XIX LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 136 di lunedì 10 luglio 2023
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA
La seduta comincia alle 14.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ROBERTO TRAVERSI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 3 luglio 2023.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 64, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Discussione del disegno di legge: Delega al Governo per la riforma fiscale (A.C. 1038-A) e dell'abbinata proposta di legge: Marattin ed Enrico Costa (A.C. 75).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1038-A: “Delega al Governo per la riforma fiscale” e dell'abbinata proposta di legge n. 75.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1038-A e abbinata)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Alberto Luigi Gusmeroli.
ALBERTO LUIGI GUSMEROLI, Relatore. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, è stato sicuramente un onore e una grande responsabilità essere correlatore, insieme all'amico onorevole Fabrizio Sala, della delega per la riforma fiscale. La delega è stata frutto di un grande lavoro di squadra e, quindi, voglio ringraziare, in primo luogo, il Ministro Giancarlo Giorgetti, il Vice Ministro, qui presente, Maurizio Leo e i consiglieri del Vice Ministro Maurizio Leo, quindi il dottor Italo Volpe, vice capo di gabinetto del MEF, il dottor Edoardo Arrigo, capo della segreteria del Vice Ministro, il consigliere dottor Umberto Maiello, capo ufficio legislativo delle finanze, la consigliera dottoressa Antonella Lariccia, dell'ufficio legislativo finanze, e la dottoressa Daria Perrotta. Quindi, un ringraziamento anche a tutti gli uffici della Commissione, alla dottoressa Minervini su tutti, ma anche al presidente Osnato e a tutti i colleghi membri della Commissione finanze per il grande lavoro proficuo che è stato fatto da tutti, apportando ognuno dei miglioramenti al testo iniziale. Un testo iniziale che, grazie al lavoro del Vice Ministro Leo, è stato possibile elaborare insieme, anche prima che arrivasse in Consiglio dei Ministri. Rispetto alla delega precedente, sicuramente questo lavoro di condivisione si è svolto molto bene nel corso dei lavori della Commissione, che sono stati sicuramente proficui, e il risultato è rappresentato da una serie di emendamenti molto positivi.
Facciamo, però, anche un po' di storia. L'ultima riforma risale al 1973-1974 (quindi, parliamo di cinquant'anni fa). Allora la dichiarazione dei redditi era molto semplice: si facevano poche pagine di compilazione e i termini erano il 5 marzo per la dichiarazione IVA, il 30 aprile per la dichiarazione dei sostituti d'imposta, il 31 maggio per la dichiarazione dei redditi e il 30 giugno per la dichiarazione dei redditi delle società di capitali. Considerando che adesso si fa fatica a mantenere la scadenza del 30 novembre, ciò significa qualcosa e ci deve far riflettere. Il fatto che siamo il Paese più complicato al mondo dal punto di vista della burocrazia fiscale deriva da cinquant'anni di norme che si sono sovrapposte, che hanno continuato a chiedere dati e documenti ai cittadini e si è squilibrato il rapporto tra cittadino e fisco. Perché si è squilibrato? Si è squilibrato perché addirittura la tecnica, i software e gli elaboratori più sofisticati non hanno aiutato il cittadino ad adempiere ma, invece, hanno richiesto maggiori adempimenti. Per questo motivo, quando le dichiarazioni dei redditi si facevano a mano, queste si consegnavano il 31 maggio, mentre adesso, con i computer più sofisticati, si fa fatica a inviarle il 30 novembre.
Come sapete, la delega precedente del Governo Draghi è stata fortemente avversata dalla Lega, soprattutto in ordine al sistema duale e alla questione del catasto. Perché la Lega l'ha avversata? In primo luogo, per quello che si è detto. Il Ministro Giorgetti e il Vice Ministro Leo hanno condiviso la delega con le forze di maggioranza addirittura prima del Consiglio dei Ministri e, quindi, non è stato necessario, così come durante il Governo Draghi, che i Ministri della Lega non votassero in Consiglio dei Ministri la delega, proprio perché c'è stato un grande lavoro di compartecipazione. Questo lavoro si vede nella delega, perché quella del Governo Draghi era composta da 10 pagine molto generiche, dove qualsiasi decreto attuativo poteva prevedere tutto e il contrario di tutto, mentre questa delega è, allo stesso tempo, generale e puntuale. È puntuale per molti aspetti e lo è anche nel recepire molti progetti di legge della Lega, presentati nel corso della scorsa legislatura e ripresentati in questa legislatura: la cedolare secca sugli affitti commerciali (durante il Governo “Conte 1”, la Lega, per un anno, ha applicato la cedolare secca anche sugli affitti commerciali); il mantenimento della mini flat tax, la flat tax incrementale e alcuni altri interventi, come l'abolizione dell'IRAP per le società di persone e la sovraimposta IRAP, che è un progetto di legge che, addirittura, risale a quando il Sottosegretario Bitonci era presidente della Commissione bilancio in Senato, quindi in una legislatura precedente alla XVIII.
Questa delega ha le idee chiare, ossia vuole semplificare il fisco, che, come dicevo, è tra i più complicati al mondo, ridurre gradualmente la pressione fiscale e riequilibrare il rapporto cittadino-fisco, perché, in 50 anni, questo rapporto si è assolutamente squilibrato, tant'è vero che lo statuto del contribuente, che dovrebbe essere il cardine di un sistema fiscale, in realtà, è la legge più calpestata dal legislatore da quando è stata emanata ad oggi.
Certo, avremmo voluto che lo statuto del contribuente potesse avere rango costituzionale: lo si farà, però, intanto, chi lo dice non ha mai presentato un progetto di legge per renderlo a rango costituzionale. La Lega ha presentato un progetto di legge per renderlo a rango costituzionale già nella scorsa legislatura.
Questo è per dirvi che questa delega per la riforma fiscale ha una sua visione, una sua progettualità, ma, soprattutto, vuole contrastare l'evasione, oltre che con i controlli, semplificando il fisco e riducendo, gradualmente, la pressione fiscale, in modo da rendere, addirittura, concorrenziale il fisco rispetto all'evasione. Caso tipico è la mini flat tax: quando un giovane o una persona inizia una partita IVA, paga il 5 per cento di tassazione per i primi 5 anni, ha un abbattimento del 35 per cento dei contributi, non ha alcun interesse ad evadere il fisco. La logica è questa.
D'altra parte, in questi cinquant'anni, si sono applicati tutti i modi, tranne la semplificazione e la graduale riduzione della pressione fiscale e della tassazione, come metodo per contrastare l'evasione. Si è complicata la vita al cittadino con una tassa occulta, che è la complicazione fiscale, si sono fatti blitz nelle città dei VIP, si è fatta la legge “manette agli evasori” e il risultato è che l'evasione è ancora molto diffusa perché l'unico modo con cui non si è trattata l'evasione, oltre ai controlli, è proprio quello stabilito in questa delega per la riforma fiscale.
Perché parliamo di fisco complicato? In primo luogo, perché non lo diciamo noi, lo dicono i cittadini. Lo dice la Banca mondiale: siamo il centoventottesimo Paese al mondo in quanto a semplicità fiscale, cioè uno dei più complicati, uno dei peggiori.
Nel 2022, avevamo 1.498 scadenze fiscali. E, pensate, il mese con il maggior numero di scadenze fiscali quando è, in un Paese che dovrebbe essere semplice, stimolare la crescita, aiutare le imprese, aiutare i cittadini? Il mese con più scadenze è il mese di agosto: oltre 200 scadenze fiscali.
Allora, questa delega stabilisce: nessuna scadenza durante il mese di agosto, nessuna cartella esattoriale ad agosto e a dicembre. A chi ha difficoltà a pagare le imposte, perché le ha dichiarate, ma ha avuto difficoltà, che possono capitare a tutti nella vita – quindi, bisogna colpire l'evasione, ma bisogna aiutare chi si trova in temporanea difficoltà e le imposte le dichiara - rateizzazione lunga.
D'altra parte, la sconfitta della lotta all'evasione e l'evidenziazione che un sistema complicato non fa nient'altro che produrre problemi non solo al cittadino, all'azienda, al dipendente, al pensionato, ma anche allo Stato è dal magazzino fiscale. Che cos'è il magazzino fiscale? Sono i miliardi che lo Stato non riesce a incassare di imposte. Nel momento in cui abbiamo 1.150 miliardi di magazzino fiscale, cioè d'imposte che non siamo riusciti a incassare dal cittadino, è l'evidenziazione di una sconfitta e la sconfitta è che, più complichiamo il sistema, più danneggiamo gli onesti e aiutiamo i furbi. Ecco perché ci vuole la semplificazione fiscale.
Sinceramente, vi dico, anche da professionista della materia, che, proprio per l'approccio di questo Governo di condivisione, prima di andare in Consiglio dei ministri, avrei votato anche così com'era la delega per la riforma fiscale, perché aveva già le caratteristiche per essere la svolta e far crescere questo Paese. Questo Paese ha bisogno di crescita economica e il fisco può essere e deve essere una leva, una delle leve per far crescere il Paese. E sappiamo quanto ne abbiamo bisogno, perché, più cresce il Paese, più sosteniamo il nostro debito pubblico, anche in una situazione, come questa, in cui, purtroppo, aumentano i tassi d'interesse e, quindi, ancora di più la leva fiscale deve aiutare il cittadino.
Ebbene, l'avremmo votata così, ma, durante il lavoro della Commissione, sono stati approvati alcuni emendamenti fortemente qualificanti, tra cui uno, a cui, come sanno tutti, tenevo particolarmente, perché sono 3 anni di lotta - a mi piace ricordare la data, dal 5 agosto 2020 -, che riguarda la rateizzazione dell'acconto di novembre. Finalmente, con questa delega, una volta che sarà approvato il decreto attuativo, il 50 per cento delle tasse non si pagherà più in anticipo, ma si pagherà ad anno trascorso, rateizzato in 6 rate. Infatti, è una questione di civiltà che le tasse si paghino nel momento in cui hai guadagnato il reddito, e non in anticipo. Per cinquant'anni, però, non è andata così, per cinquant'anni- adesso è passato anche l'emendamento che riduce la ritenuta d'acconto -, tanti professionisti sono finiti a credito del fisco, perché la ritenuta d'acconto era il 20 per cento sul fatturato. Adesso, la ritenuta d'acconto verrà ridotta alla metà e, se si rateizza l'acconto di novembre, come è previsto da un emendamento, si può addirittura abolire la ritenuta d'acconto, perché, pur calcolando nello stesso modo gli acconti, anche dal punto di vista previsionale, sarà possibile pagare mensilmente e si aboliranno milioni di F24, di ritenute d'acconto tra una fattura di un professionista e una azienda.
Ecco la semplificazione: vuol dire abolire adempimenti, perché il cittadino, il contribuente, l'attività economica devono occuparsi del core business, non della burocrazia, dell'attività amministrativa e del fisco, che sono assolutamente importanti, ma non possono essere prevalenti sul core business. Attenzione a tutte le categorie presenti in questa delega fiscale, anche ai dipendenti e ai pensionati. Ho ascoltato le diatribe politiche. A volte, faccio anche fatica a seguire questi aspetti: non c'è più la flat tax incrementale sul rapporto di lavoro dipendente.
Ma la flat tax incrementale si applicava sui premi di produzione e gli straordinari e, anzi, qui si è fatto un passo in più con le tredicesime. Quindi, è proprio questa la base di applicazione, cioè gli straordinari e i premi di produzione con una cedolare secca, invece che una stratificazione di aliquote progressive, come è attualmente. Quindi, anche da questo punto di vista, vi è il rispetto del programma elettorale.
Poi, nell'ambito della condivisione - qui voglio ancora elogiare il Vice Ministro Leo, ma anche il Sottosegretario Freni, che hanno partecipato a tutte le riunioni di Commissione - è stata data una possibilità per ciò che riguarda gli incentivi alle assunzioni e agli investimenti che avevano una modalità particolare, quella di spingere in anticipo a fare investimenti in assunzioni e in macchinari, grazie alla riduzione delle imposte. Quindi, ti tasso meno oggi per farti investire nei 2 anni. Però, è stata data la possibilità - questo nell'ambito di un rapporto corretto anche con le minoranze - di dire: vogliamo mantenere anche la situazione attuale, che peraltro attuale non è, perché in questo momento Industria 4.0 non c'è, ma comunque si possono incentivare anche gli investimenti in macchinari con l'attuale sistema. Qui si è introdotto un aspetto che non è da poco - a me piace puntualizzarlo in questo caso - cioè la possibilità del super ammortamento dei costi del personale; lo chiamo in questo modo anche se non è corretto dal punto di vista contabile e fiscale. Ma perché super ammortamento? Perché, sostanzialmente, invece di far spesare il costo della retribuzione al 100 per cento, si dice: spesiamolo per una cifra superiore al 100 per cento, per esempio al 150; la proposta di legge della Lega dice al 200 per cento. Nella logica, le nuove assunzioni vengono stimolate deducendo più del costo sostenuto. Questo cosa comporta, o cosa comporterebbe, quando verrà fatto il decreto attuativo? Comporterebbe un aspetto non secondario. Innanzitutto, l'imprenditore ha un beneficio fiscale. Può valutare - sarà una valutazione individuale - se questo beneficio fiscale vuole in qualche modo retrocederlo in aumento retributivo, in parte in aumento retributivo. In secondo luogo, soprattutto, questo incentivo non incide sulle casse dell'INPS e sappiamo quanto le casse dell'INPS siano importanti per ciò che riguarda le pensioni.
Quindi c'è stata un'attenzione massima in questa delega, a 360 gradi, per tutte le categorie - giovani, dipendenti, pensionati, lavoratori autonomi - ma nell'ottica generale che il principio è semplificare il fisco, ridurre gradualmente la pressione fiscale e riequilibrare il rapporto cittadino-fisco.
L'ultimo inciso riguarda i condoni: non ci sono condoni. Dal 1973, ultima riforma, ad oggi, di condoni ce ne sono stati, dobbiamo avere l'onestà intellettuale di dire che ci sono stati. Tuttavia, con la stessa onestà intellettuale dobbiamo dire che tutte le forze dell'arco parlamentare, in questi cinquant'anni, una volta almeno hanno votato un condono. Quindi, qui non ci sono condoni. Ci sono, eventualmente, accordi preventivi che guardano al futuro per far sì che il cittadino non sia angosciato dal fisco. Sa che deve pagare le imposte, sa che ci dev'essere fedeltà fiscale, ma non può essere terrorizzato e i periodi dei controlli, come ci sono stati, in stile “legge manette agli evasori” non devono più aprirsi. Non dico che il fisco debba essere amico, è molto difficile, soprattutto in una situazione in cui abbiamo 800 leggi e 1.500 scadenze l'anno, ma almeno il fisco dovrà essere, potrà essere, con questa delega del centrodestra, un po' meno nemico. La sfida è aperta, la sfida si vince, e si vince oggi (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Fabrizio Sala.
FABRIZIO SALA , Relatore. Grazie, signor Presidente. Desidero poi lasciare agli atti una relazione, che considero tecnica, sui lavori svolti da parte di noi relatori all'interno della Commissione, e mi unisco ai ringraziamenti che ha fatto il collega Gusmeroli, per il lavoro svolto in Commissione, a tutti i funzionari, ai membri della Commissione, al presidente. Desidero ringraziare i presenti, il Vice Ministro Leo, qui in Aula ad ascoltarci, la dottoressa funzionaria della Commissione. Devo anche ringraziare Alberto Gusmeroli per avermi sostituito in un periodo in cui, per motivi familiari, non ho potuto essere presente durante i lavori della Commissione, di questo lo ringrazio, ringraziando anche tutti i colleghi che, in quel particolare momento, mi sono stati vicini.
Solo qualche considerazione dovuta. A livello politico, a livello di indirizzo abbiamo ritenuto questa riforma una riforma epocale. Può essere una riforma epocale se Parlamento e Governo lavoreranno insieme per arrivare agli obiettivi che ci siamo prefissati.
Intanto, lo strumento della delega è lo strumento adeguato, quasi giusto. Non dico mai giusto, perché di giusto, forse, c'è solo Dio, ma adeguato ai tempi, perché l'emanazione dei decreti fa parte di quel processo nella democrazia così veloce, in grado di stare al passo anche con il mutato panorama geopolitico internazionale. Nell'arco di un anno molto è cambiato: abbiamo avuto una guerra che ha fatto schizzare le materie prime alle stelle, abbiamo avuto un'inflazione dovuta a cause che non sono quelle che avevamo avuto nel passato.
Quindi, l'idea di poter intervenire in modo efficace, nel tempo, negli anni, attraverso i decreti è l'idea giusta, adeguata. La riduzione delle aliquote è da subito il principio che abbiamo portato avanti, che ci accomuna al Governo ma non solo, verso la flat tax. Anche su questo, 2 anni per l'emanazione dei decreti. In realtà, questo Governo sta impostando il lavoro molto bene, perché sta impostando un lavoro sui 5 anni. Quando ci si aspetta una nuova norma, una riforma, ci si aspetta immediatamente che cambi lo scenario, il panorama fiscale, per esempio, in questo caso.
Per cambiare il rapporto cittadino-fisco non ci vuole una settimana, né un mese, né un anno. Ci vuole un lavoro costante, con un obiettivo ben preciso. L'idea che nel corso degli anni il Governo intervenga darà il suo risultato, come d'altronde, dobbiamo dirlo, ha dato il suo risultato finora. Se le cose vanno male è colpa del Governo e se vanno bene non è merito del Governo, ma noi abbiamo avuto la crescita economica in questo Paese e, quindi, il Governo si appresta a emanare dei decreti e ci apprestiamo ad approvare una riforma fiscale in un momento positivo per il nostro Paese, se rapportato con gli altri.
Questo programma graduale, in 2 anni, è molto positivo e gli obiettivi sono 2. Il primo, per come la vediamo noi, è cambiare il rapporto fisco-cittadino, migliorare il rapporto fisco-cittadino, che non è fatto solo di tecnica ma è fatto anche di percezione, è fatto anche di piccoli accorgimenti che vanno incontro al cittadino. Il secondo consiste nel favorire la crescita economica. Noi non riteniamo che l'imposizione fiscale serva per ridistribuire la ricchezza, tutt'altro. Pensiamo che questo serva per consentire alle diverse fasce di cittadini di essere in grado di mettere in moto i loro talenti sotto il profilo economico.
Ci sono provvedimenti e principi che a noi piacciono particolarmente in questa delega, come la detassazione, quando avviene l'assunzione stabile dei giovani fino a 30 anni - l'abbiamo inserita in un emendamento - oppure quando viene considerata l'imposizione Irpef, sulle persone fisiche, in presenza di disabilità all'interno del nucleo familiare. O ancora, ricordo la riduzione dell'imposta quando vi sono investimenti, limitatamente alle norme di carattere europeo ma, fino a dove si riesce. L'impegno del Governo è ad andare in quella direzione.
Mi riferisco anche agli strumenti all'avanguardia che il Governo sta mettendo in campo e che consentiranno non solo di stimare e di accertare il gettito, ma, talvolta, anche di programmare la politica fiscale del nostro Paese.
Quindi, sono questi i due grandi obiettivi: mettere in moto la crescita e cambiare il rapporto cittadino-fisco. Si tratta di obiettivi molto importanti, che, a volte, come ho detto, vengono raggiunti sulla percezione, non solo sull'approvazione di una norma, sulla tecnicità. In questo Paese, ci sono norme che, all'atto dell'approvazione, rappresentavano un costo per lo Stato e, poi, invece, sono diventate un incasso positivo, perché la differenza la fa proprio il cittadino. Infatti, quando le nostre imprese, le nostre attività economiche sono messe nella condizione di operare senza lacci e lacciuoli, come diceva un grande politico italiano, allora, riescono a esprimere il massimo, come sta facendo forse in questi mesi questo Paese, che sta dando prova, a livello internazionale, insieme al suo Governo, di dare il massimo (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE, Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.
MAURIZIO LEO, Vice Ministro dell'Economia e delle finanze. Presidente, onorevoli colleghi, desidero rivolgere un sentito ringraziamento ai relatori, al presidente Gusmeroli e all'onorevole Sala, per il fattivo contributo che hanno offerto nel migliorare il testo della delega fiscale. Al tempo stesso, desidero ringraziare tutte le forze di questo Parlamento, maggioranza e opposizione, perché ho potuto riscontrare un clima di collaborazione nel migliorare i testi. In tutti c'è stata la consapevolezza che stiamo facendo un lavoro mirato a dare una svolta al nostro sistema fiscale, un sistema fiscale che non può essere di riferimento solo per una parte politica, ma deve essere revisionato nell'interesse di tutti, nell'interesse del Paese.
Com'è stato ricordato dal presidente Gusmeroli, la riforma fiscale, quella organica e sistematica, risale agli anni Settanta. Allora, c'erano studiosi del calibro di Bruno Visentini, di Cesare Cosciani, di Gino De Gennaro, che, attraverso le misure fiscali, indicarono un passaggio da un'economia di tipo agricolo a un'economia di tipo industriale e, quindi, il sistema fiscale assecondò questo passaggio e ne segnò anche la svolta.
Da allora, ci sono stati diversi interventi. Nel 1997 - attraverso interventi manutentivi - furono introdotti alcuni tributi, fu introdotta l'IRAP, si fecero alcune correzioni alla disciplina dell'IVA, alle riorganizzazioni aziendali; nel 2003-2004 ci furono interventi mirati all'introduzione dell'IRES, in luogo dell'IRPEG, e si fece il primo modulo di riforma; nel 2015 fu adottata tutta una serie di interventi mirati ad adeguare, in qualche modo, il nostro sistema fiscale alle regole internazionali ed europee. Tuttavia, una svolta strutturale era attesa da tutti gli operatori e dalla stessa amministrazione finanziaria.
L'obiettivo di questa riforma è proprio quello di dare un assetto organico e sistematico a questa materia. Questo intervento si muove su diverse direttrici e la prima è quella della certezza del diritto. Chi legge il testo normativo vedrà che, in moltissimi passaggi della delega, si mette in evidenza questo aspetto. Che cosa significa certezza del diritto? Dare regole certe ai contribuenti, all'amministrazione finanziaria e a tutti gli operatori. Certezza del diritto significa superare quello che noi, oggi, abbiamo sotto gli occhi, vale a dire un sistema fiscale che, per esempio, in materia d'imposte sui redditi, ha 1.200 interventi. Il testo unico delle imposte sui redditi fu varato nel 1986 e, da allora ad oggi, ci sono stati oltre 1.200 interventi. In materia di IVA, ci sono stati 500 interventi, quindi, il sistema ormai è diventato una sorta di maionese impazzita, non più governabile. È opportuno, dunque, dare certezza di regole ai contribuenti e alla stessa amministrazione finanziaria.
L'altro punto, com'è stato ricordato dai due relatori, è lo statuto del contribuente. Siamo assolutamente favorevoli a elevare a norma di rango costituzionale lo statuto del contribuente, però, siamo fermamente convinti che i tempi non siano brevi e per ovviare a quest'aspetto che cosa abbiamo fatto?
Abbiamo inserito nella legge delega un principio di carattere generale, dove diciamo che lo statuto del contribuente diventa una sorta di preleggi a tutto il sistema, a tutto l'ordinamento tributario e a questo ci si deve uniformare. Siamo assolutamente convinti che si dovrà fare l'intervento per elevare a norma di rango costituzionale lo statuto del contribuente, però, al tempo stesso, è necessario che vi sia consapevolezza che certi principi dello statuto, penso alla motivazione dell'atto di accertamento, motivazione che deve essere assistita da una prova certa che l'amministrazione deve dare, penso al principio del contraddittorio, che deve assistere tutte le fasi del procedimento tributario, penso al legittimo affidamento del contribuente. Ecco, questi principi, devono essere calati all'interno delle singole leggi d'imposta.
Un altro tema che abbiamo ritenuto di affrontare è quello di creare le condizioni affinché le imprese italiane, che si sono trasferite all'estero, possano ritornare nel territorio dello Stato o di rendere attrattivo il nostro sistema anche per imprese che risiedono all'estero, il fenomeno del cosiddetto reshoring. Ecco, anche a questo abbiamo prestato grande attenzione.
L'altro tema su cui si è voluto intervenire riguarda le semplificazioni. Un dato è allarmante: noi oggi abbiamo le istruzioni alla dichiarazione dei redditi che cubano circa mille pagine, tra la dichiarazione 730, che è quella più elementare, che oggi si compone di 140 pagine, alla dichiarazione delle persone fisiche, 350 pagine, 200 pagine per le società di persone e 300 per le società di capitali; è una situazione assolutamente abnorme. Pensiamo al mondo delle tax expenditure: abbiamo oltre 626 tax expenditure e abbiamo 222 crediti d'imposta. Questo sistema è assolutamente ingestibile.
Per questo bisogna fare interventi mirati, salvaguardando alcune deduzioni che sono fondamentali: penso alle spese sanitarie, penso agli interessi passivi sui mutui ipotecari, penso alle spese per l'istruzione, alla previdenza complementare. Queste cose vanno salvaguardate, ma ci sono tanti altri interventi che possono essere eliminati a vantaggio di una rivisitazione delle aliquote, degli scaglioni di reddito. Vogliamo andare verso un passaggio dalle quattro aliquote oggi vigenti a tre aliquote e gradualmente, poi, avvicinarci a un meccanismo flat, nel rispetto però di tutte le regole di progressività sancite dalla Carta costituzionale.
Altro tema fondamentale è la lotta all'evasione. Non abbasseremo assolutamente la guardia nel contrasto all'evasione fiscale. L'evasione fiscale va combattuta. Sappiamo, però, che abbiamo numeri assolutamente allarmanti di evasione fiscale, nonostante il lodevole sforzo fatto dalle amministrazioni finanziarie, a cui rivolgo il mio ringraziamento, sia Guardia di finanza, sia Agenzia delle entrate. I recuperi si stanno facendo, però, ancora abbiamo un tax gap allarmante che va dai 75 ai 100 miliardi. Quindi, bisogna cambiare registro nell'attività di accertamento. Peraltro, questo non lo sosteniamo noi, ma ci viene richiesto anche a livello OCSE. L'OCSE dice: cambiate metodo di accertamento, agite ex ante piuttosto che ex post. È quello che vogliamo fare, attraverso il concordato preventivo biennale, attraverso la cooperative compliance per le imprese più strutturate, quelle di maggiori dimensioni, senza dimenticare che, sul versante della cooperative compliance, dobbiamo agire anche celermente, atteso che, entro fine anno, si dovrà recepire la cosiddetta direttiva sulla global minimum tax, che pone le condizioni perché non vi sia una tassazione, nei diversi Stati dove operano le multinazionali, inferiore al 15 per cento. Questa è la strada che è stata tracciata a livello OCSE, quella cui noi dobbiamo uniformarci.
Quindi: concordato preventivo biennale e cooperative compliance. Oggi, tutto questo si può fare, perché abbiamo tanti strumenti a disposizione. Il fisco può agire quasi millimetricamente nei confronti del contribuente e dire qual è il suo reddito. Abbiamo l'interoperabilità delle banche dati, la fatturazione elettronica, i corrispettivi telematici, le precompilate, l'intelligenza artificiale, l'analisi predittiva. Oggi, le nostre strutture tecnologiche, Sogei e Sose, possono assistere l'amministrazione finanziaria nel porre in essere tutte le azioni di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale. Il tema della semplificazione e della lotta all'evasione sono fondamentali per combattere questi fenomeni che sono preoccupanti per il nostro sistema economico.
A questo dobbiamo aggiungere il sistema delle imposte. Nella seconda parte della delega si interviene su tutte le imposte, a partire dall'Irpef e dall'Ires fino all'IVA, all'IRAP e ai tributi minori - penso al bollo, al registro delle successioni, alle ipotecarie e catastali - senza tralasciare le imposte riferibili al settore delle dogane, quali i giochi, le accise e al sistema doganale in genere. Anche su queste si fa un intervento di razionalizzazione. Poco fa, il presidente Gusmeroli ha ricordato un aspetto per me fondamentale: noi non abbiamo uno strabismo negli interventi fiscali e non vogliamo favorire quel comparto piuttosto che un altro, per noi vanno posti sullo stesso piano. Questo è l'obiettivo dell'equità orizzontale, che si tratti del mondo del lavoro dipendente o del lavoro autonomo o dell'impresa. Tanto è vero che per il lavoro dipendente siamo andati a inserire una serie di misure, per esempio, rendendo deducibili analiticamente certi costi - penso alle spese per la mobilità o la formazione - e pensando a elevare il tetto dei fringe benefits, come abbiamo fatto in diversi interventi. Questo Governo ha elevato il tetto da 258 a 3.000 euro per le erogazioni liberali fatte a favore dei dipendenti, ferma restando la integrale deducibilità per l'impresa. C'è poi la flat tax incrementale per i dipendenti. È stato ricordato cos'è la flat tax incrementale: è quel di più rispetto alle 12 mensilità che il dipendente percepisce. Si sostanzia in che cosa? Per esempio, nella tredicesima mensilità. Una tredicesima mensilità data al lavoratore dipendente, in particolar modo a quanti hanno un reddito ridotto, significa dare delle risorse aggiuntive, nel mese di dicembre, che verranno sicuramente indirizzate verso i consumi e, quindi, genereranno una compensazione sul versante dei carichi fiscali. Questo è il nostro obiettivo. Lo stesso vale per gli straordinari che eccedono una certa soglia e i premi di produttività. Al riguardo ringrazio le forze dell'opposizione, perché anche loro hanno spinto affinché i premi di produttività formassero oggetto di tassazione flat, di detassazione al 15 per cento. Quindi, nel mondo del lavoro dipendente vogliamo assolutamente fare in modo che queste misure, ovviamente entro certi limiti, siano favorite. Abbiamo anche rivisto i redditi finanziari, perché oggi abbiamo un meccanismo squilibrato tra redditi da capitale e redditi diversi di natura finanziaria. Abbiamo rivisto il mondo delle imprese, perché oggi abbiamo meccanismi differenziati di tassazione delle imprese per cui le società di capitali pagano in un modo, le società di persone hanno la trasparenza fiscale, la persona fisica-imprenditore ha il meccanismo della progressività Irpef. Abbiamo detto che tutti possono accedere a un meccanismo di tassazione proporzionale, nei limiti in cui l'utile rimane nell'ambito dell'impresa o in assenza di prelievo da parte dell'imprenditore individuale. Se ci muoviamo in questa direzione, facciamo in modo di non creare asimmetrie tra una tipologia di impresa e un altra e di non creare arbitraggi. Questo è quanto abbiamo voluto fare.
Chiudo su un altro aspetto fondamentale, che ci sta molto a cuore, compreso nella delega: il sistema sanzionatorio. Oggi noi abbiamo un sistema sanzionatorio che è assolutamente fuori da ogni logica rispetto ad altri meccanismi adottati sia in sede europea sia in sede internazionale. Basti pensare che, in materia di IVA, abbiamo sanzioni che oscillano dal 120 al 240 per cento; in Europa ci si attesta sul 60 per cento. Quindi, il sistema sanzionatorio va rivisto e non lo facciamo perché vogliamo in qualche modo favorire gli evasori. Lo chiede anche la Corte costituzionale, la quale, in un recente provvedimento del 2023, ha detto che occorre allineare il meccanismo delle nostre sanzioni amministrative ai meccanismi europei e ha messo in luce il principio della proporzionalità. Le sanzioni devono essere proporzionali e non possono essere squilibrate rispetto al carico tributario che viene ad essere recuperato. A livello europeo si dice che ci dev'essere il cosiddetto ne bis in idem, vale a dire che, per una violazione, ci deve essere una sola sanzione, amministrativa o penale. Noi, purtroppo, in Italia già abbiamo il quinquies in idem: la sanzione amministrativa, la sanzione penale, la sanzione accessoria, la confisca per sproporzione e il decreto legislativo n. 231 del 2001. Quindi, è assolutamente un sistema da rivedere. Se intervenissimo su questo versante, faremmo in modo da dare una dimostrazione che l'Italia vuole allinearsi ai principali partner europei e ai Paesi più avanzati a livello mondiale.
In conclusione, le misure che abbiamo introdotto in questa delega sicuramente guardano in avanti e sicuramente danno l'idea che il sistema deve cambiare. Lo stiamo facendo, come ho già detto e ripeto, non nell'interesse di una parte, ma nell'interesse del sistema Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier e Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stefanazzi. Ne ha facoltà.
CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Colleghe e colleghi, Vice Ministro Leo, il provvedimento che arriva oggi in Aula, nonostante il lavoro svolto in Commissione - che riconosco, come dirò più avanti - non sfugge o temo non potesse sfuggire alla retorica degli annunci e dei manifesti governativi e rappresenta una sorta di lenzuolata di promesse che, come temo sappiate benissimo, non vedranno mai la luce del sole. Probabilmente, c'è anche da augurarselo, perché il costo e il conto di queste misure sarebbe salatissimo. Siccome le parole sono importanti, il clima in cui è maturato questo lavoro sulla delega nasce da una frase infelice, per usare un eufemismo, del Presidente Meloni, rispetto al fatto che le tasse siano “pizzo di Stato”. È una frase devastante sotto molti punti di vista ma che, purtroppo, nasconde un concetto deleterio che informa, temo, gran parte della delega fiscale. Le tasse creano difficoltà spesso insormontabili per famiglie, imprese oneste e per i professionisti che assistono le imprese. Conseguentemente, elusione ed evasione fiscale sono elevati al rango di strumenti di difesa, in un Paese che anche senza i consigli premurosi della nostra Premier detiene già un pessimo record in Europa. Quindi, se si vuole fare una riforma fiscale e si parte dall'assunto che le tasse siano un pizzo di Stato, è chiaro che i contenuti devono essere necessariamente coerenti con questa impostazione. Le tasse, quindi, cessano di essere il contributo di tutti, di ciascuno secondo le proprie possibilità, al finanziamento dei servizi pubblici ma sono qualcosa da cui liberarsi e soprattutto da cui liberare alcune categorie di persone e di imprese. Una riforma che dichiara, ad esempio, di perseguire l'equità orizzontale sembra invece fare di tutto per proteggere l'impostazione corporativa di una parte del nostro sistema e consolidare alcune rendite di posizione. Peraltro, dispiace dirlo, nonostante l'impegno, in particolare, del Vice Ministro Leo, senza nemmeno particolari novità rispetto ai mantra fiscali di altri Governi di centrodestra, la delega è clamorosamente tremontiana o berlusconiana nell'impostazione.
Il primo grande errore del provvedimento è che non riesce ad affrontare i temi e i problemi atavici del fisco italiano. Innanzitutto, come ha detto il Vice Ministro, vi è il tema delle spese fiscali, che hanno raggiunto ormai l'astronomica cifra di 626 esenzioni, detrazioni o deduzioni, una selva che costa allo Stato, mal contati, circa 125 miliardi di euro, in termini di minori entrate, di cui peraltro conosciamo ben poco, vista la mancanza di dati quantitativi per oltre il 70 per cento di tali spese fiscali. Basti sapere che solo in 19 casi su 626 abbiamo a che fare con sconti che superano il miliardo di euro, riportati quasi 60 milioni di volte nelle dichiarazioni dei redditi degli italiani, con una sovrapponibilità che genera un numero esponenziale nella riproduzione dei benefici indicati, mentre quasi nel 50 per cento si tratta di spese fiscali che coinvolgono al massimo 30.000 soggetti, dei mini bonus. Sareste potuti partire da lì per semplificare il sistema e renderlo razionale e ridurre le minore entrate. Invece, la dichiarata volontà di fare una riforma fiscale epocale si è ridotta a un'unica sostanziale barricata per mantenere di fatto immutato lo stato delle cose. In secondo luogo, vi è l'erosione della base imponibile dell'Irpef, che oggi si traduce in un gigantesco problema di equità.
Nel corso degli anni, si sono stratificate piccole e grandi fughe di intere categorie di contribuenti dall'imposta progressiva sui redditi delle persone fisiche: il risultato è che il nostro fisco ha, de facto, sposato un modello di progressività selettiva e oggi l'Irpef è una tassa che viene pagata per l'85 per cento dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, mi viene da dire due categorie che, nello schema neo-corporativistico del Governo Meloni non sono proprio così centrali.
Proprio per riprendere il tema dell'equità orizzontale se noi oggi confrontassimo le diverse categorie di contribuenti, a parità di reddito, supponiamo 50.000 euro - così, a titolo di esempio -, scopriremmo che su un lavoratore dipendente graverebbe un onere contributivo 1,6 volte più alto di quello di un percettore di dividendi, di 2 volte superiore rispetto a chi dà in fitto i propri immobili con la cedolare secca e di 2,8 volte maggiore di quello di un professionista in regime forfetario.
Devo confessare che, quando ho letto alcune dichiarazioni roboanti circa la necessità di tornare a una effettiva equità orizzontale, vi ho prestato interesse e devo dire che ho anche sperato, però mi dovreste spiegare - e dovreste spiegarlo soprattutto agli italiani - perché poi vi siete guardati bene dall'eliminare quei fattori che rendono iniquo il nostro sistema, perché non avete nemmeno sfiorato la moltitudine dei regimi fiscali speciali per certi cespiti o categorie di contribuenti; ne avete creati, anzi, di nuovi, come l'estensione della cedolare secca agli immobili strumentali, di cui però parlerò successivamente.
Sempre in tema di Irpef, poi rincorrere un obiettivo di cui davvero non sappiamo spiegarci né il senso, né la vantaggiosità; ridurre gli scaglioni per arrivare a una flat tax per tutti i contribuenti, è questa l'idea di equità orizzontale che intendevate portare avanti? La questione della flat tax è avversata da tutti non perché ci sia un pregiudizio ideologico, ma perché lo dicono i fatti, oltre evidentemente anche i nostri principi costituzionali. La Banca d'Italia, tra gli altri, ha ripetutamente espresso un principio chiaro: sostituire le attuali aliquote con una tassa piatta vorrebbe dire reprimere drasticamente la progressività del nostro sistema fiscale; meno progressività vuol dire più diseguaglianza e più iniquità e, soprattutto, vuol dire favorire ancora una volta i redditi elevati, e farlo a discapito dei servizi pubblici da finanziare a beneficio di tutti. Fortunatamente, il buonsenso vi ha fatto fare marcia indietro sulla proposta della flat tax incrementale, l'ennesimo tentativo di allontanarci da un sistema equo. L'equità del sistema fiscale si poteva - e si può - raggiungere altrimenti, guardando, per esempio, alla nostra Costituzione: solidarietà, uguaglianza, rispetto delle capacità contributiva e progressiva sono principi che troviamo realizzati nelle proposte che ci siamo permessi di fare. Tra queste, una molto semplice, ma anche molto sostanziale, era quella del modello duale che elimini la miriade di regimi speciali e sostitutivi, per far posto, da una parte, a un sistema ad aliquota continua per i redditi di lavoro e, dall'altra, a un sistema con un'aliquota proporzionale non inferiore all'ordinaria Ires per i debiti derivanti dall'impiego di capitale, semplice e con l'impegno di utilizzare ogni centesimo derivante dalla revisione delle spese fiscali per abbattere il carico fiscale dei soggetti sottoposti ad Irpef, sistema, come dicevo, semplice, equo crediamo, che costituirebbe un presupposto utilissimo per ridurre le tasse e mantenere in vita la progressività dell'imposta, ma evidentemente non adatto a un Governo che sulla progressività non intende discutere.
Poco fa, abbiamo parlato di uno dei più utilizzati strumenti di regimi speciali, la cedolare secca. Credo si sia persa una ottima occasione per dare al regime esistente un principio di maggiore equità. Avevamo proposto, come Partito Democratico, un emendamento per far sì che anche gli affittuari potessero beneficiare delle agevolazioni che oggi premiano esclusivamente i proprietari; non si è voluta aprire questa discussione e ne prendiamo atto. Oltre a ciò, lascia molto perplessi la norma che vuole estendere la cedolare secca anche agli immobili strumentali, un principio che non ci trova d'accordo e, come abbiamo spiegato più volte in Commissione, che temiamo possa rappresentare un'illusione, un'altra promessa che si scontrerà poi con la dura realtà dei costi, perché, invece di eliminare i regimi speciali, se ne introduce uno nuovo e, per giunta, a favore di chi ha una rendita da difendere. Noi facevamo un'altra proposta, invece, che va nella direzione opposta: introdurre un limite di reddito di 120.000 euro già per la cedolare secca sugli immobili abitativi. Se proprio si vuole sperimentare la via dell'allargamento agli immobili strumentali, avevamo chiesto che l'agevolazione fosse riservata ai soli contratti definiti sulla base di accordi fra le organizzazioni dei proprietari di immobili e le organizzazioni delle imprese; una sorta di canone concordato anche per questo tipo di immobili. E anche su questo, purtroppo, abbiamo trovato chiusura.
Sul versante Ires, abbiamo apprezzato il parziale passo avanti che si è fatto in Commissione. L'impianto originario era, infatti, incredibilmente capotico e assolutamente inadatto al sistema imprenditoriale italiano, costituito, per la stragrande maggioranza, com'è noto, da piccole e medie imprese. La vostra proposta tagliava fuori moltissime imprese dal regime agevolato, favorendo molto più imprese grandi, mature, strutturate e in salute rispetto a quelle piccole o appena nate, che sono, invece, quelle - come è noto - che hanno bisogno di maggior sostegno. Onestamente, lo dico veramente con preoccupazione, avere immaginato un sistema nel quale per accedere allo sconto Ires occorreva non solo reinvestire gli utili prodotti, ma addirittura farlo in un regime di investimenti che poi sarebbero stati valutati al biennio successivo, mi è sembrata una fuga dalla realtà. Non so se siete consapevoli di cosa significhi, oggi, per le imprese di una parte di questo Paese produrre utili o non so se siete consapevoli di cosa voglia dire per le imprese di una parte di questo Paese accedere al credito bancario. Di grazia, come avrebbero dovuto finanziare gli investimenti necessari per ottenere l'agevolazione Ires tante PMI italiane? Mantenere aperta un'altra via per tutte quelle imprese che non trarrebbero vantaggio dalla mini-Ires è un fatto di per sé positivo, anche per non dilapidare tutto quello che di buono - come è stato riconosciuto, peraltro, nella discussione in Commissione - è stato fatto con misure come l'ACE, gli incentivi fiscali per l'investimento e la Transizione 4.0.
Siamo anche soddisfatti di aver visti accettati alcuni suggerimenti che abbiamo proposto, soprattutto perché, come detto, a trarne beneficio saranno le imprese più piccole o quelle che, per loro caratteristica - come, ad esempio, le startup - tendono a registrare perdite rilevanti nei primi anni. Aver introdotto il riferimento al potenziamento dell'ammortamento e il sostegno agli investimenti e alle assunzioni è senz'altro un progresso. Ciò non toglie che sulla mini-Ires permangono forti dubbi di applicazione, per esempio, e questo è stato oggetto di ampia discussione in Commissione, nella misura in cui non c'è un perimetro minimamente definito dei cosiddetti investimenti qualificati; non sappiamo quali siano i criteri che possono qualificare l'investimento. Ciò che, purtroppo, è certo è che non ci sono cenni alla sostenibilità ambientale, alla transizione ecologica e a quella digitale, nonostante sia stato chiesto più volte. Non ci resta, evidentemente, che sperare nei decreti legislativi.
Sulle assunzioni, invece, non possiamo nascondere una profonda delusione, considerato che, ancora una volta, si sceglie di non privilegiare l'occupazione di qualità, né di stimolare le assunzioni di giovani e donne. Abbiamo, come sistema Paese, perso un'occasione, quella di offrire uno stimolo e un incentivo alla formazione e colpire al cuore il problema delle fasce sociali dove si annida, impietosa, la maggiore disoccupazione.
Sempre a proposito di imprese, mi permetto di fare un appunto. Vice Ministro, lei ha parlato del reshoring, ma credo si sarebbe potuto fare di più, soprattutto in una fase storica in cui i segnali che ci arrivano, in particolare da alcuni settori produttivi e, tra tutti, il settore tessile, abbigliamento, calzaturiero, che sta assistendo a un enorme attività di ritorno delle imprese, soprattutto dal Sud-Est asiatico, indicano che mettere in piedi una batteria di strumenti fiscali avrebbe probabilmente consentito al nostro Paese di essere più attrattivo. Il nostro Paese, evidentemente, non per colpa solo di questo Governo, ha un gap di attrattività e competitività da recuperare ed è chiaro che uno specifico provvedimento per favorire l'insediamento in Italia di queste attività ci avrebbe spianato la strada. Con un emendamento che ho personalmente firmato si chiedeva una serie di misure per imprese rimpatriate; dalla maggiorazione del valore di mercato dell'attività, alla riduzione dell'aliquota Ires, a uno specifico intervento di decontribuzione dei lavoratori neo-assunti, ma anche qui, purtroppo, non c'è stato nulla da fare.
Vorrei ricordare un ottimo punto segnato dal Partito Democratico, grazie alla proposta emendativa del collega De Luca; grazie alla sua proposta, infatti, il Mezzogiorno acquisisce una cittadinanza che, in questa deroga, a onor del vero, non c'era. Sviluppo economico, riduzione dei divari e agevolazioni per le imprese nelle ZES diventano princìpi da attuare con l'esercizio di questa delega.
Vigileremo e spereremo, anche perché, purtroppo, altro non possiamo fare, così come continueremo, Vice Ministro, a piantonare il malsano progetto di autonomia differenziata, che ha avuto un suo deleterio ascendente anche su questo disegno di legge delega.
Mi riferisco alla mancanza, fra i principi dell'articolo 2, della garanzia che venga assicurata l'autonomia impositiva degli enti locali: un tema sempre cruciale, ma che nel bel mezzo del disegno di legge Calderoli avrebbe dato una certa rassicurazione a regioni e comuni e, indirettamente, ai cittadini. Peraltro, le rappresentanze degli enti locali avevano chiesto in maniera chiara l'inserimento del principio che scongiurasse il pericolo di dover definanziare servizi fondamentali sui territori. Vi siete opposti e questo non può che alimentare i nostri sospetti sui piani futuri di questo Governo. Due Italie: chi ce la fa, bene e ha la spinta dello Stato; chi non ce la fa si arrangia perché lo Stato se ne è già lavato le mani.
Infine, c'è una questione che proprio non vi sta a cuore, ossia quella dell'evasione fiscale. Nel nostro Paese l'evasione - non c'è bisogno che lo dica - sfiora annualmente circa 100 miliardi di euro, pur registrando, com'è noto, alcuni progressi negli ultimi tempi. Abbiamo una propensione all'evasione dell'Irpef, da parte del lavoro autonomo e d'impresa, vicina al 70 per cento; l'IVA è più evasa solo in 4 Paesi dell'area UE. Eppure, oltre ai pessimi segnali che abbiamo richiamato, anche in questo provvedimento non vediamo altro che una postura potenzialmente pericolosa e accomodante verso gli evasori. Mi chiedo come possa essere venuto in mente, in questa fase storica, in un Paese come il nostro, di introdurre il concordato preventivo. Una bella visione di stampo liberale che - com'è clamorosamente chiaro e per come l'avete scritta - rischia di legalizzare l'evasione di ricavi e compensi. Avete compiuto - mi dispiace dirlo - un piccolo miracolo degno di un David Copperfield Ministro del tesoro: dal momento che non ci va e non possiamo combattere l'evasione, raggiungiamo il risultato quanto meno sul piano lessicale e smettiamo di chiamarla “evasione”.
D'altra parte, in questo testo sono presenti molte zone d'ombra che, peraltro, non abbiamo avuto modo di analizzare in Commissione. Non che il presidente Osnato, il Sottosegretario Freni o il Vice Ministro Leo ce lo abbiano impedito, assolutamente; anzi, la presidenza di Commissione e il Governo hanno consentito una discussione ampia e plurale che, peraltro, mi permetto di dire, è un'assoluta novità nei rapporti fra maggioranza e opposizione in questa legislatura. Tuttavia, con riferimento, per esempio, agli articoli riguardanti l'accertamento, le sanzioni, la giustizia tributaria, il contenzioso così come la riscossione, la discussione è stata semplicemente assente, peraltro su punti che, per molti versi, a partire dalla prospettiva di nuovi condoni e definizioni agevolate, riteniamo assolutamente intollerabili.
Infine, come spesso è avvenuto anche nel recente passato, la destra sposta la polvere sotto il tappeto quando si tratta di fare riforme vere. Nemmeno in questo provvedimento vediamo riferimenti alla necessaria riforma del catasto che adegui i valori di mercato degli immobili. Un fatto che oggi è foriero di grandi disparità e disuguaglianze fra gli italiani e di cui, ça va sans dire, si avvantaggia chi possiede molto più degli altri. E questo, Vice Ministro, nonostante avessimo ripetutamente sostenuto in Commissione che la riforma del catasto non deve di per sé essere foriera di aumenti di tasse; solo che è intollerabile non solo il fatto che migliaia di immobili sfuggano a un corretto censimento catastale, ma che sfuggano sotto il profilo dell'adeguatezza e della giustezza della valutazione, generando una sostanziale iniquità su un bene che, in un sistema come quello nazionale, è centrale.
Insomma, signor Presidente, siamo di fronte a un documento che ha un forte valore simbolico per il centrodestra. Peccato, mi viene da dire, che al momento abbia solo quello, perché questo libro dei sogni del giovane liberista non fa i conti con un principio insormontabile: quello delle risorse e delle coperture finanziarie. Infatti, per pochissime delle misure di sistema proposte e inserite in queste deleghe ci sono i soldi per la copertura. O, meglio, un modo c'è e in alcuni tratti del vostro programma di governo è persino tratteggiato: affrontare, diminuire, distruggere in maniera irreparabile il welfare del nostro Paese, come, infatti, avete già iniziato a fare con la sanità - che a breve sconterà quasi un punto percentuale di PIL in meno rispetto agli stanziamenti garantiti fino allo scorso anno - oppure come è stato fatto con il reddito di cittadinanza o con la pensione di cittadinanza che sono stati cancellati in quattro e quattr'otto per consentire al Governo di disporre di risorse.
Insomma, Presidente, a un Governo che taglia e toglie alla sanità per favorire l'evasione fiscale e a una riforma fiscale piuttosto caotica e difficilmente applicabile, continueremo ad essere fieramente e orgogliosamente alternativi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bagnai. Ne ha facoltà.
ALBERTO BAGNAI (LEGA). Grazie, signor Presidente. Inizio anch'io il mio intervento associandomi ai ringraziamenti che sono stati espressi per tutti quelli che hanno partecipato al cantiere di questa riforma fiscale. E vorrei valorizzare, fra le altre, una delle osservazioni di chi mi ha immediatamente preceduto, sottolineando con forza un particolare ringraziamento al presidente Osnato che credo debba essere da tutti noi ringraziato per il modo con cui ha saputo - e lo dico con cognizione di causa, da persona che, in una precedente legislatura, ha rivestito quel ruolo non semplice - garantire un dibattito civile, un dibattito sui contenuti. Questo è il dibattito che si è svolto in Parlamento.
Visto che siamo in una discussione che necessariamente ha un carattere politico e che, per il fatto di svolgersi in Aula, in qualche modo, si apre al mondo esterno, a differenza di quella in Commissione, devo dire che il dibattito sulla riforma che abbiamo visto svolgersi sia in questa che nella precedente legislatura non ha avuto le stesse caratteristiche di attinenza agli effettivi temi e di adeguatezza, diciamo così, dottrinale che abbiamo, viceversa, riscontrato qui in Aula. In parte questo deriva dal fatto che, probabilmente, è complesso spiegare ai cittadini in un dibattito pubblico il senso dell'operazione di delega. Quando, ad esempio, viene detto che in questa riforma alcune cose non ci sono, bisogna focalizzare il fatto che il meccanismo della delega impone al Parlamento di stabilire dei principi, di stabilire dei binari, degli assi tematici all'interno dei quali deve svolgersi l'attività legislativa vera e propria, che viene affidata al Governo. E viene affidata al Governo per un motivo ben preciso, che è particolarmente evidente in questo caso e che è stato sottolineato da tutti quelli che mi hanno preceduto, ossia perché la materia fiscale è diventata intricata a tal punto che solo gli uffici dei Ministeri e delle agenzie, che sono a diretto contatto con essa ogni giorno, possono intervenire per districare alcune matasse. E, rispetto a quest'azione tecnica, che solo gli organi legislativi dell'Esecutivo possono portare a termine con successo, il Parlamento deve stabilire degli indirizzi.
Su questo punto vorrei fare una sottolineatura di carattere politico-aritmetica più esattamente. In Italia, i lavoratori autonomi sono circa 5 milioni e i lavoratori dipendenti sono quasi il quadruplo, ossia oltre 18 milioni. Se un Governo di qualsiasi orientamento proponesse una riforma fiscale o di altro tipo che fosse distorta a danno dei lavoratori dipendenti, non sarebbe un Governo molto razionale; sarebbe un Governo suicida perché si priverebbe del sostegno della maggior parte dei lavoratori e della maggior parte degli elettori.
La metto anche in positivo, di converso: questa maggioranza si è formata ad esito di un processo elettorale nella cui campagna elettorale è stato promesso che si sarebbe intervenuto sul sistema fiscale, sostanzialmente secondo le linee che poi questa riforma incorpora. E quello che possiamo dire - e non è scontato - è che, 261 giorni dopo il giuramento del Governo, siamo in Aula a mantenere una promessa fatta agli elettori che ci hanno votato maggioritariamente, sapendo quello che volevamo fare.
Quindi, qualsiasi valutazione, assolutamente lecita, assolutamente apprezzabile e di cui va tenuto conto, su eventuali distorsioni della riforma proposta nel senso di una potenziale iniquità va secondo me valutata alla luce del fatto che quello che questo ragionamento sussume è che ci sia o una irrazionalità del legislatore o una irrazionalità dell'elettore. Invece, può anche darsi che le cose non siano così come vengono rappresentate e che l'equità venga - come è stato sottolineato nelle parole del Vice Ministro - tutelata da questa riforma.
Uno dei temi che ha interessato il dibattito pubblico è stata, a un certo punto e in chiave polemica, l'idea che questa riforma fosse nient'altro che una riproposizione dello schema di legge delega che era stato portato in Consiglio dei Ministri - da cui, voglio ricordarlo, erano usciti i Ministri della Lega - dal Governo precedente. Chiunque abbia avuto modo di maneggiare semplicemente i fascicoli legislativi sa che questo non è vero, perché questa riforma è dettagliata e articolata mentre la delega precedente era sostanzialmente una delega in bianco, una delega che, in quanto estremamente generica, avrebbe posto, nella successiva fase di parere parlamentare sul lavoro del Governo, una serie sterminata di problemi per capire e valutare se e quanto il Governo si fosse adeguato ai criteri direttivi dati dal Parlamento. Quindi, è stato fatto un ottimo lavoro e riconosciamo al Ministro Giorgetti e al Vice Ministro Leo, che è qui presente, la densità di questo lavoro e anche lo spirito di condivisione che l'ha animato. Mi aggiungo anch'io a questi ringraziamenti.
C'è, poi, il grande tema della flat tax. Si è detto che questa riforma non realizza la flat tax ma, come ho detto prima, questa riforma non deve realizzare la flat tax quanto, piuttosto, stabilire dei criteri. All'articolo 5, comma 1, lettera a), punto 1), si ribadisce la prospettiva della transizione verso un'aliquota impositiva unica per il reddito delle persone fisiche. Quindi, il tema che la riforma non realizza la flat tax è mal posto se si riflette su che cosa è una legge delega e se si legge questa legge delega.
Rimane aperta la valutazione politica: la flat tax andrebbe realizzata o no? È una cosa buona o è una cosa cattiva? Abbiamo già visto che questo Parlamento è abbastanza diviso, secondo una faglia maggioranza-opposizione, fra la maggioranza, che tendenzialmente la considera una cosa buona, e l'opposizione, che tendenzialmente la considera una cosa cattiva, perché, si dice, verrebbe leso il principio di progressività. La proporzionalità arriva dopo e ne parleremo. Anche questo argomento, che ha una sua dignità e che merita di essere approfondito, tuttavia spesso nel dibattito esterno è stato proposto e svolto in un modo molto superficiale. Innanzitutto, il dettato costituzionale parla di un sistema tributario improntato a criteri di progressività, altrimenti, come ci siamo detti tante volte, l'IVA o la stessa Ires sarebbero incostituzionali, perché sono imposte proporzionali.
Poi, c'è un altro dettaglio che in questo dibattito, che è a metà fra quello tecnico e approfondito della Commissione e quello superficiale e poco approfondito dei social media, vorrei portare all'attenzione, non tanto di tutti noi, che dovremmo saperlo, quanto di chi, in un ipotetico e distante futuro, dovesse appassionarsi agli atti parlamentari, per una sua particolare perversione. Il punto, molto semplice, è che la progressività dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è assicurata dal sistema delle deduzioni e delle detrazioni. Qui si entra in un simpatico paradosso che è il seguente. Proprio perché questo sistema è incredibilmente complesso e questo Governo sta prendendo impegni precisi nella direzione della semplificazione, è particolarmente complesso e anche impossibile, secondo me, anche senza entrare in una casistica particolare, fare delle affermazioni di carattere generale su quanto sia progressiva l'imposta sulle persone fisiche, perché l'imposta dipende da una quantità ormai sterminata di circostanze accessorie che sono date da quante spese detraibili o deducibili il soggetto ha sostenuto, eccetera. Quindi, è un po' complessa e un po' scivolosa questa linea di attacco che lega sostanzialmente - idealmente ma in modo, va detto, un po' superficiale - la progressività del sistema tributario alla sola progressività delle aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.
Mi piace sottolineare che nella relazione - intanto ringrazio entrambi i relatori, i colleghi Gusmeroli e Sala, anche perché mi evitano di entrare in tutti i tecnicismi, avendoli loro esposti con grande dovizia di dettagli - ci sono alcuni rilievi che vorrei fare perché credo che possano servire a futura memoria, non solo e non tanto per questa discussione e per questo provvedimento ma in generale.
Il collega Gusmeroli ha evidenziato un tema che deve sollecitare l'attenzione di tutti noi, cioè alcuni effetti controproducenti della digitalizzazione. Io sono stato molto colpito dalle sue parole, cioè che quando la dichiarazione dei redditi si faceva a mano si riusciva a consegnarla entro maggio. Dunque, l'informatizzazione non ci ha aiutato e io credo che ci sia un problema ben preciso sul perché l'informatizzazione in alcuni casi non ci aiuta. Ciò perché l'informatizzazione è stata vissuta - ma purtroppo non lo è e spesso è stata impostata in altro modo ed è stata impostata male - come un mezzo particolarmente efficace e al contempo particolarmente dissimulato per scaricare sull'utente finale una quantità di adempimenti che, in realtà, una volta erano in capo alle amministrazioni. In più, a danno dell'utente finale, oltre al tempo di vita che gli viene sottratto, c'è la beffa che se qualcosa non va la colpa è sua. Questo io l'ho sperimentato anche da felice appartenente alla famiglia della pubblica amministrazione, da docente universitario, quando l'arrivo di una serie di adempimenti elettronici - il registro elettronico - mi ha trasformato da docente puro in una specie di ibrido fra un docente e un ricercatore e un impiegato amministrativo. Da lì cominciai a capire che la digitalizzazione aveva dei pro e contro, di cui bisogna essere consapevoli. Per fare che cosa, in particolare, bisogna esserne consapevoli? Per andare a incidere, con la semplificazione, in modo corretto e opportuno, perché la semplificazione ha, appunto, un lato virtuoso che, però, non è solo quello che è stato definito a contrario, dicendo che la complicazione danneggia gli onesti e aiuta i furbi. La complicazione ha anche un altro carattere che è particolarmente ingiusto e, direi, comporta un tipo di ingiustizia che dovrebbe promuovere una riflessione soprattutto nelle forze più progressiste di questo emiciclo. La complicazione, infatti, danneggia i piccoli e avvantaggia i grandi, avvantaggia cioè le grandi aziende che hanno risorse di personale, tecniche e intellettuali da dedicare alla gestione di un sistema complesso, ma l'Italia è largamente un Paese di piccole e medie imprese. Vi dirò un segreto, quello che è un segreto qui in Italia ma che, in realtà, in Europa non è tale: in realtà, tutti i sistemi industriali europei si basano fortemente e pesantemente sui piccoli e sopravvivono grazie alla loro flessibilità. Dunque, la complicazione ci danneggia e ci danneggia molto. È uno degli aspetti del sistema fiscale che più ci danneggia anche nei rapporti internazionali.
Vorrei aggiungere altre due rapide osservazioni. Intanto, vorrei valorizzare l'osservazione fatta dal Vice Ministro sulla necessità che esisteva di armonizzare i regimi fiscali relativi all'attività di impresa per evitare arbitraggi e per evitare effetti distorsivi. Questa è un'intenzione che va assolutamente apprezzata, così come sono certo saranno apprezzabili i risultati.
Anche la riforma del sistema sanzionatorio non è un dettaglio banale e molto ci sarebbe anche da dire addentrandosi su altri aspetti che sono riferiti. Non è un dettaglio banale, perché noi sappiamo di avere un apparato sanzionatorio totalmente sproporzionato. Spero di non dire parole politicamente scorrette o che si prestino ad una errata interpretazione. Io sono un lavoratore dipendente, quindi il tema dell'evasione esistenzialmente non poteva toccarmi, sono, come ognuno di noi, contrario a questi atteggiamenti che danneggiano la collettività, dall'altra parte, però, devo dire che bisogna anche chiedersi quali siano i metodi più efficaci per contrastarla questa evasione. E mi chiedo se, in sanzioni così sproporzionate, che arrivano al doppio, al triplo, al quadruplo dell'importo dell'imposta asseritamente evasa, lo Stato non dia quasi la dimostrazione o, comunque, la sensazione della propria impotenza, volendo caricare una sanzione sproporzionata su un contribuente che, probabilmente, sa che non riuscirà mai ad adempiere.
Termino su un ultimo punto di questa riforma che, secondo me, va valorizzato. A cinquant'anni, come è stato ricordato, dall'ultimo grande sforzo organico di riforma del sistema fiscale, quello che comportò una serie di passaggi epocali, come quello dall'IGE all'IVA, una serie di cose che i relatori e gli illustri colleghi sanno meglio di me, si interviene dandosi anche come obiettivo preciso quello di codificare con testi unici la materia fiscale. Questa credo non sia banale, sicuramente sarà molto apprezzato anche dalla professione e dai vari attori della macchina fiscale, perché, oggettivamente, nelle condizioni attuali, la giungla delle normative è talmente complessa non solo da essere essa stessa una fonte potenziale di errori o di attività elusive, ma anche da non consentire all'attività che deve esserci - e che con questo approccio si potenzia - di repressione e contrasto all'evasione di agire con la necessaria efficacia.
Quindi, concludo, dando, ovviamente, la valutazione del gruppo assolutamente positiva per il lavoro svolto in Commissione, ringraziando ancora tutti quelli che hanno partecipato ai lavori per lo spirito costruttivo e per la civiltà con cui l'hanno fatta e ringraziando i presenti per il loro ascolto (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Alifano. Ne ha facoltà.
ENRICA ALIFANO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe, colleghi, Vice Ministro Leo, il disegno di legge delega che stiamo per approvare - noi siamo contrari, ovviamente - all'esame di questa Camera ha lo scopo di fissare principi, criteri direttivi e tempi di attuazione della riforma del sistema fiscale. Quindi, un'organica riforma fiscale di cui il Paese ha bisogno - sicuramente ne ha bisogno - che veniva già individuata dal PNRR come uno dei principi, uno scopo da attuare. Non va sottaciuto, però, che il Parlamento, già nella scorsa legislatura, aveva svolto degli importanti lavori - se ne è parlato, ne ha parlato prima il relatore Gusmeroli - che, però, mi preme ricordare all'onorevole Gusmeroli, erano stati ostacolati proprio dalla Lega e da parte del centrodestra, che si opponevano a qualsiasi norma che volesse rivedere gli estimi catastali per aggiornarli agli attuali valori di mercato in modo da distribuire più equamente il carico fiscale tra i diversi proprietari di immobili. E, infatti, questa proposta non contiene alcun riferimento al catasto. Vorrei sottolineare che è proprio l'iniquità che caratterizza e che pervade questo disegno di legge, che tende ad enfatizzare le disparità di trattamento tra i contribuenti e che mina il criterio principe del sistema tributario, così come è stato delineato dalla Costituzione: il principio di progressività. L'adesione al sistema a tassazione proporzionale, cioè la cosiddetta tassa piatta o flat tax, di cui ho sentito adesso tanto parlare, è stata coniugata in questa delega all'articolo 5, comma 1, lettera a). Si declina, in questo articolo, il fine di ridurre le aliquote IRPEF, nella prospettiva della transizione del sistema verso l'aliquota impositiva unica, seppure prevedendo un riordino - per il vero, però in modo estremamente fumoso, è vero che una legge delega va per principi e criteri direttivi, però su questo campo sarebbe stata necessaria una maggiore precisione - delle deduzioni dalla base imponibile, delle detrazioni dall'imposta lorda e dei crediti d'imposta.
Il primo teorizzatore - penso che il Vice Ministro Leo, sicuramente, lo rammenterà - di questo sistema fiscale basato sulla flat tax è stato Milton Friedman, monetarista, che ne ha parlato in un testo, Capitalismo e libertà, che sicuramente il Vice Ministro conoscerà. Friedman ha collaborato con la Thatcher - parliamo degli anni Ottanta - e con la stessa amministrazione Reagan e, per la cronaca, è stato anche consulente di Augusto Pinochet, anche se, però, non ha mai ricevuto compensi, perché, ovviamente, si discostava dalle modalità di amministrazione del suo regime. Secondo le teorizzazioni di Friedman, la struttura dell'imposta sul reddito delle persone fisiche migliore, quella migliore, sarebbe un'imposta ad aliquota unica, seppure unitamente a detrazioni fissate in modo rigoroso - quindi, è il sistema delle detrazioni che dovrebbe garantire le fasce di contribuenti più deboli - applicata, poi, ovviamente, a qualsiasi reddito superiore, a una somma esentata. Quindi, comunque, nel disegno di Friedman, si prevede una no tax area.
I sostenitori della flat tax sostengono che vi sono diversi vantaggi derivanti da questo modello in positivo: dalla capacità di autofinanziarsi, alla riduzione dell'evasione fiscale, alla semplificazione amministrativa. Sentivo parlare anche adesso dal collega Bagnai di semplificazione amministrativa: mi è venuto in mente un testo che ho letto qualche tempo fa, si chiama Scala, di Geoffrey West, che sottolinea come la digitalizzazione ha incrementato il numero di adempimenti di per sé e anche la burocratizzazione. Quindi, è un tema che difficilmente si potrà risolvere.
Come dicevo, ci sono anche, però, delle critiche al sistema della flat tax, che si concentrano, essenzialmente, sulla distribuzione del reddito e sul fatto che la flat tax acuisce le diseguaglianze. È stato sottolineato anche dai consulenti della Banca d'Italia che gli effetti favorevoli non necessariamente ci saranno - sono stati auditi in sede di Commissione -, ma sicuramente ci potrebbero essere questi effetti negativi, il fatto che aumentano le diseguaglianze. Va rammentato che l'introduzione della tassa piatta in Italia rappresenta un unicum - e anche questo ce l'hanno ricordato i consulenti della Banca d'Italia - tra i sistemi in vigore nelle economie avanzate, come la nostra, ed è stata, in genere, adottata da Paesi in via di sviluppo e con un welfare di dimensione limitata, quindi Paesi che differiscono molto dal nostro. Allora sorge questo sospetto, legittimamente: che la maggioranza voglia finanziare tale progetto con una riduzione della spesa sociale, tagliando ancora il gettito destinato a comparti importantissimi, come la sanità e l'istruzione.
Ho sentito prima proprio il collega Gusmeroli che parlava di riduzione di pressione fiscale. Sicuramente si potrebbe anche arrivare a questo, ma come si paga? Si paga con il taglio dei servizi. Tra l'altro noi abbiamo dei vincoli di finanza pubblica.
Dicevo che la flat tax comporterà una riduzione del prelievo e, di conseguenza, sarà necessario individuare altre coperture, salvo tagliare la spesa pubblica. Tra l'altro, non è nemmeno chiaro in questo disegno di legge se la flat tax lascerà in vigore tutti i regimi sostitutivi ad aliquote differenziate oppure se tutto convergerà verso la tassa piatta. Nel primo caso, continuerà a porsi un problema che è attuale, se ne parlava anche nel corso di questo dibattito. I regimi sostitutivi, ovviamente, che cosa fanno? Minano il principio di equità orizzontale, che impone che individui che hanno la stessa capacità contributiva debbano essere tassati in egual misura.
Il processo di cedolarizzazione di alcuni imponibili ha comportato, nel tempo, la sottrazione dalla base imponibile dell'Irpef di diverse tipologie di reddito, assoggettandole a tassazione proporzionale. Che cosa ha comportato ciò? Risultati peggiorativi sull'equità e sulla stessa efficienza del sistema fiscale, creando un'erosione della base imponibile e determinando una fuga dall'Irpef - una fuga che si vuole attuare anche con questa legge delega - che resta il cardine della progressività.
Dalla stesura della delega non appare chiaro se verranno conservati o meno i regimi sostitutivi, non si riesce a capire. Anzi, all'articolo 5, comma 1 - se ne parlava anche prima, il collega Stefanazzi è intervenuto su questo punto - per i redditi da fabbricati si prevede la possibilità di estendere il regime della cedolare secca alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo. Non è chiaro, quindi, a questo punto, se si procederà a sfoltire tutti i regimi sostitutivi che attualmente sono in vigore e che si affiancano al regime di tassazione ordinario.
A recuperare la centralità del principio di progressività dovrebbe essere allora il riordino delle deduzioni - se ne parlava prima - delle detrazioni e dei crediti di imposta. Ma come? Lei stesso, Vice Ministro, già in sede di audizione ma anche adesso, lo ha rammentato. Vi sono 226 crediti di imposta da sfoltire, lo ha rammentato anche ora in Aula. Quindi c'è uno scopo, nemmeno tanto malcelato, di tagliare le agevolazioni che sono attualmente in vigore, proprio per finanziare il nuovo modello di imposizione.
Allora, bisogna anche spezzare una lancia in favore dell'operato di questa maggioranza che ha previsto, nel disegno di legge di delega, un elenco di situazioni personali che dovranno essere tutelate: la crescita dei figli, nell'ottica del contrasto alla denatalità che affligge il nostro Paese, la proprietà della casa, il diritto alla salute e all'istruzione, la previdenza complementare, il risparmio energetico, la riduzione del rischio sismico degli edifici. Tuttavia ho sentito, sempre dal collega Stefanazzi, che sembra di aprire un libro dei sogni, perché tutte le materie elencate all'articolo 5 sono situazioni rilevanti in termini di gettito e necessitano di entrate che proprio con la flat tax risulteranno tagliate. Questo, tra l'altro, è un aspetto non meno rilevante. Nel rivedere le spese fiscali che si sarebbero dovute indirizzare bisognava anche prevedere benefici per specifiche categorie di contribuenti ritenute meritevoli, e non per la generalità delle persone. Ricordo, a tale proposito, che in Commissione finanze era stato presentato un emendamento a firma del MoVimento 5 Stelle - ahimè, è stato bocciato - che era volto a inserire nel testo dell'articolo 2, comma 1, lettera a), cioè l'articolo che delinea i principi generali del diritto tributario, il fine di sostenere le fasce di contribuenti più fragili e le piccole e medie imprese. Cioè, i contribuenti meritevoli dovrebbero essere maggiormente tutelati, anche perché attualmente più esposti alle dinamiche inflazionistiche in atto.
Un altro emendamento prevedeva di aggiungere tra gli obiettivi della riforma fiscale, oltre allo stimolo alla natalità, anche la promozione dell'occupazione femminile. Anche questo emendamento è stato respinto. Si è detto in Aula che l'occupazione femminile in Italia ha dei tassi drammaticamente bassi. Accrescere la partecipazione delle donne al mondo del lavoro farebbe in modo anche di aumentare i tassi di natalità - i due aspetti sono collegati - ovviamente con la previsione di creazione di asili nido, di scuole per l'infanzia. Tale previsione era inclusa, tra l'altro, nei progetti del PNRR, oltre a essere di per sé un obiettivo meritevole di tutela.
Andiamo oltre. Nella delega non è stata fatta alcuna parola sull'impatto che ha attualmente l'inflazione sui redditi dei pensionati e dei lavoratori dipendenti, e sulla necessità di contrastare questo fenomeno. L'inflazione è stata vista spesso proprio come una tassa iniqua, perché copre tutta la popolazione; infatti, si traduce nel più iniquo e occulto dei prelievi effettuati dalle tasche dei cittadini. Invero, non vi è alcuna volontà di perseguire la tutela di un trattamento salariale minimo. Si è chiesto più volte, dalla nostra parte politica, di affrontare questo tema, anche per tenere conto, tra l'altro, della perdita di potere d'acquisto subita dai lavoratori a causa dei fenomeni inflattivi.
Altre previsioni poi sembrano proprio scritte a matita, perché poi si pensa che verranno cancellate in sede di decreti attuativi. Altrimenti non si troverebbe spiegazione al fatto che una serie di emendamenti, da noi proposti in Commissione, è stata interamente bocciata. Nel testo della delega si parla di tutela dell'ambiente, di efficientamento energetico, di lotta ai cambiamenti climatici. Sono termini che ricorrono più volte, però non si comprende perché alcuni dei nostri emendamenti che andavano in quella direzione non siano stati proprio presi in considerazione. Essi alla fine rispettavano le previsioni dello European Green Deal. Per esempio, mi riferisco all'introduzione di disposizioni volte all'eliminazione graduale, ma decisa, dei SAD, dei sussidi ambientalmente dannosi, con l'obiettivo di raggiungere zero emissioni nette, ma anche alla previsione di una revisione dell'imposizione fiscale sulle autovetture che tenga conto del costo del veicolo e dei tassi di emissioni di CO2, nel rispetto del principio che chi più inquina più paga. La tutela dell'ambiente passa anche attraverso queste disposizioni.
Sempre allo scopo di favorire la transizione energetica e l'innovazione, unitamente, ovviamente, alle politiche occupazionali, si suggeriva di introdurre agevolazioni fiscali, sotto forma di crediti d'imposta cedibili o trasferibili mediante lo sconto in fattura, per le società di capitali che reinvestono l'utile prodotto in impianti ad alta tecnologia e innovativi ovvero in impianti di energia da fonti rinnovabili o in interventi di efficientamento energetico e in politiche attive del lavoro. Presidente, noi abbiamo una visione della società volta al futuro e non abbiamo timore delle sfide che il futuro ci porrà. Crediamo nell'innovazione però, nello stesso tempo, abbiamo come fari la tutela della salute e la tutela dell'ambiente.
Torniamo alla scrittura del disegno di legge. In merito alla tassazione societaria, il disegno di legge prevede una modifica dell'Ires con un doppio binario fiscale, con l'introduzione di un'aliquota agevolata sugli utili accantonati nel limite del loro reimpiego nel biennio successivo.
Il reimpiego deve essere in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, ovvero in nuove assunzioni. In tal modo il beneficio fiscale verrebbe ottenuto prima dell'effettuazione degli investimenti e dell'aumento dell'occupazione, fatto che - è stato osservato dagli auditi - potrebbe comportare difficoltà operative. Si pensi al ricalcolo delle imposte qualora queste due condizioni non si siano verificate.
Tra l'altro, esponenti della Conferenza delle regioni e delle province autonome hanno espresso più riserve sull'abolizione dell'IRAP, che comunque garantisce il gettito che copre parte della spesa sanitaria; di fatto, poi, hanno espresso anche riserve sulla nuova disciplina relativa all'IVA. Ovviamente, tutte queste perplessità sono alimentate anche dal prevedibile impatto che sui loro conti avrà il progetto, se andrà avanti, dell'autonomia differenziata.
Allora, in verità, con questa delega si è persa una grandissima occasione, quella di raggiungere obiettivi di equità fiscale, equità fiscale che viene richiesta ancor più oggi; viviamo in un'epoca diversa da quella in cui è vissuto Milton Friedman.
Si prospettava da parte del nostro gruppo politico l'introduzione di una tassa di possesso sui dati digitali dei cittadini che entrano nella disponibilità delle grandi multinazionali del web, che ne traggono dei grossi profitti. Infatti, i dati dei cittadini, oramai si sa, è risaputo, hanno un valore economico di cui, però, si avvantaggiano solo pochi operatori.
Ancora, una vera riforma fiscale non può prescindere da un intervento sull'economia digitale, campo nel quale le multinazionali si muovono in un regime di vero favore, che sta mettendo in ginocchio imprese e lavoratori nazionali. Quindi, si proponeva - c'è un emendamento del Governo in questa direzione - di introdurre quanto prima nuove forme di imposizione applicabili all'effettivo valore economico delle attività caratterizzate dalla dematerializzazione svolte dai gruppi multinazionali di imprese operanti nel territorio nazionale. Di fatto, c'è un emendamento del Governo, però, è una direzione che dovrebbe essere presa in modo molto più deciso. In tale campo, bisogna rammentare un dato che penso che il Vice Ministro Leo conoscerà bene, un dato che però allarma: nel 2020, le nostre piccole imprese con meno di 5 milioni di euro di fatturato hanno versato 19,3 miliardi di imposte; nel 2021, invece, le 25 filiali italiane dei principali gruppi mondiali del web e software hanno versato al nostro erario solo 186 milioni di euro. C'è un gap, enorme, è una situazione per la quale urge una risposta proprio pronta e immediata.
È stata chiesta ancora, sempre nell'ottica di disegnare un fisco più equo, sempre da parte del mio gruppo, e a più riprese in questa legislatura, l'introduzione di un meccanismo strutturale di tassazione degli extra profitti delle grandi società, prodotti quando un'emergenza crea utili straordinari rispetto alla media. I profitti inaspettati e straordinari possono riguardare vari settori, ne abbiamo avuto contezza negli ultimi tempi, da quello farmaceutico a quello bellico, a quello finanziario. A questo punto mi viene in mente come l'aumento dei tassi di interesse da parte della BCE abbia ampliato la redditività delle banche, ma al contempo si sia riverberato negativamente su famiglie e imprese. Le banche hanno realizzato degli extra profitti, perché, di fatto, che cosa hanno fatto? Hanno continuato ad azzerare la remunerazione dei depositi e hanno lasciato intatto il costo alla clientela - un comportamento che prima era giustificato dai tassi negativi, ma adesso non lo è più - e al contempo hanno concesso mutui a tassi molto più elevati. Ma, ancora una volta, sembra che le esigenze dei cittadini non vengano prese assolutamente in considerazione.
Veniamo, alla fine, al rapporto tra contribuente e fisco, ne abbiamo parlato col Vice Ministro in sede di Commissione. Si è parlato, da parte nostra, dell'introduzione del cashback fiscale per l'accredito immediato delle detrazioni legate a spese sostenute con strumenti elettronici, a partire dalle spese di natura sociosanitaria. L'emendamento è stato respinto. In realtà, la prospettiva del fisco amico viene promossa solo apparentemente e una prova per tutte è data dal regime degli interpelli a pagamento. L'articolo 4 del disegno di legge prevede, infatti, al punto 4) della lettera c), di subordinare l'ammissibilità delle istanze di interpello al pagamento di un contributo da graduare in ragione di diversi fattori, dalla tipologia di contribuente alla questione oggetto dell'istanza. Però, in questo modo, si finisce con lo snaturare uno strumento che rappresenta un'espressione essenziale della funzione consultiva e di controllo dell'amministrazione e che è un legame tra l'amministrazione e il contribuente. Tra l'altro, questa modifica della disciplina degli interpelli a pagamento - non so se rammenta, Vice Ministro - è stata anche criticata dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Di fatto, in un sistema tributario che è volto a favorire l'adempimento spontaneo, prevedere il pagamento per l'interpello è una cosa che un po' cozza. Vuol dire che non c'è questa volontà di riavvicinarsi al contribuente.
Tra l'altro prevedere l'interpello a pagamento cosa determinerà? Determinerà un aumento del contenzioso, contenzioso che si vuole deflazionare, ma che, alla fine, verrà aumentato e questo comporterà ovviamente maggiori costi sia per il contribuente sia per l'amministrazione.
Quindi, sono molte le criticità espresse in questa delega; criticità che, tra l'altro, sono state evidenziate, non solo dal mio gruppo politico, ma anche da molti dei soggetti auditi in Commissione in primis dalla Banca d'Italia. Tra l'altro ci troviamo, questa è l'impressione, in presenza di una delega in bianco, a partire dalla previsione delle deduzioni e delle detrazioni dei crediti di imposta che, poi, alla fine dovrebbero riportare un po' l'asse verso la progressività, come diceva lei, Vice Ministro, prima. Però, è tutto molto fumoso, verrà lasciato poi nelle mani del Governo stabilire la tipologia delle detrazioni, delle deduzioni e dei crediti di imposta, quindi, è una delega in bianco. Certa, comunque, a parer nostro, è la volontà di spostare l'asse della tassazione verso i ceti medio-bassi, perché questo la flat tax produrrà, quindi, quello che viene delineato non è un fisco equo e non è nemmeno un fisco amico (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Bertoldi. Ne ha facoltà.
ANDREA DE BERTOLDI (FDI). Presidente, signor Vice Ministro, onorevoli colleghi, cari relatori, nel ringraziarvi anch'io come membro della Commissione per il lavoro che abbiamo fatto assieme, sempre confrontandoci, vorrei fare un ragionamento a contrariis. Ecco, cercherò di entrare sulla nostra riforma - mi permetto di dire: una riforma targata centrodestra - con la quale il Vice Ministro ha sicuramente dato un'impronta di grande professionalità, arrivandoci però, come ho detto, a contrariis, perché mi sono domandato quale sarebbe stata la riforma fiscale dell'opposizione, della sinistra? Allora, ho cominciato a fare memoria del mio lavoro, io faccio il commercialista e ricordo, quindi, quei Governi che hanno visto chi svolgeva il nostro lavoro trovarsi di fronte un interlocutore dell'amministrazione finanziaria che non era un collaboratore, come io vorrei che fosse, che non era un partner nell'ottica del sistema Stato, ma era un nemico. Ci ricordiamo quando, vigente il Governo Prodi, al posto del Vice Ministro Leo sedeva il l'onorevole Visco? In quell'epoca, noi commercialisti dovevamo difenderci perché le piccole imprese, i bar, i piccoli artigiani erano considerati alla stregua di criminali ed evasori che vedevano la Guardia di finanza andare a rincorrerli, a controllare di notte e di giorno che non uscisse per caso la domenica, con il bar pieno, un cittadino senza uno scontrino del caffè.
Quanti ne abbiamo visti, e mi rivolgo soprattutto ai colleghi, a coloro che hanno masticato l'amministrazione finanziaria del 2006 e del 2007, la politica finanziaria della sinistra!
Ecco perché, Vice Ministro Leo, non hanno fatto la riforma fiscale, perché, se avessero fatto una riforma fiscale su quei principi, oggi l'Italia sarebbe sdraiata a terra! Per fortuna, sono bastati i voti degli italiani per cambiare un senso e una direzione politica.
Vogliamo ricordare quando, pochi anni dopo - se non sbaglio, vigeva il Governo Monti -, nei nostri mari, le barche erano inseguite e fermate all'uscita dei porti, quasi il detentore di una barca fosse un possibile delinquente? Cosa successe? Che quanti avevano una barca portarono la barca all'estero e, quindi, penalizzarono i nostri porti, le nostre città, il nostro PIL. Quella era la politica della sinistra. La loro riforma, se ci fosse stata, avrebbe continuato ad aggravare la pressione fiscale, a penalizzare le PMI, gli artigiani, le partite IVA, come hanno fatto. Non è un processo alle intenzioni: è un'analisi di constatazione, che svolgo da commercialista. Si sarebbe continuato a terrorizzare le imprese, a individuare e rincorrere i ricchi e la ricchezza, come un elemento di negatività, invece che di prosperità per il Paese. In sostanza, impoverire gli italiani e far fuggire la ricchezza da questo Paese. Quella sarebbe stata la riforma della sinistra! Per fortuna, non è così. Per fortuna, dopo cinquant'anni, il centrodestra fa la riforma fiscale.
Allora, dov'è che si capisce subito la differenza? Qui ci tengo, perché, come ho detto, sono partito a contrariis nel mio ragionamento: dov'è che capiamo la differenza? Nell'articolo 2, onorevole Vice Ministro, quando si parla dei principi della riforma. Cosa dice l'articolo 2? Individua 3 punti, come 3 obiettivi. Prima di entrare nel merito di questi obiettivi, un liberale come me non può non ricordare le parole di un grandissimo economista, che è stato governatore della Banca d'Italia e Presidente della Repubblica, Einaudi, quando, nei primi anni Venti, disse: ottima è l'imposta che ottiene il migliore soddisfacimento dei bisogni pubblici compatibilmente con la crescita del reddito nazionale. La crescita! L'imposta ha un senso in quanto promuove la crescita del Paese! Questo diceva Einaudi negli anni Venti. E la riforma del centrodestra, all'articolo 2, cosa pone come base? La crescita. Einaudi diceva anche che la politica finanziaria migliore è abbassare e ridurre le aliquote. Cominciamo a vedere come quanto detto oltre cent'anni fa da un padre del nostro Paese e della nostra economia, da un padre del pensiero liberale, come Einaudi, viene oggi riscontrato nella lettura della nostra riforma fiscale.
Allora, crescita vuol dire utilizzo della leva fiscale per far progredire il Paese, per far crescere il PIL, per incentivare nuove imprese, per incentivare nuovi investimenti, per attrarre ricchezza e ricchi in questo Paese. Dobbiamo porre fine a un'epoca, nella quale chi produce è visto come un evasore e il ricco è visto come qualcuno da colpire. Dobbiamo, invece, passare a una riforma che utilizza la leva fiscale per far crescere il Paese. Dobbiamo porre fine al populismo pauperista, che ha dominato tanti anni di questi ultimi due decenni. Non è il caso di ricordare l'“uno vale uno”, in cui quasi la sovietizzazione del pensiero veniva riproposta a distanza di 100 anni. Non l'ho mai condivisa, quando poteva anche avere un senso di analisi storica, figuriamoci se potevo condividerla nel terzo millennio.
Accanto alla crescita, qual è l'altro target? Mi sia permesso di dirlo con una parola non propriamente del nostro splendido idioma. L'altro target della riforma, oltre alla crescita, che è il punto principale, è molto semplice: la lotta all'evasione. Ne abbiamo parlato. Tuttavia, la lotta all'evasione, nell'ottica che vogliamo imporre, che vogliamo percorrere, non è l'utilizzo, come dicevo prima, di uno Stato di polizia tributaria; non è il rincorrere chi fa investimenti, chi lavora 12 ore al giorno, chi sostiene il PIL di questo Paese, ma è l'esatto contrario. Vogliamo fare la lotta all'evasione, intanto, in quanto creiamo una condizione - è stato detto anche prima di me - per la quale il fisco viene accettato, viene considerato accettabile dall'impresa e dal cittadino. Si tratta della compliance, termine che, chi fa diritto tributario e pratica la professione, sa cosa vuol dire, cioè la collaborazione con l'amministrazione finanziaria. Non è possibile punire spesso con le sanzioni errori che non hanno peso e, quindi, punire, magari alla stessa stregua, chi dichiara, paga, ma ha fatto un errore formale, per cui il cittadino onestissimo, che ha fatto un errore, viene sanzionato alla pari. Oppure non è possibile sanzionare nello stesso modo chi ha dichiarato ma, impossibilitato a pagare, non ha pagato, rispetto a chi, invece, magari, non ha dichiarato e non ha pagato, cioè il vero evasore.
Ecco dove deve cambiare il fisco e dove sono certo che la riforma targata Maurizio Leo saprà dare un netto cambio di passo, nell'ottica di un pensiero politico che non è ideologia, ma è pratica, pragmatismo e conoscenza del mondo economico, del sistema economico e delle imprese che operano in questo Paese. Altrimenti - lo cito per l'ultima volta, la terza, poiché l'ho citato due volte - dovremmo convenire, non con un pericoloso evasore, ma sempre con Luigi Einaudi, che nel 1907 scriveva sul Corriere della Sera: “La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l'unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”. Così diceva 116 anni fa Luigi Einaudi.
Questa riforma fiscale vuole creare le condizioni proprio perché la frode non sia l'unica possibilità dell'impresa per sopravvivere, ma perché ci sia un fisco accettato, accettabile, condiviso, dialogante con il contribuente e che, quindi, sia uno strumento, come diceva sempre Einaudi e come ho citato prima, per la crescita del Paese.
Detto questo, ricordo l'ultimo punto relativo agli obiettivi di questa riforma, che è la semplificazione. Anche qui bene ha fatto il Ministro Nordio a ricordare, nei giorni scorsi, con coraggio, qual è nel suo carattere, come sia praticamente impossibile trovare un professionista o un commercialista che possa dare certezze assolute di legalità a un investitore straniero o nazionale che voglia venire in Italia. Questo è esattamente il contrario di quello che serve ad un fisco equo.
Quindi, semplifichiamo e rendiamo le norme chiare, importanti, anche sanzionatorie, però chiare e comprensive, tali da poterci permettere di avere quelle certezze che servono per investire il proprio denaro. Se questi sono gli obiettivi, vorrei fare ora un veloce passaggio sui punti specifici, che vorrei sottolineare come professionista. Tutti i bei propositi, che anche i colleghi prima di me hanno evidenziato, potranno essere raggiunti ovviamente, come sempre nella vita, se esistono i fondi, il denaro.
Come sappiamo, purtroppo, il denaro disponibile non è certamente tanto per potere realizzare i buoni propositi che maggioranza e opposizione vorrebbero ricavare da questa riforma.
Allora, io lancio davvero un appello, signor Vice Ministro, non tanto a lei, ma allo Stato, perché se la Ragioneria generale dello Stato non sarà in grado di riconoscere le retroazioni fiscali conseguenti alla portata della nuova normativa, sarà molto difficile che qualunque buona volontà politica si tramuti in risultati concreti. Dunque, siccome è chiaro che, nel momento in cui una norma favorisce gli investimenti, fa da sprone agli investimenti, è chiaro che quella norma ha un costo, ma è altrettanto chiaro che quella norma avrà risvolti sul PIL, la crescita, come dicevamo in precedenza. E, allora, se è così, dovremmo tutti assieme, anche con la Ragioneria generale dello Stato, ragionare sulle retroazioni fiscali; questo è l'appello che io mi permetto di rivolgere, da parlamentare, al sistema Stato, dal Presidente della Repubblica, a scendere, ovviamente nell'interlocuzione con il Ragioniere; è un passaggio fondamentale per poter davvero fare una riforma che sia nell'interesse nazionale. Se sarà così, sono certo che attraverso la leva fiscale potremo favorire gli investimenti nell'economia reale. Vado alla conclusione, Presidente. Potremo favorire quegli investimenti che permettono di trasportare una parte, anche ridotta, del grande risparmio nazionale - ricordo oltre 5.000 miliardi - nell'economia reale. Ma affinché i risparmi degli italiani arrivino alle imprese, occorre una leva fiscale vantaggiosa; allora, penso alla riduzione delle aliquote per le casse di previdenza dei liberi professionisti, perché è giusto che chi fa previdenza e welfare possa avere una tassazione agevolata, per l'interesse comune.
Penso, inoltre, a un altro aspetto, signor Vice Ministro, e qui mi rivolgo proprio a lei: alla parità generazionale. Quanto è importante, in questo Paese - lo stanno sottolineando anche i dottori commercialisti - sostenere i giovani, che sono il futuro del Paese e delle professioni? E, allora, se dobbiamo sostenere i giovani, creiamo le condizioni affinché i giovani abbiano alcune presenze negli organi nei consigli di amministrazione, negli organi di controllo e, magari, affinché il loro costo abbia un maggior ammortamento; quindi, l'imprenditore sarebbe sollecitato portato a inserire i giovani negli organi delle proprie imprese perché quei giovani significherebbero per lui un maggior costo deducibile; ecco sarebbe un utilizzo della leva fiscale virtuoso per aiutare le nuove generazioni di professionisti. Magari, in senso opposto, sarebbe opportuno prevedere una maggiore imposizione per limitare il fenomeno dei doppi incarichi, e penso a tanti dirigenti della pubblica amministrazione, quei doppi incarichi che penalizzano i nostri giovani. Quante volte, infatti, nelle regioni e negli enti locali, vediamo i giovani che non ottengono consulenze, non intendono incarichi e poi constatiamo che quegli incarichi vanno a pensionati che prendono magari 8.000 o 10.000 euro al mese di pensione, ovvero ad alti dirigenti della pubblica amministrazione. Io non dico che si debba impedire questa prassi, perché per un liberale non si deve mai impedire, ma queste situazioni vanno riportate innanzitutto all'eccezione e la leva fiscale può servire per evitare il più possibile queste situazioni.
Concludo con gli ultimi passaggi. Le ritenute d'acconto: cerchiamo di ridurle davvero, signor Vice Ministro, perché non è giusto che i professionisti periferici, più deboli debbano, di fatto, continuare a fare da cassa allo Stato, anticipando allo stesso Stato imposte maggiori di quelle che devono, per poi, un anno dopo, doverle chiedere a rimborso.
Penso anche alle aggregazioni professionali, che devono essere supportate, perché, nella teoria economica, quella è la prospettiva per far crescere le professioni e, allora, naturalmente agevoliamole le aggregazioni professionali Concludo molto brevemente, Presidente, e la ringrazio, su un tema che ha caratterizzato la mia azione e sul quale mi sono anche impegnato, quello del superbollo. Ne ha accennato anche lei, Vice Ministro, in alcune occasioni.
Ecco, cerchiamo di porre fine all'ennesima presa in giro, che ha portato un Paese che è il primo produttore di beni di lusso, del made in Italy, nel mondo a penalizzare coloro che vogliono utilizzare questi beni; penalizzandoli si rende un cattivo servizio ai più poveri, perché, alla fine, il risultato qual è stato? Meno introiti, meno acquisti di auto di lusso e, di conseguenza, meno fondi da destinare al welfare. In sostanza, una riforma che davvero guardi al futuro. Non dobbiamo essere mister Wolf, che risolve i problemi, ma dobbiamo essere gli artefici di una riforma che guarda al futuro e dà un futuro al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dori. Ne ha facoltà.
DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. L'articolo 53 della nostra Costituzione stabilisce che: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”. Quindi, il sistema tributario è alla base del patto di cittadinanza, di coesione sociale, un patto che garantisce i diritti costituzionali, dalla sanità, all'istruzione, alla giustizia, forte del principio di solidarietà, di ridistribuzione della ricchezza tra cittadini e tra territori.
Con questa riforma fiscale del Governo siamo, invece, in presenza di una rottura di questo patto sociale ed essa è profondamente iniqua a causa dell'obiettivo di riduzione della progressività, inoltre è velleitaria negli obiettivi di copertura, provocando il rischio che gli squilibri finanziari vengano colmati attraverso una riduzione della spesa sociale.
Siamo, quindi, estremamente preoccupati per tutte quelle misure che finiscono per avvantaggiare prevalentemente i redditi più alti quando, invece, sarebbe stato necessario proseguire l'operazione di revisione di aliquote, scaglioni e detrazioni, a beneficio dei redditi medi e bassi, oltre a prevedere i necessari adeguamenti salariali all'inflazione.
Serve una svolta nella lotta all'evasione ed elusione fiscale, utilizzando, in maniera coordinata, tutti gli strumenti disponibili, a partire dalle banche dati digitali e dall'estensione a tappeto della fatturazione elettronica, determinando maggiore trasparenza e completa tracciabilità.
Occorre abbandonare il ricorso a provvedimenti che offrono, per le difficoltà di recupero, forme di definizione agevolata dei debiti iscritti a ruolo che, oltre a incidere negativamente in termini equitativi e sul contributo di ciascuno al finanziamento dei servizi pubblici, rischiano di generare ulteriori iniquità del sistema. Inoltre, il ricorso ai condoni rischia di sollecitare aspettative di ulteriori condoni futuri. Solo così si può arginare un fenomeno, quello dell'evasione fiscale, che, oltre a minare alla radice la credibilità del sistema, sottrae alle imposte il loro significato di strumento democratico di finanziamento della spesa pubblica.
C'è poi il “tassapiattismo”, la flat tax, che mina alla radice il criterio di progressività dell'imposizione fiscale scolpito nell'articolo 53 della Costituzione. Secondo la maggioranza, la progressività può essere garantita anche con meno scaglioni e perfino con una flat tax, attraverso il gioco delle detrazioni e deduzioni, determinando così aliquote effettive differenti per i diversi contribuenti, ma, al di là delle modalità che verranno definite, questo gioco di deduzioni rappresenta pur sempre una correzione rispetto a un sistema che non sarebbe più costitutivamente informato alla progressività e che, oggettivamente, premierebbe in maniera proporzionalmente maggiore i redditi più alti. Non solo; deduzioni e detrazioni sono comunque molto variabili, corrispondono spesso a una spesa o a un bisogno - pensiamo alle cure mediche - che viene detassato fino a una certa capienza e capacità di spesa del contribuente; minore per i redditi più bassi. Una sola aliquota impositiva, invece, garantisce ai redditi più alti una minore tassazione, a prescindere da altre condizioni, anche qualora venissero esclusi da alcune detrazioni e deduzioni.
Il vero nodo riguarda, in particolare, il lavoro dipendente, che rappresenta oggi il 40 per cento dei redditi complessivi e, da solo, invece assicura il 78 per cento del gettito Irpef, con il 5 per cento dei contribuenti, quelli che dichiarano oltre 55.000 euro lordi che, da soli, generano il 38 per cento del gettito complessivo di questa imposta.
Altri redditi, come quelli di capitale, da impresa, da fitti e via dicendo, sono soggetti ad altri tipi di tassazione, non progressiva, e con aliquote assai più basse rispetto a quelle attualmente in vigore per il lavoro dipendente.
Per diminuire il peso dell'imposizione che grava su questo ceto medio dipendente, allora, la via più equa sarebbe stata quella di allargare la base imponibile, riportando a tassazione Irpef anche i guadagni da altre fonti e così finanziare la riduzione per tutti delle aliquote.
Nonostante capacità contributiva e progressività siano effettivamente enunciate all'interno del testo della delega, nel dispiegarsi del testo sono messe in realtà concretamente in discussione. L'Irpef è certamente il più importante tributo presente nel sistema italiano, eppure nel tempo ha perso coerenza, vivendo una stagione di profonda crisi nel corso della quale ha subito centinaia di modifiche, di cui le più recenti hanno avuto una matrice politica, partitica, rispondendo a pulsioni elettoralistiche, al punto che lo stesso dibattito scientifico è stato travolto ed oscurato dalla politicizzazione e strumentalizzazione delle questioni di fondo su cui ruota il sistema dell'imposta: basti pensare alle narrazioni sulla cosiddetta flat tax.
La disciplina dell'Irpef risulta ormai frammentaria, irrazionale, materialmente incostituzionale, prestandosi a pratiche di arbitraggio fiscale e a proficue opportunità di pianificazione fiscale. Le iniziative di riforma dell'Irpef emergenti nella nuova legislatura, soprattutto in occasione della legge di stabilità 2023, hanno confermato il quadro sconfortante della tenuta dell'imposta personale che si pone come pilastro dell'intero sistema tributario.
Nonostante siano passati cinquant'anni dalla riforma tributaria degli anni Settanta, ci troviamo costantemente coinvolti in un inconcludente e continuo dibattito sulla necessità di riformare l'Irpef, accompagnato da interventi legislativi improvvisati, usualmente approvati con leggi di bilancio in un contesto di urgenze di fine anno, di voti di fiducia, di disposizioni omnibus, e via seguitando.
La pressione fiscale complessiva, in Italia, si attesta al 42,3 per cento: è il sesto valore più alto nel confronto con gli altri Paesi dell'Unione europea e si colloca al di sopra della media europea di 2,2 punti percentuali. Anche la pressione fiscale sul lavoro risulta la più alta in assoluto nell'Unione europea con un'aliquota implicita pari al 43,8 per cento. In tale contesto l'Irpef riveste un ruolo centrale nel sistema tributario poiché il suo gettito è pari all'11,3 per cento del PIL e contribuisce per il 40 per cento delle entrate tributarie complessive. Con riferimento al 2020, la platea dei contribuenti Irpef è rappresentata da oltre 40 milioni di soggetti tra i quali, sulla base della classificazione per reddito prevalente, 21 milioni sono lavoratori dipendenti, 13 milioni e mezzo sono pensionati, quasi 3 milioni sono imprenditori autonomi o soci di società di persone; circa un milione di contribuenti è, invece, soggetto ai regimi agevolati, ma il numero è in costante crescita. I redditi da capitale sono per la quasi totalità soggetti a tassazione sostitutiva, ma le forme di tassazione sostitutiva sono in continua espansione, coinvolgendo sempre di più altre categorie di reddito. L'Irpef, quindi, è oggettivamente un'imposta pagata principalmente da lavoratori dipendenti e pensionati. Per il 2020, l'Irpef è stata pari a 164 miliardi di euro, per l'85 per cento attribuibili a queste due categorie di reddito e, in particolare, il 55 per cento ai lavoratori dipendenti e il 30 per cento ai pensionati.
Nel tempo, l'imposizione fiscale sul reddito delle persone è fuggita dall'Irpef, l'imposta che avrebbe dovuto tassare il reddito complessivo dei contribuenti, per disperdersi in decine di rivoli, cedolari, tassazioni separate, aliquote di favore, deduzioni dall'imponibile, fino ad arrivare, come si è visto, ad una Irpef la cui base imponibile è, al 90 per cento, composta da redditi di lavoro dipendente e pensione. Di fatto, oggi, questa imposta, lungi dall'essere applicata sul complesso dei redditi personali, si è ridotta a essere l'imposta sui redditi fissi. Per questo non è più eludibile l'esigenza di rivedere la sua base imponibile, di allargarla, ricomprendendo al suo interno tutta una serie di redditi oggi esclusi. In mancanza di questo passo fondamentale, ogni riforma o modifica dell'Irpef rimane una semplice redistribuzione interna al reddito da lavoro o da pensione.
La riforma fiscale Meloni interviene prevedendo ulteriori esclusioni dalla base imponibile Irpef ed è questa la sua principale mancanza. Si prevede di continuare a tassare il lavoro e le pensioni più delle rendite immobiliari e delle grandi rendite finanziarie. Una riforma fiscale era stata raccomandata dalla Commissione europea come necessario accompagnamento al PNRR, ma quella del Governo Meloni si delinea, in quei pochi tratti accennati, come una vera e propria controriforma perché indirizzata, come una testa d'ariete, contro ciò che resta dello stato sociale. Bruxelles l'aveva richiesta con il fine di aumentare l'equità del sistema, ridurre la frammentazione e arginare l'evasione fiscale. Dalla riforma sarebbe dovuta scaturire una base imponibile più solida per dare corso agli obiettivi di modernizzazione del Paese insiti nel PNRR, ma andando oltre il PNRR, cioè anche dopo il 2026, in modo da poter procedere ad assunzioni massicce di personale giovane e potenziare i servizi pubblici essenziali: due obiettivi per i quali sarebbero necessari flussi di cassa stabili che il PNRR non copre. Dunque, avrebbe dovuto essere una riforma strutturale, capace di dare risposte a sfide complesse, non solo la transizione energetica e la digitalizzazione, poiché in ballo ci sono sanità, scuola, giustizia, welfare, ma anche le pensioni e la loro sostenibilità. Persino i tecnici dell'Ufficio parlamentare di bilancio non hanno fatto sconti all'attuale Esecutivo, mettendo in rilievo numerose incongruenze e una sostanziale insostenibilità del percorso riformatore pervaso e improntato a un tendenziale approdo di flat tax per tutti. Gli stessi fanno notare che i principi generali del disegno di legge di delega fiscale sono diretti alla riduzione del carico tributario, cosa che, se non si individuano altre fonti da tassare, può solo rischiare di aumentare l'indebitamento netto dello Stato.
Inoltre, imputano al disegno di legge di non essere sostenibile nel medio e lungo termine in funzione dell'invecchiamento della popolazione italiana e dei bisogni crescenti dei servizi pubblici. Soltanto l'abolizione dell'IRAP per le imprese individuali o legate ad associazioni categoriali - scrivono i tecnici dell'Ufficio parlamentare di bilancio - risulta avere indicata una compensazione attraverso la previsione di una sovraimposta Ires, cioè tassando maggiormente le imprese più grandi, quelle che già oggi, tra l'altro, fanno maggiori investimenti e sono mediamente più proiettate verso l'export.
Che la riforma fiscale del Governo sia fumosa nelle coperture, del resto, lo ha ricordato anche il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, secondo il quale sarà imprescindibile l'identificazione di coperture strutturali adeguate e certe per ogni eventuale aumento di spesa o riduzione di entrata, anche nell'ambito di riforme già annunciate, quali quella del fisco o dell'autonomia differenziata.
Passando anche gradualmente - come chiede Confindustria - a un sistema che appiattisce la tassazione verso un'aliquota unica, ossia la flat tax incrementale, considerata la bandiera della riforma fiscale di questo Governo, l'effetto calcolato dall'Ufficio parlamentare di bilancio sarà quello di penalizzare i soggetti con redditi medi e favorire quelli con redditi elevati, già appiattiti nella lunga coda dello scaglione finale, con conseguente ulteriore compressione della progressività dell'imposta.
Se poi, come previsto dalla riforma, si incrementeranno bonus e detrazioni in un sistema già frammentatissimo, il risultato sarà una minore equità orizzontale, con la conseguenza che non tutti quelli che hanno una medesima situazione reddituale avranno lo stesso carico fiscale, magari soltanto per uno sgravio che ad altri non è riconosciuto.
Infine, c'è l'IVA, una tassa che, secondo i tecnici del MEF, produce oltre 25 miliardi di gettito annuo, che però soltanto pochi anni fa, nel 2015, ne produceva quasi 40 di miliardi. L'evasione fiscale, in base ai dati diramati dall'Agenzia delle Entrate, raggiunge ogni anno quota 90 miliardi di euro, l'equivalente di tre o quattro manovre di bilancio. Insomma, una tassa occulta per tutti coloro che pagano le tasse.
Noi riteniamo che, nella capacità contributiva, vadano collocati tutte le ricchezze e tutti i redditi: far uscire dalla base imponibile una serie di cespiti, come fa la delega, determina iniquità. L'esempio più classico è quello della tassazione della rendita più bassa rispetto alla tassazione del lavoro. Il problema non è, quindi, solo la riduzione delle aliquote, ma anche la sostenibilità finanziaria del sistema.
Come si faccia ad abbassare le tasse e a garantire sanità, istruzione e giustizia non è dato sapere. La delega recita “a parità di gettito”, ma, anche qui, come si fa a garantirlo non si sa.
Per questi motivi riteniamo che il Governo abbia imboccato la strada sbagliata. Speriamo che la maggioranza se ne renda conto in tempo prendendo atto delle iniquità che provocherà, iniquità che non giovano, in realtà, a nessuno, se non a pochi e nel brevissimo periodo. Guardiamo, quindi, in modo più lungimirante al futuro del Paese e preserviamo quello che rimane del nostro welfare, che, anzi, andrebbe potenziato, perché ne va della tenuta non solo economica ma anche sociale del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Del Barba. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BARBA (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Signori del Governo, onorevoli colleghi, qui si fa la storia? È questa la domanda che ci stiamo ponendo, cioè si fa la storia o si va, per l'ennesima volta, incontro a un fallimento rispetto a una necessità che in molti hanno sottolineato, a partire dai relatori, dal Vice Ministro e nei tanti interventi che mi hanno preceduto e ai quali mi unisco. Mi unisco alla riflessione secondo cui vi è una necessità in questo Paese che inseguiamo ormai da troppo tempo e che, laddove fossimo capaci di soddisfare, davvero potremmo dire, con orgoglio, che abbiamo fatto un pezzo di storia e un servizio utile ai nostri cittadini e alle nostre imprese.
Proprio per rispondere a questa domanda questa mattina, come tutti voi, ho dato un'occhiata alla rassegna stampa, aspettandomi di trovare il pieno di articoli su questo nostro passaggio, su questo tentativo di entrare nella storia. Ebbene, come voi, credo, sono rimasto deluso, perché se ne parla davvero poco o per nulla. Da una parte, dobbiamo fare un po' di autocritica: quando i provvedimenti arrivano in Aula sono stati talmente spremuti e sviscerati che, probabilmente, anche la stampa stessa e l'opinione pubblica o ritengono di conoscere tutto oppure hanno perso la fiducia nella capacità di essere incisive. Dall'altra parte - e qui c'è un primo elemento di critica - forse perché in questo lavoro che abbiamo fatto in Commissione, in cui abbiamo partecipato in maniera propositiva anche come minoranze, forse non siamo stati capaci di trasmettere realmente questo senso della storia, senso della storia che ha portato chi mi ha preceduto a richiamare, ad esempio, Einaudi con affermazioni di oltre un secolo fa.
Allora, mi sembra doveroso, da morbegnese, aggiungere a queste citazioni il ricordo di Ezio Vanoni, che credo sia il nostro padre costituente, il nostro senatore, il nostro Ministro che più di tutti ha fatto la storia in queste materie, perché è colui che ha portato il tema del fisco e delle tasse a una dimensione universale e non certo vessatoria, perché, interpretando lo spirito della nostra Costituzione, in questo modo sapeva di poter far partecipare alla costruzione della nostra società tutti coloro che, con il loro lavoro, fossero animati da questo spirito positivo e costruttivo.
Il tema del fisco è un tema che forse negli ultimi anni e negli ultimi decenni abbiamo visto con la lente distorta che ci ha portato a fare affermazioni, come quella dell'evasione di necessità, che io non sottoscriverei. Piuttosto, cercherei di riportarmi a un'idea e a una concezione dello Stato, dei cittadini e del fisco maggiormente partecipativa, come quella che ho fin qui richiamato.
Dunque, guardando i giornali di oggi e riprendendo, allora, questo tentativo di vedere quanto veniamo letti nella storia, non ho trovato l'impegno della maggioranza e del Governo sulla delega fiscale, tuttavia ho trovato un'enorme e abbondante presenza della maggioranza non in maniera storica ma in una maniera, come dire, relativa alla cronaca. Però, voglio dirvi, signori del Governo e colleghi, che non è con queste lenti che intendo intervenire nel valutare la delega fiscale. Non saranno i giornali di oggi a fuorviare quella che dev'essere una critica e una lettura nel merito che nulla ha a che fare con una pregiudiziale opposizione a un Governo o anche a quanto il Governo sta mettendo in mostra, attraverso i suoi esponenti, in altri campi.
Allora, visto che siamo in periodo di esami, mi accingo a questa lettura nel merito, ma già qui c'è la prima difficoltà, perché, come per tutti gli elaborati, si potrebbe valutare l'esito dell'elaborato e dire: “Bene, bravi”; ma poi, come accade agli esami, c'è sempre quel docente che è un po' più scrupoloso degli altri e dice: “No, un momento. Bravi un corno! Questo tema è stato copiato”. Infatti, la delega fiscale deriva per gran parte dall'impegno del precedente Governo, il Governo Draghi, e semmai in questa copiatura ha perso smalto, efficacia e visione del Paese, ritrovando un pochino della confusione dell'attuale maggioranza.
Tuttavia, questo, giudicato politicamente e non da professore di un esame di maturità, perché non siamo qui a valutare la maturità di nessuno, credo debba essere segnalato in maniera positiva. Bene: ancora una volta fate bene a rifarvi al Governo Draghi. Ancora una volta il rammarico è per quale motivo non avete lasciato l'originale, visto che vi ispirate così tanto a ciò che quel Governo aveva messo in atto e a ciò che quel Governo aveva in termini di visione del Paese. Però siamo qui, ormai siamo qui. Questa copiatura oltretutto è stata migliorata - e questo va detto - nel lavoro in Commissione. Pertanto, non si può che esprimere un parere positivo nel merito.
Per quanto riguarda le giuste osservazioni che sono state appena poste circa la copertura, non c'è bisogno di rifarsi all'audizione di Bankitalia, ma basta leggere il DEF di questa maggioranza. Sappiamo bene che nei prossimi anni non ci saranno coperture per determinare quell'abbassamento della pressione fiscale che tutti auspichiamo e che a parole - e non certo nella delega - viene annunciato anche da questa maggioranza. Ma, come dicevo, c'è stato un miglioramento in Commissione e, in particolar modo, la delega è stata migliorata ammainando definitivamente la bandiera della flat tax. Lo voglio dire ai colleghi delle opposizioni: guardate che quella bandiera è stata ammainata! Quel po' che rimaneva della flat tax, per la flat tax incrementale, grazie al nostro lavoro - anche in particolare al lavoro del nostro gruppo, sostenuto da tutte le opposizioni - non è più presente. Non c'è la flat tax! Rimane l'auspicio in un futuro - non in questa legge delega - di una flat tax, auspicio che ci sentiamo di derubricare guardando esclusivamente al merito. Non c'è più una bandiera e c'è semmai una false flag, una falsa bandiera, uno specchietto per le allodole in cui, purtroppo, molti sono caduti, dai partiti di opposizione che stanno alla mia destra, cioè la sinistra parlamentare, ai sindacati.
Noi, però, non ci siamo caduti. Abbiamo lavorato in Commissione, abbiamo trovato in questo lavoro una collaborazione da parte della maggioranza e del Governo e siamo fieri e orgogliosi di rivendicare che la flat tax incrementale è stata sostituita da un meccanismo che noi riteniamo più corretto e che non cerca di ammiccare a termini che sono ancora presenti nella legge delega, mentre la flat tax non è più presente. Quindi, rivendichiamo con orgoglio questo risultato, come ulteriore miglioramento di una legge delega che - ed essendo rientrato il Vice Ministro Leo lo saluto e lo ringrazio per il suo lavoro - abbiamo valutato come positiva in quanto si rifà ampiamente a quanto il Governo Draghi aveva già evidenziato come bisogno per il Paese.
Anche in termini di semplificazione ci sentiamo di condividere lo spirito della legge delega, proprio perché mi rifacevo a Ezio Vanoni che, come è noto, alla teoria affiancava la pratica. Finito il lavoro a Roma veniva a Morbegno, la sua città natale, la nostra città natale, e passava le ore con il segretario comunale per vedere come la messa in pratica delle sue norme impattasse realmente nella vita quotidiana del comune e dei cittadini.
Proprio rifacendoci a questo stile riteniamo necessario che la legge delega affronti il tema della semplificazione con uno stile che vuole decisamente superare l'impostazione, a volte vessatoria, a cui ci troviamo di fronte e a cui l'Agenzia si trova anche costretta da norme spesso contraddittorie, di difficile interpretazione, che, quindi, mettono non solo il cittadino e le imprese in una situazione difficile ma la stessa Agenzia o chi deve operare gli accertamenti. Questa situazione di sostanziale ingiustizia, che vanifica lo spirito positivo del fisco e delle tasse, va superata, anche nell'interesse del Paese e, come veniva già ricordato, per rendere più attrattivi gli investimenti, non solo gli investimenti stranieri. Anche noi italiani, che siamo allenati a questo tipo di sforzo, molte volte siamo di fronte ai rischi che una normativa incerta e indecifrabile, se non una volta operato l'investimento, pone a chi avesse il coraggio di muoversi in alcune materie.
Quindi, bene la semplificazione, bene che ci sia un atteggiamento preventivo, anche rispetto al tema dei contribuenti che possono incappare in errori, in omissioni, bene che si continui a combattere l'odiosa evasione fiscale ma occorre, con chiarezza, stabilire uno spartiacque entro il quale cittadini e imprese onesti che vogliono operare nella legalità possano trovare da parte dell'amministrazione pubblica un punto di riferimento che li aiuti ad operare in tal senso. Credo che sia nell'interesse di entrambe le parti. Da questo punto di vista, ci sembra che una valorizzazione dello statuto del contribuente, a cui spesso anche il Vice Ministro ha fatto riferimento, meriti, meriterà e meriterebbe, anche in quest'Aula, una sua sottolineatura. Si parla, addirittura, di una costituzionalizzazione dello statuto del contribuente. Sicuramente, dobbiamo mettere le norme a tutela del contribuente nella condizione di non finire in una sorta di corto circuito legale ed è quello che ci aspettiamo che venga fatto, proprio per sottolineare gli aspetti positivi che stiamo andando a ricercare all'interno di questa delega.
È stato richiamato anche l'intervento o, almeno, la volontà di intervenire sul tema della natalità da questo punto di vista. Ogni volta che viene toccato questo argomento, noi siamo sempre favorevoli e sempre richiamiamo la necessità di completare quanto è stato fatto in merito al Family Act. Dopodiché, tutto ciò che può essere aggiuntivo ci vede favorevoli ma, finché non si darà seguito a quanto di buono è già stato fatto, rimarranno solo parole e promesse che, piuttosto che vederci positivamente attenti, ci vedono anche un pochino sospettosi.
Ci sono delle incognite che rimangono, incognite che, forse, non potevano nemmeno essere del tutto chiarite in una legge delega, per quanto riguarda, soprattutto, i temi delle detrazioni e degli incentivi, temi che, a seconda di come verranno sciolti, determineranno l'equilibrio complessivo di questa delega e rispetto ai quali ci riserviamo di rimanere vigili e attenti, non solo rispetto a quanto il secondo ramo del Parlamento vorrà fare ma, soprattutto, in attesa dei decreti delegati.
Ci sono obiettivi, dunque, che sono stati raggiunti con questa prima lettura, per i quali ci sentiamo, dopo aver fatto le sottolineature che ho poc'anzi esposto, di esprimere un parere sostanzialmente positivo, nel merito. Se il buongiorno si vede dal mattino - mi riferisco, di nuovo, al mood sulla stampa odierna sulla capacità di questo Governo di tener fede agli impegni che si intravedono in questa delega - direi che non possiamo essere granché ottimisti su come andrà a concludersi, vediamo se davvero sarà entro la fine del 2024. Al momento, in data odierna, nel bene e nell'interesse del nostro Paese, pensiamo che il bicchiere sia mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto e ci sentiamo di sottolineare, pertanto, gli aspetti positivi, pur riservandoci di voler vedere come gli aspetti più ambigui, meno chiari, meno affrontabili con una delega saranno effettivamente affrontati nei decreti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Filini. Ne ha facoltà.
FRANCESCO FILINI (FDI). Grazie, Presidente. Nell'ottica di una razionalizzazione dei tempi, visto che abbiamo tanti argomenti da discutere in questa giornata, chiedo di poter depositare il mio intervento.
PRESIDENTE. Va bene, è autorizzato.
È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Saluto il Vice Ministro Leo. Oggi discutiamo della delega al Governo per la riforma fiscale, un atto che dovrebbe essere di vitale importanza per rimettere ordine nel Paese, perché c'è disordine nell'attuazione del principio dell'equità fiscale, non lo si può negare. Purtroppo, il Governo e la sua maggioranza ne hanno fatto un pessimo utilizzo, secondo quello che emerge dal testo della delega e dal dibattito parlamentare che si è tenuto in Commissione, e questo malgrado le parole cortesi del Vice Ministro Leo, al quale confermo la mia stima personale. Ci sarebbe stato bisogno di pensare ad una corretta distribuzione del carico fiscale, un elemento fondamentale di giustizia come base del contratto sociale nel quale i cittadini dovrebbero riconoscersi.
Se abbiamo un'idea distorta della realtà sociale, anche le politiche sociali conseguenti rischiano di prendere la strada sbagliata. Cerchiamo, allora, di fare una fotografia seria, senza strizzare l'occhio ai più furbi, a quelli che hanno esagerato con il sommerso, il nero, l'economia illegale e, conseguentemente, l'elusione e l'evasione fiscale. Il collega De Bertoldi ha fatto sfoggio, con il suo intervento, di come si liscia il pelo all'evasione, un fenomeno diffuso capillarmente; altro che nascondersi dietro ai grandi evasori. Guardiamo bene questa fotografia, la particolarità di un Paese nel quale si verificano tre condizioni che sono richiamate dal libro di Luca Ricolfi, La società signorile di massa. Ricolfi è uno statistico serio e competente della sociologia, non certo espressione del nostro campo più o meno largo. Tra l'altro, le tesi di Ricolfi sono state riprese il 2 luglio in un saggio del professor Alberto Brambilla; lo cito perché, anche questo professore, altrettanto serio e competente, non è espressione del nostro campo.
Allora, quali sono queste tre condizioni? Il numero dei cittadini che non lavorano ha superato ampiamente quello dei cittadini che lavorano; l'accesso ai consumi che possono definirsi benestanti ha raggiunto una larga parte della popolazione, e questo è positivo; l'economia è entrata in una lunga fase di stagnazione e la produttività è ferma da almeno un ventennio, e questo è negativo. Questa realtà, ampiamente documentabile, anche per una dimensione che non ha confronti con altri Paesi, dell'economia sommersa finisce per reggere su tre elementi. Su questo tema dell'economia sommersa, che oggi è stato richiamato da uno dei relatori, non si può fare il confronto con le condizioni di altri Paesi europei, specie con la Germania. Il nostro è un sommerso scandaloso, non parliamo di una cosa residuale: il 20 per cento è quello certificato dopo che, per anni, l'Istat non ha fatto, se non un generico riaggiustamento rispetto ai conti europei, uno studio approfondito sul tema del sommerso. L'Istat ha sempre evitato di affrontare il tema del sommerso non dico irregolare, che sarebbe questo, ma del sommerso malavitoso, che viene stimato in un numero che sta tra il 5 e il 6 per cento. Se noi sommiamo questi due dati, capiamo quanto la nostra economia dia una fotografia sbagliata di quella che è.
Quindi, finisce per reggere su tre elementi. Innanzitutto, la ricchezza, anche finanziaria, accumulata dai padri, più di quattro volte il PIL, e questo è positivo. Inoltre, la crisi profonda di scuola e università, la licealizzazione delle università e l'abbassamento dei parametri, la cosiddetta asticella, che ridimensiona il valore del titolo di studio che con queste università diamo agli studenti.
E infine, una struttura del lavoro con sacche di stampo paraschiavistico, in alcuni settori evidenti - basta girare per strada, agricoltura, edilizia -, che si riferiscono a lavoratori stagionali, a personale di servizio, a dipendenti in nero, a lavoretti della gig economy, al mercato della droga, all'esternalizzazione dei servizi, non meno di 3 milioni di persone. Quindi, 5 milioni di non cittadini, che sono gli immigrati, molti dei quali sono dediti a queste attività, 3 milioni di poveri di nazionalità italiana e 52 milioni di non poveri: questa è la fotografia del Paese, su cui dobbiamo mettere sopra questo 20-25 di sommerso che dà una dimensione della povertà e della ricchezza, molto diversa da quella che rileviamo dal punto di vista dell'efficacia o dell'efficienza delle cose; è falsata dall'abnorme dimensione del sommerso, perché c'è una grande vasta gamma di consumi signorili. Le case di proprietà sono molto diffuse, e questo è un vanto, è un punto positivo. L'automobile di proprietà chi non ce l'ha. Le vacanze oltre la metà della popolazione le pratica abitualmente. Il food per cani e per gatti è molto diffuso, seguire la traccia della pubblicità per capire l'evoluzione dei consumi; basta mettersi davanti a un televisore e si capisce. Immaginiamoci quando lo vede un cittadino dell'Africa subsahariana, che dovrebbe vivere con 2 dollari al giorno, che cosa penserà.
Lei, Vice Ministro, che conosce bene quelle aree, perché frequenta il Kenya, sa benissimo che queste cose hanno una dimensione per cui, con le tecnologie moderne, anche a un cittadino dell'Africa subsahariana può capitare di vedere che in alcuni Paesi dell'Occidente, segnatamente anche il nostro, c'è una pubblicità martellante per i cibi dei cani e dei gatti. Sono un tifoso dei cani e dei gatti, però è un contesto che evidenzia la condizione della non povertà, non dico della ricchezza. E poi il fitness. Il fatturato delle sostanze illegali vale 15 miliardi, il triplo della spesa in istruzione. Il gioco d'azzardo legale raggiunge i 107 miliardi di euro l'anno e corrisponde quasi al totale della spesa sanitaria, 117 pubblica più 40 privata. Ovviamente non considero il gioco d'azzardo illegale, che è un'altra delle dimensioni che vanno calcolate, perché esiste, c'è. Almeno a sentire quelli che praticano o che organizzano il gioco d'azzardo legale c'è una lamentela nel senso che questo gioco sarebbe ampiamente ridimensionato rispetto al gioco d'azzardo illegale. Il gioco d'azzardo poi viene enfatizzato anche dalla Rai con programmi di successo che in questi anni hanno tenuto banco, come L'eredità e Affari tuoi, a partire dal 2003 a ridosso del TG1. Chi è che non vede la distanza siderale che c'è tra il messaggio dei pacchi e quello di “Lascia o raddoppia?” piuttosto che di Rischiatutto? Ho avuto la fortuna di avere un professore che si era presentato a “Lascia o raddoppia?”, e che sapeva a memoria la Divina Commedia, eppure è caduto in un infortunio sull'Inferno, ma dava a noi studenti la sensazione che bisognasse sapere qualcosa. Non si poteva andare a “Lascia o raddoppia?” se non si conosceva una materia. Ora che distanza siderale c'è tra “Lascia o raddoppia?” e i pacchi? Alla base dei pacchi ci deve essere una sfacciata fortuna. Se tu hai la fortuna, hai risolto il problema. Primi in Europa e terzi nel mondo per numero di utenti unici di telefonia mobile e possessori di smartphone, il quale poi determina più social che approfondimento e cultura, da cui emerge anche una certa violenza dei social rispetto alla stessa cultura popolare del bar del paese, per tornare indietro ad abitudini che avevano un loro valore e una loro serietà. Siamo dunque divenuti una società signorile di massa non solo perché i nostri livelli di benessere sono ben al di sopra della sussistenza, non solo perché chi lavora è in netta minoranza rispetto a chi non lavora, non solo perché il tempo dedicato all'evasione e allo svago è ampiamente superiore a quello dedicato al lavoro e allo studio, ma anche perché tra i redditi che alimentano i consumi primeggiano le rendite, ossia la tipica fonte da cui, nella storia, la classe agiata, nobili e proprietari, signori di un tempo, si intende, quelli hanno poggiato le loro vite. Allora questa lettura non è strumentale, perché poi sono un figlio del popolo, quindi queste cose le ho viste come uno che si gira, che si guarda attorno e che cerca di essere informato, e non ho avuto invidia per quelli che lo hanno praticato. È una lettura che do delle cose. Questa lettura determina conseguenze sull'evoluzione del nostro sistema fiscale. Vorrei richiamare alcuni punti. La massiccia evasione di intere categorie di contribuenti, che nascondono al fisco il 65-70 per cento della loro base imponibile, proveniente da redditi di lavoro autonomo e da impresa individuale. Agli stessi contribuenti è poi riservata un'imposta sostitutiva con determinazione forfettaria dell'imponibile e aliquota piatta molto favorevole, cui si è aggiunta, per chi non aderisce al regime forfettario, l'aliquota piatta sugli incrementi di reddito. Il trattamento agevolato per lavoratori autonomi e professionisti si traduce in una serie di distorsioni che aggravano la scarsa produttività del settore dei servizi. Secondo, la frammentazione del sistema di imposizioni, per cui non solo le diverse tipologie di reddito sono trattate differentemente, ma esistono differenziazioni anche all'interno di tali categorie, con la conseguenza che, pure a parità di reddito, i contribuenti subiscono prelievi molto diversi. Terzo, i regimi cedolari e sostitutivi, molto diffusi, che sottraggono una parte rilevante dei redditi alle addizionali comunali e regionali Irpef, e quindi al dovere di contribuire al finanziamento dei servizi pubblici locali, cui sono dedicate queste addizionali. La struttura delle aliquote effettive dell'Irpef, caratterizzata dall'esistenza di aliquote implicite molto elevate, con effetti negativi sulla trasparenza delle imposte, che, a causa del sistematico svuotamento della sua base imponibile, riserva sempre più la progressività del prelievo ai soli redditi di lavoro dipendente e di pensione. Oggi il Corriere della Sera ci aiuta, penso che anche la dottoressa Gabanelli non sia considerata una che sta trescando per ribaltare il Governo, però l'articolo di oggi è emblematico ed è carico di dati, sono puntati su questa sintesi che ho fatto. Cinque, la pianificazione fiscale aggressiva dei gruppi multinazionali, e questo è un tema che dovrebbe rilanciare il nostro stare in Europa, perché la questione delle multinazionali si affronta nella dimensione europea. Tra l'altro, dovrebbe essere questa la base del nuovo bilancio europeo, con entrate proprie. In uno schema di Europa federale è chiaro che queste multinazionali devono guardare in faccia l'Europa nel suo insieme, non pensare di giocare gli uni contro gli altri. Allora potremo occuparci anche dei paradisi fiscali olandesi e di qualche altro, ma avendo la forza di ribadire il concetto del nostro europeismo. Sei, l'arretrato del catasto che penalizza i proprietari di immobili di minor pregio rispetto a quelli di maggior valore, e non voglio andare oltre. Si nega persino la necessità di avere non dico una cronistoria, ma una fotografia, capire di cosa stiamo parlando. Poi possiamo decidere di non applicare nessuna imposta, mi sembra evidente, il Vice Ministro Leo, che è qui, della provincia di Roma, sa benissimo che ci sono, sulla base delle constatazioni, dei valori che non sono commisurabili tra chi sta in centro e chi sta in periferia, ma, dal punto di vista fiscale della lettura che è data da un catasto che è invecchiato, c'è il paradosso, l'eccesso del prelievo fiscale e contributivo sul lavoro rispetto agli altri redditi e agli altri fattori di produzione. Otto, la mancanza di volontà per trovare le soluzioni legislative e amministrative necessarie a consentire il pieno utilizzo di tutte le banche dati. Qui ci siamo nascosti dietro tutto, compresa la privacy. Si dice: ma qui non si può toccare, i dati li abbiamo, ma non possiamo utilizzarli perché c'è la privacy, bisogna avere la privacy. Quindi tutti i comportamenti che possono portare anche a delle deviazioni vengono considerati come degli elementi insormontabili, ma queste banche dati ci sono. Basta dire al capo dell'Agenzia delle entrate che le utilizzi pienamente, e il Governo dovrebbe dare un supporto pieno all'Agenzia delle entrate non solo per il contrasto preventivo all'evasione, ma anche per l'efficientamento dell'attività di riscossione, che è un tema al quale il Vice Ministro Leo dedica grande attenzione. Da ultimo, la delega fiscale non affronta per nulla la questione dell'autonomia impositiva degli enti locali. È una lacuna perché la riforma di 50 anni fa, già ricordata, aveva trasformato la finanza locale, che poggiava sull'imposta di famiglia e che rendeva autonomi i bilanci comunali, in finanza derivata su base storica, peraltro.
Pertanto, le ingiustizie che si consumano nella trasformazione della struttura di finanza locale in finanza derivata statale sono enormi. Pensare di fare una riforma del fisco senza occuparsi di questa dimensione la trovo una cosa molto sbagliata.
Mi avvio a concludere. Abbiamo dovuto prendere atto, amaramente, che così una grande occasione viene sprecata dal Governo; la delega fiscale, non solo, non affronta, ma appare in contrasto con la necessità di una profonda riforma fiscale. Qui è stato citato anche Vanoni, sì, avremmo bisogno di fare un bagno nella testa, nelle idee di tanta parte dei nostri padri fondatori, ci sarebbe bisogno di una profonda presa di coscienza del Paese. Certo che quando si è messi di fronte alla domanda: “la vuoi con la fattura o senza?”, non è che dobbiamo pensare che i cittadini debbano essere tutti degli eroi, però, vanno messi nella condizione di capire che, quella, è una modalità con cui due si accordano per raggirare lo Stato, con conseguenze negative, poi, sull'organizzazione dei servizi. Due si mettono d'accordo, come già è accaduto, poi, nella gestione del superbonus 110. Quello che si è scoperto in materia di truffe era legato al fatto che due si mettevano d'accordo, perché tanto alla fine pagava Pantalone. Ecco, noi confidiamo che le ingiustizie manifeste smuovano non solo la coscienza civile, ma la consapevolezza di un nuovo contratto sociale a cui ho fatto riferimento all'inizio.
Nel concreto, la vostra delega è ingiusta e priva di coperture finanziarie. Qualche collega l'ha avanzato, nel suo intervento il rappresentante di Italia Viva ha poi detto che questa cosa non c'è più, quindi, cosa voleva dire? Che non c'è più la flat tax perché non ci sono le coperture. Il tema delle coperture finanziarie è molto importante, perché questo limite esporrà la finanza pubblica a rischi pesanti e il costo di aver preferito lisciare il pelo ai più furbi a qualsiasi costo è questo.
Concludo. La mia sensibilità, e anche l'ottimo intervento del collega Stefanazzi, del collega della sinistra che è qui vicino a me, è l'opposto del tecnicismo del Vice Ministro Leo, il che non significa che Leo non sia apprezzabile per le sue qualità tecniche, solo che, talvolta, la tecnicalità professionale confonde l'interesse generale, il bene comune, con le attese di coloro dei quali, oggi, il teorico dei commercialisti ha parlato prima. De Bertoldi mi pare che abbia detto: noi commercialisti, noi che abbiamo visto… Ma voi quando parlate dei clienti che vedete, qualche volta pensate di parlare ai vostri elettori, ma il problema di parlare al bene comune, all'interesse generale è questo, è un compito complicato; non è che ho la soluzione in tasca, però, ho voluto darvi una dimensione del modo di guardare le cose che poteva essere utile anche per integrare un ragionamento, perché questa è una riforma che ha un suo peso, una sua forza. E non si dica che l'abbiamo fatto in maniera educata, non è questo il problema; abbiamo avuto opinioni radicalmente diverse in Commissione, radicalmente diverse, dette con grande educazione e anche con simpatia reciproca, il problema, però, è che così come voi l'avete impostata, se pensate di andare avanti, non andate a incrociare l'interesse generale e il bene comune, ma incrociate molti altri rischi, per i quali io non auguro al Paese che questa sia la conclusione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartini. Ne ha facoltà.
ANDREA QUARTINI (M5S). Presidente, Vice Ministro, relatori, come sapete il MoVimento 5 stelle nelle varie Commissioni ha espresso un parere negativo, non solo perché va da sé che chi è all'opposizione una legge delega a un Governo la guarda con un certo sospetto, ma soprattutto per i contenuti. La preoccupazione più significativa è che c'è una specie di cambiale in bianco. I contenuti, i perimetri della delega sono evanescenti, fondamentalmente, quindi, un po' di preoccupazione in questo senso lasciatecela, consentitecela.
In realtà, si tratterebbe di una riforma fiscale che va indietro negli anni, una specie di restyling di una norma vecchia di cinquant'anni. Una delle preoccupazioni che è stata espressa un po' da tutti è che non c'è niente rispetto alla tassazione della nuova economia, dell'economia digitale. Anche rispetto alle web tax siamo - come dire - molto teneri.
Questo disegno di legge delega lo vediamo anche come un concentrato di contraddizioni: si parla di equità orizzontale, il principio secondo cui a parità di reddito tutti devono pagare la stessa imposta, ma, di fatto, siamo di fronte all'esplosione di imposte sostitutive per cui ognuno paga in base al regime che gli capita e questo comporta delle sperequazioni tra contribuenti, tra dipendenti e lavoratori autonomi, addirittura, all'interno delle stesse categorie di autonomi e imprese, quindi, queste sperequazioni non si risolvono. Lo vediamo per certi versi in termini di contraddizione come un vero ossimoro quando si parla di riduzione della tassazione, da un lato, e, dall'altro, si parla di tutela della sicurezza sociale, appalesando quella che, di nuovo, è una delle nostre preoccupazioni più grandi e cioè che la maggioranza rischi di entrare di nuovo in un meccanismo manipolativo, di false promesse, di giravolte, a cui oggettivamente siamo abituati, ma, dal nostro punto di vista, come ha detto bene il Vice Ministro in questo senso, la legge fiscale dovrebbe essere in qualche modo il più possibile condivisa, il più possibile trasversalmente condivisa.
Allora, si dovrebbe partire dall'idea che i diritti non sono concessi, ma vanno garantiti con la fiscalità generale. Questa idea della tutela della sicurezza sociale deve andare in quella direzione, con il concorso fiscale progressivo in base alla capacità contributiva, eliminando i sistemi tributari francamente regressivi, come del resto recita l'articolo 53 della Costituzione e, perché no, attraverso anche la tassazione degli extraprofitti di aziende e soggetti che hanno speculato sull'attuale crisi, dall'energia alle armi, alle assicurazioni, alle banche, alle aziende farmaceutiche e alle aziende del web, come si diceva poc'anzi. Quindi, questa ostilità all'idea di prevedere che si possano tassare gli extraprofitti di chi ha speculato, non solo, sulla crisi attuale, ma anche sulla pandemia, è una cosa che ci lascia l'amaro in bocca. Si poteva mettere come perimetro da suggerire al Governo in questa delega, invece, non lo si è fatto. La patrimoniale occulta c'è già e la stanno pagando gli italiani privati del proprio potere d'acquisto e di 61 miliardi di risparmio a causa dell'inflazione e del caro mutui.
Certamente, una vera lotta all'evasione fiscale passa anche attraverso un monitoraggio attento e in grado di incrociare i dati fiscali, questo rappresenta un nodo fondamentale per combattere sul serio problemi di corruzione, collusione, evasione, falso in bilancio che verrebbero praticamente debellati alle radici. Quindi, questo segnale c'è in questa delega, ma è debole, è ancora troppo tenero. Bisogna andare un pochino più a fondo, anche perché la speculazione e il riciclo del denaro sporco possono essere combattuti attraverso un sistema serio da questo punto di vista e si può colpire in tal senso uno dei tentacoli della piovra mafiosa in maniera significativa. Il problema è che - e questo ci duole -, a partire dalla legge di bilancio, fino all'infelice affermazione della Premier sul discorso del “pizzo di Stato”, peraltro, pronunciato proprio in Sicilia, questa maggioranza, tra condoni occulti, innalzamenti dei tetti di contante, tentativi di rendere non obbligatori i POS, in realtà, continua a strizzare l'occhio agli evasori.
Quindi, ci chiediamo di quale delega si parli. Di cosa si parla?
Inoltre, si continua a far cassa sui poveri, come si è visto con la lotta contro il reddito di cittadinanza, e sui lavoratori precari, precarizzandoli ancora di più con il “decreto Precarietà ed esclusione sociale”, siglato proprio il 1° maggio, facendo la festa ai lavoratori. Si fa poi cassa, ancora, mantenendo il ruolo di biscazziere allo Stato nello stesso gioco d'azzardo, promuovendolo ogni volta che c'è da far cassa, senza far niente per scoraggiarlo. Anzi, si mantiene l'invarianza di gettito, per garantire entrate allo Stato e ai concessionari. In passato e attualmente, anche con il “decreto Alluvioni”, addirittura lo si è incoraggiato con lo scopo di finanziare le ricostruzioni. È scandaloso far cassa per ricostruire attraverso il gioco d'azzardo o attraverso l'aumento del biglietto per entrare ai musei, penalizzando le fasce più povere e la scuola. È una misura che a noi non convince. Chiariamoci: coloro che azzardano perdono sempre. Dobbiamo aver chiaro che si è deciso di lasciare tutto com'è, si è deciso di far pagare a chi soffre. Questo è fuori discussione. Del resto, è una questione di algoritmi e di previsioni pregiudizievoli: chi vince è sempre il banco. Di ogni 100 euro giocati, per esempio, al Gratta e vinci o alle slot, a prescindere, 25 euro vanno in profitto per i concessionari o per lo Stato che, poi, alle vincite sopra i 500 euro applica una tassazione aggiuntiva. Vorrei che quest'Aula potesse avere l'occasione di essere più sensibile al tema, quindi, lo approfondisco in maniera più dettagliata. La stessa semantica sull'azzardo, Presidente, andrebbe meglio chiarita. Non si dovrebbe più parlare - non lo dice Andrea Quartini ma lo dicono tutte le società scientifiche che si occupano di gioco d'azzardo - di azzardopatia, di ludopatia, di gioco d'azzardo patologico, concetti che circoscrivono a pochi soggetti malati il problema, ammesso che 1,5 milioni di famiglie coinvolte nel disturbo da gioco d'azzardo grave siano poche; e non sono solo le famiglie ma, a volte, intere comunità. Si dovrebbe parlare di disturbo da gioco d'azzardo, con passaggio progressivo dalla cosiddetta normalità alla patologia grave e conclamata. Questo concetto, ormai consacrato dalla letteratura scientifica, ci suggerisce che l'azzardo, il disturbo da gioco d'azzardo, può riguardare ciascuno di noi: nessuno si può considerare al riparo dal rischio di sviluppare un problema serio. Preoccupa in tal senso molto - ma molto - l'iniziazione all'azzardo tra i giovani perché, come sappiamo, prima si comincia più c'è il rischio di una dipendenza. Si sta parlando di 1,5 milioni di dipendenti da gioco, di 2,5 milioni di giocatori problematici, che ancora non hanno le caratteristiche diagnostiche della dipendenza, di 6 miliardi che lo Stato spende per le patologie correlate, di 3 miliardi 800 milioni di sottrazione IVA sui consumi delle famiglie. Veramente allo Stato conviene? Recupera grosso modo 8-10 miliardi ma perde 3,8 miliardi di sottrazione IVA sui consumi delle famiglie e 6 miliardi per curarli. Ancora siamo fermi a questo ragionamento, che è un ragionamento folle. Come si può pensare che lo Stato possa far cassa su una patologia come questa, che ci costa di più della cassa che si ottiene? Gli unici che ci guadagnano sono i concessionari, non altri, e in questo decreto Fiscale si va avanti con l'idea del mantenimento dell'invarianza di bilancio sul gioco d'azzardo. Il disturbo da gioco d'azzardo, più che alle perdite nette dei giocatori, si correla al tempo dedicato: ogni anno, oltre 100 milioni di giornate lavorative sono impiegate, da chi gioca d'azzardo, per il gioco. La raccolta dal gioco d'azzardo ha toccato il record nel 2019, con 110 miliardi, nel 2021 ha recuperato la flessione dovuta alla pandemia e nel 2022 ha sfondato tale livello, con un valore stimato fra i 130 e 140 miliardi. Recentissimi studi denunciano la ripresa di gioco d'azzardo fra i minori. Il fenomeno porta a prevedere, negli anni immediatamente a venire, una recrudescenza dei fenomeni sociali di patologia e disagio tra adulti, giovani e minorenni. Va considerato che la precoce iniziazione al gioco d'azzardo è correlata a un maggior rischio di sviluppare dipendenza e forme più gravi e difficili da curare. È erroneo limitarsi a considerare unicamente le entrate derivanti da azzardo e non anche le alternative in termini di opportunità nell'orientamento della spesa, nonché le esternalità negative derivanti dal gioco d'azzardo di massa. Anche prescindendo da tutto ciò, sul piano costituzionale e ordinamentale, i principi di tutela della salute, della famiglia, del risparmio e della sicurezza debbono intendersi sovraordinati agli interessi fiscali, come hanno ben riportato svariate sentenze della Corte costituzionale, dei TAR, del Consiglio di Stato ma anche della Corte dei conti. Sempre in chiave semantica, dovremmo smetterla di chiamarlo gioco. Scusate, ma la parola “gioco” evoca un divertimento. La parola “azzardo” evoca stress, evoca paura, evoca rischio, evoca pericolo, non evoca divertimento. Pensate alle famiglie in cui c'è un giocatore d'azzardo, dove i figli sviluppano, a livelli drammatici, patologie psicosomatiche. Loro stessi sono a rischio di sviluppare una dipendenza da alcol, da droghe, da tabacco e dallo stesso gioco d'azzardo. Come si fa a parlare di gioco? Sarebbe ora di cambiare da un punto di vista semantico, sarebbe un messaggio importante anche a livello culturale. Chiamiamolo semplicemente “azzardo”, non chiamiamole “sale giochi” ma chiamiamole “sale scommesse”, “sale del rischio”, come volete, chiamiamole come vogliamo, ma non chiamiamole “sale giochi”, è una truffa semantica, è un rischio grosso che trasferiamo soprattutto alle giovani generazioni. L'ambiguità semantica resta, inoltre, nel conciliare il codice penale, che ancora oggi proibisce il gioco d'azzardo, con la prevenzione e tutela dello stesso indotto dai giochi cosiddetti leciti per aggirare l'ostacolo del codice penale. Tanto è vero che si continua a parlare di giochi leciti, sapendo che il codice penale ancora oggi proibisce il gioco d'azzardo. Quale ipocrisia ci può essere dietro a questo nostro modo di legiferare? Sappiamo bene che il gioco d'azzardo è illegale e, allora, ci siamo inventati la formula del gioco lecito per far cassa. Che cassa è, se poi ci si rimette il doppio? Ora esagero, forse non è il doppio, ma senz'altro gli stessi soldi che si guadagnano facendo cassa si spendono per la cura delle patologie derivanti. Fino alla fine degli anni Novanta, il gioco d'azzardo era confinato in luoghi e tempi predefiniti. Nel 2003, viene liberalizzato in maniera molto consistente, con l'idea del machine gambling, che è la forma più pericolosa, capace di ingegnerizzare la dipendenza. Si concede all'industria dell'azzardo di accedere ai luoghi primari di socialità, rompendo le barriere di confinamento logistico e temporale - bar, circoli ricreativi, ristoranti - senza alcun vincolo né di luogo né di orario. In particolare, fino al 1996 avevamo solo il Totip, il Totocalcio e il Lotto; nel 1997, le prime sale scommesse e poi le sale Bingo; nel 2003, anno di svolta, la legge finanziaria introduce le slot machine, fino ad allora vietate; nel 2009-2010, con il decreto per il terremoto Abruzzo, nuove lotterie, estrazioni istantanee e le famose VLT; nel 2012-2013, alcune regioni italiane cominciano a preoccuparsi e si ribellano con leggi regionali, volte a contrastare la diffusione incontrollata del gioco sul territorio.
Come non ricordare lo scandalo del 2012: dopo 5 anni di battaglie, la Corte dei conti attribuì una multa di 2,5 miliardi di euro a 10 concessionari di slot machine. In primo grado, venne dimostrata la colpa delle suddette concessionarie di non aver collegato le macchine alla rete dei Monopoli, che ne poteva e doveva controllare l'attività; la sanzione in caso di non rispetto degli obblighi prevedeva multe pari a 50 euro per ogni ora di attività non collegata. Secondo la Guardia di finanza c'erano da saldare 90 miliardi di euro. La Corte dei conti non la pensava così e decise di accogliere la richiesta subordinata, di appena 2,5 miliardi. Tuttavia, il Governo Letta, d'accordo con Berlusconi, trovò una soluzione ancora più favorevole ai concessionari: sconto di tre quarti. Se avessero pagato rapidamente, un modo per trovare le coperture per l'abolizione dell'IMU sulla prima casa, secondo il Governo, si sarebbe potuto ridurre di tre quarti quella multa di 2,5 miliardi. E' evidente che, all'epoca, il Governo si inginocchiò di fronte a signori del gioco d'azzardo, con uno scandaloso condono che ridusse le sanzioni per le concessionarie di slot e videopoker.
Date tutte le premesse che ho fatto, porre come obiettivo prioritario della riforma del gioco d'azzardo il mantenimento dei ricavi per lo Stato è un'illusione sciagurata che dilata i rischi e i danni sociali. La tassazione sui giochi d'azzardo è doverosa, ma deve andare nella fiscalità generale, non essere usata per coperture specifiche; è come finanziare le cure oncologiche promuovendo il gettito da sigarette.
Ricordiamo il decreto L'Aquila? Proviamo a rammentare quel decreto L'Aquila che è simile al decreto Alluvioni di oggi; introdusse nuovi giochi d'azzardo per finanziare la ricostruzione de L'Aquila; la città non è stata ricostruita e la sua provincia è diventata il territorio più martoriato dall'azzardo, perché il sistema ha indotto il gioco; un Paese che è al dodicesimo posto per reddito non può sostenere il primo mercato d'azzardo d'Europa; l'Italia è quarta al mondo in gioco d'azzardo, ha un triste primato: prima in Europa; è quarta, dopo USA, Cina e Giappone. La spesa per il gioco d'azzardo è, di fatto, un prelievo sulle famiglie e sui territori a minor reddito. E' confermato da svariate analisi che la propensione a giocare d'azzardo aumenta al diminuire del reddito, al Nord come al Sud; nella provincia di Rovigo, unica in Veneto con redditi sotto la media nazionale, si azzarda il 40 per cento in più. Si può, quindi, considerare un prelievo erariale implicito, in contrasto con il principio costituzionale per il quale chi è meno abbiente deve pagare meno tasse e con la necessità di coesione territoriale.
Circa la metà della spesa per il gioco d'azzardo è sostenuta da comportamenti patologici e problematici; lo denunciano da tempo associazioni di studio come Alea e, cosa abbastanza sorprendente, è confermato implicitamente dalle dichiarazioni dell'ex direttore Minenna, dall'allora direttore del comparto giochi, Saracchi e dal Sottosegretario Freni, rese in audizioni nelle Commissioni parlamentari di inchiesta, oltre che da diversi esponenti del settore; essi affermano, infatti, che i servizi di gioco d'azzardo denotano una domanda anelastica; ebbene, la domanda anelastica è tipica per i beni di prima necessità o per consumi che hanno alla base una componente di dipendenza. I trend in atto mostrano un continuo spostamento dei consumi d'azzardo dalla rete fisica (bingo, gratta e vinci, slot, sale scommesse) verso i canali di offerta online, dove la percentuale di tassazione è nettamente inferiore, per esempio nel cosiddetto betting exchange arriviamo a prelievi inferiori all'1 per cento. Va da sé che, pur aumentando il consumo totale, le entrate erariali, dopo anni di lenta crescita vanno e andranno a ridursi. Confrontando i dati dell'ultimo decennio, si nota già che, dal 2011 al 2021, le entrate erariali sono scese da 8,8 a 8,4 miliardi, mentre la raccolta, ovvero il volume totale di giocate si è impennato da 79 miliardi a 111 miliardi.
È importante sapere che i danni psicologici, sociali e familiari non sono correlati alle entrate fiscali, ma al tempo trascorso, come ho già detto precedentemente, nel praticare o a pensare al gioco d'azzardo. Ne deriva che, a fronte di un gettito erariale inferiore si è aumentato un fattore di rischio ambientale di oltre il 40 per cento. Mantenere il gettito fiscale oggi significa lasciare esplodere la situazione sul piano sociale.
Lo Stato offre condizioni di favore per incentivare l'adesione spontanea al circuito legale, non disponendo dei mezzi per eradicare l'illegalità. Sul medio periodo la possibilità di garantire l'invarianza di gettito, allineando il sistema di prelievo online alla raccolta fisica, appare, dunque, illusoria. Noi sappiamo, per esempio, che, durante il lockdown, durante le chiusure per la pandemia, c'è stato un calo di gettito di oltre 4 miliardi nel 2020, che sono stati assorbiti nel bilancio statale senza traumi, pur concorrendo alle necessità di scostamento. Va considerato, peraltro, che la diminuzione del gettito è strettamente correlata a una diminuzione delle perdite e delle sofferenze per le famiglie. I giocatori patologici nei colloqui presso i centri di cura riferiscono che, durante il lockdown, hanno ridotto o smesso di giocare e stiamo parlando di persone che, in apparenza, ci si aspettava sarebbero transitate su consumi online durante la pandemia o verso circuiti illegali. Invece, il fenomeno, molto conosciuto, chiamato craving, l'appetizione patologica, il desiderio di bere che si è osservato nei problemi alcool-correlati (è stato studiato in quell'ambito) e che si è riscontrato anche nei giocatori d'azzardo patologici, ossia questo desiderio importante, il desiderio irrefrenabile di giocare, il desiderio impulsivo scompare o si attenua fortemente quando la sostanza o il comportamento non sono disponibili.
Le chiusure hanno migliorato il potere d'acquisto e la qualità della vita nelle famiglie fragili; sono stati miliardi spesi diversamente, a vantaggio di altre filiere produttive e commerciali, peraltro a maggior assorbimento di manodopera, che hanno portato gettito e contribuzione alternativa e hanno ridotto la necessità di assistenza pubblica a moltissime famiglie in difficoltà.
Con tutta la comprensione che noi abbiamo nei confronti dei dipendenti del settore, il lockdown e le chiusure non hanno favorito enormemente le mafie, come alcuni sostengono; lo stesso Procuratore nazionale antimafia ha chiarito, in sede ufficiale, che il fatto che potessero favorire il gioco illegale è frutto di ipotesi meramente presuntive.
Nel 2019, del resto, sono stati chiusi più di 1.000 siti illegali, mentre nel 2020, a fronte di un'asserita esplosione, ne sono stati chiusi meno di 300. Analogamente, nei primi 5 anni in cui è stata in vigore la legge regionale del Piemonte cha ha calmierato l'offerta d'azzardo sono diminuiti sia i consumi d'azzardo che i malati, mentre non risultano aumentati i casi di illegalità. Giova ancora ricordare che l'infiltrazione mafiosa nell'offerta legale ha raggiunto livelli che finalmente vengono riconosciuti dai Monopoli; una trentina di concessioni sono state revocate per la vicinanza dei titolari alle consorterie mafiose; in Sicilia sono state scoperte reti che controllavano qualcosa come 400 ricevitorie di scommesse regolarmente autorizzate che, però, giravano sottobanco le puntate sui siti illegali, promuovendo tali canali anche per un consumo diretto, da casa; la rete legale faceva dunque da procacciatore d'affari per quelle illegali; nel territorio della provincia di Bari la gestione delle slot machine legali era condizionata dalla criminalità organizzata al punto che il procuratore capo, Roberto Rossi, ha recentemente denunciato che non si può più parlare di infiltrazione: la mafia ha assunto il controllo. Tutto questo è stato riportato ampiamente nella relazione della Commissione antimafia uscente.
In definitiva, pur riconoscendo che su una simile riforma si debba procedere con prudenza, con cautele, senza scompensi, pensare di porre come premessa intoccabile il mantenimento delle entrate, dunque un'ulteriore espansione dei consumi, non è ricevibile sotto ogni punto di vista che sia compatibile con il bene pubblico. Per questo abbiamo presentato alcuni emendamenti - anche questi ovviamente respinti - in sede di Commissione; una parte di questi proveremo a riproporli in Aula e speriamo che ci sia una maggiore sensibilità da parte della maggioranza e del Governo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 1038-A e abbinata)
PRESIDENTE. I relatori e il rappresentante del Governo hanno comunicato alla Presidenza che non intendono intervenire in sede di replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Dori e D'Orso; Pittalis ed altri; Maschio ed altri: Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo (A.C. 536-891-910-A) (ore 17,20).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 536-891-910-A: Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - Testo unificato - A.C. 536-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
Le Commissioni II (Giustizia) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione giustizia, deputato Devis Dori.
DEVIS DORI , Relatore per la II Commissione. Grazie, Presidente. Approda oggi, in Aula, il testo unificato delle proposte di legge finalizzate alla prevenzione e al contrasto del bullismo e del cyberbullismo.
Generalmente, i ringraziamenti si fanno al termine di un percorso, ma nel caso specifico, nonostante l'iter sia ancora da completare con gli ultimi passaggi qui in Aula, ritengo comunque doveroso, sin d'ora, riconoscere il contributo offerto da tutti i protagonisti di questo risultato.
Ringrazio i presidenti delle Commissioni giustizia e affari sociali, che hanno mostrato il loro profilo istituzionale agevolando questo risultato, e i colleghi relatori Dondi, Matone e Ciani con i quali ho portato avanti un lavoro di oltre 4 mesi; un lavoro importante non solo nei contenuti, ma anche nel metodo, con un rispetto reciproco, anche a livello personale, che onora questa istituzione. I ringraziamenti vanno anche ai capigruppo di maggioranza e opposizione, nonché alla collega D'Orso con la quale condivido questo percorso sul tema del bullismo e cyberbullismo dal 2018, quando presentammo una proposta di legge già nel gennaio 2019, testo che poi è diventato la traccia per il lavoro che ci ha portato fin qui oggi, in Aula. Poi, va rilevata l'importanza degli uffici e dei funzionari delle due Commissioni che ci hanno accompagnato in questi mesi con grande pazienza e competenza.
Il testo che approda oggi in Aula è il risultato di un percorso che, in realtà, ha avuto il suo primo impulso nella scorsa legislatura, e questo è un ulteriore valore aggiunto: sapere che il lavoro svolto in una legislatura, se ha una rilevanza sociale, possa proseguire anche in quelle successive, senza buttare il lavoro svolto, concependo il nostro ruolo come parte di un tutto più ampio in cui possiamo dare il nostro contributo senza personalismi, ma puntando al risultato per il bene dei cittadini, senza bandierine di partito. Infatti, se abbiamo avuto la possibilità di usufruire della procedura d'urgenza (prevista dall'articolo 107, comma 1, del Regolamento della Camera) e tale urgenza è stata approvata all'unanimità, qui, il 15 febbraio scorso, è perché un testo era già stato approvato nella scorsa legislatura in quest'Aula, il 29 gennaio 2020; poi l'iter, come è noto, si era interrotto al Senato e, con lo scioglimento anticipato delle Camere, non è stato possibile concluderlo.
Dall'incardinamento di quella proposta di legge nel maggio 2019, a oggi sono cambiati tre Governi di colore politico diverso, ma è stato possibile tenerla viva perché si tratta di un tema trasversale. Con “trasversale” intendo dire d'interesse di tutti, dove tutti hanno lo stesso obiettivo, nello specifico la prevenzione e il contrasto del bullismo. E posso assicurare che tutti hanno lavorato con il comune e sincero intento di migliorare e potenziare la normativa antibullismo.
Il nostro sforzo è stato quello di arrivare fin qui con un testo condiviso: di strumenti in campo ce ne erano vari e, quindi, abbiamo cercato di tenere sul tavolo solo quegli aspetti sui quali ci trovavamo totalmente d'accordo. Tutti, insomma, hanno mostrato grande maturità politica.
Si tratta davvero di una bella pagina di storia parlamentare dove il Parlamento torna protagonista e dove i gruppi parlamentari hanno dialogato serenamente col massimo rispetto.
Ora svolgerò alcune considerazioni generali e, poi, lascerò ai miei bravi colleghi relatori il compito di illustrare il dettaglio dei singoli articoli.
Prima considerazione. Possiamo scrivere qualsiasi definizione di bullismo, ma c'è una parola che, più di tutte, rappresenta esattamente il bullismo e ne riassume tutte le caratteristiche: violenza. Il bullismo è violenza; non è uno scherzo, non è un gioco, non è una ragazzata, non c'è nulla di divertente. Quindi, noi oggi abbiamo il peso e la responsabilità di parlare di violenza, di violenza interpersonale; una violenza che può assumere varie forme e sfaccettature, ma che tale è e tale rimane; una violenza che potrebbe anche sfociare in qualcosa di più grave in prospettiva futura, se non si interviene adeguatamente.
Seconda considerazione. Per quanto possa apparire ovvio, è bene ribadirlo anche in quest'Aula: la legge non è una formuletta magica con la quale si può pensare, in un sol colpo, di spazzare via o di risolvere un problema sociale drammatico. Ciò vale in generale così come per il bullismo. Il contenuto di qualsiasi legge o proposta di legge va, piuttosto, concepito come un contributo a raggiungere un risultato voluto per agevolarlo e per indirizzarlo, e consente anche di far prendere maggiore consapevolezza circa la gravità di certi comportamenti, qualora l'opinione pubblica non fosse ancora sufficientemente sensibilizzata.
Serve un processo culturale di durata indefinita. Un processo culturale che comunque - va rilevato - è già in atto perché, rispetto a qualche anno fa, oggettivamente, c'è maggiore consapevolezza, e in questo senso la legge ha un ruolo fondamentale.
La legge è il punto massimo, il punto più alto di riconoscimento di un fatto sociale; è il grado massimo di consapevolezza di un dramma sociale. Ma una legge, come dicevo, anche la migliore legge, da sola non può risolvere un problema così complesso. Quindi, lungi da noi la pretesa di affermazioni fuori misura. Questo è un contributo che offriamo al Paese, un contributo che comunque ritengo essere il punto più alto che oggi si possa raggiungere. Credo di dirlo anche con un po' d'orgoglio per tutti. Ritengo che, con questa legge, assieme agli altri strumenti normativi già in vigore, in primis la legge n. 71 del 2017, la nostra sarà la normativa anti bullismo più all'avanguardia d'Europa.
Terza considerazione. In questi anni in cui ho studiato questo drammatico fenomeno, mi sono accorto che l'errore in cui rischiano di incorrere un po' tutti è quello di avere la pretesa di conoscere la ricetta assoluta per affrontare il problema del bullismo. Vorrei, invece, smontare questo approccio che rischia di trasformare anche la lotta al bullismo in qualcosa di ideologico, mentre noi dobbiamo affrontarlo con sano pragmatismo, cercando sempre il giusto equilibrio. Non esiste una ricetta giusta, sicura e assoluta per risolvere il problema del bullismo, piuttosto esistono tanti strumenti per affrontarlo; ma uno strumento che funziona oggi e qui potrebbe non funzionare domani e là.
Quel che conta è mettere in campo tutto quanto è possibile. In particolare, mi sono accorto in questi anni che spesso vengono messi in contrapposizione la prevenzione e il contrasto del bullismo, due approcci che invece devono necessariamente coesistere. Un approccio non può escludere l'altro e viceversa. Certamente, coinvolgendo ragazzi minorenni, il primo strumento deve essere sempre la prevenzione, ma qualcosa - anzi, molto – purtroppo, potrebbe sfuggire alle maglie della prevenzione. Quindi, la vera sfida è l'equilibrio tra prevenzione e contrasto.
Oltre alla prevenzione e al contrasto dobbiamo, però, dare sempre più centralità a un terzo elemento, ossia l'emersione degli episodi di bullismo, far emergere questi episodi tempestivamente, prima che sfocino in qualcosa di più grave. Se escludiamo quei casi plateali in cui sono i bulli stessi che, presi dal loro narcisismo, pubblicano online i video dei loro comportamenti violenti – e, allora, a quel punto, qualcuno che interviene per porre termine a tutto ciò e denuncia lo troviamo - in tutti gli altri casi, soprattutto il bullismo off line passa sotto traccia e si nasconde tra i sorrisi di derisione, tra le offese sussurrate, tra le azioni d'isolamento dal gruppo. La vera sfida è, quindi, individuare quegli strumenti che consentono l'emersione di questi episodi con il coinvolgimento di tutti i soggetti che, a vario titolo, gravitano attorno a quel dramma.
A questi elementi - prevenzione, contrasto ed emersione - ne aggiungo un altro altrettanto importante: il monitoraggio del fenomeno. Infatti, se non si ha una fotografia esatta di un fenomeno, non si può pensare di intervenire efficacemente e adeguatamente.
Infine, aggiungo un ulteriore fondamentale elemento: la sensibilizzazione, cioè attuare serie ed efficaci iniziative comunicative, come campagne di sensibilizzazione e pubblicità progresso, che possano anche prevedere il coinvolgimento di personalità del mondo dello sport, della musica, dello spettacolo, che sono per tanti ragazzi anche dei punti di riferimento, i quali possano lanciare dei messaggi positivi.
Quindi, abbiamo a disposizione almeno cinque elementi essenziali tutti valorizzati in questa proposta di legge: prevenzione, contrasto, emersione, monitoraggio e sensibilizzazione.
Quarta considerazione. La tecnica legislativa utilizzata, sia nelle proposte di legge abbinate sia nel testo unificato, è stata quella di andare a incidere su norme già in vigore, integrandole, aggiornandole e potenziandole, senza creare nuovi testi ad hoc. In questo modo, abbiamo apportato modifiche alla legge n. 71 del 2017, al regio decreto-legge n. 1404 del 1934 e al DPR n. 249 del 1998. A proposito della legge n. 71 del 2017, faccio presente che senza quella legge oggi non potremmo fare questo ulteriore importante passo in avanti rispetto alla legislazione antibullismo. La proposta di legge in esame, infatti, va letta in coordinamento con quella legge che rimane totalmente in vigore, eccetto le modifiche che apportiamo. Ora il nostro dovere è proseguire quel percorso.
Considerato che i miei colleghi relatori entreranno, poi, nel dettaglio dei singoli articoli, io mi limiterò a concludere il mio intervento con qualche breve flash. Con l'articolo 1 apportiamo modifiche alla legge n. 71 e, nello specifico, estendiamo la legge n. 71, che attualmente si occupa solo di cyberbullismo, anche al bullismo, in considerazione del fatto che, come ci è stato detto anche dall'Istat in audizione, il bullismo è ben più diffuso del cyberbullismo. Inoltre, prevediamo che ogni istituto scolastico nell'ambito della propria autonomia adotti un codice interno per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo e istituisca un tavolo permanente di monitoraggio, del quale fanno parte rappresentanti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie ed esperti del settore. Prevediamo che nel proprio regolamento di istituto vengano recepite le procedure da adottare per la prevenzione e il contrasto del bullismo. Si riconosce, poi, anche l'importanza di prevedere e incentivare l'istituzione, negli istituti scolastici, sia di servizi di sostegno psicologico agli studenti, per prevenire fattori di rischio o situazioni di disagio, sia di servizi di coordinamento pedagogico, per contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita, di inserimento e partecipazione sociale, agendo, in particolare, sulle relazioni interpersonali e sulle dinamiche di gruppo. Infine, un ruolo più incisivo è delineato per il dirigente scolastico nella gestione di episodi di bullismo, anche con esplicito richiamo alla segnalazione di quei casi alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni per l'attivazione delle misure rieducative di natura amministrativa.
Brevemente, all'articolo 2 andiamo ad aggiornare - ripeto che nel dettaglio interverranno i miei colleghi - l'articolo 25 del regio decreto n. 1404 del 1934, che, in realtà, nel corso dei decenni era già stato modificato ma oggi necessitava di un ampio restyling per renderlo uno strumento utilizzabile con efficacia dal tribunale dei minorenni. Non è un intervento legislativo che chiaramente riguarda esclusivamente il bullismo, ma coinvolge tutte quelle condotte aggressive, anche in gruppo e per via telematica, nei confronti di persone, animali e cose e, quindi, tra queste rientra anche - ma non solo - il bullismo. L'obiettivo, quindi, è che le condotte aggressive agite da minorenni anche infraquattordicenni, perché queste misure sono applicabili anche ai minorenni non imputabili in quanto non si tratta di sanzioni penali ma, appunto, di misure amministrative, possano essere attenzionate, in quanto indice di un forte disagio sociale o di pericolosità sociale, che va intercettata e gestita prima che possa sfociare in forme di violenza sempre più gravi. Quindi, discipliniamo un nuovo strumento, chiamato progetto di intervento educativo con finalità rieducativa e riparativa, che può prevedere - e lo indichiamo esplicitamente - anche lo svolgimento di attività di volontariato sociale, nonché la partecipazione a laboratori teatrali, laboratori di scrittura creativa, corsi di musica, lo svolgimento di attività sportive e artistiche. Quindi, non c'è una condanna in senso stretto, ma un percorso da intraprendere. Ritengo davvero che l'articolo 25 del regio decreto, come modificato e valorizzato, possa essere il giusto equilibrio tra prevenzione e contrasto, proprio per gestire efficacemente i primi segnali di allarme sociale. Inoltre, si cerca anche di dare centralità alla vittima, con la possibilità di attivare un percorso di mediazione, chiaramente su base volontaria e libera secondo i principi della giustizia riparativa, per cercare di gestire nel concreto le ferite prodotte.
L'articolo 3, invece, contiene una delega al Governo e tra le varie disposizioni - ci tengo a rimarcarlo - c'è il potenziamento del numero pubblico “Emergenza infanzia 114”, gestito da Telefono Azzurro, la rilevazione Istat ogni due anni su bullismo e cyberbullismo e un esplicito riferimento, nei contratti di telefonia mobile, alle responsabilità civili dei genitori per i danni cagionati dai figli minorenni in conseguenza di atti illeciti posti in essere attraverso l'uso della rete. Di responsabilizzazione dei genitori si parla anche nell'articolo 4 della proposta di legge, con cui si modifica il cosiddetto statuto delle studentesse e degli studenti, prevedendo l'impegno, da parte delle famiglie e dell'istituto scolastico, a collaborare per consentire l'emersione di episodi riconducibili ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, di situazioni di uso e abuso di alcol e sostanze stupefacenti e di forme di dipendenza dei quali i genitori o gli operatori scolastici dovessero avere notizia.
Concludo con un auspicio, anzi con un triplice auspicio. Anzitutto, che questa proposta di legge possa avere, ovviamente dopo il passaggio alla Camera, un iter veloce anche al Senato. Quanto successo nella scorsa legislatura è stato inaccettabile, cioè che una proposta di legge, approvata alla Camera, sia rimasta per due anni e mezzo chiusa in un cassetto su un tema delicato e importante come il bullismo. Inoltre, auspico l'impegno di tutti, sin dalla prossima legge di bilancio, di iniziare ad individuare quei fondi per rendere efficaci le misure previste in questa proposta di legge. Infine, l'auspicio che, una volta approvata definitivamente la legge, il Governo possa esercitare la delega in tempi rapidi, anche più ristretti rispetto ai 12 mesi previsti.
Ce l'abbiamo messa tutta ma ricordiamoci che non l'abbiamo fatto per noi, ma per le nostre ragazze e per i nostri ragazzi. Se con questo lavoro saremo riusciti a salvare anche solo un ragazzo o una ragazza, allora vorrà dire che avremo fatto il nostro dovere (Applausi)!
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la Commissione giustizia, deputata Daniela Dondi.
DANIELA DONDI (FDI), Relatrice per la II Commissione. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Sottosegretario onorevole Delmastro Delle Vedove, non posso che condividere tutti i ringraziamenti già fatti dall'onorevole Dori, perché effettivamente abbiamo svolto un lavoro di squadra di cui credo possiamo essere tutti orgogliosi, almeno dal punto di vista dei rapporti personali.
L'Assemblea avvia oggi l'esame del testo unificato delle proposte di legge nn. 536-891-910-A, recante disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo. Come abbiamo detto, sono state tre le proposte di legge che hanno trovato unione in questo testo condiviso. La proposta presentata in autonomia da Fratelli d'Italia nella presente legislatura era finalizzata a introdurre nel codice penale i reati di bullismo e cyberbullismo, modificando l'articolo 731 del medesimo codice in materia di inosservanza dell'obbligo di istruzione dei minori e delega al Governo - poi, invece, recepita - per l'adozione di disposizioni in materia di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo.
La presente proposta di legge ha l'obiettivo di prevenire, come è già stato detto, e contrastare i fenomeni contemplati in questa norma in tutte le loro manifestazioni, privilegiando azioni di carattere formativo ed educativo. Il testo, come già detto, consta di cinque articoli ed è stato adottato con voto unanime delle Commissioni II e XII e quello che noi oggi andiamo a esaminare, appunto, è il testo base. Ci tengo a sottolineare anche l'interlocuzione che è stata portata avanti con il Governo, che si è rivelata decisiva e indispensabile - credo che i colleghi ne possano dare atto -, consentendo di sbloccare questioni in certi momenti veramente complesse. Si procede, quindi, ad illustrare i contenuti del provvedimento, soffermandoci, in particolare, all'articolo 1, il quale interviene, come è già stato detto, a modificare la legge n. 71 del 2017, recante disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, che ha rappresentato un primo passo per la prevenzione del fenomeno, aiutando i ragazzi a utilizzare la rete Internet e i social network in maniera consapevole e sicura, promuovendo una maggior cultura del rispetto, della privacy e della protezione dei dati personali.
In primo luogo, all'articolo 1, comma 1, viene esteso il perimetro dell'applicazione della legge anche alla prevenzione e contrasto del bullismo - l'abbiamo già detto, si parlava solo di cyberbullismo -, colmando così una lacuna e cercando di intercettare il fenomeno in tutte le sue manifestazioni. In quest'ottica, la disposizione in questione pone espressamente l'accento sulle azioni di carattere preventivo, privilegiando quelle di carattere formativo ed educativo e su una strategia di attenzione e tutela nei confronti dei minori, considerati sia nella posizione di vittima sia in quella di responsabile di illeciti.
Si introduce, quindi, nella legge del 2017, una nuova definizione di bullismo, in aggiunta a quella già prevista di cyberbullismo. Si definisce, pertanto, “bullismo” l'aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, in danno di un minore o di un gruppo di minori, idonee a provocare sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all'autolesionismo, minacce e ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni. Come ha detto prima il correlatore Dori, la parola “violenza” la troviamo declinata in tutte le sue forme.
La lettera b) del comma 1 ridefinisce la composizione e il funzionamento del tavolo tecnico già previsto dalla legge del 2017. In primo luogo, la sua istituzione viene affidata a un decreto del Ministero dell'Istruzione e del merito, anziché alla Presidenza del Consiglio, mentre a presiederlo sarà un rappresentante del Dipartimento per le politiche della famiglia. Con riferimento al Piano di azione per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo previsto dalla legge n. 71 del 2017, vengono implementate le sinergie con i servizi socioeducativi presenti sul territorio, le scuole, gli enti locali, centri sportivi e del Terzo settore. Purtroppo, i numerosi fatti di cronaca hanno dimostrato come la scuola non sia l'unico luogo nel quale si verificano atti o situazioni di bullismo e, per questo, è necessario intercettare situazioni a rischio e di disagio in tutti i luoghi di aggregazione sociale frequentati da bambini e adolescenti.
Nell'ambito delle azioni previste dal Piano, il Ministro delegato per le politiche della famiglia, in collaborazione con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il Garante per la protezione dei dati personali, predispone, nei limiti delle risorse, che passano da 50.000 a 150.000 euro annui, periodiche campagne informative di prevenzione e di sensibilizzazione sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, anche per la diffusione della conoscenza dei sistemi di controllo parentale, avvalendosi dei principali media, nonché degli organi di comunicazione e di stampa e di soggetti privati.
La lettera c), del comma 1, sempre dell'articolo 1, con riferimento alle istituzioni scolastiche, introduce la previsione secondo cui ogni istituto, nell'ambito della propria autonomia e in conformità alle linee di orientamento ministeriale, adotta un codice interno per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo e istituisce un tavolo permanente di monitoraggio, del quale faranno parte rappresentanti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie e degli esperti di settore.
Nel novellare la legge n. 71 del 2017, la proposta introduce, alla lettera d), un nuovo articolo 4-bis, secondo cui le regioni possono adottare iniziative affinché sia fornito alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado che lo richiederanno - alternativamente o entrambi -, un servizio di sostegno psicologico agli studenti, al fine di favorire lo sviluppo e la formazione della personalità degli studenti medesimi, nonché di prevenire fattori di rischio o situazioni di disagio, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie; un servizio di coordinamento pedagogico nei limiti delle previsioni di legge, al fine di promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale, di inserimento e partecipazione sociale, agendo, in particolare, sulle relazioni interpersonali e sulle dinamiche di gruppo.
L'articolo 1, lettera e), novella, infine, l'attuale disposizione della legge n. 71, rubricata “Informativa alle famiglie, sanzioni in ambito scolastico e progetti di sostegno e di recupero”. Si vuole in questa sede porre l'obbligo in capo al dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di bullismo e cyberbullismo che coinvolgono, a qualsiasi titolo, studenti iscritti all'istituto scolastico che dirige di applicare le procedure previste dalle linee di orientamento ministeriale, di informare i genitori dei minori coinvolti o, comunque, chi esercita la potestà genitoriale e di promuovere adeguate iniziative di carattere educativo nei riguardi dei minori medesimi. Nei casi più gravi e, comunque, quando le predette iniziative di carattere educativo adottate dall'istituzione scolastica non abbiano prodotto esito positivo, è previsto che il dirigente scolastico riferisca alle autorità competenti anche per l'eventuale attivazione delle misure rieducative, consistenti nell'affidamento del minore al servizio sociale minorile oppure nel collocamento in casa di rieducazione o in un istituto medico psicopedagogico.
Concludendo, ribadisco come sia stato costruito, in un clima di massima collaborazione, un impianto normativo che tocca, soprattutto, il mondo giovanile e i suoi disagi più profondi, mirando, da un lato, ad aggiornare le disposizioni di legge vigenti e prevedendo, dall'altro, come dicevamo, una strategia di prevenzione, attenzione, tutela, educazione nei confronti dei soggetti coinvolti. Le disposizioni che illustriamo oggi sono finalizzate ad offrire spazi di ascolto e un punto di riferimento per le giovani generazioni, intercettando situazioni critiche e di disagio al fine di intervenire tempestivamente. Le misure contenute nel provvedimento in esame rappresentano, dunque, un punto di forza al contrasto dei fenomeni di violenza e bullismo sin dalla loro prima manifestazione. Le nuove generazioni presentano fragilità e crepe dove, spesso, si possono infilare il male e la violenza, ma devono essere consapevoli che non sono soli e sta a noi dimostrarglielo, divulgando modelli positivi a cui possano ispirarsi per il loro presente e per il loro futuro. Mi auguro, vista l'urgenza con cui bisogna intervenire rispetto alle problematiche sopra esposte, che il testo possa trovare la più ampia condivisione e, in tempi celeri, essere approvato da quest'Aula (Applausi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la Commissione affari sociali, deputata Simonetta Matone.
SIMONETTA MATONE, Relatrice per la XII Commissione. Io devo illustrare l'articolo 2 di questa legge e lo faccio veramente con convinzione e con entusiasmo, perché nessuno, se non chi ha vissuto o vive la realtà dei tribunali per i minorenni e delle procure per i minorenni, sa che cos'è un minore irregolare per condotta e per carattere.
Questa definizione, presente nel regio decreto del 1934, è stata mantenuta anche in questa legge, perché comunque è corretta. Cosa fosse un minore irregolare per condotta o per carattere lo sapeva il legislatore del regio decreto, quello del 20 luglio 1934, n. 1404, il quale, all'articolo 25, regolava questa galassia assolutamente indistinta, problematica e quasi sempre tragica. Minori con genitori dalle condotte non censurabili, quindi non suscettibili di censure, ad esempio ai sensi dell'articolo 333 del codice civile, la sospensione della responsabilità genitoriale, o peggio, per i casi più gravi, sotto l'egida dell'articolo 330, che era la decadenza dalla responsabilità genitoriale. Quindi, genitori esenti da colpe, ma minori non governabili, non coercibili, ma che vanno indirizzati, corretti e guidati per il loro bene.
Quella dell'articolo 25 era una galassia assolutamente indefinita e usata dai miei ex colleghi - lo dico da ex magistrato - con grandissima riluttanza, perché era una norma che veniva considerata fascista. Peccato, però, che tanti genitori disperati chiedevano e chiedono continuamente aiuto ai magistrati, ricevendo risposte assolutamente soggettive, quali: sì, attiviamo l'articolo 25, oppure l'articolo 25 è un residuato bellico, del passato, è una norma praticamente decaduta di fatto.
Quindi, l'applicazione di questo articolo era rimessa anche all'ideologia, se volete, del singolo magistrato. Sono state usate però da tanti magistrati, dotati di buona volontà, per collocare i minori in comunità terapeutica coattivamente, minori riottosi a curarsi, su richiesta dei genitori. Ovviamente, questi procedimenti andavano di pari passo con l'accordo tra il magistrato e la famiglia, perché in questo modo si riusciva a fare quello che i genitori non riuscivano ad imporre, creando anche forse un po' di confusione nei ragazzi che non capivano bene di che cosa stessimo parlando. Tant'è che questi provvedimenti erano prorogabili fino al ventunesimo anno di età. Dobbiamo però ricordare che la riforma Cartabia prevede entro 2 anni l'attivazione del famoso tribunale della famiglia, che amerei di più definire tribunale per i soggetti, per così dire, fragili, e quindi assisteremo anche a un cambiamento epocale. Questa norma, però, nulla ha a che vedere con tutto ciò, lo faccio soltanto per una precisione di inquadramento.
Ora, che cosa ha di importante questa norma? Finalmente si sofferma sul ruolo del procuratore della Repubblica, e qui dovremmo effettuare una correzione perché noi intendiamo per procuratore della Repubblica il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni.
Ufficio che, sul piano civilistico e sul piano amministrativo, poteva essere definito “questo sconosciuto”. Perché dico questo? Lo dice in realtà la storia del diritto minorile, perché, per decenni, le procure minorili si sono concentrate solo ed esclusivamente sugli aspetti penalistici del loro agire, coltivando solo ed esclusivamente l'aspetto sanzionatorio, repressivo e indirettamente preventivo. La titolarità del potere di azione e di intervento nella fattispecie civile era esercitata dai PMM, come li chiamo io, ma addirittura con riluttanza.
Nel corso degli anni le cose sono cambiate, ma, attenzione, limitatamente agli aspetti civili, non certo a queste competenze che, ribadisco, sono squisitamente amministrative. Il mondo però cambiava, come cambiava l'universo minorile: nuove esigenze, nuove domande, soprattutto da parte dei genitori disperati. Ecco perché inserire questo articolo 2, dal titolo “Misure rieducative”, all'interno di una legge come quella del cyberbullismo, in una formula così ampia, ma anche così descrittiva: perché, oltre all'irregolarità in sé e per sé della condotta o del carattere, sono comprese anche condotte aggressive, condotte di gruppo, condotte che possono essere poste in essere per via telematica nei confronti di persone, attenzione, è molto importante, anche nei confronti degli animali, perché il cyberbullismo ci ha insegnato come ci sia tutta una serie di aspetti di torture in danno di animali che vengono trasmesse per il godimento di chi le vede, condotte lesive della dignità altrui. Estremamente importante, ribadisco, è questa parte legata agli animali, sulla quale poi dovremo tornare con leggi forse più ampie, ma che rappresenta, per chi ha fatto questo lavoro, una vera emergenza.
Il pubblico ministero per i minorenni può disporre, prima di interessare il tribunale, un percorso di mediazione, oppure può chiedere al tribunale per i minorenni di disporre, con decreto motivato e previo ascolto del minore - questo è un passo molto importante, perché è obbligatoria l'assunzione delle dichiarazioni del minore, ma non è vincolante nel suo contenuto, nel senso che, se il minore dice “io lì non ci voglio andare”, la volontà conta fino a un certo punto e viene bypassata - e, soprattutto, dei suoi genitori, la realizzazione di un progetto di intervento educativo riparatorio sotto la guida dei servizi sociali.
Potremmo definire questo tipo di intervento preventivo, prima di arrivare alle misure più forti, perché anche le misure civilistiche proprie del processo minorile sono caratterizzate dalla gradualità degli interventi e arrivano misure più forti se non si trova una soluzione ragionevole.
E qui entra in gioco un elemento fondamentale, che è quello della scuola. Perlomeno la mia parte politica è molto convinta dell'operato del Ministro Valditara e questa legge crea un sinallagma con il Ministero dell'Istruzione, perché questi progetti comprendono anche il percorso scolastico.
Vi dico per esperienza che obbligare un ragazzo irregolare per condotta o per carattere ad andare a scuola, dove trovare qualcuno capace di ascoltarlo e seguirlo, non è un passaggio, per così dire, irrilevante e da poco. Le misure successive possono essere l'affidamento del minore al servizio sociale, con attività di sostegno, controllo della condotta. Il minore resta in famiglia, ma viene gestito dal servizio sociale. Cosa vuol dire essere gestito? Regolare addirittura gli orari di uscita, gli orari di ritorno, il tipo di divertimenti a cui può accedere, oppure, nei casi più gravi, quando tutto questo non funziona, con il collocamento in struttura protetta, casa famiglia.
Sono progetti complessi che però servono a riscrivere la vita del minore dall'alba al tramonto, dalla A alla Z. Ed è una cosa importantissima perché parliamo di soggetti che non conoscono le regole, spesso figli di famiglie complicate, dove rispetto ed autorevolezza non ci sono; ci sono padri assenti oppure padri autoritari. Non mi è mai capitato di incontrare, nel corso di una lunga esperienza professionale, ragazzi cattivi, tra virgolette, con genitori autorevoli. Progetti complessi, quindi, personalizzati, individualizzati che però devono essere condivisi dal minore. È come la psicoterapia: non la puoi fare se tu non sei d'accordo. E qui vale l'opera di convincimento.
Al tempo stesso, una parte importante è dedicata al volontariato. Ma come deve essere questo volontariato? Questo è sempre stato - scusate la digressione personale - un mio particolare pallino, e cioè il volontariato deve essere una sorta di contrappasso rispetto al male, tra virgolette, che tu hai inferto. Ragion per cui, se tu ti diletti - faccio un esempio concreto - con le sevizie per gli animali, vai a prestare il tuo volontariato in un canile per cani abbandonati. Oppure, se sei particolarmente razzista e hai un problema con gli extracomunitari, vai a lavorare obbligatoriamente nella mensa della Caritas.
Non sono provocazioni, sono concretizzazioni di quello che deve essere il progetto di recupero.
Dieci giorni prima della conclusione del processo è fatta una relazione al TM, che può dichiarare concluso il procedimento oppure modificarlo oppure affidare il minore ai servizi sociali oppure disporre il collegamento.
I provvedimenti sono deliberati in camera di consiglio. Qui, c'è il tema dell'ascolto del minore: se ha più di 12 anni è obbligatorio ascoltarlo, mentre se ha meno di 12 anni ove capace di discernimento, come avviene all'interno dei procedimenti civili, sentito sempre il pubblico ministero. È consentita l'assistenza del difensore; questa è una novità, perché in tutti i procedimenti di volontaria giurisdizione in realtà il difensore non c'è. Altra grossa novità, è che le spese per il collocamento in comunità sono a carico dei genitori. Al tempo stesso, può essere stabilito anche un percorso di mediazione per i genitori.
Quindi, concludendo, siamo di fronte a una sfida ardua, una sfida complessa, un percorso ad ostacoli che però “copia” - tra virgolette - l'istituto della messa alla prova, che, nel penale, ha dato risultati meravigliosi, perché, oltre il 90 per cento delle messe alla prova che portano alla cancellazione del reato, si conclude con esito positivo e il tasso di recidiva è praticamente inesistente. Quindi, ripercorriamo l'istituto della messa alla prova, lo caliamo all'interno di una situazione che non è civilistica, ma lo può diventare, se il progetto non funziona. Siamo in una galassia di tipo diverso.
Sono d'accordo con i colleghi che quello che serve è un cambio di passo culturale e sociale. Lo ribadisco: le norme penali restano, ma si capovolge, a questo punto, l'ordine degli interventi; prima, proviamo in questo modo e, poi, vediamo e io sono sicura che è una sfida che vinceremo (Applausi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione affari sociali, deputato Paolo Ciani.
PAOLO CIANI, Relatore per la XII Commissione. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori, ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo, l'aggressione o la molestia reiterata, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, in danno di un minore o di un gruppo di minori, idonee a provocare sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all'autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni - no, Presidente, non si tratta di ragazzate o di scherzi - è violenza.
Quelle che ho letto sono le definizioni di cyberbullismo, presenti nella legge n. 71 del 2017, e di bullismo che introduciamo nella presente norma. Violenza: violenza rivolta e diffusa, soprattutto, tra i giovani. Quasi sempre, infatti, questa forma di aggressione vede come vittime i minori che frequentano le scuole o che sono coinvolti in attività di gruppo. Normalmente, le vittime si sentono totalmente vulnerabili e incapaci di difendersi autonomamente. L'aggressione può essere fisica nei confronti di persone o beni di proprietà, oppure verbale, sia diretta, sia indiretta. Tra le forme di aggressione verbale diretta ci sono gli insulti e le minacce, tra quelle indiretta c'è la diffusione di voci finalizzate al danneggiamento della reputazione altrui e all'esclusione da un gruppo.
Nella suddivisione che ci siamo dati con gli altri relatori, che ringrazio per la fruttuosa collaborazione in tutti questi mesi, a me spetta approfondire meglio gli articoli 3 e 4 e lo farò rapidamente per poi concludere con qualche altro pensiero.
L'articolo 3 prevede la delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo da esercitarsi entro dodici mesi dall'entrata in vigore del provvedimento.
Nel dettaglio, il comma 1 dispone che, al fine di prevenire e contrastare i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo in tutte le loro manifestazioni, in particolare con azioni di carattere preventivo e con una strategia di attenzione e tutela nei confronti dei minori, vittime o responsabili degli illeciti, il Governo sia delegato ad emanare uno o più decreti legislativi volti: a promuovere iniziative tese a prevedere un servizio di sostegno psicologico agli studenti presso le istituzioni scolastiche; a predisporre una piattaforma di formazione e di monitoraggio destinata alle scuole, al fine di prevenire e contrastare i fenomeni di bullismo e cyberbullismo; a prevedere il potenziamento del servizio per l'assistenza delle vittime di atti di bullismo e cyberbullismo, anche mediante il numero pubblico “Emergenza infanzia 114”; a prevedere che l'Istituto nazionale di statistica svolga, con cadenza biennale, una rilevazione sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo; a prevedere che i contratti degli utenti stipulati con i fornitori di servizi di comunicazione e di informazione offerti mediante reti di comunicazione elettronica richiamino espressamente le disposizioni di cui all'articolo 2048 del codice civile in materia di responsabilità dei genitori per i danni cagionati dai figli minori in conseguenza di atti illeciti posti in essere attraverso l'uso della rete; a prevedere che la Presidenza del Consiglio dei ministri promuova campagne periodiche di informazione, di prevenzione e di sensibilizzazione; a stanziare le necessarie risorse finanziarie, anche attraverso l'istituzione di un fondo specifico. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di tali decreti legislativi, possono essere adottati, con la stessa procedura e nel rispetto dei medesimi princìpi e criteri, uno o più decreti legislativi integrativi o correttivi.
L'articolo 4 introduce alcune modifiche al DPR n. 249 del 1998, cioè al regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, prevedendo, nell'ambito dei diritti e dei doveri dello studente, l'impegno della scuola a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare l'emersione di episodi di bullismo e cyberbullismo, di situazioni di uso o abuso di alcol o di sostanze stupefacenti e di forme di dipendenza, integrando la disciplina relativa al Patto educativo di corresponsabilità.
Su questo, vorrei iniziare a soffermarmi, perché si rivela particolarmente importante. La scuola, infatti, è il luogo di crescita civile e culturale della persona e rappresenta, insieme alla famiglia, la risorsa più idonea ad arginare il rischio del dilagare di un fenomeno di caduta progressiva, sia della cultura dell'osservanza delle regole, sia della consapevolezza che la libertà personale si realizza nel rispetto degli altrui diritti e nell'adempimento dei propri doveri ed è, quindi, necessario il compimento di un'alleanza educativa tra famiglia, studenti ed operatori scolastici. Pertanto, la modifica del DPR n. 249 del 1998, cioè dello Statuto delle studentesse e degli studenti, è fondamentale, perché i genitori dei ragazzi coinvolti, sia che siano vittime, sia che siano colpevoli, soprattutto se gli episodi accadono nel contesto scolastico, sono spesso gli ultimi a venire a sapere di questi gravi atti, tanto da creare un clima spesso omertoso, che rischia di alimentare, come, purtroppo, è già avvenuto, degenerazioni gravissime e conseguenze altrettanto gravi, le più gravi, come il suicidio.
Lo strumento del Patto educativo di corresponsabilità è, quindi, uno strumento di dialogo tra scuola e famiglia, un impegno sottoscritto tra la scuola e il genitore, affinché si lavori insieme e in costante dialogo con l'obiettivo che la famiglia riacquisti l'importante ruolo educativo che ha nei confronti dei figli e si fidi di più della scuola, come luogo di crescita civica, insieme.
Ecco, Presidente, molte ricerche e molti dati hanno mostrato come questi fenomeni, seppur recenti nel nostro Paese, nel nostro mondo occidentale, siano fenomeni in grande crescita. Alcuni dati, alcune ricerche, come quella recente di Save the Children, rilevano che un giovane su quattro, tra i 6 e i 17 anni, almeno una volta nella vita, ha subito un episodio di bullismo.
Il cyberbullismo è comunque in aumento e spesso i social network sono il principale strumento utilizzato per il cyberbullismo, seguiti dalle chat, dai messaggi e dai videogiochi online. I ragazzi che subiscono bullismo o cyberbullismo spesso tacciono e non denunciano gli episodi. Secondo studi recenti, solo il 5 per cento delle vittime lo segnala alle autorità competenti, Peraltro, coloro che hanno sperimentato episodi di bullismo e cyberbullismo hanno maggiori probabilità di sviluppare difficoltà relazionali, sentirsi depressi, soli, ansiosi, avere scarsa autostima o sperimentare pensieri suicidari; ma anche i bulli possono spesso sviluppare problemi psicologici a lungo termine.
Questa nuova proposta legislativa, inserendosi nel solco tracciato dalla legge n. 71 del 2017, rafforza la prevenzione del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo attraverso una serie di misure diversificate, che mirano a prevenire il fenomeno e a rieducare i soggetti coinvolti in tali comportamenti aggressivi. In tale ottica nel tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo saranno presenti esperti dotati di specifiche competenze in campo psicologico, pedagogico e delle comunicazioni sociali telematiche, nominati dal Ministro dell'Istruzione e del merito. Nel piano di contrasto a tali fenomeni saranno coinvolti primariamente i servizi socio-educativi presenti sul territorio in sinergia con le scuole. Ogni istituto scolastico, nell'ambito della propria autonomia e in conformità alle linee di orientamento, adotterà un codice interno per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo e istituirà un tavolo permanente di monitoraggio, del quale faranno parte i rappresentanti degli studenti, degli insegnanti e delle famiglie ed esperti di settore. Inoltre, si rafforza il sostegno psicologico scolastico, per favorire lo sviluppo e la formazione della personalità degli studenti medesimi, nonché per prevenire fattori di rischio o situazioni di disagio, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie. Il progetto - e ormai direi la legge -, che oggi discutiamo, rappresenta un importante strumento per la tutela dei minori e per la promozione di una cultura del rispetto e della tolleranza. Grazie a queste misure sarà infatti possibile porre le basi per un reale contrasto di questo fenomeno e garantire ai giovani un ambiente più sano e sicuro in cui crescere e formarsi. Ovviamente - dobbiamo ricordarlo sempre - trattandosi di bambini e di ragazzi, la principale forma di prevenzione di atteggiamenti aggressivi deve restare l'esempio di noi adulti, ma non è sempre così e capita che i più piccoli crescano con modelli di riferimento violenti sia nelle parole che negli atteggiamenti. Sugli adulti va poi aggiunta una piccola particolarità. Trattandosi di tecnologie in evoluzione, gli adulti arrivano sempre in ritardo. Colpisce molto parlare con i genitori dei compagni di classe, anche dei nostri figli, su quanto poco si conosca dell'evoluzione delle tecnologie a disposizione dei ragazzi. Internet e telefono cellulare sono divenuti ulteriori potenziali mezzi, attraverso cui compiere e subire prepotenze e soprusi. Mi colpiva rileggere alcune testimonianze, in cui alcune persone vittime di bullismo raccontavano: per noi quando tornavamo a casa terminava tutto. Attraverso il cyberbullismo, quello che uno subisce a scuola ha una continuazione perenne e non si sa mai quando possa finire. Anche una singola offesa, divulgata a molte persone attraverso Internet o telefoni cellulari, può recare danno alla vittima, potendo raggiungere una platea ampia di persone contemporaneamente, ed essere rimbalzata dall'uno all'altro, ipoteticamente in modo illimitato, con notevole ampiamento della gravità e della natura dell'attacco. Pur sapendo che è una materia molto in evoluzione, perché si evolve attraverso il rapido evolversi della tecnologia, con questa norma noi vogliamo provare a stare al passo con i tempi, soprattutto nella protezione dei più deboli, come i minori, i minori vittime, ma spesso anche coloro che compiono la molestia e l'atto di bullismo o di cyberbullismo, che, come detto dai relatori che mi hanno preceduto, spesso sono persone e ragazzi deprivati dal punto di vista culturale e di protezione. Pertanto, anche io voglio ringraziare innanzitutto i colleghi relatori. Mi perdonino le relatrici, ma forse una menzione va al relatore Dori, che nella scorsa legislatura con la sua proposta di legge aveva molto lavorato e che, quindi, giustamente, si è molto appassionato in questi mesi, perché potesse prontamente ritrovare una composizione anche in questa legislatura. Devo ringraziare anche i presidenti delle Commissioni, in particolare il presidente della Commissione giustizia, perché ha saputo condurre un'opera di mediazione e anche fare un passo indietro, per permettere che la norma prendesse forma. In tal senso, una preoccupazione condivisa ha preso forma in questa legge. Naturalmente devo ringraziare tutto il personale delle Commissioni giustizia e affari sociali, che ci ha supportato e sopportato in questi mesi, in cui è sembrata un pochino difficile l'evoluzione della norma; credo però che siamo arrivati a un provvedimento, con il lavoro di tutti, con la passione di tutti e con la competenza di tutti. Anche tra i relatori ci sono competenze molto specifiche su questo argomento, che derivano dai nostri studi, dai nostri lavori e dalle nostre passioni. Insieme siamo riusciti a proporre un testo di legge che, se come spero e credo sarà approvato prontamente, sarà un sostegno importante per i nostri ragazzi (Appalusi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che rinuncia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, relatrici e relatori, approfitto della presenza in Aula oggi di tutte e tutti voi, anche in un momento di discussione generale, che non è il momento più partecipato dei nostri lavori, per condividere con voi un pensiero, che mi è venuto ascoltando i vostri interventi. Penso che la discussione di oggi ci stia in parte riconciliando con la funzione che devono avere quest'Aula e il Parlamento. Abbiamo seguito con attenzione e con preoccupazione anche i moniti, che ci sono arrivati attraverso la Presidenza della Camera e la Presidenza della Repubblica, circa il ricorso eccessivo alla decretazione d'urgenza, ad emendamenti che svuotano e cambiano completamente il significato di provvedimenti di straordinaria necessità e urgenza e al combinato disposto tra decreti-legge e voti di fiducia, che sta un po' svuotando la nostra funzione quotidiana. Però, in giorni come questo, ci ritroviamo a parlare di come si possa svolgere, non l'articolo 77, ma l'articolo 70 della nostra Costituzione, e su come si possa intervenire, per cercare di modificare un testo, portando ciascuno, per esperienze politiche, culturali e professionali diverse, un contributo al miglioramento di una norma, per contrastare un fenomeno che sta crescendo, che riguarda le nostre famiglie, le nostre scuole e le nostre comunità. Ecco, questo è quanto il Parlamento deve fare e sempre più spesso. Visto che noi critichiamo naturalmente alcune scelte del Governo che vanno in altra direzione, va detto che questo declino non è cominciato con questo Governo, non è cominciato con questa legislatura. Io penso che noi dobbiamo invece rialzare occasioni di confronto come quella di oggi, perché ci consentono veramente di fare il nostro dovere. Entrando nello specifico e nel merito dell'argomento che stiamo affrontando oggi, vorrei partire dai dati che ha fornito l'Istat nell'audizione alla Camera sul provvedimento in esame. Perché voglio partire da quei dati? Perché, secondo quanto emerso anche dall'intervento delle relatrici e dei relatori, è chiaro che ciò che noi riusciamo a monitorare, a mappare e a scoprire è solo la punta dell'iceberg del fenomeno. Vi sono tante ragioni per cui le persone poi non arrivano a denunciare e a raccontare. Alcuni vivono con difficoltà talmente grandi il fenomeno, da non volerne nemmeno mai parlare.
È però la punta di un iceberg molto grande, perché - e qui arriviamo alla fotografia impietosa e preoccupante - si tratta di un fenomeno che coinvolge sempre di più ragazze e ragazzi in età sempre più giovane – da un'indagine che ci è stata presentata, condotta tra maggio e ottobre 2021, constatiamo che, tra gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, il 9,4 per cento, quasi un bambino su 10 degli intervistati ha assistito in prima persona o è venuto a conoscenza durante la pandemia di episodi di cyberbullismo sui suoi compagni di scuola; stiamo parlando di circa 350.000 ragazzi.
Chi colpisce, chi coinvolge, questo fenomeno? Sono soprattutto i ragazzi delle scuole secondarie di primo grado ad avere assistito o a essere venuti a conoscenza di questi tipi di comportamento, quindi si tratta più di scuole primarie che scuole secondarie di secondo grado; sono più ragazze di ragazzi - la quota è più alta rispetto ai coetanei maschi: l'11,3 per cento, contro il 7,6 per cento -, sono più gli stranieri, perché per i ragazzi stranieri la percentuale di persone che hanno assistito a episodi di cyberbullismo, o saputo di essi, sale al 12 per cento, mentre per gli italiani è del 9,2 per cento. Si deve anche registrare un fenomeno, ossia che per gli stranieri la quota di coloro che non rispondono è più elevata rispetto a quella degli italiani, perché ci sono coloro che rispondono dicendo di no quando ciò avviene e ci sono coloro che non rispondono proprio, nemmeno alla domanda. Ora, questo dato ci deve fare riflettere. Ci deve fare riflettere altresì che l'esperienza personale di episodi di bullismo e di cyberbullismo è cresciuta durante il periodo della diffusione del COVID-19 ed è emerso che tra le ragazze almeno il 12,5 per cento ha vissuto queste situazioni di disagio, mentre per i ragazzi la percentuale è leggermente più bassa, il 10,3 per cento; i più piccoli si confermano, anche nel periodo del COVID, come la fascia di popolazione maggiormente a rischio; nelle scuole secondarie di secondo grado ha vissuto una di queste esperienze il 9,8 per cento degli alunni e nelle scuole secondarie di primo grado quasi il 14 per cento.
Riguardo agli specifici comportamenti, il 4,2 per cento degli studenti e il 5,3 per cento delle studentesse delle scuole secondarie dichiara di essere stato offeso, anche online, con soprannomi, parolacce o insulti; sono stati poi presi in giro per l'aspetto fisico e il modo di parlare il 3 per cento dei ragazzi e il 3,9 per cento delle ragazze. È preso di mira con storie diffamatorie il 2,3 per cento degli studenti e il 3,9 per cento delle studentesse. Infine, vi è l'elemento in assoluto più grave: la violenza fisica, le botte, i calci, i pugni, gli spintoni, fenomeno che ha riguardato, per i maschi, l'1,1 per cento di essi e per le femmine, lo 0,4 per cento delle stesse. Sono dati, quelli relativi al periodo compreso tra maggio e ottobre del 2021, che si riferiscono a un periodo in cui il contatto fisico era disincentivato dalle forme di contrasto alla pandemia; quindi, queste cifre sono ancora più preoccupanti e pericolose.
Un altro aspetto evidenziato dall'indagine del 2021 è che spesso bullismo e cyberbullismo si inscrivono in un quadro più ampio di disagio sociale, e per questo è importante, nello studio dei due fenomeni, tenere conto anche di altre dimensioni della vita quotidiana dei bambini e dei ragazzi.
Sono numeri che interrogano tutte le istituzioni, ciascuno e ciascuna di noi, sulla necessità di portare avanti un'azione politica, culturale e sociale per contrastare questo fenomeno. Questa è una battaglia che il Partito Democratico-Italia Democratica e progressista combatte e per la quale è sempre stato - e sarà sempre - in prima linea, con un'impostazione chiara e non derogabile; la prima legge sul tema - è stato ricordato - porta la firma della senatrice Elena Ferrara, che si è battuta per questo risultato nella XVII legislatura. Oggi abbiamo ascoltato, dalle parole di Paolo Ciani, relatore di minoranza, quelli che sono stati i nostri interventi in Commissione, e noi quell'impostazione la rivendichiamo e la vogliamo portare avanti. Per questo anche nell'intervento di oggi voglio partire proprio dalla legge n. 71 del 2017, da quelli che sono stati alcuni apporti molto importanti. Al primo posto sono stati sempre collocati - e così va, in tale direzione, anche il nuovo intervento - gli interventi di carattere socioeducativo e formativo, con un ruolo centrale per il mondo della scuola, le azioni a carattere preventivo e l'attenzione alla tutela e all'educazione nei confronti dei minori coinvolti, a prescindere dal fatto fossero le vittime o i responsabili degli illeciti.
Si tratta di una legge che ha previsto, per la prima volta, una definizione giuridica del cyberbullismo come qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione e diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito dei dati personali in danno di minorenni realizzata in via telematica, nonché la diffusione dei contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo. Ecco, una definizione ampia, che serve a non lasciare ombre, a definire chiaramente.
Poi vi è il compito della scuola, fondamentale, che la legge definisce già per i ruoli dei diversi attori che devono essere protagonisti di attività protettive, educative, rieducative; e l'insieme di queste azioni di attenzione, tutela ed educazione, rivolto a tutti i minori coinvolti. In particolare, ogni istituto scolastico deve individuare tra i docenti un referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e il contrasto del cyberbullismo; e le istituzioni scolastiche devono promuovere, nell'ambito della propria autonomia, l'educazione all'uso consapevole della rete Internet e ai diritti e doveri ad essa connessi. Inoltre, ciascun minore che sia stato vittima il cyberbullismo può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito Internet e dei social media un'istanza per l'oscuramento, la rimozione e il blocco dei contenuti diffusi nella Rete; se entro 24 ore il gestore non avrà provveduto, l'interessato può rivolgere analoga richiesta al Garante per la protezione dei dati personali, che provvederà a rimuovere i contenuti entro 48 ore.
È stata poi estesa anche al cyberbullismo tutta una serie di procedure di ammonimento in caso di condotte di ingiuria e diffamazione, minaccia, trattamento illecito di dati personali, commesse mediante Internet da minori ultraquattordicenni nei confronti di altro minorenne; se non c'è stata querela o non è stata presentata denuncia, è applicabile la procedura di ammonimento da parte del Questore.
Infine, i servizi territoriali, con l'ausilio delle associazioni e degli altri enti che perseguono le finalità della legge, promuovono progetti personalizzati per sostenere le vittime di cyberbullismo e rieducare, anche attraverso l'esercizio di attività riparatorie e di utilità sociale, i minori autori di cyberbullismo.
Ora, la nuova proposta si inserisce nel solco tracciato dalla legge n. 71 del 2017 e rafforza la prevenzione del fenomeno, attraverso una serie di misure diversificate, che mirano a prevenire il fenomeno e rieducare i soggetti coinvolti in tali comportamenti aggressivi. In tale ottica, nel tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del bullismo e cyberbullismo saranno presenti esperti dotati di specifiche competenze in campo psicologico, pedagogico, di comunicazioni sociali e telematiche, nominati dal Ministro dell'Istruzione e del merito. Nel piano di contrasto a tali fenomeni saranno coinvolti primariamente i servizi socioeducativi presenti sul territorio, in sinergia con le scuole; ogni istituto scolastico, nell'ambito della propria autonomia e in conformità alle linee di orientamento, adotterà un codice interno per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e cyberbullismo e istituirà un tavolo permanente di monitoraggio del quale faranno parte rappresentanti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie ed esperti del settore. Infine, vi è il rafforzamento necessario del sostegno psicologico, scolastico per favorire lo sviluppo e la formazione delle personalità degli studenti medesimi, nonché per prevenire fattori di rischio o situazioni di disagio, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie.
Perché ho voluto ricostruire i caratteri salienti della legge n. 71 del 2017, le novità che sono state introdotte, la necessità di rafforzarla oggi e gli interventi messi in campo da un lavoro parlamentare che ha attraversato la XVIII Legislatura e che riscontra adesso, per iniziativa delle opposizioni, un completamento in questa nuova legislatura (e questo anche grazie alla collaborazione delle forze di Governo e di tutte le forze presenti, gli interventi delle relatrici e dei relatori l'hanno testimoniato)? Perché bullismo e cyberbullismo mettono alla prova il nostro sistema sociale, educativo e formativo a 360 gradi, e lo fanno operando in un contesto nuovo, in quel continuum di spazi fisici e digitali dove vivono, sognano, crescono, studiano amano le nuove generazioni, dove stanno crescendo i nostri figli, muovendosi ogni giorno oltre confini che hanno superato le dimensioni delle generazioni precedenti, anche della mia generazione, che ha scoperto il digitale, ma che non ha mai vissuto in una dimensione come quella in cui stanno crescendo le nuove generazioni. Ora, in questo nuovo universo, dobbiamo imparare a occupare tutti gli spazi per non lasciare mai alcuno da solo. Solo in questo modo saremo in grado di difendere i principi e le conquiste di secoli di storia, anche in uno spazio nuovo della vita e dell'agire umano.
Questo spazio, che è nuovo per tutti, è ulteriormente cambiato per i giovani che hanno vissuto gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza durante la pandemia, perché, nella compressione delle restrizioni per combattere il virus, per sconfiggere il COVID-19, grazie ai sacrifici di tante e tanti che dobbiamo ringraziare ogni giorno, hanno dovuto vivere anni fondamentali in spazi fisici sempre più ristretti, colmati solo dalla dimensione digitale.
Di fronte a un cambiamento così epocale, che solo tra alcuni anni sapremo cogliere, dobbiamo tenere gli occhi aperti, intervenire, aggiornare, rinforzare i precetti normativi, ma l'obiettivo non dovrà essere mai quello di dividere troppo presto le persone, le nuove generazioni, tra buoni e cattivi. Il nostro obiettivo deve essere intervenire per capire cosa deve cambiare per educare una nuova generazione in un nuovo mondo, perché la responsabilità di governare questo cambiamento è nostra, non loro. Perché se la violenza è sempre l'ultimo rifugio degli incapaci - come ci ha insegnato e raccontato Isaac Asimov in tanti racconti che ci hanno spiegato quella fantascienza futura in cui non vorremmo mai arrivare a vivere -, sta a noi lasciare che, nel futuro che stiamo costruendo con le nostre mani, gli incapaci siano sempre di meno e non di più, che i violenti siano sempre di meno e non di più.
Per questo, prevenzione e contrasto devono sempre camminare insieme. Per questo “educare” lo dobbiamo vivere nel senso dell'origine antica di questa parola, nel senso di tirar fuori, estrarre, guidare, per eradicare nel senso proprio di strappare via dalle radici questo fenomeno. Questo dobbiamo fare e ogni azione che va in questa direzione avrà sempre il sostegno del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lasalandra. Ne ha facoltà.
GIANDONATO LA SALANDRA (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, credo che quella di oggi sia particolarmente importante, perché rappresenta il più fulgido esempio in cui la politica è attenta alla realtà.
Riprendendo le parole del presidente della Commissione giustizia, l'onorevole Maschio, è stata scritta una bella pagina di dialogo parlamentare. Un doveroso grazie va a tutte le forze politiche che hanno consentito di essere oggi in Aula e di aver votato all'unanimità il mandato al relatore. Un rapporto tra maggioranza e minoranza in cui la maggioranza è arrivata a rinunciare ad alcune proprie proposte, perché questo testo unificato nasce da un sentimento di urgenza da parte di questo Parlamento, rispetto alla sollecitazione del collega Dori, ad intervenire su una materia quanto più delicata e pericolosa possibile.
Quando si parla di bullismo e di cyberbullismo, bisogna partire da un sentimento di consapevolezza che, molte volte, nasce da un sentimento di vergogna, una vergogna tremenda: la vittima del bullismo, a un certo punto, si interroga e pone se stessa in una condizione di difetto, ritenendo che esista un motivo per cui è presa di mira.
Ecco perché questo testo di legge è particolarmente importante, ad avviso del sottoscritto, ad avviso del nostro gruppo parlamentare e ritengo anche ad avviso di tutti gli avvocati che si occupano di diritto di famiglia. Infatti, questa normativa ha come obiettivo quello di contrastare un fenomeno, prevenendo tutti quegli atti prodromici al bullismo. Ecco perché l'esame delle norme pone una stretta sinergia tra le scuole, tra gli enti locali, tutti, tra le famiglie, affinché venga combattuto concretamente il bullismo e il cyberbullismo. Ed ecco perché proprio l'articolo 1, incidendo su diversi profili, opera una sorta di estensione del perimetro di applicazione della legge n. 71 del 2017, cercando di intercettare il fenomeno in tutte le sue manifestazioni e forme possibili, ponendo un particolare accento sulle azioni di carattere preventivo e su una strategia di attenzione e tutela nei confronti del minore, sia verso la vittima, sia verso i responsabili di questi illeciti, privilegiando azioni di carattere formativo ed educativo e assicurando l'attuazione degli interventi senza distinzione di età, nell'ambito delle istituzioni scolastiche, delle organizzazioni degli enti locali, delle organizzazioni sportive e anche di quelle del Terzo settore che svolgono attività educative, anche non formali e, soprattutto, in capo ai soggetti esercenti la potestà genitoriale.
È introdotta, in aggiunta a quella già prevista, sul tema del cyberbullismo, una vera e propria nozione di bullismo, intendendosi per tale l'aggressione o la molestia reiterata da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, in danno di un minore o di un gruppo di minori, idonee a provocare sentimenti di ansia, di timore, d'isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, finanche arrivando all'istigazione al suicidio o all'autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni.
Ritengo che l'articolo 3 sia particolarmente importante, perché interviene sul piano di azione integrato e sul tavolo tecnico. Il passaggio normativo è importante, perché riconosce, ad avviso di chi parla, l'importanza del contesto familiare in ordine a questo tema. È importante partire dalla consapevolezza che l'attuazione del tavolo è affidata a un decreto del Ministero dell'Istruzione e del merito, di concerto con l'autorità politica delegata per le politiche della famiglia, prevedendo che il tavolo tecnico sia presieduto da un rappresentante del Dipartimento delle politiche per la famiglia, così implementando le sinergie con i servizi socio-educativi presenti sul territorio, le scuole, gli enti locali, sportivi e del Terzo settore. Ciò è particolarmente importante, anche perché si è avuto un ampliamento delle dotazioni finanziarie, passando da 50.000 a 150.000 euro, anche e soprattutto per la diffusione della conoscenza dei sistemi di controllo parentale, avvalendosi dei principali media, nonché degli organi di comunicazione e di stampa.
S'introducono ulteriori particolari novità anche con l'articolo 4, prevedendo che ogni istituto scolastico adotti un codice interno per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo, istituendo un tavolo permanente di monitoraggio del quale fanno parte i rappresentanti degli studenti, gli insegnanti, le famiglie ed esperti del settore.
Con l'articolo 4-bis, è dedicato, in particolare, un capoverso al servizio di sostegno psicologico agli studenti e al servizio di coordinamento pedagogico, prevedendo che anche le regioni possano adottare iniziative affinché siano supportate le stesse istituzioni scolastiche.
Il bullo vive una sorta di condizione d'impunità e questo perché, molte volte, tale fenomeno è caratterizzato da una sorta di idea malata per cui taluni comportamenti siano necessari, rappresentino necessari esercizi di sopravvivenza a cui il debole deve necessariamente soccombere per diventare un adulto capace. Ma questa è un'idea assolutamente malata e credo che questo passaggio sia essenziale anche per capire la necessità di intervenire sulla legge minorile e sulle disposizioni connesse.
Infatti, se è vero che la legge penale prevede per l'imputabilità il limite del quattordicesimo anno di età, è anche vero che le audizioni, lo studio e la conoscenza del fenomeno offrono la materiale consapevolezza di come bisogna retrocedere rispetto a quell'età. Ecco perché si interviene con misure che vanno oltre gli assetti penali, anche attraverso l'individuazione di condotte non tipizzate, ma che sicuramente possono essere spie o allarme di un fenomeno particolarmente complesso.
La legge n. 888 del 1956, dopo aver sostituito la definizione di “minore traviato” con quella di “minore irregolare per condotta o carattere”, ha introdotto e messo al primo posto la misura dell'affidamento al servizio sociale quale attività di sostegno e controllo della condotta del minore, ordinata dal tribunale per i minorenni e attuata dal servizio sociale, che lascia il minore nel suo contesto familiare, facendolo però seguire ed aiutare dal servizio stesso.
Accanto ad essa, la medesima legge, però, ha conservato la misura del collocamento del minore presso un istituto di rieducazione o un istituto medico psicopedagogico. È importante questo perché la riforma interviene su diverse ipotesi che consentono l'adozione di misure rieducative del minore, aggiungendo alla irregolarità per condotta e per carattere del minore anche il riferimento a condotte aggressive, anche di gruppo, anche per via telematica nei confronti di persone o, come detto, animali, cose oppure, comunque, condotte lesive della dignità altrui. Diverse modifiche attengono altresì al procedimento per l'adozione di misure, ma ciò che è importante nella lettura del testo è come il complesso normativo ponga, mai come ora, al centro il minore e la famiglia del minore, perché la consapevolezza delle condotte sia piena e non affidata semplicemente a un contesto sociale che in determinati casi non fa altro che favorire determinate condotte.
Vedete, ritengo che la novità più importante della riforma consista proprio nella previsione di un intervento preliminare rispetto alle misure ordinarie, così prevedendo l'attivazione di un percorso di mediazione oppure lo svolgimento di un processo di intervento educativo con finalità rieducativa e riparativa sotto la direzione e il controllo dei servizi sociali minorili, che può essere disposto dal tribunale con decreto, nel quale dovranno essere esplicitati gli obiettivi e la durata dell'intervento. La novità sta nell'adozione di attività idonee a sviluppare nel minore sentimenti di rispetto nei confronti degli altri, ad alimentare dinamiche relazionali sane e positive tra pari e forme di comunicazione non violenta. Proprio il progetto di intervento educativo assume carattere rilevante, perché questo può prevedere proprio la partecipazione del nucleo familiare del minore tramite un percorso di sostegno all'esercizio della responsabilità genitoriale. A conclusione del progetto il tribunale per i minorenni, sulla base della relazione predisposta dai servizi sociali e sentito il minore, i genitori o gli esercenti la potestà genitoriale, adotta un ulteriore decreto motivato, optando tra diverse soluzioni. La riforma conferma le disposizioni vigenti circa il procedimento in camera di consiglio e il regime delle spese, ma aggiunge che ogni provvedimento deve essere reso previo ascolto del minore, dei genitori e degli esercenti la responsabilità genitoriale.
L'articolo 3 attribuisce una delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo; promuovere iniziative tese a prevedere un servizio di sostegno psicologico agli studenti presso le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie; predisporre piattaforme di formazione e di monitoraggio destinate alle scuole, al fine di prevenire e contrastare i fenomeni di bullismo e cyberbullismo e moduli di formazione specifica; prevedere il potenziamento del servizio per l'assistenza delle vittime di atti di bullismo e cyberbullismo mediante un numero pubblico, e dotando, altresì, una piattaforma informatica di un servizio di geolocalizzazione accessibile gratuitamente e attivo nell'intero arco delle 24 ore, con il compito di fornire alle vittime o ai loro congiunti un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica da parte di personale dotato di adeguate competenze; prevedere che l'Istituto nazionale di statistica svolga, con cadenza biennale, una rilevazione sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo; prevedere la prosecuzione della sperimentazione di cui all'articolo 1, comma 250, della legge n. 205 del 2017, con la possibilità di estendere gli interventi ivi previsti fino al compimento del venticinquesimo anno di età; prevedere che i contratti degli utenti con i fornitori di servizi di comunicazione e di informazione, offerti mediante reti di comunicazione elettronica, richiamino espressamente le disposizioni di cui all'articolo 2048 del codice civile in materia di responsabilità dei genitori per i danni cagionati dai figli minori in conseguenza degli illeciti posti in essere attraverso l'uso della rete, nonché le avvertenze a tutela dei minori previsti dalla normativa comunitaria. Vedete, quello che è importante sul tema - e concludo, Presidente - è ricordare come Linda Sanchez sostenne che la società si è spesso scrollata di dosso il tema del bullismo definendolo come una sorta di rito di passaggio. Il percorso condiviso che ha portato alla discussione in quest'Aula della proposta di legge è il segno tangibile di quanto la politica possa essere capace di leggere la società, perché spesso i bulli non hanno mai tempo né di ascoltare né di leggere, perché per loro è solo importante avere quante più merendine possibili per affermarsi, per sentirsi migliori, perché non tutte le violenze lasciano lividi o cicatrici (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carla Giuliano. Ne ha facoltà.
CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Io saluto e ringrazio tutti i colleghi, soprattutto i relatori per il lavoro svolto e, in particolare, il relatore Dori, che era già stato primo firmatario, nella scorsa legislatura, di un'analoga proposta di legge, che aveva visto avviarsi l'iter alla Camera, per poi stopparsi al Senato, e di cui era relatrice la collega D'Orso, che è cofirmataria anche dell'analogo testo. Ringrazio tutti i colleghi, in particolare per il grande lavoro che tanto in Commissione giustizia che in Commissione affari sociali è stato svolto per arrivare oggi alla discussione sulle linee generali in quest'Aula su un tema che, come MoVimento, riteniamo prioritario, fondamentale e delicato al tempo stesso. La tematica necessita certamente - e lo sottolineavano i colleghi che sono intervenuti prima di me, riportando alcuni dati davvero allarmanti - di un intervento urgente e, quindi, ancora una volta ringrazio il relatore Dori per la pervicacia con cui ha portato avanti questo testo di legge.
Gli effetti del bullismo effettivamente si stanno aggravando, proprio perché si stanno anche evolvendo in maniera concomitante rispetto ai sistemi di comunicazione. I nuovi sistemi di comunicazione, i social media, le chat e tutto quello che riguarda il mondo cyber amplifica e potenzia fino all'inverosimile gli spazi degli atti di bullismo. Faccio un esempio concreto ma reale. Prima dell'avvento dei social media e della comunicazione tramite Internet gli atti di bullismo, pur probabilmente altamente incidenti, erano, però, confinati a una dimensione temporale limitata. Mi spiego, un ragazzino, che veniva bullizzato o preso in giro a scuola, aveva poi il suo spazio - tra virgolette - di riflessione e non veniva sottoposto ad angherie nei momenti in cui non era a scuola. Ora invece, con la comunicazione cyber, ovviamente il danno che si fa ai minori è potenzialmente illimitato nel tempo e nel modo, perché ricopre - anche considerato che i nostri ragazzi trascorrono forse troppo tempo sui social o, comunque, sulle chat - uno spazio illimitato e, quindi, questi ragazzi sono bullizzati 24 ore su 24. Quindi, questo ci dà la sensazione dell'urgenza di questo intervento normativo, anche perché le ferite psicologiche - e non sta a me dirlo come componente della Commissione giustizia - che poi si hanno sono in molti casi addirittura insanabili e portano a dei gesti estremi. Questo ci preoccupa e ci impone oggi di intervenire e, quindi, siamo particolarmente felici di trattare questa proposta di legge. Abbiamo fatto un lavoro lungo che spero possa, però, poi trovare al Senato un celere accoglimento e una convergenza, così come è stato fatto alla Camera.
È un intervento normativo indispensabile, perché è incentrato - ed è questo l'aspetto più innovativo e principale - su interventi di carattere preventivo che tengono in considerazione e, in particolare, valorizzano percorsi educativi e percorsi rieducativi personalizzati, rivolti non soltanto ai responsabili di condotte illecite, ma anche a chi è vittima e al contesto familiare delle vittime di queste condotte; riguarda anche atti di bullismo perpetrati nei confronti non solo di persone, ma anche di animali o cose che, spesso, sono l'emblema di un'aggressività mal gestita, ma lampante e, quindi, altrettanto, in modo evidente, impongono l'intervento rieducativo di tutte le istituzioni educative e rieducative dello Stato.
Gli episodi di bullismo come sintomo anche di devianza minorile, soprattutto perpetrati in gruppo, con il fenomeno delle baby-gang, sono, purtroppo, in costante aumento e caratterizzati da atti di una violenza sempre crescente, alcune volte davvero inaudita. Quindi, abbiamo deciso di ampliare ed estendere il campo di applicazione di una legge, quella per il contrasto al cyberbullismo, adottata nel 2017, che ha un occhio particolare alla prevenzione. Quello che sta particolarmente a cuore sottolineare è che la riforma prevede, nei casi più gravi, laddove tutte le iniziative scolastiche ed educative non siano sufficienti, che il dirigente scolastico possa coinvolgere i servizi sociali per individuare, in primis, percorsi personalizzati di assistenza alle vittime. Quindi, un'attenzione particolare non solo, ripeto, ai responsabili di tali condotte, anche prima che diventino un illecito penale, ma alle vittime, in un'ottica pienamente rieducativa e pienamente riparativa. Queste sono misure, certamente, non di carattere penale, ma prodromiche che evitano e cercano di evitare che si arrivi alle misure penali.
Il provvedimento interviene in modo particolare - e su questo c'è stato un grande lavoro anche della collega del MoVimento 5 Stelle, Valentina D'Orso, che ringrazio, che ha fatto parte del comitato ristretto - sul regio decreto del 1934, la cosiddetta legge minorile, e modifica, in senso ampliativo e migliorativo, la disciplina di quelle che erano le cosiddette misure coercitive di intervento non penale nei confronti di minori che si fossero resi autori di condotte inaccettabili. In questo caso, c'è la predisposizione di un progetto di intervento educativo con una finalità specifica riparativa. Questo è un intervento preliminare rispetto a qualsiasi altra misura. In questo senso, viene riformulato l'articolo 25, che riguarda le competenze amministrative del tribunale per i minorenni, il quale assume, nella struttura di questa proposta di legge, un ruolo assolutamente fondamentale e, in questo, sono state recepite anche le indicazioni che, già nelle audizioni della scorsa legislatura, sono giunte a noi da diversi procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni; ricordo, tra tutti, il procuratore del tribunale dei minorenni di Milano. La novità essenziale è che questi percorsi rieducativi, questi progetti personalizzati riguardano non soltanto i cosiddetti minori irregolari per condotta o per carattere, cioè la vecchia predisposizione del regio decreto del 1934, che, poi, è stato modificato negli anni Settanta, ma con questo testo si aggiunge il riferimento alle condotte aggressive, anche di gruppo, nei confronti, ripeto, di persone, animali o cose, quindi lesive della dignità altrui.
Questo intervento è tanto più urgente proprio considerato, come dicevo prima, il costante abbassamento dell'età in cui si manifestano questi atteggiamenti potenzialmente pericolosi, che sono pericolosi e lesivi anche per il bullo che li pone in essere. Quindi, l'articolo 25 è applicabile anche ai minori di 14 anni: soggetti - che, normalmente, per la disciplina penale non sarebbero imputabili - possono essere destinatari, invece, di questi percorsi amministrativi e rieducativi. Quindi sono tutti minori, sono tutti bambini che possono essere rieducati in tempo, prima che la loro condotta possa sfociare in una repressione penale.
Quando parliamo di minori di età inferiore ai 14 anni, sono, ovviamente, tutti bambini che manifestano apertamente un disagio personale, che hanno bisogno di un supporto educativo. Queste misure rieducative hanno una finalità diversa e ancora più pregnante rispetto agli strumenti che già sono presenti anche nell'ordinamento civilistico: penso, per esempio, agli articoli 330 e seguenti. Quello che si vuole fare con questo testo unificato è sollecitare interventi tempestivi che possano correggere il tiro, la devianza giovanile, addirittura la devianza minorile, la devianza, ripeto, alcune volte, di questi bambini, prima di arrivare a conseguenze ulteriori, sia per le vittime che subiscono questi atti, sia per chi li perpetra. Il tribunale per i minorenni, ripeto, ha certamente un ruolo fondamentale.
Quindi, solo quando tutto l'apparato scolastico, attraverso un primo progetto educativo, non riesce a recuperare il ragazzo, c'è la seconda opportunità del percorso educativo su istanza del procuratore della Repubblica, attivato, quindi, dal tribunale per i minorenni, con l'ausilio dei servizi sociali.
In tutto questo, siamo fermamente convinti che le famiglie siano anche lo strumento fondamentale, oltre alla scuola, per consentire l'emersione delle situazioni di disagio giovanile, che, poi, ripeto, si perpetrano in atti di aggressività, in condotte, spesso, di abuso, anche in età molto precoce, di alcolici. Quindi, siamo ancora più convinti della necessità e della correttezza di queste misure che, dal nostro punto di vista, come MoVimento 5 Stelle, sicuramente, saranno uno strumento utile per consentire un intervento celere che possa prevenire conseguenze più gravi di queste condotte e che possa, ripeto, rimettere al centro la vittima di queste condotte e dare anche un minimo di giustizia alla vittima di queste condotte. Costringere - tra virgolette - ma non è costringere, perché è sempre su base volontaria -, inserire il ragazzo o i ragazzi, che si rendano responsabili di atti di bullismo o di cyberbullismo, all'interno di un progetto educativo, prima, all'interno della scuola e, poi, gestito dal tribunale per i minorenni, vuol dire far percepire alla vittima l'intervento dello Stato in una funzione riparativa, ma anche in una preliminare funzione di giustizia, senza, però, ancora sconfinare in una condotta e in una condanna penale. Queste sono, tra l'altro, le citazioni che ci sono pervenute dagli stessi auditi che abbiamo ascoltato in Commissione.
Mi avvio a conclusione, trattando l'ultimo punto del mio intervento.
Oltre agli aspetti di stretta competenza della Commissione giustizia, di cui sono componente, credo che il valore aggiunto di questa proposta di legge sia quello di mettere insieme, in un connubio straordinariamente equilibrato, interventi di giustizia, con la messa in campo delle istituzioni, con il tribunale per i minorenni e con il procuratore della Repubblica, e il supporto fondamentale della scuola e della famiglia. E lo voglio ricordare, anche perché, fortunatamente, davvero la ritengo una fortuna, sono nata e cresciuta in una famiglia di insegnanti. Credo che quello del docente sia uno dei mestieri più difficili e più carichi di responsabilità da portare avanti, poiché i docenti ovviamente hanno il carico della formazione, ma ormai, negli ultimi anni, spesso anche a causa di famiglie distratte, hanno il carico dell'educazione.
Ed è importante questo testo nel supportare i docenti attraverso questi piani personalizzati, perché, lo sappiamo, la formazione di uomini e donne che sin da bambini siano consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri e del patrimonio umano che ciascuno ha dentro di sé e dei canali attraverso cui esprimere le proprie emozioni, senza arrivare alle devianze, è certamente un aspetto fondamentale. Così come fondamentali, anche nel caso dei fenomeni di bullismo e di cyberbullismo, sono i percorsi educativi, a partire appunto dalla scuola, per inserire nelle classi l'educazione all'accettazione, l'educazione emotiva, la valorizzazione delle differenze, che sono da accogliere in un confronto, e non certo da reprimere o da discriminare.
Però, nonostante spesso ci sia un impegno da parte delle famiglie e da parte dei docenti, la società - in realtà noi stessi, perché poi, quando parliamo della società, siamo noi - dà spesso ai nostri ragazzi messaggi fortemente contraddittori, messaggi spesso superficiali e - lo dico in questo momento di ampia condivisione parlamentare - di estrema aggressività verbale e di atteggiamento, che mal si sposano con iniziative lodevoli del Parlamento, che, invece, ci fanno comprendere che la direzione da prendere, in qualsiasi campo della vita, è tutt'altra. È portare avanti le proprie idee con convinzione, essere aperti al confronto, ma non travalicare mai negli insulti, non travalicare mai con atteggiamenti aggressivi e personalmente aggressivi.
Rivolgo davvero un grazie al lavoro che è stato fatto, perché credo che sia vero che con una norma, con un testo di legge, non si possono risolvere tutti i problemi. Certamente, questo è solo un primo tassello, ma è un primo tassello importante anche per tutte quelle famiglie, cui rivolgo un pensiero - una la conosco personalmente -, che hanno perso i propri figli a causa di atti estremi di bullismo.
Tra l'altro, questo testo ci ha imposto una riflessione ulteriore, perché, come dicevo, c'era già una prima proposta di legge del 2017 per contrastare il cyberbullismo, e, a distanza di 6 anni dall'entrata in vigore di quella legge, purtroppo non sembra che le norme del 2017 abbiano inciso nella maniera in cui ci si aspettava. Questo spesso è frutto di una scarsa consapevolezza da parte degli stessi ragazzi degli strumenti che possono attivare a loro tutela. Allora, ben venga, sfruttando le nuove comunicazioni, creare piattaforme di informazione, di gestione, ma anche piattaforme o canali, anche immediati, attraverso i quali i ragazzi e i bambini possono immediatamente chiedere aiuto e gridare il loro dolore, così come avviene per le vittime di violenza. Abbiamo un numero dedicato per le vittime di violenza, a maggior ragione in questi casi, che colpiscono bambini e ragazzi, è ancora più urgente un intervento in questo senso. Legge del 2017 doveva segnare una svolta, però, purtroppo, le segnalazioni al Garante sono state solo un centinaio.
Quindi, spero si riapra il dibattito anche mediatico e spero che questa proposta di legge e questa discussione, non soltanto di oggi, ma anche dei prossimi giorni, possano avere una eco mediatica adeguata. Infatti, se adeguatamente comunichiamo all'esterno il nostro impegno, diamo alle famiglie e ai ragazzi, che compiono atti di bullismo, ma anche a quelli che li subiscono, alcuni segnali importanti. Li informiamo, anche in maniera molto semplice, della presenza nel dibattito non solo politico, ma anche nel dibattito della cosiddetta società civile, di questo tema, perché, ripeto, purtroppo, pensiamo a reprimere i bulli, pensiamo a rieducare i bulli - e va bene -, ma non pensiamo mai ai danni collaterali che questi atti portano a vita nelle vittime che riescono a superarli con grandissimo dolore e a vita nei parenti delle vittime che purtroppo compiono gesti estremi.
Quindi, questa proposta di legge sicuramente è un passo importante, è un ottimo punto di partenza per rafforzare quelle misure di cui parlavo.
Ripeto, è un ottimo connubio, ha un ottimo equilibrio tra la rieducazione del bullo, che certamente va aiutato e rieducato, perché, tra l'altro, spesso il bullo stesso diventa bullo perché subisce in altri gruppi atti di bullismo, e un'attenzione, però, nei confronti delle vittime. Soprattutto, il percorso, predisposto dal tribunale per i minorenni, di rieducazione e di mediazione comporta un confronto tra la vittima e il bullo, che valorizza la vittima, che, finalmente, recupera un senso di giustizia e un senso di centralità, capisce di esistere anche al di là dei difetti, perché uno degli effetti principali dell'essere bullizzati è l'emarginazione, in alcuni casi la depressione, è il sentirsi inadeguati, fuori contesto.
Quindi, con questi percorsi mediativi (li chiamerei rimediativi), la vittima, finalmente, è rimessa al centro e capisce che non è quella la normalità, però capisce anche che, nel confronto e nella mediazione di cui parlavo prima, fondamentale, anche il bullo può manifestare, in sede di mediazione, le sue fragilità, anche il bullo prende consapevolezza, trovandosi a quattrocchi con la vittima, e con i genitori, capisce la gravità del suo atto e inizia a mettersi nei panni dell'altro.
Voglio concludere, sperando che gli interventi che sono declinati in questa proposta di legge trovino attuazione e trovino il necessario supporto anche economico, perché, nella scorsa legislatura, una preoccupazione, che rallentò in minima parte o comunque in parte i lavori anche alla Camera dei deputati, fu la mancanza di adeguate risorse finanziarie. Ricordo che, nella scorsa legislatura, stanziammo circa 200.000 euro, quantomeno per le attività della piattaforma di monitoraggio, di segnalazione e di “educazione”, piattaforma che può essere utilizzata anche dalle scuole.
Ebbene, qui c'è una delega al Governo, da attuarsi entro un anno, anche per quanto riguarda tutte le risorse finanziarie. Allora, esprimo una preoccupazione, da un lato, ma un auspicio, dall'altro.
Spero che, come Parlamento, in primis come MoVimento 5 Stelle, saremo assolutamente costanti e vigili nel controllare che la delega venga attuata celermente in tutte le sue parti e che, soprattutto, si stanzino risorse adeguate. Spero che il Governo riesca a trovare risorse adeguate, anche più di quei 200.000 o 300.000 euro di cui parlavamo nella scorsa legislatura, per rendere davvero operativo questo provvedimento.
Le riforme a costo zero sono comunque importanti - lo ripeto, danno segnali importanti, indicano percorsi importanti - e in questo testo unificato di proposte di legge ci sono piccoli costi, veramente piccoli, che possono salvare vite umane.
Quindi, ricordiamoci di questo punto, lo dico come monito al Parlamento, ma come MoVimento 5 Stelle lo dico come sollecitazione e come monito al Governo: ricordiamoci che questo è veramente un provvedimento che può salvare delle vite quando farete gli stanziamenti necessari per metterlo in atto.
Concludo, ricordando Gramsci che diceva che l'indifferenza non è vita e che l'indifferenza è il peso morto della storia. Lui lo diceva relativamente alla politica e io lo declino qui, perché credo che, oggi, in quest'Aula e spero anche all'esterno, la politica abbia dato un bel segnale, perché l'indifferenza è quella che, forse, spesso fa crescere gli atti di bullismo e di isolamento delle vittime e, oggi, abbiamo scritto, abbiamo iniziato a scrivere una bella pagina di differenza politica. Io credo che, su questi temi, dobbiamo fare la differenza politica, che passa da una condivisione parlamentare, da un impegno del Governo, anche finanziario, che noi, come MoVimento 5 Stelle, sosterremo e criticheremo, qualora non ci fossero le risorse sufficienti, costantemente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Lauro. Ne ha facoltà.
CARMEN DI LAURO (M5S). Presidente, anche io ci tengo a ringraziare i relatori e tutti i colleghi delle Commissioni affari sociali e giustizia per un lavoro che è stato portato avanti con molta determinazione, con molta efficacia, per approvare questo testo unificato di proposte di legge che è importantissimo. Come è stato detto, speriamo che, però, questa volta, anche l'altro ramo del Parlamento possa approvarlo velocemente.
Il bullismo è un problema diffuso che affligge molte scuole e molte comunità in tutto il mondo. Si tratta, come viene descritto anche in questo testo di legge, di un fenomeno serio, caratterizzato da aggressioni fisiche, verbali o psicologiche, ripetute e intenzionali, da parte di un individuo o di un gruppo nei confronti di un'altra persona.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ANNA ASCANI (ore 19,12)
CARMEN DI LAURO (M5S). Il testo in esame propone di estendere la legge n. 71 del 2017, dedicata al solo cyberbullismo, anche al bullismo, rendendolo quindi un reato penale. Questo tipo di comportamento dannoso può lasciare cicatrici profonde nelle vittime e avere conseguenze a lungo termine sulla loro salute mentale e sul loro benessere.
Ma, ora, vediamo un po' di numeri, vediamo un po' di dati: nel 2021, tra maggio e ottobre, l'Istat ha realizzato un'indagine sugli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Il 9 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver saputo o visto in prima persona o di essere venuto a conoscenza, durante la pandemia, di episodi di bullismo e cyberbullismo sui suoi compagni di scuola. Sono soprattutto i ragazzi delle scuole secondarie di primo grado ad affermare ciò. Questo fenomeno interessa, purtroppo, anche maggiormente le donne; tra le ragazze la quota è più alta rispetto ai coetanei maschi: rispettivamente l'11 per cento contro il 7 per cento. C'è poi un focus che riguarda i ragazzi stranieri, anche questo è stato detto; per i ragazzi stranieri la percentuale di persone che hanno assistito o saputo di episodi del genere sale al 12 per cento, per gli italiani è il 9. Si deve, inoltre, registrare, come è stato ripetuto, che, per gli stranieri, la quota di coloro che non risponde è molto elevata, più elevata rispetto a quella registrata dagli italiani, il 7 per cento contro il 2 per cento. Anche questo potrebbe essere interpretato come un segnale di maggior disagio rispetto a questo tipo di fenomeno.
Tra le ragazze - e torniamo, quindi, ad avere anche delle percentuali più alte -, la quota di coloro che ha vissuto almeno una di queste situazioni di disagio è elevata: il 12 per cento contro il 10 per cento dei ragazzi. Mentre i più piccoli si confermano come la fascia di popolazione maggiormente a rischio.
Nelle scuole secondarie di secondo grado, ha vissuto una di queste esperienze il 9,8 per cento degli alunni; nelle scuole secondarie di primo grado quasi il 14.
Un altro importante aspetto, evidenziato dall'indagine del 2021, è che spesso ritroviamo questi fenomeni nell'ambito di un quadro ampio di disagio sociale. Per questo è importante tenere conto anche di altre dimensioni della vita quotidiana di bambini e ragazzi. Ad esempio, è emerso che l'esperienza di episodi vessatori è più frequente tra i ragazzi che ritengono di appartenere a famiglie povere o molto povere. I ragazzi che percepiscono come ricca la propria famiglia hanno subito episodi di bullismo o cyberbullismo nell'8 per cento dei casi; quelli che ritengono la famiglia né ricca né povera rientrano sempre nell'8 per cento, mentre la quota di vittime sale al 16 per cento, quindi, il doppio, tra coloro che percepiscono la famiglia come povera. Anche tra coloro che non vanno bene a scuola gli episodi di bullismo sono più diffusi; ne è vittima circa l'8 per cento di coloro che dichiarano di essere bravi e molto bravi a scuola, prima della pandemia; la quota sale al 14,8 per cento tra coloro che non si ritengono bravi.
Un altro documento molto importante che ci aiuta a fotografare la realtà attuale è l'indagine di Openpolis e dell'Osservatorio #conibambini che in buona parte conferma quanto già detto. Circa la metà ha dichiarato di essere stato preso in giro per l'aspetto fisico o per difetti di pronuncia una o più volte al mese. In questo caso sono le ragazze ad essere colpite più spesso: il 7 per cento contro il 5 per cento dei maschi. Sono ancora le adolescenti ad essere maggiormente prese di mira da chi racconta storie o sparla e ad essere emarginate o prese in giro per le proprie opinioni, mentre tra i ragazzi il bullismo si traduce più spesso in violenza fisica. Il 5 per cento riporta di essere stato colpito con spintoni, botte, calci e pugni almeno una volta al mese.
In generale, comunque, gli episodi di bullismo appaiono più frequenti per le ragazze: il 9,9 per cento dichiara almeno una volta a settimana, contro l'8,5 dei maschi, e per le fasce d'età, come abbiamo detto, più giovani, tra gli 11 e i 13 anni.
Per molti preadolescenti questi soprusi costituiscono un supplizio quotidiano. L'11 per cento dichiara di essere stato preso di mira una o più volte a settimana, una reiterazione così frequente nel tempo da configurare una condizione insopportabile per chi la subisce.
Il profilo socio-demografico della vittima e il suo territorio di residenza in questo senso offrono un quadro dei contesti sociali e territoriali in cui il bullismo risulta maggiormente diffuso. Emerge una prevalenza nell'Italia settentrionale e, in particolare, nelle città maggiori. A questo si aggiunga che la famiglia di chi subisce bullismo più spesso della media vive in una zona disagiata: il 10 per cento di chi riceve questi soprusi vive in un quartiere molto disagiato, contro l'8 per cento di chi vive in una zona con poco o alcun disagio. Una conferma del ruolo profondamente anti inclusivo del bullismo, anche in questa indagine, è data dall'alta quota di studenti stranieri che ne sono vittime. Rispetto agli alunni italiani che hanno subito episodi offensivi o violenti da coetanei, quelli stranieri sono circa il 17 per cento in più.
Questi numeri, quindi, ci dicono quanto fosse assolutamente importante intervenire ed è quello che abbiamo provato a fare, attraverso un testo che è stato adottato da tutte le forze politiche, a testimonianza di una sensibilità comune e condivisa rispetto alla gravità della situazione attuale del nostro Paese. È importante, comunque, sottolineare che il bullismo non deve essere considerato come un destino inevitabile. Possiamo contrastare questo fenomeno per creare un ambiente più sicuro e rispettoso per tutti.
Consapevolezza: il primo passo per contrastare il bullismo è aumentare la consapevolezza rispetto a questo problema. È fondamentale, quindi, educare studenti, insegnanti, genitori - così come diciamo anche in questo provvedimento - e la società nel suo complesso sui danni che il bullismo può causare. Le scuole possono e devono organizzare programmi educativi che insegnino ai giovani a riconoscere il bullismo, a sviluppare l'empatia e a promuovere il rispetto reciproco. Gli insegnanti devono essere formati per identificare i segnali di bullismo e intervenire tempestivamente.
Altro punto importante è promuovere un clima di rispetto. La creazione di un clima scolastico sano e rispettoso è fondamentale. Le scuole devono poter attuare regole chiare e rigorose per intervenire sul fenomeno. Ed è proprio quello che stiamo facendo attraverso questo provvedimento; infatti, se le violenze avvengono a scuola, il dirigente scolastico deve informare i genitori dei bulli e, se l'attività di educazione e prevenzione non ha effetto, informare, allora, solo dopo, l'autorità competente. Allo stesso tempo è importante promuovere azioni positive, come il rispetto, la gentilezza e l'inclusione. L'educazione al rispetto delle differenze e alla diversità può contribuire a creare un ambiente accogliente, in cui ogni individuo si senta valorizzato. Il contrasto al bullismo richiede senza dubbio uno sforzo collettivo: genitori, insegnanti, amministratori scolastici e membri della comunità devono collaborare per affrontare queste situazioni in modo efficace. I genitori devono essere informati e coinvolti nella prevenzione e nella gestione. Le scuole possono organizzare incontri e workshop, che coinvolgano le famiglie per discutere del problema e fornire anche strategie per affrontarlo insieme.
Deve esserci poi, chiaramente, un fondamentale supporto alle vittime. È essenziale offrire sostegno alle vittime di bullismo. Le scuole devono fornire un ambiente sicuro, in cui le vittime si sentano a proprio agio nel segnalare gli episodi di bullismo e nel cercare aiuto. È importante mettere in atto meccanismi di protezione e supporto psicologico per le vittime, come servizi di consulenza o gruppi di supporto. Allo stesso tempo è importante, però, capire che i bulli sono spesso individui con problemi e difficoltà personali. Offrire loro opportunità di crescita personale, attraverso programmi di sensibilizzazione o interventi educativi specifici, può contribuire a modificare i loro comportamenti. Questo è molto più importante dell'aspetto repressivo. Punire non vuol dire educare e con il solo atto punitivo spesso non si raggiunge alcun risultato apprezzabile in termini di miglioramento e di realizzazione personale e nelle relazioni con il prossimo.
Durante la discussione della proposta di legge, in Commissione, avevo presentato un emendamento, che chiedeva di stanziare risorse per il supporto psicologico. L'emendamento è stato respinto e il rischio è che vi sia, sì, la previsione del servizio, però senza risorse economiche. Penso che il benessere psicologico e la salute mentale abbiano bisogno di risorse concrete, perché altrimenti rischiamo di scrivere un bel racconto, che però non riusciamo a concretizzare oppure, se lo concretizziamo, poi magari non riesce a funzionare bene, come accade, tra l'altro, anche in molti altri settori della salute mentale. Bene che sia stato istituito anche un coordinamento pedagogico, ma anche lì, allo stesso modo, abbiamo bisogno di risorse.
Durante la fase drammatica della pandemia, che ha gravato in modo particolare sulla salute mentale dei più giovani, erano stati stanziati dal Ministero dell'Istruzione circa 250 milioni di euro, soldi che sono serviti anche ad incrementare i servizi di assistenza psicologica per gli studenti. Infatti, per la prima volta, abbiamo avuto degli sportelli di supporto psicologico nelle scuole di primo e secondo grado. La pandemia per fortuna ora è finita, però, i suoi strascichi, uniti anche all'emergenza climatica, che è un tema particolarmente sentito anche dalle nuove generazioni, continuano a creare disagi psicologici molto forti.
Come MoVimento 5 Stelle, non ci siamo certamente sottratti alla collaborazione su un tema importante come il bullismo, che interessa soprattutto i nostri giovani e giovanissimi, ma riteniamo che si debba fare molto di più e lo si debba fare dimostrando, come dicevo, uno stanziamento di risorse. In tal senso, aspettiamo e speriamo nella prossima legge di bilancio e saremo certamente pronti a intervenire, nel caso in cui questo non dovesse accadere: è fondamentale per dimostrare una volontà concreta di aiuto, altrimenti diremo sempre e soltanto belle parole, ma con pochi fatti.
È fondamentale, in conclusione, andare oltre la dimensione repressiva e punitiva che, se da un lato è importante, dall'altro, però, interviene quando una vittima c'è già. Il nostro obiettivo deve essere quello di non avere più violenze e, di conseguenza, non avere neanche più vittime. In tal senso, questo è sicuramente un importantissimo primo passo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - Testo unificato - A.C. 536-A)
PRESIDENTE. I relatori e la rappresentante del Governo hanno comunicato alla Presidenza che non intendono intervenire in sede di replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di legge: Lupi e Alessandro Colucci: Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi delle istituzioni scolastiche e dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti nonché nei percorsi di istruzione e formazione professionale (A.C. 418-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 418-A: Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi delle istituzioni scolastiche e dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti nonché nei percorsi di istruzione e formazione professionale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 418-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Giorgia Latini.
GIORGIA LATINI , Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, saluto il Governo. Oggi sono particolarmente orgogliosa di essere relatrice di questa proposta di legge e voglio ringraziare, prima di tutto, tutti i colleghi della Commissione cultura, che hanno dato un contributo importante per innovare la proposta di legge sulle competenze non cognitive, che ritorna in Aula dopo essersi fermata in Senato. È un provvedimento che affronta problematiche importanti, come la dispersione scolastica, l'abbandono scolastico e la povertà educativa. Sono temi che tracciano un po' il futuro della nostra società, quindi, l'attenzione deve essere massima per i nostri studenti e i nostri ragazzi, perché purtroppo i dati non sono positivi.
Bisognerebbe ritornare al significato etimologico della parola “educare”, che deriva dal latino ex-ducere. Infatti, significa proprio “tirar fuori” e, quindi, gli insegnanti e i docenti dovrebbero tirar fuori quanto c'è di meglio in ogni studente, ovvero i loro talenti, e i talenti di solito vanno di pari passo con le passioni, proprio perché lo studente deve ritornare al centro, si deve appassionare, si deve sentire coinvolto nel percorso scolastico.
Da assessore alla cultura nella regione Marche, ho avuto la possibilità di mettere in campo delle risorse sull'innovazione, ovvero su nuovi modelli didattici innovativi, ed è stata una delle mie prime azioni. Anche il Ministro Valditara sta facendo molto in questa direzione. La proposta di legge che arriva in Aula si occupa delle competenze non cognitive, ma anche trasversali, in tutte le realtà collegate all'istruzione e alla formazione anche professionale. Per entrare subito nel vivo della proposta e capire di cosa parliamo, ricordo che secondo uno dei più completi cataloghi di tali competenze, fornito dall'Organizzazione mondiale della sanità già nel 1993, nel novero rientrano: il processo decisionale, la capacità di risoluzione dei problemi, il pensiero creativo, il pensiero critico, l'efficacia comunicativa, l'efficacia nelle relazioni interpersonali, la consapevolezza di sé, l'empatia, la gestione delle mozioni e dello stress. La proposta è il frutto di un lavoro, intenso quanto spedito, nella Commissione, iniziato lo scorso febbraio. Tale intensità e speditezza ovviamente non sarebbero state possibili senza un'ampia convergenza di tutte le forze politiche e del Governo, che ringrazio.
Dietro questa concentrazione temporale - voglio sottolinearlo - c'è anche una lunga storia di impegno politico e di confronto parlamentare. Infatti, il testo sull'introduzione delle competenze non cognitive e trasversali è al centro del dibattito delle Camere fin dalla scorsa legislatura, sulla base di un progetto di legge, a prima firma dell'onorevole Lupi, che fu concepito all'interno dell'intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, poi ampiamente affinato dalla VII Commissione. La formulazione di quella proposta vide il supporto politico di tutti i gruppi parlamentari e fu sottoscritta da colleghi illustri e autorevoli, come, per citarne alcuni, Paola Frassinetti, oggi Sottosegretaria per l'Istruzione, ma anche Garavaglia, Palmieri, Aprea, Delrio, Toccafondi e Casa. Quella formulazione si giovò anche di numerosissimi contributi tecnici delle istituzioni di settore e degli esperti del mondo dell'educazione e del lavoro e fu approvata alla Camera all'unanimità. Poi, come dicevo, si bloccò al Senato, visto lo scioglimento delle Camere.
All'inizio di questa legislatura la nuova Commissione, che ho anche l'onore di presiedere come vicepresidente, non ha avuto dubbi sulla necessità di riprendere quel percorso da dove era stato interrotto, e così abbiamo ripresentato lo stesso articolato, licenziato dalla Camera nel 2022, ovviamente arricchito da nuove audizioni. Quindi, le ragioni alla base dell'approvazione di quel testo oggi sono rimaste intatte, ma, a nostro avviso, sono diventate ancora più chiare e urgenti. Anzitutto nel metodo, è nostra ferma convinzione che il lavoro parlamentare in argomento, che è stato davvero intenso, vada rispettato, valorizzato e, con concreto pragmatismo, finalizzato. Dico questo non solo per un omaggio formale al ruolo che le Camere rivestono nel sistema costituzionale come sede della rappresentanza democratica del popolo sovrano, ma anche per la convinzione che le convergenze politiche e l'apertura agli apporti della società civile, degli esperti e dei soggetti interessati, che in Parlamento possono registrarsi, sono infungibili, uniche e non ripetibili in altri procedimenti decisionali. Di questo dobbiamo essere consapevoli nell'esercitare il nostro mandato, dando la dovuta importanza al grande lavoro che svolgiamo ogni giorno.
Quanto al merito, posso affermare, come nella scorsa legislatura, che questo testo avesse proprio il pregio di precedere, in qualche modo, lo spirito del tempo odierno, quel tempo che, nel breve volgere di poco, è giunto in modo tanto rapido quanto incontrovertibile e vorrei spiegare meglio il motivo per cui gli obiettivi di questa proposta di legge sono importanti; per esempio, lo sviluppo armonico, integrale della persona, delle sue potenzialità, dei suoi talenti, la cultura della competenza, l'integrazione dei saperi disciplinari e delle relative abilità fondamentali, il miglioramento del successo formativo, la prevenzione dell'analfabetismo funzionale.
Infine, il contrasto al bullismo ha due grandi mali, di cui parlavo all'inizio del mio intervento, ossia la povertà educativa e l'abbandono scolastico. Tutti questi obiettivi corrispondono a sfide molto attuali, messe in risalto dopo la pandemia, che ora siamo chiamati in gran parte ad affrontare nell'ambito del PNRR.
Tutto il sistema di istruzione e formazione oggi è chiamato a uno sforzo di crescita ed evoluzione per dare una risposta a problemi vecchi e a questioni nuove; penso al superamento del divario fra istruzione e formazione e mondo del lavoro, penso alla valorizzazione del capitale umano e, ancora, alla presa di coscienza che lo sviluppo della persona fra i banchi di scuola e il suo successo nell'ambito lavorativo e nella vita non derivano solo dalle conoscenze, ma anche dalle competenze che si collocano su uno spettro molto più ampio di quello tradizionalmente considerato.
Secondo la definizione offerta dall'Organizzazione mondiale della sanità, che citavo all'inizio, le competenze non cognitive sono competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità. La loro mancanza renderebbe difficoltoso, quindi, per i ragazzi, mettersi in relazione con gli altri, affrontare i problemi, le pressioni e lo stress della vita quotidiana, il che potrebbe portare a insorgenze negative da un punto di vista comportamentale e - come detto - anche al fatto di non essere adeguatamente coinvolti nell'ambito educativo, quindi scolastico.
Anche secondo l'OSCE, lo sviluppo delle competenze non cognitive a scuola permetterebbe migliori prestazioni scolastiche e lavorative e un miglior comportamento sociale. Il processo educativo dovrebbe, quindi, allargarsi a queste competenze e, con esse, alla capacità di trattare situazioni complesse; mi riferisco alla creatività, all'apprendimento collaborativo, alla capacità personale e sociale di confronto con una realtà che cambia, come sappiamo, molto, molto velocemente. E potrei citare anche tanti altri studi e rapporti internazionali come, per esempio, il lavoro dell'economista James Heckman, premio Nobel nel 2000, autore di una fondamentale opera sull'importanza delle abilità non cognitive per la crescita del capitale umano e, quindi, nel percorso di apprendimento scolastico. Tali abilità, infatti, secondo l'autore, possono essere non solo valutate, ma anche insegnate e fatte crescere.
Dobbiamo poi chiarire gli obiettivi prefigurati dalla Commissione europea e dal World Economic Forum, che indicano ormai a chiare lettere la necessità di inserire le soft skill nei percorsi di istruzione e di formazione accanto a quelle tradizionali. Insomma, è tempo per il nostro sistema di adeguarsi e di cominciare a implementare nel nostro ordinamento uno strumento che ci consenta di affrontare, in un unico contesto, una pluralità di temi e problemi assai urgenti.
Vorrei altresì sottolineare che l'attuale testo, come risultante a seguito degli emendamenti approvati dalla VII Commissione, è il frutto di una sinergica concertazione con il Ministero dell'Istruzione e del merito che ha reso possibile apportare modifiche che hanno significativamente contribuito ad arricchire e a rafforzare il contenuto del nuovo metodo didattico, che sarà introdotto in via sperimentale, a livello nazionale, e sarà in grado di sviluppare negli studenti competenze anche trasversali.
Su questo punto è stato apprezzabile proprio aver specificato anche la trasversalità di queste competenze, perché permettono di acquisire capacità fondamentali per il successo degli alunni, ovunque saranno chiamati ad agire sul lavoro, nella società e nella vita.
Passo ora rapidamente a illustrare il contenuto del provvedimento, frutto degli emendamenti approvati in Commissione e suggellato dal parere favorevole delle Commissioni affari costituzionali, lavoro e affari sociali.
Il testo consta di 5 articoli.
L'articolo 1 è dedicato al sostegno allo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici. In particolare, prevede che il Ministero dell'Istruzione e del merito, a partire dall'anno scolastico successivo a quello dell'entrata in vigore della presente legge, favorisce iniziative finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali nelle attività educative e didattiche delle istituzioni scolastiche statali, ma anche paritarie, di ogni ordine e grado. L'obiettivo perseguito è promuovere - oltre che la cultura della competenza, integrando i saperi disciplinari e le relative abilità fondamentali, migliorando il successo formativo, prevenendo analfabetismo funzionale, povertà educativa e abbandono - anche lo sviluppo armonico e integrale della persona, nelle sue potenzialità e nei suoi talenti, come precisato con l'emendamento approvato in Commissione. Inoltre, il comma 2 dell'articolo 1 dispone che all'esito della valutazione positiva del Comitato tecnico-scientifico, con decreto del Ministero dell'Istruzione e del merito, sono definite le linee guida per lo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali che definiscono indicazioni metodologico-didattiche, in coerenza con le indicazioni nazionali.
L'articolo 2, introdotto sempre nel corso dell'esame in Commissione, disciplina la mappatura dei progetti e delle esperienze, attivata entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, già esistenti negli istituti scolastici italiani, inerenti alla lotta contro la dispersione scolastica e la povertà educativa.
L'articolo 3 è dedicato alla formazione dei docenti per lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici. In particolare, per favorire lo sviluppo di queste competenze nelle attività educative, il Ministero dell'Istruzione e del merito, entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, predispone il Piano straordinario di azioni formative rivolte ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado da attuare a partire dall'anno scolastico successivo a quello dell'entrata in vigore della legge.
La formazione dei docenti è organizzata dal Ministero dell'Istruzione e del merito, con la collaborazione dell'INDIRE, delle istituzioni scolastiche, nonché delle università e degli enti accreditati per la formazione.
L'articolo 4 è dedicato alla sperimentazione per lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici e, con decreto del Ministro dell'Istruzione e del merito, ne sono stabiliti i criteri generali per lo svolgimento. Il decreto, di cui al comma 1, definisce i requisiti e le modalità della partecipazione alla sperimentazione nazionale, nonché le procedure e i criteri di selezione delle proposte progettuali presentate dalle istituzioni scolastiche, singolarmente o in rete.
Grazie agli emendamenti approvati in Commissione sono state poi definite le finalità della sperimentazione grazie anche all'introduzione della lettera c).
La sperimentazione di cui al comma 1, infatti, è finalizzata: a) all'individuazione delle competenze non cognitive e trasversali il cui sviluppo è funzionale al successo formativo degli alunni e degli studenti; b) all'individuazione di buone pratiche relative alle metodologie e ai processi di insegnamento che favoriscono lo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali, nonché dei criteri e degli strumenti per la loro rilevazione e valutazione, in coerenza con la certificazione delle competenze e con le competenze chiave europee per l'apprendimento permanente.
È inoltre finalizzata, c), la lettera di cui parlavo in precedenza, all'individuazione di percorsi formativi basati su metodologie didattiche innovative che valorizzino potenzialità, motivazioni e talenti degli studenti, contribuendo alla riduzione della dispersione scolastica sia manifesta sia implicita, anche attraverso percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento e partenariati con organizzazioni del Terzo settore e del volontariato; d) alla verifica degli effetti dello sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali sul miglioramento del successo formativo e sulla riduzione della dispersione scolastica e della povertà educativa.
Con decreto del Ministero dell'Istruzione è costituito il Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio e la valutazione complessiva della sperimentazione e sono stabiliti i criteri sulla base dei quali il Comitato opererà. Nessuna indennità o compenso o gettone di presenza o altra utilità comunque denominata è dovuta ai componenti del Comitato tecnico-scientifico. Al termine dei tre anni di sperimentazione, il Ministro dell'Istruzione e del merito presenta al Parlamento una relazione sugli esiti della stessa. Per l'attuazione della sperimentazione le istituzioni scolastiche utilizzano le risorse dell'organico dell'autonomia, senza la previsione di ore di insegnamento eccedenti rispetto all'orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti.
Infine, l'articolo 5 è dedicato alla sperimentazione per lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti e nei percorsi di istruzione e formazione professionale. Anche l'attenzione a questo segmento di istruzione e formazione sottolinea la rilevanza e lo spessore di questa proposta di legge, che ci auguriamo, questa volta, venga presto approvata anche nell'altro ramo del Parlamento. Ciò perché, come dicevamo, è una proposta di legge molto attuale, poiché il metodo didattico ed educativo deve essere al passo con i tempi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che si riserva di farlo in un secondo momento. È iscritto a parlare il deputato Roscani. Ne ha facoltà.
FABIO ROSCANI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Sottosegretario, la proposta di legge che oggi arriva in Aula è volta a introdurre lo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali in tutte le realtà collegate all'istruzione e alla formazione, anche professionale, cioè nei percorsi delle istituzioni scolastiche, dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti, nell'ambito dell'istruzione e formazione professionale.
Per capire bene di cosa parliamo, ricordiamo che uno dei più completi cataloghi di tali competenze è stato fornito dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) già nel 1993, e tra queste rientrano il processo decisionale e la capacità di soluzione dei problemi, il pensiero creativo, il pensiero critico, l'efficacia comunicativa, l'efficacia nelle relazioni interpersonali, la consapevolezza di sé, l'empatia, la gestione sia delle emozioni che dello stress.
Questa proposta è stata il frutto di un lavoro davvero tanto intenso quanto veloce e spedito in Commissione, iniziato lo scorso febbraio. Tale intensità, ovviamente, non sarebbe stata possibile senza un'ampia convergenza di tutte le forze politiche, che ovviamente ringraziamo, e del Governo. Dietro a questa concentrazione temporale sta in realtà - e questo credo sia giusto sottolinearlo - un lungo percorso di impegno e di confronto parlamentare.
Questo testo sull'introduzione delle competenze non cognitive e trasversali è al centro del dibattito politico del nostro Paese e delle Camere fin dalla scorsa legislatura, sulla base di un progetto di legge che - lo ricordiamo - era sempre a prima firma dell'onorevole Lupi, che fu concepito all'interno dell'Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà e, poi, ampiamente dibattuto e affinato dalla VII Commissione. La formulazione di quella proposta vide il supporto politico davvero di tutti i gruppi con nomi di colleghi ed ex colleghi autorevoli, li ricordava la relatrice Latini. Per citarne alcuni: Paola Frassinetti, che oggi è Sottosegretario, ma anche Garavaglia, Palmieri, Aprea, Delrio, Toccafondi e Casa.
La formulazione del testo si è poi ampliata con numerosi contributi tecnici delle istituzioni del settore, degli esperti del mondo dell'educazione e del lavoro. Nel gennaio 2022, la Camera approvò quel testo all'unanimità, con ben 340 voti favorevoli, nessun astenuto e nessun contrario, ma ovviamente poi la proposta ha visto il suo percorso, purtroppo, arrestarsi in Senato senza diventare legge, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.
All'inizio di questa legislatura, la nuova VII Commissione ha ripreso quei lavori laddove si erano interrotti. In questa prospettiva, la proposta dell'onorevole Lupi è stata calendarizzata appena possibile e adottata come testo base, previo un nuovo ciclo di audizioni per valutarne gli opportuni aggiornamenti, con lo stesso articolato licenziato dalla Camera nel 2022.
Ritengo che le ragioni alla base dell'approvazione di quel testo siano non solo rimaste intatte, ma ovviamente divenute più chiare e urgenti. Anzitutto, con riguardo al metodo, è nostra ferma convinzione che il lavoro del Parlamento - che sull'argomento è stato davvero intenso - vada rispettato, valorizzato e, con concreto pragmatismo, finalizzato.
Dico questo non solo per fare un omaggio formale al ruolo che le Camere rivestono nel sistema costituzionale, come sede della rappresentanza democratica del popolo sovrano, ma anche per la convinzione che la convergenza di tutte le forze politiche e l'apertura agli apporti della società civile, degli esperti e dei soggetti interessati che in Parlamento possono registrarsi siano infungibili, unici, non ripetibili in altri procedimenti decisionali.
Quanto al merito, mi sembra di poter dire che, come nella scorsa legislatura, questo testo avesse il pregio di essere avanti con i tempi, diciamo quanto mai attuale. Quel tempo, in un breve volgere, è giunto in modo tanto rapido quanto incontrovertibile. Gli obiettivi che questa proposta si prefigge sono: lo sviluppo armonico e integrale della persona, delle sue potenzialità, dei suoi talenti, la cultura della competenza, l'integrazione dei saperi disciplinari e delle relative abilità fondamentali, il miglioramento del successo formativo, la prevenzione degli analfabetismi funzionali e, infine, il contrasto a due grandi mali che affliggono il nostro sistema: la povertà educativa e la dispersione scolastica. Questi sono obiettivi che corrispondono tutti a sfide attualissime che stiamo affrontando, poste in risalto anche dalle conseguenze della pandemia che ora siamo chiamati ad affrontare per la gran parte nell'ambito del PNRR.
Tutto il sistema di istruzione e formazione oggi è chiamato, quindi, a uno sforzo di crescita ed evoluzione per dare una risposta a problemi vecchi e a questioni nuove. Penso, ad esempio, al superamento del cosiddetto skill mismatch, cioè il divario tra istruzione e formazione, da un lato, e mondo del lavoro; penso alla valorizzazione del capitale umano e, ancora, alla presa di coscienza che lo sviluppo della persona fra i banchi di scuola e il suo successo nell'ambito lavorativo e nella vita non derivino solo e soltanto dalle nozioni e dalle conoscenze, ma anche dalle competenze che si collocano su uno spettro ovviamente molto più ampio di quello tradizionalmente considerato.
Secondo la definizione offerta dall'Organizzazione mondiale della sanità, in diversi documenti, le competenze non cognitive sono competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze quotidiane della propria vita, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità di cui fanno parte. La loro mancanza, ovviamente, renderebbe sicuramente molto più difficoltoso mettersi in relazione con gli altri, affrontare i problemi, le pressioni, lo stress della vita quotidiana, e ciò potrebbe quindi portare poi all'insorgere di fenomeni che noi stiamo combattendo, come la dispersione e l'abbandono scolastico.
Sempre secondo l'OCSE, nell'Education Working Papers n. 110 si è poi più volte confermato, anche in successivi documenti, che lo sviluppo delle competenze non cognitive a scuola permetterebbe migliori prestazioni scolastiche e lavorative e un miglior comportamento sociale. Il processo educativo, stando alla posizione dell'organizzazione, dovrebbe, quindi, allargarsi e comprendere anche queste skill non cognitive e, con esse, la capacità di trattare situazioni complesse, la creatività e l'apprendimento collaborativo e la capacità personale e sociale di confronto con una realtà che cambia velocemente, e se ne potrebbero davvero citare tantissimi di studi di economisti che hanno sostenuto queste posizioni. Tali abilità, secondo coloro che si sono occupati del tema, possono essere non solo valutate ma anche insegnate e fatte crescere.
Vale poi la pena citare gli obiettivi prefigurati dalla Commissione europea e dal World Economic Forum, che indicano ormai a chiare lettere la necessità di inserire le soft skills nei percorsi di istruzione e formazione accanto a quelle che sono le tradizionali hard skills. Insomma, credo che sia tempo per il nostro sistema di adeguarsi e di cominciare a implementare nel nostro ordinamento uno strumento che ci consenta di affrontare in un unico contesto una pluralità di temi e di problemi assai urgenti.
Nell'illustrare il contenuto del provvedimento, vale la pena dire che l'articolo 1 dedica un ampio sostegno allo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici. Si prevede, al fine di promuovere lo sviluppo armonico e integrale della persona, delle sue potenzialità, dei suoi talenti, la cultura della competenza, di integrare i saperi disciplinari e le relative abilità fondamentali, di migliorare il successo formativo prevenendo così la povertà educativa, la dispersione scolastica, gli analfabetismi funzionali, un grande lavoro da parte del Ministero dell'Istruzione e del merito, che, a partire dall'anno successivo all'approvazione della legge, sarà nelle condizioni di favorire iniziative finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali nelle attività educative e didattiche delle istituzioni scolastiche statali e paritarie di ogni ordine e grado.
All'esito, poi, di una valutazione positiva del comitato tecnico-scientifico, con decreto del Ministero dell'Istruzione e del merito saranno definite le linee guida per lo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali che definiscono le indicazioni metodologiche e didattiche, in coerenza con le indicazioni nazionali per i curricula della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, nonché con il documento indicazioni nazionali e nuovi scenari e con le indicazioni nazionali per i licei e le linee guida per gli istituti tecnici e professionali vigenti.
L'articolo 1-bis disciplina inoltre, come già riferito in quest'Aula, la mappatura dei progetti e delle esperienze già esistenti. In particolare, il Ministero dell'Istruzione e del merito entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge attiverà una mappatura delle esperienze e dei progetti già esistenti negli istituti scolastici italiani, inerenti alla lotta contro la dispersione scolastica e la povertà educativa, una mappatura corredata da un'analisi dell'impatto dei progetti e dei risultati prodotti.
L'articolo 2 è dedicato alla formazione dei docenti per lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici. Per favorire lo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali nelle attività educative e didattiche il Ministero dell'Istruzione e del merito, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, predispone un piano straordinario di azioni formative rivolto proprio ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado, da attuare a partire sempre dall'anno scolastico successivo a quello di entrata in vigore della legge. La formazione dei docenti è organizzata dal Ministero dell'Istruzione e del merito con la collaborazione dell'INDIRE e delle istituzioni scolastiche, nonché delle università e degli enti accreditati per la formazione.
L'articolo 3 è dedicato alla sperimentazione per lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici. Il decreto, di cui al comma 1, definisce i requisiti e le modalità della partecipazione alla sperimentazione nazionale, nonché le procedure e i criteri di selezione delle proposte progettuali presentate dalle istituzioni scolastiche singolarmente o in rete.
L'articolo 4 è dedicato alla sperimentazione per lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti e nei percorsi di istruzione e formazione professionale. Con il decreto, di cui all'articolo 3, comma 1, sono stabiliti i criteri generali per lo svolgimento della sperimentazione, avente la finalità di cui all'articolo 3, comma 3, anche nell'ambito dei percorsi dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPA), nonché le modalità di partecipazione alla sperimentazione, i requisiti dei soggetti ammessi alla presentazione dei progetti e le procedure di valutazione dei progetti medesimi. Con decreto del Ministero dell'Istruzione e del merito, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro 8 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono altresì stabiliti i criteri generali per lo svolgimento della sperimentazione avente la finalità di cui all'articolo 3, comma 3, nell'ambito dei percorsi di istruzione e formazione professionale.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sara Ferrari. Ne ha facoltà.
SARA FERRARI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Condivido così tanto e così profondamente gli obiettivi di questa proposta di legge che oggi sono profondamente delusa e arrabbiata, perché perdiamo un'occasione straordinaria per rendere reale ciò che state dicendo, ciò che ho sentito fino ad ora, ciò che condividiamo essere così importante per sollevare la scuola italiana da quella condizione non esaltante nella quale le classifiche internazionali la pongono. Perché oggi stiamo perdendo un'occasione così importante? La stiamo perdendo perché, dalle vostre parole e dal testo, non emerge un euro di finanziamento per questi obiettivi. Vi siete rifatti tutti alla proposta della scorsa legislatura, ma quella proposta aveva, sì, una larga condivisione parlamentare rispetto al merito, come del resto oggi, e aveva anche il sostegno del Governo, che aveva riservato - o intendeva riservare, attraverso l'esplicitazione nella relazione tecnica - il finanziamento di questa sperimentazione all'interno delle risorse della legge n. 107.
Invece, la sperimentazione di cui stiamo parlando oggi è una scatola vuota, è un bluff, e, purtroppo, rischia di essere addirittura un inganno, perché io non so se voi dentro una scuola di ogni ordine e grado pubblica o paritaria, nelle scuole per gli adulti, negli istituti di istruzione e formazione professionale ci siete mai stati. Se la norma dice che tutto ciò di cui stiamo parlando, la sperimentazione triennale e la formazione dei docenti, deve avvenire senza finanziamento, cioè esclusivamente con le risorse dell'organico e dell'autonomia delle scuole, allora vuol dire che vi state limitando ad autorizzare le scuole che, su base volontaria e di tasca propria, vogliono far partire una sperimentazione, pagarsi la formazione dei docenti, non avere un'aggiunta di monte ore e, quindi, sottrarre alcuni insegnanti, quelli che magari si sono dichiarati disponibili, piuttosto che avere un progetto complessivo che raggruppi tutti gli insegnanti di qualche specifico consiglio di classe, senza, appunto, distaccare per alcune ore qualche insegnante.
Allora, ci stiamo prendendo in giro e non è vero che crediamo fino in fondo a ciò che stiamo dicendo. Sono belle parole, bei principi, un testo di sani e interessanti obiettivi, ma fallace in partenza nella sua efficacia.
Avete addirittura scritto - e lo condivido - che questa sperimentazione e il progetto educativo vanno condivisi da parte del Ministero con INDIRE, con le scuole, con le università, con gli enti accreditati, prevedendo anche, giustamente, partenariati con il terzo settore e il volontariato. Tutto questo voi pensate che questi soggetti lo facciano gratuitamente? O pensate che le scuole rinuncino ad altra progettualità per dedicare un pezzettino delle loro, mi risulta, scarse risorse, per come stanno le scuole italiane, per fare anche questa sperimentazione, che noi consideriamo così importante, come ho sentito dalle vostre parole e sono d'accordo con voi? Allora, com'è possibile che questo avvenga veramente?
Noi abbiamo proposto in Commissione di garantire l'invarianza di bilancio, ma di tornare a prevedere, com'era stato nella scorsa legislatura, che il sostegno a questa lodevole iniziativa venga da una parte delle risorse previste nella legge n. 107. Quindi, abbiamo proposto un emendamento, che è stato bocciato, ma che io spero potrà essere ripreso in considerazione in quest'Aula, che proponeva di prevedere 5 milioni di euro, sulla legge n. 107, per la formazione dei docenti e 2 milioni di euro all'anno per le scuole che vogliano sperimentare. Perché questo è un investimento che possiamo anche considerare a termine. I soldi servono adesso per costruire questa sperimentazione. Non è vero che questa legge è avanti, perché di competenze non cognitive si sta parlando da moltissimo tempo, la ricognizione che verrà fatta dimostrerà che ci sono sperimentazioni in atto, una delle quali illustrerò dopo. Ma, per fare tutto questo, oggi servono i soldi. Domani, quando diventerà una metodologia strutturale all'interno delle nostre scuole, che mi pare è l'obiettivo che condividiamo tutti, non ci sarà più bisogno di finanziarlo in via specifica, diventerà parte integrante del modello scolastico, del modello di insegnamento che le nostre scuole adotteranno. Tuttavia, se noi non partiamo con questo forte convincimento dimostrato dall'investimento, allora ci stiamo raccontando una bella favola.
Volevo illustrarvi una sperimentazione che nel mio territorio, nel quale ho avuto l'onore di essere assessora all'istruzione terziaria, avevamo fatto partire nel 2017, con un governo regionale di un colore e che è stata portata avanti anche dal governo regionale successivo, di un'altra appartenenza politica, proprio perché la convinzione era condivisa. Questa sperimentazione era all'interno della provincia autonoma di Trento, che sapete essere un territorio che si è prestato spesso a essere laboratorio di sperimentazione per via delle sue caratteristiche non solo di luogo di grande autonomia ma anche di omogeneità sociale, economica, in cui elementi di distrazione sono limitati rispetto a un target di studenti che si può individuare. Questa sperimentazione è partita nel 2017 ed è terminata nel 2021, ha analizzato lo sviluppo delle competenze cognitive e non cognitive degli studenti trentini, per l'appunto, insieme all'università Bicocca di Milano, per capire se è possibile, attraverso un percorso scolastico, promuovere competenze non cognitive durante l'esperienza scolastica, in quale maniera, se queste competenze possono, e come, essere valutate e certificate e se queste competenze, effettivamente, fanno accrescere anche le competenze cognitive. Non mi dilungherò ma i risultati sono stati incoraggianti, le risposte sono state quasi totalmente affermative e dimostrano, sostanzialmente, che, sì, il successo formativo si può e si deve raggiungere anche valorizzando le abilità di ciascuno in questa maniera, evidentemente rendendo concreto anche il percorso individualizzato di apprendimento. Soprattutto, però, ciò che è emerso e su cui voglio soffermarmi è l'acquisizione di competenze di cittadinanza attiva. La relazione, il working paper di questa sperimentazione, il rapporto di sintesi ci dice che le competenze non cognitive rafforzano il capitale umano, e un territorio, una comunità, una società sono più forti e competitivi quanto più forte e competente è il capitale umano di cui sono composti. Quello che viene sostanzialmente segnalato è che la malleabilità delle competenze non cognitive consente di fare programmi e attività per migliorare un percorso scolastico e che possiamo immaginare di inserire questo tipo di operazione all'interno dei percorsi di educazione alla cittadinanza, di educazione civica, sostanzialmente. Educazione civica che oggi la norma disciplina in maniera amplissima. Questo lavoro dimostra che, nonostante ci sia nella norma nazionale una definizione di educazione civica ampiamente condivisibile ma eccessiva e dispersiva, per la quantità di competenze che prevede di riuscire a sviluppare, l'utilizzo di questo tipo di metodologia può essere veicolato in maniera trasversale fra tutti i docenti del consiglio di classe. Quindi, non stiamo più pensando a pochi arditi volontari, che dedicano il proprio tempo, a questo punto anche gratuitamente, a sviluppare queste competenze, ma questo progetto diventa collettivo.
Che cosa ci dice questo report? Che la componente emozionale simbolica si associa in modo aperto e dialogico alla fondazione di cittadinanze multiple, quella europea, quella globale. Questo diventa ancora più rilevante, ovviamente, in un mondo sempre più globalizzato. Occorre lavorare sulle competenze non cognitive, non tanto trasmettendo competenze che possono restare liste analitiche di conoscenze, senza alcuna percepita importanza, ma fortificando la capacità di comprendere la realtà, le persone, le cose e le situazioni, e di relazionarsi con esse.
È per questo, come si è già accennato, che l'educazione civica può essere trasmessa non come una materia di competenze analitiche ma educando le competenze non cognitive, educando, attraverso la trasmissione dei contenuti, il costituirsi di una personalità che non solo apprende, ma riconosce come valore quel nesso di diritti-doveri che conduce alla costruzione dell'io e della società in cui vive.
Non posso, non ho altro tempo per aggiungere altro. Però, davvero vi chiedo di ragionare ancora sull'opportunità, sulla necessità e sull'importanza di credere veramente fino in fondo a quanto oggi stiamo dicendo. Per farlo c'è assolutamente bisogno che questa norma abbia un suo dedicato finanziamento. Altrimenti, davvero stiamo parlando di qualcosa che tutti crediamo importante, perché la nostra scuola è la base su cui costruiamo la nostra società, ma non arriveremo a raggiungere davvero l'obiettivo. Spero davvero che nei prossimi giorni in quest'Aula ci sia la possibilità di trovare da questo Governo le risposte che il Governo precedente aveva dato, individuando il luogo da cui attingere le risorse necessarie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bicchielli. Ne ha facoltà.
PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Signora Presidente, onorevoli colleghi, signora Sottosegretario, da tempo la scuola italiana ha iniziato ad intraprendere iniziative volte ad innovare la sua proposta e la sua metodologia didattica; una sfida ardua, che parte dalla constatazione di problematiche di fronte alle quali non è più possibile chiudere gli occhi. Mi riferisco in particolare al problema dei giovani che non studiano, non lavorano, non cercano un lavoro e non sono inseriti in un percorso di formazione, insomma, quei giovani che si sono già arresi e che formano i cosiddetti NEET, not in employment, education or training. In Italia, i NEET tra i 15 e i 34 anni sono circa 3 milioni, quindi, un giovane ogni quattro in questa fascia d'età, con una leggera prevalenza femminile. Questi numeri consegnano all'Italia un triste primato a livello europeo; siamo superati solo da Turchia, Montenegro e Macedonia.
Un altro problema centrale è l'abbandono scolastico, con un tasso nel nostro Paese del 12,7 per cento, con picchi importanti al Sud: in Sicilia abbiamo il 21,1 per cento, in Puglia il 17,6, in Campania il 16,5. Si tratta di problematiche che, colpendo i più giovani, costituiscono in prospettiva una fonte di impoverimento umano, culturale ed economico per tutto il Paese. Un giovane che non studia e non lavora è un giovane che non conosce le sue potenzialità e che, quindi, avrà meno possibilità di poterle esprimere e metterle a frutto per tutta la comunità.
È un tema rilevante, dunque, che richiede interventi su più livelli, al quale, come gruppo di Noi Moderati, teniamo particolarmente. Infatti, la proposta di legge oggi in discussione è a prima firma del presidente del nostro gruppo, Maurizio Lupi, e del collega, onorevole Alessandro Colucci, e tocca direttamente le criticità appena esposte, definendo le modalità per sostenere lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici, anche al fine di migliorare il successo formativo, prevenendo gli analfabetismi funzionali.
Il progetto di legge parte da lontano, ha avuto la sua genesi nella scorsa legislatura e ha come base teorica gli studi condotti in materia dal professore James Heckman, professore dell'Università di Chicago e premio Nobel per l'economia, e il volume “Viaggio nelle character skills. Persone, relazioni, valori”, curato dai professori Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi e Giorgio Vittadini, uno dei maggiori contributi italiani sugli studi internazionali che hanno definito e sviluppato il concetto di competenze non cognitive.
Si tratta di un concetto, dunque, già ampiamente discusso e studiato sin dagli anni Novanta anche dall'Organizzazione mondiale della sanità, dall'OCSE, dall'Unione europea, dall'UNESCO e da altre importanti organizzazioni internazionali. Secondo la definizione offerta dall'Organizzazione mondiale della sanità nel documento “Life skills education for children and adolescents in schools” le competenze non cognitive sono competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità. Al pari delle cosiddette competenze trasversali, esse permettono agli studenti di possedere capacità di gestione dello stress, empatia, problem solving, motivazione, creatività e proattività. Il mancato sviluppo di tali attitudini renderebbe difficoltoso per i ragazzi mettersi in relazione con gli altri, affrontare i problemi, le pressioni e lo stress della vita quotidiana, il che potrebbe portare all'insorgere di fenomeni di dispersione e abbandono scolastico.
In sintesi, per competenze non cognitive si indicano tutte le abilità umani e sociali non legate alla cognizione, ma necessarie per lo sviluppo integrale della persona. Si tratta, dunque, di strumenti che, come già detto, possono contrastare efficacemente, non solo, il fenomeno dell'abbandono scolastico, ma anche quello della povertà educativa. Dal Rapporto sulla conoscenza del 2018 dell'Istituto nazionale di statistica è emerso, infatti, che al termine del primo ciclo di istruzione il 34,4 per cento dei giovani non aveva raggiunto un livello sufficiente di competenze alfabetiche, un dato che saliva al 40 per cento se si consideravano le competenze numeriche. Dati allarmanti, che impongono un intervento sulla metodologia didattica. Questo perché, molto spesso, una buona percentuale di questi studenti non raggiunge un livello qualificato e sufficiente di competenze, anche a causa dei sempre più frequenti disturbi dell'apprendimento, i quali, in alcuni casi, possono dipendere da fattori esogeni all'ambito scolastico, fattori sui quali potrebbero intervenire le competenze non cognitive, veicolando la comunicazione diretta o indiretta di disagi, paure e di tutto ciò che può ostacolare la serenità psicofisica dello studente. Lavorando quindi sulle capacità relazionale di ognuno e sulla presa di coscienza delle proprie aspirazioni e abilità, il percorso delle competenze non cognitive di fatto sviluppa l'innata propensione e vocazione alla comunità, che è scritta nella natura dell'uomo e si configura anche come strumento ulteriore di supporto alla sfida educativa che sono chiamati a compiere le famiglie, dovendo affrontare oggi maggiori difficoltà rispetto a qualche anno fa. Non a caso la proposta di legge prevede il coinvolgimento diretto dei genitori nel percorso. In buona sostanza, l'introduzione delle competenze non cognitive nel contesto scolastico è finalizzata non solo ad ampliare lo spettro delle competenze che la scuola riuscirebbe a fornire, ma anche ad introdurre parallelamente strumenti per contrastare - e in alcuni casi probabilmente anche ad alleviare e superare - le eventuali situazioni di disagio intra ed extra scolastiche che gravano sugli studenti.
Andando ad analizzare il testo, la proposta di legge si caratterizza per la presenza di tre fasi propedeutiche all'introduzione delle competenze cognitive nel sistema scolastico, in particolare nella scuola di primo e secondo grado: una mappatura dei progetti e delle esperienze già esistenti (articolo 2); la formazione dei docenti (articolo 3); una fase di sperimentazione (articolo 4).
La fase di mappatura sarà attivata dal Ministero dell'Istruzione e del merito entro 30 giorni dall'approvazione della legge, che sarà anche corredata da un'analisi dell'impatto dei progetti e dei risultati prodotti. Una volta effettuata la mappatura dei progetti, il secondo passaggio riguarda la formazione dei docenti, che verrà messa in atto attraverso un piano straordinario di azioni formative, predisposto dal Ministero dell'Istruzione e del merito entro 4 mesi dall'approvazione. Alla formazione collaboreranno anche l'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE), le istituzioni scolastiche, le università e gli enti accreditati per la formazione, garantendo un'ampia partecipazione di enti e istituzioni qualificate. La terza fase è quella della sperimentazione, che vedrà la luce entro 6 mesi dall'approvazione e sarà finalizzata ad individuare le specifiche competenze non cognitive e trasversali da introdurre nell'ordinamento scolastico, le buone pratiche e le metodologie più favorevoli per la maturazione delle competenze in oggetto, i percorsi formativi e la verifica degli effetti di sviluppo delle medesime competenze. L'introduzione sperimentale delle competenze non cognitive, in ogni caso, viene effettuata senza stravolgere gli ordinamenti e i programmi scolastici vigenti, senza incrementi o modifiche nell'organico del personale scolastico e senza la previsione di ore di insegnamento eccedenti rispetto all'orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti. L'introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico potrà avvenire in maniera interdisciplinare, nel rispetto dell'autonomia di ogni istituzione scolastica in relazione ai docenti coinvolti nella sperimentazione.
Insomma, crediamo che la proposta di legge presenti un quadro d'intervento prezioso e puntuale, frutto di uno studio approfondito sul sistema educativo e sulle criticità che intende contrastare e affrontare. Soprattutto, è un provvedimento che crede fermamente nelle potenzialità e nelle capacità dei giovani, partendo dal presupposto che gli stessi debbano essere adeguatamente seguiti e stimolati, non a parole, ma con percorsi concreti per arrivare ad esprimere appieno i loro talenti. Diceva Einstein: “Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà l'intera vita a credersi stupido”. Ecco, favorire lo sviluppo e l'espressione dell'abilità dei nostri ragazzi attraverso nuovi strumenti significa consegnare al sistema educativo più chiavi per provare ad aprire la stanza dei talenti che ognuno di noi possiede. Signora Presidente, ogni persona è unica e unici sono le azioni, i pensieri, le idee e i progetti che può mettere in campo. Se tale unicità non viene educata e non viene fatta venir fuori, tutto questo viene a mancare e, ad essere più povera, sarà tutta la comunità. Sviluppare e far fiorire questa unicità, nell'ottica di una formazione integrale della persona, deve essere sempre più l'obiettivo principale delle istituzioni scolastiche, affinché ognuno possa contribuire in maniera decisiva alla crescita della comunità.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 418-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, che rinuncia.
Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo. S'intende che vi abbia rinunciato.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 11 luglio 2023 - Ore 9,30:
1. Svolgimento di interpellanze e interrogazioni .
(ore 12)
2. Seguito della discussione del disegno di legge:
Delega al Governo per la riforma fiscale. (C. 1038-A)
e dell'abbinata proposta di legge: MARATTIN e ENRICO COSTA. (C. 75)
Relatori: GUSMEROLI e SALA.
3. Seguito della discussione delle mozioni Braga ed altri n. 1-00003, Santillo ed altri n. 1-00161, Zanella ed altri n. 1-00166 e Manes ed altri n. 1-00167 in materia di emergenza abitativa .
Relatrice: LATINI.
4. Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate):
VARCHI ed altri: Modifica all'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all'estero da cittadino italiano. (C. 887-A)
e delle abbinate proposte di legge: CANDIANI ed altri; LUPI ed altri.
Relatori: VARCHI, per la maggioranza; MAGI di minoranza.
5. Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 411 - Modifiche al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Approvato dal Senato).
(C. 1134)
e dell'abbinata proposta di legge: BILLI ed altri. (C. 101)
Relatore: PIETRELLA.
6. Seguito della discussione della proposta di legge:
CENTEMERO ed altri: Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti. (C. 107)
e dell'abbinata proposta di legge: STEFANAZZI ed altri. (C. 1061)
Relatore: CENTEMERO.
7. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
DORI e D'ORSO; PITTALIS ed altri; MASCHIO ed altri: Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo. (C. 536-891-910-A)
Relatori: DONDI e DORI, per la II Commissione; MATONE e CIANI, per la XII Commissione.
8. Seguito della discussione della proposta di legge:
LUPI e ALESSANDRO COLUCCI: Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi delle istituzioni scolastiche e dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti nonché nei percorsi di istruzione e formazione professionale. (C. 418-A)
La seduta termina alle 20,20.
TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: FABRIZIO SALA E FRANCESCO FILINI (A.C. 1038-A E ABB.)
FABRIZIO SALA, Relatore. (Relazione – A.C. 1038-A e abb.). Il 16 marzo 2023 il Consiglio dei ministri ha deliberato un disegno di legge contenente delega al Governo per la riforma fiscale (A.C. 1038-75-A). Il provvedimento è stato assegnato in sede referente alla VI Commissione Finanze, che ne ha concluso l'esame in sede referente il 5 luglio 2023.
Il disegno di legge, cui è stato abbinato il testo dell'AC. 75 - che riproponeva il testo del disegno di legge contenente la delega per la riforma fiscale presentata nella scorsa legislatura - ha formato oggetto di un ampio esame nella Commissione VI, con la presenza costante, nel corso delle votazioni, del Vice Ministro dell'Economia, Maurizio Leo e del sottosegretario Freni, cosa che ha contribuito ad un confronto dialettico nel merito molto proficuo e che ha portato all'approvazione di diversi emendamenti, alcuni dei quali presentati dall'opposizione.
In sintesi, il disegno di legge consta di 20 articoli, distribuiti in cinque titoli.
Il Titolo I contiene i principi generali e i tempi di esercizio della delega (artt. 1-3) nonché i principi e i criteri direttivi per la riforma dello statuto del contribuente, con particolare riguardo alla disciplina dell'interpello (art. 4).
Il Titolo II, concernente i tributi, rappresenta la parte più ampia della delega ed è articolato in tre capi. Il Capo I concerne le imposte sui redditi, l'Iva e l'IRAP (artt. 5-8) ed un articolo nel quale confluiscono ulteriori disposizioni sulla materia (art. 9). Il Capo II (artt. 10-12) concerne tutte le altre imposte indirette. Il Capo III invece contiene un unico articolo concernente la disciplina dei giochi (art. 13).
Il Titolo III attiene alla disciplina delle procedure di definizione dell'imponibile, accertamento, riscossione e contenzioso (capo I, artt. 14-17) e le sanzioni (Capo II, artt. 18).
Il Titolo IV contiene i principi e i criteri direttivi relativi al riordino della normativa tributaria e alla codificazione (art. 19).
Il Titolo V contiene le disposizioni finanziarie (art. 20).
Passando all'analisi dettagliata degli articoli, ricordo che l'articolo 1 delega il Governo ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema tributario, indicando i principi e criteri direttivi generali e specifici cui deve attenersi la stessa (comma 1), disciplinando le modalità e i termini di esame parlamentare degli schemi di decreto legislativo (commi 2-3) e il meccanismo di slittamento del termine di delega (comma 4), stabilendo le modalità di coordinamento con la normativa vigente e di individuazione delle norme da abrogare (commi 5) e fissando i termini per l'adozione degli eventuali decreti legislativi correttivi (comma 6).
L'articolo 2 individua i seguenti principi generali cui il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega: stimolo della crescita economica e alla natalità, prevenzione e riduzione dell'evasione e dell'elusione fiscale attraverso l'aumento dell'efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale, razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario e revisione degli adempimenti dichiarativi e di versamento per i contribuenti. Si prevede anche un trattamento particolare per gli atti di trasferimento o di destinazione di beni e diritti in favore di persone con disabilità e l'applicazione dei principi e criteri direttivi generali di cui alla legge sul federalismo fiscale
Nel corso dell'esame in sede referente sono state introdotte alcune specificazioni - come ad esempio un esplicito riferimento al principio di progressività - e precisazioni relative ai soggetti cui deve essere prioritariamente indirizzato il beneficio fiscale.
L'articolo 3 reca i princìpi e criteri direttivi di delega per la riforma del sistema fiscale con riferimento agli aspetti internazionali e sovranazionali del sistema tributario, con particolare riferimento all'adeguamento dell'ordinamento tributario nazionale agli standard di protezione dei diritti stabiliti dal diritto dell'Unione europea, alle raccomandazioni OCSE nell'ambito del progetto BEPS (base erosion and profit shifting) contro l'erosione della base imponibile, alla migliore prassi internazionale e alle convenzioni sottoscritte dall'Italia per evitare le doppie imposizioni. Più in dettaglio, la norma individua come ambito di intervento la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all'imposizione e ha come obiettivo quello di promuovere l'introduzione di misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale. Si prevede inoltre il coordinamento di tale disciplina con quella relativa alla stabile organizzazione e con quella dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia, anche valutando la possibilità di adeguarla all'esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile – specificazione, quest'ultima, aggiunta nel corso dell'esame in sede referente.
Sempre per effetto delle modifiche in Commissione è stato previsto di recepire la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, avente ad oggetto la definizione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell'Unione; si prevede poi di semplificare e razionalizzare il regime delle società estere controllate (controlled foreign companies), rivedendo i criteri di determinazione dell'imponibile assoggettato a tassazione in Italia.
L'articolo 4 stabilisce che il Governo, nell'esercizio della delega per la revisione del sistema fiscale, osservi una serie di principi e criteri direttivi per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente tra i quali, oltre al rafforzamento dell'obbligo di motivazione degli atti impositivi, e alla valorizzazione dei principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto, rilevano specialmente i principi introdotti in materia di interpelli.
A seguito di una modifica introdotta in sede referente le norme dello Statuto dei diritti del contribuente sono qualificate come princìpi generali dell'ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria.
Nel corso dell'esame in sede referente sono stati inoltre introdotti due principi di delega: il primo diretto a istituire disciplinare l'istituto della consulenza giuridica, distinguendolo dall'interpello e prevedendone presupposti, procedure ed effetti, assicurando che non ne derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; il secondo volto a prevedere l'istituzione e la definizione dei compiti del Garante nazionale del contribuente con la contestuale soppressione del Garante del contribuente, operante presso ogni direzione delle entrate regionale e delle province autonome.
L'articolo 5 contiene i principi e i criteri direttivi in materia di IRPEF.
In termini generali si dispone la revisione e la graduale riduzione dell'Irpef, nel rispetto del principio di progressività e tendenzialmente e gradualmente diretto al raggiungimento di un'aliquota unica. Nel riordino delle agevolazioni si deve tenere conto delle relative finalità, con particolare riguardo ad alcuni elementi (tra cui la composizione del nucleo familiare, la tutela del bene casa e della salute, dell'istruzione). Si prevede inoltre il graduale perseguimento della equità orizzontale attraverso, tra l'altro: l'applicazione della stessa area di esenzione fiscale e dello stesso carico impositivo Irpef indipendentemente dalla natura del reddito prodotto; la possibilità del contribuente di dedurre i contributi previdenziali obbligatori; con le modifiche in sede referente, è stato precisato che l'applicazione della cd. flat tax incrementale è destinata in particolare alle retribuzioni corrisposte a titolo di straordinario che eccedono una determinata soglia e ai redditi da lavoro dipendente e assimilati se riferibili alla percezione della tredicesima mensilità, ed è stata altresì prevista l'introduzione di una tassazione in misura agevolata anche sui premi di produttività alle medesime condizioni.
Specifici principi sono previsti per i redditi agrari con l'obiettivo di favorire ed agevolare l'aggiornamento delle classi e qualità di coltura prevedendo, tra l'altro, un regime di favore per i redditi ottenuti da soggetti titolari di pensione o di redditi modesti che svolgano attività agricole.
Per quanto concerne i redditi dei fabbricati, il disegno di legge indica la possibilità di estendere il regime della cedolare secca agli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, qualora, è stato precisato in sede referente, il conduttore sia un esercente, una attività d'impresa, o di arti e professioni.
Diversi principi e criteri direttivi concernono i redditi di natura finanziaria rispetto ai quali si prevede la creazione di un'unica categoria reddituale (superando quindi la distinzione tra rediti da capitale e redditi diversi), determinando il valore di tali redditi sulla base del principio di cassa e assicurando una più ampia possibilità di compensazione tra componenti positivi e negativi (è stato precisato in sede referente che ciò deve avvenire nel rispetto dell'obiettivo di contenere gli spazi di elusione e di erosione dell'imposta). Viene inoltre prevista l'ipotesi di tassazione sostitutiva di imposte sui redditi e relative addizionali applicabile ai redditi finanziari, e iniziative agevolative e di semplificazione con riferimento ai rendimenti finanziari delle forme previdenziali complementari e per gli enti previdenziali privati.
Con riferimento ai redditi da lavoro dipendente e assimilati, i principi e criteri direttivi prevedono revisione e la semplificazione delle disposizioni riguardanti le somme e i valori esclusi dall'imponibile salvaguardando specifiche finalità.
Per quanto riguarda il lavoro autonomo, nell'ottica di semplificazione e razionalizzazione, si prevede in particolare: il concorso alla formazione del reddito di tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo conseguiti; l'allineamento del trattamento fiscale degli immobili strumentali, nonché di quelli a uso promiscuo; la riduzione delle ritenute operate sui compensi, nel caso in cui ci si avvalga di dipendenti e collaboratori; la neutralità fiscale delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali.
Per quanto riguarda i redditi d'impresa, il disegno di legge prevede un regime opzionale di tassazione per le imprese in contabilità ordinaria, per favorire la neutralità tra i diversi sistemi di tassazione, mediante l'assimilazione al regime dell'imposta sul reddito delle società e l'assoggettamento ad aliquota proporzionale allineata a quella ordinaria dell'Ires. Sono infine contemplati specifici interventi sui cd. redditi diversi.
L'articolo 5 è stato oggetto di diverse modifiche in sede referente: è stato specificato che, nella revisione e riduzione dell'Irpef, tenuto conto della composizione del nucleo familiare, occorre prendere in considerazione, in particolare, i nuclei familiari in cui sia presente una persona con disabilità; per quanto riguarda la tutela del bene costituito dalla casa, è stato specificato che tale tutela avviene con riferimento: alla casa in proprietà o in locazione; al miglioramento di efficienza energetica e riduzione del rischio sismico cui è stato aggiunto l'obiettivo della rigenerazione urbana e rifunzionalizzazione edilizia, valutando anche le esigenze di tutela, manutenzione e conservazione dei beni culturali; è stato previsto che nella medesima revisione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche l'esecutivo abbia riguardo a misure volte a favorire la propensione a stipulare assicurazioni con oggetto il rischio di eventi calamitosi, nonché volte a favorire lo stabile inserimento nel mercato del lavoro dei giovani che non hanno compiuto il trentesimo anno di età. È stato chiarito che i redditi di natura finanziaria, nell'impianto di delega, devono essere inclusi nel reddito complessivo. Inoltre, nell'esercizio della delega il Governo è chiamato a valutare l'introduzione, per un periodo limitato di tempo, di misure idonee a favorire i trasferimenti di residenza nei comuni periferici e ultraperiferici, come individuati dalla Strategia nazionale per le aree interne.
È stato infine introdotto un principio di delega, con particolare riguardo alle modalità di versamento dell'IRPEF dovuta dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali e dai contribuenti a cui si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale, diretto a prevedere una migliore distribuzione del carico fiscale nel tempo, anche mediante la progressiva introduzione della periodicità mensile dei versamenti degli acconti e dei saldi e un'eventuale riduzione della ritenuta d'acconto ed è stato precisato, con riguardo alla tassazione dei collezionisti di opere d'arte, l'esonero dei medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale.
L'articolo 6 reca i princìpi e i criteri direttivi per la revisione del sistema di imposizione sui redditi delle società e degli enti. In sintesi, a seguito delle modifiche introdotte in sede referente, si prevede, oltre alla semplificazione dell'allineamento tra valori civilistici e fiscali, un doppio regime agevolato rispetto all'IRES ordinaria: accanto all'aliquota ordinaria (attualmente pari al 24%) infatti, in sostituzione del principio di delega originariamente previsto alla lettera a), si prevedono due regimi di vantaggio complementari. Il primo prevede la riduzione dell'aliquota dell'IRES nel caso in cui sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, in nuove assunzioni o in schemi stabili di partecipazione dei dipendenti agli utili, una somma corrispondente, in tutto o in parte, al reddito entro i due periodi d'imposta successivi alla sua produzione. La riduzione non si applica al reddito corrispondente agli utili che, nel predetto biennio, sono distribuiti o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'attività d'impresa; per le imprese che non beneficiano della riduzione come appena descritta, viene introdotta la possibilità di fruire di eventuali incentivi fiscali riguardanti gli investimenti qualificati, anche attraverso il potenziamento dell'ammortamento, nonché di misure finalizzate all'effettuazione di nuove assunzioni, anche attraverso la possibile maggiorazione della deducibilità dei costi relativi alle medesime. Sono inoltre introdotti specifici principi e criteri direttivi relativi a specifici aspetti contabili (dalla valutazione degli interessi passivi, della disciplina dei conferimenti di azienda, dal regime di compensazione delle perdite fiscali, all'introduzione di un regime speciale, in caso di passaggio dei beni dall'attività commerciale a quella non commerciale e viceversa).
L'articolo 7 reca i princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione dell'IVA prevedendo una ridefinizione dei presupposti dell'imposta in modo da renderli più aderenti alla normativa dell'Unione europea, la revisione della disciplina delle operazioni esenti la razionalizzazione del numero e della misura delle aliquote Iva, la revisione della disciplina della detrazione ed alcuni interventi più settoriali (con riferimento al gruppo Iva, terzo settore, importazione di opere d'arte).
L'articolo 8 stabilisce principi e criteri direttivi specifici volti a realizzare il graduale superamento dell'imposta regionale sulle attività produttive, indicando le priorità di attuazione dell'intervento.
L'articolo 9 disciplina diversi ambiti specifici attinenti all'imposizione sui redditi, tra i quali si colloca innanzi tutto la razionalizzazione e la semplificazione dei criteri di determinazione del reddito d'impresa prevedendo inoltre la razionalizzazione degli incentivi alle imprese e della fiscalità di vantaggio; sono stabiliti principi e criteri direttivi con riferimento ai redditi delle imprese che accedono agli istituti disciplinati dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, alle società "di comodo", nonché con riferimento ai regimi agevolativi per gli enti del Terzo settore e alle misure fiscali per gli enti sportivi.
Nel corso dell'esame in sede referente sono stati introdotti tre ulteriori principi di delega: il primo diretto a semplificare e razionalizzare la disciplina della liquidazione ordinaria delle imprese individuali e delle società commerciali; il secondo volto a prevedere al fine di garantire il rafforzamento del processo di avvicinamento dei valori fiscali a quelli civilistici la semplificazione e la razionalizzare la disciplina del codice civile in materia di bilancio, con particolare riguardo alle imprese di minori dimensioni e la previsione della possibilità per i soggetti che adottano i princìpi contabili internazionali IAS/IFRS per il bilancio consolidato, la facoltà di applicarli anche al bilancio di esercizio, salve alcune eccezioni; il terzo volto a favorire lo sviluppo economico del Mezzogiorno e la riduzione del divario territoriale, valutando la semplificazione del sistema di agevolazioni fiscali nei riguardi delle imprese.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato infine aggiunto un nuovo principio di delega diretto ad introdurre la disciplina fiscale relativa alla scissione societaria parziale. Un ulteriore principio di delega introdotto in sede referente prevede l'adozione di misure volte a favorire la permanenza in Italia di studenti ivi formati, anche mediante la razionalizzazione degli incentivi per il rientro in Italia di persone ivi formate e occupate all'estero.
L'articolo 10, modificato nel corso dell'esame in sede referente, specifica i princìpi e i criteri direttivi specifici relativi ai tributi indiretti diversi dall'IVA, con particolare riferimento all'imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni e imposta di bollo.
In particolare, tra gli altri, interventi si prevede di razionalizzare la disciplina dei singoli tributi, anche mediante l'accorpamento o la soppressione di fattispecie imponibili, ovvero mediante la revisione della base imponibile o della misura dell'imposta applicabile nonché di prevedere il sistema di autoliquidazione per l'imposta sulle successioni e per l'imposta di registro.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato introdotto uno specifico principio di delega diretto al riordino delle tasse automobilistiche valutando l'eventuale progressivo superamento dell'addizionale erariale sulla tassa automobilistica per le autovetture e gli autoveicoli destinati al trasporto promiscuo di persone e cose, aventi potenza superiore a 185 chilowatt (cosiddetto superbollo);
L'articolo 11 reca i principi e i criteri direttivi specifici a cui il Governo è tenuto ad attenersi per la revisione della disciplina doganale, attraverso il riassetto del quadro normativo in materia doganale, il completamento della telematizzazione delle procedure e degli istituti doganali, il potenziamento dello Sportello unico doganale e dei controlli ed il riordino delle procedure di liquidazione, accertamento, revisione dell'accertamento e riscossione. Si prevede infine la revisione dell'istituto della controversia doganale.
L'articolo 12 reca i princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della delega con riferimento alle accise e alle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi. Si prevedono vari principi e criteri direttivi tra i quali la rimodulazione delle aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull'energia elettrica e sul teleriscaldamento in modo da tener conto dell'impatto ambientale di ciascun prodotto, la promozione della produzione di energia elettrica, di gas metano o di gas naturale o di altri gas ottenuti da biomasse o altre risorse rinnovabili e la rimodulazione della tassazione sui prodotti energetici impiegati per la produzione di energia elettrica per incentivare l'uso di quelli più compatibili con l'ambiente intervenendo inoltre sulle agevolazioni in materia di accisa sui prodotti energetici, con particolare riferimento ai sussidi ambientalmente dannosi. Specifici principi concernono gli adempimenti relativi ai prodotti alcolici e la revisione della disciplina di applicazione dell'imposta di consumo sugli oli lubrificanti.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato introdotto un principio di delega concernente il divieto di vendita a distanza, transfrontaliera o con approvvigionamento transfrontaliero ai consumatori che acquistano nel territorio dello Stato dei prodotti da inalazione contenenti nicotina o preparati allo scopo di consentire l'assorbimento di questa sostanza senza inalazione o combustione.
L'articolo 13, contenente i principi e i criteri direttivi in materia di giochi, conferma innanzitutto il modello organizzativo del sistema dei giochi basato sul regime concessorio e autorizzatorio. Reca inoltre i princìpi e criteri direttivi per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, con specifico riguardo, tra l'altro, alla tutela dei soggetti maggiormente vulnerabili e alla prevenzione dei fenomeni di disturbi da gioco d'azzardo, alla dislocazione territoriale degli esercizi, ai requisiti soggettivi e di onorabilità dei soggetti concessionari, alla crisi del rapporto concessorio, alla riserva statale nella organizzazione ed esercizio dei giochi, al prelievo erariale, alla partecipazione degli enti locali al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, alle regole di rilascio delle licenze, alla disciplina dei controlli e dell'accertamento dei tributi, alla qualificazione e alla responsabilità degli organismi di certificazione degli apparecchi da intrattenimento. Nel corso dell'esame in sede referente sono stati introdotti due principi di delega: il primo volto a prevedere l'impiego di forme di comunicazione del gioco legale coerenti con l'esigenza di tutela dei soggetti più vulnerabili; il secondo contenente la previsione dell'accesso, da parte dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività di prevenzione e cura della patologia da gioco d'azzardo, ai dati concernenti la diffusione territoriale, la raccolta, la spesa e la tassazione dei giochi autorizzati di qualsiasi tipologia e classificazione.
L'articolo 14 non ha subito modifiche nel corso dell'esame in sede referente e contiene undici principi e criteri direttivi relativi alla revisione generale degli adempimenti tributari aventi ad oggetto l'introduzione di misure per la semplificazione degli obblighi dichiarativi e di versamento, anche tenendo conto dei periodi di riduzione dell'attività lavorativa (agosto e dicembre); interventi diretti a favorire l'accesso ai servizi dell'amministrazione finanziaria; misure dirette a rafforzare la posizione dei cittadini nel rapporto con l'amministrazione finanziaria ed interventi concernenti l'amministrazione finanziaria. Sono inoltre individuati due principi concernenti specificamente il riordino della disciplina delle cauzioni in materia di accisa e la revisione delle procedure amministrative per la gestione della rete di vendita dei prodotti del tabacco.
L'articolo 15, che non ha subito modifiche nel corso dell'esame in sede referente, indica principi e criteri direttivi specifici per la revisione dell'attività di accertamento. Le norme di delega prevedono misure di semplificazione del procedimento accertativo e un'applicazione generalizzata del procedimento del contraddittorio. In particolare, la disposizione delega al Governo il compito di disciplinare il diritto al contraddittorio in modo omogeneo concedendo anche al contribuente un termine congruo per le eventuali osservazioni, su cui l'ente impositore è tenuto a motivare espressamente in caso di mancato accoglimento delle stesse. Viene previsto, inoltre, il riordino delle norme in materia di analisi delle posizioni di rischio fiscale e l'utilizzo sempre maggiore delle tecnologie digitali (anche supportate dall'intelligenza artificiale), un potenziamento e una semplificazione del regime dell'adempimento collaborativo (anche attraverso maggiori meccanismi premiali e la riduzione della soglia di ingresso al regime), nonché a introdurre per i soggetti di minori dimensioni la possibilità di accedere a un concordato preventivo biennale. Altre norme sono rivolte ad assicurare una maggiore certezza del diritto tributario anche attraverso la diminuzione degli aggravi degli oneri amministrativi previsti per il contribuente.
L'articolo 16, che non ha subito modifiche nel corso dell'esame in sede referente, reca i principi e i criteri direttivi specifici per una revisione del sistema nazionale della riscossione che assicuri una maggiore efficacia, imparzialità ed efficienza. Oltre a diversi aspetti procedurali si prevede il discarico automatico, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell'affidamento, delle quote non riscosse, con individuazione delle quote automaticamente discaricate in ciascun anno da sottoporre al controllo; la revisione della responsabilità dell'agente della riscossione, oltre alla salvaguardia del credito, all'aggiornamento tecnologico, il progressivo superamento dello strumento del ruolo e della cartella di pagamento nonché dell'attuale separazione tra Agenzia delle entrate ed Agenzia delle entrate-Riscossione.
L'articolo 17, non modificato in sede referente, reca i princìpi e i criteri direttivi a cui il Governo è chiamato ad attenersi nell'esercitare la delega conferita per la revisione della disciplina e dell'organizzazione dei processi tributari con particolare riguardo al rafforzamento agli istituti deflattivi del contenzioso, all'implementazione del processo di informatizzazione della giustizia tributaria nonché intervenendo su alcuni aspetti procedurali e organizzativi.
Con l'articolo 18, che la Commissione non ha modificato, si prevedono una serie di princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, in materia di imposte sui redditi, di imposta sul valore aggiunto, di altri tributi erariali indiretti e di tributi degli enti territoriali. Obiettivo delle norme è razionalizzare, riparametrare e coordinare il rapporto tra sanzioni amministrative e penali, anche definendo specifici aspetti (ad esempio l'introduzione di uno specifico reato di sottrazione applicabile ai tabacchi lavorati ed ai prodotti ad essi assimilati e i reati doganali).
L'articolo 19, anch'esso non modificato in sede referente, reca la delega per la codificazione della normativa fiscale e detta i princìpi e i criteri direttivi che il Governo è chiamato a seguire per un riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema fiscale mediante la redazione di testi unici e di un vero e proprio codice tributario.
L'articolo 20 reca le disposizioni riguardanti gli oneri derivanti dalle norme di delega e le relative coperture finanziarie. Anche sulla base di quanto indicato dalla relazione tecnica, le norme di delega non comportano oneri immediati per la finanza pubblica. Viceversa la realizzazione della riforma attraverso gli specifici decreti legislativi che il Governo intenderà adottare, qualora comporti dei costi per la finanza pubblica, dovrà trovare copertura secondo modalità specificamente indicate dalla norma medesima.
FRANCESCO FILINI (FDI). (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 1038-A e abb.). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, signori del Governo, iniziamo oggi qui in Aula, dopo lunghe e proficue settimane di esame in Commissione Finanze, l'iter di approvazione della legge delega per la riforma fiscale, approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso 16 marzo. Ringrazio il Viceministro Leo, il Sottosegretario Freni e il Presidente Osnato per la disponibilità, la serietà, la correttezza e per aver garantito in un clima sereno il confronto costruttivo durante la fase dell'esame del testo in Commissione. Credo che sia la prima volta dopo tantissimi anni che un Governo mette in cantiere una riforma fiscale all'inizio della legislatura. E questo è un fatto che è stato apprezzato da numerosi addetti ai lavori, perché tutti sappiamo benissimo che per fare una seria riforma fiscale i tempi non sono proprio immediati: presentarla ad inizio legislatura è un fatto che denota indubbiamente serietà, perché ci dice che questo Governo vuole davvero portare a compimento la riforma del fisco.
Siamo di fronte ad uno dei più importanti atti del Governo, uno dei cardini del programma di centrodestra e di Fratelli d'Italia: per noi è un enorme passo in avanti verso il rilancio strutturale dell'Italia sul piano economico e sociale.
Questo è un provvedimento che darà il via ad un percorso volto a riscrivere completamente l'attuale sistema tributario varato negli anni 70.
Le nuove regole, che saranno operative entro 24 mesi dall'entrata in vigore della legge delega, vanno nella direzione di:
- dare impulso alla crescita economica e alla natalità, mediante la riduzione del carico fiscale;
- aumentare l'efficienza della struttura dei tributi e individuare meccanismi fiscali di sostegno a famiglie, lavoratori e imprese;
- favorire investimenti e assunzioni;
- instaurare un rapporto tra contribuenti e Fisco nella logica di un dialogo mirato tra le parti, secondo le esigenze di cittadini e imprese.
Tra i punti chiave della legge che affronta oggi il primo passaggio parlamentare, troviamo naturalmente la revisione dell'Imposta sul reddito delle persone fisiche, meglio conosciuta come IRPEF.
La riforma fiscale prevede una revisione dell'intero meccanismo di tassazione del reddito delle persone fisiche, in modo da attuare gradualmente l'obiettivo della “equità orizzontale”, attraverso:
- la riduzione della pressione fiscale che passerà da 4 a 3 aliquote;
- sarà individuata una unica fascia di esenzione fiscale e di un medesimo onere impositivo a prescindere dalle diverse categorie di reddito prodotto, privilegiando, in particolare, l'equiparazione della no tax area tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione;
- sarà introdotto il riconoscimento della deducibilità, anche in misura forfettizzata, delle spese sostenute per la produzione del reddito di lavoro dipendente e assimilato;
- ci sarà la possibilità per tutti i contribuenti di dedurre i contributi previdenziali obbligatori in sede di determinazione del reddito di categoria;
- la conseguente complessiva revisione delle tax expenditures: più di 600 voci tra detrazioni, deduzioni e sgravi vari che si traducono ogni anno in circa 165 miliardi di minor gettito.
Per quanto riguarda l'IRES invece, siamo particolarmente soddisfatti del principio per cui la revisione del sistema di imposizione sui redditi delle società e degli enti sarà basata sulla riduzione dell'attuale aliquota per le imprese che investono e\o assumono. In particolare, si potrà beneficiare della riduzione dell'aliquota IRES qualora vengano rispettate, entro i due periodi d'imposta successivi a quello nel quale è stato prodotto il reddito, entrambe le seguenti condizioni:
- una somma corrispondente, in tutto o in parte, al detto reddito sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, e in nuove assunzioni;
- gli utili non siano distribuiti o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'attività d'impresa.
La condizione, collegata all'effettuazione degli investimenti, ha l'evidente scopo di favorire la crescita economica e l'incremento della base occupazionale, con particolare riferimento ai soggetti che necessitano di maggiore tutela, ivi incluse le persone con disabilità, e senza interferire con i vigenti regimi di decontribuzione. In questo caso, a differenza di quanto avviene ordinariamente per la fruizione degli incentivi fiscali, la riduzione dell'aliquota precede l'effettuazione degli investimenti.
Dalla messa a terra della delega, ci aspettiamo anche una graduale eliminazione dell'IRAP. Una revisione organica dell'IRAP volta all'abrogazione del tributo e alla contestuale istituzione di una sovraimposta IRES tale da assicurare un equivalente gettito fiscale, per garantire il finanziamento del fabbisogno sanitario, nonché il finanziamento delle Regioni che presentano squilibri di bilancio sanitario ovvero che sono sottoposte a piani di rientro.
Ma uno degli obiettivi più importanti della riforma, che segna davvero un passaggio epocale rispetto al regime vigente, è quello di favorire un rapporto meno conflittuale tra il Fisco e il contribuente.
È questo il senso per cui per le piccole e medie imprese viene introdotto il “concordato preventivo biennale”: in sintesi, le tasse dovute si pagano in anticipo senza accertamenti fiscali post accordo. Il nuovo meccanismo si basa su un contraddittorio, un accordo tra impresa e Fisco, con modalità semplificate. Il risultato di questa negoziazione sarà una proposta biennale formulata dall'Agenzia delle Entrate in cui viene definito l'imponibile dell'azienda al fine delle imposte sui redditi e ai fini IRAP. Questo elemento è stato riassunto dal nostro Presidente del Consiglio con il principio: "Non disturbare chi vuole fare", chi fa impresa va sostenuto e agevolato, non vessato!
Ed è di sicuro molto apprezzabile, sempre nell'ottica di configurare un Fisco meno ostile agli occhi dei contribuenti, che si voglia evitare che in periodi particolari dell'anno, come i mesi di agosto e dicembre, arrivino le lettere di compliance, atti o altri documenti che possono generare difficoltà ai contribuenti.
Sul fronte della riscossione, l'obiettivo è un graduale superamento del ruolo esattoriale e un accesso semplificato a pagamenti fino a 120 rate.
Le sanzioni saranno riviste: in caso di omessi versamenti non reiterati, ad esempio, diventeranno più proporzionali rispetto a quanto contestato.
Quindi, con l'istituzione del concordato preventivo biennale e il rafforzamento dell'adempimento collaborativo si riscrivono le regole della lotta all'evasione fiscale che diventa preventiva e non più repressiva.
Vede Presidente, ci troviamo di fronte ad un provvedimento che rappresenta una vera e propria svolta per l'Italia. È una riforma epocale, strutturale e organica: una rivoluzione attesa da 50 anni con importanti novità a favore di cittadini, famiglie e imprese. Il nuovo Fisco delinea una nuova idea di Italia, un fisco vicino alle esigenze dei contribuenti e attrattivo per le aziende. Con la Riforma fiscale vogliamo premiare la lealtà e la responsabilità del contribuente, gettando le basi per un nuovo rapporto di fiducia con il Fisco. Grazie alla Riforma del sistema fiscale abbassiamo le tasse, aumentiamo la crescita e l'equità, favoriamo occupazione e investimenti. Lo avevamo promesso e oggi manteniamo l'impegno.
La riforma fiscale è l'emblema della visione economica e sociale di questo Esecutivo, i risultati di questa visione che ha cominciato ad essere applicata sin dall'approvazione della legge di bilancio, sono stati immediati: istituti indipendenti come ISTAT, Bankitalia o Anpal, hanno messo nero su bianco dei dati che non lasciano spazio a dubbi: il PIL italiano è dato in netto miglioramento rispetto alle previsioni, nel primo trimestre ha già fatto segnare un +0,9% e nel 2023 può chiudere con un 1,2%. Il dato è sotto gli occhi di tutti: in un periodo particolarmente difficile, con l'inflazione che galoppa e l'economia globale ed europea che rallenta, l'Italia cresce più di Francia e Germania. Una cosa del genere non si vedeva da decenni. Lo spread, che tanto piace alla sinistra, oggi è di quasi 100 punti base sotto rispetto a quando c'era il cosiddetto governo “dei migliori”, e questo accade nonostante i ripetuti e repentini aumenti del costo del denaro decisi dalla Banca Centrale Europea.
I titoli italiani non hanno difficoltà ad essere collocati sul mercato, anzi. Stiamo assistendo ad una vera e propria corsa all'acquisto dei titoli italiani soprattutto da parte delle famiglie italiane, che sono tornate a credere nel futuro grazie a questo governo. Non a caso la fiducia di famiglie e imprese verso questo esecutivo è data fortemente in aumento. La sinistra aveva sperato nella deflagrazione dello spread, del giudizio negativo delle agenzie di rating: i gufi devono farsene una ragione: l'Italia oggi non viene più vista come preda per la speculazione, ma come opportunità di investimento. Questo grazie alla serietà e alla coerenza di Giorgia Meloni, che in questi mesi ha concentrato tutti gli sforzi nel restituire credibilità e solidità ad una nazione che per anni è stata bistrattata soprattutto all'estero. Mentre la sinistra contesta il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori a basso reddito, mentre parla di precariato dopo aver distrutto per anni il lavoro e la cultura del lavoro, oggi siamo di fronte ad un vero e proprio boom occupazionale, con oltre mezzo milione di posti di lavoro in più rispetto allo stesso periodo del 2022.
Questi sono i dati che mandano in tilt la sinistra, questa è la dimostrazione che se l'Italia viene lasciata libera di correre, liberandola dalle zavorre dell'assistenzialismo elettorale, dagli sprechi e dalla gestione dissennata della spesa pubblica, può riprendersi subito il suo destino. Quindi avanti con la riforma fiscale, avanti con la riforma della giustizia, avanti per cambiare l'Italia.