XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 356 di venerdì 27 settembre 2024

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 9,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

GILDA SPORTIELLO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 83, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interpellanze urgenti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative finalizzate ad affrontare la carenza di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco - n. 2-00438)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Auriemma e altri n. 2-00438 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Auriemma se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie, Presidente. Brevemente: l'interpellanza vuole aprire un focus su un'emergenza che riguarda un fiore all'occhiello del nostro Paese e di cui tutti andiamo fieri, senza distinzioni di partito, cioè, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Questo - ormai da anni - soffre di una carenza strutturale di mezzi e di personale, nonché per l'inadeguatezza delle tecnologie. Per quanto riguarda il personale, in particolare, vi è carenza di autisti, che sono veramente ridotti all'osso. Anche se attualmente il Ministero ha previsto un concorso per l'assunzione di 350 unità, riteniamo che questo numero non sia sufficiente. Basta guardare la carenza di personale: solo per la regione Lazio, per esempio, si parla di 700 unità di vigili in meno e di 150 autisti in meno.

Sappiamo che tra qualche mese Roma, insieme a tutta la regione, dovrà affrontare il Giubileo e, perciò, siamo preoccupatissimi per questa mancanza di organico, di autisti e di mezzi. Quindi, abbiamo interpellato il Ministro per capire se ha intenzione di adottare degli interventi straordinari.

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato per l'Interno, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, in relazione a quanto evidenziato dagli onorevoli interpellanti, voglio preliminarmente assicurare che il Ministero dell'Interno è impegnato in tre macro-priorità: il potenziamento e la valorizzazione delle risorse umane del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, l'efficientamento organizzativo e l'ammodernamento delle risorse strumentali.

Rammento che, già con la legge di bilancio per il 2023, sono state reperite significative risorse finanziarie per le assunzioni delle Forze di polizia e del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che hanno consentito l'istituzione di uno specifico fondo, con una dotazione di 90 milioni di euro per l'anno in corso, di 95 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e di ulteriori somme progressivamente incrementate negli anni, fino a superare i 125 milioni di euro annui a decorrere dal 2033.

Diversi sono stati poi gli interventi normativi del Governo che hanno autorizzato assunzioni straordinarie, sia a titolo di ripianamento che di potenziamento dell'organico, con riferimento, non soltanto al personale operativo, ma anche a quello tecnico-professionale. Penso alle specifiche disposizioni contenute nel decreto-legge n. 13 del 2023 sul PNRR, a quelle del decreto n. 44 del 2023 sul rafforzamento della pubblica amministrazione e, ancora, al decreto n. 69 del 2023, cosiddetto Salva-infrazioni. Aggiungo che il Corpo nazionale, per l'anno in corso, ha facoltà assunzionali per circa 2.500 unità, che saranno impiegate a seguito dello scorrimento di graduatorie e a conclusione di procedure concorsuali già espletate; mentre, per l'assunzione di ulteriori 1.404 unità, si è in attesa della prevista autorizzazione da parte del Dipartimento della funzione pubblica.

Alle sedi che registrano una maggiore carenza a breve verranno assegnati circa 400 allievi Vigili del fuoco che hanno terminato il 98° corso di formazione, e informo che è già in corso di svolgimento il 99° corso, dedicato a 800 allievi, la cui conclusione è prevista per il prossimo marzo. Prosegue, dunque, costantemente l'attuazione della programmazione relativa sia all'attività formativa che all'immissione di nuove unità negli organici. Lo scorso mese di giugno è stato, infatti, bandito un nuovo concorso pubblico per titoli ed esami a 350 posti per l'accesso alla qualifica di Vigile del fuoco, a cui possono partecipare candidati di età inferiore ai 26 anni. Tale misura, oltre a ridurre le carenze di organico del Corpo nazionale, consentirà di incidere, attenuandolo parzialmente, sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio.

Segnalo che è stato previsto un potenziamento degli organici riguardanti i diversi ruoli del Corpo nazionale di circa 1.700 unità, di cui per più di 1.200, relative all'annualità 2023, già è stata decretata la distribuzione.

In merito all'asserita carenza di autisti rappresentata nell'interpellanza, preciso che nell'ordinamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non è prevista tale qualifica; peraltro, i corsi per l'abilitazione alla guida dei veicoli di soccorso pesanti sono espletati presso le sedi territoriali. Sono comunque allo studio misure di rafforzamento del personale abilitato alla guida per far fronte alle difficoltà di alcuni comandi che si riscontrano da diversi anni.

Sul versante delle risorse strumentali, il Ministero dell'Interno sta effettuando una serie di investimenti e di acquisti di notevole rilevanza, sia nel settore dei mezzi che in quello della digitalizzazione e, più in generale, nell'innovazione tecnologica. In particolare, attraverso specifici fondi del PNRR, sono in fase esecutiva i contratti di fornitura di circa 3.500 veicoli elettrici per servizi d'istituto e di 360 automezzi pesanti alimentati a biocombustibili.

Come accennato, gli investimenti effettuati negli ultimi anni mirano a potenziare il parco mezzi e le attrezzature in dotazione al Corpo nazionale, in modo da ridurre l'età media del contingente di mezzi in servizio operativo. Con specifico riferimento ai mezzi di soccorso, solo nel corrente anno sono stati già sottoscritti impegni contrattuali, relativi ai nuovi automezzi, per un importo pari a 84 milioni di euro. In particolare, segnalerei l'acquisto e la consegna recente ai comandi di 60 autoscale e 30 piattaforme aeree, per un investimento pari a 50 milioni di euro, oltre al rafforzamento della flotta aerea, con l'acquisto di 18 elicotteri per il soccorso e antincendio, per un investimento pari a circa 300 milioni di euro, nonché, recentemente, 2 Canadair acquistati anche con fondi europei.

Sono stati avviati anche una serie di interventi mirati a potenziare le dotazioni informatiche e di telecomunicazione delle articolazioni centrali e territoriali, con l'obiettivo di rendere ancora più performante la missione istituzionale del soccorso tecnico urgente espletata dal Corpo nazionale.

Una particolare attenzione è stata altresì rivolta anche alla programmazione degli interventi connessi alle prossime celebrazioni del Giubileo della Chiesa cattolica. Si sta, infatti, procedendo a uno specifico potenziamento delle dotazioni tecnologiche e strumentali funzionali al dispositivo di soccorso straordinario degli eventi giubilari, con particolare riguardo al comando provinciale di Roma, considerate le maggiori esigenze di gestione e coordinamento delle squadre dei Vigili del fuoco presso le varie sale operative, sale crisi e sale di decisione delle strutture operative territoriali direttamente interessate per competenza.

Credo che il quadro dell'iniziativa illustrato testimoni la particolare attenzione dedicata alle esigenze del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e il Governo non mancherà di proseguire su questa strada, sulle linee di intervento già tracciate per assicurare standard qualitativi sempre più elevati nell'attività di soccorso pubblico e innalzare i livelli di sicurezza degli operatori.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla deputata Auriemma, colgo l'occasione per salutare gli alunni e gli insegnanti dell'Istituto tecnico economico Macedonio Melloni, di Parma, che sono qui ad assistere ai nostri lavori (Applausi). Preciso che oggi sono previste soltanto le interpellanze, non ci sono votazioni, oltre alla discussione generale, e sono presenti in Aula, da parte del Governo, la Sottosegretaria Ferro, per ora, e poi i deputati e le deputate interessate. L'onorevole Auriemma ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie, Presidente. Io ringrazio la Sottosegretaria. Apprendiamo una particolare attenzione per il Corpo dei vigili del fuoco, anche se dobbiamo specificare che, soprattutto con riferimento ai concorsi e alle assunzioni che lei ha riferito in quest'Aula, gli stessi riguardano, appunto, finanziamenti stanziati nella scorsa legislatura. Quindi, si sta dando seguito a una programmazione della scorsa legislatura. Quello che, però, mi preme evidenziare è che, se è pur vero che non è prevista una figura specifica per gli autisti, ricordo che l'ultimo corso per la preparazione per autisti, è risalente agli anni Novanta, quindi è evidente che c'è una carenza organica, ormai cronica di autisti; come, per esempio, adesso a Napoli: non è assicurato il secondo autista, quando escono i mezzi di soccorso, così come è difficile garantire la presenza di più di tre o quattro autisti nelle sedi distaccate della Campania.

Quindi, è evidente che questa figura deve essere estremamente rinforzata. Faccio presente che la scarsità di personale viene attualmente coperta, dal Corpo nazionale, con gli straordinari. Questo porta i nostri Vigili del fuoco a subire ore estenuanti di servizio, senza una programmazione, dove lo straordinario è diventato ordinario. E c'è una questione anche di sicurezza, di sicurezza perché è evidente che, quando un Vigile conduce un mezzo di soccorso ed è già, diciamo, oltre le ore di servizio, ciò incide sulla stanchezza, sulla capacità di avere, appunto, una capacità piena, ricognitiva piena, e pertanto è evidente che tutto questo si ripercuote anche su un discorso di sicurezza del lavoratore. Inoltre, c'è un altro aspetto che dobbiamo sottolineare: il demansionamento che, molto spesso, i Vigili sono costretti a subire, proprio per garantire al massimo la copertura del soccorso e, quindi, garantire la presenza di autisti. Se un caposquadra è costretto ad assumere le funzioni di autista, perché non c'è, in quel momento, nell'intervento, è evidente che questo è un demansionamento; se questo demansionamento arriva a essere sistematico e prolungato, perché non c'è l'organico - siamo contenti che ci sia un'attenzione particolare per quanto riguarda la regione Lazio, sul Giubileo, ma io ricordo che mancano, ad oggi, 700 unità per la regione Lazio, mancano 150 autisti -, se un caposquadra è costretto, per garantire il soccorso a tutti noi, ad assumere le funzioni di autista, pur non essendo in quel ruolo, è un evidente demansionamento. Se questo demansionamento viene protratto perché lo straordinario diventa ordinario, è evidente che, con questo, si va a rendere, appunto, un livello inferiore al caposquadra, con gravi ripercussioni anche da un punto di vista - come abbiamo detto - di sicurezza.

Preciso, inoltre, che l'allarme lanciato dai sindacati e molto chiaro: mancano 4.000 operativi e 2.500 amministrativi. Questo significa che se, entro il 2030, non riusciamo a rafforzare, con nuovo personale e con nuovi mezzi tecnologici, il nostro Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si rischia - questo è l'allarme, appunto, di tutti i sindacati - che non si riesca a coprire l'intero territorio, limitando gli interventi di soccorso soltanto alle città metropolitane.

Concludo ricordando che, poche settimane fa, purtroppo è venuto a mancare un altro Vigile del fuoco, Ciccorelli Antonio, nel Foggiano. È importante che noi ci occupiamo dei Vigili del fuoco non soltanto quando, appunto, ci sono catastrofi naturali, quando ci sono emergenze nazionali, ma tutti i giorni dobbiamo lavorare affinché il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è un orgoglio per tutti noi, abbia i mezzi, gli strumenti e la tutela giusta che ogni lavoratore deve avere nel nostro Paese.

(Iniziative in materia di rafforzamento della strategia di prevenzione e immunizzazione dei bambini contro la bronchiolite, anche con riguardo alla necessità di evitare divari territoriali nella somministrazione dell'anticorpo monoclonale - n. 2-00437)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Sportiello ed altri n. 2-00437 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Sportiello se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

GILDA SPORTIELLO (M5S). Illustro, grazie, Presidente. Oggi sono qui, in quest'Aula, perché, nelle scorse settimane, negli scorsi giorni, una notizia ha destato allarme, e anche sdegno, mi lasci dire. La bronchiolite, che è un'infezione molto diffusa tra i bambini sotto i 5 anni e particolarmente pericolosa sotto l'anno di età, crea una diffusa preoccupazione perché, soltanto nel 2023 - così come ha denunciato la Società italiana di neonatologia -, i ricoveri di bambini e bambine per bronchiolite sono stati 15.000, 3.000 in terapia intensiva, e ci sono stati, purtroppo, addirittura 16 decessi. Ricordo che parliamo di neonati, di bambini piccolissimi.

Nel 2022, in Europa, è stato autorizzato l'utilizzo di un anticorpo monoclonale, che serve proprio a combattere la bronchiolite, a prevenirla, tant'è che ha prodotto risultati così importanti da ridurre dell'80 per cento i ricoveri ospedalieri, e vi ho detto i numeri. Una riduzione dell'80 per cento: pensate quanta efficacia ha questo anticorpo. Ebbene, il 18 settembre, il Ministero della Salute ha emanato una circolare in cui comunica alle regioni che questo farmaco non è a carico del Servizio sanitario nazionale e che le regioni potranno provvedere con i propri bilanci.

Quale è la conseguenza? Essendo considerato un extra-LEA, perché così ha stabilito l'Aifa, inserendolo nella fascia dei farmaci che non sono a carico del Servizio sanitario nazionale, le regioni in rientro dal disavanzo sanitario devono fare i conti con il fatto di non poter garantire questo farmaco. Chiedo, dunque, al Governo come intenda risolvere questa situazione e mi auguro di ricevere una risposta soddisfacente. Sottolineo che mi dispiace moltissimo che qui non ci sia il Ministero competente, perché su una materia del genere, quantomeno, l'attenzione di venire in Aula a rispondere non a me, ma al Paese, sarebbe stata cosa dignitosa.

PRESIDENTE. La Sottosegretario di Stato, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Ringrazio gli onorevoli interpellanti, che mi consentono di illustrare le azioni intraprese per contrastare la diffusione del virus dell'influenza e il virus respiratorio sinciziale. Devo, al riguardo, prioritariamente ricordare che il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e l'Ufficio regionale per l'Europa dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel 2022, hanno convenuto sull'urgente necessità di sviluppare e sostenere in Europa un sistema di sorveglianza integrata per l'influenza di SARS-CoV-2 e altre infezioni da virus respiratori, come il RSV.

Pertanto, è stato sviluppato congiuntamente l'European Respiratory Virus Surveillance Summary, un dashboard di dati di sorveglianza interattivo, quale strumento per la rilevazione precoce e la comunicazione dei segnali di circolazione dei virus respiratori nell'UE/SEE e nella regione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità.

In Italia, già a partire dalla stagione 2019-2020, la sorveglianza per il RSV è stata condotta attraverso il Sistema di sorveglianza integrata (epidemiologica e virologica) dei casi di sindromi simil-influenzali e dei virus respiratori, denominata RespiVirNet, che si basa sulle segnalazioni dei medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e laboratori di riferimento regionale per i virus respiratori ed è coordinata dall'Istituto superiore di sanità, con il sostegno del Ministero della Salute.

Attraverso il suddetto sistema RespiVirNet è risultato che, nella stagione 2022-2023, nei bambini al di sotto dei 2 anni di età, la proporzione del RSV era del 49,1 per cento rispetto agli altri virus respiratori riscontrati nei campioni analizzati. Una ricerca, finanziata da un progetto CCM del Ministero della Salute, ha analizzato i casi ospedalizzati per bronchiolite nelle stagioni pre-pandemiche, durante e dopo la pandemia, utilizzando i dati della piattaforma di sorveglianza RespiVirNet dell'Istituto superiore di sanità. I risultati hanno dimostrato che, nell'autunno 2021 e nella stagione 2022-2023, si è verificato un numero di ospedalizzazioni per bronchiolite da RSV quasi doppio rispetto ai periodi pre-pandemici, probabilmente per effetto dell'allentamento delle misure di contenimento del virus.

Ciò considerato, con la nota circolare del 27 marzo 2024, indirizzata agli assessorati alla sanità, il Ministero della Salute ha individuato strategie di prevenzione per la gestione del virus, che rappresenta una priorità pubblica di sanità globale e prima causa di bronchiolite e, quindi, di ospedalizzazione dei bambini sotto l'anno di vita, di infezioni respiratorie acute, di bronchite asmatica/asma nei bambini, adolescenti e giovani adulti, di riacutizzazione di BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) negli adulti e negli anziani e di polmonite interstiziale con sindrome da distress respiratorio acuto nell'anziano, soprattutto se in presenza di comorbidità (patologie polmonari croniche, cardiache croniche, cerebrovascolari, renali croniche e altre condizioni immunocompromettenti).

Per quanto riguarda il trattamento per prevenzione della malattia da VRS, devo far presente che, ad oggi, in Italia, risultano autorizzati due vaccini: AREXVY, ricombinante adiuvato, destinato agli adulti, e ABRYSVO, ricombinante bivalente, destinato sia agli adulti che alle donne in gravidanza. Inoltre, risultano autorizzati due anticorpi monoclonali e, precisamente: Palivizumab - non so se questa sia la giusta pronuncia -, destinato a nati pretermine e bambini ad alto rischio e Nirsevimab, destinato a neonati e bambini nella prima infanzia durante la loro prima stagione di VRS.

Al riguardo, ritengo doveroso segnalare che il Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni, nel mese di luglio, in relazione all'introduzione dell'immunizzazione contro il VRS in età neonatale, ha espresso il seguente parere: “Alla luce delle evidenze disponibili dell'impatto sulla riduzione dei ricoveri per bronchiolite e, più in generale, sulla riduzione del burden del virus respiratorio sinciziale soprattutto nei primi mesi di vita, esprime parere positivo per l'introduzione dell'anticorpo monoclonale nel calendario nazionale di immunizzazione con offerta attiva a tutti i nuovi nati. Le regioni stabiliranno le modalità operative di somministrazione e recupero anche per i nati al di fuori della stagione autunnale e invernale. Relativamente alla strategia di vaccinazione materna e dell'adulto, il NITAG si riserva di posticipare un parere quando saranno disponibili ulteriori evidenze rispetto a quelle attualmente disponibili”.

Nelle more delle valutazioni sull'ipotesi di implementazione di un piano di immunizzazione che integri l'utilizzo degli anticorpi monoclonali in affiancamento alle opzioni vaccinali, che inevitabilmente richiederà tempi prolungati per l'effettiva adozione, al fine di assicurare omogeneità dei trattamenti di prevenzione sopra richiamati su tutto il territorio nazionale, il Ministero ha formalizzato ad Aifa la richiesta di passaggio degli anticorpi monoclonali autorizzati dalla classe C (a carico dei pazienti) alla classe A-PHT (rimborsati dal Servizio sanitario nazionale).

Qualora non si ravvisassero le condizioni per poter garantire tempestivamente il cambio di classe, comunque è già stato previsto un programma pilota, con adeguate risorse, che renderà fruibile gratuitamente il farmaco, in esito al quale il Ministero valuterà le strategie per assicurarne la disponibilità ai cittadini in modo assiduo e continuativo.

PRESIDENTE. La deputata Sportiello ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

GILDA SPORTIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Allora, ricapitoliamo: io oggi ho chiesto in quest'Aula cosa intendesse fare il Governo - che il 18 settembre ha inviato alle regioni una circolare relativa all'ultimo anticorpo monoclonale approvato per prevenire la bronchiolite, che causa 15.000 ricoveri nel nostro Paese, nel 2023 abbiamo registrato ricoveri di bambini molto piccoli sotto l'anno e sotto i 5 anni, 3.000 terapie intensive, addirittura abbiamo registrato l'anno scorso 16 decessi - per garantire a tutte le regioni di poter erogare questo anticorpo monoclonale a tutti i bambini e a tutte le bambine, senza alcuna differenza. Perché il 18 settembre, in realtà, il Ministero ha detto: guardate questo anticorpo monoclonale non fa parte del piano vaccinale, è un extra-LEA, per cui le regioni in rientro dal disavanzo sanitario non possono garantire l'erogazione di questo anticorpo monoclonale, che serve a salvare bambini e bambine.

Ora, è dal 2023 che c'è questo allarme, non nasce il 18 settembre con la circolare del Ministro. Quella del 18 settembre è stata la circolare che ha scatenato veramente sdegno profondo in tutte e tutti, perché tutto possiamo immaginare, e purtroppo ci state anche un po' abituando all'inimmaginabile, ma che si faccia addirittura una differenza sulle cure che si somministrano a neonati non lo possiamo francamente accettare.

Dallo sdegno che quella circolare ha dimostrato, il 19 settembre, il giorno dopo, il Ministero che cosa fa? Fa un'altra circolare e dice: guardate adesso chiediamo ad Aifa di spostare il farmaco e renderlo a carico del Servizio sanitario nazionale, il giorno dopo, motivando questa scelta perché effettivamente c'è un problema di cui forse non si era accorto. In 24 ore, il Ministero si è accorto che esisteva un problema: dal 18 settembre al 19 settembre è cambiato il mondo per il Ministero.

Nel frattempo, io vorrei sottolineare che questa richiesta è un po' tardiva. Se nessuno se ne fosse accorto, siamo già nella stagione delle influenze, è già tardi. E oggi il Governo ci viene a dire che si sta capendo, si sta guardando, qualora se ne ravvisassero le condizioni, per somministrare a tutte le regioni questo farmaco, per spostarlo, per renderlo a carico del Servizio sanitario nazionale. Signori, siamo a ottobre, domani è ottobre e noi dobbiamo aspettare di capire se questa è una priorità o un'emergenza per il Paese? Ma se non si investono le risorse su questo, scusate, ma dove le vogliamo mettere? Sulla salute, sui bambini. Ma io capisco che a voi non faccia specie perché è soltanto quello che accadrà, in maniera ancora più spinta, con l'autonomia differenziata. Perché è chiaro che quando il presidente della Lombardia Fontana, che di sicuro non è amico mio ma è amico vostro, denuncia, a microfoni aperti, e dichiara: noi abbiamo le risorse per questo anticorpo monoclonale - proprio parlando di autonomia differenziata -, qualcuno mi spiega perché non lo posso usare? E non si preoccupa neanche per un attimo che, nel suo stesso Paese, lo stesso farmaco non può essere somministrato a un bambino o a una bambina che ne avrebbe bisogno e che magari abita in Sicilia, in Calabria, in Campania, nel Lazio o in Molise. Ma che Paese vogliamo diventare, se neanche davanti a questo ci fermiamo a riflettere e a capire il baratro in cui ci state portando? Io davvero non so che cosa vi potrebbe fermare. Io mi auguro che domani, che è già tardi - domani però, non tra un mese, due mesi, tre mesi -, questo farmaco sia disponibile per tutte e tutti, perché ridurre dell'80 per cento, sottolineo, 80 per cento, i ricoveri di bambini e bambine che possono essere affetti da bronchiolite è un imperativo morale, ancora prima che politico, che abbiamo tutti quanti.

Io, allora, non mi dichiaro soddisfatta perché oggi il Ministero non ha soluzioni, se non previsioni, se non “forse”, eccetera, eccetera. Non mi dichiaro soddisfatta perché questo è soltanto un inizio di quello che ci toccherà vedere con l'autonomia differenziata, cioè diritti non garantiti per tutti, salute, istruzione e altri diritti fondamentali che saranno garantiti in base alla regione di nascita, di residenza, al caso. E allora, io non mi rassegno a un Paese che lascia indietro le persone, soprattutto quando si parla di diritti fondamentali. Se questo è il vostro disegno, io mi auguro che almeno riusciate a dormire sonni tranquilli.

(Intendimenti ed iniziative circa il riconoscimento della maschera di Pulcinella come patrimonio immateriale dell'UNESCO - n. 2-00439)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Auriemma ed altri n. 2-00439 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Auriemma se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie, Presidente. Questa interpellanza ha l'intenzione di riportare la cultura del nostro Paese a vette più alte rispetto a quelle a cui ci ha abituato ultimamente il Ministero della Cultura. Parte da un assunto incontrovertibile, che è la maschera di Pulcinella, la maschera più diffusa al mondo. Su questo assunto, nel 2016, la direzione “Unità Unesco” dell'allora Ministero dei Beni culturali ha avviato, a seguito della richiesta di un comitato presieduto dal professore Scafoglio, professore di antropologia all'Università di Salerno, la richiesta per il riconoscimento della maschera di Pulcinella come patrimonio immateriale dell'UNESCO.

Partiamo dal presupposto che è a partire dal 1610, l'anno in cui si individua la nascita della maschera di Pulcinella, anche se in realtà ci sono fonti che ritengono che sia precedente - intorno al 1300 -, che si è riscontrata una diffusione cosmopolita della maschera che ha portato, appunto, la maschera più famosa d'Italia in giro per l'Europa e per il Mediterraneo. Quindi, ne abbiamo delle rappresentazioni in Francia, in Russia, in Spagna, in Olanda, in Inghilterra, ma anche in Iran, in Grecia, in Sudafrica.

Pertanto, questo procedimento, che si era avviato poi nel 2016, si è interrotto nel 2021 e sembrerebbe essere ripreso ultimamente con una serie di incontri con il comitato promotore che ha, tra l'altro, proprio recentemente depositato anche una raccolta importante sulla storia di questa maschera. Quindi, noi chiediamo se il Ministero abbia intenzione di sostenere e supportare la candidatura della maschera di Pulcinella come patrimonio immateriale dell'UNESCO e, qualora appunto la risposta fosse positiva, quali iniziative intenda adottare a tal fine.

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente Rampelli. Gli onorevoli interpellanti chiedono quali iniziative il Ministro interpellato intenda assumere al fine di promuovere la tutela della maschera di Pulcinella, attraverso il processo di candidatura per l'iscrizione nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale UNESCO. Si rappresenta che, in data 21 giugno 2021, tale proposta di candidatura è stata acquisita dall'ufficio ministeriale preposto, a seguito di trasmissione da parte della Commissione nazionale italiana per l'UNESCO. Infatti, le proposte di candidatura vengono assegnate dalla Commissione Unesco al Ministero o ai Ministeri competenti per materia, affinché essi procedano ad attività istruttoria a partire dall'espressione di un preliminare parere di merito atto a validare l'eventuale prosieguo di candidatura e, dunque, in base al quale intraprendere coordinatamente le attività di competenza dell'amministrazione.

In data 7 settembre 2021, l'Ufficio UNESCO del Ministero della Cultura ha inviato ai proponenti un parere istruttorio con il quale, in ragione di criticità dettagliatamente evidenziate, faceva riserva dell'espressione definitiva del parere di merito positivo al prosieguo dell'attività istruttoria. In particolare, si rilevava l'opportunità di circostanziare ulteriormente le potenzialità della proposta a livello locale e nazionale, dando particolare rilievo al profilo della “partecipazione delle comunità, dei gruppi e degli individui” ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale; di specificare gli aspetti tematici connotativi della candidatura in senso comunitario; di approfondire eventuali ulteriori omologie esistenti con altre due maschere della commedia dell'arte, tra cui Zanni e Arlecchino, in ragione dell'assimilazione, sostenuta nella proposta, della maschera di Pulcinella alla categoria suddetta.

Tale analisi di approfondimento nel contesto nazionale italiano, anche tenuto conto delle aree culturali interregionali, veniva specificata essere fondamentale anche nella prospettiva di una potenziale candidatura multinazionale. In data 21 ottobre 2021 si è tenuta una riunione di confronto tra i proponenti e l'Ufficio UNESCO, il cui report di esito (inoltrato il 5 novembre 2021) specificava ulteriormente i rilievi tecnici già inviati nel settembre 2021.

In data 13 novembre 2023 si è svolto un nuovo incontro su richiesta del proponente “Comitato pro Pulcinella”, nell'ambito del quale i proponenti sono stati sollecitati nuovamente dall'Ufficio UNESCO ad approfondimenti documentali al fine di esplorare precise tematiche, rilevanti per una chiara definizione dell'elemento sia nel contesto nazionale che potenzialmente internazionale, come il legame della maschera di Pulcinella con la Commedia dell'arte, le connessioni multinazionali e i contenuti della specifica scheda dell'elemento “Maschera di Pulcinella”, che si è appreso essere stato iscritto nell'inventario regionale del patrimonio culturale immateriale della regione Campania. Tali suggerimenti sono stati trascritti, come nell'ottobre del 2021, nel riepilogo di sintesi inviato con e-mail al Comitato promotore nel medesimo giorno della riunione.

A seguito della riunione del novembre 2023, l'Ufficio UNESCO del Ministero della Cultura non ha avuto nessun'altra interlocuzione formale o informale con i proponenti. Tutto quanto premesso e riscontrato anche in pregressa corrispondenza, nonché sopra ulteriormente esplicitato, per rappresentare che dall'avvio formale della proposta istruttoria di candidatura (2021) ad oggi, l'Ufficio UNESCO non ha ricevuto alcuna altra documentazione, ivi di approfondimento dai soggetti proponenti.

Tale mancanza documentale non consente a tuttora di poter compiutamente verificare l'effettiva e possibile corrispondenza della proposta alla potenzialità di una candidatura di patrimonio culturale immateriale, così come prevista dai requisiti e dalle direttive operative UNESCO.

PRESIDENTE. La deputata Auriemma ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie, Presidente. Forse sono a conoscenza di altri incontri, forse sono incontri propedeutici a un'integrazione ufficiale dei rilievi fatti dal Ministero. Mi permetto solo di fare un passaggio su questa interpellanza, perché, a nostro parere, la maschera di Pulcinella merita di diventare patrimonio UNESCO per il suo profondo valore culturale, storico e sociale. La maschera di Pulcinella è una cosa molto seria, per una serie di ragioni. Infatti, Pulcinella, con il suo carattere ambiguo, rappresenta l'uomo comune; è una maschera molto popolare, rappresenta le debolezze e le furberie, e questo la rende una figura universalmente riconoscibile e senza tempo.

È necessario, quindi, tutelare la storicità di questa maschera. Voglio ricordare che la maschera di Pulcinella nasce intorno al 1600 e attraversa, per quattro secoli, ininterrottamente, la Commedia dell'arte; lo fa da protagonista, con importanti attori, con importanti firme del teatro, come Antonio Petito, ma anche Raffaele Viviani e De Filippo, e rappresenta, senza dubbio, un patrimonio culturale che va al di là dei confini territoriali, che non sono soltanto Napoli e la Campania. Come dimostrato dagli studi che già sono in atto, in questo momento, presso il Ministero, è una maschera diffusa in tutto il Mediterraneo e anche in Sudafrica.

La possibilità di riconoscere la maschera di Pulcinella come patrimonio immateriale dell'UNESCO ha, ovviamente, una ricaduta territoriale importante per un territorio che ha bisogno di progettualità e di visione. Voglio ricordare che si parla di una maschera che comporta anche tutta una serie di artigianalità che, attualmente, si trova già sul territorio e a cui, magari, il riconoscimento come patrimonio dell'UNESCO darebbe anche una maggiore garanzia di conservazione. Parliamo di tantissime attività diffuse sul territorio, attività museali, attività teatrali, che hanno necessariamente bisogno di una tutela maggiore e di un taglio internazionale.

Riconoscere la maschera di Pulcinella come patrimonio dell'UNESCO significa valorizzare, abbiamo detto, l'artigianalità locale, ma significa anche valorizzare tutta una serie di percorsi museali che già esistono sul territorio e che sono importanti. Voglio ricordare che ad Acerra, dove la tradizione vuol far risalire la nascita della maschera, c'è un museo di Pulcinella, che cerca di mantenere viva la conoscenza della maschera di Pulcinella. Ed è importante, quindi, iniziare questo percorso, che è già iniziato, in realtà, e che trova una battuta d'arresto procedurale.

Quindi mi auguro che il Ministero possa riattivare questo procedimento con il Comitato promotore, che si prenderà l'onere di fare questa integrazione documentale. Non è un caso che la più grande opera enciclopedica sulla maschera di Pulcinella sia scritta da un professore di antropologia, il professor Scafoglio, che è anche il presidente del Comitato. È importante, quindi, mantenere salda questa tradizione culturale, che, come ho detto, attraversa ben 4 secoli della nostra storia, ed è importante perché ha delle ripercussioni territoriali locali molto importanti. Mi permetto di portare all'interno di quest'Aula il fatto che dobbiamo avere anche una visione territoriale sulle realtà artigianali locali, che hanno bisogno di un sostegno dello Stato, di un sostegno e di un riconoscimento ufficiale, che il riconoscimento come patrimonio dell'UNESCO, inevitabilmente, attiverebbe, e sarebbe anche a tutela di un patrimonio culturale, storico e teatrale che fa parte della nostra cultura, non solo italiana, ma anche mediterranea.

(Iniziative volte a intervenire sull'efficientamento della governance della risorsa idrica sul territorio irpino, anche in considerazione dei cambiamenti climatici - n. 2-00440)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Toni Ricciardi ed altri n. 2-00440 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Toni Ricciardi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. La risposta è affermativa, prego.

TONI RICCIARDI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Sottosegretaria Ferro, questa richiesta di chiarimento o di linea al Governo nasce da un'emergenza alla quale tutte e tutti abbiamo assistito questa estate - in particolar modo, nelle regioni del Mezzogiorno, ma non solo del Mezzogiorno -, ma in realtà, Sottosegretaria, lei lo sa meglio di me, sono questioni che, ormai, ci toccano da più di qualche anno. L'oggetto della questione è l'Alto Calore Servizi Spa, una storia nata nel 1938, poi proseguita nell'immediato secondo dopoguerra.

Negli anni Sessanta l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno contribuì a portare un processo di civilizzazione, ossia l'acqua corrente nelle case anche in paesini sperduti dell'entroterra meridionale. Ed è anche una storia, per chi è credente, che lega anche uno dei santuari religiosi più noti del Mezzogiorno d'Italia, San Gerardo, la cui agiografia è legata a vicende che hanno a che fare con l'acqua e la qualità dell'acqua.

Fine della premessa, Sottosegretaria. Guarda caso, oggi - sembra una congiunzione astrale - noi discutiamo dell'importanza di una risorsa come l'acqua il giorno in cui parte il G7 proprio con l'agricoltura, e lei sa, e tutti sappiamo, quanto l'acqua sia di vitale importanza per l'agricoltura meridionale e non solo meridionale.

La questione qual è? La domanda nasce da un elemento, da una costatazione alla quale quei territori non sono mai stati abituati, cioè noi stiamo parlando del bacino idrografico più grande del Sud Europa, che fornisce acqua a più regioni e, soprattutto, la Puglia usufruisce - grazie alle opere infrastrutturali che sono state fatte negli anni, Pavoncelli, Pavoncelli-bis e quant'altro - di una risorsa e ha risolto un problema. Il problema, però, dove sta? Sta nel fatto che esattamente il luogo dal quale nasce l'acqua, dove c'è l'acqua, d'estate paradossalmente resta senza acqua. E, ovviamente, questo perché accade? Per il cambiamento climatico? La necessità che abbiamo di effettuare la transazione ecologica, che ancora tarda, in questo Paese? Indubbiamente sì, ma non è solo quello. L'elemento di discussione, Sottosegretaria, è che a un certo punto la funzione antropica o, se vuole, Sottosegretaria, l'insipienza della gestione politica ci porta a vivere condizioni paradossali. L'Alto Calore servizi, guardi, si occupa di 125 comuni, in provincia di Avellino e una piccola parte della provincia di Benevento, e ha tra i soci ovviamente anche le due province oltre le città capoluogo e quant'altro, però cosa è accaduto negli ultimi anni? È accaduto che grossa parte della risorsa idrica è stata affidata in gestione o in accordo ad Acquedotto pugliese, perché c'è, ovviamente, la necessità della Puglia. Il paradosso, Sottosegretaria, è che già da qualche estate, sa cosa accade? Accade che il comune A, gestito da Alto Calore servizi, a un certo punto d'estate, vive la crisi idrica, il comune B, limitrofo, non la vive perché gestito da Acquedotto pugliese. Quest'estate, Sottosegretaria, in un piccolo paesino noto alle cronache per essere collocato nella zona epicentrale del sisma dell'Ottanta, Conza della Campania, il sindaco, purtroppo, ha dovuto denunciare il fatto che tre quarti del proprio paese aveva l'acqua perché era gestita da Acquedotto pugliese - sempre della stessa acqua stiamo parlando - e una frazione del comune, che, per questioni logistiche, tecniche era agganciata ad Alto Calore servizi, non aveva l'acqua.

Allora, rispetto a tutto questo noi dovremmo interrogarci o, quantomeno, il Governo dovrebbe interrogarsi su cosa fare. Guardi, è meglio premetterlo, Sottosegretaria, Presidente: qui non si tratta di rivendicare la primazia, “prima gli irpini”, insomma, per storia, per cultura, per appartenenza politica, è pensiero tra il più lontano possibile che mi possa attraversare. Il problema è capire com'è possibile, dopo tanti anni, se non decenni, avere un luogo che è depositario della risorsa preziosa e che, però, viene gestito con una rete che arriva a una dispersione a volte del 60 o del 70 per cento. Nonostante questo, voglio dire, è intervenuta tutta una serie di misure che, evidentemente, non sono state efficaci ed efficienti. Voi stessi, come Governo, avete nominato un Commissario straordinario, Dell'Acqua, però, Sottosegretaria, le popolazioni locali, gli imprenditori, le piccole partite IVA - quando dico questo, Sottosegretaria, sto parlando del bar di paese, del ristorante, dell'alberghetto - non è possibile che, nei mesi di luglio e agosto, vivano tale difficoltà e debbano chiudere le proprie attività commerciali e non riescano a capire perché nel comune a fianco hanno l'acqua; sempre la loro acqua, gestita da un altro consorzio che non fa nient'altro che erogare milioni di metri cubi in più al secondo, proprio per supplire alla carenza delle tubature, diciamocela così, Sottosegretaria, perché sono le stesse, cambia solo chi gira e chi chiude e chi apre il rubinetto. Per questa ragione sono nati comitati, c'è stata la raccolta firme, ci sono stati consigli comunali che hanno deliberato la necessità, l'urgenza, l'emergenza di attivarsi in tal senso e, per questa ragione, questa mattina noi siamo qui, a chiedere al Governo se ritiene necessario, utile e stringente l'attivazione di un tavolo di discussione che affronti questa emergenza. Infatti, guardi, quest'anno, Sottosegretaria, è andata bene, l'emergenza è durata probabilmente 15 giorni, ma più andiamo avanti nel tempo e più questa emergenza si protrarrà nel tempo, creando seri rischi e problemi sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista sanitario sia, ancora, dal punto di vista economico-commerciale, ma soprattutto, Sottosegretaria, dal punto di vista del fatto che uno Stato non è in grado di garantire ai propri cittadini che vivono nelle aree del margine dell'entroterra meridionale, un diritto essenziale, che è quello di poter usufruire dell'acqua. Ma, soprattutto, queste popolazioni vogliono una risposta e vogliono capire perché, essendo per natura o per una congiunzione astrale nate e cresciute in quei luoghi dove l'acqua c'è, non hanno l'acqua (Applausi del deputato Casu).

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in premessa rappresento che il MIT è impegnato nella programmazione di interventi infrastrutturali relativi all'approvvigionamento idrico primario nel suo complesso e per tutti gli utilizzi della risorsa. Tale attività, svolta con altri soggetti istituzionali, come MASE e MASAF, regione, autorità di bacino distrettuale, prevede il finanziamento di interventi volti all'adeguamento della sicurezza e al completamento delle grandi dighe esistenti, al miglioramento dell'efficienza dei grandi sistemi di adduzione e di distribuzione della risorsa, al completamento degli schemi incompleti o interrotti e alla riduzione delle perdite della rete di distribuzione potabile.

Ad oggi, per la regione Campania, risultano essere stati programmati 31 interventi, per un investimento complessivo di circa 663 milioni di euro. Per quanto attiene a quelli previsti nella provincia di Avellino, ne risultano finanziati 3, per un importo complessivo di 9,8 milioni di euro. Nel dettaglio, si tratta di interventi per la sicurezza funzionale e sismica della diga di San Pietro, per la manutenzione straordinaria della diga di Conza e della diga di sbarramento del torrente Macchioni nell'agro del comune di Castel Baronia.

Ricordo, inoltre, che nell'ambito delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, il MIT ha concluso l'istruttoria per la realizzazione del Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico, che è stato presentato nella seduta della cabina di regia per la crisi idrica lo scorso 29 maggio. Nel corso della citata seduta, è stata anche presentata una prima ipotesi di stralcio di programmazione finanziato con circa 950 milioni di euro di risorse MIT, per incentivare l'avanzamento delle progettazioni delle opere già pianificate e inserite nel Piano nazionale.

Con specifico riferimento alla richiesta degli interpellanti, si evidenzia che il controllo sui gestori del servizio idrico integrato non rientra tra le competenze del MIT. La programmazione degli interventi infrastrutturali occorrenti all'efficientamento del servizio idrico integrato, al pari delle attività di governance del medesimo servizio, sono di competenza esclusiva degli enti locali, che ricadono in un medesimo ATO, i quali sono tenuti a esercitare tali funzioni in maniera associata, attraverso il corrispondente ente di governo dell'ambito, ai sensi degli articoli 147 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006.

In ogni caso, rappresento che, nell'ambito della gestione della cabina di regia sulla crisi idrica, è stato avviato un monitoraggio sull'effettivo utilizzo dei fondi assegnati per progetti e opere del settore idrico, attribuiti alle diverse regioni con vari programmi di finanziamento (Piano stralcio acquedotti, Piano stralcio invasi, Piano nazionale di ripresa e resilienza, Fondi per lo sviluppo e la coesione, Fondi per la progettazione di opere prioritarie). Dalle analisi condotte dal MIT è emerso un quadro complessivo di utilizzo di tali risorse molto variegato, con progetti e gestori che riescono a gestire ottimamente i finanziamenti e altri che evidenziano difficoltà nel rispetto delle scadenze previste.

Pertanto, sono in attivazione tavoli tecnici di confronto con le strutture territoriali, per analizzare le difficoltà riscontrate e individuare possibili azioni concrete di supporto. In riferimento al caso specifico del territorio irpino, come riportato dagli onorevoli interpellanti, è emerso che i principali problemi sono stati riscontrati nell'attuare i finanziamenti, non solo del PNRR, assegnati ai territori interessati con riguardo al rispetto della normativa di settore afferente al corretto affidamento del servizio idrico integrato. A tal proposito, comunico che il MIT ha intenzione di avviare, entro un mese, un tavolo di confronto con tutti i soggetti responsabili e gestori dei sistemi idrici che insistono sul territorio, nel quale sarà coinvolto anche ARERA.

Il MIT conferma il massimo impegno per la realizzazione delle infrastrutture volte al miglioramento dell'efficienza del sistema delle reti, considerata l'importanza della risorsa idrica per settori economici come i comparti agricoltura, industria ed energia, e per garantire ai cittadini la continuità dell'approvvigionamento idrico.

PRESIDENTE. Il deputato Toni Ricciardi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza sul governo della risorsa idrica, stavolta lo diciamo in italiano.

TONI RICCIARDI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Grazie, Sottosegretaria, lei mi ha messo in difficoltà, glielo dico, nel senso che mi reputo soddisfatto perché finalmente ho avuto un elenco di questioni. Se vuole, però, mi reputo anche parzialmente insoddisfatto, perché apprezzo e accetto la sua cortesia nell'avere affrontato la questione, però mi sarei aspettato una profondità d'analisi risolutiva un po' diversa. Però, poi, mi rendo conto del mestiere che ella fa, e quindi mi reputo in attesa, la dico così. Visto che lei ha annunciato che entro un mese si farà un tavolo tecnico, auspico, noi auspichiamo, che questa funzione di sindacato ispettivo sia funzionale a sollecitarla di più.

Detto questo, alcune osservazioni, però, lei me le consentirà. La prima: certo, lei ha fatto riferimento al PNRR, ma evidentemente la questione idrica e come viene gestita, l'applicazione o meno dei fondi e della programmazione, purtroppo, fanno emergere un atavico ritardo e una difficoltà strutturale nel gestire questa cosa. Chi ci ascolta può immaginare che ci stiamo occupando di una questione micro-territoriale, ma micro-territoriale non è, perché da quel punto nodale parte l'acqua che copre almeno 3 regioni del Mezzogiorno, tra cui soprattutto la regione Puglia.

Lei ci parlava di 31 stanziamenti per un ammontare complessivo di 663 miliardi. Questa mattina abbiamo capito che sui 663 milioni - mi scusi, magari fossero miliardi, sembrava quasi il nuovo piano Draghi - 9,8 milioni sono destinati alla provincia di Avellino. Lei sa meglio di me che 9,8 milioni, rispetto agli interventi strutturali, emergenziali e gli atavici ritardi che ci sono, sono un'aspirina che noi stiamo dando all'ammalato per cercare di risolvere qualche problema.

Però, la cosa più interessante, Sottosegretaria, - per la quale la debbo, invece, ringraziare e mi reputo soddisfatto della risposta in questa parte - è che lei giustamente fa il suo mestiere e lei giustamente ci ha ricordato che la potestà gestionale, legislativa, di gestione delle risorse è in capo alle regioni e agli enti locali. Sono contento che lei ce lo abbia ricordato e sono contento che chi ci ascolta, i cittadini e le cittadine, possa riflettere su questo passaggio. È esattamente lì il problema, e glielo dico in una fase storica nella quale voi, come Governo, state spingendo con forza verso l'autonomia differenziata.

Voi state ancor di più immaginando di affidare potestà legislativa, gestione delle risorse e quant'altro agli enti territoriali e, in particolar modo, alle regioni. Evidentemente, però, Sottosegretaria, questa piccola vicenda, che piccola non è, ci fa e ci deve fare interrogare su qual è il ruolo e la funzione dello Stato, perché lo Stato, la Repubblica, ha la necessità di dover garantire tutti i diritti e i doveri ai cittadini, ma soprattutto i diritti primari, e i diritti della risorsa idrica sono fondamentali. Sottosegretaria, seguirò, noi seguiremo con attenzione i tavoli, saremo qui e faremo da sprone per capire lo stato di avanzamento. Le dico già, le ridò appuntamento, in questo caso, tra un mese o due per capire qual è lo stato di avanzamento, perché o noi affrontiamo questo tema e cerchiamo delle soluzioni possibili nei prossimi mesi, altrimenti noi ci ritroveremo a settembre dell'anno prossimo a dover denunciare oltremodo la mancata programmazione, l'insipienza della gestione amministrativa e un Governo che si gira dall'altro lato, delegando e relegando ai livelli territoriali una difficoltà.

I cittadini di quei territori credo che abbiano pari dignità di tutti gli altri, di tutti gli altri. Sottosegretaria, noi qui siamo in una fase storica - e chiudo, Presidente - molto delicata. Qualche anno fa, in questo Paese, il popolo si è espresso sulla risorsa idrica e ha votato chiaramente a favore dell'acqua pubblica. Non entro qui nella vicenda e nella disquisizione che l'acqua è pubblica, ma la gestione può essere privata. L'acqua è acqua e non vorrei che in alcuni territori si rischi di assistere a procedure sudamericane, dove poi pezzi di servizi vengono svenduti o affidati in nome dell'efficientismo e dell'efficacia privatistica, e poi, a pagarne le conseguenze, come al solito, sono le popolazioni che non sanno più a chi rivolgersi.

(Intendimenti in ordine all'implementazione delle risorse finanziarie destinate al trasporto pubblico locale, per un celere rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto, nonché per una riforma del settore - n. 2-00441)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Casu n. 2-00441 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Casu se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ANDREA CASU (PD-IDP). Sì, grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, questa interpellanza urgente è il coronamento di un lungo percorso di momenti di confronto in Commissione e in Aula su un tema che è al centro delle problematiche che vivono ogni giorno tutte le persone del nostro Paese. È un problema che riguarda tutti e che riguarda soprattutto le aree interne, le periferie e le realtà dove è sempre più difficile arrivare, sempre più difficile tornare e sempre più difficile muoversi.

Ora, è chiaro che noi lo abbiamo fatto attraverso una risoluzione in Commissione, che ha indicato chiaramente l'enorme crisi del trasporto pubblico locale. Ci siamo confrontati per mesi, maggioranza e opposizione, su queste questioni, con tutti i soggetti che si occupano di questo tema sul territorio. Abbiamo votato una mozione in Aula a maggio. Come Partito Democratico, abbiamo chiesto fortemente un intervento che andava nella direzione di potenziare il Fondo nazionale dei trasporti e, a fine luglio, un altro ordine del giorno è stato approvato.

Però, questa interpellanza pone una questione centrale, che è il punto delle condizioni sempre più difficili delle lavoratrici e dei lavoratori. Quando noi abbiamo presentato l'ordine del giorno a luglio, è stato accolto, anche con il voto della maggioranza, ma con una riformulazione in cui veniva chiesto di togliere il riferimento a quanto il potenziamento del Fondo nazionale fosse indispensabile per garantire il rinnovo dei contratti. Noi non siamo riusciti a trovare una spiegazione e speriamo che questa possa essere l'occasione per avere questa volontà, però una cosa ci teniamo a mettere in evidenza: la dinamica inflattiva e la transizione energetica riguardano tutti.

Riguarda il costo del condominio, che ciascuno di noi paga, che è sempre più alto; riguarda anche le imprese di trasporto; riguarda anche le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori dei trasporti, che non vivono su un altro pianeta, vivono in Italia, come tutti noi.

Se la Conferenza delle regioni ha indicato chiaramente che nel bilancio 2025 - anzi l'avevano chiesto nel bilancio del 2024 e, non essendo stato fatto, hanno rinnovato la richiesta - servono almeno 800 milioni di euro per adeguare il Fondo nazionale trasporti a quello che fa già adesso, quindi non per dare più soldi ma per dare lo stesso valore alle risorse che sono già erogate, se tutti i sindacati (CGIL, CISL, UIL, FAISA-CISAL, UGL) stanno ponendo la questione del rinnovo di tutti i contratti che sono scaduti e servono almeno 900 milioni di euro, se queste cifre (900 milioni di euro per il rinnovo dei contratti; 800 milioni di euro per l'adeguamento alla dinamica inflattiva) sono cifre che sono indicate da tutti i sindacati, dalla Conferenza delle regioni - e la maggioranza dei presidenti delle regioni non sono certo esponenti del Partito Democratico, sono esponenti di forze politiche che oggi sostengono la maggioranza - da tutte le imprese (da AGENS, da ANAV, da ASSTRA), se tutto questo si sta muovendo, indicando chiaramente che serve un intervento strutturale, significa che questo intervento strutturale sul potenziamento di queste risorse non è più rinviabile.

Noi, come opposizione, abbiamo presentato tutti gli atti possibili e con l'interpellanza di oggi lo ricostruiamo questo percorso di azioni, ma chiediamo al Governo di rispondere.

Antonio Casella, che è il coordinatore dei circoli trasporti di Reggio Emilia e della Rete nazionale dei circoli dei trasporti del Partito Democratico, ha fatto un'intervista in queste ore su il Resto del Carlino, spiegando come sia impossibile vivere a Reggio Emilia con 1.300 euro al mese.

Se non rinnoviamo questi contratti, non consentiamo ciò alle lavoratrici e ai lavoratori dei trasporti, semplicemente non troveremo più nessuno - e sta già avvenendo - disponibile a fare l'autista, perché, se aumenta il costo di tutto e l'unica cosa che non aumenta è il reddito dei lavoratori del trasporto, è chiaro che questo lavoro sarà destinato a non trovare più persone disponibili a portarlo avanti. Per un lavoratore e una lavoratrice che guadagnano così poco, rinunciare al proprio salario per aderire allo sciopero significa rinunciare a un pezzo di vita, alla possibilità di andare magari a prendere l'unica pizza che si prende durante tutto il mese, perché tu, nel momento in cui scioperi, rinunci a un una parte del tuo salario di quella giornata e, se tutti i sindacati hanno indetto per l'8 novembre uno sciopero di 24 ore senza fasce di garanzia, vuol dire che ormai siamo arrivati al punto di rottura, da questo punto di vista. Significa dire a persone, che hanno pochissimo, di rinunciare a quel poco per segnalare non solo qualcosa che riguarda il loro diritto al giusto salario o alla sicurezza del lavoro, ma qualcosa che riguarda il diritto alla mobilità di tutti e di tutte. Chi è in prima linea vede negli occhi ogni giorno il disagio che si ha nel trasporto pubblico. Un disagio che cresce più ti allontani dal centro della città, più arrivi verso le periferie, più arrivi verso le aree interne. Vedi quanto diventa difficile tornare, quanto quell'ultima corsa o quella prima corsa che viene cancellata o che non si realizza significa non poter più accompagnare i figli a scuola o non poter più tornare dall'università.

Tutto questo significa che è un problema che non può più continuare a essere ignorato e sottovalutato.

Anche i numeri ci dicono che stiamo sbagliando. Il rapporto ISFORT del novembre 2023 ci dice chiaramente quanto è grave la sottodotazione di servizi per il trasporto pubblico in termini di incidenza del PIL: siamo allo 0,4 per cento; in Germania è lo 0,86 per cento; la media europea è lo 0,48 per cento. Non siamo locomotiva d'Europa, siamo in coda in Europa per quanto riguarda l'incidenza sul PIL. Siamo in coda anche sul numero di lavoratori: in Italia 11,3 ogni 1.000 abitanti; in Germania sono 25,8; la media europea è il 16,4.

Ecco, perché la Germania va in una direzione diversa dalla nostra? Perché la Germania sperimenta il biglietto climatico? Perché in Germania il trasporto pubblico locale è così efficiente che quando noi arriviamo in Germania diciamo “ah, quanto sarebbe bello avere un trasporto pubblico locale così anche in Italia, perché c'è questa differenza”? Semplicemente perché investono più del doppio di quello che investiamo noi sul tema dei trasporti, perché lavora nel mondo dei trasporti il doppio delle persone rispetto a quelle che lavorano da noi ed è un investimento pubblico, di risorse nazionali. Si chiama trasporto pubblico locale ma è una grande questione nazionale, in tutti i Paesi. Invece in Italia questo non avviene e noi stiamo andando nella direzione totalmente opposta.

In Germania: biglietto climatico, possibilità di prendere tutti i mezzi, intermodalità nei trasporti, efficienza dei trasporti a costi sempre più contenuti, che favoriscono l'utilizzo del mezzo pubblico. In Italia, invece, aumento dei costi perché scarichiamo tutto sui passeggeri, sui 5,5 miliardi di persone che prendono i nostri mezzi pubblici in Italia ogni anno. Tutti costi, perché non c'è l'investimento pubblico. Allora, a quel punto, in che situazione ti ritrovi? Ti ritrovi nella situazione che devi far pagare di più un costo per avere un servizio che peggiora. Quindi, le persone hanno la sensazione di essere maltrattate dal fatto che stanno pagando di più un servizio che vale di meno, in un momento in cui, in tutto il mondo, si riflette invece su come l'innovazione dovrebbe consentire di adeguare i servizi sulla base delle esigenze dei cittadini e non di farglieli vivere come un'ingiustizia.

Tra le ingiustizie, c'è un tema gravissimo, che è quello della sicurezza del lavoro. Ora, noi abbiamo avuto, anche in questo mese di agosto, un fenomeno crescente di aggressioni nei confronti del personale e spesso le aggressioni non sono solo nei confronti del personale, ma anche nei confronti dei mezzi. Addirittura ho letto di una molotov lanciata nei confronti di un mezzo pubblico nelle ultime ore.

Ecco, di fronte a questi fenomeni, che sono anche espressione violenta di un disagio crescente, c'era uno strumento, un protocollo siglato dal precedente Governo nell'aprile 2022. Non è stata presa alcuna azione concreta per applicarlo fino al 5 settembre di quest'anno. Quindi, un protocollo che è rimasto inattivo fino al 5 settembre di quest'anno, quando finalmente è stata fatta una riunione con i sindacati e con le imprese per darvi attuazione. Noi, però, non possiamo ignorare il tema della sicurezza del lavoro, non possiamo ignorare il fatto che ci sia una questione. Ugualmente, non possiamo ignorare la questione del salario, così come la questione dei servizi, così come la questione del consentire quegli investimenti, che ci sono, grazie alle risorse europee e al PNRR, come i nuovi mezzi, ma nuovi mezzi significa anche nuovi costi e nuovi servizi. Se noi non adeguiamo all'inflazione e non rinnoviamo i contratti, ma manteniamo la situazione sempre così com'è, la situazione può solo peggiorare.

Ecco, perché ho voluto ricostruire tutti questi passaggi? Perché, effettivamente, io l'unica cosa che chiedo al Governo è di non risponderci con la stessa risposta che ci è stata data lungo tutto questo anno. Ci è stato sempre detto, con una sorta di minuetto tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e il MEF - e per questo noi oggi, come Partito Democratico, abbiamo interpellato in maniera urgente sia il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sia il MEF, perché sono Ministeri diversi ma il Governo è uno solo e alla fine la risposta deve arrivarci dal Governo - che si condivide naturalmente una condizione che, essendo riconosciuta da tutti a livello nazionale, internazionale, dal Politecnico di Milano, dalla Conferenza delle regioni, da tutte le imprese di trasporto, da tutti i sindacati, da tutti i lavoratori, da tutti i cittadini, non può essere negata, ma che c'è la necessità di definire modalità nuove di riparto, che siano collegate al federalismo fiscale, a tutti i provvedimenti che si stanno mettendo in campo. Benissimo, la questione dei criteri è aperta. L'abbiamo detto con la nostra risoluzione: il criterio storico deve essere superato; bisogna adeguare ai cambiamenti in atto, ai chilometri, al numero di persone.

Quindi, da questo punto di vista, è fondamentale andare avanti per fare nuovi criteri, ma, nel frattempo che discutiamo su come fare nuovi criteri, se non si mettono i soldi nella prossima manovra finanziaria, questo Governo, il Governo Meloni, condanna il trasporto pubblico locale a livello nazionale a fallire, dà il colpo di grazia a una situazione che è già in profondissima crisi. Non si può evadere da questa responsabilità politica, che è nazionale, perché, quando l'8 novembre si fermeranno tutte le città, nessuno pensi di dare la colpa a quei lavoratori, perché sono lavoratori che stanno rinunciando a una parte importante del loro magro salario per difendere un diritto di tutti, che è il diritto alla mobilità. Nessuno pensi di dare la colpa ai sindacati, tra l'altro tutti i sindacati, perché stanno difendendo il diritto di quei lavoratori a un giusto salario e a un lavoro sicuro. Nessuno pensi di poter dare la responsabilità ai sindaci, in uno scaricabarile impossibile, perché i sindaci cosa possono fare nel momento in cui non ci sono le risorse nemmeno per adeguare i costi? Nessuno pensi di dare responsabilità delle imprese, perché tutte le imprese hanno indicato chiaramente che così non si può andare. Gli unici responsabili del fatto che si bloccherà il trasporto quel giorno - e non solo quel giorno perché sarà sempre peggio se non si invertirà questo trend - saranno la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Ministro Salvini.

Quindi, dato che c'è tempo per correggere questa rotta e dato che le risorse si possono trovare, noi, come Partito Democratico, abbiamo presentato molti emendamenti nella scorsa legge di bilancio, e li presenteremo anche in questa. Abbiamo indicato molte soluzioni e abbiamo posto, per esempio, il tema dei sussidi ambientalmente dannosi. È vero: ci viene risposto che i sussidi ambientalmente dannosi servono per sostenere comparti importanti dell'industria, ma noi dobbiamo anche costruire, se vogliamo ottenere gli obiettivi che ci siamo dati, a livello italiano e comunitario e anche di transizione, cercando di fare in modo da spostare gradualmente risorse e lavoratori, convertendo anche la nostra politica industriale da settori che generano danni all'ambiente a settori che generano un vantaggio per l'ambiente. E quale settore è più vantaggioso del trasporto pubblico locale? È un elemento di politica industriale, perché parliamo di 900 imprese, parliamo di oltre 100.000 lavoratori e lavoratrici, parliamo di 5,5 miliardi di persone che si muovono ogni anno e che fruiscono di questi servizi. Stiamo parlando di un settore fondamentale. Abbiamo esempi positivi di come un investimento pubblico nazionale in questo settore abbia garantito, poi, un miglioramento della qualità della vita di tutti i cittadini. Allora, investiamo su questo.

Poi, però, noi che siamo all'opposizione vi diciamo anche: non volete utilizzare - è una mole limitata, perché stiamo parlando di 1,7 miliardi, a fronte veramente di decine di miliardi che vengono impiegati nei sussidi ambientalmente dannosi - questa leva? Ne avete altre. Siete voi a governare e, dunque, non potete tenere la testa sotto la sabbia e pensare che non si affronti, nella prossima manovra, questo tema cruciale. Non potete dare il colpo di grazia al trasporto pubblico locale (Applausi del deputato Toni Ricciardi).

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato per l'Interno, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il trasporto pubblico locale rappresenta un tassello fondamentale per il perseguimento di una mobilità urbana efficiente e sostenibile. Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti è impegnato nella realizzazione di una serie di misure per il potenziamento del trasporto pubblico locale, volte in particolare a garantire il miglioramento della qualità del servizio per i cittadini. Una sfida che il MIT vuole perseguire in una costante sinergia con le amministrazioni territoriali.

Ricordo, infatti, che entro il 2026, in linea con gli obiettivi fissati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, verrà rinnovata significativamente la flotta degli autobus adibiti ai servizi di trasporto pubblico locale e, contestualmente, sono previsti rilevanti investimenti per il potenziamento del sistema ferroviario regionale e dei sistemi di trasporto rapido di massa, tra cui metro, tram, bus rapid transit.

In tale contesto, nel corso della legislatura corrente, una particolare attenzione è stata dedicata ai profili legati alla sicurezza, con la riattivazione del tavolo previsto dal protocollo per la promozione della sicurezza nel processo di sviluppo del trasporto pubblico locale e regionale tra Stato, regioni, associazioni datoriali e sindacati. In un recente incontro, avvenuto lo scorso 5 settembre, si è convenuto sulla necessità di strutturare una sede istituzionale a livello nazionale di monitoraggio, consultazione, confronto e proposta sui temi della sicurezza nel servizio di trasporto pubblico locale e regionale. In particolare, è stata prevista la possibilità di ampliare le funzioni dell'Osservatorio nazionale per la promozione del trasporto pubblico locale e regionale, attraverso la costituzione di tavoli tecnici finalizzati all'elaborazione di proposte. Le riunioni delle prime sedute dei suddetti gruppi di lavoro sono state già convocate per il prossimo mese di ottobre.

Inoltre, ricordo che lo scorso 17 aprile è stato emanato il decreto ministeriale n. 108, che ha definito i requisiti tecnici delle protezioni per i veicoli adibiti a servizio di linea utili a garantire la sicurezza degli operatori di guida.

Con riguardo alla richiesta di implementazione del sistema di finanziamento pubblico nazionale, rappresento che il Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale è stato progressivamente aumentato, a partire dal 2022, da circa 410 milioni di euro e andrà a stabilizzarsi nel 2026, con una dotazione complessiva pari a 5 miliardi e 270 milioni.

Con riferimento alla richiesta di avviare un'analisi della struttura delle competenze, si evidenzia che le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione in materia di servizi di trasporto pubblico locale sono attribuiti alle regioni in virtù della riforma del titolo V.

Si rappresenta che, in applicazione dell'articolo 27 della legge n. 50 del 2017, è in corso l'attività per l'individuazione corretta dei livelli adeguati di servizio uniformi sull'intero territorio nazionale, per la cui determinazione è stato istituito un apposito gruppo di lavoro costituito da MIT, MEF, rappresentanti delle regioni, ANCI e Autorità di regolazione dei trasporti. La definizione dei livelli adeguati di servizio consentirà di poter meglio determinare la qualità e la quantità dei servizi necessari ad assicurare un trasporto pubblico locale capillare e più efficiente, con conseguente quantificazione delle risorse necessarie per garantire la copertura. Dal confronto con i soggetti coinvolti, in particolare con gli enti territoriali, emergerà l'effettivo fabbisogno della domanda di mobilità pubblica e potranno essere valutate le misure e le azioni più adeguate a rispondere efficacemente alle esigenze rilevate, incluse quelle, più volte promosse, dello spostamento modale dal trasporto privato a quello pubblico.

Circa il contratto collettivo nazionale di lavoro di settore, si evidenzia che la tematica è strettamente connessa alle relazioni industriali tra associazioni datoriali e sindacati, ferma restando la disponibilità del MIT a svolgere un'attività di mediazione tra le parti interessate.

PRESIDENTE. Il deputato Casu ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Purtroppo, sono totalmente insoddisfatto da questa risposta, perché sono state, in maniera edulcorata, ribadite alcune cose che erano contenute nella domanda. Dico in maniera edulcorata, perché io penso che il fatto che un protocollo dell'aprile 2022, con le aggressioni crescenti al personale, sia stato riattivato solo nel settembre 2024 non sia un elemento di vanto e dovrebbe essere qualcosa per cui il Governo dovrebbe scusarsi con le lavoratrici e i lavoratori che hanno subito aggressioni durante quest'anno e mezzo. Però, se vogliamo andare avanti nel pensare che si sta facendo abbastanza da questo punto di vista, allora ognuno è libero di vederla come ritiene più opportuno. Dal nostro punto di vista, ben venga che quel protocollo, che mette insieme i lavoratori e le imprese per affrontare un tema reale e crescente, che è quello della sicurezza, sia stato riattivato, e questo è un fatto positivo.

Non trovo, invece, che sia questo il modo di scaricare l'interpellanza, liquidando un'interpellanza sul rinnovo dei contratti delle lavoratrici e dei lavoratori nelle ultime due righe, quasi come se il tema del rinnovo dei contratti sia una cosa che attiene strettamente alle relazioni industriali tra le imprese e i sindacati, rinnovo che, con l'attuale dotazione economica, è impossibile, e nella risposta viene ribadito che entro il 2026 si ritiene di attestare la cifra a 5 miliardi e 270 milioni. Lo ripeto, perché evidentemente ciò che abbiamo scritto in un anno di atti non è sufficientemente chiaro: la Conferenza delle regioni, che è composta principalmente da presidenti di regione che sostengono questo Governo, ha messo nero su bianco, in più occasioni, che servono almeno 800 milioni di euro per l'adeguamento all'inflazione e questo significa non dare soldi in più, ma dare gli stessi soldi, nello stesso valore, a quelle che sono le imprese dei trasporti, e servono almeno 900 milioni di euro per fare il rinnovo dei contratti delle lavoratrici e dei lavoratori del settore. Se non arrivano queste cifre, se la manovra 2025 non riequilibra pesantemente questo Fondo, il rinnovo dei contratti è impossibile e la logica conseguenza è avere, l'8 novembre, uno sciopero di lavoratrici e lavoratori che rinunceranno a una parte consistente del loro magro salario per rivendicare il diritto alla mobilità di tutte e tutti noi.

Non è una questione di politica industriale, ma è una questione di tenuta sociale del Paese, perché se si ferma il trasporto pubblico locale si ferma il Paese e non potete restare al Governo tenendo la testa sotto la sabbia, perché la sabbia sta franando nel momento in cui noi abbiamo una situazione così grave: 24 ore di sciopero, senza fasce. I calcoli che avete fatto non tornano, non stanno tornando. Andate, provate a usare il trasporto pubblico locale per raggiungere un'area interna o per arrivare in una periferia; vi renderete conto che già adesso la situazione è insostenibile e l'inflazione galoppa per tutti, ma galoppa pure per i trasporti. Non si può pensare.

Viene, purtroppo, da credere che quello che ci siamo sentiti dire in Aula quando abbiamo affrontato la mozione, sia, a questo punto, il disegno politico del Governo. Perché, quando abbiamo presentato la mozione, abbiamo posto questi argomenti e abbiamo detto al Governo: prendiamo coscienza della situazione e della crisi gravissima. Perché, quando CGIL, CISL, UIL, FAISA-CISAL e UGL sottoscrivono un documento e indicono tre scioperi consecutivi in questo modo, significa che tutti i sindacati sono coinvolti.

Quando AGENS, ANAV e ASSTRA, insieme, sottoscrivono prese di posizione, significa che tutte le imprese sono coinvolte. Di fronte a questo grido di dolore, ci è stato risposto, in un intervento da parte della maggioranza: “Ma il problema è il trasporto pubblico locale. Voi chiedete al Governo, ma andate a chiedere a un cittadino di Roma, di Milano o di Napoli se la situazione sta funzionando”.

Allora, se questo però è l'obiettivo politico, costruire su questo tema un indecente scaricabarile, in cui il Governo fa finta di non avere responsabilità, quando le ha in tutta Europa e in tutto il mondo - abbiamo visto i numeri della Germania, che ha il doppio dell'investimento rispetto a noi per garantire un servizio adeguato, efficiente e moderno ai cittadini -, perché si spera, in questa maniera, di costruire un grimaldello per cavalcare il disagio sociale, posto che Giorgia Meloni e Matteo Salvini stanno generando caos e disservizi nelle città per avere un argomento spiccio di becera campagna elettorale di opposizione nei confronti dei sindaci, che spesso sono di centrosinistra, perché quelle comunità hanno scelto di essere guidate da quei primi cittadini, ma che comunque rappresentano l'interesse di tutti, anche andando a colpire pesantemente i presidenti di regione, inclusi i vostri stessi presidenti di regione, sacrificando le loro richieste sull'altare della necessità di avere un argomento di campagna elettorale sulla pelle delle cittadine e dei cittadini, nonché a scapito del diritto alla mobilità di tutti noi e del rinnovo dei contratti dei lavoratori, sappiate che ci sarà un'opposizione politica e sociale fortissima da parte del Partito Democratico e da tutte quelle forze sociali che non si fanno prendere in giro e che sanno benissimo che, se non si mette mano al portafoglio e non si potenzia il Fondo nazionale per i trasporti, si dà il colpo di grazia al diritto alla mobilità di tutte e tutti noi (Applausi del deputato Toni Ricciardi).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Approfitto di questa brevissima pausa per salutare gli studenti e gli insegnanti della Scuola Svizzera di Roma, che sono qui ad assistere ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Ricordo loro che non sono previste per oggi votazioni, e quindi, sono presenti in Aula solo i rappresentanti del Governo ed i parlamentari che hanno fin qui svolto le loro interpellanze, che erano calendarizzate. Questa è la ragione per la quale solo questi parlamentari e solo questi rappresentanti del Governo sono presenti in sede.

Discussione della proposta di legge costituzionale: D'iniziativa del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia: Modifiche alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia (A.C. 976-A​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale n. 976-A: Modifiche alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 976-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Simona Bordonali.

SIMONA BORDONALI , Relatrice. Presidente, onorevoli colleghi, Vice Ministro Gava, Ministro Calderoli, l'Assemblea oggi avvia la discussione della proposta di legge costituzionale di iniziativa del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, recante modifiche alla legge costituzionale del 31 gennaio 1963, n. 1, recante Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, nel testo licenziato dalla I Commissione. A seguito dell'approvazione di tre proposte emendative, il provvedimento, ora all'esame dell'Assemblea, è composto da 10 articoli, rispetto agli originali 7.

Relativamente al contenuto della proposta di legge costituzionale, rilevo che l'articolo 1, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, modifica, con prevalenti finalità di manutenzione normativa, l'articolo 5 dello Statuto, che individua le materie in cui la regione esercita una potestà legislativa concorrente, sostituendo, al numero 18, le parole “edilizia popolare” con “edilizia residenziale pubblica”.

Evidenzio che l'articolo 2, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, reca una modifica all'articolo 7 dello Statuto, per aggiungere, tra gli ambiti di potestà legislativa regionale, la possibilità di istituire nuovi enti di area vasta e di modificare la loro circoscrizione e denominazione, d'intesa con le popolazioni interessate. In merito, signor Presidente, ricordo che la regione Friuli-Venezia Giulia, al pari delle altre regioni a statuto speciale, ha competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, e rammento, altresì, che l'espressione “enti territoriali di area vasta” è stata utilizzata per la prima volta dalla legge n. 56 del 2014.

In mancanza di un'esplicita definizione normativa, l'ente di area vasta può essere inteso quale livello di governo intermedio tra il comune e la regione, corrispondente all'ambito territoriale ritenuto ottimale per lo svolgimento di funzioni che, per il loro esercizio unitario, necessitano di una dimensione sufficientemente estesa. Faccio poi presente che l'articolo 3, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, sostituisce l'articolo 8 dello Statuto, stabilendo che “la regione esercita funzioni di programmazione nonché funzioni amministrative nelle materie in cui ha potestà legislativa a norma degli articoli 4 e 5, in conformità con i principi della Costituzione e del presente Statuto”.

L'articolo 4, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, interviene sull'articolo 11 dello Statuto, concernente l'esercizio delle funzioni amministrative da parte della regione, affermando che “gli enti di area vasta sono titolari di funzioni amministrative proprie, individuate con legge regionale, e di quelle conferite con legge regionale”. La disposizione riprende quanto previsto dall'articolo 118, secondo comma, della Costituzione, in base al quale le province, insieme con i comuni e le città metropolitane, sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Sottolineo poi che l'articolo 5, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, interviene sulla disciplina del referendum sulla legge regionale in materia di forma di governo e sistema elettorale, modificando l'articolo 12 dello Statuto con la sostituzione del quarto comma e l'abrogazione del quinto comma, introdotti dall'articolo 5, comma 1, lettera d), della legge costituzionale n. 2 del 2001.

Faccio presente che, attualmente, il quarto comma dell'articolo 12 stabilisce che la legge regionale che determina la forma di governo e il sistema elettorale regionale, approvata dal consiglio regionale con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, sia sottoposta a referendum regionale “qualora, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti del consiglio regionale”. In tale evenienza “la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Il quinto comma della medesima disposizione aggiunge che se la legge di cui trattasi “è stata approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti il consiglio regionale, si fa luogo a referendum soltanto se, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, la richiesta è sottoscritta da un trentesimo degli aventi diritto al voto per l'elezione del consiglio regionale”. Sottolineo che, secondo il dettato dello Statuto vigente, la disciplina di tale referendum confermativo è prevista da apposita legge regionale, la legge regionale n. 29 del 27 novembre 2001. Con le modifiche approvate dalla I Commissione, che sostituiscono interamente il quarto comma e abrogano le disposizioni del quinto, si stabilisce, invece, che la legge su forma di governo e sistema elettorale regionale possa essere “sottoposta a referendum regionale confermativo, secondo la disciplina prevista da apposita legge regionale”.

Pertanto, sono abrogati gli attuali quorum e tempi previsti dallo Statuto, ed i presupposti, oltre che le modalità di svolgimento, del referendum regionale sulla legge in questione sono interamente rimessi alla legislazione regionale. L'articolo 6, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, interviene sulla disciplina del numero dei componenti del consiglio regionale, modificando l'articolo 13 dello Statuto. In particolare, analogamente a quanto previsto dalle leggi regolatrici dell'assetto istituzionale di altre regioni, si stabilisce che il consiglio regionale si compone di un numero fisso di 49 consiglieri, in luogo dell'attuale previsione, in base alla quale il numero dei consiglieri è determinato in funzione della popolazione.

Come evidenziato nella relazione illustrativa del testo originario della proposta di legge costituzionale, l'intento del consiglio regionale è evitare che, anche alla luce del progressivo calo demografico registrato nella regione, la composizione del consiglio regionale sia esposta al rischio di subire costanti variazioni.

L'articolo 7, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, interviene sull'articolo 54 dello statuto, reintroducendo la possibilità per la regione di assegnare agli enti di area vasta una quota delle entrate regionali, al fine di adeguare le loro finanze al raggiungimento delle finalità e all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi. Faccio presente che la disposizione vigente già prevede tale possibilità in relazione ai comuni.

L'articolo 8, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, sostituisce l'articolo 59 dello statuto che definisce l'ordinamento degli enti locali. Il testo vigente dell'articolo 59, come modificato dalla riforma del 2016, stabilisce che la base dell'ordinamento degli enti locali della regione è costituita dai comuni, anche nella forma di città metropolitane, quali enti autonomi obbligatori con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione dallo statuto. Il nuovo testo dell'articolo 59 dello Statuto ricomprende, nella definizione di “enti locali”, anche gli “enti di area vasta”, così come prima del 2016 vi erano ricomprese le province, aggiungendo che si tratta di enti i cui organi sono eletti direttamente; la lettera a) prevede questo. Esso prevede, poi, che sia la legge regionale a disciplinare la prima istituzione, le circoscrizioni, le funzioni, la forma di governo e la modalità di elezione degli organi di area vasta, questo alla lettera b). La disposizione precisa che funzioni, forma di governo e modalità di elezione possono essere regolati anche con modalità differenziate.

L'articolo 9, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, sopprime alcune disposizioni dello statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ritenendole, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa del testo originario, superate in attuazione della clausola di maggior favore, di cui all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Ricordo, infatti, che tale clausola prevede che, per le parti in cui sono stabilite forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, le previsioni di cui alla medesima legge costituzionale si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti. In particolare, sono oggetto di soppressione: l'articolo 5, numero 4), dello statuto, che attribuisce alla regione autonoma la potestà legislativa, tra l'altro, in materia di disciplina dei controlli sugli atti degli enti locali; gli articoli 29 e 30 dello statuto, che recano una disciplina del procedimento legislativo regionale che ricalca la previsione di cui all'articolo 127 della Costituzione, nella versione antecedente alla riforma del 2001; l'articolo 60 dello statuto, che disciplina il controllo sugli atti degli enti locali da parte degli organi della regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato.

Da ultimo, l'articolo 10, non modificato nel corso dell'esame in sede referente, con una disposizione di coordinamento finale, prevede che agli enti di area vasta, come previsti nella riforma statutaria, si applichino, in quanto compatibili, le norme di attuazione statutaria previste per gli enti locali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo.

VANNIA GAVA, Vice Ministra dell'Ambiente e della sicurezza energetica. Grazie, Presidente. Signor Presidente e onorevoli deputati, desidero in particolare soffermarmi su una delle principali innovazioni normative recate dalla proposta di legge costituzionale, ovvero la modifica dello statuto di autonomia della regione Friuli-Venezia Giulia, al fine di reintrodurre la previsione di enti di area vasta, con organi formati mediante elezione diretta, intermedi tra la regione e i comuni, titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge regionale. L'impostazione di fondo di tale intervento normativo si colloca pienamente nel solco dell'indirizzo politico del Governo.

Infatti, come già osservato dal Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, in occasione dell'audizione sulle linee programmatiche presso la Commissione affari costituzionali, il tema dei rapporti tra i diversi livelli di governo e di una completa attuazione della riforma del titolo V implica anche una più generale riflessione sull'ordinamento degli enti territoriali e, in particolare, la rivalutazione dell'assetto istituzionale e del ruolo degli enti territoriali di area vasta, anche alla luce del venir meno della prospettiva soppressiva contenuta nella riforma costituzionale, in conseguenza dell'esito negativo del referendum del 2016.

Tutto ciò, infatti, rende necessaria una rivisitazione dell'impianto della legge n. 56 del 7 aprile 2014 che, come noto, ha istituito le città metropolitane e ridefinito l'ordinamento delle province, prevedendo per i relativi organi di vertice un sistema di rappresentanza di secondo grado. Peraltro, questa esigenza è fortemente avvertita da diverse forze politiche e ha trovato espressione in plurime proposte di legge presentate da parte di differenti gruppi parlamentari, di maggioranza e di opposizione, confluite nel testo unificato recante la “nuova disciplina in materia di funzioni fondamentali, organi di governo e sistema elettorale delle province e delle città metropolitane e altre disposizioni relative agli enti locali”, attualmente all'esame in sede referente da parte della Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica.

Tale testo mira al sostanziale superamento dell'impianto normativo della citata legge n. 56 del 7 aprile 2014, muovendo dalla constatazione dell'esigenza di un legame imprescindibile tra il decentramento amministrativo e la rappresentanza democratica degli organi deputati all'esercizio delle funzioni decentrate; da cui deriva, pertanto, la previsione della reintroduzione del principio dell'elezione a suffragio universale e diretto del presidente della provincia e del consiglio provinciale e l'estensione di questo stesso principio anche agli organi di vertice delle città metropolitane. La prospettiva seguita dal percorso di riforme intrapreso è quella di restituire alle province la propria dignità istituzionale, mediante il ripristino di funzioni adeguate a riassegnare alle medesime il ruolo di cerniera tra ordinamento regionale e ordinamento locale. La medesima impostazione di fondo caratterizza anche la proposta normativa in discussione, animata dalla finalità di costituire gli enti di area vasta, quali enti pienamente inseriti nel circuito della legittimazione del controllo democratico e rispondenti alla logica immanente al principio autonomistico, sancito dall'articolo 5 della Carta costituzionale.

Peraltro, l'attualità e la centralità di un percorso di revisione organica dell'assetto delle province, oltre che all'attribuzione alle medesime di risorse adeguate nella prospettiva della loro riforma, hanno trovato recente conferma in occasione della discussione del disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2024, in particolare con l'accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/1952/2, presentato da tutte le componenti della maggioranza.

Voglio inoltre ricordare che l'impianto della presente proposta di legge costituzionale e delle iniziative di analogo tenore, volte alla riforma delle province in ambito nazionale, si svolge in piena coerenza con la Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, che lo Stato ha ratificato e reso esecutiva con la legge n. 439 del 30 dicembre 1989, il cui articolo 3 prevede che l'autonomia locale deve essere esercitata da consigli e assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti.

In tale contesto, le recenti iniziative legislative di riforma degli enti di area vasta vanno valutate alla luce della raccomandazione n. 404 del 18 ottobre 2017, nonché della recentissima raccomandazione n. 503 del 26 marzo 2024, adottate dal Congresso delle autorità regionali del Consiglio d'Europa, nell'ambito delle azioni di monitoraggio dell'applicazione della Carta europea dell'autonomia locale in Italia.

In particolare, mentre con il primo atto, esprimendo preoccupazione per il fatto che gli organi di governo delle province e delle città metropolitane non siano eletti a suffragio universale diretto, il Congresso raccomandava al comitato dei Ministri di invitare le autorità italiane a ristabilire elezioni dirette per gli organi di governo delle province e delle città metropolitane, con il secondo atto, in termini positivi, ha invece rilevato che tali indicazioni sono state, infine, prese in considerazione dalle autorità medesime con la presentazione stessa del disegno di legge e ha, quindi, espresso una nuova raccomandazione al fine di ampliare il campo d'azione delle città metropolitane e delle province, una volta reintrodotti gli organi eletti direttamente. Le medesime considerazioni, quindi, non possono che valere anche in relazione alla proposta di legge in discussione.

Permettetemi di soffermarmi su un altro specifico aspetto trattato dalla proposta di legge costituzionale in discussione ovvero l'abrogazione, con l'articolo 10, di norme dello statuto superate in adeguamento alla legge del 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del titolo V della Parte seconda della Costituzione. Segnalo sul punto che tale operazione, la cosiddetta “manutenzione statutaria”, costituisce oggetto di un confronto in atto tra il Governo e tutte le regioni a statuto speciale avviato in occasione del festival “L'Italia delle regioni”, svoltosi a Torino nel 2023, con la consegna al Presidente del Consiglio, da parte dei rappresentanti delle autonomie speciali, di una bozza di proposta di legge costituzionale volta ad adeguare gli statuti di autonomia alla riforma del titolo V della Costituzione. Evidentemente, su tale tema si potrà porre un'esigenza di coordinamento tra il percorso più generale, che riguarda tutte le regioni a statuto speciale, e la proposta di legge costituzionale in esame.

Non mi soffermo su altri aspetti della proposta di legge costituzionale ampiamente illustrati dalla relatrice, limitandomi a ribadire la condivisione da parte del Governo con riguardo alla struttura e alla finalità della proposta di legge costituzionale in esame.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, seppur nella doverosa sintesi, è necessario intervenire, anche a nome del gruppo del Partito Democratico, per ribadire la posizione che abbiamo già espresso in numerose sedi, che ha espresso molto chiaramente l'onorevole Debora Serracchiani, con una premessa essenziale per il legislatore nazionale: quando si approccia a uno statuto di autonomia, che è quello in ragione dell'articolo 116, comma 1, della nostra Carta costituzionale, va seguito il principio di tutela dell'autonomia e specialità della regione Friuli-Venezia Giulia.

Va ricordato che, nel giro di pochi anni, lo statuto di autonomia torna all'esame di questo Parlamento con un articolato che va diametralmente a cozzare con l'ultima novella: la legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1. È evidente in via preliminare che un delicato strumento, qual è uno statuto di autonomia, richiede a tutti, proprio a partire dal Parlamento, una maggiore prudenza nel valutare modifiche che intervengano sui medesimi profili di recenti novelle. Non è un buon esercizio di legislazione e rischia di incentivare un'altalena di modifiche che segue le singole maggioranze regionali o nazionali, invece che, come si diceva, porre al centro delle questioni la reale tutela dell'autonomia e della specialità della regione Friuli-Venezia Giulia.

Nel valutare la proposta di legge costituzionale in esame sono necessarie alcune considerazioni preliminari che attengono allo status di autonomia speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, al quadro delle competenze ad oggi presenti e previste, alle possibili innovazioni in ragione degli interventi sullo statuto di autonomia sia attraverso il processo di modifica a mezzo di legge costituzionale, come nel caso oggi in esame, sia utilizzando il peculiare sistema delle norme di attuazione dello statuto, regolate con un processo bilaterale in sede di Commissione paritetica Stato-Regione ai sensi dell'articolo 65 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia.

Si tratta di una valutazione preliminare, perché il percorso di modifica dello statuto di autonomia, attraverso il ricorso a legge costituzionale, è da considerarsi extrema ratio, nell'impossibilità di perseguire le attese finalità con il massimo grado possibile di esercizio concreto dell'autonomia, da un lato, e, se del caso, attivando il processo di normativa d'attuazione, dall'altro.

Il presidio dell'autonomia speciale avviene, per l'appunto, prioritariamente attraverso l'esercizio pieno e consapevole di tutti gli strumenti che, in ragione dell'articolo 5 della Carta costituzionale, sono affidati al sistema delle autonomie; presidio che spetta a tutti i soggetti istituzionali e per primo al Parlamento.

Gli interventi di modifica sullo statuto di autonomia, se esercitati, come in questo caso, in archi temporali assai ristretti - ed è questo il caso - e sulla medesima materia, rischiano di far diventare ordinarie anche le regioni a statuto speciale, con un rilevantissimo vulnus dell'intero assetto istituzionale.

Questo risulta, peraltro, ancora più rilevante quando non vengono esplicitati e compiuti i disegni riformatori, ma ci si sofferma a petizioni di principio o, peggio, si rischia di piegare l'architettura istituzionale alle ragioni del dibattito politico.

La relazione illustrativa, infatti, non offre alcun elemento su cui ancorare la necessità non tanto di istituzione di enti di area vasta, che, come si dirà in seguito, sono già oggi nelle potenzialità della regione e degli strumenti normativi a sua disposizione, quanto il reiterato profilo di ente ad investitura popolare diretta. Richiedendo al Parlamento l'attivazione del processo legislativo costituzionale di modifica statutaria, pare non negoziabile offrire al legislatore un disegno riformatore chiaro ed esaustivo proprio per consentire il pieno apprezzamento delle condizioni di modifica. Non pare certo sufficiente richiedere, nel fondamentale principio di leale cooperazione istituzionale, una nuova cassetta degli attrezzi, senza valutare e spiegare quale sia l'esito compiuto, atteso e perseguito. E non pare utilizzare questo strumento per bypassare il monito della Corte costituzionale che, nella sentenza n. 168 del 2018, a proposito della legge Delrio, proprio sul punto dell'elezione diretta, ha chiarito che: “i previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi enti di area vasta sono, infatti, funzionali al perseguito obiettivo di semplificazione dell'ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono ad un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all'elezione diretta”.

Ora, nell'esaminare la proposta in esame, vanno analizzati e risolti alcuni temi di metodo, di rispetto e tutela dell'autonomia, di corretto esercizio degli strumenti istituzionali. Un primo, ma significativo elemento, che non può non essere messo in evidenza è rispetto all'attività di impulso che, a differenza di quanto accaduto per l'iter culminato con la legge costituzionale n. 1 del 2016, ove vi fu un unanime consenso del consiglio regionale, nel caso di specie è avvenuto certo a mezzo di deliberazione del consiglio regionale, ma a maggioranza e, se è consentita una valutazione, con una maggioranza politica.

La storia politica e istituzionale del Friuli-Venezia Giulia, a partire dalla gestione straordinaria del post-terremoto del 1976, è connaturata a una cultura istituzionale, naturalmente per le decisioni e le sfide fondamentali, fondata su un coinvolgimento ampio delle forze politiche, sociali ed economiche. Questo è particolarmente necessario quando si incida, anche in profondità, su aspetti istituzionali di particolare rilevanza, anche perché il metodo è sostanza in una regione che fonda la propria specialità anche in ragione delle differenze culturali, territoriali e linguistiche.

Per ragioni di sintesi, vado immediatamente al cuore della proposta in esame che, senza infingimenti, ha come obiettivo semplicemente e unicamente il reinserimento nel quadro istituzionale del Friuli-Venezia Giulia delle province e di province ad elezione diretta.

Infatti, la richiesta di stabilizzazione del numero dei consiglieri regionali pare una scelta ragionevole, anche se il dato demografico, ormai costantemente in calo e sempre più vicino a 1.100.000 abitanti, rimane elemento di riflessione per una stabilizzazione a 49 consiglieri, cui ormai, sempre più spesso, fa sponda il meccanismo di assessori regionali esterni, con un indubbio appesantimento dell'apparato istituzionale. Il sicuramente pregevole auspicio di una rappresentanza diffusa dei consiglieri regionali e un forte radicamento territoriale degli stessi cozza, peraltro, con il progressivo svuotamento che le assise legislative, a partire dal Parlamento, stanno subendo e subiscono per un'azione invasiva e un'occupazione quasi manu militari da parte degli esecutivi; qui con una pletora di decreti-legge da convertire praticamente su ogni lembo dello scibile legislativo, nelle regioni, per la pervasività delle giunte anche in materia legislativa.

La logica del tenere buono un ceto politico, promettendo incarichi e poltrone sia a livello regionale che a livello provinciale, per quanto si dirà, non risponde alla logica di una democrazia diffusa e partecipata, ma semplicemente ad accordicchi di potere. Se si vuole incidere sulla democrazia e sulla rappresentanza, vanno rafforzati gli equilibri tra potere esecutivo e legislativo, equilibri che il processo riformatore di questo centrodestra calpesta fino al rischio di travolgerli, con le paventate riforme che influiranno direttamente sul massimo garante della nostra Repubblica.

Non vi è tempo e spazio per entrare nel dibattito generale sulle province; va, però, chiarito e tenuto distinto quello che è il portato e il senso, dal punto di vista istituzionale, di un meccanismo di elezione diretta rispetto a quello che, per conto, possa e debba attenere al sistema di finanziamento e di esercizio delle funzioni delle diverse istituzioni. Non è certo l'elezione diretta, a meno che non sia legata a un forte potere impositivo in tema di entrate, che può superare la crisi del sistema degli enti intermedi, che scontiamo più come temi di finanziamento che come temi di rappresentanza.

Allora, va preliminarmente chiarito che molte questioni poste anche nella relazione di accompagnamento sono assolutamente compatibili con il sistema vigente. È possibile un intervento per alleggerire le funzioni amministrative dell'ente regione; è possibile un intervento sulle competenze attribuite agli enti locali; è già prevista la possibilità di un esercizio congiunto di funzioni dei comuni o trasferite dall'ente regione; è possibile l'individuazione di enti di area vasta, la cui dimensione è e deve essere legata, non tanto a evocazioni storiche o sociologiche, ma alle effettive funzioni da assegnarsi. Lo statuto di autonomia, già oggi, all'articolo 11, consente molto di quanto indicato nella relazione illustrativa. Si prevede, infatti, che “i comuni, anche nella forma di città metropolitane, sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. In attuazione dei principi di adeguatezza, sussidiarietà e differenziazione, la legge regionale disciplina le forme, anche obbligatorie, di esercizio associato delle funzioni comunali. La regione assicura i finanziamenti per l'esercizio delle funzioni conferite”.

In via astratta, non vi è neanche un impedimento tecnico-giuridico che, già a statuto vigente, gli enti di area vasta regionale possano assumere dimensione e denominazioni di provincia o di amministrazione provinciale. Il tema è che si tratta di enti di secondo grado, peraltro in corrispondenza quella riforma nota come legge Delrio che, comunque, rappresenta anche per la regione Friuli-Venezia Giulia norma fondamentale di riforma economico-sociale.

Allora, torna il tema della proposta di modifica statutaria per superare anche la legge Delrio e consentire l'istituzione del nuovo ente intermedio a elezione diretta. Il tema non è solamente di carattere politico: è troppo facile la sola obiezione rispetto alla ricollocazione di personale politico, che non trovi spazio, né in consiglio regionale, né negli enti locali. Il tema di fondo rimane la compatibilità, in una regione che, come poc'anzi indicato, ha poco più di 1.100.000 abitanti, di un sistema di tre enti a elezione diretta e politica. Si giustificano solamente se individuiamo specifiche, puntuali e chiare ragioni di carattere istituzionale, perché le funzioni affidate a ciascuno dei tre livelli richiedono un sistema di investitura popolare diretta. Non sono certo quelli presenti nell'attuale sistema delle province nazionali che, per l'appunto, sono enti di secondo grado e, per conto, l'esperienza degli enti di decentramento regionale in Friuli-Venezia Giulia, con un direttore regionale, funzionari e finanziamenti adeguati, ha certo dato corso alle funzioni, per esempio, in tema di edilizia scolastica.

Allora, per un nuovo ente intermedio di primo grado è necessario qualcosa di più. Ad oggi, né i lavori consiliari del Friuli-Venezia Giulia, né la relazione accompagnatoria spiegano più di tanto, appesantendo il corpus istituzionale, anzi, rispetto ad altre funzioni regionali, vi è un vulnus nell'autonomia e nella specialità della regione. In buona sostanza, un Parlamento responsabile, in questa fase, deve avere l'autorevolezza di indicare, nella leale cooperazione, che esistono altri strumenti per perseguire obiettivi di efficienza e razionalizzazione del sistema che non debbano necessariamente essere perseguiti con un nuovo intervento sullo statuto d'autonomia.

In sede di Commissione, su iniziativa della maggioranza, è stato introdotto un ulteriore vulnus allo statuto di autonomia. Quel sistema di garanzie che, in una regione ad autonomia speciale, deve sussistere nel rapporto maggioranza-minoranza, tra decisore politico e cittadinanza. In buona sostanza, all'articolo 2, si è introdotta una norma apparentemente tecnica, ma che colpisce proprio il principio democratico che oggi lo statuto di autonomia garantisce. Infatti, intervenendo in materia referendaria, si abroga la norma che prevede che leggi ordinamentali e leggi elettorali fossero sottoposte a un meccanismo di referendum confermativo senza quorum, sostituendolo con la disciplina referendaria abrogativa generale che prevede il meccanismo del quorum. Un doppio tradimento, perché consente l'egemonia della maggioranza consiliare e perché, in un periodo di allontanamento dei cittadini dalle istituzioni e dal voto, di fatto rafforza i meccanismi di astensionismo. Un gioco per accontentare le ambizioni del Presidente Fedriga verso il terzo mandato, che si aggrava per i recenti annunci di intervento di modifica della legge elettorale del Friuli-Venezia Giulia, abolendo i limiti di mandato, le incompatibilità e l'ineleggibilità, al solo fine di accontentare i noti circuiti di potere.

Questa modifica allo statuto del Friuli-Venezia Giulia non è allora il doveroso riconoscimento del Parlamento a una comunità regionale virtuosa, che chiede nuovi strumenti di autogoverno, ma semplicemente un favore - per non ricorrere a una prosa non confacente a quest'Aula - all'attuale gruppo di potere presente in quella regione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Urzi'. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO URZI' (FDI). Grazie, Presidente. È certamente grande motivo di considerazione personale e partecipazione l'atto che stiamo avviando quest'oggi in questa Camera. Si tratta, infatti, di quella che va considerata una legge rafforzata, di valore costituzionale, andando a incidere sulla forma e i contenuti di uno dei cinque statuti speciali di una delle cinque regioni a statuto speciale che si inseriscono nel castello istituzionale della nostra Repubblica. Non sono, quindi, atti da considerare ordinari, né assolutamente formali. Adesso c'è bisogno di affacciarsi con la consapevolezza del valore di revisione, anche solo parziale, di una “carta fondamentale” dell'autonomia regionale, di una di queste autonomie regionali. L'ordinamento assegna a questi complessi di “carte fondamentali”, - e lo dico ancora fra virgolette - che costituiscono il presupposto dell'autonomia regionale, un valore superiore, non in termini di importanza in rapporto alle regioni a statuto ordinario, ma di riconoscimento di specialità storiche e culturali. Ciascuna di queste specialità, oserei dire specialità particolari, fra le pur mille splendide e spesso uniche specialità italiane, ha giustificato il riconoscimento di forme di autonomia più accentuate di quelle riconosciute alle regioni a statuto ordinario. E oggi questo esempio di quadro istituzionale composito e già differenziato, anche prima dell'approvazione dell'autonomia differenziata, dimostra come l'Italia abbia sempre tenuto a un perfetto equilibrio nella diversità, valore aggiunto e mai limitazione delle potenzialità di questo Paese, unico per bellezza e complessità storica.

Ecco perché, Presidente, mi avvicino, presentandola, a questa riforma costituzionale, perché di legge costituzionale parliamo, con la cura e l'attenzione che questi passaggi meritano e impongono, anche con la cautela che queste operazioni di riscrittura di passi di uno statuto di autonomia impongono. Lo dico, essendo anche io figlio di una regione a statuto speciale, “la più speciale tra le speciali”, voglio citare il Presidente della Repubblica Napolitano. Invero, la specialità per sua natura è sempre esclusiva e, quindi, il Friuli-Venezia Giulia, che rappresenta il contrasto di un territorio dalle Alpi all'Adriatico, affacciato su quel lungo confine che ha segnato tanti dolori e che oggi è vitale elemento di scambio culturale che mai è limitato, però, dal dovere del ricordo, con quella sua vitalità figlia dell'intreccio tra l'orgoglio friulano e la nobiltà giuliana, con la sua minoranza di lingua slovena, il Friuli-Venezia Giulia rivendica tante cose in una. Il suo essere speciale, ma anche il suo essere parte di un leale e ordinato rapporto, fondato sulla sussidiarietà, rispetto allo Stato e ai suoi enti locali. Da qui prende le mosse questa riforma dello statuto di autonomia, adottato con legge costituzionale n. 1 del 1963, e che nasce, in questo caso, da una iniziativa del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia. Nel corso dell'esame in sede referente, la Commissione ha approvato tre emendamenti, all'esito del quale la proposta di legge oggi risulta formata, come ci è stato illustrato dalla relatrice, da 10 articoli. Un passaggio, quello delle modifiche introdotte in sede di discussione in prima lettura in Commissione affari costituzionali, su cui ritornerò a breve. L'oggetto principale delle modifiche proposte riguarda la reintroduzione nello statuto regionale - ne abbiamo discusso sinora - della previsione di enti di area vasta, titolari di funzioni amministrative proprie, con organi di elezione diretta, accanto ai comuni o città metropolitane e alla regione. La disciplina di tali enti è demandata alla legge regionale. Tali proposte segnano un superamento della riforma degli enti locali, attuata nel corso della XVII legislatura e culminata, poi, con l'approvazione della legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1, che ha modificato lo statuto della regione Friuli-Venezia Giulia, sopprimendo il livello di governo delle province e delineando un assetto istituzionale che contempla oggi solo due livelli di governo: la regione e i comuni.

La proposta di legge costituzionale in esame prevede, in sintesi, la modifica della disciplina del referendum confermativo sulla legge sulla forma di governo e sistema elettorale regionale che viene interamente rimessa alla legge regionale, l'introduzione di un numero fisso di consiglieri regionali (49) - attualmente invece il numero è variabile e commisurato alla popolazione residente nel territorio regionale - e l'abrogazione di alcune disposizioni statutarie con finalità di manutenzione normativa.

La grande innovazione, da cui l'attivazione del consiglio regionale, è però - come detto - quella che ruota attorno al nuovo assetto istituzionale, che prevede tre livelli di governo in luogo degli attuali due: la regione, gli enti di area vasta e i comuni. Nella semplificazione comunicativa, ciò è stato ribattezzato come il ritorno delle province, abolite in Friuli-Venezia Giulia, al termine di una campagna demagogica e anche iconoclasta che portò la maggioranza di allora - quando la prima novella richiamataci nel corso del dibattito fu approvata – a imporre l'abolizione delle province nel Friuli-Venezia Giulia, sulla base delle indicazioni dell'allora presidente Serracchiani e della sua maggioranza.

Ad anni di distanza, il bilancio di quella riforma è apparso palesemente fallimentare. Il consiglio delle autonomie ha approvato, con due sole astensioni, la proposta della giunta Fedriga, fortemente sostenuta anche da Fratelli d'Italia. È il ripristino di uno strumento di governo del territorio, avvertito dai cittadini da sempre come, a livello regionale, presente e consapevole della propria funzione, e lo sarà sempre di più e di nuovo - possiamo dire - con una organizzazione che sarà al passo dei tempi ed espressione della volontà popolare con l'elezione diretta, verso la quale la sinistra ha dimostrato di essere sempre allergica, e ne abbiamo avuto riprova anche quest'oggi, in Aula.

Preme soffermarsi brevemente sugli articoli.

L'articolo 1 è stato introdotto nel corso dell'esame in sede referente, una novella rispetto alla proposta del consiglio regionale. Le finalità sono chiare, di pura manutenzione normativa, modificando l'articolo 5 dello statuto, che individua le materie in cui la regione esercita una potestà legislativa concorrente, sostituendo le parole “edilizia popolare” con “edilizia residenziale pubblica”, un aggiornamento linguistico più opportuno. La chiarezza del dettato statutario è considerata, ormai, come un requisito opportuno e fondamentale per sostenere i frequenti conflitti di competenza rispetto alle prerogative statali. Questi conflitti sono esplosi esponenzialmente dopo l'introduzione della riforma costituzionale, imposta al Parlamento dalla sinistra nel 2001. È la riforma da cui trae origine il potente dibattito sul tema delle autonomie, che ha impegnato anche l'attuale Parlamento - così come l'intero Paese -, sul tema della sua applicazione che, sostanzialmente, è quello dell'attuazione della autonomia differenziata. L'autonomia differenziata è l'attuazione - lo ricordiamo per l'ennesima volta -, con regole di garanzia, di quanto inserito nella riforma costituzionale del 2001 che, però, prevedeva quei principi senza alcuna regola di garanzia.

I ricorsi da parte delle regioni autonome e dello Stato circa le rispettive competenze sono stati conseguenza negli anni della sempre più confusa distinzione di ruoli e funzioni fra l'uno e l'altro, legato proprio all'interpretazione dei ridefiniti ambiti di competenza con il forte condizionamento legato alle competenze che, nel tempo, la Corte costituzionale ha affermato o chiarito come trasversali, e come tali da attribuire all'uno o all'altro, secondo i principi dell'ordinamento della Repubblica e della sussidiarietà.

Ha un valore speciale e particolare, quindi, la corretta e puntuale definizione degli ambiti di competenza esclusiva e concorrente nell'ambito degli statuti delle regioni a statuto speciale, per limitare la conflittualità di interpretazione costituzionale, da cui discendono anche difficoltà amministrative, ed è quanto ci ha ricordato il Vice Ministro nel suo intervento. Anche in questo senso può definirsi essere orientata la modifica introdotta. È il corpo, peraltro, principale di questa riforma, quindi, la regione torna ad assegnarsi il potere di costituire le cosiddette province (gli enti di area vasta), riparando alla riforma Serracchiani del 2016. Un passaggio politico, ma anche organizzativo interno e di recupero di una funzione della regione autonoma di particolare importanza e significato, anche nel contesto del dibattito nazionale sul ruolo delle province.

L'articolo 3, introdotto in sede referente, invece modifica l'articolo 8 dello statuto, stabilendo che la regione esercita funzioni di programmazione, nonché funzioni amministrative nelle materie in cui ha potestà legislativa, a norma degli articoli 4 e 5, in conformità con i principi della Costituzione, evidentemente, e dello statuto.

All'articolo 4, che modifica l'articolo 11 dello statuto, si afferma proprio il principio del ruolo amministrativo e funzionale delle cosiddette nuove province, che saranno titolari di funzioni proprie, individuate con legge regionale.

L'articolo 5, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, è un'ulteriore novella del testo presentato dal consiglio regionale e modifica l'articolo 12 dello statuto. Con le modifiche approvate dalla Commissione, si stabilisce che la legge su forma di governo e sistema elettorale possa essere sottoposta a referendum regionale confermativo, secondo una disciplina prevista da apposita legge regionale. Pertanto, sono abrogati gli attuali quorum e i tempi previsti dallo statuto e i presupposti, oltre che le modalità di svolgimento del referendum regionale sulla legge, sono interamente rimessi alla legislazione regionale.

L'articolo 6 interviene sull'articolo 13 dello statuto e, analogamente a quanto previsto dalle leggi regolatrici dell'assetto istituzionale di altre regioni, stabilisce che il consiglio regionale si componga -come già richiamato - di un numero fisso di consiglieri (49). Avere un riferimento certo garantisce stabilità nel corso del tempo agli organismi rappresentativi, anche solo per i profili che riguardano la loro composizione.

L'articolo 7 ha un valore centrale in questa riforma, garantendo un'entrata garantita per gli enti di area vasta, in modo da garantire la possibilità di sostenere le finalità di questa istituzione. Non può esistere ente senza certezza di risorse.

L'articolo 8 fissa un altro criterio fondamentale che rivendichiamo, ossia gli enti di area vasta sono eletti direttamente dal popolo. Nessuna limitazione circa la volontà di riconsegnare questa realtà ai cittadini. Essi saranno enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione e dallo statuto, secondo la tradizione regionale.

L'articolo 9 della proposta di legge costituzionale cancella dallo statuto speciale alcune norme che risultano superate in attuazione della clausola di maggior favore, di cui all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del titolo V della Parte II della Costituzione. È importante, oltre a ciò, la previsione della sottoposizione al controllo di legittimità costituzionale solo successivamente alla pubblicazione delle leggi regionali, secondo lo stesso modello applicato anche alle leggi dello Stato, con possibilità di ricorsi reciproci, eliminando ogni riferimento ai controlli di merito antecedenti all'approvazione e all'entrata in vigore delle medesime norme. I controlli di legittimità sono successivi e non sospendono l'efficacia della misura legislativa. Ma anche questa è un'innovazione già contenuta nella riforma del 2001 e di cui, oggi, di fatto, si prende atto.

L'articolo 10, con una disposizione di coordinamento finale, prevede che agli enti di area vasta - come previsti nella riforma statutaria - si applichino, in quanto compatibili, le norme di attuazione statutaria previste per gli enti locali.

Questo è il corpo della legge che, quindi, interviene secondo le prerogative e la volontà della medesima regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia, che ha avviato la procedura nel ridefinire alcuni aspetti dello statuto, anche se centrale rimane il punto della ricostituzione degli enti di area vasta, delle province.

Una riflessione particolare, però, va dedicata alla procedura che ha comportato la modifica del testo originario proposto dal consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia da parte della Commissione affari costituzionali. La procedura di riforma degli statuti prevede, per le iniziative parlamentari o di Governo, il trasferimento del medesimo testo al consiglio regionale interessato per l'espressione di un parere di merito, con la possibilità anche di segnalare obiezioni sostanziali rispetto all'iniziativa assunta per via parlamentare. Non è questo il caso, perché l'iniziativa è del consiglio regionale. Ma sul testo approvato dal consiglio regionale sono intervenute, in ogni caso, alcune modifiche attraverso l'approvazione di emendamenti, in alcuni casi anche di significativa importanza e, in alcuni casi, anche di ispirazione della stessa politica regionale. La questione è stata ampiamente affrontata in Commissione in sede referente per approfondire tutti gli aspetti legati a eventuali obblighi connessi all'espressione di pareri da parte del consiglio regionale sulle modifiche introdotte in sede parlamentare.

Obblighi che non sono fissati da norme, ma che le buone prassi parlamentari hanno, in un certo senso, inteso rappresentare, garantendo la manifestazione di una particolare attenzione ai ruoli dei diversi livelli istituzionali coinvolti, quello parlamentare e quelli regionali delle regioni a statuto speciale. È il caso richiamato nel corso dei lavori in Commissione, relativo all'esame presso la Commissione affari costituzionali del Senato, nel corso della XVII legislatura - già richiamato, peraltro -, riguardanti modifiche alla legge costituzionale del 31 gennaio 1963, cioè lo statuto e prima del conferimento del mandato al relatore, allora, si era svolto un breve dibattito circa la necessità, a seguito di alcune modifiche introdotte dalla Commissione sul testo trasmesso dal consiglio regionale, di trasmettere il testo modificato allo stesso consiglio regionale per l'acquisizione di un parere. Ciò in ossequio al principio della leale collaborazione, ma anche - e cito il resoconto dei lavori della Commissione affari costituzionali del Senato del 6 maggio 2015 - al fine di non correre il rischio per le regioni di subire una modifica statutaria non preventivamente concordata. Tuttavia, risulta, dai medesimi verbali acquisiti, che la Commissione affari costituzionali del Senato avesse poi conferito, nella stessa seduta in cui si era svolto il dibattito sopra richiamato, il mandato al relatore a riferire in Assemblea ritenendosi, quindi, alla fine, che vi fosse da parte del Parlamento una competenza piena nell'approvazione delle leggi costituzionali per l'adozione degli statuti speciali.

Questa vicenda rappresenta perfettamente un caso di scuola o, meglio, ha generato una sensibilità verso il tema. Appare trasparente il criterio per cui le iniziative di modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale appartengono tanto al Governo, quanto al Parlamento, quanto ai consigli regionali interessati: tutti possono agire. Sulle iniziative parlamentari interviene il parere sul testo originario da parte dei consigli regionali interessati. Sulle modifiche apportate dal Parlamento sovrano non sono previste norme di coordinamento con le regioni interessate, le prassi parlamentari hanno manifestato, come evidenziato dal dibattito che ho sopra richiamato, una fortissima attenzione, in ogni caso, verso l'esigenza di massima cautela, verso modifiche ritenute opportune in sede parlamentare - sede parlamentare che, d'altronde, non può limitare i propri poteri sovrani - ma non coordinate con le regioni.

Il richiamato episodio del 2015 non è rimasto estraneo anche al dibattito successivo, tanto da avere generato de facto una particolare attenzione nel processo legislativo alle modifiche ritenute opportune dal Parlamento. Nel caso di questa proposta di riforma costituzionale dello Statuto che, ricordiamo, è in prima lettura ora alla Camera, dopo il lavoro preliminare e preparatorio in Commissione, c'è stato - prima dell'approdo in Aula, ora -, sulla base di annunciate interlocuzioni anche a livello politico fra delegazioni parlamentari e la rappresentanza dell'istituzione regionale del Friuli-Venezia Giulia, un passaggio politico non vincolante ma di assoluto valore d'orientamento, in consiglio regionale, il 14 maggio 2024, con l'approvazione ad ampia maggioranza di una mozione, n. 70, dal titolo “Parere favorevole in ordine agli emendamenti approvati in I Commissione permanente affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni alla proposta di legge C 976 costituzionale di modifica dello Statuto della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia”.

Possiamo, Presidente, con questo, rivendicare l'efficacia di un approccio improntato al dialogo, benché non vincolato, fra l'autonomia e le istituzioni parlamentari nazionali, rivolto nell'autentico spirito di leale collaborazione a rafforzare gli strumenti e le opportunità regionali, come elemento di crescita per l'intera Nazione, somma di tutte le realtà locali in cui sono comprese quelle speciali. È con questo spirito che, non solo, salutiamo la scelta del consiglio regionale, del Friuli-Venezia Giulia, di avere intrapreso coraggiosamente - sottolineo - la strada di un rafforzamento attraverso gli enti di area vasta del rapporto fra cittadini e istituzioni, ma anche la condivisione che sta prendendo forma nelle Aule parlamentari di questo processo che vede protagonista la regione. Non c'è contraddizione e non c'è mai contrapposizione fra ruoli, funzioni e spinta all'innovazione delle regioni rispetto al ruolo di garanzia esercitato dalle istituzioni nazionali, perlomeno così dovrebbe essere. Mai come in questo caso, questa perfetta sintesi di volontà sta prendendo forma.

E mi permetta, Presidente, di esprimere l'orgoglio che, al principio di questo mio intervento, avevo inteso mostrare, rispetto alla grande responsabilità che in questo momento ci stiamo assumendo come legislatori a cui è assegnato il dovere di rappresentare l'intera Repubblica, compreso il sistema delle autonomie, anche quelle speciali, nello scrivere una pagina importante nella riforma di un altrettanto importante mattone su cui è costruita la nostra Repubblica: lo statuto di autonomia del Friuli-Venezia Giulia.

PRESIDENTE. Saluto le studentesse, gli studenti e i docenti dell'Istituto di Istruzione Superiore “Stendhal” di Civitavecchia, in provincia di Roma, che assistono ai nostri lavori dalle tribune e li ringraziamo per questo. Precisiamo che siamo in presenza della discussione generale senza voti di un importante provvedimento, sono presenti in Aula tutti coloro i quali svolgeranno - e solo coloro i quali svolgeranno - il proprio contributo, insieme al Vice Ministro Gava, in rappresentanza del Governo (Applausi).

È iscritta a parlare la deputata Carmela Auriemma. Ne ha facoltà.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie. Presidente. Vice Ministro, onorevoli colleghi e colleghe, intervengo brevemente anche perché sembra quasi un ossimoro intervenire sullo statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia. Come detto già dai miei colleghi, la proposta di legge costituzionale di iniziativa del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia introduce alcune modifiche importanti allo statuto speciale della regione autonoma, adottato nel 1963. L'oggetto principale delle modifiche proposte riguarda sostanzialmente la reintroduzione nello statuto regionale della previsione di enti di area vasta, titolari di funzioni amministrative proprie e con organi di elezione diretta, accanto ai comuni, alle città metropolitane e alle regioni.

In particolare, la disciplina di tali enti è demandata alla legge regionale. Oltre a ciò, la proposta di legge in esame prevede l'introduzione di un numero fisso di consiglieri regionali in luogo di quanto attualmente previsto dallo statuto, per cui il numero dei consiglieri è commisurato alla popolazione residente nel territorio regionale. C'è l'abrogazione di alcune disposizioni statutarie con finalità di manutenzione normativa. Si ricorda, sul punto, che già nella XVII legislatura era stata approvata una modifica dello statuto della regione Friuli-Venezia Giulia, che sopprimeva il livello di governo delle province e delineava un nuovo assetto istituzionale che, sostanzialmente, contemplava due livelli di governo: le regioni e i comuni. Quest'ultima riforma ha introdotto nello statuto altresì il nuovo ente della città metropolitana, equiparata al livello del governo comunale.

In sostanza, con questa proposta di legge costituzionale, si torna indietro allo schema precedente. Noi avevamo rappresentato alcune perplessità visto che al Senato è in corso, in una fase anche avanzata, l'esame di provvedimenti che potrebbero reintrodurre lo status delle province, in particolare attraverso la modalità di elezione diretta. Quindi, ci sembrava opportuno attendere l'avanzamento di questa riforma e, quindi, partire un po' insieme. In Commissione abbiamo, sostanzialmente, fatto due rilievi: un primo rilievo che riguarda una questione procedurale e un altro rilievo che riguarda la legittimità rispetto al contenuto della proposta di legge, legittimità costituzionale, intendo. Per quanto riguarda il rilievo procedurale, abbiamo fatto presente che è stato approvato un emendamento sostanzialmente in sede referente, quindi, con una modifica del testo proposto dalla regione senza però, a seguito dell'emendamento, riottenere il parere della regione. Su questo punto, il mandato al relatore è stato conferito su un testo sostanzialmente modificato rispetto alla versione originale predisposta dalla regione, con ciò, quindi, determinando un'incompatibilità sia per quanto riguarda delle norme dello statuto e sia con l'articolo 138 della Costituzione. Al riguardo, ricordo che l'articolo 63 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia prevede che i progetti di modificazione dello statuto, di iniziativa governativa o parlamentare, siano comunicati dal Governo della Repubblica al consiglio regionale che esprime il suo parere entro due mesi. Quindi, era evidente che, nel modificare il testo, fosse necessario un nuovo parere.

Su questo, abbiamo fatto un intervento più volte in Commissione, sollevato la questione in Commissione, ricordando che, già nel 2016, nella discussione che si è sviluppata in Senato durante l'esame e l'approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2016, di modifica anch'essa dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, si è proceduto a licenziare anche in questo caso il testo difforme rispetto a quello presentato dalla regione. All'epoca, nella Commissione affari costituzionali del Senato, si valutò se acquisire questo testo modificato, sottolineando di attendere le decisioni dell'Assemblea del Senato. Successivamente - in realtà dopo il passaggio alla Camera, dopo l'esame della Camera - la Commissione affari costituzionali ritenne, con le modifiche apportate al Senato, di non procedere senza sottoporre il testo al presidente del consiglio regionale del Friuli.

Quindi, noi abbiamo questo precedente, che, in realtà, va a favore della nostra tesi, cioè che è necessario sottoporre il nuovo testo, così come è stato emendato, al consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia. Per questo abbiamo stigmatizzato in Commissione questo modo di procedere e, quindi, questa violazione non soltanto dell'articolo 138, ma anche dell'articolo 63 dello statuto. Per quanto riguarda, invece, il secondo rilievo che abbiamo introdotto, riguarda l'elezione diretta degli enti di area vasta, che è in conflitto con la Costituzione, o meglio, rappresenta una vera e propria deroga alla Costituzione, e il conflitto di tale disposizione rispetto alla legge cosiddetta Delrio, che abbiamo tutti rimarcato, siccome aveva introdotto il sistema indiretto di tali enti.

In realtà, la Corte costituzionale su tale punto si è già espressa con la sentenza n. 168 del 2018, che ha dichiarato illegittima la legge della regione Sicilia, la n. 17 del 2017, nella parte in cui prevede il suffragio universale e diretto per l'elezione del presidente e il libero consorzio comunale, e per l'elezione del sindaco e del consiglio metropolitano.

In questo caso, la Corte costituzionale ha fatto dei passaggi importanti sulla ratio, sui principi della cosiddetta legge Delrio. In particolare, ha ricordato che la legge Delrio è stata una riforma che ha previsto una nuova governance degli enti territoriali, puntando a una riforma soprattutto economica e sociale, limitando la potestà legislativa, in questo campo, di tutte le regioni. In particolare, nella sentenza n. 168 del 2018, dove si dichiara l'illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge regionale che avevano previsto l'elezione diretta del sindaco metropolitano e del consiglio metropolitano, la Corte costituzionale ha evidenziato che i meccanismi previsti di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi enti di area vasta sono funzionali all'obiettivo di semplificazione dell'ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono a un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all'elezione diretta.

Ci tengo a fare un inciso: si è più volte sottolineata l'importanza della votazione diretta rispetto agli enti territoriali, come se questa potesse essere, però, la formula per riavvicinare l'elettorato alla politica e alle elezioni. Sappiamo che non è così perché, anche quando c'è l'elezione diretta, l'astensionismo è altissimo. Quindi, è evidente che l'elezione è indiretta, ma è indiretta per chi? Vanno a votare i rappresentanti, i consiglieri comunali, che, a loro volta, rappresentano comunque un elettorato cittadino. Quindi, sono comunque rappresentanti del popolo di quel comune che vanno a esprimere un voto. Quindi, in realtà, questa rappresentanza monca non è estremamente condivisibile, perché il consigliere comunale rappresenta, a sua volta, una parte della propria città.

Su questo, quindi, noi abbiamo rilevato dei dubbi, delle perplessità, abbiamo stigmatizzato il provvedimento in Commissione e ribadiamo le nostre perplessità oggi in Aula. Pertanto, è necessario, a nostro avviso, ottenere nuovamente il parere della regione Friuli-Venezia Giulia, del consiglio regionale. Ci sembra quasi un paradosso che a mortificare e a violare lo statuto del Friuli-Venezia Giulia sia proprio la Lega, che con un proprio emendamento ha modificato il testo originale, quindi la volontà originale della regione, senza però poi interpellarla in un secondo momento. Queste sono le nostre perplessità e, per tali motivi, anticipiamo, rispetto alla dichiarazione di voto che ci sarà in seguito, il voto contrario al provvedimento.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 976-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Simona Bordonali, che rinuncia. Ha facoltà di replicare la Vice Ministra Gava, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 1 ottobre 2024 - Ore 11:

1. Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

(ore 14)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni in materia di lavoro (Testo risultante dallo stralcio, disposto dal Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, e comunicato all'Assemblea il 28 novembre 2023, degli articoli 10, 11 e 13 del disegno di legge n. 1532​). (C. 1532-bis-A​)

Relatrice: NISINI.

3. Seguito della discussione delle mozioni Polidori ed altri n. 1-00204, Di Biase ed altri 1-00209 e Sportiello ed altri n. 1-00214 concernenti iniziative per la prevenzione e la cura del tumore al seno .

4. Seguito della discussione delle mozioni Richetti ed altri n. 1-00316, Appendino ed altri n. 1-00327, Grimaldi ed altri n. 1-00328 e Caramanna, Barabotti, Squeri, Cavo ed altri n. 1-00335 concernenti iniziative per il rilancio produttivo e occupazionale degli stabilimenti italiani di Stellantis .

5. Seguito della discussione delle mozioni Ghirra ed altri n. 1-00326, Quartini ed altri n. 1-00329, Faraone ed altri n. 1-00333 e Gribaudo ed altri n. 1-00334 concernenti iniziative in materia di parità di genere, con particolare riguardo alle condizioni lavorative, economiche e sociali delle donne .

6. Seguito della discussione della proposta di legge:

CHIESA ed altri: Riconoscimento del relitto del regio sommergibile " Scirè " quale sacrario militare subacqueo. (C. 1744​)

Relatrice: CHIESA

7. Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

BICCHIELLI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico del territorio italiano, sull'attuazione delle norme di prevenzione e sicurezza e sugli interventi di emergenza e di ricostruzione a seguito degli eventi calamitosi verificatisi dall'anno 2019. (Doc. XXII, n. 31-A)

Relatrice: SEMENZATO.

8. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:

D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA: Modifiche alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia. (C. 976-A​)

Relatrice: BORDONALI.

La seduta termina alle 12,05.