle riforme nell'ambito del settore della giustizia. Mi consenta, signor Presidente, di commentare un passaggio di un intervento che ha preceduto il mio. È stato detto - testuali parole - che il processo non può chiudersi per il decorso del tempo. Ho letto, nella interezza di quell'intervento e anche in questa frase, che c'è un approccio all'analisi del valore del tempo legato alle fasi processuali, quasi come a dire che il fattore tempo sia una componente esclusiva del processo. Penso, ed è bene che sia più approfondito questo pensiero anche da parte vostra, che il fattore tempo sia un valore inscindibile della vita di ciascuno di noi, e né io, né lei, né nessuno qui dentro, così come neanche la giustizia italiana, ha la capacità di restituire il prezzo di quel valore. Ed è per questo che la valutazione del valore del tempo non è semplicemente una questione del percorso processuale, ma è una valutazione che dobbiamo a tutte quelle persone che passano decenni della loro vita attraverso le sale e le stanze dei tribunali, e poi magari vengono assolte, e nessuno ha più la capacità di restituirgli giustizia, poiché la vera giustizia sarebbe la restituzione di un tempo che nessuno potrà mai restituire loro.
La lentezza della giustizia è il secondo disincentivo per le imprese che vogliono investire in Italia, dopo il livello di tassazione. Si stima che una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50 per cento possa accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10 per cento, così come una riduzione da 9 a 5 anni dei tempi di definizione delle procedure fallimentari potrebbe generare un incremento di produttività dell'economia dell'1,6 per cento. Si sviluppano a partire da questo assunto tutti gli interventi indicati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e che questo Governo intende portare avanti in un modo deciso e puntuale per riportare il processo italiano a un modello di efficienza e di competitività. Le prospettive di rilancio del nostro Paese sono fortemente condizionate dall'approvazione di riforme e investimenti efficaci nel settore della giustizia, che sta cambiando anche grazie a una progressiva digitalizzazione.
Nel cantiere sempre aperto della giustizia dovremo tenere insieme l'applicazione delle riforme già varate e la progettazione di nuove. Per le prime sarà il monitoraggio a suggerire eventuali interventi. Ogni futura riforma, invece, dovrà conciliare le doverose risposte alle molteplici richieste di tutela dei cittadini con un rigoroso rispetto delle garanzie proprie di uno Stato di diritto; dal consolidamento del principio del giusto processo, che, pur essendo enunciato nella Costituzione, non fa ancora parte del quotidiano esercizio della giurisdizione, alla revisione delle norme in materia di appello e ricorso per Cassazione avverso le sentenze di proscioglimento, con gli obiettivi della deflazione dei processi, della velocizzazione del processo penale e della protezione degli innocenti rispetto al rischio di eventuali accanimenti persecutori dello Stato, dalla semplificazione normativa e burocratica della legislazione primaria e regolamentare, che aumenta il livello di litigiosità e contribuisce ad allungare i tempi dei processi, alla piena attuazione della normativa europea con riferimento al tema della tutela delle vittime di reato, se del caso prevedendo anche una disciplina risarcitoria da parte dello Stato laddove l'autore del reato sia tornato a delinquere perché rilasciato dal carcere a seguito di provvedimenti di clemenza o alternativi alla detenzione, dall'attuazione degli accordi bilaterali in essere a un deciso impegno nella stipula dei nuovi accordi bilaterali con altri Stati affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei loro Stati di origine.
Riformare la giustizia significa, però, anche altro. Significa rimettere il potere giudiziario in equilibrio con le altre istituzioni democratiche e con funzioni previste dalla Costituzione.
E allora, nel fare mie le parole dei colleghi Bicchielli e Calderone che mi hanno preceduto, dico che è opportuno sostenere il Governo, con riferimento ai punti della mozione che stiamo discutendo, affinché possa rendere effettivo il principio di non colpevolezza, previsto dall'articolo 27 della Costituzione, tutelare i diritti del soggetto indagato e imputato, agire, adottando iniziative normative per disciplinare ulteriormente la materia delle intercettazioni, onde evitarne l'abuso, nonché adottare iniziative normative volte a impedire la paralisi del sistema della pubblica amministrazione e a riformare il reato di abuso d'ufficio. Secondo noi questa è la direzione verso la quale deve andare il Governo e la sosterremo fino a che non si riuscirà a ottenere un obiettivo quanto meno condivisibile.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di legge: Formentini ed altri: “Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione sul controllo e la marchiatura degli oggetti in metalli preziosi, con Allegati, fatta a Vienna il 15 novembre 1972” (A.C. 849) e degli abbinati progetti di legge: Quartapelle Procopio e d'iniziativa del Governo (A.C. 903-923) (ore 17,31).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge di ratifica n. 849: “Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione sul controllo e la marchiatura degli oggetti in metalli preziosi, con Allegati, fatta a Vienna il 15 novembre 1972” e degli abbinati progetti di legge nn. 903-923.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 849 e abbinati)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
La III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Formentini.
PAOLO FORMENTINI , Relatore. Grazie, Presidente. La proposta di legge in esame da me presentata e adottata come testo base ha seguito la procedura speciale di cui all'articolo 107, comma 3, del Regolamento.
Venendo al merito del provvedimento, la Convenzione sui metalli preziosi è un trattato internazionale tra gli Stati contraenti, firmato il 15 novembre 1972 a Vienna. Dal punto di vista dell'iter di adesione dell'Italia, gravato da un ritardo quasi cinquantennale, segnalo che, soltanto nel luglio 2010, il Ministero dello Sviluppo economico ha formalizzato l'intenzione del nostro Paese di aderire alla Convenzione, con il nulla osta espresso nel precedente mese di marzo dal Ministero degli Affari esteri. La richiesta formale di adesione è stata dunque presentata dal MiSE l'11 marzo dell'anno successivo e l'invito ad accedere alla Convenzione è stato formalizzato il 10 ottobre 2018, a seguito di una lunga e impegnativa trattativa diplomatica sul veto posto dalla Repubblica Ceca per questioni tecniche, superate solo nel giugno 2017.
Per quanto attiene ai contenuti dell'accordo, in primo luogo, occorre rilevare che il suo ambito è strettamente limitato al controllo del contenuto di metallo prezioso e non incide sulla salubrità, la sicurezza e su altri aspetti degli oggetti stessi. A tale scopo, il testo prevede l'introduzione del primo marchio di garanzia internazionale, il marchio comune di controllo, common control mark, che indica il metallo prezioso e la sua finezza, accettato non solo negli Stati contraenti della Convenzione, ma anche in altri Paesi, dove è riconosciuto come simbolo di qualità. Particolare rilievo assumono le disposizioni di cui all'articolo 3, che fissano le condizioni cui devono sottostare gli oggetti in metalli preziosi per godere dei benefici derivanti dalla Convenzione. Precisamente: essere presentati ad un ufficio del saggio autorizzato, soddisfare i requisiti tecnici previsti dalla Convenzione, essere stati controllati secondo le norme e le procedure previste dalla Convenzione, recare i marchi prescritti dalla Convenzione.
Il successivo articolo 5 prevede che ciascuno Stato contraente debba riconoscere uno o più uffici del saggio, autorizzati per il controllo e la marchiatura degli oggetti in metalli preziosi. Parimenti rilevante è l'articolo 8 che prevede che gli Stati contraenti debbano avere o, in mancanza, dotarsi di una normativa nazionale che tuteli il marchio della Convenzione e persegua l'eventuale contraffazione o uso improprio.
Quanto al disegno di legge di ratifica, particolare rilievo assume l'articolo 3, in base al quale gli uffici del saggio devono apporre il marchio comune di controllo congiuntamente al marchio “Italia turrita”. A tale proposito, ricordo che i metalli preziosi e le loro leghe sono disciplinati dal decreto legislativo n. 251 del 1999 che stabilisce i presupposti per la lecita circolazione dei metalli preziosi e le condizioni per lo svolgimento dell'attività di coloro che operano con questa particolare materia prima.
Con l'ultima modifica, apportata attraverso l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 168 del 2015, la normativa in argomento è stata aggiornata, in particolare per semplificare gli adempimenti relativi all'applicazione della Convenzione in esame. Pertanto, l'adesione alla Convenzione è pienamente coerente con l'impianto dettato dalla normativa nazionale.
L'articolo 4 valuta gli oneri del provvedimento. Al riguardo, segnalo che, nella seduta del 9 marzo scorso, la Commissione ha deliberato l'abbinamento del progetto di legge A.C. 923, presentato dal Governo il 23 febbraio 2023, ovvero in tempi troppo avanzati per svolgerne l'esame in Commissione. Il disegno di legge A.C. 923 ha contenuto identico al testo base in esame, fatta eccezione per l'articolo 4 relativo alla copertura finanziaria, che è stata aggiornata. Si rileva, dunque, l'opportunità di acquisire il parere della Commissione bilancio circa i profili economico-finanziari del provvedimento.
In conclusione, malgrado il pluridecennale ritardo con il quale la Convenzione giunge a ratifica, raccomando l'adozione del testo che ha lo scopo di facilitare il commercio internazionale degli oggetti in metalli preziosi, con evidenti ricadute positive per l'export di una filiera di assoluta eccellenza come quella orafa, garantendo nel contempo un'adeguata tutela del consumatore, considerata la particolare natura di tali prodotti.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, Sottosegretaria Castiello, che rinuncia.
Non vi sono iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Nomina dei componenti della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi i deputati: Ouidad Bakkali, Ingrid Bisa, Maria Elena Boschi, Angelo Bonelli, Stefano Candiani, Gianluca Caramanna, Dario Carotenuto, Rita Dalla Chiesa, Francesco Filini, Stefano Graziano, Sara Kelany, Maurizio Lupi, Elena Maccanti, Augusta Montaruli, Anna Laura Orrico, Andrea Orsini, Vinicio Giuseppe Guido Peluffo, Riccardo Ricciardi, Luca Sbardella, Dieter Steger e Nicola Zingaretti.
Il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della stessa Commissione i senatori: Giorgio Maria Bergesio, Giovanni Berrino, Dolores Bevilacqua, Michaela Biancofiore, Giuseppe De Cristofaro, Barbara Floridia, Annamaria Furlan, Maurizio Gasparri, Mariastella Gelmini, Marco Lisei, Paolo Marcheschi, Ester Mieli, Clotilde Minasi, Elena Murelli, Dafne Musolino, Gaetano Nastri, Antonio Nicita, Roberto Rosso, Giovanni Satta, Raffaele Speranzon e Francesco Verducci.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 14 marzo 2023 - Ore 10:
1. Svolgimento di interrogazioni .
(ore 14)
2. Seguito della discussione del disegno di legge:
Norme in materia di procedibilità d'ufficio e di arresto in flagranza. (C. 831-A)
Relatrice: VARCHI.
3. Seguito della discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-00053, Calderone ed altri n. 1-00090, D'Orso ed altri n. 1-00091 e Bisa ed altri n. 1-00092 concernenti iniziative di competenza in materia di processo penale in relazione al rispetto dei principi costituzionali .
4. Seguito della discussione della proposta di legge:
FORMENTINI ed altri: Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione sul controllo e la marchiatura degli oggetti in metalli preziosi, con Allegati, fatta a Vienna il 15 novembre 1972. (C. 849)
e degli abbinati progetti di legge: QUARTAPELLE PROCOPIO e D'INIZIATIVA DEL GOVERNO. (C. 903-923)
Relatore: FORMENTINI.
5. Dichiarazione di urgenza e fissazione del termine per la relazione all'Assemblea sulla proposta di legge n. 389 .
6. Seguito della discussione delle mozioni Mazzetti ed altri n. 1-00040, Santillo ed altri n. 1-00048, Zanella ed altri n. 1-00075, Manes ed altri n. 1-00076, Del Barba ed altri n. 1-00087 e Merola ed altri n. 1-00088 concernenti iniziative in materia di agevolazioni fiscali per il settore edilizio e per l'efficienza energetica .
7. Seguito della discussione delle mozioni Foti ed altri n. 1-00071, Francesco Silvestri ed altri n. 1-00084, Zanella ed altri n. 1-00085 e Serracchiani ed altri n. 1-00089 concernenti iniziative di competenza in relazione alla vicenda nota come "Qatargate" .
La seduta termina alle 17,40.
TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: MARIA CAROLINA VARCHI (A.C. 831-A)
MARIA CAROLINA VARCHI, Relatrice. (Relazione – A.C. 831-A). Onorevole Presidente, Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge C. 831, Governo recante “Norme in materia di procedibilità d'ufficio e di arresto in flagranza”.
Nel riferire su tale provvedimento, si fa presente che esso, composto di 4 articoli, origina dalla considerazione che la “Riforma Cartabia” (decreto legislativo n. 150 del 2022) ha aumentato i casi di reati per i quali la procedibilità è subordinata alla proposizione di querela da parte della persona offesa. Come si legge nella relazione illustrativa “a fronte di questo intervento – che si ritiene di confermare (…) – sono però emersi alcuni problemi con riferimento a due diversi profili”.
I profili cui si fa riferimento riguardano gli effetti di questa riforma, da un lato, quando la persona offesa non si trovi nelle condizioni di compiere liberamente le proprie scelte e, dall'altro lato, per i reati per i quali la legge prevede l'arresto obbligatorio in flagranza, ma che possono essere connotati dalla difficoltà di reperire prontamente la persona offesa.
Su questi aspetti interviene l'iniziativa legislativa del Governo, ampiamente condivisa nel corso del dibattito in Commissione, nel quale si è peraltro preso atto che si tratta di criticità preesistenti alla cosiddetta Riforma Cartabia.
Nel corso dell'esame in sede referente, a seguito delle richieste formulate dal Gruppi si è svolta un'ampia e approfondita attività conoscitiva. Sul provvedimento si è inoltre espressa in modo favorevole la I Commissione, Affari costituzionali, competente in sede consultiva.
Nei tempi serrati dettati dalla dichiarazione d'urgenza, si è svolto un ricco e proficuo dibattito, tra tutte le forze politiche, caratterizzato da uno condiviso spirito costruttivo pur nella dialettica delle diverse posizioni espresse. Esso si è tradotto in una sostanziale conferma del testo del provvedimento, su cui si è registrato anche il voto favorevole o comunque di astensione delle forze di opposizione.
Per quanto riguarda il contenuto, l'articolo 1 è volto a rendere procedibili d'ufficio tutti i reati procedibili a querela ove ricorra l'aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, di cui all'art. 270-bis.1, primo comma, c.p. (comma 1) o l'aggravante derivante dall'aver commesso il fatto avvalendosi del vincolo associativo mafioso ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose, di cui all'art. 416-bis.1, primo comma, c.p. (comma 2)
L'articolo 2 è volto a includere il delitto di lesione personale previsto dall'art. 582 c.p. fra i delitti per i quali l'art. 71 del D. Lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) prevede la procedibilità d'ufficio qualora essi siano aggravati dall'essere stati commessi da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale durante il periodo di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione.
L'articolo 3, comma 1, novella l'art. 380 c.p.p. al fine di prevedere l'arresto in flagranza obbligatorio, anche in mancanza di querela nel caso in cui la persona offesa non risulti prontamente reperibile.
L'articolo 380 c.p.p., nella sua formulazione vigente, prevede che in caso di delitto perseguibile a querela di parte si procede all'arresto in flagranza soltanto qualora la querela sia proposta, anche con dichiarazione orale resa all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente sul luogo. La remissione della querela impone l'immediata liberazione dell'arrestato.
In base alla nuova disposizione, invece la querela può anche intervenire successivamente, ma deve comunque essere presentata entro il termine di quarantotto ore dall'arresto. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all'arresto sono tenuti, comunque, ad effettuare tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa. L'arrestato è quindi immediatamente liberato se la querela non è proposta nel termine oppure se la persona offesa dichiara di rinunciarvi o - come nel testo vigente - se rimette la querela proposta.
Nel caso in cui la persona offesa è presente o rintracciata, la querela può essere proposta anche - in forma semplificata - con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria, ferma la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni alla persona offesa di cui all'articolo 90-bis, il cui catalogo è stato ampliato dalla stessa riforma Cartabia (d.lgs. n 150 del 2022).
L'articolo 3, comma 2 interviene sul comma 3 dell'articolo 381, c.p.p., il quale prevede, nella sua formulazione vigente che, nel caso in cui si tratti di delitto perseguibile a querela, l'arresto (facoltativo) in flagranza possa essere eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo.
Similmente a quanto previsto con riguardo all'art. 380 c.p.p., il testo in esame dispone che anche nel caso di proposizione della querela in forma semplificata, resta la necessità di rendere alla persona offesa le informazioni di cui all'articolo 90-bis c.p.p.
Nel corso dell'esame in sede referente all'articolo 3 sono stati aggiunti due ulteriori commi volti a incidere sulla disciplina del giudizio direttissimo, per coordinarla con le nuove disposizioni in materia di arresto in flagranza obbligatorio per i delitti procedibili a querela.
Le novelle modificano l'articolo 449 c.p.p. e l'articolo 558 c.p.p. - che recano rispettivamente la disciplina del giudizio direttissimo e quella del giudizio direttissimo nel rito monocratico - per specificare che nel caso di arresto obbligatorio in flagranza per reati procedibili a querela, il giudice deve sospendere il processo nel caso in cui manchi la querela e la convalida dell'arresto intervenga prima del termine per la proposizione della stessa. La sospensione è revocata se sopravvengono la querela o la rinuncia a proporla o se decorre il termine (delle 48 ore) per la proposizione della stessa.
L'articolo 4 reca la consueta clausola di invarianza finanziaria.