XIX LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 308 di lunedì 17 giugno 2024
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA
La seduta comincia alle 14,05.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
GILDA SPORTIELLO , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 10 giugno 2024.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 77, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 maggio 2024, n. 61, recante disposizioni urgenti in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, personale militare e civile del Ministero della Difesa e operatività delle Forze armate (A.C. 1854-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1854-A: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 maggio 2024, n. 61, recante disposizioni urgenti in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, personale militare e civile del Ministero della Difesa e operatività delle Forze armate.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1854-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La IV Commissione (Difesa) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Pino Bicchielli.
PINO BICCHIELLI, Relatore. Grazie, Presidente. Prima di iniziare la relazione, mi consenta di esprimere il mio cordoglio personale per l'improvvisa scomparsa del generale Claudio Graziano, uomo di straordinarie qualità umane e di grande spessore professionale. È stato un attento e prezioso servitore dello Stato, un europeista convinto, che ha lasciato e lascia un segno importante in tutte le nostre istituzioni.
Vengo alla relazione. Onorevole Presidente, colleghi deputati, signor Sottosegretario, la legge 28 aprile 2022, n. 46, “Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo”, ha delineato la cornice giuridica nell'ambito della quale è possibile istituire, per la prima volta nell'ordinamento giuridico italiano, associazioni professionali a carattere sindacale tra militari.
La citata legge è intervenuta a seguito di un significativo pronunciamento della Corte costituzionale che nel 2018 ha modificato il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di diritti sindacali dei militari, con la sentenza n. 120 del 2018, riconoscendo, per la prima volta, la legittimità di associazioni professionali di personale militare a carattere sindacale. In tale contesto, il decreto-legge in esame ha il principale scopo di consentire il pieno e concreto svolgimento dell'attività a carattere sindacale per i militari, in attesa della conclusione della prima contrattazione collettiva.
Si tenga conto, infatti, che la determinazione del contingente dei distacchi autorizzabili e della misura dei permessi retribuiti è materia riservata alla contrattazione collettiva dall'articolo 1480, comma 4, del codice dell'ordinamento militare. Pertanto, in attesa della conclusione della prima contrattazione collettiva, mancando la fonte contrattuale, è necessario determinare con fonte normativa il contingente massimo dei distacchi e la misura dei permessi, conditio sine qua non per consentire alle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari di partecipare alle procedure della prima contrattazione collettiva.
Per queste ragioni, l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge in esame, determina un contingente di distacchi e permessi in ragione di un distacco ogni 4.000 unità di personale e di un'ora annua di permesso retribuito ogni 2 unità di personale, analogamente a quanto avvenuto in passato per la Polizia di Stato in sede di primo riconoscimento di prerogative sindacali in favore del proprio personale.
Nel corso dell'esame in Commissione la formulazione della norma è stata perfezionata con l'approvazione di emendamenti che hanno recepito una osservazione del Comitato per la legislazione al fine di evitare incertezze applicative nel caso in cui la conclusione della prima contrattazione collettiva avvenga prima della fine del 2024. Si è precisato, segnatamente, come la disciplina normativa transitoria si applichi fino all'entrata in vigore del contingente dei distacchi e permessi previsto dalla contrattazione per il triennio 2022-2024, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024. In tal modo, non si potrebbe creare una sovrapposizione della fonte normativa transitoria sulla fonte contrattuale riservata neanche qualora quest'ultima dovesse acquistare efficacia prima del 31 dicembre 2024.
Quanto alle ulteriori disposizioni dell'articolo 1, il comma 2 stabilisce le modalità di ripartizione dei distacchi e permessi, rinviando - appunto - all'articolo 1480, comma 5, mentre il comma 3 stabilisce le modalità di fruizione dei permessi in ragione di un dodicesimo per ogni mese di funzionamento, utilizzando i suddetti permessi come intera giornata lavorativa e nella misura massima di 9 giornate lavorative al mese per singolo rappresentante.
Il comma 4, infine, reca disposizioni di carattere finanziario, quantificando l'onere in euro 6.717.474, così suddivisi: 3.396.219 per le Forze armate; 2.165.789 per l'Arma dei carabinieri e 1.155.466 per la Guardia di finanza, prevedendo la relativa copertura per l'anno 2024.
L'articolo 2 reca modifiche alla disciplina transitoria in tema di rappresentatività a livello nazionale delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari tramite una riformulazione dell'articolo 2257-ter, comma 2, del codice dell'ordinamento militare; in sostanza, viene confermata la riduzione delle quote percentuali di iscritti, previste dall'articolo 1478, commi 1 e 2, ma viene modificato il periodo temporale in cui opera la riduzione prevista in via transitoria. Si prevede, segnatamente, una riduzione di due punti percentuali per il triennio 2022-2024 e di un punto percentuale per il triennio negoziale 2025-2027.
In questo modo, la norma viene allineata con i periodi nei quali viene generalmente rilevata la rappresentatività delle organizzazioni sindacali del comparto difesa e sicurezza ovvero a premessa del triennio contrattuale.
L'articolo 3, comma 1, incrementa di 10 milioni di euro per l'anno 2024 il Fondo risorse decentrate del personale civile del Ministero della Difesa, come precisato nella relazione illustrativa e come ribadito anche nel corso dell'esame in Commissione. L'intervento normativo è volto a premiare la produttività del personale civile che garantisce il necessario supporto al buon funzionamento delle Forze armate, nonché lo svolgimento di molteplici attività essenziali a cui è preordinata la Difesa, nonostante la riduzione della dotazione organica del personale civile del Ministero della Difesa.
Il comma 2, come è stato modificato nel corso dell'esame in Commissione, con l'approvazione di un emendamento che ha recepito la condizione posta dalla Commissione bilancio, reca la copertura finanziaria della misura.
L'articolo 4 interviene in materia di investimenti in sviluppo di tecnologie emergenti, incrementando di ulteriori 6.650.000 euro per l'anno 2024 la spesa di un milione di euro, già autorizzata dalla legge di bilancio 2024, al fine di far fronte agli impegni derivanti dalla sottoscrizione del fondo multi-sovrano di venture capital, denominato NATO Innovation Fund. Poiché l'Italia si è impegnata al versamento di quote pari a 7,65 milioni di euro per i primi otto anni di operatività del fondo, risulta indispensabile integrare le autorizzazioni di spesa disposte nella misura di un milione di euro per l'anno 2024 nell'ultima legge di bilancio.
Infine, l'articolo 5 dispone in merito all'entrata in vigore del provvedimento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.
MATTEO PEREGO DI CREMNAGO, Sottosegretario di Stato per la Difesa. Grazie, signor Presidente. Mi riservo intervenire nel merito a conclusione della discussione generale, però vorrei cogliere l'occasione per esprimere il profondo cordoglio del Governo per la tragica scomparsa del sottotenente di vascello Pietro Stipa, militare del Comsubin, che è mancato, nell'arcipelago de La Maddalena, sabato all'alba, e per la tragica scomparsa, questa mattina, del generale Claudio Graziano, già Capo di stato maggiore della Difesa, presidente del Comitato militare europeo, un uomo di straordinario valore, un servitore dello Stato, che ha saputo, con la sua dedizione e con la sua passione, imprimere un significativo contributo alle nostre istituzioni, in particolare alla Difesa.
PRESIDENTE. Mi permetto di associarmi, anche a nome della Camera dei deputati, alle condoglianze alla famiglia e al dolore per la scomparsa di questi nostri due uomini dell'Esercito.
È iscritto a parlare il deputato Stefano Graziano. Ne ha facoltà.
STEFANO GRAZIANO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Innanzitutto per associarci alla vicinanza alle famiglie e al dolore per la scomparsa di due uomini che hanno servito lo Stato: uno dei due stamattina, il presidente di Fincantieri, il generale Graziano, che ha servito lo Stato, da sempre una persona di grande sensibilità e, soprattutto, di dialogo, che ovviamente ci lascia sgomenti, insieme all'altro uomo della Marina; da sempre hanno servito lo Stato.
Per venire al tema, questo decreto, in realtà, che è il decreto per le associazioni sindacali militari, parte da lontano. Parte da una sentenza del 2018 e sostanzialmente il primo obiettivo era poter realizzare il sindacato militare in funzione di quelli che erano precedentemente i Cocer e, quindi, andare nella direzione della sindacalizzazione. Arriva nell'aprile 2022, con la legge n. 46, di fatto la legge che istituisce il sindacato militare. Questo decreto è fatto di 4 articoli. Questi 4 articoli delineano, da un lato, l'organizzazione delle modalità con cui si può rendere rappresentativa un'associazione sindacale militare, quindi dando il 2 e il 4 per cento, a seconda se è una Forza particolare o interforze, e poi, ovviamente, i periodi temporali, con in più le quantità di distacchi e di ore sindacali che, nella sostanza, si potevano e si possono avere in funzione sia delle unità di personale della Forza rappresentativa sia delle ore di permesso sindacale da distacco che si possono ottenere in funzione del personale che aderisce alla singola forza sindacale.
C'è da sottolineare, però, un punto. In realtà, noi presenteremo un paio di emendamenti che riguardano, in particolare, la possibilità di allungare un po' il tempo di rappresentazione delle associazioni sindacali, perché il tema di fondo è ancora la scarsa adesione alle nuove associazioni sindacali militari. Infatti, solo il 15 per cento ha aderito alle rappresentanze sindacali e, quindi, forse è utile fare uno sforzo in più perché ciò possa avvenire. Al comma 4, poi, sono previsti gli oneri complessivi del provvedimento, che sono pari a circa 6.717.000 euro, ovviamente divisi per ogni Forza armata, da questo punto di vista, mentre all'articolo 2 c'è la disciplina a livello nazionale per la rappresentatività per l'appartenenza alla singola Forza armata.
Ovviamente, noi riteniamo importante, anche, nell'articolo 3, un incremento del Fondo per le risorse decentrate del personale civile del Ministero della Difesa. Presenteremo, anche su questo punto, un emendamento per un aumento, per provare a dare una mano a un personale che comunque, da sempre - sostanzialmente, con oltre 13.000 unità - dà una mano al personale militare. Noi riteniamo che anche questa sia una cosa fondamentale e, a nostro avviso, c'è bisogno di uno sforzo in più in questa direzione.
All'articolo 4 c'è un impegno, che è stato preso nel Vertice NATO 2020 a Madrid, e, rispetto a tale impegno, potrei dire che sostanzialmente questa previsione doveva essere già prevista in legge di bilancio. È stata aggiunta qui, perché in legge di bilancio era previsto solo un milione per il NATO Innovation Fund, che, in realtà, è un Fondo di innovazione per le startup che possono e devono fare ricerca duale, da questo punto di vista, per la difesa degli Stati. Quindi, una modalità per dare una mano a prevenire quella che è sostanzialmente la possibilità di un intervento militare. Io penso che questo sia stato un obiettivo importante, che si è realizzato nella scorsa legislatura, per la realizzazione delle associazioni dei sindacati militari, con un processo che è partito, appunto, nel 2018 e che è finito nell'aprile 2022. Quindi, è un processo dei Governi della scorsa legislatura, che ha portato alla sindacalizzazione anche dei militari e penso che dobbiamo andare nella direzione, sempre più chiara, di realizzare in modo completo i sindacati militari. Per cui noi lavoreremo in questa direzione, perché è stato un provvedimento nostro, della scorsa legislatura (in particolare, su questa legge).
Dunque, ci teniamo che questa legge vada avanti e venga attuata fino in fondo, perché, comunque, è un fatto positivo, dal punto di vista delle Forze armate.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Polo. Ne ha facoltà.
BARBARA POLO (FDI). Grazie, Presidente. Intanto anche io, a nome del gruppo di Fratelli d'Italia della Commissione difesa, vorrei unirmi al cordoglio per la prematura scomparsa del generale Graziano e anche dell'ufficiale della Marina Pietro Stipa, che era in servizio nell'isola de La Maddalena, peraltro nella mia terra. Quindi, ci uniamo appunto al cordoglio.
Per tornare all'argomento, il decreto in discussione oggi reca una serie di disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle associazioni professionali sindacali e disciplina alcuni dei più importanti aspetti relativi all'effettiva attività a carattere sindacale tra militari, che, come finalità, è istituita per consentire una partecipazione professionale alla contrattazione del comparto. Possiamo certamente affermare che questo è un passo in avanti nella rappresentanza sindacale militare, superando il vecchio sistema organizzativo, che impediva alle Forze dell'ordine di costituirsi in associazioni, per un malcelato timore di tenuta del sistema democratico.
Tale decreto-legge si inserisce all'interno della cornice delineata dalla legge 28 aprile 2022, n. 46, che ha definito l'ambito nel quale è possibile istituire associazioni professionali a carattere sindacale tra militari. La necessità di questa tanto attesa evoluzione di rappresentatività è scaturita dalla sentenza n. 120 del 2018 della Corte costituzionale, che ha riscontrato l'illegittimità costituzionale del divieto alla presenza di organizzazioni sindacali nei ranghi delle Forze armate. In precedenza, in effetti, era autorizzata solo l'attività delle rappresentanze militari, le varie Cocer, Coir e Cobar, istituite dalla legge n. 382 del 1978, che, però, limitavano le proprie funzioni alla formulazione di pareri, proposte e richieste in materie quali le condizioni dei militari e la loro tutela per quel che riguarda gli aspetti economici, sanitari, previdenziali e di natura culturale.
Le nuove associazioni sindacali potranno, quindi, svolgere anche, ai fini del loro finanziamento, attività di assistenza fiscale e consulenza relativamente alle prestazioni previdenziali e assistenziali a favore dei propri iscritti, l'inserimento delle quote di genere nell'assegnazione delle cariche e l'inserimento lavorativo per chi cessa la carriera militare, oltre che promuovere la salute e la sicurezza sul lavoro e attività culturali, assistenziali, ricreative e di promozione del benessere personale dei rappresentanti e dei loro familiari, escludendo, però, dalle competenze delle associazioni la tutela individuale degli iscritti. Per svolgere queste funzioni i sindacati potranno presentare osservazioni ai Ministeri competenti ed essere auditi dalle Commissioni parlamentari. In compenso, dovranno assicurare la trasparenza dei loro bilanci, che potranno essere sostenuti solo dalle quote associative degli iscritti, tramite il meccanismo di delega sindacale.
I nuovi sindacati dovranno dotarsi di statuti improntati al rispetto dei principi democratici e alla neutralità rispetto ai diversi partiti politici e non potranno comunque interferire con i compiti operativi e con la direzione dei servizi. Il Ministero della Difesa, e il MEF per la Guardia di finanza, hanno il compito di accertare la compatibilità degli statuti con i requisiti richiesti.
Non mancano, comunque, limiti imposti all'attività sindacale anche dalla nuova normativa. I sindacati militari non potranno indire scioperi o manifestazioni in uniforme, né assumere la rappresentanza dei lavoratori non appartenenti alle Forze armate. È altresì vietato assumere denominazioni che richiamino partiti politici o organizzazioni sindacali civili, alle quali è anche proibito aderire. Le associazioni sindacali militari, infine, non potranno assumere la rappresentanza esclusiva di una o più categorie di personale e la quota massima di iscritti per singola categoria non può superare il 75 per cento.
Questo provvedimento, come hanno detto precedentemente anche i miei colleghi, si articola in 5 articoli.
La vera novità rispetto al passato la rileviamo nell'articolo 1 del provvedimento ed è costituita dalla possibilità per i militari sindacalisti, al fine di svolgere la propria attività, di usufruire di distacchi e permessi retribuiti e non assegnati sulla base della rappresentatività delle diverse organizzazioni, con soglie minime di iscritti da raggiungere, in dipendenza dalla natura interforze o meno dell'associazione. Inoltre, ai militari sarà riconosciuto il diritto di assemblea e per le organizzazioni, ovviamente, il diritto alla contrattazione.
I militari con cariche elettive nelle associazioni non saranno perseguibili in via disciplinare per le opinioni espresse nello svolgimento dei compiti connessi alle funzioni sindacali e non potranno essere trasferiti. Per le controversie nell'ambito incluso dalla legge sarà competente il giudice amministrativo.
Al comma 4 del suddetto articolo vengono individuati gli oneri complessivi del provvedimento nella cifra di 6.717.474 euro per il 2024, di cui 3.396.219 euro per le Forze armate, 2.165.789 euro per l'Arma dei carabinieri e 1.155.466 euro per la Guardia di finanza, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a euro 5.562.008, l'accantonamento relativo al Ministero della Difesa e, quanto a euro 1.155.466, l'accantonamento relativo al Ministero dell'Economia e delle finanze.
L'articolo 2 reca, invece, modifiche urgenti alla disciplina transitoria in materia di rappresentatività a livello nazionale delle associazioni professionali, allo scopo di allineare il progressivo incremento delle soglie di rappresentatività ai periodi nei quali viene rilevata per le organizzazioni sindacali del comparto difesa e sicurezza, ossia all'inizio del triennio contrattuale. In particolare, la legge n. 46 del 2022 aveva previsto soglie percentuali di iscritti ridotte transitoriamente di 2 punti percentuali per i primi 3 anni, 2022-2024, e di un punto per i successivi 4 anni dalla sua entrata in vigore. Con questo articolo si allineano, quindi, le aliquote transitorie di rappresentatività delle associazioni dal 2 per cento iniziale al 4 per cento a regime, all'inizio di ciascun triennio negoziale, assumendo carattere d'urgenza per uniformare i termini di verifica delle soglie di rappresentatività prima della fine del contratto attuale. Tale riformulazione si è resa necessaria per la circostanza che i periodi transitori previsti dall'articolo 2257-ter, comma 2, del codice dell'ordinamento militare, risultano disallineati rispetto ai periodi nei quali viene generalmente rilevata la rappresentatività delle organizzazioni sindacali del comparto difesa e sicurezza, ovvero a premessa del triennio contrattuale. La disposizione in esame, inoltre, risulta funzionale ad allineare le verifiche delle percentuali a quelle della Polizia di Stato e della Polizia penitenziaria prima della fine del contratto 2022-2024, con una anticipazione, quindi, dal maggio 2025 al 31 dicembre 2024.
L'articolo 3, invece, reca disposizioni volte a incrementare il Fondo risorse decentrate del personale civile del Ministero della Difesa. In particolare, prevede un'integrazione di 10 milioni di euro per il 2024, in deroga al limite previsto dall'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017, a tenore del quale l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, non può superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016.
L'articolo 12 del decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 8, in attuazione della delega prevista dall'articolo 3, comma 2, lettera a), della legge n. 244 del 2012 - Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia -, ha disposto la riduzione della dotazione organica del personale civile del Ministero della Difesa, fissata nel numero di 27.926 unità, giusto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013, a 20.000 unità, obiettivo da conseguire entro il 31 dicembre 2024. Tuttavia, per effetto del numero di cessazioni registrate negli ultimi anni, attualmente il numero dei dipendenti civili in servizio si attesta intorno alle 13.000 unità, consistenza che, pur aggiungendo le circa 4.000 unità di personale militare transitato nei ruoli civili per inidoneità, è già oggi ben al di sotto della soglia delle 20.000 unità. Pertanto, l'intervento normativo in esame è volto a premiare la produttività del personale civile che garantisce il necessario supporto al buon funzionamento delle Forze armate, nonché lo svolgimento di molteplici attività essenziali a cui è preordinata la Difesa. Con il comma 2, si individua la copertura finanziaria di tale misura, riducendo i risparmi di spesa di parte corrente di natura permanente accertati, ai sensi del già richiamato articolo 3, comma 2, lettera a), della legge n. 244 del 2012.
Con l'articolo 4 si dispone un significativo incremento delle autorizzazioni di spesa riferite al fondo multi-sovrano di venture capital, denominato NATO Innovation Fund, aumentando da 1 milione a 7.650.000 euro il relativo importo. Il NATO Innovation Fund è un fondo di venture capital, il primo istituito da un'organizzazione internazionale, che ha lo scopo di sostenere startup innovative che sviluppino soluzioni tecnologiche all'avanguardia per affrontare le sfide critiche in materia di difesa e di sicurezza e contribuire al mantenimento della superiorità tecnologica dell'Alleanza. Il NIF viene concepito dall'Alleanza atlantica per finanziare startup tecnologiche, dall'intelligenza artificiale alle biotecnologie, da usare in modalità dual use, ovvero, con finalità sia militari sia civili.
Il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, di concerto con gli altri Dicasteri interessati, ha firmato un decreto che ufficializza, di fatto, l'inizio del percorso anche in Italia. La cifra complessiva che i Paesi della NATO si sono impegnati a destinare al nuovo fondo è di 1 miliardo di euro.
L'Italia per il 2023 ha stanziato la quota di partecipazione di 7.650.000 euro. Il fondo dell'Alleanza atlantica avrà sede ad Amsterdam e consentirà all'organizzazione militare di investire nel settore dell'innovazione tecnologica. Questo progetto è l'unico esempio nascente di fondo di rischio multi-sovrano, con un portafoglio che arriverà a investire 1 miliardo di dollari in startup nel giro di 15 anni. Il fondo, la cui istituzione è stata decisa nel vertice NATO di Madrid del giugno 2020, come precedentemente detto, ha sede ad Amsterdam, può contare su un bilancio di 1 miliardo di euro ed è costituito da quote di contribuzione dei Paesi aderenti di cui l'Italia si conferma come terzo investitore.
Nella legge di bilancio n. 197 del 2022 per il 2023 avevamo già autorizzato una spesa pari a 8 milioni di euro come quota di partecipazione dello Stato italiano, in qualità di sottoscrittore del fondo, e con la legge di bilancio n. 213 del 2023 per il 2024 abbiamo autorizzato come contributo italiano al fondo la spesa di 1 milione di euro. Con la norma in esame, tale ultima autorizzazione di spesa aumenta a 7.650.000 euro. La necessità, ovviamente, è quella di adeguare la copertura finanziaria alle previsioni delle contribuzioni indicate nel limited partnership agreement, in cui l'Italia si è impegnata a versare quote pari a 7.650.000, per i primi 8 anni di operatività del fondo, allo scopo di coprire l'80 per cento della contribuzione totale.
Le modalità di gestione della partecipazione italiana al fondo devono essere stabilite comunque da un decreto del Ministero della Difesa, di concerto con il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con il Ministro dell'Economia e delle finanze e con il Ministro delle Imprese e del made in Italy, così come previsto dall'articolo 1, comma, 724, della sopracitata legge di bilancio per il 2023.
La necessità di dare concretezza e completare la legge sulle associazioni militari a carattere sindacale con la regolamentazione dei distacchi e dei permessi sindacali l'avevamo già affrontata nella scorsa legislatura, quando si discuteva proprio della legge e sebbene Fratelli d'Italia abbia sempre mostrato qualche perplessità sul percorso normativo e sul risultato finale ha sempre collaborato con proposte migliorative e programmatiche. Era quindi naturale arrivare al provvedimento in discussione oggi e come Fratelli d'Italia affrontiamo il percorso con responsabilità e pragmatismo, anche nel trovare le risorse economiche e permettere di conseguenza alle associazioni di partecipare al rinnovo del contratto del comparto difesa e di pubblica sicurezza.
È utile ricordare l'importanza del comparto anche quando dobbiamo spiegare ai nostri cittadini l'impiego delle nostre risorse economiche, smentendo le bufale mediatiche di chi, dall'opposizione, getta fango sulle nostre Forze armate e vorrebbe nel settore solo tagli, paventando motivazioni guerrafondaie che nulla hanno a che vedere con il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne in divisa. Questo è solo un tassello importantissimo di un percorso che deve portare a ridare dignità alle nostre divise.
L'Italia può già vantare, nelle sue Forze armate, alte professionalità a livello internazionale ed è riconosciuta come esempio di efficacia e di concretezza, ma necessita di maggiore supporto tecnologico e numerico e, soprattutto, di un adeguamento strutturale alle esigenze contemporanee all'interno di un contesto geopolitico internazionale complesso.
Insomma, per concludere, Presidente, questo è un provvedimento che il mondo della difesa aspetta urgentemente, come attende altre doverose risposte e altri provvedimenti utili al nostro personale militare e civile della Difesa.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Baldino. Ne ha facoltà.
VITTORIA BALDINO (M5S). Signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi e colleghe, cogliamo anche noi l'occasione per unirci al cordoglio per la tragica scomparsa dell'ufficiale della Marina Pietro Stipa e del generale Claudio Graziano. Ci uniamo al cordoglio e alle condoglianze alle loro famiglie e a tutti coloro che hanno condiviso con loro percorsi umani, professionali e militari.
Gentili colleghi e colleghe, i sindacati militari sono una conquista raggiunta nella scorsa legislatura, grazie al lavoro del MoVimento 5 Stelle. Dare rappresentanza sindacale anche alle lavoratrici e ai lavoratori con le stellette è una conquista di civiltà e di democrazia, una rappresentanza che non era purtroppo garantita dai vecchi e inadeguati organismi esistenti.
La legge 28 aprile 2022, n. 46, fortemente voluta dal MoVimento 5 Stelle, ha delineato la cornice giuridica che ha reso possibile istituire per la prima volta nell'ordinamento giuridico italiano associazioni professionali a carattere sindacale anche tra militari.
Si tratta di una legge intervenuta a seguito di una storica sentenza della Corte costituzionale che nel 2018 ha riconosciuto per la prima volta la legittimità di tali associazioni sindacali in ambito militare.
La necessità di una reale e non fittizia tutela dei diritti dei militari è testimoniata dalla sequela di scandali che hanno portato alla pubblica attenzione le loro condizioni di lavoro. Pensiamo ai tanti casi di nonnismo, che hanno provocato morti e suicidi, alla tragedia delle morti da uranio impoverito dei militari impiegati nelle missioni all'estero, al problema dell'amianto che infestava le navi della Marina militare e a quello più recente della potabilità delle acque a bordo delle nostre unità navali o, ancora - è una notizia di qualche giorno fa, passata un po' sotto traccia - pensiamo ai Carabinieri e alle altre Forze dell'ordine, agenti di pubblica sicurezza addetti al G7, alloggiati in modo indegno su una nave traghetto fatiscente. Per non parlare, poi, di tutti i problemi ordinari, ma estremamente sentiti dal personale militare, dei ricongiungimenti familiari, degli alloggi e dei turni lavorativi spesso massacranti a causa delle carenze di personale, ma su questo tornerò dopo.
Il decreto in esame mira a consentire concretamente il pieno svolgimento dell'attività sindacale per i militari, regolamentando distacchi e permessi sindacali retribuiti e, soprattutto, prorogando il regime transitorio delle nuove associazioni sindacali che, altrimenti, non potrebbero iniziare ad operare e a partecipare alla contrattazione collettiva.
Il decreto tratta anche il tema molto sentito dal MoVimento 5 Stelle del personale civile del Ministero della Difesa, per il quale è necessario un incremento di risorse, per premiare, attraverso la contrattazione collettiva nazionale integrativa, la produttività di questo comparto essenziale per garantire il buon funzionamento dell'intero apparato della Difesa. A nostro giudizio, l'incremento previsto di 10 milioni è insufficiente e, per questo, il MoVimento 5 Stelle chiede un aumento almeno del doppio, almeno pari a 21 milioni per il prossimo anno, per il 2025. È qui, secondo noi, che è giusto investire risorse, nel fattore umano della nostra Difesa, non sempre e solo nei materiali d'armamento. Questo Governo fa tanta retorica a sostegno delle nostre Forze armate, ma è molto più concentrato sull'aggettivo “armate” che sul sostantivo “forze”, sulla forza lavoro, senza la quale armi e mezzi sono solo inutile ferraglia. Questo vale per il personale civile, così come per il personale militare. Che senso ha, ad esempio, investire miliardi per potenziare la flotta navale della Marina militare, quando, poi, mancano i marinai, che, quindi, sono costretti a fare turni di servizio a bordo lunghi e massacranti? E questo vale anche per l'Esercito e per l'Aeronautica.
Per il MoVimento 5 Stelle le donne e gli uomini della Difesa, civili e militari, vengono prima dei missili, prima dei siluri, prima dei carri armati e prima dei cacciabombardieri. Per questo, il MoVimento 5 Stelle ha sempre mostrato attenzione per la tutela dei diritti e per le condizioni di lavoro del personale della Difesa, ha sempre sostenuto le sue giuste rivendicazioni e ha lavorato per arrivare a una reale rappresentanza sindacale militare. Il MoVimento 5 Stelle è sempre stato e sempre sarà al fianco del personale della nostra Difesa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zoffili. Ne ha facoltà.
EUGENIO ZOFFILI (LEGA). Grazie, Presidente Fontana. Anche il nostro gruppo della Lega ci tiene ad unirsi al cordoglio che ha espresso in Aula per la perdita del presidente di Fincantieri, per la scomparsa del generale Graziano, un comandante dallo straordinario curriculum, orgoglio, in particolare, del Corpo di appartenenza, del Corpo degli alpini, orgoglio del nostro Paese in Italia e all'estero. Presidente, esprimiamo cordoglio anche per la perdita del giovane ufficiale della nostra Marina militare, il ventiseienne Pietro Stipa, che abbiamo perso nel tragico incidente avvenuto lo scorso fine settimana a La Maddalena, in Sardegna. Presidente, quando perdiamo uomini così, uomini di valore, uomini di Stato, Sottosegretario Perego, se ne va una parte di tutti noi. Condoglianze veramente di cuore alle Forze armate e alle famiglie.
Ma andiamo, Presidente, colleghi, Sottosegretario, al provvedimento oggi all'esame, che è stato sottoscritto dal Presidente del Consiglio e dal Ministro della Difesa, di concerto con il nostro Ministro della Lega, Giancarlo Giorgetti. Esso ha come finalità principale quella di consentire concretamente il pieno svolgimento dell'attività di carattere sindacale per i militari, in attuazione di un diritto che è stato loro riconosciuto da una sentenza della Corte costituzionale e da un successivo intervento legislativo nel corso della scorsa legislatura, la legge 28 aprile 2022, n. 46. Sostanzialmente, adesso si fa il passo successivo, creando le condizioni pratiche e indispensabili al concreto esercizio di questo diritto. In primo luogo, il provvedimento riconosce il diritto ai distacchi e ai permessi retribuiti, senza il quale nessun militare potrebbe svolgere attività sindacale. La misura prevista è di un distacco ogni 4.000 unità di personale e di un'ora annua di permesso retribuito ogni due unità. Ovviamente, si tratta di un intervento che prevede dei costi, che sono stimati pari a poco più di 6.700.000 euro per l'anno in corso, coperti attingendo al Fondo speciale di parte corrente del Ministero dell'Economia e delle finanze.
In secondo luogo, il provvedimento al nostro esame interviene, modificandole, anche sulle norme concernenti la rappresentatività a livello nazionale delle associazioni sindacali tra militari, sia abbassando le percentuali degli iscritti richieste sia per anteporre la loro rilevazione all'inizio del triennio coperto dai contratti da negoziare. Si tratta senza dubbio di una facilitazione. Nel disegno di legge sono, altresì, presenti disposizioni che incrementano di 10 milioni di euro il Fondo risorse decentrate del personale civile del Ministero della Difesa. Inoltre, all'interno del provvedimento è presente una norma che accresce significativamente le autorizzazioni di spesa riferite al Fondo multi-sovrano di venture capital denominato NATO Innovation Fund, portandole da 1.000.000 a 7.650.000 euro, anche con l'obiettivo di sostenere le startup ad alto contenuto tecnologico esistenti nei Paesi alleati.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, Sottosegretario, la Lega-Salvini Premier ha concorso all'elaborazione della disciplina che regola l'esercizio dei diritti sindacali in ambito militare, tenendo presente anche le necessità di tutelare l'operatività delle Forze armate. A nostro avviso, il presente provvedimento non altera l'equilibrio raggiunto nella scorsa legislatura e, per questo motivo, il nostro gruppo voterà a favore della sua approvazione.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 1854-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Bicchielli, se lo desidera.
PINO BICCHIELLI, Relatore. No, Presidente.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
MATTEO PEREGO DI CREMNAGO, Sottosegretario di Stato per la Difesa. Grazie, Presidente. Brevemente, solo per sottolineare l'importanza di questo provvedimento. Dall'inizio di questa legislatura, il Governo si è impegnato affinché fossero adottate norme per consentire ai sindacati, alle organizzazioni cosiddette APCSM, di esercitare le proprie funzioni. In particolare, la norma, che definisce i distacchi e i permessi, garantisce la cornice normativa affinché venga effettuata dai sindacati la contrattazione per gli anni 2022-2024.
Un'altra parte del provvedimento, che ritengo importante, è la destinazione di 10 milioni sul Fondo risorse decentrate del personale civile della Difesa. Come sapete, il personale civile della Difesa è stato oggetto degli effetti della legge n. 244, che prevede un limite massimo di 20.000 unità, anche se, ad oggi, anche considerando i transitati, siamo soltanto a 17.000, quindi sono 13.000 gli effettivi numeri del personale civile della Difesa, che svolge un ruolo molto importante nel Dicastero. Così come è importante una migliore definizione della rappresentatività per andare nella direzione di un'equiparazione della rappresentatività fra le Forze armate e le Forze di polizia ad ordinamento civile.
Di altrettanto valore è la considerazione, rispetto ad alcuni interventi che ho sentito oggi in Aula, sul fatto che il Governo abbia a cuore il personale con le stellette, anche con riferimento alla possibilità di offrire sistemi adeguati e moderni: queste due cose non sono assolutamente in contraddizione. Anzi, se pensiamo proprio alla Marina militare, investire in capacità significa avere navi più efficienti che hanno bisogno di meno organico e in cui l'ambiente di lavoro è consono alle missioni. Perciò, credo che vi sia una forte continuità fra gli investimenti in sistemi e l'investimento nel personale che rimane il capitale fondamentale della nostra Difesa, nei confronti del quale il Governo si è adoperato con norme adeguate a favorirne il benessere e la produttività.
È altrettanto importante sostenere il NATO Innovation Fund, che è un fondo che vuole sostenere le startup. Viviamo in un'epoca ad altissimo contenuto tecnologico, dunque, è importante sostenere chi fa innovazione, soprattutto perché queste startup hanno una ricaduta duale: infatti, hanno interesse anche le tecnologie sulla vita civile oltre che quella militare.
Più in generale, quindi, tale provvedimento ancora una volta definisce la traiettoria indicata dal Ministro Crosetto in merito alle linee programmatiche del Dicastero, volte a sostenere la Difesa nella sua missione di provider di sicurezza in Italia e all'estero, in un contesto geopolitico degradato.
Voglio cogliere questa occasione per ringraziare ancora una volta tutti i nostri militari. Penso, in particolare, a quelli schierati in questo momento nel Mar Rosso a difesa dei nostri interessi economici e lì sta proprio il senso della nostra missione: garantire che gli interessi nel nostro Paese e la sicurezza dei nostri commerci vengano mantenuti grazie all'operato di donne e uomini straordinari nelle nostre navi nel Mar Rosso, così come grazie a tutti i militari schierati sul fianco Est dell'Alleanza atlantica, a presidio dei nostri confini, in un'area purtroppo coinvolta da un conflitto che ormai perdura da più di due anni. Quindi, a ciascuno di loro e alle loro famiglie va il nostro profondo senso di gratitudine e riconoscenza. Grazie.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di legge: Schlein ed altri: “Disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio sanitario nazionale in attuazione dei princìpi di universalità, eguaglianza ed equità” (A.C. 1741-A) e delle abbinate proposte di legge: Speranza ed altri; consiglio regionale del Piemonte; consiglio regionale dell'Emilia-Romagna; consiglio regionale della Toscana; consiglio regionale delle Marche; consiglio regionale della Puglia; Quartini ed altri; Bonetti ed altri; Zanella ed altri (A.C. 503-1533-1545-1608-1626-1712-1846-1850-1865) (ore 14,52).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1741-A: “Disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio sanitario nazionale in attuazione dei princìpi di universalità, eguaglianza ed equità” e delle abbinate proposte di legge nn. 503-1533-1545-1608-1626-1712-1846-1850-1865.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 14 giugno 2024 (Vedi l'allegato A della seduta del 14 giugno 2024).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1741-A e abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, deputata Simona Loizzo.
SIMONA LOIZZO, Relatrice per la maggioranza. Presidente Fontana, onorevoli colleghi, sono qui oggi a riferire in merito alla proposta di legge recante “Disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio sanitario nazionale in attuazione dei principi di universalità, eguaglianza ed equità”, di iniziativa della deputata Schlein e altri, rispetto alla quale la XII Commissione (Affari sociali), il 13 giugno scorso, ha deliberato di riferire in senso contrario. Vorrei, quindi, in qualità di relatore per la maggioranza, motivare le ragioni di tale deliberazione. Innanzitutto, tengo a sottolineare che la proposta di legge ha avuto un iter parlamentare che definirei completo, presso la Commissione di merito, che ne ha avviato l'esame il 24 aprile scorso su richiesta del gruppo del Partito Democratico, prima, dunque, che ne venisse deliberata l'urgenza in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo.
Fin dalla prima seduta ho avuto modo di far presente all'altro relatore, l'onorevole deputato Furfaro, per la chiarezza dei rapporti con i gruppi di opposizione e più in generale con la Commissione, come la copertura finanziaria prevista fosse assolutamente inidonea. Rilevo, infatti, che l'articolo 4 rinvia a “(…) maggiori risorse derivanti dalla crescita economica prevista dai due documenti di programmazione economica e finanziaria” e, qualora essa non garantisca le risorse necessarie, rinvia a “(…) misure aggiuntive di contrasto dell'evasione ed elusione fiscale e contributiva”. Ciò, a fronte di oneri molto elevati, derivanti dalla previsione di un incremento del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale, fino a raggiungere una percentuale di finanziamento annuale non inferiore al 7,5 per cento del PIL di misura per la riduzione delle liste d'attesa e di quelle concernenti il personale del Servizio sanitario nazionale.
Ebbene, nella nostra attività di parlamentari, tutti noi, onorevole Furfaro, siamo consapevoli del fatto che, a fronte di qualsiasi spesa anche minima prevista da un progetto di legge, debba essere individuata con estrema precisione la relativa copertura finanziaria, direi certa, altrimenti il progetto, come lei sa, Presidente, non va avanti. Dopo l'avvio della discussione, si è svolto in Commissione un ampio ciclo di audizioni informali al termine del quale, su richiesta del relatore Furfaro, la proposta di legge n. 1741, alla quale, man mano, sono state abbinate le altre proposte, è stata scelta come testo base per il prosieguo dei lavori. Preciso che la maggioranza, in tale fase, si è astenuta dopo che alcuni suoi esponenti hanno ribadito con chiarezza le perplessità e i dubbi da me espressi in precedenza. Non si è registrato, quindi, alcun atteggiamento ostruzionistico ma, al contrario, c'è stato un confronto franco e leale. Il termine per la presentazione delle proposte emendative era stato fissato per venerdì 7 giugno: faccio presente che, nel frattempo, è stato pubblicato un provvedimento importantissimo da tempo annunciato dal Governo: il decreto-legge, 7 giugno 2024, n. 73, recante “Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie”.
Oltre al decreto-legge, Presidente, ricordo che il Consiglio dei ministri ha approvato, nella medesima riunione, un disegno di legge sempre in materia di prestazioni sanitarie, che sarà presentato a breve a una delle due Camere. Il decreto-legge, per il suo contenuto, è ampiamente sovrapponibile alla proposta di legge oggi in discussione, affrontando esso stesso, in modo a nostro avviso esaustivo, i temi delle liste d'attesa e del superamento dei limiti di spesa per le assunzioni del personale sanitario. Pertanto, a seguito della presentazione del decreto-legge al Senato, la presidenza della XII Commissione ha chiesto al relatore Furfaro la disponibilità a rinviare il seguito dell'esame della proposta di legge n. 1741, essendo in vigore una normativa vertente sulle stesse materie trattate dalla richiamata proposta. Peraltro, è stato fatto notare come lo stesso decreto-legge potrà essere modificato nel corso dell'iter parlamentare, attraverso l'approvazione di proposte emendative.
Dunque, sarebbe stato senz'altro preferibile per tutti noi e più razionale attendere la conversione del decreto. Poiché è mancato l'assenso del gruppo del Partito Democratico, al fine di richiedere un rinvio della calendarizzazione in Assemblea, fissata per oggi in Commissione, si è proceduto all'esame e alla votazione delle proposte emendative presentate.
Sottolineo che, ferme restando le considerazioni ovvie, legate all'entrata in vigore del decreto-legge vertente sulla stessa materia del provvedimento in esame, non sono state comunque presentate proposte emendative volte al superamento delle carenze riscontrate nel testo di base. In particolare, un emendamento, del relatore Furfaro, si proponeva di sostituire alle attuali disposizioni finanziarie una norma che, anziché indicare una copertura puntuale, rinviava ancora una volta a successivi provvedimenti normativi, volti a realizzare tagli ai benefici fiscali ad eccezione di quelli previsti in determinate materie. Ebbene, ciò che io voglio dire è che, al riguardo, l'attuale Governo sia sicuramente, come tutti noi, contrario all'ipotesi di introdurre, Presidente, nuove tasse.
Sul testo originario non modificato dagli emendamenti sono stati, quindi, acquisiti i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva che hanno ritenuto di esprimersi - e li chiarisco - parere contrario della Commissione finanze e della Commissione lavoro, parere favorevole con osservazioni della Commissione affari costituzionali.
Per le ragioni illustrate, è evidente che non ci fossero le condizioni per conferire un mandato a riferire in Assemblea in senso favorevole. Questo certamente non per via di un atteggiamento aprioristicamente contrario nei confronti dell'opposizione. Presso la XII Commissione, infatti, probabilmente, per la tipologia delle materie trattate - sanità, disabilità e, più in generale, le politiche sociali tutte - si registrano spesso ampie convergenze tra maggioranza e opposizione che hanno portato alla sottoscrizione comune di atti di Governo o all'approvazione di pareri condivisi su atti del Governo.
Anche sul piano degli ultimi provvedimenti legislativi, tengo a sottolineare che una delle proposte di legge all'ordine del giorno dell'Assemblea nella settimana scorsa, quella recante disposizioni in materia di assistenza sanitaria per i senza dimora, di cui il relatore è proprio lo stesso onorevole Furfaro - si tratta, peraltro, di una proposta onerosa -, è approdata in Aula con il mandato a riferire favorevolmente deliberato dalla XII Commissione. Non ci possono essere dubbi, quindi, sul fatto che, nel caso di specie, non ci fossero assolutamente e incontrovertibilmente le condizioni per deliberare il conferimento del mandato a riferire in senso favorevole.
Oltre alle carenze riscontrabili nel provvedimento in esame, evidenzio che la maggioranza si riconosce pienamente nell'attività che il Ministro Schillaci e, più in generale, il Governo - mi sento di ringraziare il qui presente Sottosegretario Marcello Gemmato per la sua opera - stanno portando avanti in tema di sanità. Si compiono progressivamente importanti passi avanti, sempre con rigore e realismo, rigore, purtroppo, economico dettato dalle leggi di bilancio e senza mistificazione.
La situazione complessiva della sanità è oggettivamente difficile, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei. Non sarebbe, dunque, serio nei confronti dei nostri cittadini, del popolo italiano, invocare soluzioni miracolistiche. I colleghi di tutti i gruppi parlamentari possono avere fiducia nel fatto che il Governo reperirà man mano sempre maggiori risorse da investire in sanità, come ha dimostrato fino ad oggi. E noi dobbiamo anche dircelo che, oltre al maggior finanziamento del Fondo sanitario nazionale, il sistema sanitario nazionale va rivisto negli aspetti soprattutto di tipo organizzativo che sono retaggio per questo Governo di altri Governi passati.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il relatore di minoranza, deputato Furfaro. Ne ha facoltà.
MARCO FURFARO , Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, intanto partiamo da un dato che credo sia inequivocabile. In questo Paese, la sanità pubblica sta soffrendo di ritardi, di attese interminabili, di ospedali che sono senza personale, di fuga dei medici. Sono in una situazione che è letteralmente al collasso. Sicuramente, come raccontava la relatrice di maggioranza, onorevole Loizzo, è dovuta anche al fatto che, in questi anni, la sanità pubblica non è stata finanziata a dovere, almeno fino alla pandemia. Quindi, c'entrano Governi di centrodestra e Governi di centrosinistra, senza alcun dubbio, chi più e chi meno. Però, c'era stata un'inversione di tendenza proprio durante il COVID, perché pensavamo che questo Paese avesse capito.
Ma c'è un tema che non si può rinviare, che riguarda il qui ed ora, e riguarda persone che non riescono più a curarsi. Questo - come abbiamo ascoltato io, l'onorevole Loizzo, la maggioranza, il Governo, il Sottosegretario Gemmato, i colleghi e le colleghe - deriva dal fatto che il sistema sanitario nazionale è sottofinanziato. Ce l'hanno detto tutti. Hanno detto, ovviamente, che le spese devono essere rese più efficienti e che occorre una riorganizzazione, ma c'è un tema di spese e di investimenti nel sistema sanitario nazionale, che è sottofinanziato rispetto alla media europea. Ciò fa sì che la sanità pubblica rischia il collasso e ci renda i fanalini di coda, purtroppo, rispetto agli altri Paesi. Lo mette nero su bianco la Fondazione GIMBE che, nel 2022, colloca l'Italia al fanalino di coda dei Paesi europei. Parliamo di un gap di 810 euro pro capite, a persona, per questo Paese rispetto alla media europea e di 50 miliardi circa di ritardo, circa 47,7, una cifra mostruosa. Sono queste cifre che fanno in modo tale che ci siano due anni d'attesa per la mammografia, un anno per la TAC o un anno per l'ecografia.
Questo Paese, purtroppo, ha avuto Governi che probabilmente avrebbero dovuto finanziare maggiormente il sistema sanitario nazionale che oggi mette a rischio la sua resilienza e, quindi, compromette gravemente anche la capacità di rispondere alle esigenze della salute del Paese. Basti citare le oltre 4 milioni di persone che non riescono più a curarsi perché le liste d'attesa sono troppo lunghe o perché non hanno i soldi per farlo. Oppure i pediatri e medici di base che non si trovano nelle aree interne, i pronto soccorso in cui c'è una fila interminabile. L'autonomia differenziata, l'ultima ciliegina sulla torta, spaccherà ancora di più l'Italia, come ha citato il Presidente dell'Ordine dei medici e dei chirurghi, non Marco Furfaro, ma Filippo Anelli, che farà in modo tale di dare un colpo definitivo alla sanità pubblica per chi vuole curarsi al Sud. È una situazione drammatica, purtroppo.
È una situazione drammatica con il Governo, che, anziché invertire questo trend, lo aggrava, anche rispetto di quello che è stato raccontato, perché credo che la propaganda sia stonata anche per chi vuole far politica in campagna elettorale, soprattutto per quella maggioranza degli italiani che non va più a votare, non ci credono più e, a volte, hanno anche ragione. Sapete perché? Quando si racconta del più grande investimento della storia, si fa una furbizia, perché tutti i Governi hanno sempre fatto il più grande investimento della storia, in termini assoluti, ovviamente. Infatti, il fabbisogno finanziario del sistema sanitario nazionale cresce e, quindi, i Governi sono costretti a mettere di più. Il problema è che si mette sempre troppo poco, non abbastanza per le risorse che servono. L'aumento del Governo di circa 11 miliardi in tre anni basterà a malapena al rinnovo dei contratti del personale e il resto che rimane sarà eroso dall'inflazione che galoppa. È una situazione tragica che peggiorerà.
Per questo, come hanno chiesto in tutte le audizioni, abbiamo presentato una proposta di legge che provasse a trovare ascolto di quel grido che chiede di aumentare le risorse in sanità pubblica per non far andare la sanità al collasso, magari per favorire quella privata. Per questo, abbiamo presentato la legge Schlein che è un vero e proprio shock. Ma non è una legge del Partito Democratico, è una legge che recepisce anche le indicazioni delle regioni, perché ci sono proposte di legge presentate da regioni di centrosinistra, ma anche di centrodestra. La stessa regione Piemonte ha presentato un'iniziativa legislativa molto simile che chiede, in linea con le raccomandazioni della Fondazione GIMBE, ma soprattutto dell'OCSE, di far arrivare il finanziamento in sanità pubblica a una somma pari al 7,5 per cento del PIL, in modo da sbloccare così nuove risorse.
Non per conservare un sistema malato, ma per implementarlo, per investire, per potenziarlo a favore dei cittadini per i quali oggi non vige più l'articolo 32 della Costituzione, l'unico articolo in cui si prevede l'aggettivo “fondamentale “e dove non si parla di cittadini, ma di individui. Perché il diritto alla salute è fondamentale per la qualità della vita di una persona, altrimenti non c'è nessun altro diritto che possa tenere, purtroppo.
Per questo abbiamo presentato una proposta di legge che, con quelle risorse, avrebbe fatto sì che ci fosse il potenziamento, il rinnovamento e, soprattutto, lo sblocco delle assunzioni - un terribile vincolo introdotto dal Governo Berlusconi nel 2009, con Ministra Giorgia Meloni (a proposito del passato, che si guarda un po' a senso unico, senza guardare chi c'era, anche di questo Governo, in quei Governi precedenti) -, che darebbe la possibilità di frenare quella fuga dei medici che abbiamo nel nostro Paese, attratti sempre più dalla sanità privata, sempre per un vostro provvedimento, la flat tax incrementale, e di immettere risorse, e di far venir meno quel brutto fenomeno dei gettonisti, che fa sì addirittura che lo Stato paghi di più che assumere un medico a tempo indeterminato.
E poi ci sono misure precise per abbattere le liste d'attesa, i cui tempi attuali sono una piaga, come sanno bene i cittadini, ridefinendo l'intero meccanismo all'insegna della trasparenza, rendendo i tempi d'attesa pubblici, cambiando i CUP e costruendo un sistema di prenotazione unico a livello regionale o infraregionale. Lo abbiamo fatto con questa proposta di legge, perché pensiamo che queste non siano spese, ma investimenti veri e propri, che possono fare in modo che lo Stato, attraverso la prevenzione, possa diminuire in futuro le spese per la cura dei propri cittadini. E lo abbiamo fatto, mettendo coperture che - abbiamo sempre detto - potevano essere all'ordine del giorno della discussione.
Abbiamo presentato un emendamento, dati i rilievi e le criticità della maggioranza, che sembra sia diventata un plotone di ragionieri più attenti al bilancio, che rappresentanti parlamentari che dovrebbero fare scelte politiche. Ma, guardate, noi non siamo indisponibili a discutere di una copertura economica. Intanto, dobbiamo metterci d'accordo su un aspetto: se le raccomandazioni dell'OCSE sono utili, cioè il fatto di arrivare al 7,5 per cento del PIL almeno entro quattro anni, discutiamo insieme su come coprirlo. Noi abbiamo proposto di ridefinire il bilancio dello Stato, al netto delle spese sociali, con una quota riservata alla spesa sanitaria.
Certo, se abolite il redditometro non ci saranno risorse maggiori per l'evasione fiscale. Certo, se fate condoni per miliardi di euro è chiaro che quei soldi potrebbero essere messi nella sanità pubblica, e non solo.
Il decreto importantissimo, definito così dalla relatrice di maggioranza, è un decreto in cui le uniche misure sulle liste d'attesa sono a vantaggio del privato, a vantaggio del privato. Non solo: non c'è stata una collaborazione con le regioni, che sono gli enti di prossimità e che si sono lamentate del mancato confronto e considerano quel decreto astratto e privo di coperture. Le regioni italiane, in sede di Conferenza, definiscono il decreto - da voi definito importantissimo - astratto e privo di coperture. Ma non solo: non è subito attuativo. Ci sono oltre 4 milioni e mezzo di italiani che non riescono a curarsi? Lo faranno un giorno; noi facciamo un decreto elettorale in cui rimandiamo a sette decreti attuativi, che non si sa quando si faranno. Le risorse sono esigue: ci sono circa uno o due milioni di euro per un organismo di controllo e all'incirca poco più di 150 milioni di euro, mentre noi proponiamo di stanziare miliardi per arrivare al 7,5 per cento del PIL.
Infine, non c'è, purtroppo, alcun superamento del tetto del personale, perché di fatto non si supera, dato che - per il 2024 e fino all'attuazione dei nuovi decreti - si può arrivare al 15 per cento dell'incremento del Fondo sanitario regionale, rispetto all'esercizio precedente. Però, poi dal 2025, con uno o più decreti, si stabilirà la nuova metodologia per la definizione del fabbisogno di personale; mentre la proposta Schlein definisce, in modo accurato, il fatto che non debba essere più applicata la misura sul tetto di spesa per il personale del sistema sanitario nazionale: questo per fare in modo che si possano immettere, da subito, nuove risorse e nuovi operatori sanitari.
A noi è sembrata abbastanza curiosa la richiesta di ritirare questa proposta di legge: posso capire che il Governo svolga la propria attività politica, esecutiva e - legittimamente - anche d'iniziativa legislativa, ma i decreti non sono sovrapponibili. Non si può prendere in giro per sempre il Paese, si può fare per un po' ma poi alla fine nessuno si può prendere in giro per sempre: questa è una citazione di un vecchio Presidente degli Stati Uniti, ma potrebbe valere benissimo per l'attualità. Credo che l'ipocrisia dobbiamo lasciarla fuori da queste Aule, perché queste Aule, in questi giorni, non hanno dato una bella immagine di sé. C'è un astensionismo molto forte e credo che, anziché fare sempre questa retorica ipocrita, dire una cosa, nasconderla, far finta che sia un'altra, sarebbe meglio dire la verità. Non è una scelta politica valorizzare la sanità pubblica: la scelta politica è favorire la sanità privata, con un regime fiscale che aiuta la fuoriuscita di medici, con la flat tax incrementale, con il fatto che anche sulle liste di attesa si favorisce il privato, con i pochissimi finanziamenti a tutela del sistema sanitario nazionale.
Noi vogliamo altro: resisteremo su questa proposta di legge, vi invitiamo a votarla e a riprendere in considerazione la vostra proposta se davvero volete abbattere le liste d'attesa, sbloccando le assunzioni e favorendo la sanità pubblica. Altrimenti, significa che non volete un'Italia in cui ci si curi con la tessera sanitaria, ma con la carta di credito, e noi quell'Italia non l'accetteremo, ma la combatteremo sempre, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire successivamente.
È iscritta a parlare l'onorevole Malavasi. Ne ha facoltà.
ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Cari colleghi e care colleghe, mi onoro di intervenire nel merito di questa discussione, ben sapendo come spesso nelle Commissioni, negli incontri e nelle iniziative ci siamo confrontati sull'importanza del sistema sanitario nazionale in modo trasversale ed è un punto di partenza importante. Al tempo stesso, sappiamo bene come la pandemia abbia impresso nella nostra mente il valore del sistema sanitario nazionale, pubblico e universale, ma anche quei princìpi su cui è fondato lo stesso sistema sanitario nazionale: quei principi di universalità, di uguaglianza e di equità, che hanno rappresentato un pilastro della nostra democrazia; un diritto sancito dalla nostra Costituzione, nell'articolo 32, che oggi rischia veramente il collasso a causa di tagli, di finanziamenti inadeguati, di carenza di personale e di blocco delle assunzioni. Sono dati oggettivi, in una situazione aggravata dall'invecchiamento della popolazione, che già oggi costringe i cittadini a fare i conti con lunghi tempi di attesa, disuguaglianze regionali importanti, aumento della migrazione sanitaria, crescita della spesa privata dei cittadini, rinuncia alle cure, riduzione delle aspettative di vita - con una differenza importante da Nord a Sud -, che credo evidenzi una scarsa qualità dei servizi sanitari regionali.
Ci sono oggi più di 4 milioni di persone, di italiani, che rinunciano alle cure, in un Paese sempre più povero, con retribuzioni ferme da oltre 30 anni, con un'inflazione che continua a crescere e nuove fragilità che quotidianamente richiedono non solo la nostra attenzione, ma risposte concrete.
Il Documento di economia e finanza, approvato dal Governo, certifica dati incontrovertibili: quest'anno il rapporto fra la spesa sanitaria e il PIL si è contratto, passando dal 6,9 per cento del 2022 al 6,7 per cento. In termini assoluti, la spesa prevista per il settore è cresciuta di 4,3 miliardi, un incremento apparente del 3,8 per cento, fagocitato da un'inflazione ben oltre il 5 per cento. La volontà di tagliare o di disinvestire è evidente, con una riduzione, nei prossimi anni, di oltre 3,3 miliardi di euro. Il Governo ha indicato nel DEF che, a partire dal 2025, la spesa scenderà ancora fino al 6,2 per cento; il 6,1 addirittura nel 2026. Si aggraveranno ulteriormente così i bilanci delle nostre regioni, già in rosso per la copertura incompleta delle spese affrontate durante la pandemia a causa della campagna vaccinale, dell'incremento dei costi energetici, dei rincari di materie prime e degli altri materiali. Questo incide anche sulla dotazione dei posti letto ospedalieri, che già oggi sono pari a 3,18 posti ogni 1.000 abitanti. Un dato, secondo Eurostat, tra i più bassi in Europa: Germania, Austria e Francia mantengono livelli molto elevati fino ad arrivare al doppio dei nostri.
Poiché spesso il parametro del PIL è stato contestato anche in quest'Aula, possiamo cambiare parametro e guardare anche l'investimento pro capite. Basta leggere quello che dice la Corte dei conti: il nostro investimento pro capite è più basso rispetto alla Germania del 53 per cento; è più basso rispetto alla Francia del 42 per cento; rispetto al Regno Unito del 27,3 per cento. Ovunque lo si guardi, qualsiasi dato si prenda a raffronto, il risultato non cambia: il quadro è drammatico e urgente. A questo si aggiunge il quadro, fosco, che riguarda la scelta di riforma sull'autonomia differenziata, che darà il colpo di grazia a un sistema già in crisi e che, già oggi, vede nel nostro Paese - e lo sappiamo tutti - 21 sistemi regionali differenti.
Il recente report della Fondazione GIMBE, che è una Fondazione indipendente, parla di disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti: salterà il concetto fondamentale di tutela pubblica della salute. L'analisi documenta, dal 2021, enormi divari in ambito sanitario tra il Nord e il Sud del Paese e solleva molte preoccupazioni riguardo l'equità di accesso alle cure. I dati lo dimostrano: non c'è alcuna regione del Sud tra le prime dieci per i livelli essenziali di assistenza nel decennio 2010-2019; vi è una mobilità sanitaria dal Sud al Nord con tutte le regioni del Sud, ad eccezione del Molise, che hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a 13,2 miliardi di euro nel decennio 2010-2021; mentre si trovano sempre in testa alle graduatorie Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, come regioni accoglienti; vi sono le scarse performance delle regioni del Sud, anche per il raggiungimento degli obiettivi della Missione Salute del PNRR. Insomma, siamo davanti a una frattura strutturale Nord-Sud che compromette la qualità dei servizi sanitari, l'equità di accesso, gli esiti di salute, ma anche le aspettative di vita delle persone, alimentando un imponente flusso di mobilità sanitaria dal Sud al Nord che, sinceramente, inizia a preoccuparci. Di conseguenza, l'attuazione di maggiore autonomia in sanità non potrà che amplificare le disuguaglianze già esistenti, aumentando mobilità sanitaria, soprattutto in assenza di definizione dei LEP e di copertura economica adeguata. Ma il rischio non è solamente il Meridione: l'ulteriore indebolimento dei servizi sanitari nel Mezzogiorno rischia di generare un effetto paradosso nelle ricche regioni del Nord che, per la grave crisi di sostenibilità del sistema sanitario nazionale, non potranno aumentare in maniera illimitata la produzione di servizi e di prestazioni sanitarie.
Il Governo, però, è sordo a ogni critica, anzi, spesso ascolta silente, come ha fatto il Ministro Calderoli in quest'Aula, seguito da una maggioranza che non ha mai preso la parola, nemmeno per difendere questa riforma ma, certamente, questo non significa far diminuire le proprie responsabilità su questa scelta. Le affermazioni della Presidente del Consiglio sul record di finanziamento dell'anno in corso sono l'ennesima bugia di chi non accetta domande ma, spesso, fa comizi senza contraddittorio. Voglio ricordare, infatti, che si tratta di un'affermazione populista, utile a costruire solo una narrazione nel Paese di un Governo e di una Premier infallibile, che riscuote successi uno dopo l'altro, come, ad esempio, sul G7. Peccato che non sia così, perché non si tratta di un unicum, ma di una notizia data con astuzia. E sapete perché, cari colleghi, tramite lei, Presidente? Ogni Governo avrebbe potuto dire la stessa identica cosa, perché ogni Governo, anno dopo anno, ha messo sempre più risorse rispetto all'anno precedente per sostenere il Fondo sanitario nazionale. La verità è che questo Governo ha scelto di investire in modo inadeguato sulla sanità pubblica, dimostrando che questa non è certamente il suo modello di riferimento come lo è, invece, la sanità privata a cui strizza l'occhio in ogni decreto. Infatti, la politica sanitaria adottata dal Governo aggrava i problemi del Servizio sanitario nazionale, accelerando in modo irresponsabile un processo di privatizzazione. Secondo l'OMS, fino agli anni Duemila avevamo il secondo sistema sanitario più forte al mondo. Oggi almeno il 60 per cento dei fondi pubblici finisce in mano ai privati, più del 50 per cento delle strutture che si occupano di malattie croniche sono private, così come lo sono più dell'80 per cento delle istituzioni di assistenza sanitaria residenziale. I tagli previsti dal Governo assecondano, dunque, questa visione tragica del nostro tessuto sociale sanitario, impoverendo la sanità pubblica e lasciando sole le fasce più fragili della popolazione. Si sta, dunque, rafforzando la convinzione che la salute sia un bene soggetto, almeno in parte, a criteri di mercato e che pubblico e privato debbano collocarsi sullo stesso piano ed agire secondo logiche competitive. Una visione che, ovviamente, non condividiamo e che contrasteremo in ogni sede.
Una convinzione ben lontana, infatti, dalla definizione costituzionale del diritto alla salute. Secondo, infatti, quanto sancito dalla Costituzione - voglio ricordarlo qui - la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Rendere esigibile il diritto alla salute come diritto sociale e di libertà, diritto umano fondamentale, significa garantire universalità ed effettività tramite lo strumento a ciò preposto, ossia il sistema sanitario nazionale.
Tuttavia, le pressioni politiche, le sollecitazioni che sono arrivate dai sindacati, dalle associazioni, dalle fondazioni indipendenti e dalle università, hanno smosso il Governo, che ha dovuto ammettere che le difficoltà ci sono e che quanto stavano facendo non era sufficiente. Ricordo, a titolo di esempio, l'appello “salvate la sanità pubblica” sottoscritto da 14 scienziati, personalità illustri del mondo scientifico e della ricerca italiana, che evidenziano come il sistema sia in crisi, perché i costi dell'evoluzione tecnologica, i radicati mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica hanno reso fortemente sotto-finanziato il sistema sanitario nazionale e richiedono un piano straordinario di finanziamento e specifiche risorse per rimuovere gli squilibri territoriali. Questi 14 eminenti ritengono dunque urgente e indispensabile adeguare il finanziamento agli standard europei, perché il sistema sanitario nazionale non tutela solo la salute dei cittadini, ma contribuisce in modo determinante alla coesione del nostro Paese. L'abbiamo sentito tutti durante le audizioni: questo è stato un elemento che ha contraddistinto in modo uguale tutte le audizioni che abbiamo fatto.
Ed ecco, dunque, che arriva un decreto, quasi miracoloso, che risolve per magia tutti i problemi del nostro Paese. Con un tempismo perfetto, il Governo ha varato, a due giorni dal voto europeo, un decreto-legge per abbattere le liste di attesa. Si tratta di un provvedimento deludente, utile sicuramente a fare una buona propaganda, ma che difficilmente servirà ad aumentare il numero delle prestazioni che il sistema sanitario nazionale eroga per soddisfare i bisogni di salute dei cittadini e delle cittadine. La delusione non è solamente dei sindacati, ma è anche delle regioni - lo ricordiamo - in maggioranza governate da giunte di centrodestra. E se è giusto velocizzare l'erogazione delle prestazioni sanitarie, degli accertamenti strumentali, le visite di medici specialistici, è incredibilmente sbagliato utilizzare il bisogno di salute di cittadini e cittadine per spostare consenso politico e risorse, già scarse, dalla sanità pubblica a quella privata. Questo sembra il reale obiettivo del testo normativo, un decreto praticamente a costo zero per il Governo, che non porterà ad alcun beneficio perché necessita di decreti attuativi per essere attuato, nonché di tempi che nulla hanno a che fare con l'urgenza che richiede, oggi, risposte concrete e immediate.
Lo abbiamo sentito anche dalle regioni, tramite il coordinatore della commissione salute della Conferenza Stato-regioni che ha protestato per il fatto che le amministrazioni locali non sono state consultate. Ci si risparmi, dunque, almeno l'imbarazzo di dover smentire ogni volta il riferimento alla concertazione con le regioni che, ripeto, non c'è stata. È evidente, infatti, da un lato, la volontà di esautorare le regioni dalla loro funzione programmatoria sanitaria con meccanismi di direzione, controllo e ispezione da parte del Governo direttamente nei confronti delle ASL, scavalcando le regioni; dall'altro, si spinge ancora l'acceleratore sulla privatizzazione della sanità, favorendo l'attività libero-professionale dei medici a discapito di un potenziamento del sistema sanitario pubblico, alzando il tetto di spesa per il privato accreditato senza prima assicurare un adeguato finanziamento al sistema pubblico.
Secondo Mediobanca, i guadagni per la sanità privata sono aumentati di 70 miliardi e sono cresciute le assicurazioni private. Siamo dietro ai grandi Paesi europei. Il decreto, dunque, non cambia nulla, rimane uno spot vuoto elettorale, e di questo non possiamo che rammaricarcene. Ricordo, infatti, che il decreto è stato pubblicato il 7 giugno 2024. Da un lato, il decreto è un'ammissione di colpe e di responsabilità in capo alla Presidente Meloni e al suo Governo, che ammette, implicitamente, che non è stato fatto niente - e certamente non a sufficienza - per affrontare il tema delle liste di attesa, al di là dei proclami, e che oggi prova a porvi rimedio; dall'altro, è costretto a correre ai ripari per precedere, con un atto governativo, la discussione che stiamo facendo oggi sulla proposta di legge Schlein per poter dire - come è già stato fatto in Commissione dalla collega Loizzo - che siamo stati intempestivi, perché il decreto risolve già tutto. Peccato che la proposta di legge di cui stiamo parlando sia stata presentata lo scorso 26 febbraio. Mi pare, dunque, che l'intempestività sia di chi sta al Governo e non, certamente, del nostro gruppo parlamentare. Chi ha a cuore il futuro del nostro sistema sanitario nazionale deve approvare insieme a noi questa proposta di legge, che prevede di incrementare gradualmente l'investimento per la salute nei prossimi anni, fino a raggiungere la media europea del 7,5 per cento del PIL, abolendo il tetto di spesa per il personale, promuovendo un grande piano di assunzioni di medici, di infermieri, di tecnici, necessari ad abbattere le liste di attesa e rilanciare il sistema sanitario nazionale, anche migliorando il sistema di prenotazione unico a livello regionale o interregionale, e la possibilità di utilizzare prestazioni intramurarie per abbattere le liste di attesa.
I soldi per realizzarli ci sono, ci sono sempre in una legge dello Stato. Abbiamo ipotizzato alcune coperture, abbiamo apportato delle modifiche in fase emendativa, dando comunque la massima disponibilità a discutere insieme dove trovare migliori coperture. Siamo sempre aperti al dialogo, tra l'altro, senza aggiungere - a differenza di quanto ha detto nella presentazione la collega Loizzo - nessuna nuova tassa. Non è scritto, è un'ennesima bugia, lo dico senza mezzi termini: il confronto è corretto e ci vuole ed è necessario, ma non possiamo certamente costruire bugie contro l'opposizione quando si parla di sanità, che è il diritto più importante che hanno i nostri cittadini. Basteranno più risorse e più personale per risolvere tutti i problemi della nostra sanità? Certamente no, ne siamo convinti, sono però la precondizione per poter affrontare una prospettiva di riforma più complessiva del nostro sistema sanitario nazionale. I cambiamenti demografici, epidemiologici, tecnologici e climatici rendono necessarie riforme di sistema. Serve nuova governance indispensabile per una concreta ed effettiva esigibilità del diritto fondamentale alla salute. Ormai è finito il tempo delle manutenzioni ordinarie, dobbiamo partire insieme dalla valorizzazione dei professionisti che sono sottopagati e sottoposti a turni importanti, a volte ingestibili.
Dobbiamo potenziare le strutture territoriali, rilanciando la medicina del territorio. A differenza vostra, non avremmo certamente ridotto i progetti del PNRR, coperti con altre risorse che sono già impegnate - fatto sta che alcuni progetti salteranno - e avremmo finanziato la riforma per la non autosufficienza, che avete approvato a risorse invariate.
Case per la comunità, consultori, servizi domiciliari e assistenza socio-sanitaria integrata sono indispensabili: la loro efficacia deve essere garantita da risorse adeguate e da una presenza capillare di operatori di comunità.
Devo dire che anche in questo caso i territori sono più avanti, perché negli stessi già funzionano infermieri e fisioterapisti di comunità, riabilitatori; questo proprio perché il modello pungente del territorio è sempre più efficace e risponde in modo puntuale alle esigenze dei cittadini. Serve un nuovo modello organizzativo, basato sull'implementazione di reti cliniche e su una medicina di territorio. Lo ripeto ancora una volta: è un team di lavoro fatto da operatori con modalità multidisciplinari, attraverso coerenti adeguamenti contrattuali.
Voglio rilevare in conclusione che non abbiamo mai detto che le colpe sono tutte di questo Governo. Non l'abbiamo mai detto in nessuna sede. Certamente, oggi la responsabilità la dobbiamo condividere e la condividiamo anche stando all'opposizione, volendo discutere con voi su quanto sia veramente importante per voi la tutela del sistema sanitario nazionale. Per noi lo è: è una nostra priorità politica, perché crediamo sia alla base della nostra democrazia.
Dobbiamo ricostruire un sistema sanitario nazionale pubblico, adeguatamente finanziato, che guardi al presente ma, in particolare, al futuro, e che sia capace di adeguarsi alle diverse e molteplici transizioni, quale garanzia di diritti esigibili per i nostri cittadini. Non possiamo e non vogliamo assolutamente rinunciare a questa conquista. Un sistema sanitario nazionale - che ormai costituisce un diritto di cittadinanza inalienabile - è una risorsa economica e culturale imprescindibile di ogni Paese.
Cari colleghi e care colleghe, dimostriamo una volta di avere a cuore insieme il futuro del nostro Paese. Dimostriamo di essere una classe dirigente coraggiosa, che non guarda ai propri interessi di bottega, ma agli interessi del Paese intero e approviamo insieme discutendo la legge Schlein: per una politica che sappia dimostrare di saper ascoltare e dare risposte concrete ai bisogni dei nostri cittadini ma soprattutto, sappia dare di nuovo speranza al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Schifone. Ne ha facoltà.
MARTA SCHIFONE (FDI). Grazie, Presidente. Signori del Governo, onorevoli colleghi, intervengo sul testo della proposta di legge n. 1741-A, recante disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio sanitario nazionale, nel cui titolo si fa riferimento anche al principio di universalità. Per noi di Fratelli d'Italia l'universalità del nostro sistema sanitario nazionale è un principio irrinunciabile. È un qualcosa che ci viene invidiato dal mondo intero: un sistema virtuoso che mette al centro l'equità e che salvaguarda la funzione di coesione sociale. Il modello dell'accesso universale alle cure è un pilastro della democrazia da proteggere e da valorizzare. Un pilastro, il diritto alle cure, che soddisfa lo stesso dettato costituzionale e che si configura come diritto dell'individuo e interesse della collettività, in quanto il benessere individuale concorre al benessere comune.
Proprio per significare il valore che questo Governo e questa maggioranza - segnatamente, Fratelli d'Italia - assegnano alla sanità e al sistema sanitario nazionale, sin dal primo giorno dell'insediamento di questa legislatura, questi temi sono stati messi al centro della nostra agenda politica ed ogni sforzo è stato incentrato per potenziare l'assistenza sanitaria ai cittadini, puntando alle tre principali direttrici: naturalmente, la valorizzazione del personale sanitario, l'abbattimento delle liste d'attesa e il potenziamento della medicina territoriale.
Peraltro, l'attenzione verso questi temi non solo è priorità, ma è declinata e sostanziata con interventi legislativi concreti. L'impegno è stato massimo: ne è prova l'incremento record di risorse sulla dotazione al Fondo sanitario nazionale. Una cifra mai stanziata per il sistema sanitario nazionale: siamo arrivati a quota 134 miliardi.
Abbiamo ricevuto una eredità pesante. Diciamocelo: il Servizio sanitario nazionale vive da anni una situazione molto complicata, che il Governo Meloni ha ereditato. Una situazione di criticità e fragilità che viene da molto lontano: viene, segnatamente, da quel definanziamento selvaggio e strutturale messo in campo dai precedenti Governi. La stessa GIMBE certifica che, dal 2010 al 2019, il definanziamento ed i tagli lineari al sistema sanitario nazionale ammontano a più di 37 miliardi. Tagli lineari che - ci tengo a sottolineare - significano: chiusure di ospedali; chiusure di reparti; blocco del turnover; taglio al personale. Ciò, naturalmente, ha portato alla mancata programmazione, alla mancata riorganizzazione e alla mancata scelta di un modello organizzativo performante.
Fatta questa doverosa premessa, veniamo ora al presente. Il 4 giugno, su proposta del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, il Consiglio dei ministri ha approvato ben due provvedimenti in materia di sanità: un decreto ribattezzato “liste d'attesa” e un disegno di legge. Due provvedimenti che vanno nella direzione da noi sempre auspicata per abbattere le liste d'attesa e per valorizzare il personale sanitario. Il decreto ha iniziato il suo iter di esame in Senato per la conversione in legge. Con esso, viene, innanzitutto, istituita la Piattaforma nazionale delle liste d'attesa presso l'Agenas: un elemento fondamentale visto che - come abbiamo appreso solo quando il Governo Meloni si è insediato e ha iniziato a prendere in mano il dossier “liste d'attesa” - fino ad oggi, non è mai esistito un vero monitoraggio. Non siamo stati in grado di ricevere alcun tipo di numero, alcun tipo di dato; nessun monitoraggio di quelli che sono i tempi delle liste d'attesa, regione per regione e prestazione per prestazione. In poche parole: fino ad oggi, molte chiacchiere senza costrutto, perché si brancolava completamente nel buio.
Si prevede l'introduzione di un meccanismo di controllo sull'assistenza sanitaria presso il Ministero della Salute, il cui compito sarà quello di vigilare e svolgere verifiche presso le aziende sanitarie locali e ospedaliere, nonché presso gli erogatori privati accreditati, sul rispetto dei criteri di efficienza e di appropriatezza nell'erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie, e sul corretto funzionamento del sistema di gestione delle liste d'attesa e dei piani operativi per il recupero delle stesse liste.
Viene, inoltre, previsto l'obbligo per gli erogatori pubblici e privati accreditati, ospedalieri e ambulatoriali, di afferire a un Centro unico di prenotazione regionale e infraregionale che sarà completamente interoperabile. Il privato accreditato dovrà mettere a disposizione, in modo trasparente, tutte le prestazioni ai cittadini.
Come affermato dal Ministro Schillaci, già solo mettendo insieme le prestazioni offerte dal privato accreditato e, soprattutto, dal sistema sanitario pubblico avremo una riduzione dei tempi delle liste di attesa; privato accreditato che - ricordo ai colleghi, a quest'Aula e anche a me stessa - è un pilastro del sistema sanitario nazionale. Oppure, vogliamo immaginare di chiudere il Bambino Gesù? Oppure, vogliamo immaginare di definanziare il Gemelli? Non è questo quello che intendiamo. Quindi, privato accreditato.
È stato previsto il nuovo sistema delle disdette. È stato fatto divieto alle aziende sanitarie e ospedaliere di sospendere o chiudere l'attività di prenotazione: le cosiddette agende. È stata prevista l'estensione, sia per gli esami diagnostici che per le visite mediche e specialistiche, anche ai giorni di sabato e di domenica e, quindi, il prolungamento della fascia oraria per l'erogazione di tali prestazioni. È stato, in ogni caso, assicurato il corretto ed equilibrato rapporto tra attività istituzionale e corrispondente attività libero-professionale, con il divieto che l'attività libero-professionale possa comportare, per ciascun dipendente, un volume di prestazioni superiori a quello assicurato per i compiti istituzionali. Lo ripetiamo con fermezza.
E ancora, sul personale sanitario è la riforma più attesa da oltre vent'anni: si introduce il tanto atteso superamento del tetto di spesa per l'assunzione del personale sanitario. In primo luogo, viene disposto l'incremento dei valori massimi della spesa per il personale anzidetto, autorizzati per l'anno 2023 ai sensi della normativa già vigente in materia. Detti valori di spesa sono incrementati annualmente, a livello regionale, nell'ambito del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato, del 10 per cento dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente.
Si stabilisce poi che, su richiesta della regione, l'incremento può essere aumentato di un ulteriore importo, fino al 5 per cento dello stesso, portandolo fino al 15 per cento. A decorrere dall'anno 2025, viene abolito il tetto di spesa, mettendo a punto una metodologia per la definizione in funzione del fabbisogno del personale degli enti del sistema sanitario nazionale. Si prevede, inoltre sempre, per il personale sanitario, per gli operatori una fiscalità agevolata, fortemente agevolata per l'orario aggiuntivo, con una tassazione al 15 per cento indipendentemente dal reddito percepito.
Ho ritenuto fondamentale enunciare i punti qualificanti del provvedimento non a caso, perché, analizzando e leggendo questo testo, non possiamo non ritenerci particolarmente colpiti dal merito, non potendo non rilevare che in questa proposta di legge di cui discutiamo oggi in Aula ritroviamo un pieno accoglimento, una piena condivisione, un recepimento complessivo quasi completo delle nostre proposte storiche, che abbiamo tutte declinate e inserite nei provvedimenti succitati e cioè, rispettivamente - lo ripeto per completezza - la valorizzazione del personale sanitario e l'abbattimento delle liste d'attesa; temi che - ci tengo a sottolineare e vi assicuro che, insomma, non si tratta di una volontà, di un diritto di primogenitura, ma di un amore di verità - sono stati trattati segnatamente e specificatamente dal Ministro Schillaci, sin dall'inizio del suo mandato, dal Sottosegretario Gemmato, che oggi è qui presente e ringraziamo per il lavoro continuo che svolge e, per ultima, ma prima per importanza, dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che già nell'ottobre 2023 sosteneva, in quest'Aula, che c'era una ferma volontà di intervenire su queste materie, affermando, con forza e una chiara indicazione politica, l'impegno sulla messa a terra di questi provvedimenti.
Dunque, assumiamo che il contenuto del decreto-legge è ampiamente sovrapponibile alla proposta che oggi è in discussione; anche questo è stato motivo per cui è stata chiesta la disponibilità alle opposizioni di rinviare il seguito dell'esame, essendo appunto in vigore una normativa vertente sulle stesse materie trattate con le stesse medesime iniziative.
Ho voluto, infine, porre l'accento su tutte le misure inserite nel decreto-legge anche per un altro motivo. Ne approfitto in questa sede per sottolineare che ogni punto del decreto-legge Liste d'attesa presenta copertura finanziaria, punto per punto, bollinata dalla Ragioneria dello Stato, mentre non possiamo evidentemente dire lo stesso di questa proposta di legge in discussione oggi, qui in Aula. Qui arriviamo agli importanti profili di criticità che si sono evidenziati sulle coperture finanziarie; queste sono state certificate dal Servizio studi di Montecitorio che, nel suo dossier, ha invitato, cito: “a valutare l'opportunità di verificare la congruità delle disposizioni relative alla copertura finanziaria del provvedimento”. In poche parole, i conti non tornano e sono stati fatti in maniera pasticciata e poco attenta. Da un'analisi di questa proposta, si evince che non c'è alcuna copertura e che non si è fatto uno studio attento sulle risorse.
Nel testo si propone di portare la percentuale di finanziamento annuale al 7,5 per cento del PIL e, per farlo, si dovrebbe provvedere agli oneri, a valere sulle maggiori risorse derivanti dalla crescita economica, peccato che queste risorse sono già scontate nei tendenziali del Documento di economia e finanza e non rappresentano alcuna risorsa aggiuntiva. Si fa poi riferimento a una seconda possibilità, cioè a uno strumento alternativo qualora la crescita non sia come da previsione e cioè si chiede di individuare risorse dalle misure di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, quando è di tutta evidenza che la lotta all'evasione non possa essere utilizzata come copertura. Appare, insomma, tutto molto generico, molto aleatorio e superficiale. In conclusione, il nostro obiettivo è chiaro: ridare al sistema sanitario la dignità e la centralità che da troppo tempo aspetta.
Continueremo sulla nostra strada, fatta di concretezza, fatta di coerenza, senza inseguire proposte dal forte odore elettorale e operando sulle vere esigenze dei cittadini. Molta strada c'è da fare, molta è stata già fatta e, se come ci pare, le opposizioni condivideranno le nostre proposte, sono sicura che dimostreranno la loro approvazione, sostenendo i provvedimenti che, in materia di salute, da qui a poco, verranno messi in campo da questo Governo, da questo Parlamento e da questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia e di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sportiello. Ne ha facoltà.
GILDA SPORTIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Sono confusa, lo ammetto. Pensavo di venire in Aula e discutere di questa proposta di legge sulla sanità, sulle proposte che abbiamo fatto al Governo rispetto a una reale riduzione delle liste d'attesa, a reali provvedimenti per investire risorse nel Servizio sanitario nazionale, a un reale piano per le assunzioni. Vengo qui e mi accorgo che o non viviamo nello stesso Paese, o non leggiamo gli stessi testi, o non lavoriamo nello stesso Parlamento, perché mi pare che la realtà che ci è stata raccontata oggi dai colleghi e dalle colleghe della maggioranza, nel mio Paese, che è quello reale, non esiste. Non c'è una sanità che sta beneficiando degli investimenti di questo Governo, semplicemente perché la sanità pubblica, per questo Governo, non è una priorità.
Da quando siete stati al Governo, non avete fatto altro che tagliare i fondi per la sanità e non lo dico io, lo dicono i dati, lo dice la Fondazione GIMBE, ce lo dicono le persone che si recano in ospedale, che hanno problemi con la medicina territoriale, che vorrebbero fare un esame e una visita e non hanno spazio per farla, che anche per una banale ecografia devono aspettare un anno. Ma come si può avere la faccia tosta di venire qui in quest'Aula e dire “ragazzi va tutto bene, per noi la sanità è una priorità, record di investimenti”, quando c'è una sanità che crolla a pezzi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)?
Allora, io vi giuro che, veramente, io sono venuta qui, pensavo parlassimo di questa proposta di legge e invece trovo la maggioranza che pensa forse di stare ancora all'opposizione, perché mi viene a dire “guardate che ci dovete trovare le coperture per fare queste cose”; noi non solo le proponiamo, ma vi ricordiamo pure che al Governo ci siete voi, le coperture le dovete trovare voi, con le proposte politiche (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), perché siete voi che date priorità politica, voi che decidete dove investire le risorse, se metterle in sanità o, come state facendo, piazzarle un po' dappertutto, tranne che in sanità, senza dare alcun reale cambiamento a questo Paese.
Allora, oggi in Aula - e ho preso un po' di appunti, perché c'è tanto da dire - discutiamo di quella che per noi è ed è sempre stata, la priorità politica, un punto fondamentale: la salute delle persone e la necessità che per essa lo Stato debba impiegare tutte le necessarie risorse per assicurarla, indistintamente da Nord a Sud e con il personale necessario e tutelato. Il nostro obiettivo è - e sarà - sempre quello di salvaguardare il Servizio sanitario universalistico e pubblico.
Il testo base adottato dalla Commissione affari sociali che, per l'appunto, si occupa di sanità e di politiche sociali, è quello che hanno portato avanti, non solo in questo Parlamento, ben cinque regioni, nonché i colleghi e le colleghe del PD, ed è un testo del febbraio 2024, siamo già a giugno. A questo è stata poi abbinata anche la nostra proposta di legge, a prima firma del collega Quartini, una proposta di legge che, in realtà, abbiamo dovuto stralciare da una più complessiva, ben più ampia, che abbiamo presentato il 23 luglio 2023, ma anche qui avete fatto passare tanto di quel tempo che ci ritroviamo oggi così. Il proposito era proprio di ridisegnare complessivamente il nostro Servizio sanitario nazionale, di rafforzarlo, intervenendo, oltre che per un suo finanziamento sulle risorse umane, anche sull'appropriatezza concernente i LEA, i livelli essenziali di assistenza, e i raggruppamenti omogenei di diagnosi, cosiddetti DRG, sull'accreditamento delle strutture sanitarie, sulla sanità integrativa, sulla tracciabilità della spesa sanitaria, sulle nomine della dirigenza sanitaria - punto fondamentale -, sulle liste di attesa, sull'attività intramoenia, sulla ricerca sanitaria, sulla digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale e, infine, sul riordino del sistema di emergenza sanitaria territoriale e ospedaliero.
Il nostro progetto voleva essere più complessivo, nel convincimento che per garantire un Servizio sanitario nazionale civile, universalistico, pubblico, non solo bisogna assicurare risorse adeguate e personale strutturato, ma occorre anche intervenire coraggiosamente su alcune storture che mettono in crisi la natura pubblica della nostra sanità e che agevolano in maniera sempre più palese la privatizzazione del Servizio sanitario nazionale, che a qualcuno sembra particolarmente piacere. Si pensi alle nomine politiche nella sanità, per esempio, oppure alla sempre più massiccia presenza della sanità integrativa.
Questi aspetti li discuteremo poi, quando sarà esaminata la nostra proposta di legge sulla riorganizzazione complessiva del Servizio sanitario nazionale, che, così auspichiamo, farà il punto e la necessaria chiarezza anche sulla destinazione delle risorse che vogliamo indubbiamente incrementare. I fondi e le risorse, questo è fondamentale per la tutela e il rafforzamento del Servizio sanitario nazionale, perché non basta un'azione di pura propaganda, all'alba delle elezioni, con cui promettete di ridurre i tempi delle liste d'attesa e di rimuovere il tetto di spesa, perché senza le risorse e senza il necessario adeguamento del personale non ci saranno liste di attesa che diminuiranno e non ci sarà un'abolizione del tetto del personale.
E voi questo avete fatto, avete pensato che, con il solo potere magico, probabilmente, delle parole, le persone potessero andare in ospedale, curarsi e trovare l'esame dopo solo qualche giorno di attesa. No, non servono le vostre parole, servono i fondi, servono le risorse, che voi non ci avete messo. Serve abolire quel tetto di spesa che vi stiamo chiedendo di abolire da quando siete al Governo in ogni sacrosantissima legge di bilancio. E ogni volta ci venite a dire: no, il tetto di spesa non lo aboliamo. Oggi fate questo annuncio. Non ci mettete fondi, quindi non so, ma immagino sia chiaro a tutti che, senza fondi, non è possibile assumere personale, e ci ritroviamo di nuovo, ancora una volta, delle vuote promesse.
La verità è che, da parte di questo Governo, non vi è alcuna volontà di salvaguardare il Servizio sanitario nazionale, e la vostra è una virata tutta a favore della sanità privata. Fatte, dunque, queste doverose premesse, ora entro nel merito del provvedimento. Questo, non l'altro che avete citato dalla maggioranza. Punto di partenza e al tempo stesso cuore del testo che esamineremo in quest'Aula, è la necessità di stabilire un livello della spesa sanitaria che sia degno di un Paese che vuole garantire il diritto alla salute e che sia il segno tangibile della salute e del benessere della popolazione che lo abita.
Le analisi indipendenti condotte dalla Fondazione GIMBE ricordano che la crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale coincide con un prolungato periodo di grave crisi economica, durante il quale si sono succedute delle scelte politiche che, nel decennio 2010-2019, hanno determinato un imponente definanziamento del Servizio sanitario nazionale. Successivamente, però, le leggi di bilancio per gli anni 2020, 2021 e 2022, quando eravamo al Governo, hanno invertito tale tendenza, con un incremento complessivo del Fondo sanitario nazionale, segnando un netto cambio di passo del finanziamento pubblico del Servizio sanitario nazionale, che è cresciuto in media del 3,4 per cento annuo, con un tasso di crescita superiore a quello dell'inflazione media annua del periodo 2020-2021, certificando formalmente la fine della stagione dei tagli alla sanità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
A partire dal Documento di economia e finanza 2022, tuttavia, la spesa sanitaria è tornata a ridursi mediamente dello 0,6 per cento annuo e, nel 2025, il rapporto tra la spesa sanitaria e il PIL è addirittura precipitato al 6,2 per cento, al di sotto dei livelli antecedenti la pandemia. In riferimento alla manovra economica per il 2023, la Corte dei conti aveva, infatti, rilevato che la previsione della spesa sanitaria, in termini di contabilità economica, raggiungeva i 133,8 miliardi, ponendosi in tal modo solo poco al di sotto di quella prevista per il 2022, confermando dunque che la spesa sanitaria in termini di prodotto era in riduzione nel biennio successivo.
La Corte dei conti ha stigmatizzato, quindi, il fatto che, già dal 2024, il rapporto fra la spesa sanitaria e il PIL si portava su livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi sanitaria, pari al 6,3 per cento, per ridursi nell'anno terminale, il 2025, ancora di un decimo punto. La decrescita dell'incidenza della spesa sanitaria sul PIL è un elemento preoccupante, checché ne dica la Presidenza del Consiglio, perché si traduce in meno salute e pone il nostro Paese al di sotto della media dei Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e al di sotto della soglia di accettabilità, con inevitabili ripercussioni sulla qualità e sull'efficacia dell'assistenza sanitaria, nonché sull'aspettativa di vita, come è già stato documentato da studi e ricerche in accreditati rapporti.
Il primario obiettivo della proposta che oggi esaminiamo, e che auspico trovi questo Parlamento unanimemente concorde, è quindi quello di incrementare le risorse per la sanità, in attuazione dei principi di universalità, eguaglianza ed equità. Dunque, in tale ottica, l'articolo 1 del provvedimento all'esame prevede che, dal 2024, il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard sia incrementato fino a raggiungere, nel 2028, una percentuale di finanziamento annuale non inferiore al 7,5 per cento del PIL dell'anno di riferimento.
Quanto alla congruità della predetta percentuale di spesa sanitaria sul PIL, si ribadisce che, nella media europea del 7,1 per cento, ben 13 Paesi investono più dell'Italia: 10,9 per cento del PIL la Germania, 7,1 per cento del PIL l'Islanda, giusto per fare qualche esempio; l'Italia, tra i Paesi del G7, è l'ultima per spesa pubblica pro capite. Questo per evidenziare al Governo, soprattutto, che il 7,5 per cento o l'8 per cento, come prevediamo nella nostra proposta, non sono percentuali miracolose o strabilianti, ma sono solo il minimo sindacale che un Paese come l'Italia, reduce tra l'altro, da poche ore, dal G7 pugliese, dovrebbe destinare alla sanità.
La necessità di stabilire un livello di spesa sanitaria sul PIL che sia compatibile con lo stato di salute della popolazione e che risponda ai principi di universalità, uguaglianza ed equità, noi l'abbiamo rappresentata ripetutamente fin dalla XVII legislatura, e quando, finalmente, nella scorsa legislatura, siamo andati al Governo, abbiamo coraggiosamente invertito la tendenza del progressivo definanziamento della sanità, investendo sul personale sanitario, sulle borse di studio per i medici, sulle liste d'attesa e su tutto quanto potesse essere d'aiuto ad affrontare anche il dramma della pandemia, che aveva dimostrato quanto il nostro Servizio sanitario nazionale fosse stato progressivamente eroso, fino a lasciarlo indifeso dinanzi alla grave emergenza pandemica.
Altro elemento che riteniamo debba necessariamente legarsi all'incremento delle risorse per la sanità è l'introduzione di indicatori che, per il riparto delle risorse, tengano conto delle condizioni di deprivazione delle regioni o aree territoriali di ciascuna regione e che incidano sui costi delle prestazioni sanitarie. Questo diventa necessario a fronte dei pericolosi scenari che si realizzano con il vostro progetto di autonomia differenziata, che non farà che esasperare e rendere sempre più gravi queste differenze territoriali.
È senz'altro condivisibile, poi, l'articolo 2 del provvedimento all'esame, che, novellando quello che noi chiamammo decreto Calabria e che, grazie al Governo Conte, aveva già ampliato le facoltà assunzionali delle regioni, vorrebbe rimuovere definitivamente il tetto di spesa per l'assunzione del personale del Servizio sanitario nazionale e il limite di risorse per il trattamento accessorio del personale. Ribadisco: in tutte le leggi di bilancio vi ho chiesto di eliminare il tetto di spesa; tutte le volte avete negato al Paese questa, che era una necessità.
Sul trattamento accessorio del personale, riteniamo che sia possibile un miglioramento che contempli un incremento, però, di risorse per potenziare l'assistenza territoriale, per poter assumere nelle case e negli ospedali di comunità, per l'assistenza domiciliare e per aumentare il personale convenzionato. Inoltre, per migliorare le condizioni del personale del Servizio sanitario nazionale, occorre destinare risorse anche per i rinnovi contrattuali, per adeguare le retribuzioni del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale ai livelli europei.
Quanto all'abbattimento delle liste d'attesa, previsto all'articolo 3, pur condividendo la ratio complessiva, esprimiamo qualche perplessità sulla previsione che le regioni siano tenute a garantire l'erogazione della medesima prestazione tramite l'attività libero-professionale intramuraria, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale nel caso in cui le prestazioni non possano essere assicurate nei tempi stabiliti. Questa soluzione, che noi non prevediamo nella nostra proposta di legge, rischia di rafforzare soluzioni di tipo privatistico e una maggiore spesa per lo Stato. Servono, invece, a nostro avviso, delle soluzioni strutturali che superino definitivamente i problemi che oggi impediscono alle persone di curarsi.
Sulla riduzione delle liste d'attesa, riteniamo che debba esservi il massimo rigore, nel rispetto e nella pubblicazione dei tempi massimi di attesa del Piano nazionale, nell'unicità e centralità dell'agenda di prenotazione delle strutture pubbliche e private accreditate per l'attività istituzionale e per l'attività libero-professionale intramuraria, vietando, quindi, agende di prenotazione per struttura singola o per gruppo di strutture, pena la revoca dell'accreditamento e dell'esercizio dell'attività sanitaria in convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
Occorre introdurre un rigoroso divieto, per le strutture private accreditate, di gestire oppure promuovere in maniera congiunta le prestazioni sanitarie e sociosanitarie in regime privatistico o di privato sociale e le prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
Riteniamo sia necessario più rigore anche nella professione intramoenia, consentendola alle aziende che hanno provveduto all'informatizzazione e all'aggiornamento periodico delle liste di attesa e all'obbligo di prenotazione tramite il CUP unico, vietandola in caso contrario.
Noi riteniamo che il rigore possa essere ottenuto solo collegando il rispetto delle regole all'accesso delle forme premiali e alla valutazione ai fini della verifica dell'erogazione dei LEA.
Mi avvio alla conclusione, Presidente, per sottolineare come la sanità pubblica non sembra essere una priorità dell'attuale Governo e come si tenti di nascondersi dietro decreti-legge vuoti oppure dietro a numeri assoluti della spesa sanitaria che nulla dicono sulla realtà sanitaria del nostro Paese e sul rapporto spesa sanitaria-PIL che ne documenta, al contrario, un lento e inesorabile declino, collocando l'Italia prima tra i Paesi poveri dell'Europa e ultima del G7.
Occorrono risposte immediate. Occorrono stanziamenti ingenti in termini finanziari e di progettualità. Al contrario, il Governo continua a definanziare la sanità, anche sottraendo quelle risorse che avevamo previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che faticosamente sono state conquistate, come, ad esempio, è già avvenuto nel cosiddetto decreto-legge PNRR, duramente criticato dalle regioni, in cui sono state sottratte risorse per investimenti pari a 1,2 miliardi di euro, che dovranno essere finanziati invece dalle regioni con risorse proprie, salvo poi - invece - spalancare le porte dei consultori agli antiabortisti, che potranno così beneficiare del PNRR (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
La verità è che, nei programmi del Governo in carica, non c'è un progetto idoneo a tutelare e salvaguardare il Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico attraverso un recupero integrale di tutte le risorse economiche necessarie, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza e soddisfacendo in modo più efficace le esigenze di pianificazione e di organizzazione nel rispetto dei principi di equità, di solidarietà e di universalismo.
Non si evince la volontà di superare le sperequazioni esistenti nel territorio nazionale, introducendo - per esempio - indicatori ambientali, socioeconomici e culturali, nonché un indice di deprivazione economica, che tenga conto delle carenze strutturali presenti nelle regioni o nelle aree territoriali di ciascuna regione, e che incidono sui costi delle prestazioni sanitarie. Al contrario, si intende sottrarre la salute alle garanzie dello Stato e si intendono approvare ulteriori e scellerate riforme, come quella dell'autonomia delle realtà regionali.
Analogamente, non ci sono iniziative volte a rivisitare e aggiornare i LEA, che - anzi - sono rinviati, nella loro effettiva adozione, per effetto del rinvio della vigenza del nomenclatore tariffario, né si evince un'azione strutturale di incremento delle risorse da destinare al funzionamento del Servizio sanitario nazionale sotto il profilo delle risorse finanziarie e professionali, con particolare riferimento agli investimenti necessari per il personale sanitario, rimuovendo il tetto di spesa per le assunzioni a tempo indeterminato, al finanziamento dei cicli di specializzazione, della domiciliarità, della medicina territoriale, nonché al rafforzamento della governance dei distretti sociosanitari.
Concludo, Presidente, auspicando, quindi, che questo provvedimento possa trovare la massima convergenza in quest'Aula, almeno tra i parlamentari che, consapevoli del loro ruolo, pensino seriamente alla salute delle persone. Noi, chiaramente, con la coerenza che ha sempre caratterizzato il lavoro e l'impegno di tutti i rappresentanti del MoVimento, continueremo a batterci per la sanità pubblica con le nostre proposte, chiedendo una competenza sempre più nazionale, lasciando fuori l'ingerenza della politica dalle nomine in sanità e con la nostra proposta di rafforzamento della sanità pubblica, affinché il diritto alla salute sia veramente e realmente garantito (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Grippo. Ne ha facoltà.
VALENTINA GRIPPO (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sono piuttosto perplessa - anch'io, come la collega che mi ha preceduto - su come stia procedendo la discussione oggi. La relatrice Loizzo e la collega Schifone ci hanno sostanzialmente detto che, per motivi d'Aula non chiarissimi e, peraltro, di dubbio interesse, la maggioranza non intende svolgere la propria funzione di legislatore su un tema cardine delle politiche pubbliche: la sanità. Non intende venire in quest'Aula a riflettere - tutti insieme - su quali siano gli interventi da fare, a prescindere se ci convinca di più la proposta di Furfaro o le tante altre proposte sono allo studio, le modifiche e l'andirivieni fra le Commissioni.
Non è, questo, l'oggetto della discussione di oggi, non è questo che sta a cuore agli italiani. Francamente, sentir dire che i cittadini e l'opposizione si preoccupano e propongono leggi su un tema che è, tutto sommato, sotto controllo e che, con il decreto che, frettolosamente, è stato emanato, del quale non ci si dice la copertura economica e il percorso attuativo, si pensa di aver sostanzialmente risolto i problemi della sanità nazionale. Anzi, addirittura, sentivo l'intervento - coraggioso - della collega Schifone che ci raccontava che il sistema sanitario nazionale è in ottima salute e che non è mai stato così bene.
Sembra veramente sfuggire la pesantezza, la serietà e la centralità del tema di cui stiamo parlando oggi. Stiamo parlando - e ce ne siamo accorti bene durante la pandemia - dell'ossatura del sistema di welfare della Nazione; stiamo parlando della questione più importante che riguarda qualsiasi legislatore, qualsiasi amministratore che si trovi ad avere a che fare con la cosa pubblica; stiamo parlando della salute dei cittadini; stiamo parlando di un sistema del quale tutti noi ci siamo detti orgogliosi in tutte le occasioni in cui abbiamo potuto farlo e che, però, rischia, nella sua originaria impostazione, di venire sostanzialmente e progressivamente smantellato.
È necessario fermarci un attimo, però. È necessario ripercorrere le tappe storiche che hanno portato all'istituzione del sistema sanitario nazionale, per capirne la sostanza, il perché di queste mie preoccupazioni e il perché di questi miei toni. È chiaro che, se non ricordiamo e non facciamo ricordare come è nato il nostro attuale sistema sanitario, non saremo mai in grado di capire quali sono i suoi punti di forza e quali invece le criticità mai risolte; quali sono le sfide del presente e quali le sfide del futuro.
Vi ruberò un secondo, allargando lo sguardo, allargandolo dai confini nazionali e tornando indietro nel tempo.
All'indomani della vittoria sul nazifascismo, il Primo Ministro britannico, Winston Churchill, che aveva dato un contributo indubitabile e importante nella lotta contro le dittature e che aveva portato alla vittoria il proprio Paese, immaginava che sarebbe stato rieletto trionfalmente dai cittadini riconoscenti per una leadership leggendaria, esercitata in condizioni proibitive.
Al contrario, gli inglesi diedero una forte maggioranza parlamentare al partito contrario a Churchill, quello laburista, che aveva promesso “non più lacrime e sangue”, ma un futuro di serenità e prosperità, basato su un sistema di welfare garantito “dalla culla alla tomba”, concepito nella mente geniale dell'economista e sociologo William Beveridge: scuola e università, formazione professionale, sussidi di disoccupazione, pensioni e, per la salute, un National Health Service (NHS), un servizio sanitario nazionale naturalmente pubblico, finanziato con le tasse dei cittadini, operato con medici e personale salariato, gratuito al momento dell'uso, equo e solidale. Un'utopia che diventava realtà. E ai giornalisti che gli chiedevano se veramente pensava che potesse realizzare quello che prometteva, il Ministro della Salute Bevan rispose senza esitazioni: “Sì, la malattia non è un lusso da pagare o una maledizione da vivere da soli, ma un evento che deve essere affrontato grazie all'efficienza di una società solidale”.
E così fu e tra l'incredulità della gente e le esistenze dei medici, il sistema partì nel 1948 e i risultati straordinari che ottenne, affiancati al desiderio di equità e di giustizia sociale che emergevano dopo il conflitto mondiale, indussero altri Governi ad adottarlo. Cominciarono i governi socialdemocratici dei Paesi scandinavi e, nel 1978 - ricordiamocelo con orgoglio -, si aggiunse al gruppo il primo Paese dell'Europa del Sud, l'Italia, appunto.
In realtà, di questo sistema - lo hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto - si era cominciato a parlare anche da noi, nel 1948. La nostra Costituzione, la Costituzione più bella del mondo, è ancora l'unica, a tutt'oggi, a considerare il diritto alla tutela della salute (nel suo articolo 32) come un diritto umano fondamentale, sia a livello individuale che collettivo. Ci sarebbero voluti trent'anni, però, e ci sarebbe voluta la tragedia del terrorismo - nel 1978 - per favorirne l'effettiva partenza.
Nel frattempo, fra il 1948 e il 1978, il nostro sistema prevedeva cittadini di serie A, quelli coperti da una mutua assicurativa, che potevano godere di cure da questa rimborsate… Presidente, è un po' faticoso. Dicevo, cittadini di serie A, cioè quelli coperti da una mutua assicurativa, che potevano godere di cure da questa rimborsate, e cittadini di serie B, che pagavano le prestazioni di tasca propria o, in caso di incapienza, venivano inseriti in liste di poveri da assistere caritatevolmente. Tutto cambiò nel 1978, dopo il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, il presidente del consiglio nazionale del più importante partito politico dell'epoca, la Democrazia Cristiana. Ci fu la successiva formazione di un Governo di unità nazionale, che prese misure urgenti e varò, con una rapidità inconcepibile per la politica italiana in tempi ordinari, tre leggi sanitarie che hanno cambiato la vita di milioni di persone: la prima, la n. 180, per la riforma dell'assistenza psichiatrica; la seconda, la n. 194, per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza; la terza, la n. 833, per l'istituzione del Servizio sanitario nazionale. Da quel momento l'Italia si è proiettata tra le Nazioni più avanzate del Pianeta per i livelli di assistenza erogati alla propria popolazione. L'introduzione di un sistema sanitario universalistico, infatti, ha catapultato l'Italia, in breve tempo, ai vertici delle classifiche degli indicatori sanitari mondiali, con la maggiore aspettativa di vita dopo il Giappone, la forte riduzione della mortalità materna e, in alcune regioni, la più bassa mortalità infantile al mondo.
Oggi ci saremmo aspettati questa discussione. Il nostro sistema sanitario nazionale è al sicuro? È sostenibile? Sarà in grado di dare ai cittadini di domani, ma anche a quelli di oggi, le stesse prestazioni che hanno contribuito a far entrare l'Italia nel novero dei Paesi più ricchi e sviluppati? Perché, purtroppo, tutti noi sappiamo che la risposta a queste domande è semplice, ed è negativa. Il sistema sanitario nazionale è oggi più a rischio che mai, anche se molti sembrano far finta di niente. D'altra parte, sempre più persone si sono già rassegnate a pagare i servizi sanitari, con crescenti costi umani e finanziari. Se non si interviene presto e bene, questa può diventare una vera e propria débâcle civile e sociale. Servono risorse. Servono risorse per salvare il Servizio sanitario nazionale, che deve recuperare anche il suo luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute.
Qualche mese fa è stato lanciato un allarme da 14 tra i più importanti scienziati italiani, in un documento, inviato alla Premier Giorgia Meloni, che analizza e critica le scelte del Governo in materia sanitaria e istituzionale. Gli accademici hanno rivolto alle istituzioni un forte appello per difendere il Servizio sanitario, che dal 1978 assicura un welfare pubblico e universale e che fino al 2019 ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell'aspettativa di vita tra i Paesi ad alto reddito, passando da 73,8 a 83,6 anni di aspettativa di vita. Oggi, due anni dopo la crisi pandemica, chiediamo al Governo: stiamo davvero rispettando l'articolo 32 della Costituzione? Alla luce di questi dati, quale collettività stiamo tutelando? Soprattutto, si può davvero parlare di cure se queste ultime non vengono effettuate entro i termini realmente necessari per curare un paziente? È necessario un piano straordinario di finanziamento del Servizio sanitario nazionale e devono essere destinate specifiche risorse per rimuovere gli squilibri territoriali. Tale allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo, nonché appropriatezza nell'uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema. E non illudiamoci quando le cose funzionano grazie alla qualità del nostro personale sanitario, perché, infatti, molto spesso le performance del Servizio sanitario nazionale reggono ancora, nonostante il sottofinanziamento, com'è evidenziato nel recente rapporto della Corte dei conti sulla gestione dei servizi sanitari regionali. I dati, però, dimostrano, con nettezza, che il sistema è in crisi e non potremo più aspettarci per sempre l'eroismo, la capacità di supplire e di autorganizzarsi di enti locali, regioni e, soprattutto, di strutture sanitarie. È evidente tutto ciò dall'arretramento di alcuni indicatori di salute, dalla difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura e dall'aumento delle diseguaglianze regionali e sociali. Questo non accade, evidentemente, tutto per colpa dell'attuale Governo, ma accade per infinite ragioni, che si sono stratificate e che si sono consolidate: accade perché i costi dell'evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica hanno reso fortemente sottofinanziato il Servizio sanitario nazionale, e certo non da oggi, visto che lo scarso budget messo a disposizione ogni anno, con l'eccezione della fase pandemica, che pure non è stata in grado di assolvere al fabbisogno, è crescente ormai da anni. Secondo i dati riferiti a questa Camera dalla Corte dei conti, l'investimento destinato alla salute nell'ultima legge di bilancio è stato veramente critico rispetto agli altri Paesi d'Europa e rispetto al fabbisogno. Infatti, è stato solo di 131 miliardi e dalla relazione risulta che il Governo stanzia per la sanità pubblica meno della metà dei fondi di Germania e Francia, che, rispettivamente, investono 423 miliardi e 271 miliardi. Resta, pertanto, ancora molto elevato il gap tra spesa italiana pro capite finanziata, a parità di potere di acquisto, rispetto a Francia e a Regno Unito, spesa che è meno della metà rispetto a quella della Germania. Inoltre, la spesa privata per la sanità - e questo forse è il dato che più ci deve preoccupare - sostenuta dalle famiglie italiane è del 21,4 per cento, molto più elevato rispetto all'8,9 della Francia e all'11 della Germania, a fronte di un sempre più difficile recupero delle liste d'attesa.
Si può, e si deve, intervenire certamente anche sul piano organizzativo. Tuttavia, la vera emergenza è adeguare il finanziamento agli standard degli altri Paesi europei avanzati, che destinano alla spesa sanitaria almeno l'8 per cento del PIL. È urgente e indispensabile, perché un Servizio sanitario nazionale che funziona non solo tutela la salute, ma contribuisce anche alla coesione sociale. L'allocazione di risorse, come ripetiamo da tempo, deve essere accompagnata dall'efficienza nel loro utilizzo, ponendo sempre in primo piano il concetto che il grande patrimonio del Servizio sanitario nazionale è il suo personale. Li abbiamo salutati come eroi, li abbiamo applauditi, li abbiamo ringraziati, ma ce lo dobbiamo ricordare quando parliamo di rinnovo contrattuale, quando parliamo di stanziamenti, quando parliamo di priorità nell'investimento pubblico. La carenza di personale medico e infermieristico in Italia è un problema serio e ormai evidente, accentuato dalla scarsa attrattività della professione. Soltanto rinnovandola negli ambiti formativi, di esercizio professionale e di autonomia si può garantire la sostenibilità e l'universalità del Servizio sanitario nazionale, motivo per cui anche nella Commissione di cui sono vicepresidente, la Commissione cultura, abbiamo più volte parlato di sanità ed è anche il motivo per cui riteniamo che non si possa affrontare questo tema in modo frettoloso, come sembra volersi fare oggi. Quindi, certamente è necessario aumentare le risorse, ma in una logica di cambio di modelli, non solo per la tutela della salute e non solo con l'obiettivo di una maggiore coesione sociale, ma guardando a tutto il comparto della sanità con occhi di governance diversi. Evidenziamo che la spesa sanitaria italiana - che, come si è detto, nel 2025 vedrà destinato solo il 6,2 per cento del PIL e, quindi, proporzionalmente meno di 20 anni fa - non è in grado di assicurare completamente il rispetto dei livelli essenziali di assistenza. È questo il tema, che è stato già toccato da chi mi ha preceduto, assolutamente critico, che emerge già dal periodico monitoraggio, che mette in luce il numero crescente di regioni in difficoltà per assicurare i LEA ai propri cittadini, soprattutto i LEA legati alla prevenzione, che - non scordiamoci -, con l'invecchiamento della popolazione e la cronicità delle fragilità delle persone, diventa un tema centrale. Risultano oggi inadempienti rispetto ai LEA 12 regioni su 20 e, quindi, più della metà d'Italia non riesce ad adempiere. La situazione è aggravata dalla decisione, appoggiata dal MEF, nonostante il parere contrario della Ragioneria generale dello Stato, di rinviare al 1° gennaio 2025 l'entrata in vigore dei nuovi LEA, che estenderanno il numero di prestazioni erogabili da assicurare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Secondo la Ragioneria, i fondi stanziati per allargare i LEA sono regolarmente spesi dalle regioni per altre esigenze. L'abbiamo detto: per fortuna il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività, come le urgenze e i ricoveri per patologie acute, ma per il resto dell'assistenza l'universalità è già saltata. Visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia: il pubblico arretra e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato, evidentemente anche con sperequazioni secondo il censo e secondo la provenienza.
È opportuno sottolineare, inoltre, che in termini di diritto alla salute l'autonomia differenziata rischia di aumentare il divario tra Nord e Sud, evidentemente, come abbiamo detto più volte in altra sede mentre discutevamo della tematica dell'autonomia differenziata, con conseguente messa in discussione della tenuta stessa dell'impianto costituzionale e dell'articolo 32 così come originariamente inteso, andando verso un modello più simile a quello statunitense, che è terribilmente più oneroso e molto meno efficace. Non ci sfuggirà che la spesa complessiva americana è tripla rispetto a quella italiana, contro un'aspettativa di vita inferiore di 6 anni.
Ci sono criticità, inoltre, che mettono a rischio anche la riforma dell'assistenza territoriale in quanto il Governo Meloni ha tagliato il numero delle case di comunità, ritenute l'ossatura del nuovo sistema di cure primarie. Con l'ultima rimodulazione del Recovery Plan ne sono rimaste, infatti, soltanto 1.000 da realizzare entro il 2026 e non è ancora chiaro dove trovare il personale da dedicarvi per garantirne il funzionamento. Quindi, saranno poche e saranno cattedrali nel deserto, perché non sono state assunte le persone e non è previsto un piano di assunzione delle persone e neanche di motivazione, per le ragioni che ho detto prima, perché le persone sempre meno vogliono entrare nel sistema professionale sanitario pubblico italiano, visto che le soddisfazioni, i riconoscimenti e le valorizzazioni sono pochissime e i sacrifici richiesti sono tantissimi.
Il problema non è più procrastinabile. Tra 25 anni, quasi 2 cittadini su 5 avranno più di 65 anni, molti dei quali affetti da almeno una patologia cronica e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli.
Riteniamo, inoltre, che parte delle risorse debbano essere impiegate anche per intervenire in profondità sull'edilizia sanitaria. In Italia 2 ospedali su 3 hanno più di cinquant'anni e 1 su 3 è stato costruito prima del 1940.
Occorre, poi, investire soprattutto e anche sulla formazione, sull'aggiornamento professionale del personale, come è stato detto, e ricostruire un patrimonio di conoscenza trasmissibile anche alle giovani generazioni, visti i piani di pensionamento e invecchiamento del personale che, a tutt'oggi, non prevedono sostituzioni idonee.
In ultimo, senza nulla togliere all'impianto sanitario e a quello che abbiamo detto sul personale medico, sottolineo l'importanza del personale infermieristico e non sanitario che pure tiene in piedi il modello di salute nazionale e la cui carenza è ormai diventata cronica e con numeri molto più alti della media europea.
Infine, come ho accennato prima, ci preoccupa - perché non l'abbiamo vista in questo biennio - l'assenza di una visione che invece c'era nella nostra proposta di legge e c'era anche in quasi tutte le proposte fatte dalle altre forze politiche e che stavamo discutendo in quest'Aula: ci sembra che non ci sia nessun investimento economico e sostanziale sul tema della cultura della prevenzione, che ha invece un ruolo fondamentale. Ci sembra anche che gli investimenti in quest'ambito siano insufficienti e questo - lo sappiamo - è un tema che ha sempre rappresentato una criticità per l'Italia. L'Italia non ha mai investito a sufficienza sulla prevenzione, non ha mai investito a sufficienza sulla cultura della salute, sull'educazione alla salute. Da pochissimo parliamo del rapporto fra movimento, sport e salute nella gestione delle cronicità, nella prevenzione delle patologie, ma, oggi, questo aspetto è diventato veramente critico e, quindi, anche laddove esistono dei piani di prevenzione, la risposta da parte dei cittadini è molto critica. Si pensi, per esempio, ai bassissimi tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano ogni anno in quasi tutto il Paese e che ci devono far riflettere.
Insomma, rappresentante del Governo, colleghi, noi come Azione abbiamo fatto una proposta di legge e l'abbiamo portata in quest'Aula. Questo è, da sempre, il tema su cui più ci siamo spesi. Riteniamo che l'investimento in salute, la semplificazione della normativa e la riorganizzazione dei modelli di governance siano non alcuni dei temi sui quali si debba intervenire, ma il tema principale dal quale conseguono tutti gli altri. In quest'Aula abbiamo parlato di disabilità, abbiamo parlato di salute nella terza età, abbiamo parlato d'infanzia, abbiamo parlato di cronicità, eppure, ci sembra, tutte le volte, che non si voglia affrontare in modo strutturale, frontale e sostanziale questa tematica.
Noi, in ultimo, con la nostra proposta di legge, cercavamo anche di spiegare che è necessario rendere nuovamente attrattivo il Servizio sanitario nazionale, riconoscendo a chi lavora negli ospedali italiani una retribuzione congrua e allineata alla media dei grandi Paesi europei, anche attraverso adeguati aumenti delle previsioni finanziarie destinate al personale del comparto sanità, perché, è vero che dobbiamo assumere di più, ma dobbiamo anche motivare coloro che noi salutiamo come eroi, ma che poi lasciamo spesso a lavorare in condizioni di precarietà e in condizioni talvolta - e non lo dico per iperbole, chiunque di noi sia stato in un ospedale lo sa - ai limiti dell'eroismo e della generosità. Tali condizioni a volte diventano anche pericolose per loro stessi e per gli altri. Un modello di questo tipo regge a malapena grazie a coloro che sono nel settore da decenni, ma sicuramente non è attrattivo per le nuove generazioni, che invece vengono stimolate da un mercato della competenza globale che sempre più cerca di attrarle; e sono persone per cui noi abbiamo speso soldi e risorse per formarle e per renderle dei medici o degli infermieri.
Con il gruppo di Azione, noi abbiamo proposto un meccanismo, anche transitorio, per il quale chiedevamo che, laddove non fosse possibile effettuare le visite specialistiche e le prestazioni strumentali, l'assistito avesse davvero il diritto - diritto che oggi è sulla carta, ma che nessuno sa come esercitare davvero - di ricevere tali prestazioni presso una struttura sanitaria accreditata ovvero presso una struttura sanitaria privata autorizzata alla tariffa prevista per una prestazione analoga nella struttura pubblica. È chiaro che questa era una previsione ponte, perché auspichiamo che il Servizio sanitario se ne possa occupare. Noi facciamo il tifo per la Premier quando dice che azzererà le liste d'attesa, saremo dalla sua parte per ogni proposta di senso e di buonsenso che arriverà in quest'Aula, ma non crediamo che l'attuale decreto in discussione sia in grado di fare queste operazioni. Cerchiamo di spiegare, con la norma che presentiamo, quali modalità operative avrebbero ottimizzato i processi del centro unico di prenotazione, il CUP.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
VALENTINA GRIPPO (AZ-PER-RE). Presidente, mi avvio alla conclusione. Cerchiamo, quindi, di spiegare non solo quali investimenti e quali modelli organizzativi noi suggeriremmo, ma anche quali processi di governance.
In conclusione, Presidente, colleghi, alla domanda se è possibile salvare, anzi, consolidare e migliorare un sistema sanitario che non chieda carta di credito o certificato assicurativo a nessuno e fornisca milioni di prestazioni all'anno, la risposta non è né semplice né univoca; la risposta è: dipende. Dipende dalla partita che tutti i protagonisti - non solo la maggioranza, ce ne assumiamo la responsabilità, ma con noi i cittadini, i professionisti, i manager e, certo, in prima linea i decisori politici - decideranno di giocare e, soprattutto, se decideranno di giocare insieme con senso di responsabilità o gli uni contro gli altri. Cercheremo, quindi, di prefigurare gli scenari futuri. Che cosa succederà? Continueremo a godere di un sistema solidale e sostenibile o, quando ci ammaleremo, dovremo condurre una vera e propria battaglia per curarci e recuperare la salute?
Concludo, ricordando le parole di Martin Luther King che, parlando di disuguaglianza, quando gli fu chiesto, disse che, tra tutte le forme di disuguaglianza, l'ingiustizia nei servizi sanitari è quella più scioccante e disumana.
Per questo lavoreremo perché il Servizio sanitario nazionale rimanga a garantire il diritto alla tutela della salute di tutti coloro che vivono nel nostro Paese e sia addirittura rafforzato e migliorato, ma con questo intervento segnalo anche che bisogna agire concretamente e rapidamente, perché siamo ormai quasi fuori tempo massimo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 1741-A e abbinate)
PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice per la maggioranza e il relatore di minoranza rinunciano alle repliche.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
MARCELLO GEMMATO, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Vorrei, innanzitutto, ringraziare i colleghi parlamentari di maggioranza e di opposizione per il livello del dibattito, che, evidentemente, denota un attaccamento al sistema sanitario nazionale pubblico, una difesa dello stesso e, quindi, la volontà di mettere in campo misure che ne migliorino le performance. Immagino che il dibattito verta su due linee tendenziali: quella della maggioranza, che, sostanzialmente, afferma che nell'ultimo decreto - rubricato “Liste d'attesa” - sia già sostanzialmente compendiato quanto previsto in questa proposta di legge, e quella dell'opposizione, che rivendica il fatto che questa proposta completerebbe o, comunque, migliorerebbe quanto novellato nel decreto emanato lo scorso 4 giugno.
Il tema che a me piace sottolineare - ho preso appunti, perché mi piace rispondere puntualmente anche alle notazioni avanzate dai colleghi - riguarda il fatto che, rispetto al finanziamento del sistema sanitario nazionale pubblico, non posso portare obiezioni garbatamente, perché ritengo che i numeri, nella loro assolutezza, non siano interpretabili. Voglio ricordare - e bene fa il collega Furfaro a dire che, in realtà, ogni anno si raggiunge un massimo - che quest'anno si è raggiunto il massimo di 134 miliardi, però non sfuggirà ai più che, nel 2019, in condizioni di analogia, il Fondo sanitario nazionale pubblico si dotava di 114,8 miliardi di euro.
Quindi, sostanzialmente, 20 miliardi di euro in meno rispetto a quanti oggi sono stati appostati dal Governo Meloni. Cosa è occorso nel frattempo? C'è stata la pandemia e i Governi precedenti - aggiungo, giustamente - hanno inteso implementare quel Fondo. Perché? Per comprare i vaccini, le mascherine, i respiratori, gli straordinari, contando, però, su un fatto: che si potessero sforare i vincoli di bilancio. Sostanzialmente, si è aumentato notevolmente il Fondo sanitario nazionale, giustamente, aggiungo, perché c'era un'emergenza, ma andando ad attingere a uno “sfondamento” del debito pubblico.
Il Governo Meloni non solo conferma quel livello di spesa, non essendoci più - e viva Dio - il COVID, ma lo implementa ulteriormente in condizioni di diversità, perché non c'è il COVID, ma, evidentemente, non si ricorre neanche più all'esercizio di sforamento del bilancio. Se vado a memoria - su tutti i dati sono preciso, su questo potrei sbagliarmi -, durante il COVID, forse abbiamo sforato di 200 miliardi di euro, abbiamo preso soldi a debito per 200 miliardi di euro. La tanto ricordata Fondazione GIMBE - e questo lo ricordavano un po' tutti i parlamentari -, nel 2019 ci racconta che, nei 10 anni precedenti, sono stati definanziati 37 miliardi di euro.
Non voglio farne oggetto di polemica, figuriamoci - lo ripeto, il dibattito orizzontale d'Aula fa percepire un valore, un affetto e una difesa del sistema sanitario nazionale pubblico -, ma è di tutta evidenza che, in quegli anni, non ha governato, certamente, né il centrodestra, né Fratelli d'Italia, né Giorgia Meloni, questo va ricordato. Quindi, 37 miliardi di definanziamento nei 10 anni precedenti al 2019. Così come anche - e questo è un altro elemento che voglio portare -, nel finanziamento rispetto al PIL, è di tutta evidenza che, se andiamo a paragonare il 7 per cento del PIL durante la pandemia, essendo quel 7 per cento il risultato di un coefficiente dovuto a un numeratore e a un denominatore, ed essendo il denominatore il prodotto interno lordo, sappiamo tutti che durante il COVID le fabbriche erano chiuse, gli esercizi commerciali erano chiusi, gli studi professionali erano chiusi.
Eravamo, sostanzialmente, in un'economia di guerra. Banalmente, purtroppo, quel PIL crolla, e quindi quel rapporto cresce. Quindi, non mi convince l'idea per cui quel 7 per cento sia sufficiente, bisognerebbe ancorarlo a un valore assoluto, e il valore assoluto, che è il PIL, evidentemente, crescendo, genera opportunità. Lo voglio dire a chiare lettere: questo Governo non è il Governo della decrescita felice, questo è il Governo che si augura che il PIL cresca e si espanda a dismisura, e che, all'interno di questo PIL, si trovino i giusti quattrini per finanziare lo stesso.
Così come - se non ricordo male, la collega Malavasi lo ha sottolineato - il tema del 6,3 per cento di previsione rispetto al PIL del 2025 è il risultato sicuramente di una previsione triennale, ma voglio ricordare alla collega che, se prendiamo - poi ne produrrò opportuna copia - l'ultimo DEF prodotto dal Governo Draghi - quindi, parliamo dell'aprile del 2022, in cui erano in maggioranza sia i 5 Stelle che il Partito Democratico - il finanziamento in percentuale - lo ricordo a memoria, ma ho qui le carte che possono confermare questa mia tesi - rispetto al PIL era del 6,2, mentre questo Governo ha appostato il 6,3. Quindi noi abbiamo messo lo 0,1 per cento in più rispetto a ciò che avevate fatto voi in fase previsionale nell'ultimo vostro DEF triennale.
Ritengo che non si debba cambiare atteggiamento nel momento in cui si siede nei banchi dell'opposizione o della maggioranza, soprattutto quando si parla di sanità, perché, ripeto, i numeri, nella loro assolutezza, ci raccontano questo. Quindi, siccome siamo in un'Aula parlamentare, che, per definizione, dovrebbe essere un'Aula di verità, ed essendo i numeri veri, mi rivolgo alla collega Malavasi, ma anche alla collega Sportiello, che ha ripreso il tema, e a tutti i colleghi di centrosinistra che, probabilmente, non hanno posto l'attenzione su questo: il vostro Governo, in fase previsionale, aveva previsto, per il 2025, il 6,2 per cento del finanziamento rispetto al PIL. Il nostro Governo prevede il 6,3 per cento.
Così come non mi attira più di tanto il tema dell'inflazione. Voglio ricordare - dico anche questo in un'Aula di verità, quale è la Camera dei deputati, e vorrei su questo aprire un dibattito - che, probabilmente, le temperie dell'inflazione rispetto al Fondo sanitario nazionale sono meno cogenti rispetto ad altri finanziamenti, che ne risentono maggiormente. Penso al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, sicuramente. Perché? Perché lì c'è il caro legato al caro materie prime, quindi aumentano i prezzi delle materie prime e, corrispondentemente, se il Fondo si mantiene lo stesso, giustamente si fa un richiamo a quanto in negativo possa impattare l'inflazione.
Per quanto riguarda, invece, il Fondo sanitario nazionale, voglio ricordare che, fatto 100 il Fondo sanitario nazionale, il 15,30 per cento è spesa farmaceutica. Ricordo a me stesso, prima che agli altri, che l'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, all'atto dell'immissione in commercio dei farmaci, stabilisce il prezzo del farmaco, che poi dura per 8-10 anni; poi quel prezzo addirittura cala, perché decade il brevetto e, quindi, c'è la produzione dei cosiddetti generici. Quindi, per 8-10 anni quel prezzo rimane invariato. Peraltro, l'Aifa, a livello europeo, è una delle agenzie che tratta meglio al ribasso il prezzo dei farmaci, questo è notorio.
Quindi, il 15,30 per cento non è attinto dall'inflazione, anzi, probabilmente c'è un effetto inverso, perché, decadendo i brevetti, si riduce. In secondo luogo, un 33-35 per cento è determinato dagli stipendi. Voglio ricordare che in Italia - ero ragazzino, ma, sin da allora, mi appassionavo di politica - c'è stato un referendum che ha sganciato il percepito dello stipendio dei lavoratori dall'inflazione, la cosiddetta scala mobile. Quindi non è che, se l'inflazione - ora estremizzo - aumenta del 20 per cento, aumentano del 20 per cento gli stipendi.
Quindi, 35, più il Fondo sanitario nazionale per i farmaci, 15,3 per cento, siamo già a un 50 per cento. Poi ci possiamo aggiungere tutto quello che è contrattazione, ossia tutto quello che viene contrattato in termini di gara all'interno degli ospedali, perché non è che le gare si facciano ogni anno o ogni mese. Le gare hanno un orizzonte di 2, 3, 4 anni, quindi, si stabilisce un prezzo e poi il fornitore eroga, per quel prezzo, in un orizzonte di 3, 4 anni. Pertanto, anche tutta la parte legata alle gare non è ancorata all'inflazione. Potrei continuare per ripetere questo dato e quindi rassicurare che la temperie, le difficoltà e le negatività legate all'inflazione, probabilmente, sul Fondo sanitario nazionale impattano meno o, addirittura, in alcuni casi (ho fatto l'esempio del Fondo sanitario nazionale) non hanno alcun impatto. Così come, in merito al tema dell'autonomia differenziata in sanità - lo voglio dire -, c'è chi esprime un giudizio positivo rispetto ad essa e c'è chi esprime un giudizio negativo, non entro in merito oggi, evidentemente non è questo il tema. Tuttavia, voglio ricordare che, in tema sanitario, la riforma del Titolo V della Costituzione porta già la governance sanitaria a livello regionale.
Al collega Furfaro - mi dispiace che è andato via, non voglio essere scortese con lui, mi lega un sentimento di stima, di amicizia e di affetto - voglio però ricordare che, quando si riferisce all'autonomia differenziata, a volerla - con la riforma del Titolo V della Costituzione - è stato un Governo di centrosinistra, all'epoca i DS. Quindi, ripeto, oggi comunque l'impatto dell'autonomia differenziata - c'è chi la giudica positivamente e chi negativamente - è già stato compendiato, perché la riforma del Titolo V è stata voluta, in passato, proprio da una parte politica che è quella del centrosinistra. Pertanto, richiamarla e scagliarla come tema contro di noi mi sembra alquanto ingeneroso in un'Aula che dovrebbe essere un'Aula di verità.
Inoltre, il tema dell'abolizione del tetto di spesa per le assunzioni: anno 2004, meno 1,4 per cento. Uno scandalo! Noi l'abbiamo messo in piedi, in campo con questo decreto rubricato come “abbattimento liste d'attesa”. Uno scandalo! Ci è stato detto: perché non l'avete fatto? Invece, io mi chiedo: perché non lo avete fatto voi, atteso che avete governato per 10, 12 anni prima di noi?
Ebbene, vorrei dire alla collega del MoVimento 5 Stelle non che non ve ne siete accorti, non voglio essere irriguardoso, ma avete avuto un Ministro della Sanità, un Vice Ministro della Sanità che avrebbero potuto, nei cinque anni, togliere quel vincolo dell'1,4, rispetto al livello assunzionale del 2004, che noi stiamo togliendo. Tuttavia, capisco che voi contribuiate a questa enorme aspettativa che il popolo italiano ha nei confronti del Governo Meloni e del centrodestra, però, anche rispetto a certi temi, si può dire: non lo abbiamo fatto noi per 10, 12 anni, fatelo voi. Tuttavia, non gridate allo scandalo perché in 18 mesi non è stato fatto, avendo avuto voi un orizzonte così lungo per farlo.
Vi faccio questi richiami anche per rassicurarvi rispetto al fatto che in quest'Aula, al di là della divisione destra, centrodestra e centrosinistra, in tema di sanità, dovremmo tutti quanti avere e dare un contributo di crescita, perché poi al centro dei nostri ragionamenti ci sono i cittadini italiani. Così come la collega Sportiello ricordava l'introduzione dell'indice di deprivazione economica: ebbene, anche qui, voglio dire che per la prima volta nella divisione del Fondo sanitario nazionale pubblico è stato preso in considerazione il cosiddetto coefficiente di deprivazione, fattispecie per cui sono andati 221 milioni di euro in più alle regioni meridionali e alla regione della collega Sportiello, ovvero la Campania dell'ottimo presidente De Luca, sono andati 78 milioni di euro in più. Quindi: 221 milioni di euro in più a tutte le regioni meridionali e 78 milioni di euro in più alla regione del presidente De Luca e della collega Sportiello. Anche lì, occorre ricordare; è stato detto: perché non li introducete? È stato fatto nell'ultima divisione del Fondo sanitario nazionale e questo ha avvantaggiato alcune regioni meridionali, cioè le regioni meridionali in generale. In particolare, poiché è ancorato ad alcuni parametri quali mortalità al di sotto dei 75 anni, coefficiente di scolarizzazione e, se non ricordo male, coefficiente di disoccupazione, ovviamente alcune regioni, come la Campania ma, non nego, anche la Puglia, 48 milioni in più, hanno preso maggiori quattrini. Quindi, la do come notizia per dire: anche questo è stato fatto durante questi 18 mesi di Governo. Chiudo dicendo ovviamente che ci sarà un dibattito puntuale in Aula che penso e spero faccia emergere le criticità di questo sistema sanitario, criticità che hanno avuto una sedimentazione negli anni.
Voglio ricordare che il sistema sanitario nazionale pubblico nasce il 23 dicembre 1978, quando c'era una fotografia diversa di società. Immaginate: non esisteva la gestione delle grandi cronicità, che oggi invece abbiamo e che incidono enormemente sul Fondo sanitario nazionale. Non esistevano i farmaci innovativi, farmaci che costano centinaia di migliaia di euro ma che sono risolutivi, one shot, con un'unica iniezione, magari in termini di complessità, ma che evidentemente hanno un impatto forte sul bilancio del nostro Fondo sanitario nazionale. Quindi, vi era la complessità di un sistema sanitario vecchio di 45 anni; sono stati fatti provvedimenti che si sono sedimentati negli anni e, oggi, con orgoglio, con tenacia e con diligenza - che è quella che attiene agli uomini di Governo - stiamo cercando di sminare tutte queste criticità con riferimento a un sistema sanitario che nessuno ha detto in quest'Aula - lo voglio ricordare - essere eccellente; non mi è parso assolutamente di sentire questo nell'intervento dell'onorevole Schifone che anzi ha fatto un intervento puntuale sull'oggetto in discussione oggi. Siamo consci delle criticità e del fatto che esse vadano risolte e mi convinco sempre più che abbiamo bisogno di un approccio non ideologico o, peggio ancora, non partitico al tema, ma di un approccio condiviso che ci possa portare alle risoluzioni dei problemi nell'interesse degli italiani.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di legge: Battilocchio ed altri: Istituzione della Giornata nazionale delle periferie urbane (A.C. 1737-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1737-A: Istituzione della Giornata nazionale delle periferie urbane.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 14 giugno 2024 (Vedi l'allegato A della seduta del 14 giugno 2024).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1737-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Emilio Russo.
PAOLO EMILIO RUSSO , Relatore. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, con la proposta di legge presentata dall'onorevole Alessandro Battilocchio prevediamo l'istituzione della Giornata delle periferie urbane. È stata incardinata il 10 aprile 2024 in sede referente alla Commissione affari costituzionali e poi discussa con spirito di grande collaborazione. Nella settimana scorsa si è proceduto all'esame di 6 proposte emendative, presentate anche dalle opposizioni, che sono state in larga parte accolte.
Il testo prevede che la Repubblica riconosca il giorno 24 giugno di ciascun anno quale Giornata nazionale delle periferie urbane. Si tratta di una data significativa perché al 24 giugno del 2014 risale il tragico episodio che ha visto protagonista la piccola Fortuna Loffredo, di appena sei anni, deceduta dopo essere precipitata dall'ottavo piano di un palazzo situato nel Parco Verde di Caivano.
Ricordiamo tutti quel drammatico caso di cronaca, sembrava si fosse trattato di un incidente ma ben presto i risultati dell'autopsia rivelarono, invece, che la bimba era stato oggetto di ripetuti abusi e violenze, anche sessuali: l'orrore.
L'obiettivo dell'istituzione della Giornata è quello di conservare e rinnovare l'attenzione sulle condizioni di inclusività, sostenibilità e sicurezza, nonché sullo sviluppo economico, sociale e culturale e sulla qualità della vita delle città e delle loro periferie. Ricordo che in questa legislatura è stata istituita una Commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta proprio dall'onorevole Alessandro Battilocchio, cui è affidato il compito di accertare lo stato del degrado delle città e delle loro periferie, con particolare attenzione alle implicazioni sociali e della sicurezza, connesse anche ai livelli di integrazione e di inclusione.
Ricordo che, proprio con il decreto Caivano, lo scorso anno è stato istituito un Osservatorio sulle periferie presso il Ministero dell'Interno.
La Giornata nazionale non costituisce festività nazionale; all'articolo 2 vengono disciplinate le iniziative per la celebrazione dell'appuntamento. Lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane e i comuni possono promuovere e sostenere - anche in coordinamento con gli enti del Terzo settore e con le scuole - iniziative specifiche, manifestazioni pubbliche, cerimonie, incontri e momenti di studio volti alla sensibilizzazione delle istituzioni e dei cittadini sulle specificità delle periferie urbane.
Tali attività sono finalizzate anche a valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico delle periferie urbane e a promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale delle aree periferiche. Ai sensi dell'articolo 3, la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo può dedicare spazi a temi connessi alla Giornata nazionale. Per concludere, nei comuni capoluogo delle città metropolitane abitano più di 9,5 milioni di persone; di queste si stima che oltre un terzo vivano in quartieri dove è più sentito il disagio economico.
Si tratta di zone in cui c'è una forte presenza di famiglie vulnerabili sotto vari punti di vista, da quello reddituale alla presenza di giovani al di fuori dei percorsi di studio e di formazione o di lavoro. Le istituzioni devono e se ne vogliono occupare. Lo scopo, ovviamente, non è quello di trasformare le periferie in centro storico, cosa che sarebbe ovviamente impossibile, ma di valorizzare le caratteristiche di ogni luogo e di garantire, così come ci chiede la Costituzione, a ciascun cittadino le stesse possibilità.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia a intervenire.
È iscritto a parlare il deputato Morassut. Ne ha facoltà.
ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Grazie, Presidente. La proposta di legge troverà il consenso del Partito Democratico. Si tratta di una iniziativa utile, che favorisce la divulgazione e la costruzione di una rinnovata coscienza, una più estesa coscienza, sul tema delle periferie urbane e sull'analisi dei processi sociali, dei fenomeni culturali, delle trasformazioni urbane che sono coinvolte dalla trasformazione delle periferie urbane e anche da una nuova questione urbana, che, in definitiva, racchiude il tema della periferia.
Non è più tempo di pensare alle periferie come a un qualcosa di separato e distante dalle città, di esterno alle stesse. Quando parliamo di periferie, dobbiamo, ormai da diverso tempo, da diversi anni, renderci conto che parliamo di una questione urbana in sé, anche perché il corpo delle città, fisicamente inteso, si è venuto trasformando in modo tale che oggi non è più un corpo compatto, che può essere letto per stratificazioni geografiche o, addirittura, per stratificazioni sociali definite.
La cosiddetta globalizzazione, o comunque l'avanzare di processi molto intensi dal punto di vista delle trasformazioni sociali, dei costumi, dell'immigrazione, ha reso oggi le città in tutto il mondo, e anche nel nostro Paese, dei corpi mobili che si sono venuti disgregando, spappolando, decomponendo, in modo tale che noi possiamo parlare di periferia anche per alcune parti dei centri storici o possiamo individuare delle zone di pregio, di livelli di vita accettabili o qualificati, anche in zone geograficamente intese di periferia. Quindi, un tessuto che si è venuto lacerando, soprattutto parallelamente alla decadenza di quelli che un tempo chiamavamo ceti medi, cioè di quello strato sociale che agiva un po' da cuscinetto e da equilibratore delle differenze sociali tra i molto ricchi e i molto poveri, che faceva anche un po' da collante della società.
Questa dimensione si è progressivamente assottigliata, in alcuni casi è definitivamente scomparsa. Le dialettiche sociali sono diventate più stringenti, più forti e più nette, quindi questo ha avuto una conseguenza anche sull'organizzazione delle città, che non hanno neanche più spazialmente dei corpi e delle zone definite. Oggi parlare di zone industriali, di zone commerciali, di zone residenziali probabilmente non ha neanche più senso, perché le stesse dimensioni funzionali delle attività si sono mescolate.
Quindi, abbiamo a che fare con città che sono dei corpi appunto mobili, delle polpe in continua rimodellazione. Questo rende più complessa e più difficile l'analisi stessa del fenomeno della periferia. Naturalmente, il tratto generale in molti casi è rimasto, questo non va occultato. Gran parte del disagio è lontano dai centri storici, perché i centri storici propriamente intesi sono le zone di maggiore pregio e di maggiore vitalità economica, dove più profondamente agiscono gli interessi, dove si insediano le parti sociali con maggiori possibilità, dove l'elemento comunitario è ancora più forte, caratterizzato anche da una tradizione dei segni, dal fatto che esiste la storia.
In periferia spesso la storia non esiste, se non andandola a cercare e cercando di valorizzarla, come anche la proposta di legge prevede, perché esiste, ma spesso è nascosta, occultata dalla violenza con la quale lo sviluppo moderno l'ha coperta, la violenza dello sviluppo urbanistico, anche di una certa modalità costruttiva, industriale, che nel Novecento si è affermata per la necessità di costruire rapidamente per il forte inurbamento. Certo, non è stata spesso a guardare con grande attenzione gli aspetti estetici delle trasformazioni, gli aspetti architettonici dell'immagine urbana.
Quindi, per tornare al punto, questa nuova condizione ci chiama la necessità di nuovi strumenti di lettura e di indagine. Non a caso, la Commissione d'inchiesta parlamentare, che sta svolgendo un ruolo importante sotto la direzione del presidente Battilocchio, che ringrazio, è uno di questi strumenti che il Parlamento si è dato, e la proposta di legge ne aggiunge un altro. Però, rapidamente, voglio fare una riflessione su alcuni punti. La prima questione riguarda il tema dei diritti di cittadinanza.
Oggi si può dire, senza tema di essere smentiti, che un ragazzo, un cittadino che nasce in periferia o che nasce in un'area interna e vive tutta la sua vita in quel luogo, spesso e volentieri non ha la possibilità, nel corso della sua vita, di godere degli stessi diritti di cittadinanza e delle stesse opportunità di un cittadino che nasce in una zona o in un'area più fortunata del territorio, in un centro storico o in una zona di maggiore sviluppo, di maggiore pregio qualitativo in termini di servizi, trasporti e di tutto il resto. C'è, quindi, una disparità strutturale che ormai si è determinata nei diritti di cittadinanza, a seconda di dove si vive e di dove si svolge la vita dei cittadini.
Questo inficia il principio fondante della Costituzione che mette i cittadini tutti di fronte alle stesse opportunità, o che comunque agisce perché tutti possano esercitare i propri diritti in maniera uguale e paritaria. C'è, quindi, un elemento costituzionale sul quale, a mio modo di vedere, a nostro modo di vedere, si deve intervenire, da un punto di vista dei principi - sono poi i principi che regolano l'attività delle pubbliche amministrazioni, dallo Stato fino agli enti locali -, per segnalare questo aspetto. Questo aspetto ha uno spazio nella Costituzione che può essere colmato.
In particolare, riguarda l'articolo 44 della Costituzione, che è un articolo inserito dai padri costituenti perché, all'epoca, si colmasse il grande divario tra città e campagna e si intervenisse con una riforma agraria per superare in parte questo divario, soprattutto tra i cittadini che vivevano le città e quelli, in Italia tantissimi, che vivevano nelle comunità montane. L'articolo 44 interveniva esattamente su questo punto. Questa esigenza non dico che sia stata completamente superata, ma in parte è stata colmata dalle evoluzioni avvenute nel corso dei decenni del dopoguerra, mentre se ne è affermata un'altra, esattamente quella del rapporto tra città e periferia.
Quindi, l'inserimento della periferia e delle aree interne nella Costituzione come condizione potenzialmente divisiva del rapporto tra i diritti di cittadinanza è un elemento che va colmato. Per questo, abbiamo presentato una proposta di legge, che è in discussione nella Commissione affari costituzionali, che mira, attraverso un'operazione “cacciavite”, come si dice in gergo - cioè, una piccola correzione dell'articolo 44 - a colmare questo aspetto.
Un secondo aspetto importante riguarda il governo delle grandi città, degli aggregati urbani e delle città in generale, che possano venire incontro a quella che ho definito una “questione urbana”, cioè gli strumenti operativi, amministrativi, gli ordinamenti. Noi stiamo discutendo - qui lo dico senza polemica o, perlomeno, non con l'asprezza della polemica di questi giorni, ma sicuramente con un elemento critico - dell'autonomia differenziata. Il dibattito sugli enti locali, sulla pluralità dei territori e delle tradizioni nel nostro Paese, da ormai trent'anni, si è concentrato sul tema delle regioni, con un dibattito infinito, in cui si è detto di tutto, ma con pochissimi cambiamenti e adesso approda a una soluzione che noi non condividiamo e che riteniamo, anzi, pericolosa e divisiva per l'unità del Paese.
Il punto fondamentale è che si è discusso di regioni, ma non si è discusso delle città: il pluralismo territoriale italiano è un pluralismo secolarmente caratterizzato dalle città, non dalle regioni, cioè dalle differenti tradizioni che si sono determinate, dal Medioevo in poi, sulla costituzione di identità urbane che sono cresciute, si sono sviluppate e sono fiorite nella nostra Penisola e che, ancora, sono caratterizzate da questo. Quindi, noi abbiamo il problema di dare a questa varietà una risposta. Abbiamo ancora le città che vengono governate tutte con lo stesso tipo di ordinamento. Naturalmente, sarebbe impossibile articolare diverse forme di ordinamento per tutte le migliaia di città italiane, ma mi riferisco soprattutto alle grandi conurbazioni, alle grandi città, che hanno caratteristiche mondiali e metropolitane, vocazione mondiale e che, in Italia, sono sostanzialmente tre e potremmo definire, per certi aspetti, addirittura tre capitali, di tre diverse nature del nostro Paese: Roma, Milano e Napoli. Noi abbiamo tre città di grande forza mondiale, di grande vocazione mondiale. Abbiamo tre città che sono conurbazioni metropolitane che vanno oltre i propri confini comunali e aggregano intorno molto di più di quelli che sono i loro confini comunali: quindi Roma, Milano e Napoli che, però, sono governate ancora con gli strumenti della legge fondamentale degli enti locali. Qui bisogna intervenire, non ci si può limitare a quello che la legislazione italiana ha prodotto con la legislazione sulle città metropolitane, che non sono mai state realizzate, peraltro, come enti elettivi diretti. Bisogna dare a queste città - area di 5 milioni di abitanti nel caso di Roma, di 3 milioni e mezzo nel caso di Napoli e di altrettanti nel caso di Milano - strumenti fortissimi di governo, strumenti rapidi, anche legislativi, di intervento veloce e sistematico, di decentramento efficiente all'interno di queste, per poter consentire loro non soltanto di sviluppare le proprie potenzialità, ma anche di intervenire con più efficacia nelle situazioni di degrado. Questo è un tema urgentissimo che, tra l'altro, ci metterebbe a pari ruolo con il resto d'Europa, dove le grandi città e le grandi capitali hanno tutte regimi speciali. In tutta Europa pensiamo alla Germania, che ha alcune città che sono, praticamente, regioni: sono dei Länder, così come vengono chiamate in Germania. Ora, non si tratta di copiare modelli esterni, ma noi questo problema lo abbiamo e non lo abbiamo mai sostanzialmente affrontato. Questo è un punto essenziale, fondamentale per affrontare il tema delle grandi contraddizioni metropolitane e, in primo luogo, delle periferie, dove le risorse arrivano sempre tardi, dove le soluzioni arrivano sempre tardi, dove le decisioni arrivano sempre con grandi difficoltà e, quindi, con poche risposte, con poche risorse, con poca efficienza amministrativa, i processi degradano sempre di più.
Il secondo aspetto è quello degli strumenti urbanistici. Sia chiaro: io non credo che l'urbanistica risolva tutto, quando si parla di periferia. Non possiamo scadere in una lettura monotematica, il tema della periferia ha una complessità più ampia - mi interrompa, Presidente, quando vede che sto esagerando con il tempo -; non credo che l'urbanistica risolva tutto, la dimensione della periferia è una dimensione a 360 gradi, molto più complessa. Tuttavia lo strumento urbanistico, la regolazione del governo del territorio, dello spazio fisico, che diventa spazio umano, dell'uso del suolo e dell'uso della terra è fondamentale, perché tutto comincia con la terra e tutto finisce con la terra: a seconda di come si organizza lo spazio, abbiamo un'organizzazione della vita civile, della vita economica e delle modalità - anche di trasformazione dell'immaginario -, che un individuo acquisisce dal momento della nascita fino a quello della dipartita da questa vita.
Quindi, il fatto di avere, in Italia, strumenti urbanistici molto vecchi e molto confusi, in cui si sovrappongono competenze diverse e vi sono elementi di difficoltà, comporta che poi tali elementi di criticità dalle amministrazioni vengono superati con farraginosità e in alcuni casi, a volte, addirittura - quando le cose non funzionano - con la corruzione, che diventa il canale attraverso cui qualcuno spera sempre di recuperare i ritardi. Sono, quindi, fondamentali nuovi strumenti. Noi abbiamo bisogno - in questo, vede, torna il tema dell'autonomia differenziata - di una legge di princìpi generali, che dia la possibilità di una regolamentazione complessiva alla trasformazione del territorio e della Penisola, naturalmente lasciando alle regioni - come già è scritto in Costituzione - ampi spazi di autonomia e di interpretazione dei princìpi. Una Penisola come la nostra, con il nostro territorio, ha bisogno di un indirizzo generale, che possa cucire le diversità e dare un tratto comune e unitario allo sviluppo di una Penisola difficile e quindi anche offrire al governo delle città strumenti utili, capaci di intervenire sulle difficoltà, sui cambiamenti che una città vive e che sono più complessi sempre nelle periferie.
Il terzo aspetto, naturalmente, sono gli investimenti. Ora stiamo attraversando la fase del PNRR con il programma di Next Generation EU: anche qui c'è un elemento critico, che noi offriamo alla discussione per come questo programma si è snaturato nella farraginosità delle procedure con l'arrivo del nuovo Governo e con una centralizzazione delle procedure, quando, invece, aveva una natura molto più rapida, veloce e articolata - pure nelle sue procedure -, ma che era già partita e che stava producendo risultati. Il cambiamento delle procedure ha rallentato, soprattutto nei programmi per le periferie, la resa dei risultati e la possibilità di spendere molte risorse.
Ma noi non avremo sempre un Next Generation EU, non ci sarà sempre il PNRR: bisogna entrare in una fase ordinaria di risorse per le città e questo comporta anche un intervento su alcuni aspetti di fiscalità generale che, in questo caso, però è specificatamente indirizzata alla fiscalità urbana, cioè del chi paga le risorse che servono per valorizzare gli spazi pubblici, per creare i trasporti, per creare la città pubblica, per acquisire le aree necessarie per erogare i servizi - in primo luogo, per esempio, l'edilizia residenziale pubblica, ferma al palo da più di 40 anni -. Queste risorse da dove le prendiamo? Dalle tasche dei cittadini, dalle tasse, in generale? Da finanziamenti astratti? No, queste risorse possono venire dalle trasformazioni che si determinano all'interno delle città, attraverso un giusto ed equilibrato intervento di prelievo dalla rendita urbana, che si arricchisce notevolmente all'interno delle città, perché le città, nel loro cambiamento, creano ricchezza. Questa non può essere soltanto riversata nelle tasche di chi trasforma privatamente i luoghi, ma deve essere anche, in parte, messa a disposizione della collettività, attraverso adeguati versamenti nelle casse pubbliche, con contributi adeguati e che siano in linea - anche in questo caso - con i livelli europei, che possano essere utilizzati per realizzare i servizi, espropriare le aree, fare tutto quello che serve per rendere le nostre città più adeguate, più ricche e dotate dei servizi necessari. Da questo punto di vista, voglio dire una cosa: il contributo che la rendita delle trasformazioni urbane versa alle casse pubbliche in Italia è, mediamente, pari al 5 per cento, e dico una cifra esagerata. Nel resto d'Europa si arriva a livelli molto più alti: dal 20, al 30, al 40 per cento. Sono risorse che vengono destinate alla collettività, attraverso la messa a disposizione delle risorse pubbliche, che poi vengono utilizzate - attraverso opere pubbliche, servizi, appalti - per realizzare tutto quello che serve all'interno delle città. Questo è un punto molto importante e riguarda proprio gli aspetti di fiscalità urbana.
Infine, c'è un tema che riguarda il cambiamento della qualità sociale di alcuni quartieri e di alcune realtà di periferia. Qui c'è stato - e c'è ancora, in parte - un dibattito confuso quando si parla di sicurezza urbana e di fenomeni di degrado nei grandi quartieri popolari, soprattutto quelli nati negli anni Ottanta, con i grandi interventi di edilizia residenziale pubblica: questo, in parte, è vero.
Si fanno spesso tanti nomi, si va da Caivano a Tor Bella Monaca a Corviale e chi più ne ha più ne metta. Ma anche qui, attenzione: il problema non sono le forme. Le forme dei luoghi, degli edifici e dei complessi sono importanti, perché, se sono stranianti dell'individualità umana, possono portare elementi. Il tema importante è la qualità sociale che si mette in certi luoghi, ed è un aspetto che viene spesso dimenticato, ossia che, intorno a certi interventi, in un Paese che, forse, negli anni ottanta, è stato in grado di dare una parziale risposta al grande tema abitativo, sono state tirate fuori da tante situazioni di degrado assoluto migliaia e migliaia di famiglie, dandogli la possibilità di avere una casa. Parliamo del diritto alla casa, il quale non è sancito, neanche questo, dalla Costituzione, mentre è codificato in sede europea, in tutti i trattati possibili e immaginabili. Come detto, invece, nella Costituzione italiana il diritto alla casa non esiste, e anche questo va colmato.
Se questo Paese - dicevo - è stato in grado di fare ciò, oggi nel corso del tempo non è stato più in grado di mantenere questo e di portare intorno a questi grandi complessi che ho descritto e che abbiamo visto nelle nostre uscite di indagine, tutti i servizi che sarebbero occorsi, in termini non solo di trasporto, perché l'isolamento delle persone intanto si vince con la possibilità di muoversi più facilmente, ma anche di servizi culturali e sociali, di tutto quello che, attraverso l'elemento collettivo, consente di superare l'elemento dell'isolamento, che in una città nuova che avanza verso il territorio, com'era negli anni passati, evidentemente era un tema centrale.
Oggi, tutto questo va coadiuvato e coordinato con una idea di città dove i perimetri non si ampliano, e questo è un grande problema - e lo voglio ricordare qui -, perché parliamo di periferia, cioè parliamo di città intorno. Se non dobbiamo e non vogliamo più consumare suolo, contenendo l'espansione delle città, nello stesso tempo siamo consapevoli che la crescita demografica andrà aumentando nel corso dei prossimi anni, perché cambia il mondo, perché le regioni, vicine all'Italia, nel Mediterraneo, in Africa e nei paesi dell'Asia, che si sposteranno con milioni di persone verso l'Europa, saranno demograficamente crescenti.
Come possiamo affrontare questa drammatica contraddizione, se non con un'idea completamente diversa di città? Cosa che, per l'Italia, è per certi aspetti drammatica. Infatti, siamo un Paese che ha un'idea abitativa di insediamento piccolo, basso e diffuso, perché siamo un Paese contadino, che viene da un'idea e da una tradizione familiare di vicinanza alla terra. Invece, dovremmo abituarci a città che saranno diverse.
Qui c'è una grande riconversione culturale da operare, che non è soltanto amministrativa, ma è proprio un'idea filosofica dell'idea di città, è un'idea mentale di come staremo, e con quali forme, all'interno delle città.
Mi pare importane sottolineare tutto questo nel momento in cui al nostro lavoro si aggiunge uno strumento di riflessione e di sensibilizzazione diffusa, attraverso l'istituzione delle iniziative previste da questa legge, con una giornata speciale, perché, sul tema della periferia, c'è bisogno di aumentare e migliorare la pluralità dei nostri strumenti di lettura, e di migliorare - e, a volte, anche di rivoluzionare - i nostri sistemi di intervento, anche attraverso importanti interventi sul corpo legislativo, sulla Costituzione e sulle grandi leggi organiche che ci consentano di affrontare la grande questione urbana di questo secolo, che non è soltanto il tema della periferia, non è soltanto il tema dell'intervento su alcuni quartieri, ma è l'idea di come dobbiamo dimensionarci all'idea di nuove città, di una nuova questione urbana che è una questione del nuovo secolo, che è completamente diversa da quella che abbiamo alle nostre spalle, da come le nostre città sono cresciute, dalla prima rivoluzione industriale in poi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battilocchio. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI-PPE). Grazie, Presidente, grazie al relatore Paolo Emilio Russo, grazie al collega Morassut. Questa proposta di legge parte - come è stato ricordato - da un simbolo drammatico del passato, e si pone l'obiettivo ambizioso di contribuire a mandare un segnale di speranza.
La giornata che proponiamo è quella del 24 giugno e ricorda quanto accaduto a Caivano il 24 giugno del 2014, con i fatti tragici, drammatici, della piccola Fortuna Loffredo. Per la verità, Caivano nuovamente è balzata alle cronache, in maniera prepotente, nell'agosto del 2023, con una nuova, terribile, pagina legata a quanto accaduto alle cuginette di 12 e 10 anni a Parco Verde, violentate da un gruppo di adolescenti.
Da allora, è partita dallo Stato un'azione molto forte e incisiva. Il decreto n. 123 del 2023 è diventato legge n. 159 del 2023. Il decreto Caivano - ne abbiamo parlato a lungo in quest'Aula - prevede tutta una serie di norme: prevede risorse cospicue; prevede una governance ad hoc, anche attraverso la creazione di strutture commissariali; prevede un supporto tecnico centrale e delle procedure specifiche; delle progettualità di qualità con un timing definito; una interazione con le istituzioni locali, le Forze dell'ordine e tutto il terzo settore.
Ora, la discussione che si fa spesso - ne parliamo anche in Commissione d'inchiesta sulle periferie - è valutare la possibilità di estendere e di esportare questo tipo di percorso alle tante altre Caivano italiane. Però, noi dobbiamo dire che - perché è stata una bella pagina parlamentare - per la verità, quest'Aula si è mossa sul tema anche prima degli episodi dell'agosto scorso: con la delibera della Camera del 23 marzo del 2023 è stata, infatti, istituita la Commissione parlamentare d'inchiesta sullo stato di degrado e sulle condizioni di sicurezza delle città e delle loro periferie. Nata da una mia proposta, si è però poi trasformata in un testo unificato, che ha visto la convergenza e l'interazione di tutte le forze politiche presenti in quest'Aula ed è stato approvato all'unanimità.
La Commissione - lo ha ricordato il collega Morassut - sta facendo un lavoro imperniato su un triplice schema: analisi, proposta e presenza sul territorio. Quindi, da un lato, l'analisi, lo studio, la ricerca e l'approfondimento sulla situazione attuale delle periferie del nostro Paese. Come dice Stefano Boeri, quello di “periferia”, intesa come “luogo spazialmente distante dal centro”, è oggi un concetto superato. Associare la lontananza dal centro ad un'idea di disagio è ormai sviante: ci sono aree degradate vicino al centro e aree di ricchezza lontane. Questo è un concetto che noi stiamo approfondendo in Commissione, anche attraverso delle audizioni con esperti e con rappresentanti istituzionali. Nei primi mesi di attività, abbiamo avuto da noi il Ministro Piantedosi, il Ministro Fitto, il Ministro Abodi, il Ministro Calderone, il Ministro Valditara, il Ministro Zangrillo, il Ministro Locatelli, il Ministro Bernini e il Vice Ministro Sisto. Inoltre, abbiamo in agenda i Ministri Salvini, Roccella e Sangiuliano. Ognuno, per i rispettivi Ministeri, ha presentato le azioni in corso. Poi è stato utile avere con noi i rappresentanti che guidano l'Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato, l'Istat, il CNEL e l'Istituto nazionale di urbanistica, nonché interagire con tutti i consulenti onorari della nostra Commissione, che sono stati indicati da tutti i gruppi politici e che stanno dando un apporto basilare.
Quindi, da un lato, stiamo portando avanti un lavoro di approfondimento; dall'altro, un lavoro di proposta. Questa è una delle proposte che abbiamo sottoscritto con le firme dei rappresentanti di tutti i gruppi politici.
Il collega Morassut ricordava la proposta che lui ha presentato, anche questa oggetto di analisi e di approfondimento in Commissione, ma sui vari provvedimenti stiamo inserendo delle osservazioni e degli spunti che nascono dalla Commissione, stiamo tentando di lasciare un segno trasversale sui tanti provvedimenti che in questi mesi si stanno elaborando e che, ovviamente, riguardano anche le periferie. Mercoledì avremo un altro incontro importante relativo alla possibilità di un'iniziativa legata all'assegnazione degli spazi pubblici al Terzo settore, stiamo approfondendo le tematiche della videosorveglianza, della Polizia locale e anche iniziative - come dire - in ambiti meno classici, come il Premio Strega Giovani, che nasce dalla nostra Commissione.
Una iniziativa del 2024: per la prima volta, grazie a una sinergia, Presidente, che abbiamo attuato con la Fondazione Bellonci e con Enel Cuore, nel 2024 il Premio Strega Giovani è stato trasferito da luoghi istituzionali - generalmente la cerimonia finale si teneva alla Camera - al teatro di Tor Bella Monaca. Noi, come Commissione, eravamo presenti, e tra l'altro - una cosa molto bella - sono stati avviati dei percorsi che porteranno in tutto l'anno, a partire da settembre, a laboratori di scrittura, a laboratori di lettura, che per questo primo anno riguarderanno le aree di Tor Bella Monaca e di Caivano. L'obiettivo è quello di estendere questo tipo di percorso ad altre periferie del nostro Paese.
Però, dicevo, analisi, proposta e il terzo aspetto è quello della presenza sul territorio. Quindi siamo stati in vari quartieri di Roma, domani saremo impegnati anche nell'area di Villaggio Falcone, del Prenestino, siamo già stati a Ostia, al Quadraro, a Tor Bella Monaca, a Quarticciolo, a San Basilio, a Campo Romano, nei beni sequestrati ai Casamonica, ma, ovviamente, vogliamo andare in tutte le città metropolitane, lo abbiamo deciso insieme in ufficio di presidenza. Siamo già stati a Napoli, quindi a Scampia e Caivano, a Bari, a Catania, a Genova, abbiamo in agenda, nelle prossime settimane, di andare a Palermo. Ebbene, che ci chiedono i cittadini quando ci rechiamo in queste aree? Ci chiedono, innanzitutto, una vicinanza dello Stato, che per tanti, troppi anni è stato percepito come lontano.
In molti posti si sono create delle micro-città nelle città, degli ambiti di parastato con regole, meccanismi, sistemi e prassi autonome. Le istituzioni, in questi anni, non hanno certo brillato per presenza in molte di queste aree periferiche, in tutto il Paese, e molto spesso l'unico rappresentante delle istituzioni è stato, magari, il prete di frontiera, che ha tenuto aperto l'oratorio, rischiando e togliendo, però, manodopera alla criminalità, o il valoroso comandante della scalcinata stazione dei Carabinieri e i suoi uomini e le sue donne in missione, l'audacia associazione di quartiere oppure la coraggiosa preside che lotta per tenere aperta la sua scuola.
Lo Stato deve tornare, non devono più esistere - come è stato detto anche dalla Premier - zone franche. Quindi ci richiedono una vicinanza, una presenza dello Stato. La seconda cosa che ci viene richiesta è quella della normalità, vogliono avere delle condizioni di sicurezza normali, delle condizioni di decoro, mezzi di trasporto normali, cura del verde pubblico normale, impiantistica sportiva, servizi scolastici, offerta culturale normale, non da cittadini di serie B o C o D o E o F o Z, come è spesso accaduto. La terza cosa - e vado verso la conclusione - che ci richiedono è quella di dare continuità a questa attenzione che è nata rispetto alle periferie.
Quindi, interventi, iniziative e percorsi strutturali, una risposta complessiva. Questa proposta si inserisce proprio in questo contesto, con una giornata dedicata a valorizzare le peculiarità presenti nelle periferie, a parlare delle tante, tantissime criticità ancora oggi presenti, ma anche a valorizzare e a far conoscere le tante storie di successo e i tanti modelli di intervento che hanno avuto successo in questi anni. Perché - lo dico per l'esperienza di questi mesi - noi, nelle periferie, abbiamo anche trovato tanta passione, tanta vitalità, tanta originalità, come quella dei bambini, dei ragazzi e degli studenti che ci hanno dato il benvenuto nella scuola dell'Albuccione, qualche giorno fa.
Abbiamo trovato la vivacità che ci ha accolto, per esempio, nell'oratorio salesiano a Librino, che è considerato uno dei quartieri più problematici d'Italia. Abbiamo trovato colorata energia, abbiamo trovato dinamismo, abbiamo trovato effervescenza, abbiamo trovato cuore. Le periferie italiane, che stiamo scoprendo sempre di più, sono quelle che Renzo Piano ha chiamato fabbriche di idee. Quindi, questa proposta, Presidente - e concludo -, è il tassello di un mosaico più ampio e più complesso. Quello che riscontriamo sono anche gli occhi delle persone con le quali parliamo e in cui è rinata una certa fiducia nello Stato.
Il compito della politica deve essere quello di dare risposte e di non deludere questa luce di speranza, come sta accadendo anche a Caivano, perché quel centro, Delphinia, che, per esempio, è stato teatro di orrori indescrivibili, è oggi un centro sportivo gestito in sinergia con le Fiamme Oro e rappresenta un punto di eccellenza e un presidio di legalità. Dunque, questa proposta si inserisce anche in quell'auspicio, fatto da Papa Francesco, per fare in modo che le periferie siano l'inizio e non la fine delle città (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sbardella. Ne ha facoltà.
LUCA SBARDELLA (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge del collega Battilocchio, che propone di istituire la Giornata nazionale delle periferie, raccoglie anche il consenso del gruppo Fratelli d'Italia. In Italia ci sono innumerevoli periferie che attendono da troppi anni interventi per contrastare il degrado sociale, economico e culturale, anche attraverso il miglioramento delle strutture destinate alla convivenza civile e, molto spesso, carenti anche dei servizi più semplici, come quelli di trasporto, per renderle meglio collegate ai centri urbani vicini.
Interi quartieri costituiti da enormi e anonimi palazzi, costruiti ravvicinati, che hanno bisogno di importanti interventi di riqualificazione. In alcuni casi, sarebbe addirittura il caso di abbattere questi mostri e ricostruire con sistemi più a misura d'uomo. La rigenerazione delle nostre città deve, infatti, necessariamente guardare al futuro attraverso due fondamentali direttrici: la qualità della vita dei cittadini e la riqualificazione urbana senza consumo di altro suolo. Gli esempi, anche a livello internazionale, non mancano.
Il superamento dell'edilizia di ispirazione massimalista può e deve trovare una nuova dimensione sociale attraverso il ritorno dei rapporti di vicinato, di una proprietà privata diffusa e sostenibile, di infrastrutture realmente capaci di connettere e interconnettere il centro alle periferie, e, attraverso questo, le città alle campagne. Le periferie rappresentano, infatti, il luogo di congiunzione con il mondo extraurbano, dove si rischia lo spopolamento e, con esso, l'irreversibile riduzione dei servizi a disposizione delle comunità locali.
Certo, la semplice istituzione della Giornata nazionale non risolverà il problema, ma servirà ad avere, ogni anno, un'occasione per sensibilizzare la popolazione e mobilitare tutti gli enti locali, le associazioni e gli enti del Terzo settore, così come individuati dall'articolo 4 del relativo codice.
Un'occasione per sollevare il velo di indifferenza che opprime queste zone, per inventare occasioni per sottrarre i giovani che ci vivono, ai quali, se non si danno occasioni di emancipazione, rimarranno intrappolati in situazioni che portano spesso a tragici epiloghi.
Tali attività, che devono essere finalizzate anche a valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico delle periferie urbane e a promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale delle aree periferiche degradate, possono essere un segnale importante in questa direzione. Fondamentale sarà potenziare anche la presenza delle Forze di polizia, con l'obiettivo di prevenire e reprimere la diffusione della malavita organizzata, tornando quindi ad un controllo capillare del territorio da parte dello Stato.
Nelle periferie, molto spesso, non mancano le strutture, ma mancano le iniziative per valorizzarle e per creare quei momenti di aggregazione e di integrazione sociale, a partire da una vera e significativa valorizzazione delle realtà sociali presenti.
Occorre, inoltre, favorire la conoscenza dei più efficaci modelli di intervento e la diffusione delle migliori pratiche. Fare rete, quindi, attraverso uno scambio di buone pratiche che può certamente contribuire ad un miglioramento sostanziale nella programmazione degli interventi pubblici, nella loro efficacia e nella loro effettiva pubblica utilità.
Meritevole la previsione dell'articolo 3, che prevede che la RAI, in ottemperanza al contratto di servizio, dedichi adeguati spazi ai temi connessi al tema delle periferie nell'ambito della programmazione televisiva pubblica. Lo sottolineo, anche da componente della Commissione di vigilanza, proprio perché far conoscere le tante eccellenze che si trovano all'interno delle periferie e valorizzarne il ruolo sociale, culturale e pedagogico rappresenta una declinazione giusta e doverosa del servizio pubblico. Un impegno che - sono certo - potrà anche liberare nuove energie e far emergere quella creatività, soprattutto giovanile, che può essere un virtuoso punto di inizio per parlare delle periferie con un linguaggio nuovo, con una ritrovata attenzione e con una visione lungimirante.
La data prescelta della proposta del collega Battilocchio è molto significativa. È la ricorrenza di un evento emblematico in quanto a degrado riferito alle periferie: quel giorno, nel 2014, è accaduto un fatto abominevole in una delle periferie più degradate d'Italia. Al Parco Verde di Caivano, nell'hinterland napoletano, venne uccisa Fortuna Loffredo. Sempre a Caivano, nel settembre 2023, avvenne un altro fatto atroce di cronaca, con vittime due cuginette di poco più di dieci anni.
Il Governo Meloni non ha perso tempo. In risposta a questo ennesimo orrore, adottò immediatamente un decreto-legge che, con un pacchetto di misure urgenti, intervenne immediatamente.
Di pochi giorni fa, il primo risultato evidente: è stato inaugurato il nuovo centro sportivo “Delphinia”, che sarà gestito insieme alle Fiamme Oro. Sì, perché lo sport è uno degli strumenti che, più di tutti, può sottrarre i giovani ad un destino di degrado sociale e morale.
Sempre nei giorni scorsi, sono iniziate le attività formative realizzate in collaborazione con il Piccolo Coro dell'Antoniano, un'eccellenza nazionale che si mette al servizio dei bambini del territorio per aiutarli a esprimere le proprie passioni e le proprie speranze.
Consentitemi, sul tema di Caivano, di mandare un sentito messaggio di vicinanza e gratitudine ad una persona straordinaria, don Maurizio Patriciello. Le ultime minacce non lo fermeranno e - sono certo - tutti coloro che credono nella legalità e nello Stato di diritto saranno al suo fianco senza se e senza ma.
Caivano rappresenta, da questo punto di vista, un esempio di come si può intervenire se tutte le istituzioni sono in grado di fare la propria parte. Lo sottolineo perché, purtroppo, oggi ci sono tante altre realtà urbane dove la marginalizzazione e la capacità di penetrazione delle mafie mettono a rischio la convivenza sociale e il bene comune. Penso a Roma, dove alcune borgate non fanno quasi più notizia quando si parla di lotta allo spaccio e alla criminalità; penso alle troppe realtà dove i giovani sono lasciati troppo soli ad affrontare una quotidianità difficile e pericolosa.
Sono orgoglioso - lo voglio sottolineare con forza - di rappresentare un partito che, non solo non ha mai abbandonato le periferie, ma rappresenta in tante realtà quel radicamento territoriale e quella presenza proattiva che possono essere un elemento concreto sul quale costruire un futuro di nuove progettazioni, investimenti mirati e politiche virtuose.
Il nostro sostegno a questa proposta non è, quindi, né di comodo né di facciata; è un sostegno convinto che trova continuità negli sforzi messi in campo, ogni giorno, dal Governo Meloni e dall'attività volontaristica che tanti iscritti e militanti di Fratelli d'Italia - giovani e meno giovani - pongono in essere, ogni giorno, anche e soprattutto fuori dalle zone ZTL (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 1737-A)
PRESIDENTE. Il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Interventi di fine seduta.
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Paolo Emilio Russo. Ne ha facoltà.
PAOLO EMILIO RUSSO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, ho chiesto la parola per esprimere solidarietà, a nome mio, del mio gruppo di Forza Italia e, ritengo, di tutto il Parlamento, ai familiari, a coloro che gli furono amici e a tutta la comunità politica che si ispira alle idee di Enrico Berlinguer.
La profanazione di una tomba non è un atto politico e nemmeno una bravata ma è una follia inaccettabile, quanto di più disumano possa accadere in un Paese libero e democratico come è il nostro.
Abbiamo celebrato, proprio pochi giorni fa in un clima di rispetto e di massima condivisione in quest'Aula dove ha seduto a lungo, i 40 anni dalla sua scomparsa. Abbiamo rimpianto le capacità e celebrato l'attualità delle idee di Enrico Berlinguer e lo abbiamo fatto ciascuno con la propria sensibilità e con le proprie idee. La critica non deve e non può mai mischiarsi con la violenza o, peggio, con ciò che oggi hanno denunciato i figli di Enrico Berlinguer, con il terzo atto vandalico in due mesi sulla tomba.
Oggi, con quello stesso spirito di una settimana fa, censuriamo quanto sta accadendo e siamo certi, conoscendo la loro sensibilità, che le autorità preposte alla sicurezza e al controllo del territorio assicureranno i colpevoli alla pena che meritano e creeranno le condizioni perché queste profanazioni non possano più avvenire (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sbardella. Ne ha facoltà.
LUCA SBARDELLA (FDI). Signor Presidente, ho chiesto la parola per ricordare la figura di Matteo Tatarella, morto questa mattina a 84 anni. Matteo Tatarella era il fratello di Pinuccio e di Salvatore Tatarella, il primo fondatore del centrodestra, più volte Ministro e capogruppo qui alla Camera, e il secondo, Salvatore, deputato ed europarlamentare.
Matteo Tatarella era un giornalista e un editore di grande talento. Le sue molteplici iniziative editoriali, iniziate già negli anni Settanta, hanno lasciato un segno indelebile nella struttura editoriale italiana. Giungano alla sua famiglia le più sentite condoglianze del gruppo di Fratelli d'Italia e di noi tutti (Applausi).
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 18 giugno 2024 - Ore 10,30:
1. Svolgimento di una interrogazione .
(ore 14)
2. Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 maggio 2024, n. 61, recante disposizioni urgenti in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, personale militare e civile del Ministero della difesa e operatività delle Forze armate. (C. 1854-A)
Relatore: BICCHIELLI.
3. Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 615 - Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (Approvato dal Senato). (C. 1665)
Relatori: URZÌ, PAOLO EMILIO RUSSO e STEFANI, per la maggioranza; TONI RICCIARDI, di minoranza.
4. Seguito della discussione della proposta di legge:
FURFARO ed altri: Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora. (C. 433-A)
e dell'abbinata proposta di legge: SPORTIELLO. (C. 555)
Relatore: FURFARO.
5. Seguito della discussione delle mozioni Ilaria Fontana ed altri n. 1-00276, Bonelli ed altri n. 1-00294 e Squeri, Mattia, Zinzi, Cavo ed altri n. 1-00295 concernenti iniziative in merito al Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), con particolare riferimento al relativo aggiornamento in coerenza con gli obiettivi di decarbonizzazione .
6. Seguito della discussione della proposta di legge:
SCHLEIN ed altri: Disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio sanitario nazionale in attuazione dei princìpi di universalità, eguaglianza ed equità. (C. 1741-A)
e delle abbinate proposte di legge: SPERANZA ed altri; CONSIGLIO REGIONALE DEL PIEMONTE; CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA ROMAGNA; CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA; CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; QUARTINI ed altri; BONETTI ed altri; ZANELLA ed altri. (C. 503-1533-1545-1608-1626-1712-1846-1850-1865)
Relatori: LOIZZO, per la maggioranza; FURFARO, di minoranza.
7. Seguito della discussione della proposta di legge:
BATTILOCCHIO ed altri: Istituzione della Giornata nazionale delle periferie urbane. (C. 1737-A)
Relatore: PAOLO EMILIO RUSSO.
La seduta termina alle 17,40.