Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 10 marzo 2023

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    il sistema delle fonti sovraordinate del diritto processuale penale costituisce oggi un sistema complesso all'interno del quale, a fianco della Costituzione, si trovano la normativa dell'Unione europea e i trattati internazionali e in particolare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo;

    la complessità di tali fonti primarie impone che tutti i protagonisti del sistema «giustizia penale», dal legislatore nazionale, ai giudici fino alle parti processuali, acquisiscano una piena consapevolezza della necessità di dare concreta attuazione ai princìpi del processo penale europeo;

    il diritto all'equo processo è affermato quale diritto fondamentale dell'uomo e, dunque, riconosciuto in tutti gli ordinamenti degli Stati di diritto dall'articolo 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi;

    la fonte di matrice comunitaria cui in primis occorre fare riferimento è la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che, come noto, ha valore normativo nei confronti dei Paesi membri del Consiglio d'Europa, con disposizioni che assurgono al rango di regole precettive di prerogative specifiche e a tutela di ogni persona;

    nell'ambito della Carta fondamentale dei diritti dell'uomo, la posizione e le garanzie che devono assistere l'autorità giurisdizionale chiamata a decidere di una singola controversia trovano regolamentazione nell'articolo 6 che si annovera fra quelli più importanti e discussi della Cedu e affronta il tema dell'equo processo, della ragionevole durata (articolo 6 § 1), della presunzione di innocenza (articolo 6 § 2) e delle garanzie processuali dell'imputato in relazione al principio del contraddittorio (articolo 6 § 3);

    nell'ottica di tali garanzie, ruolo di primaria importanza ha il cosiddetto right to be heard, ossia il diritto ad essere ascoltati, riconoscimento all'imputato di potersi confrontare in giudizio con l'accusatore, previsto all'articolo 6 § 3 lettera d) della Cedu, nell'ambito del più ampio principio del contraddittorio disciplinato anche dalle costituzioni e legislazioni nazionali;

    l'articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'affermare che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, precisa che la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale, quando lo esigono gli interessi dei minori, la protezione della vita privata delle parti in causa o rischio di pregiudizio agli interessi della giustizia. Per il paragrafo 2: «Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Il paragrafo 3 lettera d), stabilisce che ogni accusato ha diritto di: «esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico»;

    secondo la giurisprudenza della Corte EDU, nel rispetto dell'articolo 6 paragrafo 3 lettere d), vi è la necessità di un contraddittorio effettivo, per cui la condanna non può essere basata solo su dichiarazioni rese in una fase antecedente al dibattimento;

    nonostante il radicamento dei princìpi Cedu negli ordinamenti nazionali, permangono alcune problematicità di adeguamento del nostro sistema processuale penale al diritto della Convenzione. Se si considera l'articolo 111 della Costituzione sul diritto al contraddittorio, si può notare che i commi 4 e 5 non coincidono pedissequamente con quanto stabilito dall'articolo 6 paragrafo 3 lettera d) della Convenzione. Ciò implica un deficit di garanzie dell'ordinamento interno rispetto ai diritti previsti dalla Cedu, con particolare riguardo alle dichiarazioni assunte in assenza di contraddittorio. Tale lacuna sussiste nonostante la novella costituzionale dell'articolo 111 di cui alla legge di revisione costituzionale n. 2 del 1999;

    l'articolo 111 della Costituzione recita: «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato (...) abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (...). Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita»;

    strettamente interconnesse con le norme di rango sovranazionale vi è, dunque, il plesso delle disposizioni precipuamente dedicate dalla Costituzione alla materia penale. Si tratta di una messe di princìpi garantistici, sviluppati per definire presupposti, contenuto e limiti della potestà punitiva;

    alcuni di questi princìpi sono espressi, come il principio di legalità nei fondamentali corollari della riserva di legge e della irretroattività, previsti dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione; il principio della personalità della responsabilità penale, di non colpevolezza e della finalità rieducativa della pena – scolpiti nell'articolo 27 della Costituzione – e il menzionato principio del giusto processo di cui all'articolo 111 della Costituzione; altri sono princìpi implicitamente ricavati da costrutti argomentativi di variegata complessità, quali il principio di tassatività/determinatezza, quello di retroattività della legge penale più favorevole, i princìpi di materialità e offensività al pari di quello di sussidiarietà della norma penale o di extrema ratio. Di sostrato non si possono sottacere i princìpi fondamentali contenuti negli articoli 2 e 3 della Carta fondamentale;

    la centralità dell'imputato e la preminente esigenza di garantire i suoi diritti fondamentali nel contesto di un processo per ciò stesso definito equo è via via emersa in una visione antropocentrica della procedura penale che è già stata icasticamente definita «umanesimo processuale»;

    nondimeno nel nostro Paese si ravvisano dei forti scollamenti delle prassi giudiziarie rispetto al citato impianto primario di riferimento sotto diversi profili: i più rilevanti sono certamente quello della ragionevole durata del processo e quello della presunzione di non colpevolezza;

    sotto il primo profilo, il Consiglio europeo, nelle sue annuali Raccomandazioni ha costantemente sollecitato l'Italia a «ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio», nonché ad «aumentare l'efficacia della prevenzione e repressione della corruzione riducendo la durata dei processi penali e attuando in nuovo quadro anticorruzione» (cfr. Raccomandazioni del 2017-2019);

    la Commissione europea, nella Relazione per Paese relativa all'Italia 2020 (Country Report 2020) del 26 febbraio 2020, ha rilevato come l'Italia abbia compiuto progressi solo limitati nel dare attuazione alle sopra citate Raccomandazioni. In particolare, nel settore penale, si è rilevato il perdurare della scarsa efficienza del processo, soprattutto di appello;

    da ultimo, nelle Raccomandazioni specifiche all'Italia del 20 luglio 2020 il Consiglio europeo ha nuovamente invitato l'Italia ad adottare provvedimenti volti a «migliorare l'efficienza del sistema giudiziario»;

    non a caso, dunque, il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali, un limite al potenziale di crescita dell'Italia. La riforma del sistema giudiziario, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal PNRR tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano. Per realizzare questa finalità, il Piano prevede – oltre a riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa – anche il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell'intero sistema giudiziario, al quale sono destinati specifici investimenti;

    la legge n. 134 del 2021, recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» (Riforma Cartabia) ha risposto a tale istanza, ma solo parzialmente, anche in ragione della variegata composizione delle forze di maggioranza, ma il tema della ragionevole durata del processo rimane questione tutt'oggi aperta. Ridurre l'arretrato e accelerare i processi rappresenta ancora oggi una priorità, ma non a totale scapito e detrimento delle garanzie della difesa;

    la prescrizione sostanziale è un fondamentale elemento acceleratorio, e il suo venir meno, più che una cura, suona come il certificato della malattia cronica della giustizia italiana. Porre il processo al di fuori del flusso del tempo danneggia tutti: la vittima, e la collettività tutta, che hanno un comune interesse al celere accertamento della responsabilità e alla punizione del reato. L'innocente, già danneggiato dal sol fatto di essere sottoposto al procedimento, e per il quale ogni giorno in più alla gogna è un supplizio intollerabile; lo stesso colpevole, che ha diritto di veder definita in breve la sua vicenda, scontando la sanzione per poi reinserirsi in società;

    sempre in un'ottica di maggiore efficienza del procedimento penale e di effettività delle garanzie dell'imputato, s'impone di evidenziare il regime di impugnazione delle sentenze di proscioglimento da parte dei pubblici ministeri. La questione è stata affrontata dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46 (legge Pecorella) che escludeva la possibilità per il pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento, salvo l'emergere di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. La Consulta, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'incostituzionalità della norma sopra riferita in quanto negazione del principio di parità delle parti, impedendo al pubblico ministero il potere di impugnare una sentenza di primo grado in appello. La medesima pronuncia della Corte costituzionale ha rilevato come «le fisiologiche differenze che connotano le posizioni delle due parti necessarie del processo penale, correlate alle diverse condizioni di operatività e ai differenti interessi dei quali, anche alla luce dei precetti costituzionali, le parti stesse sono portatrici – essendo l'una un organo pubblico che agisce nell'esercizio di un potere e a tutela di interessi collettivi; l'altra un soggetto privato che difende i propri diritti fondamentali (in primis, quello di libertà personale), sui quali inciderebbe una eventuale sentenza di condanna – impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell'iter processuale, in un'assoluta simmetria di poteri e facoltà»;

    sul punto giova ricordare l'articolo 2 del protocollo numero 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, o l'articolo 14, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, di cui alla legge 25 ottobre 1977, n. 881. Tali norme prevedono che la persona condannata per un reato abbia diritto a che l'accertamento di colpevolezza sia esaminato da un tribunale superiore o di seconda istanza. Diritto riconosciuto solo all'imputato e non all'accusa;

    occorre, dunque, ridisegnare il sistema delle impugnazioni alla luce delle coordinate costituzionali e convenzionali, alla luce delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, che ha rimarcato – in modo sempre più accentuato – la «diversa quotazione costituzionale del potere di impugnazione delle due parti necessarie del processo penale: privo di autonoma copertura nell'articolo 112 della Costituzione – e, dunque, più "malleabile", in funzione della realizzazione di interessi contrapposti – quello della parte pubblica; intimamente collegato, invece, all'articolo 24 della Costituzione – e, dunque, meno disponibile a interventi limitativi – quello dell'imputato» (sent. 34/2020);

    in relazione, poi, alla presunzione di non colpevolezza, l'8 dicembre 2022 la Commissione europea ha adottato una raccomandazione (C-2022-8987) sui diritti procedurali degli indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione con la quale ha invitato, a chiare lettere, gli Stati membri ad «adottare misure effettive, adeguate e proporzionate, per rafforzare i diritti di tutti gli indagati e degli imputati in un procedimento penale che si trovano privati della libertà». La Commissione ha precisato che gli Stati devono «garantire alle persone oggetto di privazione della libertà di essere trattate con dignità e che i loro diritti fondamentali siano rispettati», ma soprattutto, la custodia cautelare deve essere considerata «misura da ultima istanza»;

    il tema della misure cautelari personali è inesorabilmente e strettamente connesso con i fondamenti della legislazione costituzionale di garanzia: dal principio di inviolabilità della libertà personale (articolo 13, comma 1 della Costituzione), alla riserva di legge che esige la tipizzazione dei casi e dei modi nonché dei tempi di limitazione di tale libertà, alla riserva di giurisdizione che esige sempre un atto motivato del giudice (articolo 13, secondo e quinto comma, della Costituzione), fino – come detto – alla presunzione di non colpevolezza (articolo 27, secondo comma della Costituzione), in forza della quale l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Nel nostro Paese, il mancato rispetto dell'impianto costituzionale di riferimento è drammaticamente testimoniato dai dati riferiti nell'ultima Relazione annuale del Ministro della giustizia al Parlamento ex legge 16 aprile 2015, n. 47: ventiquattro milioni e mezzo di euro è quanto ha pagato lo scorso anno lo Stato per risarcire quanti hanno ingiustamente subìto la custodia cautelare in carcere. Si tratta di persone private della libertà senza che abbiano commesso alcun reato e prima di una sentenza anche non definitiva. Vittime di un potere oltre limite, quello di limitare la libertà personale di un cittadino, extra e ante contraddittorio;

    s'impone, dunque, una riflessione molto rigorosa sulla «genesi» dell'intervento cautelare nonché sulla effettività del controllo giurisdizionale in ordine alle richieste del pubblico ministero, rendendo più stringenti i presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, in particolare incidendo sulle condizioni meno aderenti al principio di legalità, quale il rischio di reiterazioni di reati della medesima specie di quello per cui si procede (articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale);

    in relazione ai princìpi di legalità, della residualità del diritto penale, nonché del diritto alla privacy, una grave tensione con i princìpi fondanti del procedimento penale è posta dall'utilizzo delle intercettazioni e, nello specifico dall'utilizzo dei captatori informatici (così detto trojan horse);

    in relazione all'utilizzo dei captatori informatici si rileva, da un lato, che l'assimilazione, per quanto concerne il loro impiego, tra reati contro la pubblica amministrazione e reati di mafia e terrorismo, fattispecie punite con pene completamente diverse, in quanto fenotipi criminosi completamente diversi, crea una irragionevole assimilazione, introducendo un elemento di irrazionalità che pregiudica la coerenza interna del sistema. Il principio costituzionale di eguaglianza impone di trattare situazioni eguali in modo eguale e situazioni diseguali in modo diseguale. Rispetto a tale previsione si ravvisa, altresì, un eccesso di legislazione penale;

    se da un lato l'utilizzo del trojan, introdotto nell'ordinamento penale italiano con la legge 23 giugno 2017, n. 103 – cosiddetta riforma Orlando – rappresenta lo strumento più penetrante ed efficace nel contrasto alla commissione di reati ritenuti di particolare gravità di tipo associativo e di terrorismo, dall'altro è lo strumento che più viola la sfera di intimità dell'intercettato, con l'evidente rischio di una diversa destinazione d'uso atto a violare la privacy degli individui, nonostante la Corte di cassazione abbia confermato che vada esclusa la riconducibilità del trojan agli strumenti di pressione sulla libertà fisica e morale il cui uso è vietato dall'articolo 188 del codice di procedura penale;

    sembra opportuno e doveroso che il legislatore intervenga per correggere simili distonie, escludendo i reati minori dalla possibilità di utilizzo dei captatori informatici nelle indagini preliminari;

    sempre in relazione alla privacy e alla presunzione di non colpevolezza, si deve rilevare come la diffusione degli atti nel corso di procedimenti, come evidenziato dal Ministro Nordio durante l'audizione al Senato in Commissione giustizia «è uno strumento micidiale di violazione» dei diritti, «di delegittimazione personale e spesso politica»;

    è dunque necessaria una risposta normativa che tuteli effettivamente e concretamente il cittadino da tale fenomeno;

    il primo comma dell'articolo 191 del codice di procedura penale sancisce chiaramente la inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge. Nondimeno, reiterati arresti della Suprema Corte hanno, con quella che appare ai firmatari del presente atto come un'interpretazione «creativa», introdotto nel nostro ordinamento una sorta di distinzione, non prevista dal legislatore, tra inutilizzabilità «patologica» e altri modelli di inutilizzabilità, distinzione divenuta ormai «diritto vivente». Invero, l'imputato che sceglie – legittimamente – il giudizio abbreviato, presta acquiescenza – secondo la giurisprudenza sopra richiamata – alla utilizzabilità di un atto acquisito in violazione di legge, la cui irrituale acquisizione è sanata dalla «scelta negoziale della parte di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza il rispetto delle forme di rito» (vedasi ex multis, Cass. Pen., Sez. IV, 10 novembre 2021, n. 40550, Cass. Pen., Sez. III, 14 dicembre 2011, n. 46325). In ossequio al grigliato di princìpi di riferimento governanti il procedimento penale, si rende necessario intervenire per ribadire la inutilizzabilità degli atti illegittimamente acquisiti, indipendentemente dalle opzioni processuali dell'imputato;

    in materia del necessario rispetto dell'articolo 25 della Costituzione, l'articolo 192 del codice di procedura penale, relativo al regime di valutazione della prova, ribadisce innanzitutto il principio del libero convincimento del giudice, in un'ottica di rigorosa tutela della legalità sul piano probatorio. La norma delimita il libero apprezzamento del giudice in due precisi ambiti: in generale, si esclude che possano essere utilizzati elementi di natura meramente indiziaria, a meno che tali elementi siano gravi, precisi e concordanti (articolo 192, comma 2, codice di procedura penale). In relazione alle dichiarazioni dei coimputati nel medesimo reato o degli imputati in un procedimento connesso ex articolo 12 del medesimo codice di procedura penale, la norma stabilisce che esse devono sempre essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità (articolo 192, comma 3). Il medesimo principio vale altresì in riferimento alle dichiarazioni rese dall'imputato in un reato collegato a quello per cui si procede ex articolo 371, comma 2, del medesimo codice di procedura penale, nonché in relazione alle dichiarazioni all'imputato che abbia assunto l'ufficio di testimone ex articolo 197-bis (articolo 192, comma 4). Tale regime rafforzato relativo alle dichiarazioni rese da altri soggetti debbono essere estese alle intercettazioni indirette, ossia quelle intercettazioni concernenti le conversazioni telefoniche o tra presenti di soggetti diversi dall'indagato, dall'imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione;

    nel corso dell'esposizione delle linee guida del suo dicastero, il Ministro della giustizia ha evidenziato che dai dati relativi all'abuso d'ufficio emerge solo il 3 per cento di condanne, mentre le statistiche indicano 5.400 procedimenti nel 2021, conclusi con 9 condanne davanti al Gip e 18 in sede di dibattimento;

    lo stesso Ministro ha evidenziato che «... L'unica conseguenza è il rischio di essere indagati. ...», rilevando la necessità di «... abbandonare l'idea di tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione con minaccia della pena», e ricordando gli appelli dei sindaci di diverse parti politiche in direzione di una riforma di questi reati che comportano soltanto un vulnus all'efficiente funzionamento del procedimento penale;

    le modifiche si rendono necessarie per operare un cambio di rotta da più parti auspicato e superare una delle tante criticità della giustizia italiana che, piuttosto che ridare slancio alla pubblica amministrazione, e, attraverso essa, perseguire obiettivi di ripresa economica del nostro Paese, creano danni e alimentano disfunzioni;

    il rispetto del principio di legalità, in uno con i princìpi di sussidiarietà e di extrema ratio che debbono governare l'impiego del diritto penale, presentano gravi aspetti di frizione con l'articolo 346-bis del codice penale, rubricato «Traffico di influenze illecite», introdotto con la legge 6 novembre 2012, n. 190, con lo scopo di contrastare i fenomeni corruttivi che orbitano intorno alla pubblica amministrazione, punendo l'insieme delle condotte prodromiche all'atto corruttivo vero e proprio. Successivamente, nel 2019, con la legge cosiddetta «Spazzacorrotti» (legge 9 gennaio 2019, n. 3), si è voluta ampliare la tutela della fattispecie esaminata, facendovi confluire la fattispecie del millantato credito, contestualmente abrogata. Il reato de quo è volto a individuare e sanzionare tutte le condotte preparatorie; esso si struttura come illecito plurisoggettivo o a concorso necessario; l'attività sanzionata è quella della mediazione del soggetto attivo che intende approfittare di relazioni esistenti o fittizie con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio;

    l'eccessiva anticipazione della tutela penale, ovvero per il concentrarsi della norma sulla «mera mediazione» più che sull'«effettivo risultato lobbistico» e, ancor più, per l'uso nella descrizione della condotta penalmente rilevante di formule vaghe quanto ambigue, impongono un intervento riformatore sulla fattispecie costituzionalmente orientato;

    in relazione alla presunzione di non colpevolezza si deve evidenziare come il testo unico di cui al decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (cosiddetta legge Severino), abbia introdotto nel nostro ordinamento alcune importanti disposizioni anticorruzione, intervenendo sulla materia dell'incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze di condanna. Tali disposizioni presentano evidenti aspetti di disomogeneità;

    la maggior parte delle sue disposizioni prevede l'incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo come conseguenza di una condanna definitiva, mentre le disposizioni di cui agli articoli 8 e 11 prevedono la sospensione di amministratori regionali e locali a seguito di sentenze non definitive. Chi sbaglia deve pagare, ma non è tollerabile il pubblico ludibrio quando nel 97 per cento dei casi l'azione penale si risolve in un nulla di fatto: la stragrande maggioranza di queste sospensioni decade alla loro scadenza e l'unica conseguenza che ne deriva è un grave danno per la vita della comunità, che rimane senza guida, e per le figure dei pubblici amministratori coinvolti, la cui vita politica e personale viene inevitabilmente segnata;

    pare, quindi, fondamentale un sollecito intervento del legislatore idoneo a realizzare un nuovo bilanciamento che rispetti parimenti le esigenze di legalità e il principio di garanzia costituzionale di cui all'articolo 27 della Costituzione;

    alla luce delle suesposte considerazioni, s'impongono iniziative legislative atte ad adeguare la normativa italiana ai princìpi nazionali e sovranazionali in materia di equo processo così garantendo, al contempo, l'effettività dello stato di diritto,

impegna il Governo:

1) a intraprendere le opportune iniziative legislative atte a ristabilire il regime della prescrizione sostanziale;

2) a intraprendere le necessarie iniziative normative in materia di regime di impugnabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del magistrato del pubblico ministero, in asse con i princìpi costituzionali ed europei;

3) ad adottare le opportune iniziative normative in materia di misure cautelari personali atte a garantire il principio di presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della Costituzione, incidendo, a monte, sui presupposti per la loro applicazione e, nello specifico, su quelli non aderenti al necessario rispetto del principio di legalità quali quello previsto dall'articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale e, quindi rafforzando sia il controllo giurisdizionale sulle medesime sia l'obbligo motivazionale;

4) ad adottare le opportune iniziative normative, in ossequio ai princìpi di legalità, della residualità del diritto penale, di proporzionalità, in materia di intercettazioni e, nello specifico, di utilizzo dei captatori informatici volte a escludere i reati contro la pubblica amministrazione da quelli che consentono il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova;

5) a intraprendere le opportune iniziative normative volte a limitare concretamente la pubblicazione degli atti d'indagine, fino all'udienza preliminare, prevedendo adeguate sanzioni, anche di natura amministrativa;

6) ad adottare le iniziative di competenza necessarie atte a inibire la pubblicazione, anche parziale del contenuto di intercettazioni, nell'equo contemperamento del principio della presunzione di non colpevolezza con il diritto di cronaca;

7) ad adottare iniziative normative volte a prevedere, in materia di inutilizzabilità degli atti di indagine acquisiti in violazione di legge, l'assolutezza del relativo divieto ex articolo 191 del codice di procedura penale, anche nel caso di ricorso da parte dell'imputato a riti alternativi;

8) a intraprendere le opportune iniziative legislative volte ad estendere l'applicazione del regime probatorio rafforzato di cui all'articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale alle intercettazioni concernenti conversazioni telefoniche o tra presenti svolte tra soggetti diversi dall'indagato, dall'imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione;

9) a intraprendere le iniziative legislative volte ad abrogare il delitto di abuso di ufficio di cui all'articolo 323 del codice penale;

10) ad adottare le iniziative normative necessarie a garantire il principio di legalità, nel rispetto dei vincoli discendenti dalla sottoscrizione della Convenzione di Merida, tipizzando maggiormente le relative condotte e posticipando la tutela penale in relazione all'effettivo risultato lobbistico;

11) ad adottare le opportune iniziative normative volte a modificare il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, prevedendo che le cause di sospensione degli amministratori regionali e locali siano collegate ad una sentenza definitiva in ossequio agli articoli 3, 27, secondo comma e 97 secondo comma della Costituzione.
(1-00090) «Calderone, Pittalis, Patriarca, Cattaneo».


   La Camera,

   premesso che:

    la difesa dei diritti fondamentali dell'individuo non può non passare anche attraverso l'attenzione che il legislatore pone nei confronti delle vittime dei reati. Posto che la dottrina costituzionalistica ha individuato il fondamento della tutela dei «soggetti deboli» nel collegamento con il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), è proprio nell'ambito del diritto e del processo penale che la tutela delle vittime va garantita maggiormente, in quanto spetta al giudice – dotato a livello normativo di tutti gli strumenti necessari – intercettare le esigenze di queste ultime nel processo;

    non di rado, molti Stati sono condannati dalla Corte di Strasburgo in quanto considerati responsabili per non aver predisposto o attuato nel caso concreto una specifica tutela penale dei diritti fondamentali. Come espresso dalla stessa Corte dei diritti umani, ciò si impone anche al fine di «preservare la fiducia del pubblico nel principio della legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza relativamente a degli atti illegali» (Corte EDU, Avşar c. Turchia; Opuz c. Turchia);

    la giurisprudenza diffusa a livello europeo, invero, impone agli Stati membri di adoperarsi affinché il procedimento penale si svolga con modalità tali da garantire anche il coinvolgimento e la soddisfazione dei diritti delle vittime. Si tratta dei cosiddetti obblighi procedurali, derivanti dagli articoli 2 e 3 della CEDU, che prescrivono agli Stati di adoperarsi, in caso di violazione delle suddette disposizioni, per garantire lo svolgimento di indagini effettive e idonee ad accertare i fatti di reato, anche in prospettiva di tutela e di ristoro della vittima del reato;

    è di tutta evidenza che il ruolo della vittima abbia finito per perdere sempre più rilevanza, e ciò è dimostrato anche dall'assenza, nel nostro codice di procedura penale, della nozione di «vittima», laddove vengono usate le definizioni di «offeso dal reato», «persona offesa», «persona offesa dal reato». Pertanto vi è la necessità di far recuperare alla vittima una posizione di centralità nel processo di accertamento della violazione e della punizione che subisce il colpevole;

    è fondamentale, dunque, che il processo penale, in quanto tale, si traduca in concreto in uno strumento ontologicamente funzionale alla soddisfazione delle istanze del soggetto danneggiato dal reato;

    le fonti europee hanno gradualmente dimostrato un'attenzione sempre maggiore, sul piano del diritto penale, rispetto alla salvaguardia delle garanzie non solo dell'accusato, ma anche della vittima. Il considerando n. 9 della direttiva 2012/29/UE, afferma che «un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime»;

    nella stessa CEDU, che si presta a una continua interpretazione evolutiva «in the light of present-day conditions», sono rinvenibili evidenti segnali della crescente valorizzazione delle prerogative delle vittime del reato;

    come già accennato, assumono rilevanza i numerosi arresti della Corte di Strasburgo in relazione alle cosiddette positive obligations nell'ambito di alcune garanzie tutelate dalla Convenzione, quali gli articoli 2, 3, 4 e 8 CEDU. Ci si riferisce non solo agli obblighi da parte degli Stati di rendere penalmente rilevanti quelle condotte lesive dei più importanti tra i beni fondamentali, ma anche, e soprattutto, ai doveri di carattere procedurale, che prescrivono ai Paesi contraenti indagini effettive e complete;

    degna di nota, in tale contesto, è la decisione nel caso Petrella c. Italia, ove i giudici di Strasburgo hanno condannato l'Italia per la violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, CEDU, in quanto la vittima non aveva potuto costituirsi parte civile nel procedimento penale, a causa del sopraggiungere del termine della prescrizione del reato nel corso delle indagini preliminari;

    come noto, gli effetti distorsivi dell'istituto della prescrizione – come era delineato prima della riforma operata nel Governo Conte I con la legge n. 3 del 2019 cosiddetta Spazzacorrotti, che ha sospeso il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado – pregiudicavano fortemente le istanze di giustizia delle vittime del reato, che sono spesso rimaste inascoltate quando, per il verificarsi della causa estintiva, le stesse non hanno potuto ottenere un accertamento definitivo della verità, con ciò comportando di fatto una denegata giustizia e minando la fiducia dei cittadini nella capacità dello Stato di assolvere al compito fondamentale di assicurare il rispetto della legalità e la tutela dei diritti. In sostanza, il meccanismo della prescrizione è stato troppo a lungo utilizzato come occulto e mirato fattore di deflazione del carico degli uffici giudiziari, in assenza della volontà politica di potenziare gli organici della magistratura. Un effetto distorsivo dell'istituto della prescrizione in questi anni ha portato anche all'intasamento del carico delle Corti d'appello e al parziale svilimento dei riti speciali. La sospensione della prescrizione – avvenuta grazie alla legge Spazzacorrotti – avrebbe determinato un minore interesse a proporre appello, costituendo piuttosto un incentivo a definire il processo attraverso i riti speciali, se non fosse intervenuta l'introduzione del nuovo istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di fase, che torna – invece – ad incoraggiare la proposizione delle impugnazioni nella speranza di veder finire nel nulla i processi;

    l'attuazione del principio del giusto processo, come contemplato dall'articolo 111 della Costituzione non è idoneo a giustificare un'eventuale reviviscenza del meccanismo della prescrizione sostanziale, così come esistente prima dell'entrata in vigore della già richiamata legge n. 3 del 2019;

    l'istituto della prescrizione, infatti, non è posto a fondamento del principio della ragionevole durata del processo: il dato temporale sarebbe già di per sé sufficiente a dimostrare la veridicità di quanto testé affermato. La prescrizione, infatti, è stata introdotta molto prima della riforma dell'articolo 111 della Costituzione (1999) che ha fatto strada al principio del cosiddetto «giusto processo e della durata ragionevole». È evidente, dunque, che la stessa non è stata originariamente contemplata a garanzia del principio costituzionale, piuttosto, i presidi per assicurare la ragionevole durata sono altri, come i meccanismi compensativi in caso di durata irragionevole dei processi, già previsti dal nostro ordinamento dalla legge Pinto. Soprattutto il vero antidoto è costituito dall'incremento delle risorse umane, per questo è imprescindibile prevedere il completamento ed anzi il rafforzamento degli organici del comparto della giustizia. Non a caso, la riforma Bonafede della prescrizione è entrata in vigore dopo aver reso effettivo – grazie ai Governi Conte I e II – un piano straordinario di assunzioni nel settore della giustizia. Ma la lentezza dei procedimenti non può essere utilizzata per celare l'obiettivo di sottrarsi alla giustizia: la durata ragionevole dei processi può e deve essere garantita diversamente, con una giustizia che funzioni;

    la riforma Cartabia ha introdotto rilevanti novità nell'ambito del procedimento penale, tra queste, anche l'istituto della cosiddetta «improcedibilità» per superamento dei termini massimi di fase di impugnazione. La soluzione proposta dalla riforma, che mira a distinguere la prescrizione del reato, dai tempi del processo, rappresenta tuttavia una scelta riformatrice radicale, che cela non poche insidie, sia in termini di garanzie dell'accertamento, che di risposte di giustizia alla persona offesa. Infatti, essa determina di fatto gli stessi effetti della prescrizione sostanziale, ovvero l'estinzione del processo, con in più delle aggravanti;

    come rilevato dagli operatori del settore, infatti, l'improcedibilità funge da tagliola dopo 2 anni e 1 giorno per l'appello e 1 anno e 1 giorno per la Cassazione, anche in quei casi in cui la prescrizione del reato (sostanziale) non sarebbe maturata;

    inoltre, essa, una volta sopraggiunta, comporta l'estinzione immediata del processo, senza alcun rimedio. Mentre, la prescrizione sostanziale – in teoria – determinava l'effetto di selezionare i processi di appello da trattare con priorità, in quanto prossimi alla scadenza dei termini, mentre l'improcedibilità comporta, invece, la fissazione di un termine massimo di durata uguale per tutti i processi, in quanto slegata dal reato;

    è innegabile, dunque, che l'improcedibilità determini una eccessiva rigidità del sistema. Secondo la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, seguita dalla giurisprudenza italiana formatasi a proposito della legge Pinto, la ragionevole durata del processo non può essere definita in via generale e astratta in relazione ad un processo ideale, ma deve essere determinata ex post in relazione alle concrete peculiarità di ogni singola vicenda processuale, sulla base della complessità del caso e del comportamento delle parti (pubbliche e private). Termini troppo brevi rischierebbero di non essere adeguati rispetto a vicende processuali particolarmente complesse e il «giusto processo» non può essere valutato solo in termini di durata, ma anche della correttezza della decisione che ne è frutto;

    la Commissione europea nel Report sullo Stato di diritto 2022 ha manifestato espressamente talune perplessità proprio rispetto alla fissazione di termini massimi per la conclusione dei procedimenti dinanzi alla Corte d'appello e alla Corte suprema di cassazione, pena l'improcedibilità;

    in particolare, per problemi di efficienza soprattutto a livello delle Corti d'appello, «le nuove misure rischiano di incidere negativamente sui processi penali e in particolare su quelli in corso, che potrebbero essere automaticamente resi improcedibili. Sebbene siano previste eccezioni e siano in vigore norme temporanee, l'efficacia del sistema giudiziario penale richiede un attento monitoraggio a livello nazionale per garantire un giusto equilibrio tra l'introduzione delle nuove disposizioni e i diritti di difesa, i diritti delle vittime e l'interesse pubblico all'efficienza del procedimento penale». Appare fondamentale ed urgente, dunque, superare il meccanismo dell'improcedibilità introdotto dalla su menzionata riforma, mantenendo, al contempo, la sospensione della prescrizione sostanziale dopo la sentenza di primo grado;

    l'articolo 2 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150 – di attuazione della legge n. 134 del 2021 recante Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, cosiddetta Riforma Cartabia – ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina del regime della procedibilità di alcune fattispecie di reato di più frequente applicazione pratica, con ciò determinando, conseguenze negative in termini di risposta alle istanze delle vittime. Infatti, è stato ampliato l'ambito di operatività della procedibilità a querela, al fine di conseguire effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario ed effetti positivi sulla durata complessiva dei procedimenti. Tuttavia, la prassi applicativa che ne è emersa immediatamente dopo la sua recente entrata in vigore, ha da subito dimostrato i suoi effetti distorsivi, per cui l'obiettivo di razionalizzare il lavoro delle procure e di smaltire gli arretrati non può più giustificare l'abdicazione da parte dello Stato al suo potere/dovere di attivarsi per perseguire gli autori dei reati, lasciando così alla persona offesa la relativa decisione di procedere;

    appare opportuno, dunque, ripristinare la procedibilità d'ufficio per taluni delitti di particolare allarme sociale, ovvero per quelli rispetto ai quali risulta arduo raccogliere la eventuale querela. Nella specie, per il reato di lesioni personali (articolo 582 del codice penale) sequestro di persona (articolo 605 del codice penale), violenza privata (articolo 610 del codice penale), violazione di domicilio (articolo 614 del codice penale), furto aggravato dalle circostanze previste dall'articolo 625 del codice penale e danneggiamento, quando il fatto sia commesso ai danni dei beni demaniali e dei beni patrimoniali indisponibili di Stato, regioni, province, comuni, città metropolitane o altre amministrazioni locali;

    il già citato decreto legislativo n. 150 del 2022 – Riforma Cartabia – nell'ambito di un più generale intervento riformatore sul Titolo II del Libro IX del codice di procedura penale in materia di impugnazioni, ha novellato, altresì, l'articolo 599-bis del codice di procedura penale, relativo al concordato anche con rinuncia ai motivi di appello. Segnatamente, la richiamata riforma ha inteso ampliare l'ambito applicativo del cosiddetto «concordato in appello», attraverso l'eliminazione di tutte le preclusioni all'accesso a tale istituto, previste dal comma 2 dell'articolo 599-bis del codice di procedura penale. Si tratta, in particolare, dei reati di associazione per delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina o alla tratta di persone ovvero i reati con finalità di terrorismo, ovvero a commettere un delitto di sfruttamento sessuale dei minori, o finalizzata ad un delitto di contraffazione; tratta di persone o riduzione in schiavitù; associazione per delinquere di tipo mafioso o commessi per agevolare tali associazioni; scambio elettorale politico-mafioso; sequestro di persona a scopo di estorsione; associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi e al traffico di rifiuti; i reati di sfruttamento sessuale dei minori; reati di violenza sessuale semplice, aggravata e di gruppo;

    il suo campo d'applicazione, dunque, era limitato, in quanto era escluso in relazione al su richiamato catalogo di gravi reati;

    sebbene l'istituto del concordato sui motivi di appello non possa essere propriamente considerato a carattere premiale, esso determina impliciti effetti deflattivi. Invero, ben potrebbe verificarsi che anche a seguito di condanna in primo grado, il pubblico ministero, per abbattere il cospicuo carico di lavoro, sia più incentivato ad accordarsi con il difensore dell'imputato sull'accoglimento di taluni motivi di gravame, in ragione della prospettiva che l'imputato rinunci agli altri motivi, anche in caso di reati particolarmente insidiosi, facendo ottenere a quest'ultimo considerevoli riduzioni di pena ed evitandogli talvolta di scontare la condanna in carcere;

    un simile intervento, lungi dal voler determinare maggiore efficienza del processo penale, può invece tradursi di fatto in un «ennesimo assist all'impunità», con gravi ripercussioni sui diritti fondamentali delle vittime;

    appare imprescindibile, dunque, ripristinare il catalogo di preclusioni relativo all'istituto del concordato con rinuncia ai motivi in appello, in origine contenuto nel comma 2 dell'articolo 599-bis del codice di procedura penale, per escludere che esigenze deflattive possano comportare un elevato rischio di impunità nei casi richiamati;

    tra i tipi di tutela derivanti dall'articolo 3 CEDU, vi è anche quella riguardante casi di violazioni «interindividuali», cioè poste in essere da soggetti privati a danni di altri individui, considerati dall'ordinamento, nazionale e sovranazionale, particolarmente vulnerabili, come donne e bambini, o, più in generale vittime di violenza domestica. Nei riguardi di tali soggetti, la Corte europea ha stigmatizzato il comportamento delle autorità statali per i casi di violazioni dei diritti tutelati dall'articolo 3. In particolare, i giudici di Strasburgo talvolta hanno evidenziato l'inadeguatezza delle misure di prevenzione adottate dalle autorità allo scopo di evitare il protrarsi delle lesioni a carico delle vittime, talaltra, hanno rimarcato la presenza di superficialità da parte dello Stato a fronte della denuncia di fatti particolarmente gravi;

    nel nostro ordinamento, il cosiddetto Codice rosso ha già tracciato la strada verso il potenziamento degli strumenti a tutela delle donne vittime di violenza. Grazie alle modifiche normative introdotte, oggi è prevista una corsia preferenziale per le indagini, la possibilità per la vittima di proporre querela fino ad un anno (in luogo dei 3 mesi previsti per gli altri casi), nonché l'inasprimento delle pene già previste per chi abusa. Infine, la legge ha introdotto altresì nel codice penale 4 nuovi reati: violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, costrizione o induzione al matrimonio, deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (cosiddetto revenge porn);

    tuttavia, c'è ancora molto da fare per contrastare questo allarmante fenomeno, che i dati dimostrano – purtroppo – sempre in maggiore crescita. Nel report diffuso dal Dipartimento della pubblica sicurezza del Viminale in occasione della giornata internazionale delle donne vittime di violenza, il dato inerente all'applicazione del Codice rosso vede un significativo incremento sia dei delitti commessi, che delle segnalazioni a carico dei presunti autori noti. Si registra «un trend di crescita per le violenze sessuali, confermando la necessità di riservare a tale fenomenologia criminale la massima attenzione». Dal 2020, anno nel quale si è registrato il dato minore (4.497), l'incremento è stato significativo e si è attestato, nel 2022, a 5.991 eventi;

    ai fini dell'accertamento della verità processuale e del soddisfacimento della richiesta di ristoro della vittima e della parte civile, il legislatore ha l'obbligo di dotare l'autorità giudiziaria di tutti gli strumenti preordinati a tal fine. Il problema si pone tanto più per le fattispecie penali di difficile accertamento, tra le quali possono annoverarsi i reati di corruzione. Privare o limitare lo Stato dell'uso dello strumento delle intercettazioni può comportare una perdita di efficienza nella lotta alla delinquenza e la riduzione della possibilità di sottrazione di ingenti quantità di beni dalla disponibilità della criminalità;

    se la finalità ultima dell'attuale Governo è quella di contrastare gli «abusi», ed in particolare la divulgazione a mezzo stampa dei contenuti delle intercettazioni, orbene, è stato già dimostrato come negli ultimi anni nessun abuso a pregiudizio del diritto alla riservatezza sia stato rilevato. Durante il Governo Conte II, infatti, è stato adottato il decreto-legge n. 161 del 2019, entrato in vigore a settembre 2020, che ha chiuso una stagione di interventi confusionari e superflui, rappresentando una sintesi equilibrata tra l'esigenza di perseguire reati gravi e il diritto alla privacy rispetto a fatti penalmente non rilevanti. Come emerso in sede di audizione al Senato del garante della privacy, il 24 gennaio 2023 i dati raccolti confermano che dal 2020 non si è registrato alcun caso di violazione della privacy determinato da potenziali abusi delle intercettazioni, con ciò privando di fondamento qualsivoglia esigenza di ulteriore intervento normativo. Dunque, è sufficiente rispettare i confini già esistenti in materia di condizioni di applicazione, non vi è più alcuna necessità di intervenire sulla disciplina delle intercettazioni, depotenziandola;

    degni di nota sono, inoltre, alcuni dati forniti dal procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, nel corso dell'audizione in videoconferenza in Commissione Giustizia al Senato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle intercettazioni. Nel 2022 nel distretto di corte d'appello di Palermo sono state 2.902 le utenze telefoniche intercettate (numero che non corrisponde ai soggetti «ascoltati», visto che ciascuno potrebbe aver avuto più utenze a disposizione). Di queste, 1.950 intercettazioni erano relative a indagini di mafia, 9 di terrorismo e 935 si inquadravano nell'ambito di inchieste su altri reati (ad esempio di corruzione). Il trojan invece è stato usato in 218 casi: 185 in inchieste antimafia, 3 su sospetti casi di terrorismo, 30 in indagini «comuni». Il Procuratore ha più volte sottolineato, quindi, l'importanza delle captazioni, strumenti definiti come «irrinunciabili», così come dimostrato dai dati forniti;

    la fattispecie di abuso d'ufficio è stata novellata durante il Governo Conte II attraverso un intervento di specificazione della fattispecie che ne ha eliminato gli aspetti di maggiore incertezza interpretativa. Di conseguenza, ciò rende di fatto superflua un'ulteriore modifica normativa, che avrebbe esclusivamente l'effetto di determinare nuove incertezze applicative, che necessiterebbero dell'attività ermeneutica della giurisprudenza di legittimità;

    in particolare, l'articolo 23 del decreto-legge 16 luglio 2020 n. 76 ha inciso sulla disposizione del codice penale sostituendo le parole «di norme di legge o di regolamento,» con le seguenti: «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Ne consegue che il delitto di abuso d'ufficio è ora integrato dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio e salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto attraverso la violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero attraverso la violazione del dovere di astensione o la violazione di norme che dovranno essere: specifiche; espressamente ed esclusivamente previste da fonti primarie del diritto, con esclusione, quindi, di fonti secondarie; a condizione che da tali regole di condotta non residuino margini di discrezionalità;

    ne deriva che un eventuale nuovo intervento normativo volto ad allargare ulteriormente le maglie di tale reato potrebbe porsi in contrasto con il principio costituzionale del buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione che ne è sotteso, in quanto potrebbe determinare importanti sacche di impunità;

    la legge n. 3 del 2019 (cosiddetta Spazzacorrotti) proposta dal Ministro Bonafede ed approvata nel corso del Governo Conte I ha fatto ottenere all'Italia il plauso da parte del GRECO (il gruppo di Stati contro la corruzione in seno al Consiglio d'Europa), a margine della sua attività di valutazione di conformità delle legislazioni vigenti degli Stati aderenti agli standard anti-corruzione. E ciò in quanto la suddetta legge ha introdotto, oltre a nuovi poteri per le autorità inquirenti, ad un incremento delle sanzioni per le persone sia giuridiche sia fisiche, alla sospensione dei termini di prescrizione dopo la condanna di primo grado, anche ulteriori adeguamenti dei reati di corruzione privata e – soprattutto – del traffico di influenze illecite;

    in particolare, il GRECO ha mostrato apprezzamento rispetto all'avvenuto allineamento del reato di traffico di influenze illecite ai requisiti di cui alla Convenzione penale sulla corruzione (articolo 12), colmando, così, una lacuna più volte segnalata dal medesimo organo europeo. In un'ottica di messa a terra del PNRR, nonché di continuazione nel reperimento delle risorse da esso derivate, non sfugge, dunque, l'importanza anche del mantenimento dello strumento de quo al fine di scongiurare ipotetiche attività illecite da parte della criminalità, attirata dall'ingente quantità di afflusso di danaro. Infatti, un allentamento dei presìdi contro i fenomeni corruttivi e contro i suoi cosiddetti reati spia, tra i quali possono ben annoverarsi sia l'abuso di ufficio sia il traffico di influenze illecite, non può che esporre al pericolo di infiltrazioni da parte delle organizzazioni criminali che potrebbero, di guisa, mettere in discussione anche l'erogazione dei fondi da parte dalla stessa Unione europea;

    allentare le maglie della fattispecie di traffico di influenze sarebbe un grave errore, da non commettere proprio in un momento storico come quello attuale;

    sempre nell'ottica di presidio dei diritti fondamentali, è imprescindibile che lo Stato mantenga sempre alta e vigile l'attenzione rispetto all'efficace contrasto dei fenomeni mafiosi in tutte le sue estrinsecazioni. A tal fine, occorre salvaguardare uno degli strumenti indefettibili per la lotta alla mafia: il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, corollario insostituibile della legislazione antimafia italiana, in quanto mira a contrastare i rapporti tra associati detenuti e organizzazione criminale;

    in sede di esposizione delle linee programmatiche del dicastero e in ulteriori occasioni da parte del Ministro della giustizia, è stata più volte annunciata la volontà di intervenire sulla separazione delle carriere dei magistrati. Oggi sono in esame in Commissione Affari Costituzionali diversi progetti di legge costituzionale in tale direzione. Tuttavia, non può non tenersi conto come già un simile intervento sia naufragato in occasione del referendum, laddove il quesito proposto non ha raggiunto il quorum di cui all'articolo 75 della Costituzione;

    una riforma in tale materia è tutto fuorché necessaria, tanto più ora che la riforma Cartabia ha ridotto ad uno i passaggi di funzioni tra magistrati requirenti e giudicanti rendendo ancor più eccezionale l'eventuale mutamento di funzioni nell'arco della vita professionale di un magistrato. Si consideri, inoltre, che più si separa sul piano formativo e professionale il PM dal giudice, più si rischia di incorrere in una realtà – lontana dal nostro sistema processuale – in cui il PM diventa un «avvocato di polizia», un mero accusatore e non già un funzionario dello Stato chiamato ad accertare la verità dei fatti, come contempla anche il codice di procedura penale (articolo 358 del codice di procedura penale);

    la comunanza di formazione e di percorso iniziale, al contrario, contribuisce a scongiurare, se non proprio evitare, questo rischio ed è dunque una garanzia per il cittadino che dovesse essere indagato,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa – anche normativa – utile a garantire l'efficacia delle disposizioni a presidio delle vittime dei reati, apprestando una tutela in concreto delle stesse, proprio in considerazione della propria condizione di minorità che nasce dall'aver subìto un pregiudizio;

2) ad adottare iniziative normative volte a superare l'istituto della improcedibilità in secondo grado previsto dall'articolo 344-bis del codice di procedura penale, mantenendo ferma la disciplina della prescrizione dei reati come introdotta dalla legge n. 3 del 2019 cosiddetta Spazzacorrotti, in quanto l'estinzione del processo per decorrenza dei termini può tradursi in una grave denegata giustizia per le vittime;

3) ad astenersi da qualsivoglia intervento – anche normativo – volto a riformare la disciplina delle intercettazioni in modo da restringerne l'utilizzo o da depotenziarne l'efficacia come strumento di ricerca della prova determinante per l'attività investigativa ed indispensabile per contrastare le forme più insidiose di criminalità organizzata e dei fatti di corruzione, i cui effetti finali ricadono sull'utente, ovvero il cittadino;

4) ad adottare iniziative normative per modificare l'istituto del concordato anche con rinuncia ai motivi di appello ex articolo 599-bis del codice di procedura penale, ripristinando l'esclusione dell'applicazione di detto istituto agli imputati per reati di particolare gravità;

5) ad adoperarsi per favorire l'iter delle iniziative legislative già esistenti in Parlamento in materia di procedibilità d'ufficio, per ripristinare il precedente regime rispetto a quei reati di peculiare disvalore sociale, per evitare di far gravare sulle vittime l'onere di proporre querela per azionare la pretesa punitiva dello Stato;

6) a non intervenire sul delitto di abuso di ufficio e sul delitto di traffico di influenze, fattispecie eventualmente da potenziare in combinazione con l'introduzione di una normativa sulla regolamentazione delle lobbies, sul conflitto di interessi, in quanto strettamente connessi;

7) ad assumere con la massima determinazione iniziative volte al contrasto alla violenza contro le donne, al fine di ridurre sensibilmente il numero dei femminicidi, nel contesto di quanto segnalato in premessa riprendendo il percorso segnato dal Codice rosso e proseguito dalla Commissione di inchiesta sul femminicidio, la quale ha predisposto nella relazione conclusiva molteplici misure volte ad intervenire sul piano preventivo, di protezione, nonché punitivo e rieducativo (e di azzeramento dei tassi di recidiva) nei confronti rispettivamente delle vittime e degli autori del reato, sostenendo, per quanto di competenza, le iniziative legislative parlamentari sul tema;

8) a rispettare integralmente, per quanto di competenza, il Titolo IV della Costituzione laddove vengono contemplati il principio di separazione dei poteri e dell'autonomia della magistratura (articolo 104 della Costituzione), nonché ad astenersi dal dare seguito a qualsivoglia proposta normativa di separazione delle carriere dei magistrati e di eliminazione della obbligatorietà dell'azione penale sancita dall'articolo 112 della Costituzione;

9) a mantenere e rafforzare gli strumenti di contrasto previsti dalla legislazione antimafia, ed in particolare, a salvaguardare il regime speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;

10) a tornare ad investire nel comparto giustizia per rilanciare il rapporto tra giustizia e cittadino, e quale unico vero antidoto alla lunghezza dei processi penali, colmando le scoperture negli uffici giudiziari attraverso una massiccia e mirata attività assunzionale, in continuità con le leggi di bilancio degli anni 2018-2020.
(1-00091) «D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Scutellà, Aiello, Cappelletti, Iaria, Pavanelli».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,

   premesso che:

    nello schema di decreto legislativo relativo al nuovo codice degli appalti è contenuta una previsione che creerà gravi problematicità agli uffici giudiziari con riferimento all'istituto delle stazioni appaltanti qualificate. Infatti all'articolo 1 dell'allegato II.4 si prevede, una volta entrato a regime, che il sistema di qualificazione delle centrali di committenza «è regolato dalla delibera ANAC 28 settembre 2022, n. 441» e, in via transitoria, si consente alle stazioni appaltanti non qualificate di procedere all'affidamento di progettazione e lavori, nei limiti previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera b), dell'allegato II.4. Una norma analoga, all'articolo 3, comma 2, lettera b), è prevista per la progettazione e l'affidamento di forniture e servizi;

   attualmente, all'interno dell'amministrazione giudiziaria, nessuno possiede la qualifica di responsabile unico del procedimento e non appare realistico ritenere che si possa raggiungere il risultato in tempi brevi;

   nella norma transitoria sopra citata è previsto che, per un periodo di tempo limitato a soli sei mesi, stazioni appaltanti come gli uffici giudiziari potranno esperire procedure finalizzate a concludere appalti di lavori pubblici, ma solo a condizione che siano dotati di una personale tecnico in possesso delle competenze necessarie per svolgere le funzioni di responsabile unico del procedimento (Rup). La disposizione appare potenzialmente in grado di cagionare gravi inconvenienti, a causa dell'eccessiva limitatezza temporale del regime transitorio previsto e perché la normativa prevede, trascorso il semestre di transizione, che lo svolgimento di appalti sia possibile solo nel caso in cui la funzione sia imputata effettivamente al responsabile unico del procedimento;

   si segnala che la situazione sopra astrattamente descritta corrisponde a quella effettivamente esistente all'interno dell'amministrazione della giustizia poiché, non disponendo di personale tecnico qualificato per assumere le funzioni di responsabile unico del procedimento, non possiede alcuna stazione appaltante qualificata. Per consentire la possibilità effettiva di bandire gare di appalto, una volta terminato il periodo semestrale transitorio, appare necessario attuare con urgenza le disposizioni del decreto ministeriale 14 aprile 2022 che imputano agli uffici periferici il compito di occuparsi delle procedure di gara di tutti gli uffici giudiziari compresi nel territorio della circoscrizione, istituendo i 7 uffici periferici previsti, quindi avviando il procedimento previsto per l'assunzione dei lavoratori necessari. Una volta fatto ciò, essi saranno formati per un periodo minimo, attualmente pari a tre anni, necessario ai nuovi assunti per assumere la qualifica di responsabile unico del procedimento. Anche per questa specifica ragione appare logico e necessario modificare lo schema di decreto legislativo, in particolare l'articolo 2, comma 2, lettera b), dell'allegato II.4, innalzando il periodo transitorio a 5 anni perché quello attualmente previsto, pari ad appena 6 mesi, appare troppo esiguo;

   si precisa ulteriormente che, trattandosi di funzionari con contratto a tempo determinato la cui durata è pari a soli 2 anni e 6 mesi, essi non potranno effettivamente assumere le funzioni di responsabile unico del procedimento. Stando così le cose, nel caso in cui le norme non venissero modificate, le amministrazioni prive di responsabile unico del procedimento dovranno necessariamente tornare a rivolgersi ai Provveditorati alle opere pubbliche. Nel caso in cui ciò accadesse si determinerà, come già verificatosi in passato, la sospensione di tutte le attività necessarie per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro, con rischi gravissimi per la salute dei lavoratori e degli utenti poiché i Provveditorati alle opere pubbliche non riuscirebbero a far fronte alle esigenze dei circa 1.000 edifici adibiti a uffici giudiziari, quasi tutti vetusti, gravati da vincoli storici e artistici e, soprattutto, caratterizzati da una pluriennale e inadeguata manutenzione,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a modificare la disciplina transitoria di cui all'articolo 2, comma 2, lettera b), dell'allegato II.4 dello schema di decreto legislativo relativo al nuovo codice degli appalti, dal tenore analogo a quella contenuta nell'articolo 31, comma 6, del vigente decreto legislativo n. 50 del 2016 con la quale si dispone che «Per i lavori e i servizi attinenti all'ingegneria e all'architettura il RUP deve essere un tecnico; ove non sia presente tale figura professionale, le competenze sono attribuite al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare».
(7-00064) «Foti, Mattia, Rotelli, Milani, Benvenuti Gostoli, Iaia, Lampis, Fabrizio Rossi, Rachele Silvestri».


   La IX Commissione,

   premesso che:

    secondo quanto emerge dal rapporto dell'Oms sulla sicurezza stradale che ha coinvolto 178 Paesi in tutto il mondo, ogni anno gli incidenti stradali coinvolgono tra i 20 e i 50 milioni di persone, uccidendone circa 1,35 milioni. La mancanza di sicurezza rimane una priorità di salute pubblica anche per i Paesi industrializzati;

    in Italia, nel 2021 sono 151.875 gli incidenti stradali; 2.875 i morti in incidenti sulla strada e 204.728 i feriti; la maggior frequenza di incidentalità si registra sulle strade urbane (73,1 per cento), le vittime invece si concentrano prevalentemente sulle tratte extraurbane (47,5 per cento), mentre le autostrade riguardano l'8,6 per cento dei decessi. È terribile dover registrare come a Roma e provincia nei primi quindici giorni del 2023 si contino già sette morti per incidente stradale. Numeri che richiedono la doverosa attenzione da parte delle istituzioni nazionali e locali;

    la sicurezza stradale riveste un ruolo decisivo in ogni Paese: quando non è efficiente genera costi economici e sociali elevati, spesso sottovalutati;

    nel corso della XVIII legislatura diversi interventi normativi, coerenti con gli orientamenti europei, sono stati predisposti per favorire un diverso approccio alla mobilità. Si è in particolare rilevato come i trasporti (nelle loro diverse articolazioni modali) contribuiscono in modo significativo alla vita delle comunità e numerosi interventi normativi hanno mirato ad incidere sul Codice della strada. A tal riguardo si valuti quanto previsto per la salvaguardia dei ciclisti con la cosiddetta casa avanzata, le zone 30 scolastiche, la regolamentazione della circolazione nei centri abitati nonché nuove disposizioni sul comportamento dei conducenti di veicoli nei confronti dei pedoni;

    l'Unione europea punta a ridurre del 50 per cento i decessi stradali e, per la prima volta, anche i feriti gravi, entro il 2030. Tale obiettivo è contenuto nel piano d'azione strategico della Commissione sulla sicurezza stradale e fa parte del progetto «Vision Zero» volto a raggiungere l'azzeramento delle vittime della strada entro il 2050;

    l'approccio citato è anche alla base del nuovo programma europeo di riduzione delle vittime da incidenti stradali. È inoltre uno dei princìpi ispiratori dello standard internazionale ISO 39001 «Road Traffic Safety Management Systems», volto alla riduzione del numero di morti e feriti gravi sulle strade;

    l'obiettivo «zero morti sulle strade» entro il 2050 è stato declinato da diverse città europee, come Bruxelles e Parigi, che stanno adottando il modello di «Città 30», e come nel caso della Spagna dove viene adottato con una legge a livello nazionale;

    dal mese di maggio infatti la Spagna ha introdotto un nuovo limite di velocità nella maggior parte delle strade urbane. Dai 50 chilometri orari si è scesi ad un massimo 30 chilometri orari. Secondo le stime pubblicate dalla Dirección General de Tràfico, l'introduzione di questa novità del codice della strada interesserà quasi il 90 per cento delle strade urbane. Il limite da 30 chilometri orari è sceso addirittura a 20 chilometri orari nei casi in cui si circoli con permesso in una zona pedonale;

    il Governo ha scelto di motivare la scelta ambiziosa di estendere la zona 30 nella maggior parte delle città spagnole non solo per contribuire a migliorare, la sicurezza stradale (abbassando il numero di incidenti e di vittime), ma anche per migliorare la vivibilità dei quartieri; meno morti in strada con le persone al centro dello spazio pubblico, favorendo quindi l'utenza più fragile: bambini, pedoni, ciclisti, disabili, anziani ma anche automobilisti e motociclisti, operatori della logistica;

    la sicurezza stradale è infatti una delle condizioni necessarie per favorire gli spostamenti a piedi e in bicicletta e ridurre l'uso di auto e moto. La realizzazione della «Città 30» si iscrive pienamente negli obiettivi della Cities Mission delle città intelligenti e a impatto climatico zero entro il 2030;

    l'OMS definisce patologie da ambiente costruito una congerie di disagi che, attraverso ricerche epidemiologiche, è causa conclamata per una percentuale intorno all'80 per cento delle patologie per le quali si somministra cura (e può causare decessi). Perciò oggi intervenire sui luoghi urbani, in primis sulle strade, è il modo più efficace e, probabilmente l'unico, per tutelare la salute (cioè è questione di sopravvivenza);

    in Europa, ed anche in Italia, sempre più città stanno rivoluzionando la mobilità privata rendendo autobus e treni gratuiti, con il dichiarato obiettivo di fermare l'emergenza stradale con i suoi morti e feriti e combattere l'inquinamento, liberare gli spazi urbani restituendoli alle persone e ad una mobilità più sicura;

    in attesa di una modifica normativa del codice della strada, dette città hanno iniziato a introdurre «Zone 30» – ancora residuali proprio a causa della prescrizione normativa attuale. La prima in ordine di tempo a introdurre «Zone 30» è stata Cesena, nel 1998, modello poi seguito negli anni da città come Reggio Emilia, Caserta, Vicenza, Verona, Genova, Firenze e Olbia. Per quanto riguarda invece il progetto Città 30, Bologna estenderà il limite di velocità su buona parte delle strade, anticipando quella che pare essere una decisione assunta di recente anche dal consiglio comunale di Milano;

    la riduzione della velocità in ambito urbano è tra le misure previste dal Piano nazionale per la sicurezza stradale, il quale afferma che «dove ci possono essere impatti che coinvolgono veicoli e pedoni, la velocità dovrebbe essere limitata a 30 chilometri orari», in coerenza con la risoluzione n. 2021/2014 (INI) del Parlamento europeo, che raccomanda di «applicare velocità massime di 30 chilometri all'ora, come regola generale, nelle zone residenziali e nelle zone con un numero elevato di ciclisti e di pedoni»;

    nel Piano generale della mobilità ciclistica, approvato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si specifica che è necessario: «definire regole chiare di convivenza sulle strade [...] definendo modelli di coabitazione tra gli utenti della strada. In quest'ottica è rilevante promuovere interventi integrati: un abbassamento della velocità veicolare e, contestualmente, un uso condiviso, in sicurezza, delle strade da parte di tutte le utenze (...). A tal fine va promossa la transizione verso il modello della condivisione della strada, favorendo, in coerenza con quanto già previsto in materia di riduzione della velocità in ambito urbano dal Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030, la realizzazione delle “Città 30” e il processo di redistribuzione più democratica ed equa dello spazio pubblico tra tutti gli utenti, motorizzati e non»;

    le «Città 30», con la velocità ridotta alla maggior parte delle strade a 30 chilometri orari nelle strade urbane di quartiere e locali, e la realizzazione delle «living streets», portano la restituzione dello spazio pubblico dalle macchine alle persone;

    il rafforzamento delle forze dell'ordine per prevenire l'eccesso di velocità insieme ai sistemi, ISA – Intelligent Speed Adaptation, hanno l'obiettivo di far applicare il rispetto delle norme di una guida corretta, in particolare per il rispetto dei limiti di velocità, attraverso la tecnologia e il nudging,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative normative per una rapida semplificazione del Codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevedendo anche una riduzione del numero delle norme presenti;

   ad adottare iniziative di competenza volte a ribaltare l'attuale paradigma in essere caratterizzato da una visione auto-centrica e privata, con uno «attivo», sostenibile e condiviso, con particolare riguardo a:

    a) modificare i limiti di velocità, disponendo in via generale i 30 chilometri orari per le strade urbane, con zone scolastiche strutturali e zone residenziali a 20 chilometri orari;

    b) dare impulso alla riorganizzazione delle strade riprogettandone la sezione, al fine di indurre a una velocità moderata e impedire l'uso indifferenziato dello spazio stradale;

    c) stimolare la creazione di percorsi preferenziali per i mezzi di trasporto pubblici incentivando modalità flessibili e diversificate di mezzi di trasporto per meglio servire la domanda di trasporto;

    d) incentivare la creazione di parcheggi di scambio intermodale nelle parti esterne delle città;

    e) sostenere preferibilmente gli interventi per percorsi ciclabili e pedonali separati dalla carreggiata veicolare con elementi fisici nonché progetti che incentivino il completamento di porzioni già esistenti rispetto a progetti ex novo;

    f) programmare ulteriori iniziative di sensibilizzazione contro tutti i diversivi ad una guida sicura e responsabile.
(7-00065) «Fede, Santillo, Iaria, Cantone, Traversi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   GRIMALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nel 2001, per volere del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro è stata costituita la «Fondazione Studi dei consulenti del lavoro», una non profit, il cui presidente, da anni, è Rosario De Luca, marito dell'attuale Ministro del lavoro Calderone che ha guidato, fino alla sua nomina a Ministro, il Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro;

   nel 2018 il presidente della Fondazione Studi ha deciso di creare una seconda fondazione: la «Fondazione Studi Consulenti del Lavoro Srl», una società commerciale a responsabilità limitata che lo stesso De Luca ha guidato fino allo scorso novembre;

   la prima (la Fondazione Studi) risulta essere socio unico della seconda (la Srl), con identici oggetto sociale, recapito telefonico e sede a Roma;

   anche i vertici delle due Fondazioni, vicepresidenti, consiglieri e revisori, si intersecano e nei rendiconti pubblicati sul sito del Consiglio nazionale dell'Ordine i nomi dei dipendenti figurano in un unico elenco che ne conta 26 per il 2019 e 25 per il 2020;

   Il Fatto Quotidiano ha raccolto diverse denunce di lavoratori ed ex dipendenti delle fondazioni dalle quali emerge che la fondazione sarebbe stata fittiziamente sdoppiata in due, attraverso la creazione di una Srl, così da far in modo che nessuna delle due fondazioni avesse più di 15 dipendenti in organico, al fine di eludere le regole sui licenziamenti – rendendoli più facili e meno onerosi – e il diritto dei lavoratori alla rappresentanza sindacale, che scatta oltre la soglia dei 15 dipendenti, così come l'obbligo di assumere persone con disabilità;

   alcune testimonianze raccontano di dipendenti ai quali sarebbe stato chiesto di dimettersi dalla Fondazione Studi per essere poi riassunti dalla Fondazione Srl e chi accettava il passaggio manteneva identiche mansioni e postazioni di lavoro, come se il trasferimento da una fondazione all'altra non fosse mai avvenuto;

   anche le direttive interne arrivavano indistintamente a tutti i lavoratori che condividevano il medesimo reparto, seppur dipendenti di diverse fondazioni;

   l'orientamento della Cassazione in materia appare consolidato: se la struttura è unica e la prestazione è svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente per le diverse imprese, allora il datore di lavoro è da considerarsi unico;

   a parere dell'interrogante, dal momento che la Fondazione è controllata dall'Ordine dei consulenti del lavoro, a cui spetta la nomina del presidente, l'attuale Ministra del lavoro, all'epoca presidente dell'Ordine, avrebbe dovuto conoscere le modalità con cui venivano gestiti i dipendenti e la forte promiscuità che esisteva tra le due fondazioni;

   da quel che appare, la Ministra interrogata, anziché preoccuparsi di verificare se quanto denunciato da Il Fatto Quotidiano rispondesse al vero e adoperarsi per la piena tutela dei diritti dei lavoratori delle due fondazioni, nei giorni scorsi si è recata in visita di rappresentanza negli uffici dell'Ordine nazionale dei consulenti del lavoro senza chiarire alcunché all'opinione pubblica;

   in questa vicenda gli elementi su una possibile esistenza di conflitto di interessi sono numerosi e andranno chiariti per restituire trasparenza e correttezza all'azione del Ministero del lavoro –:

   se si intendano fornire gli opportuni e dovuti chiarimenti in relazione ai fatti esposti in premessa dal momento che, se confermati, i comportamenti messi in atto dal presidente della Fondazione risulterebbero particolarmente gravi e chiamerebbero in causa la Ministra interrogata in qualità di presidente dell'Ordine dei consulenti del lavoro all'epoca dei fatti e dal momento che oggi, da Ministra, ha il dovere di tutelare la dignità del lavoro e dei lavoratori.
(3-00236)

Interrogazione a risposta scritta:


   ASCARI, SCERRA, FEDE, MORFINO, PAVANELLI, AMATO, CHERCHI e ONORI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, al Ministro dell'istruzione e del merito. — Per sapere – premesso che:

   l'8 marzo, in ogni parte del mondo, ricorre quella che comunemente viene chiamata la Festa della donna, ma che più propriamente viene celebrata come Giornata internazionale dei diritti della donna;

   questa particolare giornata assume una propria valenza nel valorizzare le numerose, ancora insufficienti, conquiste sociali, economiche e politiche che le donne hanno raggiunto faticosamente nel corso della storia;

   l'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne, approvata dall'ONU il 20 dicembre 1993, considera il fenomeno della violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione;

   si tratta di un fenomeno diffuso che assume molteplici forme più o meno gravi: dalla violenza fisica a quella sessuale, dalla violenza psicologica a quella economica, dagli atti persecutori come lo stalking fino alla eliminazione stessa della donna;

   l'Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica;

   il provvedimento che più ha inciso nel contrasto alla violenza di genere è la legge n. 69 del 2019 (cosiddetto codice rosso), che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti e ha introdotto alcuni nuovi reati nel codice penale;

   tuttavia, secondo i dati Istat, in Italia nel 2021 è cresciuto di più del 2 per cento il numero di donne che si sono rivolte al numero verde 1522 perché vittime di violenza; l'anno precedente si era chiuso però con una riduzione della risposta dei servizi. Infatti, nel 2020 risultavano attivi 263 centri anti-violenza (281 nel 2019) e 242 case rifugio (257 nel 2019); per questo, nel 2020, il tasso medio di copertura nazionale è sceso a 1,87 servizi in totale ogni 100 mila donne di età superiore ai 14 anni (era 1,98 nel 2019) ( www.lavoce.info.it del 3 marzo 2023);

   nel 2020, sono state uccise 116 donne, 5 in più rispetto al 2019. L'83,6 per cento di loro sono state assassinate in ambito domestico: 60 donne (51,7 per cento) per mano del loro partner, 30 (25,9 per cento) da un altro parente e 7 (6 per cento) dall'ex partner;

   l'ultima legge di bilancio (legge n. 197 del 2022) ha previsto un incremento di 15 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023 delle risorse del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, finalizzato al potenziamento delle azioni previste dal Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica;

   i fatti pressoché quotidiani di cronaca confermano che, nonostante i più recenti interventi normativi in materia, quella di una maggiore tutela dei diritti e dei bisogni dei minori e delle donne vittime di violenza, è una evidenza non trascurabile;

   decisivi sono, a parere dell'interrogante, gli interventi finalizzati non solo alla repressione della violenza di genere ma anche le misure volte al reinserimento sociale delle vittime e al rafforzamento della cultura del rispetto della donna e delle differenze –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo al fine di incrementare le risorse destinate al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, al Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, al Fondo antitratta e, in generale, a tutte le politiche per la promozione della parità di genere e per la prevenzione ed il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne;

   se e quali iniziative intenda intraprendere per rafforzare nelle istituzioni scolastiche una cultura del rispetto della donna e delle differenze di genere e che contrasti gli stereotipi di genere.
(4-00624)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOLDRINI, AMENDOLA, QUARTAPELLE PROCOPIO e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in Tunisia è in atto una compressione delle libertà democratiche e dei diritti civili della popolazione fin da quando il 25 luglio del 2021 il Presidente Kais Saied ha destituito il Governo in carica, sospeso la Costituzione e l'attività del Parlamento, in attesa di varare una nuova Costituzione, una nuova legge elettorale e di convocare nuove elezioni;

   le elezioni politiche si sono poi svolte in due turni il 17 dicembre del 2022 e il 29 gennaio del 2023 con una affluenza di poco più dell'11 per cento degli aventi diritto, segno evidente di forte critica e mancanza di fiducia della popolazione rispetto alle scelte del Presidente;

   da tempo nelle principali città della Tunisia si svolgono proteste contro il Presidente Saied, che negli ultimi anni ha impresso una virata autoritaria al Paese, culminata con la promulgazione della nuova Costituzione lo scorso agosto che, concentrando sempre più i poteri nelle sue mani, ha inferto un duro colpo al fragile processo di transizione democratica intrapreso dalla Tunisia sin dalla fine della Rivoluzione dei gelsomini del 2011;

   in un clima sempre più repressivo, Saied ha fatto arrestare una decina di oppositori politici, ma anche giudici, giornalisti e un importante leader sindacale. Li ha accusati di terrorismo e di voler sovvertire lo stato di diritto e anche chi ha mostrato loro solidarietà ne ha subito le conseguenze. Esther Lynch, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati, è stata colpita da un decreto presidenziale di espulsione dalla Tunisia, dopo che aveva partecipato a una manifestazione di protesta;

   inoltre, il Presidente ha sollevato il tema dell'immigrazione sub-sahariana con numeri che sono stati gonfiati in milioni di arrivi, quando invece si parla di 250 mila immigrati totali presenti in Tunisia, ma soprattutto, utilizzando affermazioni gravemente xenofobe quali ad esempio: «l'immigrazione clandestina fa parte di un complotto per modificare la demografia della Tunisia affinché venga considerata come un paese solo africano, e non più anche arabo e musulmano»;

   da allora in Tunisia si sono moltiplicate non solo le aggressioni razziste, ma anche gli arresti di cittadini sub-sahariani senza alcun criterio e di espulsioni forzate;

   il Ministro degli esteri Ammar ha respinto le accuse di razzismo che sono state sollevate da gran parte della comunità internazionale affermando che «tali accuse lanciate falsamente contro la Tunisia, danneggiano l'immagine e gli interessi del Paese»;

   il Paese vive una profonda crisi economica, per cui scarseggiano da mesi beni di prima necessità e il tasso di inflazione è oltre il 10 per cento, tanto che il Governo tunisino ha tentato di negoziare un prestito col Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi di dollari che servirebbe a favorire la stabilità-prestito che al momento parrebbe rinviato proprio per l'aggravarsi della crisi sociale che si registra nel Paese, mentre la Banca mondiale ha sospeso i dialoghi con la Tunisia, preoccupata per le condizioni della comunità sub-sahariana;

   nel gennaio 2023, il Ministro Piantedosi e il Vice Premier Tajani, in visita di Stato a Tunisi, non hanno sollevato alcuna preoccupazione rispetto alla violazione dello stato di diritto in atto nel Paese e alla campagna di stampa razzista alimentata dallo stesso Presidente Saied, ma hanno soltanto chiesto di bloccare il flusso dei migranti verso l'Italia –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, di concerto con i partner europei ed internazionali, per fare pressione sul Presidente Saied affinché cessi immediatamente la repressione in Tunisia, sia garantito il ripristino del pluralismo della rappresentanza e il rilascio di tutti i prigionieri politici;

   quali accordi intenda attuare sull'immigrazione con la Tunisia e se questi prevedano un inasprimento delle misure repressive e detentive per i migranti sub-sahariani presenti nel Paese e un impegno di Tunisi a bloccare con ogni mezzo le partenze di migranti verso l'Italia.
(5-00501)


   BOLDRINI, AMENDOLA, QUARTAPELLE PROCOPIO e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in occasione della sua visita a Roma, il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu, ha chiesto, a mezzo stampa, all'Italia di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato israeliano: «È ora che Roma riconosca Gerusalemme, nostra capitale da tremila anni. Proprio in ragione della tradizione così forte e antica fra Roma e Gerusalemme. Come hanno fatto gli Stati Uniti con un gesto di grande amicizia»;

   prontamente, il Vicepremier Matteo Salvini ha scritto su un social media: «Dico convintamente SÌ a Gerusalemme capitale di Israele, nel nome della pace, della storia e della verità»;

   la maggior parte dei membri dell'ONU e delle organizzazioni internazionali non riconosce l'annessione ad Israele di Gerusalemme Est, né riconosce Gerusalemme come capitale di Stato. Le Nazioni Unite continuano, fermamente, a sottolineare il regime internazionale di Gerusalemme e ad accusare Israele di occupazione illecita del territorio, soprattutto per quanto attiene a Gerusalemme est;

   in Israele, per la nona settimana di fila dall'elezione di Netanyahu a inizio gennaio 2023, decine di migliaia di persone hanno nuovamente protestato contro la riforma del sistema giudiziario proposta dal nuovo Governo, che toglie poteri di controllo alla Corte suprema per affidarli al Governo e che ritengono un pericolo per la democrazia israeliana –:

   quali siano le reali posizioni del Governo riguardo alla richiesta da parte del Premier israeliano di riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, anche tenendo conto della necessità di favorire ogni iniziativa utile per la ripresa di un concreto processo di pace nell'area, messa a rischio da iniziative unilaterali che possono acuire i contrasti tra le parti.
(5-00502)

Interrogazione a risposta scritta:


   BONELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   da quanto si apprende da organi di stampa, nel comune di San Dorligo della Valle-Dolina (TS) sono stati denunciati da parte dei rappresentanti locali del movimento politico Europa Verde, gravi episodi d'inquinamento degli affluenti del Rio Ospo, corso d'acqua che nasce a pochi chilometri dal confine in territorio sloveno, raccogliendo sia acque carsiche che acque di ruscellamento, e sfocia nelle vicinanze di Muggia;

   il Rio Ospo lambisce il Biotopo naturale regionale denominato Laghetti delle Noghere, sottoposto a vincolo regionale per la tutela paesaggistica, quale sito naturalistico posizionato nell'unica valle alluvionale istriana e tra i pochi in provincia di Trento a consentire l'osservazione di specie migratorie e di flora e fauna di carattere acquatico;

   gli sversamenti nel corso d'acqua, in parte riconducibili a polveri e altre sostanze provenienti dai cantieri per la costruzione del viadotto del secondo binario della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia, in territorio sloveno, starebbe determinando un grave danno ambientale per l'habitat naturale e una minaccia per le specie faunistiche protette –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se risulti quali siano l'origine e le responsabilità dell'inquinamento del Rio Ospo, se non ritengano necessario intervenire presso il Governo sloveno per verificare l'eventuale impatto che il cantiere per la costruzione del viadotto ferroviario della linea Capodistria-Divaccia starebbe determinando sul territorio italiano e quali iniziative di competenza intendano assumere a tutela dell'ecosistema del Biotopo naturale regionale denominato Laghetti delle Noghere.
(4-00620)

AFFARI EUROPEI, SUD, POLITICHE DI COESIONE E PNRR

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR. — Per sapere – premesso che:

   il 22 giugno 2021, il Piano nazionale di ripresa e resilienza è stato approvato con decisione di esecuzione del Consiglio dell'Unione europea, che ha recepito la proposta della Commissione europea;

   la decisione contiene un allegato con cui vengono definiti, in relazione a ciascun investimento e riforma, precisi obiettivi e traguardi, cadenzati temporalmente, al cui conseguimento si lega l'assegnazione delle risorse su base semestrale;

   nell'ambito del Piano nazionale per gli investimenti del PNRR l'amministrazione comunale di Napoli ha individuato l'intervento «Opg – Rigenerazione e valorizzazione sociale dell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli», complesso che include al suo interno una parte monumentale di grande interesse storico sorto come Monastero di Sant'Eframo Nuovo nel 1572;

   in particolare, con decreto del 30 dicembre 2021 sono stati approvati due progetti per un importo complessivo di 20.000.000,00 di euro del comune di Napoli nell'ambito della misura M5 (inclusione e coesione) e C2 (rigenerazione urbana): interventi di rigenerazione urbana volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale, rispettivamente per la riqualificazione della piscina comunale «Massimo Galante» a Scampia (4 milioni) e per la rigenerazione e valorizzazione sociale dell'ex Ospedale psichiatrico giudiziario (16 milioni);

   tale ultima struttura è occupata abusivamente da circa otto anni dal centro sociale «Je so pazzo» e utilizzata normalmente per le attività del partito politico Potere al Popolo;

   si è tenuto un incontro, così come riportato da un comunicato stampa della Giunta pubblicato sul sito istituzionale del comune di Napoli, promosso dall'Assessore all'urbanistica e vicesindaco, Laura Lieto, cui hanno preso parte componenti del citato centro sociale e il direttore dell'agenzia regionale del demanio, Mario Pariagreco, che collabora all'iniziativa fornendo le risorse progettuali necessarie allo sviluppo del progetto definitivo e di quello esecutivo;

   come ha spiegato l'assessore Lieto, «I fondi sono cospicui, ma non ci consentono di agire su tutta la fabbrica», per cui si sarebbe deciso di identificare una parte prioritaria della struttura su cui intervenire, ovvero quella parte interessata dalle attività promosse dal centro sociale;

   secondo quanto si legge nel citato comunicato stampa, l'amministrazione comunale intende sviluppare un processo di progettazione da tradurre successivamente in un progetto tecnico da concordare con gli occupanti senza titolo del centro sociale ex Opg – Je so pazzo, che dovrebbe riguardare soprattutto gli spazi attualmente occupati;

   in particolare, si vorrebbe allestire il cantiere senza arrecare troppo disturbo per la prosecuzione delle attività che si svolgono abusivamente nel complesso e chiedendo agli occupanti il permesso per garantire la possibilità di effettuare visite e la supervisione nella struttura di proprietà comunale nel corso dei lavori –:

   se sia stato svolto un monitoraggio per sapere se le azioni messe in campo sul PNRR dall'amministrazione comunale di Napoli siano in linea con le scadenze previste, sia con riferimento alla pubblicazione dei bandi che con riguardo al finanziamento delle azioni;

   se l'intervento del comune di Napoli di rigenerazione dell'ex Ospedale psichiatrico giudiziario di Via Imbriani sia coerente con gli impegni assunti dal Governo con il PNRR, soprattutto alla luce della dichiarata volontà di ristrutturare un sito che anche dopo la fine dei lavori resterà nella disponibilità di chi lo occupa abusivamente da anni;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in merito ai fatti di cui in premessa e se non ritenga opportuno promuovere un incontro con il comune di Napoli per verificare se gli interventi programmati nell'ambito del PNRR, che potrebbero rappresentare una grande opportunità per la città, siano tutti effettivamente di interesse pubblico.
(4-00621)

AMBIENTE E SICUREZZA ENERGETICA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   il bonus sociale idrico è stato introdotto come misura di riduzione della spesa per il servizio idrico di una famiglia in condizione di disagio economico e sociale;

   introdotto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 ottobre 2016, emanato in forza dell'articolo 60 del cosiddetto collegato ambientale (legge 28 dicembre 2015, n. 221), è stato successivamente attuato con provvedimenti dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera);

   il bonus sociale idrico garantisce la fornitura gratuita del quantitativo minimo vitale pari a 18,25 metri cubi di acqua su base annua ossia 50 litri/abitante/giorno, per ogni componente della famiglia anagrafica dell'utente;

   dal 1° gennaio 2021 il bonus sociale idrico è riconosciuto automaticamente ai cittadini/nuclei familiari che ne hanno diritto. Per attivare il procedimento per il riconoscimento automatico dei bonus sociali agli aventi diritto (Isee non superiore a 9.530 euro, o non superiore a 20.000 per le famiglie numerose) è necessario e sufficiente presentare la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) ogni anno e ottenere un'attestazione di Isee entro la soglia di accesso al bonus, oppure risultare titolari di reddito/pensione di cittadinanza;

   il processo di riconoscimento automatico del bonus sociale idrico si basa sullo scambio di flussi informativi tra il gestore idrico e Acquirente unico s.p.a. in qualità di gestore del Sistema informativo integrato (Sii, che a sua volta riceve parte dei dati necessari dall'Inps). A tal fine, con la deliberazione 585/2020/R/com Arera ha disposto l'obbligo di accreditamento al Sii per i gestori idrici che sono presenti nell'Anagrafica territoriale del servizio idrico integrato (Atid);

   recentemente Anea (Associazione nazionale degli enti di governo d'ambito per l'idrico e i rifiuti), e Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici dell'acqua, dell'ambiente, dell'energia elettrica e del gas, hanno segnalato ad Arera le criticità che molti gestori del servizio idrico stanno riscontrando per l'erogazione del bonus sociale ai cittadini in difficoltà economiche-sociali;

   si è infatti riscontrato a livello nazionale che ad oggi in molte regioni permangono forti criticità, non riconducibili né agli enti d'ambito né ai gestori, che non rendono possibile l'effettiva erogazione del bonus sociale idrico ai beneficiari a partire dall'anno 2021: la prima riguarda la fase di adempimenti in materia di privacy preliminari all'avvio dei flussi di dati dal Sistema informativo integrato ai gestori; la seconda riguarda la fase di effettivo accesso alle informazioni attraverso il Sistema informativo integrato, a causa di problemi di natura tecnica;

   risulta inoltre che gli enti d'ambito, incluso Atersir, stiano sollecitando Arera a risolvere nel più breve tempo le problematiche che oggi, in ancora tante realtà, impediscono a molte famiglie, aventi diritto, di accedere al bonus –:

   di quali elementi conoscitivi disponga circa le criticità evidenziate in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di sbloccare l'erogazione del bonus sociale idrico alle famiglie socialmente ed economicamente più deboli, considerata la delicatissima e complicata fase economica e sociale italiana causata da una perdurante crisi energetica e da un'inflazione che è ai massimi da trenta anni.
(5-00504)

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE e AMATO. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, al Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR . — Per sapere – premesso che:

   la Giunta comunale di Portogruaro (VE) ha approvato la richiesta di contributo al Ministero dell'istruzione per il finanziamento, con fondi del PNRR destinati alla rigenerazione urbana della città metropolitana di Venezia, sia del progetto che prevede la costruzione di un nuovo centro per l'infanzia nel centro città di Portogruaro, sia del progetto che prevede la realizzazione di una zona parcheggio per 68 automobili;

   nel dettaglio, la realizzazione delle opere sopradescritte verrà realizzata presso la Via Valle, ovvero un'area a prato verde pubblico in pieno centro città a Portogruaro, adiacente ad un Istituto scolastico frequentato da bambini;

   la dichiarata finalità dell'amministrazione è quella di attuare programmi di arredo urbano, al fine di salvaguardare e sviluppare l'attrattività del centro e le attività economiche localizzate al suo interno, così da migliorare l'accessibilità, la sistemazione delle aree a verde, il potenziamento delle aree di sosta e, in generale di migliorare la capacità attrattiva del centro storico di Portogruaro;

   secondo quanto riportato da fonti stampa e dai comitati e associazioni ambientaliste impegnate sui temi ambientali del territorio, il progetto danneggerà in modo irreversibile l'area verde libera, senza alcun beneficio per la collettività, atteso che si prevede la cementificazione dell'intera area a parco pubblico comunale sito in Via Valle, in pieno centro città a Portogruaro, zona peraltro ad oggi ampiamente utilizzata dai cittadini per attività aggregative e sociali;

   oltre a danneggiare il tessuto ambientale cittadino, ad avviso dei comitati e delle associazioni ambientaliste impegnate sul territorio, questo progetto si presenta critico anche in quanto aumenterà il traffico veicolare all'interno del centro storico e la sicurezza dei bambini che frequentano l'adiacente Istituto scolastico;

   l'articolo 2 del regolamento europeo che istituisce il dispositivo per la ripresa e resilienza sancisce il principio del «Do No Significant Harm» (DNSH) secondo cui gli interventi previsti dai PNRR nazionali non devono arrecare nessun danno significativo all'ambiente, in coerenza con l'Accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, e con il Green Deal europeo;

   le amministrazioni sono chiamate pertanto a garantire concretamente che ogni misura non arrechi un danno significativo agli obiettivi ambientali, adottando specifici requisiti in tal senso nei principali atti programmatici e attuativi –:

   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di ovviare alle criticità evidenziate.
(4-00628)

CULTURA

Interrogazione a risposta scritta:


   CARAMIELLO e AMATO. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:

   la società Opera Laboratori Fiorentini, che gestisce i servizi aggiuntivi di molti siti archeologici e culturali italiani (dalla biglietteria elettronica fino al call center multilingue), ad oggi impiega circa 50 unità presso gli Scavi di Pompei ed il Parco archeologico di Ercolano. In particolare, per le attività afferenti alla gestione delle biglietterie onsite ed online (controllo degli accessi, l'accoglienza e gli uffici informazioni etc.), le citate maestranze sono legate ad un contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, con uno stipendio medio corrispondente al IV livello d'inquadramento, con annessi scatti d'anzianità;

   con determina a contrarre del 12 gennaio 2023, Consip s.p.a., per conto del Ministero della cultura, ha deliberato di affidare in concessione i servizi museali integrati presso il Parco Archeologico di Ercolano. Tuttavia, come denunziato dall'organizzazione sindacale Cobas Lavoro Privato, che rappresenta molti dipendenti della società Opera Laboratori Fiorentini, detto disciplinare di gara garantirebbe il cosiddetto «passaggio di cantiere» solo ad 8 lavoratori del precedente concessionario, un numero esiguo rispetto al perimetro delle attività gestite dal prossimo concessionario (call center, visite guidate, bookshop e merchandising e altro). Risulta all'interrogante che, in data 27 gennaio 2023, a seguito di un incontro avuto col direttore del Parco archeologico di Ercolano, i lavoratori in oggetto, che contano un'esperienza ventennale, non hanno ricevuto esaustive rassicurazioni circa il loro futuro occupazionale;

   inoltre, detto bando prevede il passaggio per i lavoratori coinvolti dall'attuale inquadramento con il Ccnl del commercio al Ccnl Addetti alle pulizie/multiservizi, il che comporterebbe una compressione economia delle retribuzioni quantificabile in circa 200/300 euro mensili, nell'ipotesi in cui il nuovo concessionario intendesse mantenere inalterato il monte ore e gli scatti d'anzianità delle vecchie maestranze;

   la legge n. 4 del 14 gennaio 1993, cosiddetta legge Ronchey ha consentito, ad avviso dell'interrogante, una dissennata gestione privatistica del nostro patrimonio culturale, generando da un lato precarietà e sfruttamento economico per molti lavoratori direttamente coinvolti nella gestione dei servizi aggiuntivi, dall'altro una compromissione degli introiti statali derivanti dai propri siti archeologici e museali, dovuta principalmente all'affidamento dei servizi aggiuntivi a società esterne. A titolo d'esempio, come denunziato da più articoli di stampa (Il Fatto Quotidiano, Domani), nel 2019, a fronte di circa 70 milioni di euro d'incassi derivanti dai servizi aggiuntivi museali, solo il 12 per cento circa sarebbe finito nelle casse statali. Tuttavia, secondo una recente sentenza del Consiglio di Stato, l'esternalizzazione di tali servizi può avvenire solo se ciò risulta strumentale alla valorizzazione del sito culturale –:

   se, al fine di scongiurare un persistente pregiudizio delle casse statali, il Ministro interrogato condivida l'opportunità di adottare iniziative di competenza al fine di modificare la cosiddetta legge Ronchey, disciplinando differentemente l'affidamento dei servizi museali aggiuntivi così da impedire una gestione privatistica del nostro patrimonio culturale;

   quali iniziative intenda intraprendere per affrontare quanto in oggetto, alla luce delle problematiche evidenziate dai suddetti lavoratori, anche in considerazione della grave carenza di personale ministeriale certificata dallo stesso Consiglio superiore dei beni culturali;

   se, al fine di garantire gli attuali livelli occupazionali, anche in considerazione della professionalità maturata in circa 20 anni di servizio, condivida l'opportunità di sostenere un percorso di stabilizzazione dei lavoratori in oggetto, attraverso procedure selettive per l'internalizzazione dei servizi, dando seguito ad analoghe iniziative intraprese da altri Ministeri.
(4-00627)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BATTILOCCHIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 10 febbraio 2021, il Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ha emanato un decreto ministeriale, al fine di aggiornare il controvalore in denaro del trattamento alimentare del personale militare;

   tale intervento si è reso necessario a causa dell'incremento del costo di mercato delle derrate alimentari, intervenuto nel periodo intercorso tra luglio 2018 e dicembre 2019;

   stando a quanto desumibile dalla nota tecnica allegata al menzionato decreto, il costo per il confezionamento di ciascun pasto per singolo militare ammonterebbe a circa 2,5 euro;

   si tratta di un aumento che ha messo in estrema difficoltà le caserme italiane che, a risorse invariate, non riescono a far fronte all'aumento –:

   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di adeguare tempestivamente il controvalore in denaro del trattamento alimentare del personale militare.
(4-00619)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAVANDOLI, BAGNAI, CENTEMERO, GUSMEROLI e MIELE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 68-quater del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, ha previsto, per l'anno 2021, un contributo a fondo perduto in favore dei birrifici di cui all'articolo 2, comma 4-bis della legge 16 agosto 1962, n. 1354;

   con nota prot. n. 449821/RU del 30 novembre 2021, l'Adm ha trasmesso al Ministero dello sviluppo economico i dati relativi ai volumi di birra presi in carico nei registri sulla base delle dichiarazioni riepilogative relative all'anno 2020 presentate dagli esercenti in adempimento dell'obbligo previsto dall'articolo 8, comma 2, del decreto del Ministero delle economie e delle finanze 4 giugno 2019; indi, il Ministero dello sviluppo economico, con decreto 24 giugno 2022, Allegato 1, ha comunicato le imprese ammesse all'agevolazione;

   tuttavia, a seguito di un'erronea trasmissione da parte dell'Adm dei predetti dati, con note prot. n. 165029/RU del 14 aprile 2022 e prot. n. 249216/RU del 13 giugno 2022, la medesima Agenzia ha dovuto rettificare, integrandole, le proprie iniziali risultanze;

   con successivo decreto MISE dell'11 ottobre 2022, sono stati quindi individuati i soggetti ammessi alle agevolazioni ivi previste e precedentemente esclusi;

   all'uopo, si ricorda, che la disposizione originaria stanziava 10 milioni di euro per l'anno 2021;

   invero, come specificato anche predetto decreto MISE dell'11 ottobre 2022: «le risorse effettivamente disponibili per l'intervento, commisurate al fabbisogno agevolativo riferibile ai volumi di birra presi in carico dagli esercenti censiti nella predetta nota dell'Agenzia delle accise, dogane e monopoli, sono pari a euro 5.492.391,84»;

   a parere degli interroganti, è evidente che a causa dell'errore da parte dell'Adm, la ripartizione dei contributi ha ipso facto causato una sbagliata assegnazione del contributo spettante anche dei primi beneficiari –:

   quali iniziative di competenza si intenda assumere, tenendo conto anche dell'aggiornamento dell'elenco trasmesso dall'Adm con i dati rettificati, al fine di includere e rideterminare le spettanze dovute dei legittimi beneficiari.
(5-00499)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BAGNASCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   numerosi organi d'informazione hanno, di recente, riportato la notizia per la quale sarebbe intendimento dell'attuale Governo proporre, con un disegno di legge, la riapertura dei tribunali o di taluno dei tribunali soppressi dal decreto legislativo n. 155 del 2012;

   con tale provvedimento vennero soppresse 31 sedi di tribunali, 220 sedi distaccate di tribunale e 667 uffici del giudice di pace nell'ottica della revisione e dell'ottimizzazione della spesa pubblica, nonché di un recupero complessivo di risorse ed efficienza del sistema giustizia;

   tuttavia, non solo il risparmio ipotizzato non è stato conseguito, ma la suddetta riforma non ha garantito neppure la celere definizione dei giudizi aumentando, al contrario, i disagi per cittadini ed operatori del diritto e sottraendo, in troppi luoghi, importati presidi della legalità rappresentati dalla presenza di un ufficio giudiziario;

   oggi, presso le comunità territoriali interessate dalla soppressione di cui sopra, è vivo e crescente l'interesse alla riapertura perché la giustizia di prossimità – più vicina al cittadino – ha un valore che non può essere ignorato anche in termini di efficienza del servizio giustizia stesso –:

   quali siano le iniziative che il Governo intende intraprendere per la revisione dell'attuale geografia giudiziaria.
(5-00505)

Interrogazione a risposta scritta:


   DORI e ZANELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   Gabriella Stramaccioni è la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del comune di Roma. In un post, pubblicato sulla sua pagina Facebook in data 8 marzo 2023, ha denunciato la grave situazione sanitaria vissuta da detenuti e detenute nel carcere di Rebibbia nuovo complesso a Roma;

   in particolare nel post la Garante segnalava come aumentano le richieste che le pervengono per visite mediche e cure da effettuare fuori dalla struttura detentiva e in particolare citava alcuni casi del Rebibbia nuovo complesso;

   tra le decine di casi si segnalano quelli di: una persona detenuta a Latina che è stata trasferita a Rebibbia per sovraffollamento, a Latina era in cura e riusciva a fare le visite in ospedale ogni tre mesi per un tumore benigno, questa persona detenuta da quando è stato trasferito non riesce più a fare le visite ed è giustamente preoccupato; A. che è in sciopero della fame da giorni. Non ha più i denti. Era riuscito a fare alcune visite per la dentiera che dovrebbe essere pronta. Ha pagato 600 euro, una cifra considerevole per la sua condizione, per 4 volte la visita per impiantare la dentiera viene annullata per mancanza di scorta, non riesce a mangiare, e piange; F. che ha una certificazione dal 5 dicembre 2022 che attesta la gravità della sua situazione, servirebbe una apparecchiatura speciale, ad oggi, 8 marzo 2023 nulla è accaduto; G. che si è preparato sei volte per una visita medica all'esterno, ma non è riuscito mai a farsi visitare;

   non sono casi isolati quelli che vengono registrati dalla Garante delle persone detenute quotidianamente, si tratta di fatti che violano il diritto alla salute e alla cura universale come disposto dall'articolo 32 della Costituzione;

   i casi segnalati dalla Garante del comune di Roma sulla impossibilità di visite mediche e cure da effettuarsi all'esterno dipendono in particolare dalla mancanza di scorta e da palesi difficoltà organizzative;

   la Garante Gabriella Stramaccioni afferma che ormai la situazione sanitaria all'interno degli istituti di Rebibbia è preoccupante, ed è necessario un intervento urgente per rafforzare le modalità organizzative e garantire il diritto alla salute –:

   se quanto denunciato dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del comune di Roma accada anche in altri istituti detentivi e in quali, e quanti siano i detenuti interessati da criticità nel diritto alle visite mediche e alla cura;

   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministero interrogato al fine di garantire la possibilità di cura ai detenuti del carcere di Rebibbia nuovo complesso a Roma, così come in tutte le strutture detentive in Italia in ottemperanza all'articolo 32 della Costituzione.
(4-00625)

IMPRESE E MADE IN ITALY

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO, LAUS, FOSSI, SARRACINO e SCOTTO. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la società farmaceutica Alfasigma è una delle principali aziende farmaceutiche a capitale italiano, con un fatturato consolidato che nel 2021 ha superato il miliardo di euro, centri di ricerca a Trezzano Rosa (ex Sofar) e il Labio 4.0 di Pomezia, inaugurato nel settembre 2021, oltre a 3 siti produttivi in Italia e due all'estero, dove complessivamente impiega circa 3.000 lavoratori;

   nonostante tali indicatori, a seguito dell'acquisizione della società Sofar, lo scorso 20 febbraio i vertici dell'Alfasigma hanno annunciato alle organizzazioni sindacali l'avvio della procedura di licenziamenti collettivi, ai sensi della legge n. 223 del 1991, di 333 lavoratori, oltre a 10 posizioni relative al personale dirigente, in particolare nei comparti dell'informazione scientifica del farmaco è delle attività di staff;

   un pesante piano di riduzione della forza lavoro, pari al 20 per cento degli occupati in Italia, dove la società impiega circa 1.600 lavoratori, motivata dalla dirigenza dalla sovrapposizione di ruoli – anche a seguito della citata acquisizione della Sofar –, da brevetti in scadenza e dalla necessità di ricambio di skills e professionalità obsolete, nonché da aspetti congiunturali negativi quali i costi di materie prime ed energia;

   secondo le organizzazioni sindacali tale scelte rischiano di minare la sostenibilità e la funzionalità delle attività se non con una concentrazione delle attività che risultano difficili da sostenere e per tali ragioni, anche dopo l'incontro delle sigle Filctem, Femca e Uiltec con la società, in Confindustria Emilia Centro, e con la partecipazione di Assolombarda, hanno già indetto lo stato di agitazione del gruppo, con il blocco degli straordinari e la proclamazione di 8 ore di sciopero;

   è di tutta evidenza la rilevanza occupazionale e sociale di tale piano di riorganizzazione che ne fa ricadere i costi interamente sui lavoratori, senza prevedere alcun programma di riqualificazione professionale o di ricorso ad ammortizzatori sociali che possano attenuarne gli effetti, con l'obiettivo di scongiurare un taglio drastico dei livelli occupazionali del gruppo nel nostro Paese –:

   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, d'intesa con le organizzazioni sociali e le amministrazioni locali interessate, al fine di scongiurare il licenziamento collettivo previsto dall'annunciato piano dalla società Alfasigma, anche attraverso l'annosità istituzione di uno specifico tavolo ministeriale.
(5-00503)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANGIANO e LOPERFIDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   la stazione di Casarsa della Delizia (PN) è una stazione ferroviaria nodale di superficie e tra quelle con il maggior traffico ferroviario nella provincia di Pordenone e tra le più importanti del Friuli Venezia Giulia con una settantina di treni passeggeri in partenza e altrettanti in arrivo nei giorni feriali. La stazione si trova sulla linea ferroviaria Venezia-Udine ed è capolinea della linea ferroviaria Casarsa-Portogruaro;

   nonostante ciò, a quanto risulta all'interrogante, la stazione è oggetto di profondo disinteresse da parte della società proprietaria Rete ferroviaria italiana (RFI) la quale trascura fortemente il problema dell'accessibilità al servizio da parte di tutti i cittadini;

   come riportato dalla stampa locale, centinaia di persone ogni giorno tra pendolari, studenti e non solo, usufruiscono di questi spazi ma le difficoltà esistenti rendono complicato l'accesso ai binari; infatti, salvo che per il primo binario, per accedere a tutti gli altri occorre percorrere delle scale con evidenti difficoltà per chi è in carrozzina o ha difficoltà a deambulare;

   la stazione ferroviaria di Casarsa non è dotata di alcuna struttura idonea che consenta alle persone con disabilità e in carrozzina di raggiungere il binario di partenza o di arrivo; tale mancanza costringe gli accompagnatori a faticosi trasporti per scendere o salire le scale che conducono al tunnel di collegamento dei vari binari; problema che si presenta anche per le persone anziane in carrozzina o per chi ha bimbi nel passeggino;

   l'impianto è stato inserito nel progetto delle 620 stazioni della Rete ferroviaria italiana, la controllata del gruppo Ferrovie dello Stato italiane che gestisce, appunto, l'infrastruttura, ovvero linee e impianti, stazioni comprese. Il progetto si pone l'obiettivo di migliorare, da un lato, la percezione da parte del cliente finale della qualità delle stazioni, dall'altro di ampliare il bacino di utenza non strettamente legata all'«uso del treno» e dovrebbe interessare gli scali utilizzati da quasi l'80 per cento dei viaggiatori del trasporto pubblico locale;

   sebbene nella breve corrispondenza tra il comune di Casarsa e R.F.I. veniva garantito da quest'ultima un piano di interventi strutturali per abbattere le barriere architettoniche contenute nel piano commerciale 2022-2026 da una attenta lettura di tale Piano pubblicato nel sito di R.F.I. non vi è traccia di questi interventi nella stazione in questione;

   il piano commerciale prevede nella parte dedicata al Friuli Venezia Giulia come azioni da realizzarsi nel periodo 2022-2026 solamente l'elettrificazione della linea Casarsa-Portogruaro e non c'è nulla sull'abbattimento delle barriere architettoniche o di quanto paventato dalla stessa RFI al comune di Casarsa;

   nel territorio comunale sono presenti diversi enti ed associazioni che si occupano di progetti a favore delle persone con disabilità con particolare attenzione allo sviluppo dell'autonomia che avviene anche attraverso una mobilità inclusiva e accessibile a tutti;

   Casarsa resta uno snodo ferroviario estremamente importante per la provincia e la regione con una media di circa 90 fermate giornaliere e una media di circa 26 treni al giorno –:

   se e quali iniziative il Governo intenda assumere affinché Rete ferroviaria italiana affronti e risolva le criticità esistenti presso la stazione ferroviaria di Casarsa e se si intenda acquisire chiarimenti da Rete ferroviaria italiana in merito al mancato inserimento nel piano commerciale 2022-2026 di opere strutturali di abbattimento delle barriere architettoniche nella suddetta stazione, nonostante le ripetute sollecitazioni già effettuate dalle associazioni interessate e dal sindaco del comune di Casarsa.
(4-00615)


   MANZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 7 marzo 2023 – a causa di un guasto – l'unico treno Freccia Bianca del mattino che dalle Marche porta gli utenti a Roma non parte dalla stazione di partenza e viene, di conseguenza, soppresso;

   il treno in questione, in partenza da Ravenna, non è mai uscito dalla stazione per un guasto tecnico, senza che si approntassero per i passeggeri delle stazioni coinvolte che toccano ben quattro regioni: Emilia-Romagna, Marche, Umbria e Lazio, soluzioni di trasporto alternative;

   inoltre, ai passeggeri non sono state date informazioni aggiuntive (fatta salva la disponibilità del personale Trenitalia) e, soprattutto, offerte soluzioni di viaggio sostitutive per chi è rimasto bloccato nelle stazioni delle regioni di cui sopra in attesa del treno successivo (il regionale veloce) che, con più di due ore di ritardo rispetto all'orario previsto, è arrivato a Roma;

   ciò ha determinato notevoli disagi all'utenza, con appuntamenti di lavoro saltati, voli persi, impegni annullati, visto che quello è il primo treno che i pendolari giornalieri su Roma solitamente prendono per raggiungere la Capitale;

   e questo è accaduto senza che nemmeno sui tabelloni delle stazioni coinvolte il treno risultasse soppresso: i guasti accadono ma andrebbero garantiti servizi minimi con la definizione di piani di viaggio alternativi che non possono evidentemente ridursi al solo suggerimento di prendere il primo treno utile;

   in queste circostanze i passeggeri vanno tutelati con l'individuazione di soluzioni di trasporto alternative, soprattutto, per chi viaggia su Roma dall'area adriatica che beneficia di un numero di treni limitato;

   gli utenti di un servizio pubblico devono poter reclamare un servizio efficiente, adeguato e moderno in ogni parte del Paese –:

   quali siano i protocolli che prevedono l'attivazione di servizi sostitutivi in caso di treni soppressi per guasto e, nel caso, se non ritenga necessario che si attivino in tempo utile per contenere al minimo disagi ai passeggeri che percorrono la linea verso Roma.
(4-00617)


   TORTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la Strada della Pace, ubicata nel territorio del comune di Chieti, è una strada di bonifica realizzata con i fondi della Cassa del Mezzogiorno, successivamente trasferita al Consorzio di bonifica centro di Chieti con legge regionale dell'Abruzzo;

   questa strada fu realizzata quale infrastruttura avente natura di servizio per la manutenzione di opere idrauliche di bonifica e/o irrigazione e per il collegamento dei fondi rustici alle strade comunali;

   la Strada della Pace, nel corso del tempo, ha perso la sua originaria funzione, per divenire una strada di ordinaria percorribilità di utenti che transitano quotidianamente per motivi che non hanno nulla a che vedere con la funzione originaria della strada, generando consistente volume di traffico. Di conseguenza, l'uso prevalente dell'opera non è più ai fini consortili, ma di ordinaria viabilità;

   già dall'anno 2002 il consorzio di bonifica ha evidenziato a diversi enti problematiche relative alla viabilità della Strada della Pace. Nel 2019 il Consorzio di bonifica centro richiedeva il trasferimento di competenze della strada consortile alla luce del notevole volume di traffico di veicoli anche pesanti e delle caratteristiche che aveva assunto la strada consortile nel corso degli anni;

   nel 2020 il Consorzio di bonifica centro di Chieti ha richiesto di nuovo il trasferimento di competenze sulle infrastrutture viarie delle strade consortili denominate «Strada della Pace e Strada Dendalo»;

   la regione Abruzzo, con una nota del mese di ottobre 2020, indirizzata anche alla provincia di Chieti, ha evidenziato che, in base alla legge regionale dell'Abruzzo n. 11 del 1999, «sono trasferiti alle province i compiti e le funzioni relative (...) all'adozione dei provvedimenti di classificazione e declassificazione delle strade, anche costruite come opere di bonifica o con leggi speciali, aventi caratteristiche di strade provinciali, comunali o vicinali.» Pertanto, la regione chiedeva alla provincia di Chieti di attivarsi nel più breve tempo possibile per la soluzione delle problematiche relative alla Strada della Pace;

   il 30 marzo 2021, per mezzo della stampa locale, si è appreso che il Consorzio di bonifica ha presentato un esposto in relazione alla situazione della «Strada della Pace»;

   la Strada della Pace presenta diverse situazioni che rappresentano un grave pericolo per gli utenti che la utilizzano in quanto risulta anche deformata in più parti e con segnaletica inadeguata;

   di fatto il Consorzio di bonifica centro di Chieti, in qualità di ente che opera nei settori della gestione e della valorizzazione del patrimonio idrico, della difesa idraulica, e del risanamento delle acque, non ha specifiche competenze in materia di viabilità stradale ordinaria, mentre altri enti, per loro natura, hanno competenze specifiche al riguardo;

   in data 8 giugno 2022, con notizie di stampa locale, si informa i cittadini che la Corte dei conti ha registrato la delibera Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) che stanzia 900 mila euro per i lavori urgenti di manutenzione di Strada della Pace;

   a giudizio dell'interrogante è necessario comprendere se la notizia dello stanziamento di 900 mila euro è confermata e, in caso affermativo, perché ad oggi non sia stato ancora avviato un urgente e importante lavoro di manutenzione –:

   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di competenza, per garantire la funzionalità e l'immediata messa in sicurezza della Strada della Pace, anche in considerazione della sua funzione di collegamento con la strada statale n. 81 e l'autostrada.
(4-00618)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   GRIMALDI, ZANELLA, BONELLI, FRATOIANNI, ZARATTI, BORRELLI, DORI, EVI, GHIRRA, MARI e PICCOLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 3 marzo 2023, il media Libya Review ha riportato che il Ministro dell'interno libico Emad Trabelsi è stato arrestato dalla polizia francese a Parigi, presso l'aeroporto Charles de Gaulle, mentre trasportava «un'ingente somma di denaro» in contante, per essere rilasciato dopo poche ore;

   la notizia è stata poi riportata da altre fonti di stampa anche italiane nelle quali si fa riferimento a «mezzo milione di euro» su cui il Ministro non avrebbe saputo dare spiegazioni;

   la rivista Limes, nel riferirla, aggiunge che «l'uomo è legato al traffico di migranti da prima di diventare Ministro» e la figura di Emad Trabelsi è stato oggetto di diverse inchieste del quotidiano «L'Avvenire»;

   Trabelsi è stato nominato Ministro dell'interno del Governo di Tripoli in veste «temporanea» dal Primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibah il 6 novembre 2022;

   nel 2018, Trabelsi fu citato in un rapporto annuale sui diritti umani redatto dal Dipartimento di Stato USA, che riportava informazioni delle Nazioni Unite in merito a violazioni dei diritti in Libia;

   Trabelsi veniva individuato come uomo appartenente a una milizia e «destinatario di fondi ottenuti illegalmente», si segnalava inoltre che controllasse un gruppo armato chiamato «Special Operation Forces» che avrebbe raccolto «circa 3.600 dollari per ogni cisterna che attraversava i checkpoint» libici;

   giornalisti di RadioRadicale hanno riportato nel dicembre del 2022 che l'esito di questi viaggi sarebbe stato l'ingresso illegale di petrolio prodotto in Tunisia per un valore di centinaia di migliaia di dollari;

   già in occasione della precedente nomina a Sottosegretario, le organizzazioni per i diritti umani libiche e internazionali, fra cui Amnesty International, hanno indicato Trabelsi come «uno dei peggiori violatori di diritti umani e del diritto umanitario internazionale»;

   nelle carte ufficiali delle Nazioni Unite e della Corte penale internazionale si parla di «traffico di esseri umani, violenze, torture e sparizioni forzate ai danni di migliaia di migranti e rifugiati»;

   le autorità italiane hanno incontrato Trabelsi in svariate occasioni per discutere le relazioni fra i due Stati, ma in particolare la gestione dei migranti;

   come noto, dal 2017 è in vigore un memorandum Italia-Libia che consente, tra l'altro, alla guardia costiera libica di intercettare e fermare i migranti nel Mediterraneo, accordo rinnovato il 2 febbraio 2023;

   il 29 dicembre del 2022, Trabelsi ha ricevuto a Tripoli una delegazione del Ministero dell'interno italiano e dei servizi segreti italiani, presenti anche il Prefetto capo della polizia e il Direttore dell'Aise;

   a fine gennaio 2023, nel corso di un viaggio in Africa, la Presidente del Consiglio dei ministri ha presenziato a Tripoli alla firma di un accordo sul gas del valore di 8 miliardi di dollari tra l'Eni e la compagnia statale Noc per le produzione di gas in Libia; le intese fra i due Governi hanno riguardato non solo «investimenti ed esplorazione» nel gas, ma anche «il rapporto con la Guardia costiera»;

   il 21 febbraio 2023, il Ministro dell'interno italiano ha incontrato nel suo ufficio Trabelsi per discutere «comuni azioni» per gestire i flussi migratori, ossia per bloccare le partenze dalla Libia –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti circa i rapporti intercorsi con Emad Trabelsi, figura accusata di traffico di migranti e violazioni dei diritti umani.
(3-00237)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, per sapere – premesso che:

   i commi 123 e 124 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234, regolamentano per l'anno 2022 la misura dell'indennità derivante dalla sospensione dal lavoro per l'arresto temporaneo obbligatorio e non obbligatorio registratesi nel corso dell'anno dei lavoratori dipendenti da impresa adibita alla pesca marittima, compresi i soci lavoratori delle cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250;

   la suddetta indennità è pari a trenta euro giornalieri ed è riconosciuta ad ogni lavoratore dipendente, così come già previsto per il 2021 dalla legge 30 dicembre 2020 n. 178;

   la procedura di accesso alla misura sociale è regolata da un decreto interministeriale, emanato di anno in anno, che garantisce il tempo per le imprese della pesca di poter presentare la richiesta di indennità; tale decreto ad oggi non risulta ancora registrato ma, a quanto si apprende da diverse fonti di settore, la data indicata per la scadenza di presentazione delle istanze potrebbe essere quella del prossimo 15 marzo 2023;

   è evidente che un lasso di tempo così breve – nel 2022, lo stesso decreto fu emanato il 13 gennaio, concedendo poi agli interessati due mesi di tempo (scadenza 18 marzo 2022) per poter inserire le richieste – farebbe correre alle imprese il rischio di non riuscire a presentare le domande in tempo e correttamente, compromettendo la fruizione dell'indennità per migliaia di lavoratori del mare e, di fatto, vanificando anche l'impegno del Governo, che ha aumentato la dotazione finanziaria complessiva per questa misura;

   il fatto che questa misura di sostegno al reddito non sia né strutturata né stabile e dipenda, quindi, da quanto stabilito nella legge di bilancio anno per anno, ha sempre determinato ritardi e preoccupazioni tra i lavoratori ma, oggi, arrivati alla data entro la quale negli anni precedenti occorreva presentare la domanda, la preoccupazione è maggiormente forte e comprensibile;

   inoltre, alla luce di tempistiche così ridotte, e confidando nell'emanazione al più presto del decreto, il settore avrebbe evidentemente bisogno di alcuni accorgimenti semplificativi nella presentazione della domanda, almeno in una fase iniziale di inserimento;

   ad esempio si potrebbe prevedere che la domanda – che si presenta online attraverso il sistema telematico Cigsonline – possa essere alleggerita dall'obbligatorietà di caricamento di alcuni allegati, posticipando l'invio di alcune pratiche ad una fase successiva del procedimento, in particolare quelle per cui è richiesto un determinato «visto» di una autorità terza, o la comunicazione dell'Iban dei dipendenti – essendo centinaia i marittimi imbarcati su unità da pesca associate alle cooperative, non vi sarebbero i tempi per raccogliere la certificazione Iban rilasciata dagli istituti bancari, compilare il modulo suddetto e farlo firmare dai pescatori;

   piccole dilazioni nella tempistica della domanda che potrebbero sostenere le imprese della pesca in questa fase;

   sempre nell'ambito della tutela dei lavoratori della pesca, si sottolinea un'altra questione sospesa, quella della cosiddetta Cisoa, un ammortizzatore già strutturato per il settore agricolo che, con legge di bilancio 2022 (articolo 1, commi 217 e 218), è stato esteso ai lavoratori dipendenti imbarcati su navi adibite alla pesca marittima nonché in acque interne e lagunari;

   si tratta di un importantissimo strumento per il trattamento sostitutivo della retribuzione per le giornate di lavoro non prestate – a causa di intemperie stagionali o per altre cause non imputabili al datore di lavoro o agli stessi lavoratori – che rappresenterebbe un sostegno costante e concreto per il settore della pesca, del quale, però, vanno ancora definite, insieme alle parti sociali coinvolte, le norme regolamentative, così da renderlo efficace a tutela dell'occupazione in un settore messo duramente alla prova dalle continue restrizioni dell'attività lavorativa dovute, anche, alle politiche comunitarie –:

   quali siano i tempi di emanazione del decreto interministeriale in parola e se, alla luce dell'evidente ritardo, non si intenda intervenire garantendo una semplificazione per l'invio delle richieste da parte delle imprese, ciò al fine di scongiurare che il settore perda questa importante opportunità;

   se si intenda, anche alla luce della problematica emersa quest'anno, adottare iniziative di competenza volte a rendere strutturale la misura dell'indennità derivante dalla sospensione dal lavoro per l'arresto temporaneo obbligatorio e non obbligatorio dei lavoratori dipendenti da impresa adibita alla pesca marittima, compresi i soci lavoratori delle cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250;

   se si intenda, al più presto, convocare le parti sociali firmatarie dei contratti nazionali del lavoro di riferimento per la pesca al fine di proseguire il confronto avviato già avviato in merito all'estensione della Cisoa ai pescatori, avviata con la legge 30 dicembre 2021, n. 234, e adottare iniziative di tipo legislativo per definire correttivi che consentano di dotare finalmente il settore di un meccanismo di sostegno al reddito in grado di assicurare al personale imbarcato un ammortizzatore sociale efficace e tempestivo, in linea con gli altri strumenti previsti dalla legislazione sociale in genere.
(2-00099) «Caramiello, Fede, Amato, Morfino, Penza, Sergio Costa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ASCANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   Saxa Gualdo Spa, ex Tagina, azienda della ceramica con sede a Gualdo Tadino (PG), dopo gli stop alla produzione di dicembre 2021 e luglio 2022 ha più volte comunicato l'impossibilità di operare nelle attuali condizioni considerati gli alti costi energetici;

   le rappresentanze sindacali e il comune di Gualdo Tadino hanno a più riprese chiesto all'azienda di avviare un tavolo di confronto con la regione Umbria per procedere alla realizzazione del biogestore rispettando tutti i parametri di sicurezza ambientale garantendo salute e occupazione a cittadini e lavoratori;

   il 6 marzo 2023 si è tenuto il Consiglio comunale di Gualdo Tadino sulla situazione della Saxa Gualdo Spa che oggi vede i 120 lavoratori in cassa integrazione in scadenza il 13 marzo 2023;

   dall'esame della situazione è emersa la necessità di un impegno congiunto delle istituzioni locali, regionali e nazionali per scongiurare che le criticità dell'azienda ceramica abbiano pesanti ricadute sociali e occupazionali e non trovino una pronta risposta sul piano delle politiche pubbliche;

   la preoccupazione della comunità di Gualdo Tadino è infatti profonda, tenendo conto della congiuntura economica particolarmente negativa che ha interessato il settore ceramico umbro, con particolare riferimento al comparto della ceramica artistica ed ornamentale, come comprovato dal differenziale negativo dei principali indicatori superiore alla media nazionale;

   i lavoratori della Saxa Gualdo Spa stanno dimostrando grande dignità nell'affrontare sacrifici impensabili e dovrebbero essere supportati in tutte le sedi istituzionali –:

   se non si intenda adottare iniziative di competenza volte a garantire la continuità produttiva della Saxa Gualdo Spa e per l'intero comparto ceramico strategico per l'economia umbra.
(5-00500)

Interrogazione a risposta scritta:


   VIETRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il piano attuativo regionale connesso al Piano straordinario di potenziamento dei centri per l'impiego e delle politiche attive del lavoro di cui al decreto ministeriale 28 giugno 2019, n. 74 è attualmente in una fase di stallo in quanto sarebbero emerse problematiche relative all'impatto che tale piano avrebbe sulle capacità assunzionali complessive dell'ente e alla sua capacità di garantire il trattamento economico complessivamente in godimento dei neoassunti, con particolare riferimento al salario accessorio;

   a parere dell'interrogante, tali problematiche sono il frutto di una lettura del citato decreto difforme rispetto a quella data da altre regioni e che potrebbero essere facilmente superabili qualora la regione Campania decidesse di uniformarsi;

   in particolare, in relazione al rafforzamento degli organici, il piano assegna, a valere su fonti statali, uno stanziamento atto a garantire l'assunzione di un contingente di personale fino alla concorrenza di 11.600 nuove unità di personale;

   tutto ruota intorno al significato dato all'espressione fino a 11.600 (a livello regionale, per la Campania, 1.840 come desumibile dalle tabelle di riparto) e alla sua relazione con il budget assegnato; ovvero, se questo valore numerico, 1.840, sia fisso o vada messo in relazione al budget assegnato a ciascuna regione, budget che assume così il significato di tetto di spesa massima da rispettare per definire, sulla base dei costi omnicomprensivi del personale da assumere, l'incremento numerico della relativa dotazione organica;

   in tale ultimo approccio il numero di assunzioni da realizzare non si traduce automaticamente in un numero fisso di personale da assumere, ma in quel numero dato dal rapporto fra limite di spesa (lo stanziamento statale assegnato) e il costo medio unitario omnicomprensivo dei profili professionali afferenti alle differenti categorie di inquadramento contrattuale individuate al fine di implementare il proprio piano di potenziamento;

   su questo orientamento, infatti, sì sono mosse alcune regioni, come ad esempio la regione Lazio, ed è tra l'altro l'unica strada percorribile affinché le assunzioni autorizzate, con aumento della rispettiva dotazione organica, dalle disposizioni di cui alla legge 30 dicembre 2018, n. 145 e al decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (in particolare articolo 12), non rilevino in relazione alle capacità assunzionali ordinarie e il costo delle nuove assunzioni, compresa la spesa dovuta all'incremento del fondo per il trattamento accessorio, sia totalmente coperto dalle risorse stanziate dai fondi destinati al potenziamento dei centri per l'impiego;

   come si legge nella DGR n. 398/2019, la regione Lazio è partita dal considerare il budget ad essa assegnato come tetto di spesa massima corrispondente al limite di spesa sulla cui base definire l'incremento della propria dotazione organica in riferimento al rafforzamento degli organici dei Centri per l'impiego –:

   di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere in merito, con particolare riguardo alla necessità di fornire un'interpretazione univoca del decreto ministeriale 28 giugno 2019, n. 74 che ne garantisca un'applicazione uniforme da parte delle regioni in materia di potenziamento dei centri per l'impiego.
(4-00626)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo è una struttura moderna, organizzata secondo i più recenti criteri di gestione sanitaria e dotata delle più evolute tecnologie, che opera all'interno del Servizio sanitario nazionale italiano come ospedale religioso classificato ad elevata specializzazione, riconosciuto come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico con decreto dei Ministeri della sanità e dell'università e ricerca scientifica del 16 luglio 1991;

   la struttura è costruita su un'area di circa 100.000 metri quadri, distribuiti tra il polo ospedaliero principale, il Poliambulatorio «Giovanni Paolo II» e il Centro di Ricerca ISBREMIT. Inoltre, non direttamente annessi al polo sanitario di San Giovanni Rotondo, si trovano i centri dialisi di Manfredonia, Rodi Garganico e Vieste e l'Istituto Casa Sollievo della Sofferenza – Mendel di Roma;

   la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni, oltre a svolgere attività cliniche e assistenziali in stretto contatto con il Ministero della salute e con i più importanti poli di ricerca italiani ed europei, si occupa anche di ricerca clinica, in particolare nel settore della genetica e delle malattie eredo-familiari. In particolare, il nuovo Centro di Ricerca ISBREMIT (Institute for Stem-cell Biology, Regenerative Medicine and Innovative Therapies) ospita un nuovo laboratorio di produzione di cellule staminali per uso clinico ed è una delle pochissime strutture del genere esistenti in Italia;

   l'ospedale, che è tra i più grandi dell'Italia meridionale, accoglie pazienti provenienti da tutta Italia: nel 2022 gli accessi ambulatoriali di pazienti fuori regione sono stati pari al 7,5 per cento ossia 21.000 su 277.000 e i ricoveri sono stati pari al 15 per cento, ossia 4.800 su 32.500. Inoltre, i numeri al 2022 sono i seguenti:

    57.000 pazienti annui;

    200.000 giornate di degenza;

    utilizzo dell'80 per cento degli 867 posti letto;

    1 milione di prestazioni ambulatoriali;

    2.500 dipendenti;

    150 medici, biologici e tecnici;

   la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni si è collocata al primo posto tra gli ospedali del sud Italia nella classifica «The World's Best Hospitals 2023» del Newsweek per la capacità di attrarre le persone migliori e ottenere i migliori risultati per i pazienti, proprio come le più importanti nuove terapie e ricerche;

   l'ospedale sta affrontando una grave crisi economico-finanziaria per mancata assegnazione di adeguati finanziamenti che rischia di metterne a serio rischio la funzionalità: gli interventi correttivi ipotizzati, al fine di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2024 e un primo utile nell'anno successivo, – che sono stati riportati dalla stampa locale – porterebbero a una notevole riduzione di posti letto, al mancato finanziamento della cardiochirurgia, al mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato oltre alla mancata applicazione del nuovo contratto della sanità pubblica per il personale in servizio. La situazione appare particolarmente confusa altresì in relazione alla mancanza di una comunicazione aziendale in grado di offrire precise indicazioni anche riguardo all'impatto sul livello occupazionale di queste manovre di cui sarebbe stata informata pure la regione Puglia che avrebbe già iniziato una serie di interlocuzioni con i vertici della Casa sollievo;

   queste previsioni, ancorché giustificate da vincoli finanziari e di bilancio, determineranno comunque una riduzione del personale a causa dei pensionamenti previsti per i prossimi anni nel numero di circa 500 unità che non verranno compensati da nuove assunzioni. Ma non solo: saranno previste la riduzione della durata media delle degenze e il decremento del numero dei posti letto attualmente utilizzati –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro interrogato per assicurare il pieno e ottimale funzionamento della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni al fine di garantire ai cittadini la qualità dei servizi offerti dall'ospedale nonché, di conseguenza, effetti positivi sull'occupazione e sull'intera economia della provincia di Foggia, del Gargano e dell'intera Puglia.
(2-00100) «Patriarca, Gatta, Rubano, Battilocchio».

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZANELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   Antonella Barone, presidente dell'associazione Aipamm OdVi, Associazione italiana pazienti con malattie mieloproliferative, che opera da anni nell'ambito delle neoplasie ematologiche rare, tra cui la policitemia vera (PV), malattia cronica e progressiva, ha segnalato una grave criticità che incontreranno a breve i pazienti arruolati nella fase osservazionale successiva allo studio clinico randomizzato di fase II «Ropeginterferon alfa-2bversus phlebotomy in low risk patients with polycythaemia vera» che terminerà il 31 marzo 2023;

   Ropeginterferon alfa-2b è la sostanza attiva del farmaco Besremi, attualmente commercializzato e fornito in condizioni di rimborso solo a coloro che rispondono a criteri del registro di monitoraggio Aifa, ovvero a pazienti con PV – senza splenomegalia sintomatica – che siano risultati intolleranti al trattamento con idrossiurea secondo i criteri della «European Leukemia Net» a donne in età fertile che intendano intraprendere una gravidanza, nei soggetti con storia di tumori cutanei;

   i pazienti arruolati nello studio citato ricevono il farmaco in accordo a criteri del protocollo non necessariamente in linea con quelli previsti dal registro. Pertanto, una volta terminato lo studio, i centri coinvolti potranno assicurare la continuità terapeutica ai pazienti fuori dai criteri del rimborso, solo sostenendo il costo della terapia con Besremi a spese proprie. La PV, però, è una malattia cronica, e tale aspetto può rappresentare un ostacolo alla fornitura del medicinale da parte dei centri coinvolti, con un'evidente ricaduta negativa sui pazienti;

   i 30 pazienti italiani hanno riportato risultati eccellenti durante il trial, avendo smesso o sensibilmente ridotto i salassi, azzerato o in molti casi ridotto la carica allelica, eliminato la sintomatologia e raggiunto una qualità della vita analoga a quella precedente alla diagnosi;

   secondo quanto disposto da Aifa, questi pazienti dopo il 31 marzo 2023, data in cui terminerà lo studio, non riceveranno più il farmaco che si sono prestati a sperimentare. Questo perché non rientrano nei criteri di prescrivibilità stabiliti da Aifa, non coincidenti con quelli per l'accesso al trial. In sostanza i pazienti al di sotto dei 60 anni a basso rischio torneranno a effettuare salassi, ai pazienti di età superiore sarà prescritta idrossiurea, farmaco palliativo, iatrogeno e chemioterapico in sostituzione di quello assunto durante il trial, Besremi, di fatto immunoterapico ritenuto disease modifyng;

   non sussiste alcuna certezza che i centri potranno continuare, e per quanto tempo, a fornire il trattamento al di fuori del rimborso;

   si dovrebbe evitare l'effetto paradossale che mentre per essere arruolati allo studio non si doveva aver assunto idrossiurea ora, una persona che ha fatto con successo il trial, dovrebbe assumerla e, solo nel caso di una sua intolleranza, avrebbe diritto di tornare al farmaco che si era prestato a sperimentare;

   questo rappresenterebbe esattamente il contrario della continuità terapeutica che, come più volte sancito dall'Aifa e confermato dallo stesso Consiglio di Stato, resta una priorità al fine di osservare la cautela, una volta iniziato il trattamento con un prodotto, di proseguirlo con lo stesso prodotto;

   è necessario garantire ai 30 pazienti che hanno completato il trial, traendone sensibili vantaggi in termini di qualità della vita, la continuità senza effettuare un cambio di trattamento farmacologico o un'interruzione contraria a tutti i princìpi che tutelano il diritto alla salute –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per garantire ai pazienti la terapia con Besremi anche dopo il 31 marzo 2023, data in cui terminerà lo studio, e continuare a ricevere gratuitamente il farmaco che si sono prestati a sperimentare garantendo loro la continuità terapeutica.
(4-00616)


   GIRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 9 febbraio 2018 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo a «Individuazione del profilo professionale dell'Assistente di studio odontoiatrico»;

   il decreto definisce la figura professionale dell'Assistente di studio dentistico (ASO), la formazione necessaria, le attività di sua competenza e il regime transitorio per gli operatori già attivi al momento dell'entrata in vigore del decreto;

   all'articolo 2 (La formazione), comma 2, dell'accordo tra Governo, regioni e province autonome recepito dal succitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2018 si esplicita che «Coloro che conseguono l'attestato di qualifica/certificazione ai sensi dell'art. 10 e i lavoratori esentati di cui all'art. 11, sono obbligati a frequentare degli eventi formativi di aggiornamento della durata di almeno 10 ore all'anno»;

   il 9 marzo 2022 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo a: «Recepimento dell'Accordo sancito tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in data 7 ottobre 2021, concernente l'individuazione del profilo professionale dell'assistente di studio odontoiatrico, quale operatore d'interesse sanitario»;

   all'articolo 2 (La formazione), comma 3 del succitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2022, si ribadisce che «Coloro che conseguono l'attestato di qualifica/certificazione ai sensi dell'art. 10 e 12 e i lavoratori esentati di cui all'art. 11, sono obbligati a frequentare degli eventi formativi di aggiornamento della durata di almeno dieci ore all'anno»;

   nonostante i due decreti siano estremamente chiari in materia di aggiornamento/formazione sul territorio italiano molti lavoratori non hanno ottemperato all'obbligo;

   i datori di lavoro non procedono con l'assunzione di ASO che non abbiano provveduto all'aggiornamento pregresso;

   durante i sopralluoghi da parte degli organi di vigilanza sono state sospese le richieste di autorizzazione all'esercizio, come è accaduto nella regione Veneto, poiché il personale ASO è risultato sprovvisto dell'aggiornamento obbligatorio;

   all'interno di entrambi i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri non c'è alcun riferimento su come le ore di aggiornamento non espletate si possano recuperare –:

   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopraesposti, intenda esplicitare meglio come le ore di aggiornamento non espletate si possano recuperare;

   se intenda, per quanto di competenza, consentire al personale ASO che non ha effettuato le ore di aggiornamento di continuare a svolgere la professione stabilendo una tempistica entro cui dovrà ottemperare a tale aggiornamento.
(4-00622)


   ZANELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il sito del Gazzettino.it pubblicava, il 18 ottobre 2022, la notizia di una nuova rete centri prime cure, ovvero di medici di famiglia e infermieri a pagamento, una attività privata messa in piedi dalla società trevigiana MipMedical Srl a Treviso;

   si tratta della nuova frontiera, data la carenza di medici di famiglia con interi comuni veneti e famiglie rimaste senza;

   con prezzi bassi, in linea con il ticket, sarà possibile, a Treviso, accedere a servizi attivi 7 giorni su 7, evitando le attese negli ambulatori e le code come codici bianchi nel pronto soccorso degli ospedali, con la prospettiva di poter prenotare visite generiche e prestazioni infermieristiche direttamente nelle farmacie;

   in questi studi medici operano giovani dottori non ancora specializzati, già impegnati come sostituti di medici di famiglia o nelle unità speciali per il Covid. Il prezzo per una visita generalista è di 20 euro. Centri del genere sembra siano destinati ad aumentare, mettendo a rischio la sanità pubblica;

   la privatizzazione della sanità in Veneto sembra acclarata prima con pronto soccorso ospedalieri nei quali operano medici di cooperative e ora i medici di medicina generale;

   è il frutto di 20 anni di politiche sociosanitarie nel Veneto che hanno portato ad un vero e proprio fallimento, mancano medici di base e invece di risolvere la questione alla radice, ossia rendendo praticabile la professione nella regione Veneto, si decide di offrire attività private a pagamento, dopo la privatizzazione ospedaliera e ambulatoriale, ora la privatizzazione dei servizi essenziali;

   l'avvento della figura del medico di famiglia a pagamento, che ha fatto la sua comparsa nel trevigiano su iniziativa privata, disegna una grave deriva, proprio nel momento di maggiore crisi economica che investe anche la società veneta;

   la sanità come bene comune sta diventando sempre di più un bene per pochi. Se passa l'idea che i cittadini devono pagare il ticket per avere accesso alle prestazioni del medico di famiglia, il sistema, che doveva essere gratuito ed universalistico, sarà superato definitivamente, per responsabilità e inerzia della regione;

   la Fimmg Veneto ha chiesto alla regione di fermare queste iniziative commerciali, affermando che i medici di medicina generale del Veneto non hanno deciso di offrire prestazioni a pagamento alla popolazione e intendono al contrario rimanere una risorsa del Servizio sanitario nazionale pubblico, trattandosi di un'iniziativa privata, libero professionale e commerciale che nulla ha a che vedere con la medicina generale e con gli scopi del Servizio sanitario nazionale e regionale;

   queste iniziative di privatizzazione sono frutto di una politica assente e più concentrata a ridelineare i suoi precari equilibri che a impegnarsi nel programmare e attuare la necessaria riorganizzazione della medicina territoriale –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa, e se non ritenga urgente adottare iniziative, per quanto di competenza, affinché in luogo del sostegno all'avvio di tali attività, sia il Servizio sanitario nazionale pubblico ad erogare e garantire servizi sanitari essenziali, contrastando efficacemente i percorsi di privatizzazione che si sono già evidenziati in ambito ospedaliero e ambulatoriale.
(4-00623)

TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro del turismo, al Ministro per le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato su Repubblica il 9 marzo 2023 si apprende che in Trentino, a San Martino di Castrozza, una famiglia di turisti, il cui terzogenito è affetto da una grave disabilità cognitiva, la sindrome di Norrie, che alloggiavano presso l'hotel 4 stelle Colbricon Beauty & Relax, è rimasta vittima di un grave atto di discriminazione da parte della struttura alberghiera proprio a causa della disabilità del figlio;

   dal racconto dei genitori – la madre è l'anima dell'associazione «Con i miei occhi», che segue i disabili della vista affetti anche da altre invalidità – emerge che, nonostante la struttura fosse stata preventivamente informata sul fatto che il figlio fosse un non vedente affetto da grave disabilità, l'albergatrice, dopo un paio di giorni dall'inizio del soggiorno, ha comunicato alla donna che la sera precedente dei clienti si erano lamentati per la presenza del ragazzo al ristorante, utilizzando l'espressione: «per la presenza di un disabile a tavola»;

   quindi, l'albergatrice ha proposto alla famiglia l'utilizzo di una sala riservata, lontano dalla vista degli altri clienti;

   comprensibilmente scossa da tale comunicazione, la famiglia ha deciso di interrompere anticipatamente la vacanza, lasciando la struttura;

   quanto accaduto presso l'hotel Colbricon è un fatto grave, rappresenta un'ingiustizia e una totale mancanza di umanità;

   specialmente chi opera in strutture ricettive, dovrebbe fare dell'accoglienza il proprio punto di forza e dovrebbe educare i propri clienti al rispetto delle diversità e non cedere agli istinti più bassi dell'animo umano che portano al rifiuto dell'altro, negando a questa famiglia la normalità di una vacanza in montagna;

   la tardiva mail di scuse da parte dell'albergo è assolutamente insufficiente a risarcire il danno innanzitutto morale causato alla famiglia che giustamente si è ribellata all'assurda proposta della struttura alberghiera;

   quanto accaduto dimostra purtroppo che ancora oggi è necessario continuare a condurre profonde battaglie culturali per abbattere barriere che dovrebbero essere già superate, per educare alle diversità e perché le disabilità non vengano più osservate con fastidio –:

   quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati circa i fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché gravi episodi di discriminazione come quello denunciato in premessa non sì debbano più ripetere, prevedendo anche specifiche campagne ministeriali indirizzate innanzitutto agli operatori del settore turistico-ricettivo di educazione all'accoglienza, alle diversità e alle disabilità.
(4-00629)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Foti n. 1-00071, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 56 del 22 febbraio 2023:

   La Camera,

   premesso che:

    il più grave scandalo che l'Unione europea abbia finora mai vissuto, che i media hanno impropriamente definito «Qatargate», scoppia il 9 dicembre 2022 quando la polizia belga, su mandato del giudice istruttore Michel Claise, richiama a Bruxelles la Vice Presidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, al fine di perquisire sia la sua abitazione che il suo ufficio, oltre che abitazioni e luoghi di lavoro di altre persone sulle quali l'anticorruzione del Belgio aveva avviato un'indagine partita a luglio dello stesso anno;

    le perquisizioni della polizia belga hanno portato ad otto arresti, ovvero quello della Vice Presidente del Parlamento europeo Eva Kaili (Movimento socialista panellenico), del suo assistente Francesco Giorgi, dell'ex parlamentare europeo (membro del Partito democratico fino al 2017 e di Articolo 1 fino al 2022) ed ex segretario generale della Camera del lavoro di Milano Antonio Panzeri (insieme alla moglie e alla figlia), di Luca Visentini, segretario della Confederazione internazionale dei sindacati (poi rilasciato) e di Niccolò Figà-Talamanca, capo dell'organizzazione non governativa «No Peace Without Justice», ora in libertà vigilata;

    per tutti i soggetti arrestati l'accusa è di corruzione, riciclaggio, associazione a delinquere;

    nella sua indagine, il giudice istruttore Claise ha mirato al cuore di un sistema basato sulla contiguità tra politici e lobbisti, sul confine tra diplomazia e interesse, sulla relazione tra potere, ideali, denaro;

    oltre che essere stato un deputato del Parlamento europeo e segretario della Camera del lavoro di Milano, Antonio Panzeri risulta essere il fondatore della «Fight Impunity», ovvero una organizzazione non governativa (ong) con il fine dichiarato di promuovere i diritti umani ed organizzare eventi che, stando a quanto emerso dalle indagini della polizia belga, è stata utilizzata da tramite per facilitare il riciclaggio di fondi illeciti, mettendo così in discussione la legittimità e l'integrità delle ong affiliate a determinati gruppi politici o deputati al Parlamento europeo;

    nell'abitazione del Panzeri, la polizia belga ha trovato 600 mila euro in contanti, computer e telefoni cellulari, mentre in quella di Kaili e Giorgi sono stati rinvenuti 150 mila euro in contanti, ai quali vanno sommati ulteriori 600 mila euro trovati all'interno di un trolley che il padre della Kaili, Alexandros Kaili, ha tentato di portar via dall'hotel Sofitel di Place Jourdan di Bruxelles prima di essere fermato dalla polizia;

    in totale le operazioni di sequestro delle autorità belghe ammontano a 1,5 milioni di euro;

    secondo gli inquirenti i Paesi di provenienza di tali fondi sarebbero il Qatar ed il Marocco;

    sempre secondo la pista investigativa, tra le priorità del Qatar, vi erano i campionati mondiali di calcio in preparazione dei quali la leadership avrebbe manifestato forti preoccupazioni per gli echi mediatici relativi a condizioni asseritamente proibitive di lavoro, oltre che ai frequenti casi di incidenti mortali sul lavoro;

    quanto al Marocco, vi era l'interesse di Rabat alla questione del Sahara occidentale, di cui rivendica la sovranità;

    nel corso degli interrogatori cui sono stati sottoposti, sia Antonio Panzeri che Francesco Giorgi hanno fatto ulteriori nomi di persone che sarebbero coinvolte nello scandalo, ovvero gli eurodeputati Antonio Cozzolino del Partito democratico e Marc Tarabella del Partito socialista;

    in data 2 febbraio 2023, il Parlamento Europeo in seduta plenaria ha votato a favore della revoca dell'immunità sia di Cozzolino che di Tarabella i quali, conseguentemente, sono stati posti in stato di arresto,

impegna il Governo:

1) nelle competenti sedi europee a sostenere ogni iniziativa utile al contrasto della corruzione e una necessaria regolamentazione delle attività di lobby;

2) ad agire, nelle sedi opportune e, se del caso, secondo le procedure previste dalla giurisdizione belga, al fine di costituirsi come parte civile nel procedimento penale in essere, per la salvaguardia e tutela dell'immagine dell'Italia nel contesto internazionale;

3) ad aggiornare il Parlamento in merito agli sviluppi della vicenda di cui in premessa.
(1-00071) (Nuova formulazione) «Foti, Messina, Gardini, Antoniozzi, Ruspandini, Almici, Ambrosi, Amich, Amorese, Baldelli, Benvenuti Gostoli, Buonguerrieri, Caiata, Calovini, Cangiano, Cannata, Caramanna, Caretta, Cerreto, Chiesa, Ciaburro, Ciancitto, Ciocchetti, Colombo, Colosimo, Comba, Congedo, Coppo, De Bertoldi, De Corato, Deidda, Di Giuseppe, Di Maggio, Dondi, Donzelli, Filini, Frijia, Giordano, Giorgianni, Giovine, Iaia, Kelany, Lampis, Lancellotta, La Porta, La Salandra, Longi, Loperfido, Lucaselli, Maccari, Maerna, Maiorano, Malagola, Malaguti, Mantovani, Marchetto Aliprandi, Mascaretti, Maschio, Matera, Matteoni, Mattia, Maullu, Michelotti, Milani, Mollicone, Morgante, Mura, Osnato, Padovani, Palombi, Pellicini, Perissa, Pietrella, Polo, Pozzolo, Pulciani, Raimondo, Rampelli, Rizzetto, Roscani, Angelo Rossi, Fabrizio Rossi, Rosso, Rotelli, Rotondi, Gaetana Russo, Sbardella, Schiano Di Visconti, Schifone, Rachele Silvestri, Testa, Trancassini, Tremaglia, Tremonti, Urzì, Varchi, Vietri, Vinci, Volpi, Zucconi, Zurzolo».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Grimaldi n. 4-00512 del 21 febbraio 2023 in interrogazione a risposta orale n. 3-00236.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   CANGIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la legislazione che disciplina il riconoscimento delle vittime innocenti della criminalità organizzata è prevista dalla legge n. 302 del 1990, di competenza del Dipartimento per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze del Ministero dell'interno;

   i riferimenti legislativi che consentono la concessione del beneficio sono: l'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge n. 302 del 1990 che stabilisce che la vittima e gli istanti devono essere soggetti totalmente estranei ad ambienti e rapporti delinquenziali, e l'articolo 2-quinquies del decreto-legge n. 151 del 2008, convertito, con modificazioni dalla legge n. 186 del 2008 che prevede il diniego dell'istanza nel caso in cui il beneficiario risulti parente o affine entro il quarto grado con soggetti nei cui confronti, risulti in corso un procedimento penale per reati molto gravi, tra cui quelli di tipo mafioso;

   come riportato anche da numerosi organi di stampa, sono troppi i casi di rigetto delle istanze, presentate dai familiari delle vittime innocenti della criminalità organizzata, in questo modo, lo spirito solidaristico che aveva ispirato il legislatore ad emanare la legge n. 302 del 1990 è del tutto scomparso;

   si segnala il caso di Gianluca Cimminiello, ucciso dalla camorra il 2 febbraio 2010 davanti alla porta del suo studio «Zendark tattoo» a Casavatore (Napoli). La sentenza penale passata in giudicato ha accertato la completa estraneità della vittima ad ambienti delinquenziali. Il Ministero ha però ritenuto di rigettare l'istanza presentata dalla madre della vittima, perché i nipoti del marito, suoi affini di 4° grado, sono gravati da precedenti penali;

   per quanto risulta all'interrogante, nonostante le successive integrazioni e osservazioni, tutte documentate, fatte pervenire all'ufficio del Ministero, quest'ultimo con decreto n. 27 del 2022 ha rigettato l'istanza, mancando di valutare che la madre di Gianluca Cimminiello, la signora Nunzia Rizzo, ha denunciato, nel lontano 1985, il coniuge per molestie sessuali a danno della figlia, sorella della vittima. Per quella denuncia il marito della Rizzo, costituitasi parte civile, è stato condannato alla pena detentiva ed alla perdita della potestà genitoriale. Da quella denuncia e per oltre 30 anni tutti i rapporti della madre del Cimminiello con il coniuge, per altro deceduto, e con la sua famiglia sono stati definitivamente interrotti;

   a giudizio dell'interrogante, l'interpretazione data alla norma relativa alle parentele entro il 4° grado risulta essere incostituzionale, tenuto conto che la Corte costituzionale ha più volte ritenuto arbitrario presumere che valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a singoli membri della stessa, diversi dall'interessato, debbano essere automaticamente trasferiti all'interessato medesimo. Si ricordino le sentenze nn. 108 del 1994 e 391 del 2000 con le quali la Corte costituzionale ha stabilito l'illegittimità costituzionale di quelle norme che prevedono limitazioni che non riguardano «capacità, attitudini o condotte relative al soggetto interessato» ma che consistono «in valutazioni o in comportamenti imputati all'ambiente familiare, che, in base a una arbitraria presunzione legislativa, vengono automaticamente riferiti al soggetto stesso»;

   l'applicazione errata di una norma (l'articolo 2-quinquies della legge n. 186 del 2008), che, a parere dell'interrogante è già di per sé incostituzionale, ha determinato numerosi rigetti che hanno l'effetto di lasciare intravedere una pericolosa e deprecabile discriminazione ai danni della memoria delle vittime innocenti della camorra e all'impegno dei loro familiari –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle notizie riportate;

   se e quali iniziative intenda assumere per garantire l'esatta e puntuale applicazione delle disposizioni, anche in relazione alla giurisprudenza costituzionale citata in premessa;

   se non ritenga di adottare iniziative per pervenire ad una corretta e certa interpretazione delle norme anche attraverso l'emanazione di circolari ed atti di indirizzo rivolte agli organi competenti.
(4-00203)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, si richiama l'attenzione sulle provvidenze erogate dallo Stato in favore delle vittime della criminalità organizza di tipo mafioso, con particolare riferimento ad una istanza presentata dalla signora R.N., rigettata dai competenti uffici.
  Va premesso che la concessione dei predetti benefìci statali è subordinata al rispetto di stringenti limitazioni per scongiurare il rischio che, attraverso la destinazione di pubblico denaro a soggetti inseriti in nuclei familiari a rischio di infiltrazione mafiosa, si finisca per favorire, seppure indirettamente, la criminalità organizzata. A tal fine l'attuale quadro normativo prevede determinati requisiti per il riconoscimento dei benefìci economici richiesti. Si fa riferimento, in particolare, al requisito oggettivo previsto dall'articolo 1 della legge n. 302 del 1990, ai requisiti soggettivi della completa estraneità agli ambienti e ai rapporti delinquenziali da parte della vittima e dei suoi familiari (articoli 1, comma 2, lettera
b) e 9-bis della legge n. 302 del 1990 e 2-quinquies, comma 1, lettera b) della legge n. 186 del 2008) nonché ai requisiti soggettivi di cui all'articolo 2-quinquies, comma 1, lettera a) della legge n. 186 del 2008, che prevede, tra l'altro, quale insuperabile limite alla concessione di provvidenze, che «il beneficiario non risulti coniuge, affine o convivente di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l'applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni (...)».
  Quanto allo specifico caso segnalato con l'atto di sindacato ispettivo, si rappresenta che l'interessata ha presentato, in data 7 febbraio 2011, istanza alla prefettura di Napoli per la concessione dei benefìci previsti dalle leggi n. 302 e n. 407 del 1998 e n. 244 del 2007 in favore delle vittime della criminalità organizzata.
  L'amministrazione competente con provvedimento del 3 maggio 2022 n. 27 del 2022 ha respinto l'istanza, previo preavviso di diniego notificato in data 1° aprile 2021 all'interessata poiché dall'istruttoria in atti è emersa la carenza di requisiti soggettivi in capo alla richiedente, anche alla luce dei pareri non favorevoli all'accoglimento dell'istanza espressi dal prefetto di Napoli in data 15 settembre 2020 e dalla commissione consultiva
ex articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 510 del 1999 nella seduta del 4 marzo 2021.
  Dall'istruttoria effettuata è risultato, altresì, che nei confronti di quattro nipoti della richiedente, e, dunque, come tali affini di quarto grado della stessa, sono state applicate misure di prevenzione, circostanza che già di per sé costituisce motivo oggettivamente ostativo all'accoglimento dell'istanza ai sensi del citato articolo 2-
quinquies, comma 1, lettera a) legge n. 186 del 2008.
  Va, altresì, precisato che con il predetto decreto di rigetto n. 27 del 2022 è stato fornito adeguato, specifico e dettagliato riscontro alle osservazioni inviate dal legale di parte al preavviso di diniego, non mancandosi di valutare l'aggiornato contesto dei rapporti della richiedente con il coniuge.
  Su un piano generale, infine, si evidenzia come con apposita circolare del Gabinetto del Ministro dell'interno, n. 16001/149/2/(2) del 18 giugno 2019, indirizzata ai prefetti sono state fornite puntuali indicazioni al fine di assicurare l'uniforme applicazione delle disposizioni normative in materia di benefìci in favore delle vittime civili del terrorismo e delle vittime innocenti della criminalità organizzata di tipo mafioso, garantendo altresì l'applicazione di doverosi criteri di equità sostanziale nel rispetto dei princìpi sanciti dalla Costituzione. Anche di tali indicazioni è stato tenuto conto nel caso oggetto del presente atto di sindacato ispettivo parlamentare.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Wanda Ferro.


   CAPARVI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con decreto interministeriale del 30 dicembre 2021 sono stati individuati i comuni beneficiari del contributo di cui all'articolo 1, commi 42 e seguenti, della legge n. 160 del 2019 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2021, rivolti ad «investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti (...) al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale»;

   l'ammontare del contributo spettante a ciascun ente è stato determinato in base all'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm), indicatore di cui in più occasioni, già nella XVIII legislatura, il gruppo Lega-Salvini Premier ha evidenziato l'inadeguatezza ai fini di un'equa ripartizione delle risorse sul territorio nazionale in rapporto alla validità dei progetti;

   in proposito si ricorda la mozione n. 1-00569 Molinari ed altri, con la quale si era impegnato l'allora Governo, tra l'altro, ad assumere tutte le iniziative di competenza ad integrare le risorse necessarie a garantire il finanziamento di tutti i progetti che avevano superato il vaglio di ammissibilità ed a rivedere il criterio dell'Ivsm proprio al fine di garantire un'equilibrata distribuzione territoriale delle risorse, pur mantenendo la quota minima del 40 per cento per il Mezzogiorno –:

   se e quali iniziative di competenza intendano adottare in merito a quanto esposto in premessa.
(4-00009)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo al tema dei finanziamenti previsti in favore dei comuni per progetti di rigenerazione urbana, si rappresenta quanto segue.
  Nel richiamare preliminarmente la cornice legislativa di riferimento, si evidenzia che la legge del 27 dicembre 2019, n. 160, ha previsto specifiche linee di finanziamento per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, dedicate a progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale. In particolare, sono stati stanziati 150 milioni di euro per il 2021, 250 per il 2022, 550 milioni per gli anni 2023 e 2024, 700 milioni per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034.
  Lo scorso anno l'erogazione dei contributi in questione è stata attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dei 21 gennaio 2021, a seguito di un'intesa sancita con l'ANCI in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali il 26 novembre del 2020, In quella sede si è convenuto di introdurre, tra i criteri per la selezione del progetti, quello che fa riferimento all'indice di vulnerabilità sociale e materiale definito dall'Istat (Ivsm), in ragione della necessità di riconoscere una preferenza alle realtà locali più svantaggiate, in coerenza con le finalità dell'intervento legislativo.
  Si rammenta anche che, per corrispondere alle esigenze di ampliare la platea dei beneficiari, il legislatore è intervenuto successivamente con il decreto-legge del 1° marzo 2022, n. 17, grazie al quale sono state stanziate ulteriori risorse pari a 905 milioni di euro, che hanno consentito di finanziare tutte le opere che erano state ammesse alla graduatoria finale.
  Ulteriori interventi in materia sono stati disposti dalla legge del 30 dicembre 2021, n. 234, che, nell'estendere la categoria dei possibili beneficiari dei contributi, ha previsto per l'anno 2022 l'assegnazione di risorse per progetti di rigenerazione urbana pari a 300 milioni di euro in favore dei comuni con popolazione inferiore al 15.000 abitanti che, in forma associata, superano detta soglia.
  La legge sopra richiamata prevede che, qualora l'entità delle richieste superi l'ammontare delle risorse, l'attribuzione sia effettuata in favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale,
  Con il decreto interministeriale del 19 ottobre 2022 sono stati individuati i comuni beneficiari dei predetti contributi, per un importo complessivo di circa 297 milioni di euro, a fronte di istanze trasmesse da 5.268 enti locali e relative a progetti il cui importo complessivo è risultato ampiamente superiore alle risorse stanziate dalla legge.
  Tanto premesso, si assicura che le criticità segnalate nell'interrogazione sono all'attenzione del Governo. In particolare, il Ministero dell'interno, unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze e in collaborazione con l'ANCI, ha valutato la possibilità di recuperare ulteriori risorse da destinare a interventi di rigenerazione urbana.
  Proprio al fine di corrispondere a tale esigenza, con la legge del 13 gennaio 2023, n. 6, in sede di conversione del decreto-legge del 18 novembre 2022, n. 176, è stato introdotto l'articolo 14-
quinquies, che istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un fondo per investimenti in rigenerazione urbana a favore dei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, con una dotazione di 115 milioni di euro per l'anno 2025 e di 120 milioni di euro per l'anno 2026.
  I criteri di riparto del predetto fondo saranno individuati con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, da adottare entro il 30 giugno 2023, assicurando in ogni caso l'attribuzione delle risorse in proporzione al fabbisogno espresso da ciascuna regione, tenendo conto delle risorse assegnate ai sensi dell'articolo 1, comma 534, della legge 30 dicembre 2021 n. 234.
  Sono state anche vagliate possibili soluzioni per individuare un correttivo all'utilizzo del criterio dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale, con l'obiettivo di assicurare una più equilibrata distribuzione regionale delle risorse disponibili in relazione alle istanze presentate.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Wanda Ferro.


   ALESSANDRO COLUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 4 dicembre 2020, fu ridefinita, alla luce delle modificazioni intervenute con il decreto-legge n. 34 del 2019, convertito con modificazioni dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, la disciplina di attuazione della misura di cui al Titolo I, Capo 01 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, adottata con regolamento dell'8 luglio 2015, n. 140, volta a sostenere nuova imprenditorialità, in tutto il territorio nazionale, attraverso la creazione di micro e piccole imprese competitive, a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile;

   per dare attuazione al suddetto decreto, la circolare 8 aprile 2021, n. 117378, e successive modifiche, all'articolo 9 assegna al soggetto gestore la valutazione dei requisiti e dell'esame di merito (9.2) delle domande, sulla base delle informazioni rese nel modulo di domanda e del colloquio con i proponenti, entro quarantacinque giorni (9.6) dalla data di presentazione della domanda di agevolazione o di completamento della stessa ai sensi del punto 8.9;

   all'esito delle verifiche di cui al punto 9.9 della circolare, da espletare entro quarantacinque giorni dalla conclusione delle attività di cui al punto 9.2 o dalla data di completamento della documentazione, il soggetto gestore adotta la delibera di ammissione o di non ammissione della domanda alle agevolazioni. Ai fini dell'adozione della delibera di ammissione alle agevolazioni, il soggetto gestore procede alla registrazione e alle verifiche dell'aiuto individuale sul registro nazionale degli aiuti di Stato di cui all'articolo 52 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 e successive modifiche e integrazioni e, ove nulla osti, adotta il provvedimento. Entro dieci giorni dalla predetta adozione, il soggetto gestore ne dà comunicazione al soggetto proponente;

   il bando On-Nuove imprese a tasso zero si è aperto in data 19 maggio 2021;

   risulta all'interrogante che le scadenze sopra richiamate nella generalità dei casi sono state oltrepassate in misura significativa dall'amministrazione;

   per la forma dell'agevolazione, che nella sua opzione principale permette alle aziende di presentare fatture quietanzate relative a investimenti già effettuati, un simile ritardo temporale, unito all'alea di incertezza sul tempo esatto di godimento dell'agevolazione, non favorisce aspiranti imprenditori, in particolare giovani, incentivandoli all'apertura di nuove imprese, ma rappresenta un mero rifinanziamento di un investimento già effettuato, determinando situazioni di squilibrio finanziario importanti per i proponenti che volessero invece fare affidamento sulla misura in oggetto per la partenza delle proprie iniziative imprenditoriali;

   una maggior celerità, alla luce delle segnalazioni pervenute all'interrogante da alcuni proponenti, risulterebbe meno urgente se i dispositivi di cui al punto 11.3 della citata circolare fossero meno restrittivi, se per esempio fossero previste maggiori quote di anticipazione richiedibili dalle imprese proponenti una volta ammesse alle agevolazioni, ovvero non fossero tassativamente richieste per tali anticipazioni polizze fideiussorie, o infine se, per compensare il fattore tempo di cui gli imprenditori proponenti si sono fatti carico, una parte più ampia del finanziamento fosse concessa a fondo perduto, come già avvenuto con decreto ministeriale del 24 febbraio 2022 in relazione all'agevolazione Smart&Start –:

   se il Governo abbia acquisito contezza dei tempi medi di effettivo disbrigo dell'iter descritto in premessa, se condivida la preoccupazione circa la criticità dei relativi ritardi in considerazione delle caratteristiche dei meccanismi di agevolazione richiamate in premessa, e se intenda adottare le iniziative di competenza per garantire il rispetto delle scadenze previste.
(4-00038)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sentita la direzione generale competente del Ministero delle imprese e del made in Italy, si rappresenta quanto segue.
  L'interrogante fa riferimento alla misura «Nuove imprese a tasso zero», disciplinata dal titolo I, capo 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, che ha l'obiettivo di sostenere la creazione e lo sviluppo di micro e piccole imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile, su tutto il territorio nazionale.
  A tal proposito si chiede di conoscere se il Governo abbia avuto conoscenza del mancato rispetto della tempistica prevista dalla citata normativa da parte dell'amministrazione nella gestione dell'
iter agevolativo de quo e se intenda adottare iniziative di competenza per garantire il rispetto delle scadenze previste.
  Sul punto occorre premettere che nel 2019 sono state apportate diverse modifiche normative alla misura, che hanno ampliato il campo di applicazione dell'intervento ed hanno introdotto le semplificazioni e agevolazioni aggiuntive di seguito sintetizzate:

   estensione della platea dei potenziali beneficiari alle imprese, create fino a 5 anni antecedenti la presentazione della domanda;

   innalzamento della soglia degli investimenti, finanziabili fino a 3 milioni di euro;

   introduzione dei servizi di tutoraggio e accompagnamento, per le imprese costituite da non più di 36 mesi;

   previsione, tra le spese ammissibili al finanziamento, di una quota di capitale circolante;

   innalzamento delle agevolazioni fino al 90 per cento delle spese complessivamente ammesse al finanziamento;

   introduzione di una quota di contributi a fondo perduto fino al 20 per cento delle spese di investimento;

   riduzione, in misura sostanziale, delle garanzie precedentemente richieste a fronte del finanziamento concesso;

   possibilità di ottenere quote di erogazione delle agevolazioni, a fronte di fatture ancora non pagate dai beneficiari, al fine di ridurre le esigenze di anticipare i fondi da parte degli stessi.

  Conseguentemente a tali modifiche, è aumentato significativamente il numero delle domande presentate all'apertura dello sportello del 19 maggio del 2021, il quale è stato chiuso per esaurimento delle risorse a novembre dello stesso anno e riaperto il 24 marzo 2022, a seguito del rifinanziamento disposto con legge 30 dicembre 2021, n. 234.
  Alla data del 9 novembre 2022, dopo circa un anno e mezzo di operatività, sono pervenute al soggetto gestore 3.760 domande, a fronte delle 3.549 domande pervenute nei cinque anni precedenti, in vigenza della precedente versione della misura. Delle 3.760 domande pervenute, sono state chiuse dal soggetto gestore le istruttorie per 2.312 domande; di queste, 1.063 sono risultate idonee per il completamento della valutazione di merito e, ad oggi, sono state finanziate 327 iniziative per un totale di 87 milioni di euro di finanziamenti e contributi concessi. Tale dato è da raffrontarsi con le 528 iniziative, finanziate per 123 milioni di euro di finanziamenti, concessi in oltre 5 anni con la precedente versione della misura.
  Con riferimento alle tempistiche dell'attività istruttoria, si rappresenta che, già alla data del 15 aprile 2022, il numero di richieste pervenute allo sportello del 24 marzo 2022 superava la dotazione finanziaria disponibile.
  Se il Ministero delle imprese e del
made in Italy avesse applicato la procedura in termini stringenti, avrebbe dovuto chiudere lo sportello del 24 marzo 2022 e riaprirlo solo nel caso in cui, al termine delle istruttorie, si fossero riscontrate economie o deliberati rifinanziamenti della misura. Al fine di assicurare la continuità dell'intervento ed agevolare le imprese, il Ministero invece ha ritenuto opportuno mantenere aperto lo sportello, dandone comunicazione alle imprese interessate attraverso una informativa pubblicata sul sito del soggetto gestore. Questa procedura ha consentito di avviare alla valutazione gli ulteriori progetti via via presentati, nel rispetto dell'ordine cronologico acquisito, considerando le risorse liberate dalle domande valutate con esito negativo, a seguito delle istruttorie gradualmente completate. Inoltre, questa procedura ha reso possibile avviare i progetti dopo la presentazione della domanda, senza dover attendere la riapertura di un nuovo sportello.
  Alla luce di quanto esposto, si rappresenta che le tempistiche previste dalla normativa per il completamento di tutta la fase istruttoria sono state rispettate per tutte le domande pervenute fino a concorrenza della dotazione finanziaria disponibile; per l'avvio all'istruttoria delle domande successive, invece, è stato necessario attendere le conclusioni delle istruttorie precedenti, al fine di accertare i fondi gradualmente disponibili.
  L'interrogante propone poi ulteriori modifiche normative, finalizzate ad aumentare le quote di anticipazioni erogabili e introdurre ulteriori quote di contributi a fondo perduto. Orbene, ferma restando la disponibilità ad ulteriori approfondimenti nell'ottica di un continuo miglioramento della norma, si evidenza che l'attuale misura agevolativa si fonda sull'applicazione possibile delle normative nazionali ed europee in materia di aiuti di stato.
  Infatti, la quota di anticipazione erogabile, a fronte delle necessarie garanzie fideiussorie, è attualmente pari al 40 per cento delle agevolazioni concesse e il contributo a fondo perduto già introdotto, da quantificarsi fino al 20 per cento degli investimenti, è applicabile sull'intero territorio nazionale nel limite massimo consentito dai regimi di aiuto in materia. Si ricorda, infatti, che nella misura
Smart&Start, citata ad esempio dall'interrogante, il contributo a fondo perduto è previsto per le sole regioni meridionali.
  Infine, quanto alle altre proposte avanzate dall'interrogante, si ribadisce che tra le novità introdotte con decreto ministeriale vi è la possibilità di ottenere quote di erogazione anche a fronte di titoli di spesa non ancora pagati ed il riconoscimento, per i vari stati d'avanzamento dei progetti, di una quota di capitale circolante da rendicontare solo a chiusura dei progetti. Ciò al fine di limitare i casi in cui le imprese beneficiarie debbano anticipare fondi.
  

Il Sottosegretario di Stato per le imprese e il made in Italy: Fausta Bergamotto.


   ENRICO COSTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 2 febbraio 2023, il Ministro interrogato ha diramato un comunicato stampa in cui, conclusa la ricostruzione dei fatti richiesta dopo il dibattito parlamentare del 31 gennaio, riferisce in sintesi quanto si riporta di seguito;

   l'affermazione testuale dell'onorevole Donzelli – «dai documenti che sono presenti al Ministero della giustizia» – sarebbe da riferirsi «ad una scheda di sintesi del Nic non coperta da segreto. Non risultano apposizioni formali di segretezza e neppure ulteriori diverse classificazioni sulla scheda»;

   si riporta che quanto al contenuto dei colloqui tra i detenuti Cospito ed altri, riferiti dall'onorevole Donzelli, non sono stati oggetto di un'attività di intercettazione ma frutto di mera attività di vigilanza amministrativa e che, in conclusione, la natura del documento non rileva e disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati;

   «la rilevata apposizione della dicitura “limitata divulgazione”, presente sulla nota di trasmissione della scheda, rappresenta una formulazione che esula dalla materia del segreto di Stato e dalle classifiche di segretezza, disciplinate dalla legge 124 del 2007 e dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione, ed esclude che la trasmissione sia assimilabile a un atto classificato, trattandosi di una mera prassi amministrativa interna in uso al Dap a partire dall'anno 2019, non disciplinata a livello di normazione primaria»;

   si ritiene che le conclusioni del Ministro legittimino ad avere informazioni sul contenuto di tali atti anche soggetti diversi da quelli che ne sono venuti a conoscenza a causa delle loro funzioni –:

   se e come siano accessibili da soggetti esterni all'amministrazione i contenuti delle schede del Nucleo investigativo centrale (Nic) relative all'esito di «vigilanza amministrativa», con particolare riferimento alle relazioni su dialoghi tra detenuti al 41-bis non oggetto di intercettazione, di cui gli uffici in indirizzo sono possesso.
(4-00452)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, preso spunto dal comunicato stampa emesso dal Ministro della giustizia il 2 febbraio 2023 sul cosiddetto caso Cospito, avanza precipuo quesito volto a conoscere «se e come siano accessibili da soggetti esterni all'amministrazione i contenuti delle schede del Nic relative all'esito di vigilanza amministrativa con particolare riferimento alle relazioni su dialoghi tra detenuti al 41-bis non oggetto di intercettazione».
  Orbene va riferito che richieste di analogo tenore, unitamente a quella di averne concreto accesso, risultano avanzate, seppure sotto forma di istanza di accesso agli atti da vari parlamentari, compreso lo stesso interrogante, e che pertanto non può che ribadirsi quanto già si ebbe a rispondere.
  In tali occasioni, effettuate precisazioni in ordine alla disciplina generale prevista dalla nota legge 241/90 (sul diritto di accesso) nonché del decreto ministeriale 25 gennaio 1996 n. 115 (sempre in tema di diritto di accesso), si fornirono le informazioni richieste «epurate dai dati sensibili dei detenuti e/o operanti» così riportando il contenuto (parziale) del documento.
  Quanto sopra in ossequio e nell'ambito del potere di sindacato ispettivo spettante ad ogni parlamentare, e rilevato che l'atto richiesto e contenente le notizie (una precipua scheda di sintesi stilata dal Nic) non risultava essere oggetto di apposizioni formali di segretezza e neppure ulteriori diverse classificazioni, nonché verificato che «la scheda sintetica Nic non rileva né disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati», ed in conclusione non ostandovi alcuna forma di restrizione (né in relazione a classifiche di segretezza né in relazione ai limiti di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003 n. 196) rispetto alla divulgazione del contenuto dell'atto.

Il Ministro della giustizia: Carlo Nordio.


   FOTI, ANTONIOZZI, GARDINI, MESSINA e RUSPANDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   un articolo pubblicato su «il Fatto quotidiano» in data 2 febbraio 2023 riporta la notizia che Alfredo Cospito, anarchico condannato per terrorismo e detenuto al 41-bis, attualmente in sciopero della fame per protesta proprio contro questa misura carceraria, abbia detto ai deputati del Partito Democratico recatisi a trovarlo presso la struttura detentiva che avrebbero dovuto parlare con alcuni esponenti mafiosi prima che con lui;

   i parlamentari del PD Debora Serracchiani, Walter Verini, Silvio Lai e l'ex Ministro della giustizia, attualmente deputato, Andrea Orlando, si erano recati a trovare Cospito nel carcere di Sassari il 12 gennaio 2023;

   secondo «il Fatto quotidiano» in quell'occasione Cospito avrebbe invitato i parlamentari a «parlare» con alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata: il camorrista Francesco Di Maio, il killer della 'ndrangheta Francesco Presta e il mafioso Pietro Rampulla, chiarendo, al contempo, che «il suo sciopero della fame non ha il solo scopo di far revocare a se stesso il regime di carcere duro, ma quello di ottenerne l'abolizione per tutti, compresi i “vicini” mafiosi»;

   intervistato dal medesimo quotidiano, il senatore Verini ha poi confermato che «qualche frase di circostanza, tra i quattro parlamentari e i tre mafiosi, è stata scambiata»;

   le notizie riportate da «il Fatto quotidiano» gettano una luce inquietante sulla vicenda della protesta di Cospito e della visita da lui ricevuta in carcere dagli esponenti del Partito democratico, soprattutto alla luce del fatto che, come riportato dal quotidiano, esiste l'ipotesi di un «piano per arrivare all'abolizione del 41-bis» –:

   di quali elementi disponga e quali iniziative intenda assumere al fine di scongiurare pericolosi sodalizi tra criminalità organizzata e terrorismo.
(4-00491)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame indicato, gli interroganti, citato in particolare un articolo di stampa inerente una visita effettuata da alcuni parlamentari al detenuto Alfredo Cospito nonché ad altri detenuti condannati per delitti di mafia, tutti ristretti in regime di 41-bis dell'ordinamento penitenziario, avanzano quesiti circa la vicenda occorsa.
  Orbene, dalla documentazione acquisita risulta che in data 12 gennaio 2023, una delegazione parlamentare composta dagli onorevoli Silvio Lai, Walter Verini, Debora Serracchiani ed Andrea Orlando – quest'ultimo accompagnato dal sig. P.V., quale collaboratore, che pure ha partecipato ai colloqui ma senza intervenire – ha condotto una visita all'istituto sassarese, ai sensi dell'articolo 67 dell'ordinamento penitenziario, che consente (altresì) a tali autorità di accedere agli istituti penitenziari senza autorizzazione.
  Risulta che la visita si sia svolta principalmente presso il reparto 41-
bis, dove la delegazione ha incontrato il detenuto Alfredo Cospito e i detenuti ristretti nello stesso varco dalle ore 11:25 alle ore 12:15.
  La delegazione è stata accompagnata dal comandante di reparto e il colloquio con i detenuti si è svolto nel rispetto della normativa vigente, senza mai entrare nella sfera processuale dei ristretti.
  A seguire, è stata condotta una breve visita alla locale infermeria, dove i parlamentari hanno incontrato il dirigente sanitario.
  Precisato quanto sopra, le risultanze della visita sono state oggetto, come di consueto, di relazione del responsabile del gruppo operativo mobile, il quale unitamente al comandante di reparto f.f. ha accompagnato la delegazione parlamentare, e trasmesse al DAP.
  Merita rammentare che i detenuti sottoposti al regime differenziato sono tutti appartenenti ad associazioni mafiose, eversive ovvero terroristiche e, in ottemperanza alla lettera
f) del comma 2-quater dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario sono suddivisi in gruppi di socialità formati da un minimo di due (tre, secondo le raccomandazioni del Garante nazionale delle persone private della libertà personale) fino a un massimo di quattro ristretti; gruppi nell'ambito dei quali possono comunicare tra di loro e svolgere le consentite attività socio-ricreative (permanenza all'aria aperta, saletta socialità, palestra, sala pittura, eccetera).
  Naturalmente, nella composizione dei relativi «gruppi di socialità», formati, in base a quanto previsto dalle disposizioni dipartimentali vigenti (articolo 3.1 della circolare n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017) a cura del direttore dell'istituto penitenziario, sovviene l'indispensabile accorgimento di evitare gruppi composti da appartenenti alla stessa consorteria criminale.
  Infine, mi pregio evidenziare come, naturalmente, costante ed assolutamente attenta sia la vigilanza amministrativa che gli operatori del Gruppo operativo mobile, appunto il reparto specializzato addetto per legge proprio «alla vigilanza e osservazione dei detenuti sottoposti a regime speciale dell'articolo 41-bis comma 2 dell'ordinamento penitenziario», pongono in essere (altresì) sui colloqui che intercorrono tra detenuti sottoposti allo speciale regime differenziato, sì da consentire i doverosi interventi in casi di criticità.

Il Ministro della giustizia: Carlo Nordio.


   FRASSINI, CECCHETTI, ZOFFILI, CATTOI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   ancora una delusione per i comuni lombardi in merito ai progetti per rigenerazione urbana: a titolo esemplificativo, 32 enti della provincia di Bergamo che avevano riposto nel bando per comuni con meno di 15 mila abitanti la speranza di vedersi attribuire risorse per progetti altrimenti inattuabili, come il restauro di Villa regina Pacis ad Albino o il restyling del centro di San Pellegrino o ancora la nuova piazza della Libertà a Ponte San Pietro, sono rimasti «a bocca asciutta»;

   si ricorda che l'articolo 1, comma 42-43, legge n. 160 del 2019, ha previsto, per gli anni dal 2021 al 2034, l'assegnazione di contributi ai comuni per investimenti in progetti di rigenerazione urbana, mentre con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021 sono stati fissati i criteri di assegnazione delle sopramenzionate risorse;

   con decreto interministeriale del 30 dicembre 2021 sono stati individuati i comuni beneficiari del contributo di cui all'articolo 1, commi 42 e seguenti, della legge n. 160 del 2019 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2021, destinati ad «investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e dei tessuto sociale ed ambientate»; in seguito all'approvazione dell'elenco dei progetti beneficiari dei contributi per investimenti in opere di rigenerazione urbana, molte amministrazioni locali hanno riscontrato la mancata assegnazione delle risorse previste, pur rientrando tali progetti nella graduatoria di quelli ritenuti ammissibili, completi del target PNRR di riferimento;

   purtroppo la causa di esclusione risiede nel criterio di assegnazione di tali contributi ai comuni, basato sull'indice di vulnerabilità sodale e materiale (Ivsm), indicatore di cui già nella precedente legislatura con diversi atti di sindacato ispettivo il gruppo Lega – Salvini Premier ha sottolineato quanto risulti anacronistico e inadeguato ai fini di un'equa ripartizione delle risorse disponibili su tutto il territorio nazionale, al netto di energie e risorse già investite per la progettazione da parte dei comuni stessi e con un'evidente disparità tra comuni del Nord e comuni del Mezzogiorno nel conferimento delle risorse previste;

   all'uopo, si ricorda il question-time n. 3-02713 e la mozione n. 1-00569 Molinari ed altri, approvata, con le quali si era evidenziata l'importanza di tener conto anche della bontà dei progetti, oltre alta preferenza delle realtà locali più svantaggiate, e si era impegnato l'allora Governo, tra l'altro, ad adottare tutte le opportune iniziative di competenza volte a «garantire il finanziamento di tutti i progetti che abbiano superato il vaglio di ammissibilità» e «a migliorare ed integrare l'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) con parametri territorialmente idonei a garantire un'equilibrata distribuzione territoriale dell'intero Paese, ferma restando la quota minima del 40 per cento per il Mezzogiorno» –:

   se il nuovo Governo intenda adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a rivedere e superare il criterio dell'indice di vulnerabilità sociale (Ivsm), al fine di premiare la validità dei progetti, garantire una più equa distribuzione territoriale dei finanziamenti ed evitare lo spreco di risorse e tempo per molti sindaci di comuni del Nord Italia, impegnati per mesi a redigere progetti di fattibilità con relativi allegati e quadri economici, di fatto esclusi aprioristicamente dalla possibilità di vincere.
(4-00016)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo al tema dei finanziamenti previsti in favore dei comuni per progetti di rigenerazione urbana, si rappresenta quanto segue.
  Nel richiamare preliminarmente la cornice legislativa di riferimento, si evidenzia che la legge del 27 dicembre 2019, n. 160, ha previsto specifiche linee di finanziamento per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, dedicate a progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale. In particolare, sono stati stanziati 150 milioni di euro per il 2021, 250 per il 2022, 550 milioni per gli anni 2023 e 2024, 700 milioni per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034.
  Lo scorso anno l'erogazione dei contributi in questione è stata attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, a seguito di un'intesa sancita con l'ANCI in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali il 26 novembre del 2020. In quella sede si è convenuto di introdurre, tra i criteri per la selezione dei progetti, quello che fa riferimento all'indice di vulnerabilità sociale e materiale definito dall'Istat (Ivsm), in ragione della necessità di riconoscere una preferenza alle realtà locali più svantaggiate, in coerenza con le finalità dell'intervento legislativo.
  Si rammenta anche che, per corrispondere alle esigenze di ampliare la platea dei beneficiari, il legislatore è intervenuto successivamente con il decreto-legge del 1° marzo 2022, n. 17, grazie al quale sono state stanziate ulteriori risorse pari a 905 milioni di euro, che hanno consentito di finanziare tutte le opere che erano state ammesse alla graduatoria finale.
  Ulteriori interventi in materia sono stati disposti dalla legge del 30 dicembre 2021, n. 234, che, nell'estendere la categoria dei possibili beneficiari dei contributi, ha previsto per l'anno 2022 l'assegnazione di risorse per progetti di rigenerazione urbana pari a 300 milioni di euro in favore dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti che, in forma associata, superano detta soglia.
  La legge sopra richiamata prevede che, qualora l'entità delle richieste superi l'ammontare delle risorse, l'attribuzione sia effettuata in favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale.
  Con il decreto interministeriale del 19 ottobre 2022 sono stati individuati i comuni beneficiari dei predetti contributi, per un importo complessivo di circa 297 milioni di euro, a fronte di istanze trasmesse da 5.268 enti locali e relative a progetti il cui importo complessivo è risultato ampiamente superiore alle risorse stanziate dalla legge.
  Tanto premesso, si assicura che le criticità segnalate nell'interrogazione sono all'attenzione del Governo. In particolare, il Ministero dell'interno, unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze e in collaborazione con l'ANCI, ha valutato la possibilità di recuperare ulteriori risorse da destinare a interventi di rigenerazione urbana.
  Proprio al fine di corrispondere a tale esigenza, con la legge del 13 gennaio 2023, n. 6, in sede di conversione del decreto-legge del 18 novembre 2022, n. 176, è stato introdotto l'articolo 14-
quinquies, che istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un fondo per investimenti in rigenerazione urbana a favore dei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, con una dotazione di 115 milioni di euro per l'anno 2025 e di 120 milioni di euro per l'anno 2026.
  I criteri di riparto del predetto fondo saranno individuati con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, da adottare entro il 30 giugno 2023, assicurando in ogni caso l'attribuzione delle risorse in proporzione al fabbisogno espresso da ciascuna regione, tenendo conto delle risorse assegnate ai sensi dell'articolo 1, comma 534, della legge 30 dicembre 2021 n. 234.
  Sono state anche vagliate possibili soluzioni per individuare un correttivo all'utilizzo del criterio dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale, con l'obiettivo di assicurare una più equilibrata distribuzione regionale delle risorse disponibili in relazione alle istanze presentate.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Wanda Ferro.


   FRATOIANNI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato sul quotidiano «Domani» il 14 febbraio 2023 si apprende che fino al 23 dicembre 2022 i detenuti sottoposti al regime del 41-bis che avevano possibilità di comunicare con il detenuto Alfredo Cospito, sottoposto al medesimo regime, erano considerati di scarso spessore criminale o, comunque, non costituenti più un pericolo attuale;

   successivamente, questo gruppo di socialità nel quale era inserito Alfredo Cospito è stato modificato. I precedenti detenuti, appartenenti a quel gruppo, sono stati sostituiti da tre boss considerati di alto livello nella gerarchia criminale e tuttora pericolosi;

   le frasi estrapolate dai colloqui e riportate nella relazione del Dap i cui contenuti sono stati letti in Aula alla Camera dal deputato Donzelli si riferiscono esclusivamente a quest'ultimo gruppo di socialità;

   di conseguenza, i contatti e i rapporti più intensi tra il detenuto Cospito e i mafiosi avvengono solo con il cambio del gruppo di socialità, dopo il 23 dicembre 2022, secondo quanto sostenuto dal professor Luigi Manconi nel citato articolo pubblicato su Domani;

   a parere dell'interrogante, è legittimo domandarsi chi abbia deciso la sostituzione dei componenti il gruppo di socialità in cui si trovava Cospito e per quali motivi, dal momento che appare singolare la coincidenza temporale tra il suddetto cambio, l'inizio degli ascolti e delle trascrizioni delle conversazioni e la loro successiva «rivelazione» –:

   se il Ministro interrogato non intenda acquisire dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ogni elemento utile a chiarire chi ha deciso di inserire il detenuto Alfredo Cospito in un nuovo gruppo di socialità, diverso dal precedente, e per quali motivi si è deciso di affiancare a Cospito tre boss della criminalità organizzata considerati attivi e attualmente pericolosi, in sostituzione dei precedenti che sembrerebbe non costituissero più un pericolo particolarmente grave e attuale.
(4-00478)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame indicato, l'interrogante, riferito di alcuni articoli di stampa sulla vicenda, avanza quesiti circa le ragioni che hanno determinato, nel tempo, il cambio dei componenti del gruppo di socialità di cui ha fatto parte il detenuto Alfredo Cospito successivamente, in particolare, al 23 dicembre 2022.
  Orbene, avendo fornito risposta ad interrogazione (a risposta immediata) di analogo tenore, non posso che richiamarmi a quanto già riferito il 16 febbraio 2023.
  Ebbene, come è noto, i detenuti cui viene applicato lo speciale regime differenziato, appunto il «41-
bis» comma 2 ordinamento penitenziario, sono soggetti a numerose restrizioni e limitazioni delle ordinarie regole previste dall'ordinamento penitenziario, poiché funzionali alla ratio dell'istituto, ovvero impedire i collegamenti con altri detenuti appartenenti alla medesima organizzazione criminale ovvero con altri membri ancora all'esterno.
  Si contiene così la pericolosità sociale del detenuto proiettata verso l'esterno.
  E pertanto viene limitata la frequenza dei colloqui con i famigliari, viene (può essere) apposto il visto di controllo sulla corrispondenza, si pongono limiti nella ricezione di pacchi dall'esterno, di denaro, viene posto il divieto di partecipazione alle rappresentanze di detenuti ed internati, nonché sono poste limitazioni orarie e giornaliere di permanenza all'aperto in gruppi non superiori a 4 persone, ed alla possibilità di frequentare, nell'ambito dei cosiddetti gruppi di socialità un numero ridotto di altri detenuti.
  Quindi, in ottemperanza alla lettera
f) del comma 2-quater dell'articolo 41-bis ordinamento penitenziario i detenuti, si rammenta, tutti appartenenti ad associazioni mafiose, eversive ovvero terroristiche sono suddivisi in gruppi di socialità formati da un minimo di due (tre, secondo le raccomandazioni del garante nazionale delle persone private della libertà personale) fino a un massimo di quattro ristretti; gruppi nell'ambito dei quali possono comunicare tra di loro e svolgere le consentite attività socio-ricreative (permanenza all'aria aperta, saletta socialità, palestra, sala pittura, e altro).
  I gruppi di socialità sono formati, in base a quanto previsto dalle disposizioni dipartimentali vigenti a cura del direttore dell'istituto penitenziario.
  Del resto, va da sé, ogni detenuto deve potere accedere all'attività trattamentale, fondamentale per il necessario tentativo di risocializzazione richiesto dall'articolo 27 Costituzione.
  E potere passare del tempo, appunto, in socialità, altro non è che attività trattamentale, comprimibile negli stretti ed indispensabili limiti di cui ho riferito ma non certo azzerabile.
  Ribadisco poi che nel caso di ristretti per reati di mafia, terrorismo ed eversione e sottoposti al regime del cosiddetto «carcere duro», i detenuti inseriti nei relativi «gruppi di socialità» sono per definizione appartenenti a tale tipologia di criminali, con l'indispensabile accorgimento di evitare gruppi composti da appartenenti alla stessa consorteria criminale.
  Ciò precisato, nel caso del detenuto Cospito risulta che all'atto del suo ingresso presso la casa circondariale di Sassari, avvenuto in data 20 maggio 2022, è stato inserito nel gruppo di socialità, con 3 detenuti.
  Risultano pienamente rispettate, dalla competente direzione del carcere di Sassari, le indicazioni stabilite dall'articolo 3.1 della circolare n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017 per la formazione del predetto gruppo di socialità.
  In data 25 giugno 2022 poi, per ragioni inerenti la necessità di riorganizzare le turnazioni delle ore all'aria aperta per i detenuti destinatari di ordinanza della magistratura di sorveglianza, è stato rimodulato il gruppo di socialità sostituendo due dei precedenti componenti il gruppo di socialità con altri due, tra cui Presta Francesco.
  Successivamente, con l'ingresso in carcere di detenuto che non poteva essere unito a detenuti 41-
bis della medesima area criminale, si è reso necessario rimodulare ben tre gruppi di socialità e il detenuto Cospito, in data 24 dicembre 2022, è stato inserito in ulteriore e diverso gruppo di socialità.
  Si riferisce, ancora, che l'ultimo cambio del gruppo di socialità in data 24 dicembre 2022 è stato disposto dal direttore del carcere sassarese su proposta del responsabile Gruppo Operativo Mobile così come previsto dalle circolari in materia.
  Naturalmente, tale variazione è stata comunicata alla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino ed alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo con nota del 30 dicembre 2022.
  Infine, mi pregio evidenziare come, naturalmente, costante ed assolutamente attenta sia la vigilanza amministrativa che gli operatori del Gruppo Operativo Mobile, appunto il reparto specializzato addetto per legge proprio «alla vigilanza e osservazione dei detenuti sottoposti a regime speciale dell'articolo 41-
bis comma 2 ordinamento penitenziario» pongono in essere (altresì) sui colloqui che intercorrono tra detenuti sottoposti allo speciale regime differenziato, sì da consentire i doverosi interventi in casi di criticità.
Il Ministro della giustizia: Carlo Nordio.


   GHIRRA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche del mare e il sud, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 534, della Legge 30 dicembre 2021 n. 234, cosiddetta Legge di Bilancio per il 2022 dispone: «Al fine di favorire gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, sono assegnati ai comuni di cui al comma 535 contributi per investimenti nel limite complessivo di 300 milioni di euro per l'anno 2022»;

   il disposto di cui all'articolo 1, comma 535 prevede che: «possono richiedere i contributi di cui al comma 534: a) i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti che, in forma associata, presentano una popolazione superiore a 15.000 abitanti, nel limite massimo di 5.000.000 di euro. La domanda è presentata dal comune capofila; b) i comuni che non risultano beneficiari delle risorse attribuite con il decreto del Ministero dell'interno (...) nel limite massimo della differenza tra gli importi previsti dall'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e le risorse attribuite dal predetto decreto del Ministero dell'interno»;

   il comma 536 individua le tipologie di intervento nonché i contenuti essenziali della richiesta di contributo;

   con il decreto interministeriale del 30 dicembre 2021 è stata definita la modalità di presentazione della certificazione informatizzata, da utilizzare ai fini della richiesta;

   il decreto 19 ottobre 2022 del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha individuato i comuni beneficiari del contributo;

   fra gli enti locali beneficiari della misura non figura nessun comune sardo;

   il presidente dell'Anci Sardegna ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio pro tempore, al Ministro per il Sud pro tempore, al Presidente di Anci «esprimendo in relazione alla completa esclusione dei comuni sardi dall'elenco dei Comuni beneficiari del contributo sconcerto, delusione e indignazione»;

   la Regione autonoma della Sardegna presenta un numero di 361 comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti (il 97,6 per cento del totale dei comuni sardi); di questi 350 hanno presentato istanza di finanziamento attraverso aggregazione di comuni, dimostrando una straordinaria capacità progettuale e di iniziativa;

   è indubitabile la gravità dei dati relativi a spopolamento e isolamento dei territori sardi, problematiche che i progetti di rigenerazione urbana avrebbero contribuito ad attenuare in modo significativo;

   il metodo scelto per la selezione dei beneficiari – in particolare il parametro cosiddetto Indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) – è un criterio implementato dall'Istat, costituito da «un indicatore composito costruito attraverso la sintesi di sette indicatori riferiti alle dimensioni della vulnerabilità sociale e materiale ritenute più rilevanti» che avrebbe dovuto condurre a una semplificazione dell'analisi di fenomeni socio-economici in serie storica e territoriale, ma che è risultato del tutto inadeguato a cogliere specifiche criticità dei territori più marginali;

   è risultato particolarmente punitivo nei confronti della Sardegna, così come verso altre regioni del tutto escluse dalla graduatoria dei beneficiari –:

   se i Ministri interrogati per quanto di propria competenza, non ritengano opportuno integrare la misura già disposta con altra similare, che selezioni i comuni beneficiari attraverso indici che meglio evidenzino le criticità specifiche dei territori periferici;

   quali iniziative intendano intraprendere al fine di integrare le risorse disponibili per investimenti in progetti di rigenerazione urbana con l'obiettivo di finanziare tutti i progetti ammissibili valutati secondo nuovi e diversi parametri che tengano conto della effettiva marginalità dei territori sardi;

   se non ritengano opportuno stabilire criteri differenti rispetto all'utilizzo del solo Ivsm per la formazione delle graduatorie di ripartizione dei finanziamenti previsti dai bandi del PNRR, garantendo opportunità di sviluppo a tutti i Comuni italiani.
(4-00028)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo al tema dei finanziamenti previsti in favore dei comuni per progetti di rigenerazione urbana, si rappresenta quanto segue.
  Nel richiamare preliminarmente la cornice legislativa di riferimento, si evidenzia che la legge del 27 dicembre 2019, n. 160, ha previsto specifiche linee di finanziamento per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, dedicate a progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale. In particolare, sono stati stanziati 150 milioni di euro per il 2021, 250 per il 2022, 550 milioni per gli anni 2023 e 2024, 700 milioni per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034.
  Lo scorso anno l'erogazione dei contributi in questione è stata attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, a seguito di un'intesa sancita con l'ANCI in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali il 26 novembre del 2020. In quella sede si è convenuto di introdurre, tra i criteri per la selezione dei progetti, quello che fa riferimento all'indice di vulnerabilità sociale e materiale definito dall'Istat (Ivsm), in ragione della necessità di riconoscere una preferenza alle realtà locali più svantaggiate, in coerenza con le finalità dell'intervento legislativo.
  Si rammenta anche che, per corrispondere alle esigenze di ampliare la platea dei beneficiari, il legislatore è intervenuto successivamente con il decreto-legge del 1° marzo 2022, n. 17, grazie al quale sono state stanziate ulteriori risorse pari a 905 milioni di euro, che hanno consentito di finanziare tutte le opere che erano state ammesse alla graduatoria finale.
  Ulteriori interventi in materia sono stati disposti dalla legge del 30 dicembre 2021, n. 234, che, nell'estendere la categoria dei possibili beneficiari dei contributi, ha previsto per l'anno 2022 l'assegnazione di risorse per progetti di rigenerazione urbana pari a 300 milioni di euro in favore dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti che, in forma associata, superano detta soglia.
  La legge sopra richiamata prevede che, qualora l'entità delle richieste superi l'ammontare delle risorse, l'attribuzione sia effettuata in favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale.
  Con il decreto interministeriale del 19 ottobre 2022 sono stati individuati i comuni beneficiari dei predetti contributi, per un importo complessivo di circa 297 milioni di euro, a fronte di istanze trasmesse da 5.268 enti locali e relative a progetti il cui importo complessivo è risultato ampiamente superiore alle risorse stanziate dalla legge.
  Tanto premesso, si assicura che le criticità segnalate nell'interrogazione sono all'attenzione del Governo. In particolare, il Ministero dell'interno, unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze e in collaborazione con l'ANCI, ha valutato la possibilità di recuperare ulteriori risorse da destinare a interventi di rigenerazione urbana.
  Proprio al fine di corrispondere a tale esigenza, con la legge del 13 gennaio 2023, n. 6, in sede di conversione del decreto-legge del 18 novembre 2022, n. 176, è stato introdotto l'articolo 14-
quinquies, che istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un fondo per investimenti in rigenerazione urbana a favore dei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, con una dotazione di 115 milioni di euro per l'anno 2025 e di 120 milioni di euro per l'anno 2026.
  I criteri di riparto del predetto fondo saranno individuati con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, da adottare entro il 30 giugno 2023, assicurando in ogni caso l'attribuzione delle risorse in proporzione al fabbisogno espresso da ciascuna regione, tenendo conto delle risorse assegnate ai sensi dell'articolo 1, comma 534, della legge 30 dicembre 2021 n. 234.
  Sono state anche vagliate possibili soluzioni per individuare un correttivo all'utilizzo del criterio dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale, con l'obiettivo di assicurare una più equilibrata distribuzione regionale delle risorse disponibili in relazione alle istanze presentate.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Wanda Ferro.


   GIAGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 534, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2022 bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024» si dispone l'assegnazione di contributi ai comuni per investimenti in progetti di rigenerazione urbana;

   il successivo comma 535 ha disposto per l'annualità 2022 che potessero presentare istanza i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti che, in forma associata, presentino una popolazione superiore a 15.000 abitanti, o i comuni che non risultassero beneficiari delle risorse attribuite con il decreto interministeriale del 30 dicembre 2021;

   con decreto del Ministro dell'interno del 21 febbraio 2022 sono state definite le modalità di presentazione delle richieste di contributi ai comuni per annualità 2022;

   con decreto del capo del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, di concerto con il capo del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, del 19 ottobre 2022 è stato pubblicato l'elenco dei comuni beneficiari;

   da tale elenco risultano essere esclusi totalmente i comuni della Sardegna che hanno presentato istanza;

   la regione Sardegna presenta un numero di comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti pari a 361 (il 97,8 per cento del totale); di questi 350 hanno presentato istanza;

   le cause dell'esclusione sono da ricercare nel criterio di assegnazione di tali contributi basato sull'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm), indicatore che oltre a risultare anacronistico risulta punitivo verso la Sardegna, e non solo;

   la regione Sardegna ha avviato nel tempo importanti e forti azioni di lotta allo spopolamento che sarebbero stati certamente rinforzati da progetti di rigenerazione urbana, atti anche a contrastare la crescente marginalizzazione sociale e disagio sociale, se accolti;

   già nella XVIII legislatura attraverso atti di sindacato ispettivo era stato richiesto un intervento, anche normativo, che potesse garantire una ripartizione delle risorse più proporzionato e non tendesse a escludere interi territori, e talvolta intere regioni d'Italia –:

   se il Governo intenda adottare ogni iniziativa utile e opportuna, anche di carattere normativo, al fine di contemplare la presenza anche dei progetti degli enti locali sardi, garantendo in tal modo una più equa distribuzione e la necessaria rappresentanza della regione Sardegna tra i beneficiari.
(4-00035)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo al tema del finanziamenti previsti in favore del comuni per progetti di rigenerazione urbana, si rappresenta quanto segue.
  Nel richiamare preliminarmente la cornice legislativa di riferimento, si evidenzia che la legge del 27 dicembre 2019, n. 160, ha previsto specifiche linee di finanziamento per i Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, dedicate a progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale. In particolare, sono stati Stanziati 150 milioni di euro per il 2021, 250 per il 2022, 550 milioni per gli anni 2023 e 2024, 700 milioni per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034.
  Lo scorso anno l'erogazione dei contributi in questione è stata attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, a seguito di un'intesa sancita con l'Anci in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali il 26 novembre del 2020. In quella sede si è convenuto di introdurre, tra i criteri per la selezione dei progetti, quello che fa riferimento all'indice di vulnerabilità sociale e materiale definito dall'Istat (Ivsm), in ragione della necessità di riconoscere una preferenza alle realtà locali più svantaggiate, in coerenza con le finalità dell'intervento legislativo.
  Si rammenta anche che, per corrispondere alle esigenze di ampliare la platea del beneficiari, il legislatore è intervenuto successivamente con il decreto-legge del 1° marzo 2022, n. 17, grazie al quale sono state stanziate ulteriori risorse pari a 905 milioni di euro, che hanno consentito di finanziare tutte le opere che erano state ammesse alla graduatoria finale.
  Ulteriori interventi in materia sono stati disposti dalla legge del 30 dicembre 2021, n. 234, che, nell'estendere la categoria dei possibili beneficiari dei contributi, ha previsto per l'anno 2022 l'assegnazione di risorse per progetti di rigenerazione urbana pari a 300 milioni di euro in favore dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti che, in forma associata, superano detta soglia.
  La legge sopra richiamata prevede che, qualora l'entità delle richieste superi l'ammontare delle risorse, l'attribuzione sia effettuata in favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale.
  Con il decreto interministeriale del 19 ottobre 2022 sono stati individuati i comuni beneficiari dei predetti contributi, per un importo complessivo di circa 297 milioni di euro, a fronte di istanze trasmesse da 5.268 enti locali e relative a progetti il cui importo complessivo è risultato ampiamente superiore alle risorse stanziate dalla legge.
  Tanto premesso, si assicura che le criticità segnalate nell'interrogazione sono all'attenzione del Governo. In particolare, il Ministero dell'interno, unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze e in collaborazione con l'ANCI, ha valutato la possibilità di recuperare ulteriori risorse da destinare a interventi di rigenerazione urbana.
  Proprio al fine di corrispondere a tale esigenza, con la legge del 13 gennaio 2023, n. 6, in sede di conversione del decreto-legge del 18 novembre 2022, n. 176, è stato introdotto l'articolo 14-
quinquies, che istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un fondo per investimenti in rigenerazione urbana a favore dei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, con una dotazione di 115 milioni di euro per l'anno 2025 e di 120 milioni di euro per l'anno 2026.
  I criteri di riparto del predetto fondo saranno individuati con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, da adottare entro il 30 giugno 2023, assicurando in ogni caso l'attribuzione delle risorse in proporzione al fabbisogno espresso da ciascuna regione, tenendo conto delle risorse assegnate ai sensi dell'articolo 1, comma 534, della legge 30 dicembre 2021 n. 234.
  Sono state anche vagliate possibili soluzioni per individuare un correttivo all'utilizzo del criterio dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale, con l'obiettivo di assicurare una più equilibrata distribuzione regionale delle risorse disponibili in relazione alle istanze presentate.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Wanda Ferro.


   ONORI, BARZOTTI, CAROTENUTO, MARINO, LOMUTI, AMATO e PAVANELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la morte della ventiduenne Mahsa Amini, avvenuta il 16 settembre 2022 a causa delle brutali percosse ad opera della Polizia morale «Gasht-e-Ershad» in ragione del suo velo teoricamente indossato male, ha dato il via a un'imponente ondata di proteste e scioperi in tutto il Paese; il movimento popolare «Donne-Vita-Libertà» ha presto varcato i confini nazionali, diventando simbolo iconico delle attuali aspirazioni del popolo iraniano;

   la barbarica opera di repressione da parte delle autorità iraniane ha suscitato lo sdegno della Comunità internazionale e numerose sono state le espressioni di ferma condanna in primis da parte delle Nazioni Unite e dell'Unione europea;

   è difficile fare un bilancio esatto delle vittime, tuttavia secondo stime dell'organizzazione per la tutela dei diritti umani in Iran «Human Rights Activists News Agency» il bilancio sarebbe arrivato a 488 morti fra i manifestanti e tra questi 68 minori, mentre in generale gli arresti avrebbero raggiunto lo spaventoso numero di circa 18.000 persone. Inoltre, sono state già eseguite due condanne a morte di manifestanti; Mohsen Shekar e Majidreza Rahnavard;

   come riportato nel circuito mediatico, in un articolo di «The Guardian» dell'8 dicembre 2022 si denuncia anche, nel contesto della sanguinaria repressione, l'utilizzo da parte delle forze di sicurezza iraniane di fucili semiautomatici, di manifattura italiana, «Benelli». Altri articoli parlano di munizioni italiane, in particolare dell'uso di cartucce da caccia dell'azienda franco-italiana «Cheddite», arrivate tramite una triangolazione commerciale con la Turchia;

   nel 2014 è entrato in vigore il Trattato delle Nazioni Unite sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty – ATT), strumento che persegue due fondamentali obiettivi: regolamentare o migliorare la regolamentazione del commercio di armi convenzionali e prevenire/eliminare il traffico illecito delle stesse, al fine di contribuire alla sicurezza internazionale, ridurre sofferenze umane e promuovere l'azione responsabile degli Stati in questo settore. Nel 2013, l'Italia è stata il primo paese dell'Unione europea a ratificare l'ATT;

   in particolare l'articolo 7 dell'ATT al paragrafo 1 indica ben precisi criteri che gli Stati parte devono considerare al momento della decisione sulla concessione o meno dell'autorizzazione alle esportazioni. Nel dettaglio, gli Stati parte devono rifiutare le autorizzazioni nel caso in cui l'esportazione possa portare alla commissione o facilitazione di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario così come di gravi violazioni dei regimi internazionali concernenti i diritti umani;

   inoltre, al momento della decisione sulle esportazioni, ogni Stato parte deve anche considerare la possibilità che le armi da trasferire possano essere usate per la commissione di atti di violenza di genere così come contro donne e bambini (articolo 7, paragrafo 4 ATT) –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti;

   se non si ritenga opportuno svolgere ogni necessario approfondimento, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, in relazione alla situazione descritta per quanto concerne l'utilizzo di armi e/o munizioni di manifattura italiana da parte delle forze di sicurezza iraniane impegnate nella repressione;

   se, nel contesto, sia stata rispettata la normativa del menzionato ATT, in particolare rispetto alla concessione o meno dell'autorizzazione alle esportazioni, avendo riguardo anche al concreto rischio di elusione della normativa stessa attraverso il coinvolgimento di Paesi terzi;

   qualora fossero appurati i fatti riportati, quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per porre rimedio allo scenario descritto e, al contempo, evitare in futuro il ripetersi di analoghe situazioni.
(4-00219)

  Risposta. — A conferma di quanto riferito nelle risposte fornite alle precedenti interrogazioni a risposta scritta numeri 4-00137 (onorevole Giachetti) e 4-00143 (onorevole Fratoianni) sullo stesso tema, si ribadisce che nessun trasferimento di materiale d'armamento è lecito verso l'Iran. Nessuna autorizzazione verso quel Paese è stata quindi rilasciata ai sensi della legge 185 del 1990. Nessuna autorizzazione è stata rilasciata neanche per quanto attiene le armi e munizioni «comuni, sportive o da caccia», ai sensi della legge 110 del 1975.
  Si conferma, inoltre, che la Cheddite Italy S.r.l. è una società iscritta al registro delle imprese autorizzate ad esportare materiali di armamento. Tuttavia non ha mai ricevuto, né per l'Iran, né per altri paesi, autorizzazioni alla movimentazione di materiali d'armamento ai sensi della legge 185 del 1990.
  Negli ultimi cinque anni, invece, sono state esaminate un certo numero istanze di autorizzazioni ai sensi della legge 110 del 1975 presentate da Cheddite Italy S.r.l. al Ministero dell'interno per l'esportazione di cartucce e/o polvere da sparo verso diversi paesi.
  Tra le autorizzazioni rilasciate all'azienda dalla prefettura di Livorno, alcune hanno riguardato la Turchia (anni 2018 e 2019) ed altre il Libano (anni 2019 e 2022). Relativamente al materiale fotografico circolato in Francia ed in Italia e che mostra bossoli riportanti il logo della società Cheddite Italy S.r.l., la stessa ha affermato «con assoluta certezza che tali cartucce non sono mai state prodotte nello stabilimento di Livorno».
  Secondo quanto riferito dal Ministero dell'interno, il 29 novembre 2022, personale della questura ha effettuato una verifica ispettiva presso l'azienda livornese in merito all'esportazione di materie esplodenti, confezionate in quel deposito.

  La Digos locale — ha segnalato che «non emergevano elementi univoci che potessero collegare l'azienda ai proiettili riprodotti in foto. Infatti, sebbene i fondelli fossero compatibili, i bossoli non erano conformi a quelli prodotti in Francia e lavorati in Italia». L'azienda Cheddite Italy S.r.l., dal canto suo, ha ribadito «la totale estraneità a qualsiasi fornitura diretta o indiretta con l'Iran e a qualsiasi forma di rapporti commerciali con il suddetto Stato per forniture di cartucce e/o bossoli, in violazione delle limitazioni previste dalla normativa sull'embargo emesse nei confronti dell'Iran».
  Analoghe conclusioni hanno prodotto le verifiche condotte da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale circa la notizia, pubblicata dal quotidiano
The Guardian e citata dall'interrogante, di utilizzo da parte della polizia iraniana di fucili semiautomatici di marca Benelli. Non è stata concessa alla Benelli Armi S.p.A. alcuna autorizzazione all'esportazione verso l'Iran, né ai sensi della legge 185 del 1990 (armamenti) né della 110 del 1975 (armi ad uso sportivo). Nel corso degli ultimi anni sono state invece concesse a Benelli Armi S.p.A. diverse autorizzazioni all'esportazione verso Paesi dell'area medio-orientale, di armi sia ad uso militare (verso Bahrein, Emirati, Giordania, Kuwait, Qatar) sia ad uso sportivo.
  Interpellata in proposito, l'azienda ha confermato di non aver mai trattato la vendita di fucili alla Polizia iraniana e, di conseguenza, di non aver mai presentato istanze di esportazione verso quel Paese. L'azienda ha inoltre segnalato che l'inchiesta pubblicata dal quotidiano
The Guardian non contiene alcun riferimento al marchio Benelli, che è invece citato in un testo pubblicato dall'associazione nessuno tocchi Caino, basato su informazioni provenienti da «iranian human rights monitor». La fonte, secondo Benelli Armi S.p.A., non è adeguatamente verificata. L'azienda ricorda che da anni sono prodotte e distribuite in varie parti del mondo, particolarmente in Turchia, molteplici copie dei fucili Benelli e, pertanto, per stabilire l'effettivo fabbricante di quel tipo di armi, occorrerebbe un accurato esame tecnico.
  Si assicura che gli obblighi derivanti trattato sul commercio delle armi – «
Arms trade treaty» (di seguito «Trattato Att»), ed in particolare dall'articolo 7, sono pienamente osservati durante la procedura autorizzativa dell'esportazione di armamenti, in coerenza con quanto previsto dalla norma italiana (legge 185 del 1990, come modificata dal decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 105) e dalla norma europea (posizione comune 2008/944/Pesc del Consiglio d'Europa).
  In tale quadro normativo, il diniego all'esportazione avviene, senza ulteriori accertamenti, in presenza di specifici provvedimenti sanzionatori adottati in sede internazionale, ovvero di altri casi rientranti nelle categorie di divieto previste dalle norme citate.
  Oltre ai casi di tassativo rifiuto di concessione della licenza (articolo 6), Att identifica all'articolo 7 quelli che debbono essere oggetto di specifica valutazione da parte del paese esportatore. Tra questi il rischio di gravi violazioni dei diritti umani o del diritto internazionale umanitario.
  La procedura di valutazione adottata dall'autorità nazionale – Uama, responsabile dell'autorizzazione alla movimentazione di armi sulla base della citata legge 185 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni, prevede la raccolta di informazioni e l'analisi del rischio di esportazione verso ciascun Paese.
  L'analisi tiene conto anche del rischio di diversione, cioè di un diverso utilizzo dell'arma rispetto a quello previsto al momento dell'esportazione. L'Italia è infatti consapevole che la diversione, cui il trattato Att dedica in modo specifico l'articolo 11, riguarda principalmente le armi di piccolo calibro e leggere (
small arms and light weapon), che rappresentano la categoria maggiormente utilizzata nella violazione dei diritti umani, in particolare, nella violenza di genere. Non soltanto, infatti, la diversione di armi piccole e leggere avviene con maggiore frequenza, a causa della difficoltà di tracciamento; ma tale fenomeno è anche la principale fonte di omicidi in ambito familiare e domestico ed ha dunque un effetto moltiplicatore sulla violenza di genere e su quella contro donne e bambini.
  Per contrastare il fenomeno della diversione, il sistema italiano di valutazione, compie anche controlli preventivi specifici sull'attendibilità dell'utilizzatore finale (
end user) indicato dall'azienda esportatrice.
  Infine, a conclusione della procedura di verifica, meritano di essere menzionate le verifiche
ex post, cosiddetti post delivery controls, che riguardano l'effettiva consegna dei materiali, la loro presa in carico e la corretta gestione da parte delle autorità previste nel paese di destinazione.
  In conclusione, nel ribadire che nessun trasferimento di armi è stato autorizzato verso l'Iran in base alle norme vigenti, si desidera assicurare che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed il Ministero dell'interno continueranno ad esercitare la massima attenzione e vigilanza nel contrastare ogni trasferimento illecito di armi ed altri materiali verso l'Iran, nonché ogni possibile forma di «sviamento» verso l'Iran dei materiali lecitamente esportati verso altre destinazioni.
  Si assicura, inoltre, che ogni autorizzazione all'esportazione di armi avviene nel puntuale rispetto della suddetta normativa e, in particolare, di quanto prevede il Trattato per il commercio delle armi (Att) in materia di valutazione del rischio di diversione e, dunque, di elusione della normativa stessa attraverso il coinvolgimento di Paesi terzi.
  Qualora si dovesse appurare che, nei casi riportati dalla stampa, vi è stato un effettivo aggiramento delle norme, non si mancherà di applicare misure conseguenti: queste potrebbero andare dal divieto di effettuare future operazioni verso i
partner commerciali e/o i Paesi terzi eventualmente coinvolti, all'adozione di sanzioni verso le aziende produttrici, se corresponsabili delle violazioni.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Edmondo Cirielli.


   PICCOLOTTI. — Al Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, al Ministro dell'istruzione e del merito. — Per sapere – premesso che:

   dagli studenti e studentesse del Convitto Nazionale Paolo Diacono di Cividale del Friuli (UD) è stata portata alla luce la distribuzione, in data 12 gennaio 2023, dell'opuscolo «Prevenire le aggressioni, combattere la violenza» realizzato dal comune di Cividale e dalla regione autonoma del Friuli Venezia Giulia;

   il contenuto di tale opuscolo, a parere dell'interrogante, appare più rivolto a colpevolizzare le vittime che ad affrontare seriamente il tema della prevenzione della violenza di genere, giustificando e quasi riproponendo il sistema patriarcale che la violenza produce;

   anziché affrontare il tema del consenso e dell'educazione all'affettività l'opuscolo consiglia alle donne di non fare sorrisi provocanti o ironici, di non indossare un abbigliamento eccessivamente stravagante o succinto e di evitare di uscire da sole di notte per non attirare potenziali aggressori quasi a voler giustificare una eventuale violenza;

   le argomentazioni proposte dal comune di Cividale e dalla regione autonoma del Friuli Venezia Giulia non accusano gli aggressori ma chiedono alle vittime di prepararsi a non «istigare», compiendo un'opera di diseducazione al rispetto altrui e al consenso;

   affermare che esistano comportamenti «sbagliati» che possano in qualche modo giustificare o attenuare la violenza di genere contribuisce a legittimare la violenza stessa;

   anziché promuovere iniziative di sensibilizzazione e di contrasto alla cultura della violenza il comune di Cividale del Friuli e la regione Friuli Venezia Giulia diffondono uno scritto pieno di stereotipi in cui si colpevolizzano comportamenti che dovrebbero riguardare la libertà di ciascun individuo;

   a parere dell'interrogante, è scandaloso che tale messaggio distorto sia stato diffuso all'interno delle scuole per anni quando l'unica vera prevenzione alla violenza si basa sull'educazione all'affettività, al consenso, al rispetto dell'altro e sulla condanna di qualsiasi atteggiamento giustificazionista di ogni forma di violenza;

   a parere dell'interrogante emerge la necessità di un radicale cambiamento anche nella modalità didattica ed educativa, gli opuscoli infatti non sono al passo con i tempi e rappresentano una soluzione una tantum mentre andrebbe messo a regime un sistema di educazione all'affettività discusso assieme alle associazioni studentesche –:

   quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati rispetto al tema esposto in premessa e quali iniziative di competenza urgenti intendano assumere, anche di carattere normativo, affinché in tutte le scuole di ogni ordine e grado si affronti il tema della prevenzione alla violenza di genere attraverso l'introduzione dell'educazione all'affettività, al consenso e al rispetto dell'altro;

   se non intendano adottare iniziative di competenza per fornire, in raccordo con le regioni, i comuni e le scuole, precisi indirizzi sull'elaborazione di materiale informativo riguardante il tema della prevenzione della violenza di genere al fine di evitare, come nel caso richiamato in premessa, la riproposizione di qualsiasi atteggiamento direttamente o indirettamente giustificazionista di ogni forma di violenza attraverso l'utilizzo di argomentazioni stereotipate basate sulla censura di taluni comportamenti adottati dalle potenziali vittime.
(4-00283)

  Risposta. — L'atto di sindacato ispettivo 4-00283 in esame, ha ad oggetto la distribuzione dell'opuscolo «Prevenire le aggressioni, combattere la violenza» diffuso tra gli istituti secondari di secondo grado del comune di Cividale del Friuli, che ha suscitato un ampio dibattito tra le studentesse e gli studenti in merito al contenuto, ritenuto foriero di un messaggio distorto e sessista. Il sindaco ha pertanto ritenuto opportuno un confronto con i rappresentanti degli studenti all'esito del quale ha disposto il ritiro dell'opuscolo.
  In particolare, l'interrogante chiede quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati rispetto al tema e quali iniziative di competenza urgenti intendano assumere affinché in tutte le scuole si affronti il tema della prevenzione alla violenza di genere, attraverso l'introduzione dell'educazione all'affettività, al consenso e al rispetto dell'altro; chiede inoltre se si intendano adottare iniziative di competenza per fornire, in raccordo con le regioni, i comuni e le scuole, precisi indirizzi sull'elaborazione di materiale informativo riguardante il tema della prevenzione della violenza di genere al fine di evitare la riproposizione di qualsiasi atteggiamento direttamente o indirettamente giustificazionista di ogni forma di violenza attraverso l'utilizzo di argomentazioni stereotipate basate sulla censura di taluni comportamenti adottati dalle potenziali vittime.
  Nel premettere che una delle priorità dell'attuale Governo è quella di aumentare il livello di consapevolezza nella pubblica opinione e nel sistema educativo e formativo sulle radici strutturali, sulle cause e sulle conseguenze della violenza maschile sulle donne e promuovere la destrutturazione degli stereotipi alla base della violenza, si rappresenta, per quanto di specifica competenza, che azioni positive sono previste nel «Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023» (da questo momento il «Piano»), adottato dal dipartimento per le pari opportunità in continuità con il piano 2017-2020, che prevede un'articolazione per assi secondo le linee indicate dalla convenzione di Istanbul, ciascuno dei quali presenta più priorità che si concretizzano in specifiche Aree di intervento di rilevante interesse nazionale e regionale.
  Con specifico riferimento all'asse prevenzione, il piano prevede azioni di prevenzione sistemiche ed integrate, tra cui la prevenzione primaria che si declina nella programmazione di azioni di sensibilizzazione e comunicazione, di interventi educativi tesi alla prevenzione del fenomeno della violenza di genere attraverso il contrasto degli stereotipi di genere, di promozione di una cultura del rispetto tra uomo e donna, di stigmatizzazione della violenza di genere con particolare riferimento ai modelli sociali.
  A livello educativo, il piano definisce quindi contesti specifici di intervento che coinvolgono scuole e centri di formazione, attraverso un lavoro con il corpo docente e gli studenti per la prevenzione, intesa come lavoro di analisi e approfondimento sul rapporto tra uomini e donne, sul concetto di violenza e sulle sue diverse forme. Il piano in questo contesto prevede interventi di raccordo con il Ministero dell'istruzione e del merito per affrontare il tema della relazione maschi/femmine nelle scuole anche nell'ottica di un piano programmatico da mettere a sistema in tutti gli istituti su impulso del Ministero stesso.
  Il piano, inoltre, prevede interventi di sensibilizzazione incentrati sulla promozione di una cultura del rispetto reciproco e sulla stigmatizzazione della violenza maschile verso le donne, in particolare in ambito domestico.
  Da rilevare altresì lo specifico coinvolgimento dell'università in quanto luogo di formazione e di ricerca a più livelli e quindi contesto determinante per il contrasto alla violenza di genere, domestica e sessuale, con particolare riferimento alla prevenzione, al fine di assumere il tema dell'equità di genere e del contrasto alla violenza di genere come una priorità culturale, scientifica, sociale, politica ed economica in linea con gli orientamenti della commissione Europea tracciati nel documento «un'unione dell'uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025».
  Il piano in questo contesto prevede azioni formative multi-livello e differenziate, a seconda del pubblico a cui sono rivolte, insegnamenti, corsi e seminari curriculari e specialistici, multidisciplinari e trasversali, basati su un approccio sinergico tra docenti, ricercatori, studenti, professionisti, figure istituzionali e centri dediti al contrasto della violenza, a partire da una sensibilizzazione culturale e con una specificità per quelle discipline che prevedono un intervento diretto in casi di violenza di genere (medicina, ostetricia, servizio sociale, psicologia, giurisprudenza, etc.).
  Giova inoltre evidenziare, come con decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2022 è stato adottato il 5° piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2022-2023 (Pnia), approvato dall'osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza.
  Il 5° piano, che ha vigenza biennale, individua gli interventi prioritari da realizzare per migliorare la condizione dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia e indica, ai decisori pubblici e alla società civile, gli obiettivi da realizzare, le strategie attraverso le quali conseguirli, i soggetti coinvolti nella loro attuazione e gli elementi per il monitoraggio.
  Il citato piano è strutturato in 3 aree d'intervento: educazione, equità ed
empowerment, e pone una grande attenzione al benessere psicologico e fisico delle persone di minore età, prevedendo specifiche azioni di promozione, prevenzione e protezione a favore dei minorenni, anche nell'ambito servizi educativi e nelle scuole di ogni ordine e grado.
  Con particolare riferimento al tema in esame, in termini di promozione, il piano prevede nelle scuole l'implementazione di competenze trasversali (
life skills), in accordo a quanto stabilito dalla convenzione di Istanbul e dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti (azione 9 e 10).
  In termini più generali, si ribadisce l'impegno dell'esecutivo a promuovere, campagne di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne e alle disuguaglianze di genere in ogni ambito della vita sociale.
  A tal riguardo, si rappresenta, nell'ambito della predisposizione del nuovo piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica di cui all'articolo 5 del decreto-legge 14 ottobre 2013, la volontà di adottare linee guida rivolte specificatamente agli enti locali.

Il Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità: Eugenia Roccella.


   RUBANO. – Al Ministro delle imprese e del made in Italy. – Per sapere – premesso che:

   Savim Srl è azienda leader nel settore dell'anticorrosione e della produzione di vernici e smalti, con sede a Puglianello (Benevento);

   con decreto del 30 novembre 2020, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 gennaio 2021 il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'economia e delle finanze, hanno individuato i «...criteri per la ripartizione e il trasferimento delle risorse residue dei patti territoriali da utilizzare per il finanziamento di progetti volti allo sviluppo del tessuto imprenditoriale territoriale, anche mediante sperimentazione di servizi innovativi a supporto delle Imprese»;

   la Savim ha aderito al Patto territoriale provinciale nato con l'obiettivo di rispondere ad un avviso pubblico per la preselezione di interventi privati e pubblici da inserire nel progetto pilota, presentando una proposta progettuale dal titolo «Hub delle Vernici» per 721.225,71 euro di investimento con l'obiettivo di incrementare l'attività lavorativa aziendale e, di conseguenza, creare nuove prospettive occupazionali utili ad arrestare il fenomeno devastante dello spopolamento delle aree interne;

   con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 30 luglio 2021, sono state individuate le modalità e i termini di presentazione delle domande di assegnazione dei contributi per la realizzazione di progetti pilota volti allo sviluppo del tessuto imprenditoriale territoriale, anche mediante la sperimentazione di servizi innovativi a supporto delle imprese. La dotazione dell'intervento è stata fissata in 105 milioni di euro;

   la domanda contenente la proposta di progetto pilota è stata trasmessa dalla Savim al soggetto gestore individuato in Unioncamere Benevento, i cui rapporti col Ministro erogante sono regolati da una specifica convenzione. Le relative istruttorie sono svolte entro 120 giorni dalla data di chiusura della finestra di presentazione dei progetti pilota, fermo restando la possibilità di chiedere integrazioni e/o chiarimenti. In quest'ultimo caso il termine si intende sospeso fino alla produzione di quanto richiesto;

   nonostante i termini siano ampiamente scaduti, recentemente Unioncamere avrebbe inviato una richiesta di dichiarazione alla Savim con cui l'impresa ha dovuto confermare di essere in possesso di alcuni requisiti specifici: micro, media o piccola impresa; di essere in regola con le disposizioni vigenti in materia di normativa edilizia e urbanistica del lavoro, della prevenzione degli infortuni e della salvaguardia dell'ambiente ed essere in regola con gli obblighi contributivi; di non essere in condizione tali da risultare impresa in difficoltà –:

   quali siano i motivi del ritardo nell'attuazione degli adempimenti e nella predisposizione delle graduatorie di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico del 30 luglio 2021.
(4-00258)

  Risposta. — Con l'atto in esame, l'interrogante, nel rammentare che la Savim Srl ha aderito al Patto territoriale della provincia di Benevento per rispondere ad un avviso pubblico per la presentazione di interventi da inserire nel progetto pilota di cui al decreto ministeriale del 30 luglio 2021, chiede di conoscere quali siano i motivi del ritardo nella conclusione della citata procedura.
  A tal riguardo, sentite le direzioni generali competenti del Ministero delle imprese e del
made in Italy, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», ha stabilito che le risorse residue dei Patti territoriali siano utilizzate per il finanziamento di progetti volti allo sviluppo del tessuto imprenditoriale territoriale, anche mediante la sperimentazione di servizi innovativi a supporto delle imprese.
  In attuazione del citato articolo, il decreto interministeriale del 30 novembre 2020 del Ministro dello sviluppo economico, ora Ministero delle imprese e del
made in Italy, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, ha stabilito che le risorse residue dei Patti territoriali siano assegnate con bando del Ministero dello sviluppo economico per finanziare progetti pilota.
  L'articolo 5 di detto decreto stabilisce altresì che la valutazione dei progetti pilota è svolta da una commissione nominata con decreto del Ministero; mentre l'articolo 9 prevede che, al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni attribuite da detto decreto, il Ministero si avvalga di Unioncamere quale soggetto gestore.
  Il Ministero, con decreto direttoriale del 30 luglio 2021, ha stabilito i contenuti, le modalità e i termini di presentazione delle domande, nonché la disciplina per l'attuazione della misura, fissando la scadenza per la presentazione delle domande al 15 febbraio 2022 e stabilendo il termine di 120 giorni per la conclusione delle attività istruttorie.
  Il soggetto gestore, Unioncamere, nell'ambito delle attività di propria competenza, ha provveduto agli adempimenti tecnici ed amministrativi riguardanti l'istruttoria delle numerose domande di assegnazione dei contributi, presentate dai soggetti responsabili.
  Con il decreto ministeriale dell'8 giugno 2022, è stata nominata la commissione per la valutazione tecnica dei progetti pilota. Si sono, poi, rese necessarie modifiche alla composizione della commissione, intervenute con i decreti ministeriali del 22 luglio 2022 e del 5 ottobre 2022. All'istruttore sono pervenute 62 proposte di progetti pilota.
  Ciascun progetto presenta un complesso corredo di documentazione tecnica e raccoglie fino a diverse decine di interventi da parte di imprese ed enti locali, che saranno gli effettivi beneficiari della misura di agevolazione.
  Al fine di garantire – come previsto dalla legge 241 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni – il superamento delle carenze formali delle domande di assegnazione dei contributi e delle dichiarazioni pervenute, il soggetto gestore ha avuto la necessità di chiedere, attraverso soccorso istruttorio, integrazioni documentali e chiarimenti ai soggetti responsabili.
  A tal riguardo, si fa presente che il comma 3 dell'articolo 10 del decreto direttoriale del 30 luglio 2021 ha previsto la sospensione del termine entro il quale sono concluse le attività istruttorie, nel caso di richieste di integrazioni e/o chiarimenti. Le richieste di integrazione documentale, tramite soccorso istruttorio, sono finalizzate a garantire la piena partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo e a consentire alla commissione di valutazione di disporre degli elementi informativi necessari e utili a una compiuta valutazione circa la meritevolezza dei progetti presentati dai soggetti responsabili.
  Inoltre, si rappresenta che il soggetto gestore e i competenti uffici del Ministero delle imprese e del
made in Italy hanno dovuto effettuare le verifiche dei requisiti riguardanti l'ammissibilità dei progetti pilota nel loro complesso e anche dei singoli interventi ricompresi nei progetti, con la conseguente sospensione dei termini del procedimento, necessaria per garantire agli interessati il diritto alla partecipazione alla procedura amministrativa.
  Le esigenze imposte dall'articolata attività istruttoria appena rappresentate, il numero e la complessità dei progetti pilota pervenuti hanno, dunque, dilatato i tempi necessari per la conclusione della procedura.
  È stata, ad ogni modo, avviata l'attività di valutazione della commissione, che, compatibilmente con quanto sopra rappresentato, si sta approssimando alla conclusione dei propri lavori. Pertanto, è ragionevolmente prevedibile che la graduatoria di merito possa essere pubblicata nel corso delle prossime settimane.

Il Sottosegretario di Stato per le imprese e il made in Italy: Fausta Bergamotto.


   STEFANI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:

   nel nostro ordinamento giuridico-amministrativo è obbligatorio negli enti locali la figura del Segretario comunale, il quale svolge una funzione centrale ed essenziale per una corretta gestione delle attività dell'ente;

   il Segretario comunale è una figura tecnico-professionale i cui compiti sono specificamente espressi dalla legge e la sua azione deve essere di supporto tecnico e collaborazione professionale rispetto agli atti che il comune adotta o intende adottare, nella funzione di verifica del parametro di conformità dell'azione dell'ente locale alla legge, nonché in particolare al rispetto dei vincoli, anche finanziari, da questa disposti;

   tale ruolo, fondamentale in un contesto ordinario, diviene ad oggi insostituibile dal momento che i comuni sono chiamati a cooperare con lo Stato per attuare il PNRR;

   è noto da oltre un decennio il grave problema della carenza di Segretari comunali e provinciali sul territorio italiano;

   la mancanza di queste figure comporta gravi rallentamenti dei tempi, delle procedure e delle attività necessarie, per assicurare il buon andamento delle amministrazioni locali. Senza queste figure, si va ad intaccare l'efficienza dell'ente comunale, rallentando la ripresa del Paese;

   la modestissima e lenta immissione di Segretari, i numerosi pensionamenti degli ultimi anni, la mancanza di fondi nei piccoli municipi, oltre alle mobilità in uscita di Segretari comunali in servizio verso altre amministrazioni che il sempre più complicato quadro ordinamentale comporta, ha determinato una carenza assolutamente drammatica di Segretari in quasi tutte le regioni italiane e, in modo particolare, in quelle del Centro Nord;

   soltanto 2.168 amministrazioni su un totale di 7.904 risultano coperte da un Segretario titolare. Le maggiori criticità, in termini di carenza di organico, si rilevano nelle sedi comunali di fascia C, ovvero fino a 3 mila abitanti: su 2.422 sedi di segreteria ne risultano coperte con un titolare soltanto 207. Si tratta di una scopertura pari al 91,4 per cento del totale;

   in particolare nella provincia di Padova più della metà dei comuni non ha un Segretario comunale assegnato all'ente, ma lo condivide con altri municipi limitrofi, fino ad arrivare a casi limite in cui un unico dirigente deve coprire ben sette amministrazioni comunali;

   una situazione che si è ancora più aggravata dopo che il 31 dicembre 2022 sono scadute alcune proroghe concesse dall'albo dei Segretari comunali, l'ente gestito dal Ministero dell'interno che si occupa dell'accesso alla carriera, dove i sindaci possono attingere per una figura che rappresenta l'apice della macchina amministrativa di un comune;

   nell'ultimo bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 è stata inserita una disposizione che consente di destinare le risorse del Fondo assunzioni PNRR (decreto-legge n. 152 del 2021) da 30 milioni di euro annui fino al 2026, già destinato ai comuni attuatori di progetti del Piano con popolazione fino a 5 mila abitanti, per assunzioni a tempo determinato di personale non dirigenziale, anche per sostenere gli oneri relativi al trattamento economico dei Segretari comunali –:

   quali ulteriori iniziative il Governo intenda adottare, al fine di velocizzare e monitorare le procedure di reclutamento dei Segretari comunali, garantendo così la copertura delle sedi vacanti, in particolar modo nei piccoli comuni.
(4-00312)

  Risposta. — La tematica della carenza dei segretari comunali e provinciali, specialmente nei comuni di minore dimensione demografica, è da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno che ha promosso un ampio ventaglio di misure con la finalità di ridurre il numero delle sedi di segreteria vacanti e di accelerare le procedure di reclutamento e accesso in carriera.
  In tale ottica l'articolo 12-
bis del decreto-legge n. 4 del 2022, cosiddetto «decreto Sostegni ter», ha previsto che, a decorrere dal 2022, e per tutta la durata del PNRR, e dunque fino al 31 dicembre 2026, le assunzioni dei segretari comunali siano autorizzate per un numero di unità pari al 120 per cento, in luogo del 100 per cento, di quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente.
  A decorrere dall'anno 2023, inoltre, è stata prevista sia la rimodulazione del corso di formazione per l'accesso in carriera sia la riserva di una quota del 50 per cento dei posti messi a concorso (in luogo dell'attuale 30 per cento) per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche in possesso dei titoli di studio previsti per l'accesso alla carriera, che abbiano un'anzianità di servizio di almeno 5 anni in posizioni funzionali per le quali sia previsto il requisito della laurea.
  Sempre nell'ambito del «decreto Sostegni
ter» (articolo 12-bis) ulteriori interventi hanno riguardato gli incarichi a segretari di fascia «C», ossia operanti presso comuni fino a 3.000 abitanti, per i quali è stata prevista la possibilità di assumere la titolarità anche in sedi (singole o convenzionate) corrispondenti alla fascia professionale immediatamente superiore, presso comuni con popolazione sino a 5.000 abitanti. Con un successivo intervento normativo (articolo 16, comma 8, del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115) è stata prevista la facoltà di nomina dei segretari, iscritti nella fascia iniziale di accesso in carriera, anche nelle sedi singole presso comuni fino ad un massimo di 10.000 abitanti, ove situate nelle isole minori.
  Più di recente, come ricordato dall'interrogante, nell'ambito della legge di bilancio 2023-2025 (n. 197 del 2022) è stato disposto che, per supportare i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e ai fini dell'attuazione degli obiettivi previsti dal PNRR, è possibile utilizzare, sino al 31 dicembre 2026, le risorse del Fondo di cui all'articolo 31-
bis del decreto-legge n. 152 del 2021, pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, per sostenere gli oneri relativi al trattamento economico dell'incarico conferito al segretario comunale ex articolo 97, comma 1, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. Ed è a questo riguardo utile precisare che, al fine di monitorare le modalità di attuazione degli interventi, è stato costituito, presso il dipartimento della funzione pubblica, un apposito tavolo di lavoro, cui partecipano anche rappresentanti del Ministero dell'interno, per la definizione dei criteri di accesso al suindicato Fondo, che confluiranno in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta della funzione pubblica.
  Per far fronte al problema della carenza dei segretari sul territorio si è fatto leva anche sull'istituto del vicesegretario comunale. Al riguardo, l'articolo 16-
ter del decreto-legge n. 162 del 2019 ha delineato una speciale disciplina al fine di consentire che – in via eccezionale e per 24 mesi complessivi, nei comuni fino a 5.000 abitanti e in quelli con popolazione fino a 10.000 abitanti, che abbiano stipulato tra loro convenzioni di segreteria, le funzioni del segretario possano essere attribuite al vicesegretario, quale funzionario pubblico in possesso di determinati requisiti. Va anche rammentato che la recente legge n. 6 del 2023, di conversione del decreto-legge n. 176 del 2022, cosiddetto «Aiuti quater», ha disposto la proroga al 31 dicembre 2023 delle disposizioni in materia di incarichi di vicesegretario comunale contenute nel decreto-legge n. 162 del 2019.
  Come accennato, anche sul piano amministrativo, sono state portate a compimento diverse procedure concorsuali e formative di accesso alla carriera professionale.
  In particolare, nel 2022 si sono concluse le attività formative delle sessioni, ordinaria e aggiuntiva, della procedura concorsuale denominata «COA 6», al termine delle quali sono stati iscritti all'albo nazionale, rispettivamente, 286 segretari (di cui 16 assegnati alla regione Veneto), e 222 nuovi idonei (di cui 12 assegnati al Veneto), per un totale di 508 unità,
  Si informa, inoltre, che al 10 febbraio 2023, risultano nominati 397 segretari, dei quali 238 riferiti alla sessione ordinaria e 159 a quella aggiuntiva.
  Dei suindicati 397 segretari, 386 hanno già assunto servizio; 193 risultano nominati in comuni che si sono avvalsi delle disposizioni di cui al citato articolo 12-
bis del decreto-legge n. 4 del 2022 con il quale – come detto – sono stati disciplinati i criteri e le modalità per l'attribuzione ai segretari comunali in fascia iniziale di sedi con popolazione fino a 5.000 abitanti, per un periodo massimo di sei mesi prorogabile a dodici. Si evidenzia che tale estensione temporale è stata rimodulata in senso ulteriormente ampliativo grazie ad un recentissimo emendamento governativo, approvato dalle competenti Commissioni parlamentari, nell'ambito della conversione in legge del decreto-legge n. 198 del 2022, cosiddetto Milleproroghe, per modo che la formulazione attuale del testo prevede che l'attribuzione della sede ai segretari in fascia iniziale sia conferibile «per un periodo massimo di dodici mesi prorogabili fino a ventiquattro».
  Per quanto concerne, infine, le procedure concorsuali ancora
in itinere, si segnala il concorso pubblico per l'ammissione di 448 borsisti al corso-concorso selettivo di formazione (COA 2021), in relazione al quale la commissione esaminatrice sta procedendo alla correzione degli elaborati delle prove scritte che si sono svolte lo scorso 23 novembre. Proprio in riferimento questa procedura concorsuale, la citata legge di bilancio 2023-2025 ha previsto la possibilità di iscrizione all'albo nazionale di tutti i 448 borsisti (in luogo dei 345 previsti inizialmente) che supereranno le prove del corso-concorso, sempre al fine di sopperire alla grave carenza di segretari comunali iscritti nella fascia iniziale di accesso alla carriera e per riequilibrare il rapporto numerico fra segretari iscritti all'albo e le sedi di segreteria.
  Come dovrebbe risultare evidente dalla rassegna appena esposta, il Ministero dell'interno, nel solco delle iniziative intraprese e avendo ben presente il ruolo fondamentale che i segretari comunali svolgono nel sistema delle autonomie locali, continuerà ad assicurare il proprio impegno con interventi concreti, tanto in ambito normativo quanto in quello gestionale, finalizzati all'ulteriore rafforzamento dell'istituto.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Wanda Ferro.


   VIETRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   con interpello del 15 gennaio 2020, le associazioni di categoria sottoponevano al Ministero interrogato la tematica dell'assoggettabilità contributiva degli importi erogati agli agenti mandatari Siae dai propri committenti/mandanti a titolo di «diritto d'autore»;

   i mandatari sono iscritti alla «Gestione separata» dell'Inps, trattandosi di lavoratori autonomi per i quali non vige né l'obbligo di inserimento in specifici albi professionali, né l'obbligo di versare contributi presso Enti previdenziali privati;

   come si legge nell'interpello, con particolare riguardo ai citati mandatari, la Siae «è solita sottoscrivere specifici contratti di mandato con rappresentanza con soggetti cui viene attribuita, in tutto e per tutto, la gestione di una determinata circoscrizione territoriale della stessa Siae, di modo che essi personificano, sotto ogni profilo, l'Ente in commento», riconoscendo ai propri mandatari una pluralità di emolumenti in denaro;

   gli importi a titolo di «diritto d'autore» sono corrisposti unicamente a fronte della stipula da parte dei mandatari, che agiscono «in prima persona» e con potere di rappresentanza, di specifici contratti con coloro che intendono utilizzare l'altrui «diritto d'autore»;

   per effetto di tali contratti i mandatari partecipano allo sfruttamento economico dell'altrui «diritto d'autore» alla pari della Siae, tant'è che sia i mandatari sia la mandante percepiscono un unico compenso per la stipula del contratto, poi ripartito internamente, in diversa misura percentuale;

   il «compenso per diritto d'autore» è, pertanto, un importo destinato non a remunerare un'attività lavorativa in senso stretto, bensì espressione dello sfruttamento del diritto d'autore da parte di un soggetto diverso dall'autore medesimo; motivo per cui tale importo dovrebbe essere escluso dalla base imponibile a fini contributivi;

   tale conclusione, peraltro, è stata condivisa dall'Inps con i messaggi n. 14712 del 2013 e n. 19435 del 2013, riconoscendo la non imponibilità, a fini contributivi, degli importi percepiti a titolo di sfruttamento del «diritto d'autore» da parte di lavoratori terzi non iscritti al «Fondo LPS», ovvero ad «Albi» e «Casse Professionali»;

   l'esclusione degli importi riconosciuti a titolo di «diritto d'autore» dal reddito imponibile a fini previdenziali ex articolo 2, comma 26, legge n. 335 del 1995 sembrerebbe ricavarsi dalla stessa normativa fiscale, che delimita la nozione di redditi da lavoro autonomo, laddove distingue nettamente la fattispecie dello sfruttamento del «diritto d'autore» da parte del medesimo autore (articolo 53, comma 2, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986), da quella in cui lo sfruttamento, come nel caso in esame, avviene ad opera di soggetto terzo o, comunque, da un soggetto diverso dall'autore dell'opera dell'ingegno (articolo 67, comma 1, lettera g), decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986);

   alla luce di tali considerazioni, il «compenso per diritto d'autore» non dovrebbe concorrere, come invece oggi accade, alla formazione del reddito professionale e, pertanto, non dovrebbe integrare la base imponibile di cui al citato articolo 2, comma 26, legge n. 335 del 1995 –:

   quali siano gli intendimenti del Governo in merito a quanto esposto in premessa, con particolare riguardo all'esenzione contributiva degli importi erogati agli agenti mandatari Siae dai propri committenti/mandanti a titolo di «diritto d'autore».
(4-00299)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione di cui in esame, relativa all'assoggettabilità contributiva degli importi erogati agli agenti mandatari Siae dai propri committenti o mandanti a titolo di diritto d'autore, acquisiti gli elementi dall'Inps, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, come peraltro richiamato in premessa dall'interrogante, si rappresenta che il quesito è stato anche oggetto di apposita istanza di interpello ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004 presso la competente direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, però, non vi ha dato seguito per mancanza dei presupposti oggettivi e declassandola, di conseguenza, a mero quesito interlocutorio.
  In merito all'inquadramento previdenziale digli agenti mandatari Siae, è opportuno richiamare la circolare Inps n. 83 del 1997 ove viene precisato che l'attività svolta da tali soggetti è riconducibile a quella dell'ente al quale sono legati dal vincolo di mandato e in particolare, al punto 10 della citata circolare si è precisato che «... È stato accertato che i soggetti che svolgono attività lavorativa a favore della Siae con qualifica di agenti mandatari non sono vincolati da un contratto di lavoro subordinato, ma da un contratto di mandato e che l'attività svolta dai medesimi non è quella tipica degli ausiliari del commercio, ma è quella propria dell'Ente al quale sono legati e, consiste, in via principale, nella concessione a chi lo richiede della possibilità di utilizzare le opere dell'impegno affidate alla tutela dell'Ente stesso e nella riscossione dei relativi diritti... i suddetti lavoratori non devono essere considerati agenti o rappresentanti di commercio, iscrivibili come tali all'assicurazione obbligatoria degli esercenti attività commerciali di cui alla legge 22 luglio 1966, n. 613, ma devono essere qualificati come lavoratori autonomi assicurabili ai sensi dell'articolo, 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. In particolare, i compensi ricevuti dai suddetti lavoratori devono esser fatti rientrare nella previsione di cui all'articolo 49, comma 1 del testo unico delle imposte sui redditi»;
  Tale orientamento, tra l'altro, è stato, da ultimo, confermato con il messaggio Inps 19435 del 2013 nel quale l'Istituto ha chiarito, in via generale, che gli agenti mandatari Siae sono assicurati presso la gestione separata ai sensi dell'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e la relativa contribuzione è determinata mediante applicazione della disciplina prevista per i soggetti che dichiarano redditi «professionali», ai sensi dell'articolo 53, comma 1 del decreto del Presidente 22 dicembre 1986, n. 917 ( di seguito Tuir).
  Per quanto riguarda, nello specifico, le somme percepite a titolo di «diritto d'autore», si conferma, in via generale, l'esclusione dall'assoggettamento alla contribuzione dovuta alla gestione separata, nei casi in cui il reddito derivante non sia riconducibile né alle previsioni dell'articolo 49, commi 1 e 2, lettera
a) (quest'ultimo oggi disciplinato dall'articolo 50 c-bis del Tuir) – se le somme sono dichiarate ai sensi dell'articolo 53, comma 2, lettera b), quale reddito assimilato a lavoro autonomo – né alle previsioni dell'articolo 67, comma 1 lettera g) del Tuir, quali redditi diversi.
  In quest'ultimo caso, tuttavia, l'articolo 44 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modificazioni della legge 24 novembre 2003 n. 326 ha previsto che «a decorrere dal 1° gennaio 2004 i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale (...) sono iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore a cinquemila euro», come disciplinato all'articolo 67, lettera
l) del Tuir.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Claudio Durigon.


   ZIELLO, BARABOTTI, BILLI, MONTEMAGNI e NISINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'ultimo bando in merito alla rigenerazione urbana, a norma dell'articolo 1, comma 42-43, legge n. 160 del 2019, che ha previsto, per gli anni dal 2021 al 2034, l'assegnazione di contributi ai comuni per investimenti in progetti di rigenerazione urbana, mentre con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2021 sono stati fissati i criteri di assegnazione delle risorse, ha creato non poche delusioni tra i comuni del centro nord;

   nello specifico, nessuno dei 300 progetti presentati dai Comuni toscani sotto i 15mila abitanti è stato accettato; tra quelli che contano più progetti inseriti nella graduatoria ci sono Aulla e Campagnatico, con undici a testa, seguiti da Castagneto Carducci con nove e Barberino Tavarnelle con cinque;

   la criticità, oramai nota e in più occasioni evidenziata dalla Lega per Salvini Premier, scaturisce dall'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm), utilizzato quale criterio per l'individuazione dei comuni beneficiari del contributo; in proposito, si ricorda, per l'appunto, gli atti di sindacato ispettivo e di indirizzo presentati la scorsa legislatura (il question-time n. 3-02713 e la mozione n. 1-00569 Molinari e altri, approvata), con i quali si era sottolineata l'inadeguatezza dell'Ivsm e si era impegnato l'allora Governo ad adottare tutte le opportune iniziative di competenza volte a «garantire il finanziamento di tutti i progetti che abbiano superato il vaglio di ammissibilità» e «a migliorare e integrare l'indice di vulnerabilità sodale e materiale (Ivsm) con parametri territorialmente idonei a garantire un'equilibrata distribuzione territoriale dell'intero Paese, ferma restando la quota minima del 40 per cento per il Mezzogiorno»;

   il paradosso è che tale indice persegue l'obiettivo di contrastare la marginalizzazione e il degrado sociale in taluni territori del Sud Italia, ma di fatto esclude i comuni più virtuosi e i progetti più meritevoli;

   tali considerazioni sono state espresse anche da Presidente Anci Toscana a mezzo stampa (v. Corriere fiorentino del 22 ottobre 2022), il quale auspica che l'impegno dei comuni toscani per proporre progetti di qualità non venga gettato via e che il Governo possa rifinanziare il fondo, così da consentire uno scorrimento della graduatoria –:

   a quali iniziative si intendano adottare per rivedere i criteri di attribuzione delle risorse e superare l'indice di vulnerabilità sociale (Ivsm), al fine di soddisfare la qualità dei progetti e non penalizzare ingiustamente i comuni virtuosi, nonché se si intenda integrare le risorse al fine di consentire uno scorrimento della graduatoria.
(4-00037)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo al tema dei finanziamenti previsti in favore dei comuni per progetti di rigenerazione urbana, si rappresenta quanto segue.
  Nel richiamare preliminarmente la cornice legislativa di riferimento, si evidenzia che la legge del 27 dicembre 2019, n. 160, ha previsto specifiche linee di finanziamento per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, dedicate a progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale. In particolare, sono stati stanziati 150 milioni di euro per il 2021, 250 per il 2022, 550 milioni per gli anni 2023 e 2024, 700 milioni per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034.
  Lo scorso anno l'erogazione dei contributi in questione è stata attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021, a seguito di un'intesa sancita con l'ANCI in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali il 26 novembre del 2020. In quella sede si è convenuto di introdurre, tra i criteri per la selezione dei progetti, quello che fa riferimento all'indice di vulnerabilità sociale e materiale definito dall'Istat (Ivsm), in ragione della necessità di riconoscere una preferenza alle realtà locali più svantaggiate, in coerenza con le finalità dell'intervento legislativo.
  Si rammenta anche che, per corrispondere alle esigenze di ampliare la platea dei beneficiari, il legislatore è intervenuto successivamente con il decreto-legge del 1° marzo 2022, n. 17, grazie al quale sono state stanziate ulteriori risorse pari a 905 milioni di euro, che hanno consentito di finanziare tutte le opere che erano state ammesse alla graduatoria finale.
  Ulteriori interventi in materia sono stati disposti dalla legge del 30 dicembre 2021, n. 234, che, nell'estendere la categoria dei possibili beneficiari dei contributi, ha previsto per l'anno 2022 l'assegnazione di risorse per progetti di rigenerazione urbana pari a 300 milioni di euro in favore dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti che, in forma associata, superano detta soglia.
  La legge sopra richiamata prevede che, qualora l'entità delle richieste superi l'ammontare delle risorse, l'attribuzione sia effettuata in favore dei comuni che presentano un valore più elevato dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale.
  Con il decreto interministeriale del 19 ottobre 2022 sono stati individuati i comuni beneficiari dei predetti contributi, per un importo complessivo di circa 297 milioni di euro, a fronte di istanze trasmesse da 5.268 enti locali e relative a progetti il cui importo complessivo è risultato ampiamente superiore alle risorse stanziate dalla legge.
  Tanto premesso, si assicura che le criticità segnalate nell'interrogazione sono all'attenzione del Governo. In particolare, il Ministero dell'interno, unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze e in collaborazione con l'ANCI, ha valutato la possibilità di recuperare ulteriori risorse da destinare a interventi di rigenerazione urbana.
  Proprio al fine di corrispondere a tale esigenza, con la legge del 13 gennaio 2023, n. 6, in sede di conversione del decreto-legge del 18 novembre 2022, n. 176, è stato introdotto l'articolo 14-
quinquies, che istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un fondo per investimenti in rigenerazione urbana a favore dei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, con una dotazione di 115 milioni di euro per l'anno 2025 e di 120 milioni di euro per l'anno 2026.
  I criteri di riparto del predetto fondo saranno individuati con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, da adottare entro il 30 giugno 2023, assicurando in ogni caso l'attribuzione delle risorse in proporzione al fabbisogno espresso da ciascuna regione, tenendo conto delle risorse assegnate ai sensi dell'articolo 1, comma 534, della legge 30 dicembre 2021 n. 234.
  Sono state anche vagliate possibili soluzioni per individuare un correttivo all'utilizzo del criterio dell'indice di vulnerabilità sociale e materiale, con l'obiettivo di assicurare una più equilibrata distribuzione regionale delle risorse disponibili in relazione alle istanze presentate.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Wanda Ferro.


   ZIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con la modifica della geografia giudiziaria è stata soppressa la sezione distaccata di Pontedera del Tribunale di Pisa che, per collocazione geografica, e per competenza territoriale in senso tecnico, era deputata ad occuparsi degli affari civili e penali afferenti al territorio dei comuni del comprensorio del cuoio ricompresi nella provincia di Pisa, S. Croce sull'Arno, Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d'Arno e San Miniato;

   la soppressione delle sezioni distaccate era in sintonia anche con l'Obiettivo Faro «Un'agenda europea del digitale» che già nel 2010 promuoveva l'accesso a internet da parte di tutti i cittadini europei e l'uso dei moderni servizi online quale strumento prioritario anche per una crescita sostenibile e sfruttare appieno il potenziale delle nuove tecnologie;

   anche il programma Next Generation EU, prevede come «pilastro digitale» del PNRR la razionalizzazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione e lo sviluppo dei servizi pubblici digitali;

   lo stesso PNRR nella missione 1 componente 1 (M1C1) alloca 9,2 miliardi di euro, di cui ben 2.282.561.519 di euro per il processo di transizione digitale del sistema giudiziario, 83.476.440,91 di euro da investire nella trasformazione digitale, attraverso la digitalizzazione dei fascicoli e 50.000.000,00 di euro per l'adozione di strumenti avanzati di analisi dati;

   in questo orientato verso la digitalizzazione, la regione Toscana, invece, su quella che all'interrogante appare come pressione di portatori di interesse locali, si è fatta promotrice di una proposta di legge per la modifica del decreto legislativo n. 155 del 2012 teoricamente funzionale al ripristino della funzione giudiziaria, nelle rispettive sedi, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica soppressi nel 2012, in realtà con il dichiarato scopo di istituire un tribunale ad Empoli che dovrebbe ricomprendere nel proprio ambito di competenza territoriale i comuni di S. Croce sull'Arno, Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d'Arno e San Miniato;

   ad avviso dell'interrogante, si tratta di un'iniziativa che, artatamente veicolata come iniziativa a tutela dei territori, configura invece ulteriori oneri a carico della popolazione dal momento che si prevede che il ripristino dei tribunali avvenga attraverso convenzioni con le regioni che prevedano che «le spese di adeguamento, gestione e manutenzione degli immobili e di retribuzione del personale di custodia e vigilanza delle strutture siano integralmente a carico del bilancio della regione richiedente»; ma tali convenzioni contrastano con gli obiettivi di inclusione sociale perché solo le regioni più ricche potrebbero permettersi questi costi, svantaggiando quelle meno dotate economicamente, in un settore, come quello della giustizia, in cui tutti i cittadini devono avere gli stessi diritti e le stesse pari opportunità;

   assecondare iniziative del genere contrasta con l'indirizzo digitale di provenienza EU e PNRR oltretutto con riguardo ad un centro come Empoli che, anche dal punto di vista logistico, è ampiamente servito da infrastrutture, sia stradali che ferroviarie, che consentono il raggiungimento dei tribunali attualmente dedicati e cioè Pisa e Firenze in modo rapido e nel rispetto della sostenibilità ambientale;

   inoltre, l'istituzione del tribunale a Empoli comporterebbe a cascata l'istituzione di una serie di strutture necessariamente a servizio, come uffici degli ufficiali giudiziari; procura della Repubblica con annesso ufficio della polizia giudiziaria, che implicherebbero una inevitabile moltiplicazione di costi del tutto ingiustificabili considerato che si tratta di un territorio perfettamente servito dal punto di vista delle infrastrutture logistiche –:

   quali siano le valutazioni del Ministro interrogato su quanto espresso in premessa e se non intenda farsi immediatamente promotore delle iniziative di competenza del caso per ottenere l'istituzione a Pisa di una sezione distaccata della Corte d'appello di Firenze e di una sezione distaccata della sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Firenze.
(4-00393)

  Risposta. — Come ho già riferito nelle risposte fornite a precedenti atti di sindacato ispettivo, la riforma della geografia giudiziaria è stata realizzata con la legge delega n. 148 del 2011, attuata con i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 e n. 14 del 2014.
  Con tale riforma si è deciso che la razionalizzazione della dislocazione territoriale degli uffici giudiziari di primo grado dovesse essere attuata garantendo la permanenza dei tribunali nei comuni capoluogo di provincia e assicurando la permanenza di almeno 3 tribunali, e delle relative procure della Repubblica, in ogni distretto di Corte di appello.
  È noto che ogniqualvolta si tocca una struttura giudiziaria di una città emergono critiche e contrapposizioni tra chi vuole mantenere lo
status quo e chi, invece, ritiene che sia più razionale e più efficiente per la giustizia accorpare gli uffici giudiziari.
  Personalmente, anche per la mia esperienza giudiziaria, ritengo che questa riforma non abbia dato gli esiti sperati. In gran parte sono d'accordo con l'affermazione per la quale occorre una profonda revisione della riforma che è stata fatta.
  Questo Dicastero sta affrontando la tematica della revisione della geografia giudiziaria al fine di trovare le soluzioni più idonee per tale problematica.
  Stiamo costituendo dei gruppi di lavoro per vedere come sia possibile conciliare l'efficienza della giustizia attraverso la razionalizzazione delle risorse, la digitalizzazione, l'informatizzazione e la costituzione degli uffici di prossimità e la doverosa risposta di giustizia territoriale che lo Stato deve dare, soprattutto, nelle sedi più disagiate, dove la soppressione degli uffici giudiziari ha spesso determinato dei disagi e degli svantaggi maggiori rispetto ai vantaggi che si potevano supporre.
  Passando ora alla specifica tematica che forma oggetto dell'atto di sindacato ispettivo, viene in rilievo innanzitutto il disegno di legge n. 477 di iniziativa del Consiglio regionale della Toscana, concernente «Modifiche al decreto legislativo del 7 settembre 2012 n. 155, recante nuova organizzazione dei Tribunali ordinari e degli Uffici del Pubblico Ministero a norma dell'articolo 1 comma 2 della legge del 14 settembre 2011 n. 148».
  In proposito deve essere innanzitutto ricordato che l'opera di revisione della geografia giudiziaria è stata condotta perseguendo l'obiettivo di realizzare una distribuzione sul territorio degli uffici di primo grado diretta a garantire la maggiore omogeneità possibile per numero di abitanti, estensione territoriale, carichi di lavoro e indice delle sopravvenienze, tenuto conto anche di elementi specifici quali, ad esempio, la situazione infrastrutturale o il tasso di impatto della criminalità organizzata nonché, per le grandi aree metropolitane, l'esigenza di razionalizzare il servizio giustizia anche mediante il decongestionamento dei presidi esistenti.
  Per quanto riguarda il distretto di Corte di appello di Firenze – che si caratterizzava per la presenza di 10 sedi di Tribunale (Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Montepulciano, Pisa, Pistoia, Prato e Siena) – l'intervento di razionalizzazione si è concretizzato nella soppressione del tribunale di Montepulciano (aggregato a quello di Siena) e nella soppressione e accorpamento alle rispettive sedi circondariali delle sezioni distaccate esistenti.
  In particolare la riforma ha disposto la soppressione della sezione distaccata di Pontedera (tribunale di Pisa) e delle 2 sezioni distaccate di Empoli e Pontassieve (tribunale di Firenze), che sono state accorpate ai corrispondenti tribunali di Pisa e di Firenze, in coerenza con i principi generali che hanno condotto alla integrale soppressione dell'istituto.
  Con il disegno di legge n. 477 di iniziativa del Consiglio regionale della Toscana si intenderebbe istituire il tribunale di Empoli, che dovrebbe ricomprendere nel proprio ambito di competenza territoriale 4 comuni appartenenti al circondario di Pisa (Santa Croce sull'Arno, Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d'Arno e San Miniato).
  Tuttavia l'istituzione di una nuova sede giudiziaria in Empoli, così come rilevato anche nell'atto di sindacato ispettivo, pare porsi in antitesi rispetto ai richiamati obiettivi perseguiti dalla riforma della geografia giudiziaria.
  Invero l'intervento prospettato comporterebbe la costituzione di 3 nuovi uffici, essendo necessario istituire, oltre ai nuovi uffici giudicanti e requirenti, anche il presidio Ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti presso il costituendo tribunale, con inevitabile aumento della spesa pubblica.
  Sotto altro profilo, al fine di garantire il funzionamento di tali uffici, in assenza della previsione di uno specifico incremento delle dotazioni del personale di magistratura e del personale amministrativo le risorse necessarie per la determinazione delle relative piante organiche dovrebbero essere reperite dalle vigenti dotazioni organiche nel cui ambito non si rinvengono adeguate risorse disponibili per siffatta finalità.
  Ove si procedesse in questo senso, pertanto, le risorse per l'istituzione delle piante organiche degli uffici relativi all'istituendo tribunale di Empoli dovrebbero essere reperite mediante la contestuale riduzione degli organici del personale di magistratura e del personale amministrativo attribuito agli uffici esistenti.
  Inoltre si evidenzia che l'istituzione di un nuovo circondario comporterebbe, in ossequio ai principi dell'ordinamento giudiziario, la ricostituzione quale sede statale anche dell'ufficio del giudice di pace avente sede nel medesimo circondario. Allo stato, infatti, quello di Empoli rientra tra gli uffici del giudice di pace soppressi dal decreto legislativo n. 156 del 2012 ma mantenuti operativi con oneri a carico degli enti locali richiedenti ai sensi dell'articolo 3 del decreto citato.
  Sarebbero quindi da considerare non solo gli ulteriori oneri economici a carico dello Stato ma anche le necessità di organico del personale amministrativo dell'amministrazione giudiziaria da assegnare a tale ufficio.
  Quanto, poi, alla prospettata istituzione in Pisa di una sezione distaccata della Corte di appello di Firenze deve essere rilevato che ciò comporterebbe, secondo le vigenti disposizioni ordinamentali, oltre alla previsione del presidio Ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti presso la costituenda sezione distaccata, l'istituzione di 5 nuovi uffici giudiziari.
  Nello specifico, oltre all'ufficio giudicante di secondo grado, dovrebbero essere contestualmente istituiti la procura generale della Repubblica presso la medesima corte, il tribunale per i minorenni e la relativa procura della Repubblica nonché il tribunale sorveglianza, tutto ciò in antitesi rispetto agli obiettivi sottesi alla riforma della geografia giudiziaria.
  Da ultimo, con riferimento alla affermazione per la quale con l'istituzione della sezione distaccata della Corte di appello di Firenze con sede in Pisa dovrebbe essere ivi costituita anche la sezione specializzata in materia di imprese (di primo grado e di secondo grado), va osservato che il tribunale delle imprese è una sezione specializzata introdotta con l'articolo 1 del decreto legislativo del 27 giugno 2003, n. 168 (così come novellato dall'articolo 2 comma 1 lettera
a) del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012) e istituita presso i tribunali e le corti di appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione (articolo 1 comma 1-bis) nonché presso le ulteriori sedi espressamente previste (articolo 1 comma 1).
  Ne consegue che l'istituzione di una sezione distaccata della Corte di appello con sede diversa dal capoluogo di regione non determini automaticamente la nascita della sezione specializzata in materia di Imprese, essendo all'uopo necessaria una espressa previsione normativa che modifichi il dettato dell'articolo 1 comma 1 del decreto legislativo del 27 giugno 2003, n. 168.
  

Il Ministro della giustizia: Carlo Nordio.