XIX LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
secondo i dati pubblicati da Istat nel rapporto annuale 2024, il tasso di occupazione in Italia è al 62 per cento, ossia 8 otto punti sotto la media europea. Inoltre, l'Italia vanta un primato anche per numero di inattivi, donne e giovani senza lavoro, part time involontario, retribuzioni basse, scarsa produttività, lavoro povero, sommerso e lavoro autonomo, da vent'anni sacca fantasma di precarietà; anche in base ai dati Eurostat 2023, l'Italia è il Paese con il tasso di occupazione più basso fra i Paesi dell'Unione europea e registra una crescita più lenta rispetto ai Paesi europei anche sul fronte dei salari;
sempre secondo Istat, negli ultimi vent'anni l'occupazione italiana è cresciuta: in valore assoluto, da 22 a 24 milioni di occupati; come tasso, dal 57 al 62 per cento, da sempre uno dei più bassi in Europa (nello stesso arco temporale il tasso tedesco è salito di 13 punti);
stante ciò, l'occupazione stabile, a tempo indeterminato, dice l'Istat nel suo Rapporto annuale, è «aumentata solo tra gli over 50», da 3 a 6 milioni di occupati, mentre è scesa in tutte le altre fasce d'età, anche per un fattore demografico: l'Italia invecchia, fa meno figli e le coorti degli anni '50-'60-'70 si spostano, trattenute al lavoro anche da riforme pensionistiche;
c'è stato poi un incremento del lavoro a tempo determinato, così come di voucher, somministrazione, lavoro a chiamata e collaborazioni occasionali. Se la quota di occupati a tempo in Italia è in linea col resto d'Europa (16 per cento), così come il part time al 18 per cento è più o meno nella media europea, il nostro Paese è primo per part time involontario ossia non voluto, ma subìto, e più spesso dalle lavoratrici: si consideri che il 53 per cento degli occupati a tempo parziale è imposto, quota ferma a poco più di 1/3 solo vent'anni fa;
nel triste primato italiano si concretizza quella che Istat chiama «doppia vulnerabilità»: contratti di collaborazione o a tempo determinato e anche a part-time. Questa parte dei lavoratori italiani è quella con i più bassi salari, sia orari che annuali, dal 30 al 60 per cento in meno degli altri: è la sacca del lavoro povero – quella che sarebbe in parte beneficiata dal salario minimo; in Italia purtroppo la flexsecurity è diventata precarietà cronica, senza sicurezza: non è stato dato più valore al lavoro e, pertanto, si è scivolati nella competizione globale col dumping salariale, spesso diventando fornitori di lavoro a basso costo. I dati di oggi sull'occupazione in crescita non devono pertanto trarre in inganno: il punto non è solo quanto «più lavoro» purchessia posto che, laddove aumenta l'occupazione in virtù di un basso costo del fattore lavoro, allora ne consegue un mancato aumento dei salari come del reddito e della distribuzione, ovverosia un mancato incremento corrispondente in termini di prodotto interno lordo e di crescita reale per il sistema Paese;
con riguardo alla questione femminile, secondo i dati Istat, il divario nel tasso di occupazione rispetto all'Unione europea supera i 12 punti percentuali. Anche secondo il rapporto pubblicato solo il 10 settembre 2024 dall'Ocse, dal titolo Education at a glance 2024, sebbene ragazze e donne continuino ad eccellere in ambito scolastico e nei tassi di completamento degli studi, questi successi non si riflettono in pari opportunità lavorative: per esempio, le donne tra i 25 e i 34 anni senza diploma di scuola secondaria superiore hanno un tasso di occupazione del 47 per cento, ben 25 punti percentuali inferiore a quello dei loro coetanei maschi. Anche tra le donne con una qualifica terziaria, il divario persiste: l'84 per cento di loro è occupato, rispetto al 90 per cento degli uomini con lo stesso livello di istruzione; sulla differenza di genere nessun altro Paese dell'Ocse evidenzia un divario così marcato: le donne laureate in Italia guadagnano solo il 58 per cento dello stipendio dei loro colleghi maschi. Questa disparità è particolarmente significativa se confrontata con la media degli altri Paesi – dove le donne percepiscono in media il 17 per cento in meno rispetto agli uomini – e deriva da «fattori complessi che includono la segregazione occupazionale, pregiudizi nelle pratiche di assunzione e opportunità diseguali di fare carriera», si legge nel rapporto. Le donne hanno meno probabilità degli uomini di ottenere una promozione o di ricevere un grosso aumento di stipendio quando cambiano lavoro;
in aggiunta, gli stop alla carriera legati alla nascita di un figlio – e alla successiva necessità di avere maggiore flessibilità, anche a costo di uno stipendio più ridotto – continuano a colpire più le donne degli uomini. Senza contare che si parla solo di chi ha un lavoro a tempo pieno, e non del lavoro part time, determinato, di collaborazione occasionale o a partita Iva: in questi casi, vale quanto già sottolineato rispetto al «falso» incremento dell'occupazione e alla mancanza di investimenti per la crescita effettiva del prodotto interno lordo e del sistema Paese;
secondo il rapporto annuale Istat, se in quasi tutti i Paesi europei nella fascia di età compresa fra 30 e 40 anni – fascia potenzialmente più coinvolta da scelte di genitorialità –, si apre un gap tra l'occupazione femminile e quella maschile che poi si ricompone più avanti, in Italia questo gap non si richiude più: in altri termini, nel nostro Paese, il problema vero non è sostenere le famiglie con incentivi alla natalità – scelta che deve rimanere nella sfera personale –, quanto aiutare i diversi nuclei a conciliare vita personale e professionale;
non sorprende allora che il Presidente della Repubblica, nel messaggio che ha inviato il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne», abbia tra l'altro sottolineato come l'occupazione femminile sia un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite e come pure siano però ancora presenti «ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice», oltreché fenomeni come le «dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza»;
in questa prospettiva, secondo i dati Eurostat (pubblicati nel rapporto annuale Employment and activity by sex and age a dicembre 2023), in Italia, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, mentre stando all'osservazione del mercato del lavoro nel 2011 e nel 2022, come riporta Inapp nel recente Rapporto plus 2023, si conferma che l'evento della maternità presenta caratteristiche rispetto all'occupazione femminile ricorrenti addirittura a distanza di un decennio. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa. Difficoltà a loro volta fortemente connesse allo sbilanciamento nel care burden familiare che costituisce un persistente fattore critico per i livelli di occupazione femminile, con particolare riguardo anche alle sue declinazioni in attività domestiche, come emerge dal lavoro pionieristico del premio Nobel per l'economia 2023 Claudia Goldin;
secondo il rapporto Istat Sdgs (Sustainable development goals) 2023, infatti, ad oggi la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora, mentre i dati ufficiali non sono in grado di descrivere la realtà dell'assistenza domiciliare e del lavoro domestico, a causa degli alti livelli di quello che la Commissione europea definisce «lavoro sommerso», o che comunemente si chiama pagamento in nero per i servizi di assistenza diretta e indiretta. Come si legge in una dichiarazione delle parti sociali di marzo 2022, «in base all'ultima indagine dell'Eurobarometro sull'argomento, è stato calcolato che circa il 34 per cento di tutto il lavoro sommerso svolto nell'Unione europea nel 2019 è relativo al settore dei servizi per la persona e la famiglia. Stime recenti rivelano che, tra i 9,5 milioni di lavoratori e lavoratrici domestiche presenti in Europa, almeno 3,1 milioni svolgono lavoro sommerso»;
per quanto attiene all'Italia, come emerge chiaramente dai dati dell'osservatorio Domina, nel relativo quinto rapporto annuale 2024, l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: il report rileva infatti che oltre il 21 per cento del «prodotto interno lordo del lavoro domestico» italiano è prodotto in Lombardia e circa il 45 per cento nel Lazio, in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, ovvero nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso;
se per le donne esiste ancora una difficoltà nel conciliare le responsabilità familiari e quelle lavorative, il processo di evoluzione normativa in materia è stato caratterizzato da un significativo ritardo rispetto ad altri Paesi europei che hanno disciplinato il congedo paterno obbligatorio ben oltre i dieci giorni di congedo paterno previsti nel nostro Paese dal 2021: in Francia e Spagna i padri possono usufruire, rispettivamente, di quattro e di sedici settimane di congedo, mentre già nel 1974, prima al mondo, la Svezia sostituiva il congedo di maternità con quello parentale e oggi prevede cinquantadue settimane di congedo da ripartire con il partner, mentre la Norvegia assegna ai neogenitori ben quarantasei settimane di congedo;
la conciliazione tra lavoro e genitorialità è nel nostro Paese ancora estremamente difficoltosa e la percezione sociale di un aumentato sostegno pubblico alla genitorialità, sul piano dei congedi, appare ancora debole: il sondaggio di opinione condotto da We World in collaborazione con Ipsos, tra il febbraio e il marzo 2022 su un campione di 1.000 genitori di bambini/e under 18, ha rivelato che solo un genitore su cinque sa che attualmente il congedo di paternità ha una durata di 10 giorni, mentre i dati dell'Istat riferiti al 2022 indicano che il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5 per cento rispetto a quello delle donne della stessa età senza figli che è del 76,6 per cento. In altre parole, i dati restituiscono una fotografia dell'Italia come Paese in cui il potenziamento degli istituti del congedo genitoriale realizzato nell'ultimo decennio, con particolare riferimento a quello paterno, non è stato ancora in grado di sostenere adeguatamente il binomio genitorialità/lavoro, in cui il livello di informazione sui congedi genitoriali è ancora scarso, ma dove pure si rileva un'emergente disponibilità dei giovani padri a condividere la cura filiale;
l'occupazione femminile è poi caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;
per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat già citati, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento, come riporta un comunicato stampa della Commissione europea del 14 novembre 2023), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento);
secondo i dati dell'Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell'Inps, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 per cento;
dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l'occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate contro il 26,2 per cento degli uomini (si veda il Gender policies report 2022);
tra le politiche sovranazionali volte a favorire l'occupazione femminile va ricordata la direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026. Tale direttiva stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, in particolare attraverso una maggiore trasparenza dei dati sulle retribuzioni, condizione prodromica per la garanzia di un'effettiva parità retributiva che si basa sulla convinzione secondo cui una maggiore conoscibilità del sistema retributivo di un'azienda, dei dati effettivi del divario retributivo di genere, delle informazioni specifiche per ciascun lavoratore è elemento centrale e decisivo per prevenire ed eliminare la discriminazione retributiva e garantire la parità;
similmente, con la successiva direttiva dell'Unione europea 2024/1500 del 14 maggio 2024, il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;
sebbene il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e maschile sia un principio fondamentale dell'Unione europea, l'effettiva attuazione di tale principio continua a incontrare una serie di ostacoli, come dimostra il dato sul divario retributivo di genere (gender pay gap) nell'Unione europea in base al quale le donne guadagnano, a parità di mansioni, in media il 13 per cento in meno rispetto agli uomini;
il lavoro è uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità. Secondo le stime contenute nella recente ricerca di Banca d'Italia «Le donne, il lavoro e la crescita economica», in Italia solo poco più di una donna su due ha un lavoro, con un tasso di occupazione femminile del 51,1 per cento, ben al di sotto della media europea del 65 per cento;
anche in virtù di quanto già riportato in merito alla difficile conciliazione di vita e lavoro, le donne più svantaggiate sono quelle con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Preoccupante è in questo senso il dato evidenziato con riferimento alla cosiddetta child penalty sui redditi da lavoro nel nostro Paese: tra le madri occupate, a 15 anni dalla nascita dei figli, la retribuzione annua è circa la metà rispetto a quella delle donne senza figli;
il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il divario retributivo complessivo di genere, determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il divario retributivo pensionistico (gender pension gap), che è addirittura pari al 29 per cento nell'Unione europea;
secondo il rapporto annuale dell'Inps pubblicato a settembre 2023, in media i pensionati percepiscono un importo mensile lordo superiore di oltre il 36 per cento a quello incassato dalle coetanee e la differenza sfiora il 38 per cento se si fa riferimento «solo» alle pensioni e alle indennità erogate dall'istituto. Per quanto poi attiene al settore pubblico, mentre i dipendenti fuori servizio per raggiunti limiti di età incassano 2.423,91 euro, le dipendenti di 1.831,97 (media lorda mese);
il citato rapporto Inps certifica quello che milioni di lavoratrici e lavoratori già sanno, ossia che i fattori che creano e mantengono il divario di genere – in ambito lavorativo, nelle carriere, nelle retribuzioni, nei ruoli apicali – si riflettono anche nelle pensioni, con le donne svantaggiate, in eterna rincorsa dei coetanei, superati unicamente per le pensioni di reversibilità (legate ai redditi dei mariti defunti);
sempre dai dati Inps si evidenzia un'altra differenza tra donne e uomini in relazione allo spostamento in avanti degli anni che bisogna avere per poter accedere alla pensione. L'età media per il collocamento a riposo è cresciuta per tutti: per gli uomini è passata da 62 anni nel 2012 a 64,2 nel 2014, per le donne è aumentata più lentamente, ma è arrivata a superare di cinque mesi quella dei coetanei: da 62,3 anni nel 2012 a 64,7 nel 2022. La ragione sta nella già richiamata discontinuità delle carriere femminili, che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata;
da ultimo, la cosiddetta opzione donna ha sì consentito a molte donne di uscire prima dal mercato del lavoro, ma per le lavoratrici che hanno aderito a questa modalità il prezzo è stato la massiccia decurtazione dell'importo percepito: l'assegno medio è stato del 40 per cento più basso rispetto alla media di tutte le pensioni anticipate. Tale differenza sarebbe in parte riconducibile al ricalcolo contributivo, ma anche in parte alla minore contribuzione rispetto alle pensioni anticipate, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l'opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione;
trattando di gender gap nel mercato del lavoro, non si può prescindere da un approccio che parta dalla violenza sulle donne, troppo spesso ancora oggetto di molestie sul luogo di lavoro e non sufficientemente supportate nel mantenimento dell'occupazione e del reddito, oltreché nel percorso di reinserimento lavorativo laddove siano state vittime di violenza;
con la Convenzione n. 190, dal 2019 l'Organizzazione internazionale del lavoro ha riconosciuto il diritto di tutte le persone a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, comprese la violenza e le molestie di genere. Ratificata dall'Italia (secondo Paese europeo, dopo la Grecia) il 29 ottobre 2021, la Convenzione rappresenta la prima norma internazionale volta a fornire un quadro organico di intervento per prevenire e contrastare le molestie nel mondo del lavoro, ma soprattutto ne detta la prima definizione riconosciuta secondo cui le molestie sono un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili che si prefiggono, causano o possono comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico;
secondo i dati del paper «The wage effect of workplace sexual harassment: evidence for women in Europe», pubblicato a maggio 2023 dall'Institute for new economic thinking, l'alto rischio di molestie sessuali penalizza le donne, riducendone i salari e contribuendo così ad aumentare il divario retributivo di genere. Si è infatti riscontrato un impatto negativo significativo del rischio di molestie sessuali sui salari delle donne occupate, che è maggiore per le lavoratrici altamente qualificate rispetto a quelle poco qualificate: il rischio di molestie sessuali riduce il premio salariale che le lavoratrici percepiscono per il fatto di essere impiegate in posizioni professionali apicali;
lo studio conclude che, in Europa, le donne impiegate in occupazioni contro-stereotipate – sia in termini di status occupazionale (donne in posizioni apicali), sia in termini di composizione di genere (donne impiegate in ambienti di lavoro in cui la maggior parte delle posizioni apicali sono occupate da uomini) – sono altamente penalizzate, perché sperimentano le conseguenze più severe delle molestie sessuali sui loro salari. Questo tipo di pressioni va considerato quindi come costo aggiuntivo per le donne, anche perché può agire come disincentivo rispetto all'accettare lavori altamente qualificati, andando a incrementare la segregazione orizzontale e verticale di genere nei mercati del lavoro europei;
per quanto attiene al nostro Paese, sebbene tra il 2015 e il 2022 l'Italia abbia speso complessivamente 157 milioni di euro contro la violenza (circa 20 per misure di sostegno al reddito, 124 per interventi di reinserimento e inserimento lavorativo delle donne fuoriuscite da situazioni di violenza, 12 per l'autonomia abitativa), stando a quanto emerge dallo studio «Diritti in bilico. Reddito, casa e lavoro per l'indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza» di ActionAid Italia, si tratta di cifre decisamente insufficienti, corrispondenti a circa 54 euro al mese per donna presa in carico non economicamente autonoma;
oltre alla necessità di modificare l'attuale disciplina penale che identifica la violenza sessuale solo se agita con «violenza, minaccia o abuso di autorità» e, quindi, di riconoscere il fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro – come d'altronde fa già da tempo l'Inail –, va garantita la possibilità di disporre di un reddito sufficiente, di un alloggio sicuro, di un lavoro dignitoso e di servizi pubblici ben funzionanti: si tratta di presupposti tutti essenziali per consentire alle donne non solo di abbandonare situazioni di violenza, ma anche di accelerare il loro processo di empowerment. Questi devono essere gli elementi costitutivi di una politica pubblica per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza economica. Si tratta sostanzialmente di garantire quei diritti economici e sociali tutelati da numerose leggi internazionali – inclusa la Convenzione di Istanbul – e dalla stessa Costituzione;
ancora lontana, però, è la realtà quotidiana delle donne rispetto alle previsioni normative: come testimoniato dall'Istat nel corso dell'audizione svoltasi presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati il 27 febbraio 2024, quasi la metà delle donne che hanno avviato un percorso di uscita da una violenza subita non è infatti economicamente autonoma. La rilevazione sull'utenza dei centri antiviolenza non solo ha permesso di individuare le donne che hanno subito violenza economica (nel complesso si tratta di 10.515 donne, il 40,2 per cento), ma anche una serie di segnali importanti della dipendenza economica della donna. La percentuale infatti aumenta al 74 per cento se si considerano le donne che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al centro antiviolenza con una richiesta di supporto all'autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subito violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all'autonomia da parte del centro antiviolenza;
anche dall'analisi delle chiamate ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking emerge un quadro preoccupante: nel 2023 le violenze economiche sono segnalate dal 19,7 per cento delle donne che contattano il numero 1522. Subiscono di più violenza economica le casalinghe (41 per cento), le lavoratrici in nero (32,9 per cento) e le disoccupate (30,6 per cento); per le occupate la percentuale è pari a 15,9 per cento. Inoltre, le donne che presentano situazioni economiche più svantaggiate subiscono più di frequente violenza dai partner con cui vivono: in particolare ciò si verifica per le disoccupate (53,7 per cento), le casalinghe (79,5 per cento) e le lavoratrici in nero (52,8 per cento);
i dati raccolti evidenziano quindi ancora quanto il lavoro, l'occupazione femminile e l'indipendenza economica siano un valido e imprescindibile argine contro la violenza. In Italia, le politiche per l'inserimento lavorativo o il mantenimento dell'occupazione rivolte alle donne vittime di violenza sono poche e frammentarie. Nello specifico, per favorire l'inserimento lavorativo sono stati finanziati in maniera disorganica, generalmente a livello regionale, percorsi di formazione professionale, tirocini, attività di avvio all'autoimprenditorialità, a cui si sommano gli sgravi contributivi per le imprese – introdotti sperimentalmente a livello nazionale – per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato di donne che hanno subito violenza;
la parità di genere è uno dei valori fondanti dell'Unione europea, al centro della Strategia per la parità di genere 2020-2025 e riconosciuta dai Piani di ripresa e resilienza adottati dai Governi degli Stati che ne fanno parte. I piani d'intervento nazionali riguardano soprattutto le differenze di genere sul mercato del lavoro, che restano marcate in alcuni Paesi come l'Italia;
l'attuale contesto europeo vive una persistente fase di crisi che trae origine dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla situazione di instabilità geopolitica alimentata dai conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente, nonché dall'emergenza climatica e ambientale globale. In tale scenario, le disparità di genere si moltiplicano e pongono ai Paesi europei vecchie e nuove sfide a cui le politiche pubbliche dovrebbero trovare risposte capaci di raggiunge l'intera popolazione;
si tratta di scelte sul futuro che, stando ai dati appena usciti sulla composizione di genere del nuovo Parlamento europeo, saranno assunte da un consesso in cui la partecipazione femminile è in calo. A parte alcune conferme (Svezia e Finlandia sono i Paesi che hanno eletto più donne, rispettivamente 62 e 60 per cento), infatti, la media europea di presenza femminile passa dal 41 per cento del 2019 al 39 per cento nel 2024: per la prima volta nella storia del Parlamento europeo la presenza delle donne non cresce e si registra un passo indietro. Una dinamica che riguarda anche l'Italia, che dopo queste elezioni risulta ben al di sotto della media dell'Unione europea con il 33 per cento, mentre nel 2019 le donne erano il 41 per cento;
altra notizia negativa la si apprende leggendo il rapporto Draghi su «Il futuro della competitività europea», presentato il 9 settembre 2024 a Bruxelles: alzando lo sguardo verso un futuro di più lungo termine, dentro uno scenario economico-finanziario soggetto a continui e repentini cambiamenti, specie negli ultimi anni, la prospettiva di genere pare quasi completamente assente. Il sintetico riferimento alla crescita della quota femminile della forza lavoro, come fattore di aumento del contributo del lavoro alla crescita, non basta come indicazione in un Rapporto che ambisce ad indicare la strategia per affrontare le sfide future: stando ai dati del Global gender gap report 2024, ad oggi servirebbero 134 anni per raggiungere la piena parità, circa cinque generazioni in più rispetto all'obiettivo di sviluppo sostenibile fissato al 2030; la correlazione positiva tra occupazione femminile e livello del prodotto interno lordo è invero ormai stimata da numerose organizzazioni internazionali: più donne al lavoro significa maggiore produzione e creazione di valore aggiunto che si converte in prodotto interno lordo. Non si tratta solo di livello di prodotto interno lordo, ma anche di crescita in termini reali e di benessere sociale perché il lavoro femminile innesca una spinta ulteriore di domanda di lavoro e un circolo virtuoso di opportunità;
diverso è stato infatti il caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, al fine di rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia, ha individuato nel superamento delle «disparità di genere» una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano stesso, in un'ottica di gender mainstreaming;
uno studio dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige) sui «vantaggi economici dell'uguaglianza di genere» fornisce nuovi solidi riscontri obiettivi dai quali emergono gli impatti positivi della riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro. Tra le misure a favore dell'uguaglianza di genere che possono ridurre i divari di genere, si segnalano in particolare: offerta di assistenza all'infanzia e altre forme di assistenza, cambiamenti della retribuzione e delle condizioni di fruizione del congedo parentale, promozione e sostegno di contratti di lavoro a tempo parziale e flessibili, disposizioni legislative e politiche in materia di parità di retribuzione e di condizioni di lavoro, eliminazione della segregazione di genere a livello di settori e di posti di lavoro e riduzione del numero di interruzioni di carriera tra le donne;
la stima dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere sulla crescita del prodotto interno lordo in Europa mostra che, entro il 2050, promuovere la parità di genere in uno scenario di progresso rapido rispetto a quello lento potrebbe aumentare il prodotto interno lordo pro capite in Europa dal 6,1 al 9,6 per cento. Si tratta di un ammontare tra i 1,95 e i 3,15 milioni di milioni di euro. Inoltre, nei Paesi che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, come l'Italia, il potenziale impatto sul prodotto interno lordo è maggiore: i guadagni di prodotto interno lordo potrebbero arrivare nel 2050 a circa il 12 per cento,
impegna il Governo:
1) al fine di rilanciare il sistema Paese, ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a predisporre un piano straordinario e urgente volto a sostenere e promuovere l'occupazione femminile, la conciliazione tempi di vita e lavoro, in particolare:
a) adottando iniziative di programmazione concrete che riorganizzino ogni servizio suscettibile di supportare e sostituire il lavoro di cura prevalentemente svolto dalle donne, anche attraverso:
1) la disponibilità di servizi socio-educativi per la prima infanzia quale diritto esigibile di tutti i bambini e il rafforzamento della rete degli asili nido, a partire dai territori più deprivati, con copertura dei posti, adeguati standard qualitativi e condizioni di accessibilità eque e compatibili con le potenzialità di spesa delle famiglie;
2) il riconoscimento e l'acquisizione di un valore economico del lavoro di cura e domestico, cruciale per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e per una maggiore conciliazione vita-lavoro, in particolare adottando un serio piano di sostegno all'occupazione in questo settore, suscettibile di determinarne una maggiore produttività e una conseguente riduzione dell'area sommersa;
3) la promozione di progetti a livello comunale che, sostenendo l'occupazione, rispondano in maniera più prossima alle esigenze legate alla cura e all'assistenza, con effetti positivi sia per le famiglie che per coloro che prestano il servizio;
4) l'incentivazione della creazione di asili nido aziendali attraverso l'istituzione di un «Fondo» nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
5) l'adozione di modelli flessibili di organizzazione del lavoro come la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario e lo smart working, con particolare attenzione ai soggetti fragili e ai genitori con figli di età inferiore ai 14 anni;
b) prevedendo iniziative volte a un'estensione del sistema di tutela delle lavoratrici, sia del comparto autonomo che subordinato, modificando il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e in particolare prevedendo:
1) l'ampliamento da cinque a sei mesi del congedo obbligatorio di maternità;
2) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio di paternità;
3) la fruibilità congiunta e contestuale dei congedi obbligatori dei genitori;
4) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio per entrambi i genitori anche nel caso di adozione o affidamento ovvero nei casi rientranti nella gestione separata;
5) l'estensione del trattamento in tutti i casi sopra citati fino alla copertura di un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione;
6) il sostegno dell'allattamento attraverso l'individuazione di spazi idonei che, ove le condizioni lavorative e ambientali lo consentano, permettano al genitore che lo desideri di poter allattare il bambino anche durante l'orario di lavoro, fermo restando il diritto ad usufruire dei periodi già previsti dalla normativa vigente;
c) rafforzando e implementando iniziative specifiche di tutela e sostegno delle donne, in particolare delle donne vittime di violenza e con disabilità, e dedicate anche alle persone transgender, non-binary e gender non-conforming, volte a superare la discriminazione e gli ostacoli che incontrano nel corso dell'intero ciclo lavorativo, con specifico riguardo:
1) alla promozione e creazione di una cultura lavorativa positiva e inclusiva finalizzata alla prevenzione di comportamenti che possano direttamente o indirettamente determinare l'insorgere di stati di disagio o di danno psichico a carico delle lavoratrici e dei lavoratori;
2) alla prevenzione e al contrasto delle condotte vessatorie a carico delle lavoratrici e dei lavoratori e delle conseguenti disfunzioni organizzative ansiogene nei luoghi di lavoro;
3) alla definizione di sistemi premiali che incentivino l'inclusività, la concreta attuazione dell'eguale valorizzazione del lavoro e siano funzionali alla conservazione del posto di lavoro nel tempo e nelle varie fasi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori;
4) alla previsione di iniziative normative volte al reinserimento professionale delle donne vittime di violenza, al riconoscimento del fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro, all'accelerazione del processo di empowerment femminile nei luoghi di lavoro sia pubblici che privati, dando concreta attuazione alla Convenzione Ilo n. 190 «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia con legge 15 gennaio 2021, n. 4;
d) garantendo una piena e più estesa effettiva applicazione dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e delle relative tutele contro il fenomeno delle c.d. «dimissioni in bianco»;
e) dando piena attuazione alla direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione, in particolare:
1) attraverso il riconoscimento di un valore economico al lavoro di cura e domestico di modo che, nell'ambito di una considerazione dell'economia quale sistema di riproduzione sociale, esso non si traduca in una valorizzazione di mercato quanto piuttosto una valorizzazione sociale (social provisioning), tale da influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, rendendo quindi il lavoro di cura remunerabile e contribuendo a ridurre il differenziale di genere nel mercato del lavoro in termini di retribuzione e benefici;
2) prevedendo interventi mirati a ridurre il gap pensionistico, attraverso il ripristino, nel prossimo provvedimento utile, della disciplina sull'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna» alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022 e l'adozione di ulteriori misure suscettibili di affrontare in modo più incisivo e risolutivo le condizioni che sono alla base della penalizzazione femminile in campo previdenziale ovverosia la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro, con particolare riguardo ai bassi livelli contributivi e alle interruzioni di contribuzione per maternità e lavoro di cura.
(1-00329) «Quartini, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Di Lauro, Marianna Ricciardi, Sportiello, Tucci, Alifano, Amato, Appendino, Ascari, Auriemma, Baldino, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Cappelletti, Caramiello, Carmina, Caso, Cherchi, Alfonso Colucci, Conte, Sergio Costa, D'Orso, Dell'Olio, Donno, Fede, Fenu, Ferrara, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Penza, Raffa, Riccardo Ricciardi, Santillo, Scerra, Scutellà, Francesco Silvestri, Torto, Traversi».
La Camera,
premesso che:
è stato pubblicato qualche giorno fa l'annuale rapporto «Education at a glance» curato dall'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico, dove si può leggere che nel nostro Paese il 20 per cento (la media Ocse è al 14 per cento) dei giovani fra i 25 e i 34 anni non completa il ciclo di istruzione secondaria di secondo grado. Ciò comporta grosse conseguenze sull'occupazione in questa fascia d'età; infatti, solo il 57 per cento dei 25-34enni senza diploma di maturità trova lavoro, a fronte del 69 per cento dei diplomati. Inoltre, il 27 per cento della popolazione fra i 25 e i 64 anni non diplomata guadagna la metà o meno del reddito medio;
la scarsa attenzione alla qualità della scuola, da anni privata delle ore di laboratorio, di compresenze e di personale docente e ATA, viene purtroppo confermata dal rapporto. Secondo l'Ocse, l'Italia è sotto la media per quanto riguarda la spesa pubblica per l'istruzione: 4 per cento del prodotto interno lordo rispetto al 4,9 per cento dei Paesi Ocse;
in questi giorni poco più di 8 milioni di studenti e studentesse della scuola italiana statale e paritaria sono tornati sui banchi per l'inizio del nuovo anno scolastico. Nonostante il tasso demografico in caduta libera porti meno iscritti a scuola, i parametri per creare nuove classi rimangono sempre gli stessi e sono quelli, decisamente elevati, introdotti dall'allora Ministra Gelmini: per formare le prime classi alle superiori, ad esempio, servono almeno 27 studenti;
secondo le associazioni di categoria Federconsumatori e Codacons, la ripartenza sarà ancora più costosa rispetto a quella del 2023. L'Osservatorio nazionale di Federconsumatori, per l'anno scolastico 2024/2025, prevede che le famiglie dovranno affrontare una spesa media di 647 euro per il corredo scolastico e di 591 euro per i libri di testo. La spesa prevista, quindi, supera i 1200 euro a figlio;
sulla stessa linea c'è il Codacons, che stima una spesa complessiva di 1.300 euro, per l'acquisto di libri, dizionari e materiale scolastico;
oltre a zaini e a cancelleria varia, ad aumentare sono anche i libri di testo: tra testi obbligatori e almeno due dizionari, gli studenti dovranno spendere in media 591,44 euro, ovvero il 18 per cento in più rispetto al 2023. Le spese più elevate si registrano per i manuali indirizzati alla scuola secondaria di secondo grado;
come sempre, le spese maggiori saranno per gli studenti che cominceranno un nuovo ciclo scolastico e che, quindi, dovranno rinnovare l'intero catalogo. Federconsumatori, per i libri di prima media, stima una spesa di 461 euro che, sommati al corredo didattico, arrivano a 1.100 euro. Il conto è ancora più salato per la scuola superiore: le spese salgono a 715 per i manuali e 1362 euro per il corredo scolastico;
a queste spese andranno aggiunte, nel corso dell'anno scolastico, quelle per il trasporto, quelle per la mensa e quelle per i viaggi di istruzione. Nel 2023 uno studente su due non ha potuto prendervi parte a causa dei costi troppo elevati. Molte scuole si impegnano a coprire le spese per incentivare la partecipazione alle gite del maggior numero possibile di studenti. Ma l'aumento dei prezzi degli aerei, dei trasporti in generale e degli hotel rende sempre più difficile, se non impossibile, per gli istituti provare ad andare incontro ai ragazzi, semplicemente perché far quadrare i conti è una vera impresa. Così si cercano mete più economiche e si propongono soggiorni più brevi. Ma spesso non basta e così i ragazzi si vedono negata una parte importante dell'offerta formativa. Il Ministero ha istituito un fondo per agevolare le studentesse e gli studenti delle scuole statali secondarie di secondo grado provenienti da famiglie con Isee fino a 15.000 euro a partecipare ai viaggi di istruzione, ma la dotazione di 50 milioni di euro è decisamente insufficiente;
i diritti, in quanto tali, non si pagano, altrimenti si chiamano privilegi. E se per studiare occorre pagare cifre molto alte significa che «raggiungere i gradi più alti degli studi» non è più un diritto garantito, così come sancito dall'articolo 34 della Costituzione;
in Italia la povertà penalizza le aspirazioni dei giovani. Quasi un adolescente su dieci in Italia vive in condizioni di grave deprivazione materiale, condizione che riguarda più di centomila ragazze e ragazzi tra i 15 e i 16 anni. Secondo la ricerca «Domani (Im)possibili» presentata da Save the children a maggio 2024, più di un ragazzo su quattro, che vive in condizioni di grave deprivazione materiale, pensa che non riuscirà a finire la scuola e che sarà costretto ad andare a lavorare, a fronte dell'8,9 per cento dei coetanei;
la povertà materiale incide anche sulle opportunità educative: quasi un adolescente su quattro, il 23,9 per cento, ha iniziato il precedente anno scolastico senza aver potuto acquistare tutti i libri e il materiale scolastico, il 24 per cento non può partecipare a gite scolastiche, il 17,4 per cento dei ragazzi e delle ragazze non si iscrive ai corsi di lingue perché troppo costosi. La ricerca «Domani (Im)possibili» mostra che la povertà materiale e educativa sono strettamente collegate. Molti minori non hanno a disposizione le risorse necessarie per studiare da casa, come per il 15 per cento degli adolescenti intervistati che non dispone di uno spazio tranquillo, l'8,8 per cento di una scrivania e l'8,4 per cento di uno smartphone;
inoltre il divario tra diverse aree del Paese disegna una realtà sconcertante e inaccettabile che emerge anche dai risultati in termini di apprendimento. Secondo il rapporto Svimez 2023 «Un paese, due scuole», se a Firenze uno studente riceve in media 1.226 ore di formazione in una stagione scolastica, uno di Caivano (Napoli) ne ha almeno 200 in meno che coincidono di fatto con un anno di scuola persa per il bambino del Sud;
non stupisce, quindi, che i risultati Invalsi 2023 evidenzino un'allarmante crescita del divario tra il Nord e il Sud del nostro Paese: sulla scuola primaria, ad esempio, i dati dicono che in partenza i livelli di apprendimento sono simili sull'intero territorio nazionale, ma alla fine le differenze territoriali sono più marcate, specialmente in matematica, per la quale nelle seconde primarie il dato nazionale del 2023 parla di un 35 per cento degli alunni insufficiente, con percentuali del 32 per cento nel Nord e del 45 per cento nel Sud e Isole, che si rafforzano in quinta primaria quando i risultati insufficienti passano dal 45 al 47 per cento. Questo dato era già evidente dai dati Ocse Pisa del 2018, gli ultimi aggiornati, che evidenziavano grandi divari Nord-Sud sia in lettura che in matematica (lettura: punteggio medio nazionale 476, nel Nord-Ovest 498, nel Nord-Est 501, nel Sud 453 e nelle Isole 439; matematica: punteggio medio nazionale 487, nel Nord-Est 515, nel Nord-Ovest 514, nel Centro 494, nel Sud 458 e nelle Isole 445);
questi risultati sono il frutto di un vero e proprio disinvestimento progressivo nella filiera dell'istruzione che continua da molti anni e che ha visto tra il 2008 e il 2020 l'investimento complessivo nelle regioni meridionali scendere del 19,5 per cento, 8 punti percentuali in più rispetto a quanto subito in quelle del Centro-Nord, con differenze sempre più marcate nell'offerta di tempo pieno (nel Meridione riguarda il 18 per cento degli scolari, rispetto al 48 per cento del Settentrione), mense (650.000 studenti, il 79 per cento del totale, non ne beneficiano, di questi 200.000 solo in Campania), palestre (2/3 delle scuole primarie del Mezzogiorno non ne hanno) e trasporti (servizio scuolabus nel 29 per cento al Nord contro 13,6 per cento al Sud, servizio di pedibus per 5 per cento delle scuole e concentrato solo regioni settentrionali);
la scuola rappresenta un presidio essenziale nella lotta alle disuguaglianze. Una scuola di qualità, che offra quindi spazi sicuri, infrastrutture e servizi adeguati, può dare opportunità eguali di apprendimento a tutti gli studenti e le studentesse, anche, e soprattutto, a quelli che sono maggiormente svantaggiati;
poiché si ritiene necessario superare i divari e le disuguaglianze tra studenti, appare fondamentale adottare misure omogenee per l'accesso alla gratuità dei libri di testo, per assicurare a tutti l'utilizzo dei mezzi pubblici e per garantire a tutti i giovani il diritto allo studio;
per favorire lo sviluppo delle competenze relazionali nelle attività educative e didattiche, per migliorare il processo di formazione degli alunni e delle alunne, per contrastare l'abbandono e la dispersione scolastica, per garantire il successo formativo degli studenti è necessario che la priorità sia garantire il diritto allo studio,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative volte a prevedere, sin dal prossimo disegno di legge di bilancio, le risorse necessarie per garantire la gratuità delle mense scolastiche, dei libri di testo e dei trasporti pubblici almeno per tutti gli studenti che frequentano fino all'ultimo anno di obbligo scolastico e appartenenti a nuclei familiari con Isee fino a 35.000 euro;
2) ad adottare iniziative volte ad aumentare la dotazione del fondo per partecipare a visite didattiche e viaggi di istruzione istituito presso il Ministero dell'istruzione e del merito, rendendolo strutturale, e a prevedere l'estensione dell'utilizzo della carta della cultura giovani per i viaggi di istruzione;
3) al fine di contrastare la povertà educativa e l'abbandono scolastico nonché di garantire l'effettivo diritto allo studio, ad adottare iniziative di competenza volte ad istituire – nelle aree del territorio italiano o nelle città o negli istituti scolastici in cui si registrano elevate percentuali di abbandono scolastico e che presentano maggiori difficoltà di natura sociale o geografica ovvero, in generale, una minore disponibilità di servizi o una maggiore difficoltà di accesso agli stessi – le zone di educazione prioritaria e solidale, da istituire, prioritariamente, nelle aree montane e interne, nelle aree periferiche delle città e comunque nei territori che presentino le caratteristiche di cui sopra, tenendo conto sia dell'indice di abbandono scolastico sia dell'indice di vulnerabilità sociale, aggiornati, rispettivamente, dal Ministero dell'istruzione e del merito e dall'Istituto nazionale di statistica;
4) ad adottare iniziative di competenza volte ad accrescere gli investimenti nel sistema di istruzione pubblico nelle regioni meridionali, elaborando un piano nazionale di azione finalizzato a raggiungere i dati di quelle settentrionali quanto a diffusione del tempo pieno, delle mense, delle palestre e del trasporto scolastico.
(1-00330) «Piccolotti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Zaratti».
La Camera,
premesso che:
la legge 14 febbraio 1974 n. 37 in materia di gratuità del trasporto dei cani guida dei ciechi sui mezzi di trasporto pubblico, dispone che le persone non vedenti abbiano diritto di farsi accompagnare dal proprio cane guida nei viaggi, su ogni mezzo di trasporto pubblico, senza dover pagare per l'animale alcun biglietto o sovrattassa;
al non vedente è riconosciuto altresì il diritto di accedere agli esercizi aperti al pubblico con il proprio cane guida;
nel corso del tempo, il ruolo dei cani nella vita delle persone è diventato sempre più importante, fino a divenire centrale nel caso, ad esempio, delle persone con disabilità, psichica o fisica, dei bambini affetti da spettro autistico, ma anche di persone affette da malattie quali diabete, epilessia, morbo di Addison, allergia alimentare grave, tubercolosi, narcolessia, sindrome da tachicardia o ortostatica posturale;
molti cani vengono addestrati da professionisti ad essere cani da assistenza o da allerta medica;
esistono cani da assistenza motoria, quelli addestrati ad allertare il paziente-assistito in caso di diabete riconoscendo sintomi di ipo e iperglicemia, cani per crisi di epilessia e Alzheimer; fino ad arrivare al cane in grado di aiutare in casi di sordità e ipoacusia e, addirittura, essere di supporto per le patologie legate all'autismo;
vi sono, inoltre, cani che operano nel campo della giustizia e sono utilizzati per assistere persone vittime di crimini, testimoni e altre persone durante le inchieste e il perseguimento dei crimini o altri processi legali, cani utilizzati in centri educativi e impiegati da insegnanti di educazione speciale per facilitare l'interazione con gli studenti, cani utilizzati in centri di salute che spesso affiancano terapisti, psicologi e altri professionisti del settore medico per facilitare il recupero e la gestione dei sintomi dei pazienti, la cosiddetta pet therapy, sempre più diffusa;
il valore economico di un cane d'assistenza oscilla da un minimo di 12.000 euro fino a 30.000 euro, ed è quindi evidente quanto possa pesare sul bilancio di una famiglia che ne necessita;
ad oggi, in tale ambito, esiste un vuoto normativo nella legislazione nazionale, in quanto la legge del 1974 non contempla il riconoscimento dei cani da assistenza che non possono godere quindi degli stessi diritti dei cani guida ovvero non possono entrare in tutti i luoghi pubblici o privati, obbligando anche il loro accompagnatore a rinunciarvi poiché non tutelato nella salute dalla presenza del proprio cane;
nonostante l'Accordo Stato-regioni del 25 marzo 2015 abbia di fatto stabilito l'equiparazione dei cani d'assistenza ai cani guida, non esiste ancora una legge italiana specifica che disciplini l'intero settore dei cani d'assistenza, diversamente da quanto invece avviene in alcuni Paesi d'Europa in cui esistono requisiti standardizzati, sistemi di valutazione e una procedura per il riconoscimento del binomio cane-disabile;
riconoscere l'importantissimo ruolo che questi animali svolgono per assicurare l'autonomia di persone con disabilità e aiutarle ad inserirsi più agevolmente nel contesto sociale, anche attraverso un riordino normativo, è quindi fondamentale per garantire la tutela dei diritti dei disabili e il benessere dei cani che li assistono,
impegna il Governo:
1) ad assumere iniziative normative volte a implementare la legge 14 febbraio 1974 n. 37 al fine di garantire gli stessi diritti previsti per chi si serve di cani guida anche ai soggetti accompagnati dai cani d'assistenza o d'allerta medicale e agli amministratori di sostegno o prestatori di cura di costoro;
2) ad assumere iniziative volte a istituire un fondo annuale variabile in melius per un sussidio nell'acquisto ed addestramento dei cani ovvero sgravi fiscali nei confronti delle famiglie e dei soggetti che necessitino di tale preziosa e vitale presenza;
3) ad adottare le iniziative di competenza al fine di aumentare l'importo delle sanzioni pecuniarie previste per chi ostacoli l'esercizio dei diritti di trasporto e gli accessi pubblici ai cani in oggetto e ai soggetti da essi accompagnati;
4) a promuovere, attraverso le autorità statali competenti e in collaborazione con le regioni, percorsi multidisciplinari che coinvolgano figure professionali provenienti dalla medicina umana e veterinaria, dal settore socio-sanitario e cinofilo al fine di costruire in Italia una vera e propria filiera del cane d'assistenza.
(1-00331) «Cherchi, Francesco Silvestri».
La Camera,
premesso che:
la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Animale, proclamata il 15 ottobre 1978 a Parigi presso la sede dell'Unesco, stabilisce nel suo Preambolo che ogni animale ha diritto ad esistere e ad essere trattato con rispetto; il mancato riconoscimento di tali diritti, ha favorito e perpetua comportamenti crudeli e sfruttatori da parte dell'uomo nei confronti della natura e degli animali;
la coesistenza pacifica tra le specie animali è possibile solo se la specie umana riconosce il diritto all'esistenza di tutte le altre specie;
l'uomo, in quanto essere senziente, ha ad avviso della firmataria del presente atto d'indirizzo, l'obbligo morale di trattare gli animali con rispetto e di tutelare il loro benessere, nonché il dovere di utilizzare le sue conoscenze per proteggere e valorizzare la biodiversità, essenziale per la vita sulla Terra: la salute del pianeta è un'unica entità che comprende la salute dell'uomo, degli animali e dell'ambiente;
ogni animale selvatico ha diritto a vivere libero nel suo ambiente naturale e a riprodursi, pertanto ogni privazione di libertà, anche a fini educativi o ludici, è una violazione di questo diritto;
gli animali che vivono abitualmente nell'ambiente umano hanno diritto a vivere e crescere secondo il ritmo e le condizioni proprie della propria specie; qualsiasi modifica a tali condizioni imposta dall'uomo per motivi economici è illegittima;
l'abbandono di un animale è un atto crudele e degradante;
ogni animale da lavoro ha diritto a limiti ragionevoli di orario e intensità di lavoro, a un'alimentazione adeguata e al riposo;
l'uccisione di un animale, se necessaria, deve avvenire in modo istantaneo, senza dolore o sofferenza, poiché nessun animale deve essere sottoposto a maltrattamenti o crudeltà;
la sperimentazione animale che provoca sofferenza fisica o psichica è in contrasto con i diritti degli animali, indipendentemente dal suo scopo (medico, scientifico, commerciale);
gli animali destinati all'alimentazione devono essere nutriti, allevati, trasportati e macellati senza causare loro ansia o dolore;
l'utilizzo di animali in spettacoli ed esibizioni viola la loro intrinseca dignità e il loro diritto a una vita libera da sfruttamento e sofferenza;
ogni atto che priva un animale della sua vita senza una ragione valida configura un crimine contro la vita stessa, un vero e proprio biocidio che mina le fondamenta dell'ecosistema e dell'etica umana;
il rispetto per gli animali defunti è d'obbligo, in quanto rappresenta un segno di civiltà e di sensibilità verso il mondo naturale, riconoscendo il valore intrinseco di ogni creatura vivente;
la rappresentazione di violenza sugli animali nei media, se non finalizzata alla denuncia di abusi o maltrattamenti, deve essere vietata al fine di tutelare il benessere animale e sensibilizzare il pubblico contro ogni forma di crudeltà;
le associazioni per la protezione e la tutela degli animali devono essere rappresentate a livello governativo, poiché i diritti degli animali devono essere difesi dalla legge, al pari dei diritti umani;
persistono nel nostro Paese situazioni di maltrattamento degli animali da affezione e selvatici, come dimostrato dai numerosi casi riportati dai media e dalle organizzazioni per la protezione degli animali;
la radice di molti maltrattamenti sugli animali risiede ad avviso della firmataria del presente atto d'indirizzo in una visione etnocentrica del mondo, con cui l'uomo si considera superiore e legittimato a sfruttare e dominare tutte le altre specie, e che tale visione è evidentemente incompatibile con i principi di rispetto e tutela di tutti gli esseri viventi,
impegna il Governo:
1) ad assumere iniziative normative volte a inasprire le sanzioni per il maltrattamento degli animali, prevedendo pene pecuniarie non inferiori a 50.000 euro per ogni soggetto colpevole;
2) ad adottare iniziative volte a prevedere, oltre alle pene pecuniarie, l'interdizione dai pubblici uffici e dall'elettorato attivo per i soggetti colpevoli di maltrattamento o uccisione degli animali;
3) ad adottare iniziative volte a rafforzare i controlli e le ispezioni per garantire il rispetto delle leggi a tutela degli animali;
4) a promuovere campagne di sensibilizzazione e programmi educativi per diffondere una cultura di rispetto e protezione degli animali.
(1-00332) «Cherchi, Francesco Silvestri».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta orale:
SARRACINO, BRAGA, CARÈ, CIANI, CUPERLO, CURTI, DI BIASE, FERRARI, FORATTINI, FURFARO, GHIO, GIRELLI, GNASSI, GRAZIANO, GRIBAUDO, GUERINI, IACONO, LACARRA, LAUS, MADIA, MAURI, UBALDO PAGANO, PORTA, PRESTIPINO, QUARTAPELLE PROCOPIO, ROGGIANI, ROMEO, ANDREA ROSSI, SCARPA, SCOTTO, SERRACCHIANI, SIMIANI, STUMPO, TABACCI, BOLDRINI, FASSINO, GUERRA e LAI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
si apprende da notizie di stampa che il Clep, il comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni presieduto dal Professor Sabino Cassese per la definizione dei Lep sarebbe convocato per il 25 settembre 2024;
in questa riunione il Clep dovrebbe approvare un fondamentale documento propedeutico alla determinazione dei fabbisogni e quindi dei diritti in ottica autonomia differenziata;
sempre da notizie di stampa, si prevederebbe che i fabbisogni dei costi standard sarebbero determinati sulla base delle caratteristiche dei territori, del clima, del costo della vita e della demografia;
alla luce di questo impianto, ove confermato, ci troveremmo di fatto ad una differenziazione dei diritti sulla base di criteri che andrebbero a mortificare le aree interne e il Mezzogiorno;
è noto infatti che nelle aree interne e nel Sud il costo della vita è più basso e il suo trend demografico è in piena «glaciazione» visto il costante e progressivo spopolamento, ma questo non significa che si possano produrre servizi a costi pro capite inferiori;
subordinare la definizione dei Lep a questi criteri, così come intenderebbe fare il Clep costituirebbe ad avviso degli interroganti un pregiudizio nella declinazione dei diritti costituzionali per le popolazioni residenti nelle aree interne e al Sud, in particolare su sanità, istruzione, servizi all'infanzia e mobilità;
in considerazione della rilevanza del presunto documento –:
se il Governo intenda fornire chiarimenti circa l'attendibilità della notizia e se quindi sia davvero intenzione dell'Esecutivo subordinare i Lep a criteri che ad avviso degli interroganti finirebbero per assecondare una logica mortificante per le aree deboli del Paese, non solo del Mezzogiorno, riproducendo una logica di fatto «secessionista» secondo cui dove c'è maggiore ricchezza ci sono anche migliori servizi.
(3-01436)
Interrogazione a risposta scritta:
MAGI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il consigliere comunale del comune di Pozzuoli Riccardo Volpe ha dovuto richiedere l'intervento del Prefetto di Napoli, Dottor Michele di Bari, per poter accedere agli atti della Direzione V del comune di Pozzuoli concernente le concessioni balneari e per poter avere copia della documentazione;
l'intervento della prefettura, unito a quello della Commissione nazionale per l'accesso agli atti si era reso necessario anche precedentemente a causa del rifiuto reiterato del dirigente dell'ufficio competente a garantirne la visione, il che è avvenuto effettivamente il 16 luglio 2024;
in seguito, il consigliere Volpe ha richiesto copia degli atti visionati a luglio 2024 anche tramite il coinvolgimento del presidente del consiglio comunale sia del segretario generale del comune, tuttavia ad oggi, l'ufficio competente non è riuscito a produrre nessuna copia dei documenti richiesti, il che ha portato a interpellare nuovamente il prefetto di Napoli per chiederne un intervento urgente;
non pare comprensibile all'interrogante il reiterato rifiuto incontrato dal consigliere Volpe, anche considerato che l'accesso a documenti amministrativi (il tradizionale accesso agli atti), è previsto dall'articolo 22 della legge n. 241 del 1990 e permette di richiedere documenti, dati e informazioni detenuti da una pubblica amministrazione riguardanti attività di pubblico interesse, purché il soggetto richiedente abbia un interesse diretto, concreto e attuale rispetto al documento stesso e pare poco credibile che un consigliere eletto non possa essere considerato portatore di un interesse diretto se si considera l'oggetto degli atti richiesti –:
se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritengano opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, per comprendere quali siano le ragioni del ritardo e del rifiuto degli uffici preposti a compiere un atto che risponde al principio della trasparenza che dovrebbe guidare l'azione della pubblica amministrazione.
(4-03466)
AMBIENTE E SICUREZZA ENERGETICA
Interrogazione a risposta in Commissione:
BRAGA, SIMIANI, CURTI, EVI e FERRARI. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, al Ministro per la protezione civile e le politiche del mare. — Per sapere – premesso che:
nella riunione del Consiglio dei ministri del 27 novembre 2022 è stato deciso di istituire un gruppo di lavoro che, in tempi brevi, dopo aver definito il quadro generale degli interventi in essere in materia di dissesto idrogeologico, lo stato di avanzamento degli stessi, le risorse complessivamente stanziate e l'eventuale fabbisogno residuo, avrebbe dovuto proporre al Governo misure urgenti di semplificazione normativa e amministrativa necessarie a velocizzare l'iter programmatorio, progettuale, autorizzativo e di realizzazione degli interventi finalizzati alla prevenzione e mitigazione del rischio di dissesto idrogeologico;
il gruppo di lavoro è stato istituito con decreto del Ministro della protezione civile del 2 dicembre 2022 presso i suoi uffici di diretta collaborazione;
il gruppo di lavoro si è insediato il 22 dicembre 2022, presieduto dal Ministro per la protezione civile e le politiche del mare Nello Musumeci – che ne è quindi responsabile in termini di raggiungimento degli obiettivi – il quale, avviando i lavori, ha indicato quattro priorità: semplificazione normativa, certezza delle competenze, efficienza dei soggetti incaricati degli interventi ed efficacia dei loro tempi di realizzazione, considerando l'attivazione di poteri sostitutivi in caso di inerzia o ritardo dei tempi assegnati;
nel corso della conferenza stampa del 19 settembre 2024, rispondendo alla domanda di un giornalista che chiedeva conto al Ministro Musumeci dell'atteso piano nazionale sul dissesto idrogeologico, annunciato oltre un anno fa, a maggio 2023, lo stesso rispondeva che: «il Piano è fermo da 5 mesi nelle strutture del Ministero dell'ambiente», aggiungendo che: «conosco la sensibilità del Ministro Pichetto, il quale ha più volte sollecitato i suoi collaboratori, ma rimane ancora fermo perché l'esame sembra essere particolarmente laborioso»;
tale piano, da realizzare in accordo con altri Ministeri, entro la prima metà del 2024, avrebbe dovuto portare ad interventi mirati, in linea, come specificato dal Ministro Musumeci a maggio del 2023, «con il processo di tropicalizzazione dell'Italia» –:
quali siano i contenuti del piano nazionale sul dissesto idrogeologico di cui in premessa e se siano condivisi;
a quanto ammontino gli stanziamenti e quali siano le fonti di finanziamento del piano nazionale sul dissesto idrogeologico;
per quali motivi sia fermo da cinque mesi presso il Ministero dell'ambiente, così come affermato dal Ministro Musumeci.
(5-02837)
Interrogazione a risposta scritta:
CHERCHI e PAVANELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:
i palloncini utilizzati in manifestazioni o feste costituiscono una rilevante fonte di inquinamento da rifiuti una volta che sono rilasciati nell'ambiente;
studi internazionali hanno rilevato che i frammenti di palloncini di gomma o plastica e i nastri colorati che li trattengono, sono uno dei rifiuti più diffusi nei mari che persiste nell'ambiente per molto tempo. I loro frammenti rappresentano un reale pericolo alla vita di molte specie di animali terrestri e marini perché assumono la stessa forma e sembianza di una medusa o di un calamaro e questi ultimi rappresentano i cibi preferiti da diverse specie di pesci ed uccelli, causandone la morte;
secondo il programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep), i palloncini sono nella top 10 dei rifiuti ricreativi trovati sulle coste. Possono viaggiare per migliaia di chilometri e inquinare le aree più remote e incontaminate;
secondo uno studio australiano, i volatili che ingeriscono frammenti di palloncini hanno una probabilità 32 volte maggiore di morire rispetto ai loro simili. I ricercatori dell'Università della Tasmania hanno studiato il contenuto intestinale degli uccelli marini morti scoprendo che i detriti dei palloncini erano la plastica più letale che gli uccelli potessero ingoiare;
è risaputo che il latex utilizzato per la produzione di palloncini non sia biodegradabile e quindi ecosostenibile perché i tempi di degradazione sono ancora troppo lunghi;
l'associazione Mare Vivo afferma come i palloncini siano il terzo rifiuto più pericoloso per foche, tartarughe e uccelli marini;
è notizia riportata da pugliareporter.com che alcuni comuni pugliesi hanno vietato i palloncini perché «uccidono animali selvatici e inquinano». Come spiega a Repubblica l'allora sindaco di Bitonto Michele Abbaticchio e vicepresidente di Avviso Pubblico, «Numerosi sono i casi di cagnolini morti per aver ingerito resti della plastica profumata dei maledetti palloncini»;
Sardinia post nell'agosto 2023 riporta la notizia dell'ordinanza del sindaco di Olbia Settimo Nizzi che vieta di rilasciare i palloncini nell'ambiente in tutto il territorio durante «eventi pubblici, feste, ricorrenze o manifestazioni pubbliche e private, anche sportive». L'ordinanza, ha precisato il sindaco, ha lo scopo di tutelare l'ambiente ed è stato esteso il divieto anche a nastri colorati, lanterne cinesi e tutti gli altri dispositivi simili;
anche il Sindaco di Capaci nel 2019, come riporta Palermotoday Pietro Puccio in un'ordinanza ha vietato l'utilizzo e l'abbandono di nastri colorati e palloncini in gomma riempiti con gas più leggeri dell'aria;
nell'ordinanza si legge che «per evitarne la dispersione nell'ambiente i venditori potranno continuare a venderli ma dotati di un contrappeso, ad esempio un sacchetto di sabbia»;
nel maggio 2021 il Consiglio della provincia autonoma di Trento approva all'unanimità il disegno di legge n. 70 che vieta di liberare palloncini nell'aria in occasione di eventi, feste e manifestazioni in tutto il territorio della provincia;
è notizia dell'ottobre 2023 che anche il Consiglio comunale di Genova approva la mozione, che impegna sindaco e giunta a valutare di formulare un'apposita ordinanza per vietare il rilascio in atmosfera, sulla scia di quanto deciso in comuni come Ferrara, Taranto, Lodi, Falciano e Trento;
l'articolo 9 della Costituzione asserisce che, tra i princìpi fondamentali, rientrano la tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni, richiamando la necessità di proteggere gli animali attraverso le leggi dello Stato –:
se si intenda valutare l'opportunità di adottare iniziative di competenza volte a introdurre una normativa nazionale che vieti di liberare nell'aria i palloncini di plastica abitualmente utilizzati in occasione di feste, eventi pubblici, ricorrenze o manifestazioni anche sportive.
(4-03463)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MEROLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
come noto, il fenomeno dei giochi e delle scommesse, attraverso un'ascesa pressoché irrefrenabile, ha assunto volumi impressionanti veicolati nei vari canali con un totale di 1.617 miliardi di euro di raccolta nel periodo dal 2004 al 2023;
la raccolta di giochi e scommesse nei punti fisici e telematici ha registrato nel 2023 un volume di oltre 147 miliardi di euro;
in questo particolare momento storico marcatamente segnato da congiunture sfavorevoli nel quale, ad esempio, le famiglie italiane si sono viste corrodere la propria ricchezza (alla fine del 2022 la ricchezza è diminuita in termini reali del 12,5 per cento rispetto al 2021, secondo fonti Istat, l'indebitamento a fine 2023 si è accresciuto in maniera esponenziale con un valore totale del credito al consumo di circa 160 miliardi di euro. Ciò sta a significare un debito medio di 9.949 euro pro capite, equivalente a 22.674 euro a nucleo familiare –:
a quanto ammonti la raccolta, ossia il volume di giocate veicolate nei canali dei giochi e delle scommesse nei punti fisici e telematici dal 1° gennaio 2024 ad oggi comunque aggiornati alla data più recente;
quale sia il numero di tagliandi di lotterie istantanee denominati «Gratta e vinci» facenti parte del cosiddetto gioco fisico venduti nel corso degli anni 2021, 2022 e 2023 ed il valore della raccolta degli stessi, suddivisa per annualità.
(5-02836)
CENTEMERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con decreto legislativo n. 116 del 2024 è stata recepita nell'ordinamento interno la direttiva (UE) 2021/2167 ( cosiddetta «Secondary Market Directive – SMD»), relativa ai gestori e agli acquirenti di crediti deteriorati non performing loans e tesa a promuovere lo sviluppo dei mercati secondari per i crediti NPL e a rafforzare le garanzie per i debitori in caso di trasferimento dei crediti;
in particolare, l'articolo 1, comma 1, lettera d), del citato decreto legislativo reca, inter alia, la definizione di «gestori di crediti dell'Unione europea», ossia «le imprese autorizzate ai sensi della direttiva (UE) 2021/2167 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2021, in uno Stato dell'Unione europea diverso dall'Italia all'esercizio dell'attività di gestione di crediti per conto di acquirenti di crediti»;
nel merito, quindi, viene introdotta, con una modifica al Tub, una nuova figura di intermediari, ossia i gestori di crediti in sofferenza, ai quali è affidata la riserva di attività sulla gestione dei crediti in sofferenza ceduti;
ad avviso dell'interrogante, andrebbero altresì specificate le tipologie di attività che possono svolgere le società in possesso della licenza ex articolo 115 Tulps, in seguito all'entrata in vigore del citato decreto legislativo e in riferimento alle cessioni già avvenute e a quelle future: andrebbe, infatti, chiarito se tali società, già attive nel settore, possono continuare ad acquistare e gestire crediti in sofferenza delle banche, anche senza l'iscrizione all'albo ex articolo 114.6 Tub, nonché a gestire i portafogli di crediti in sofferenza acquistati prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto legislativo –:
se non intenda assumere le opportune iniziative di competenza al fine di chiarire, attraverso l'adozione di provvedimenti di natura interpretativa, il perimetro di operatività delle disposizioni sulla gestione dei crediti in sofferenza sulla base di quanto esposto in premessa.
(5-02838)
Interrogazioni a risposta scritta:
GIAGONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
dalla stampa specializzata del 10 settembre 2024 (Italia Oggi), si apprende che l'Agenzia delle entrate a breve effettuerà una massiccia attività di controllo (anche mediante accessi brevi) sui contribuenti forfettari per accertare l'esistenza dei requisiti che permettono l'accesso e la permanenza nel regime agevolato e la corretta compilazione del quadro RS;
come evidenziato anche dall'associazione Accademia dei dottori commercialisti della Sardegna, tale verifica, finalizzata a prevenire eventuali abusi, potrebbe essere effettuata anche consultando le banche dati esistenti, senza ricorrere all'accesso presso i contribuenti, considerato che una buona parte dei «forfettari» non sostiene alcun tipo di spesa da indicare nel quadro RS;
questa tipologia di contribuente non ha bisogno della giustificazione di spesa per attestare i costi sostenuti, poiché il suo reddito imponibile si determina forfettariamente senza tener conto dei costi e che imporre a tali soggetti l'obbligo, non previsto, di tenere una contabilità per inserire dei dati nel quadro RS, non solo sarebbe in contrasto con la promessa della semplificazione della gestione amministrativa dei piccoli contribuenti, ma non produrrebbe alcun beneficio in termini di recupero di imponibile –:
se intenda valutare l'opportunità di adottare iniziative per evitare ulteriori forme di aggravio fiscale e amministrativo per i contribuenti forfettari, con adempimenti «inutili» e costosi – come la dichiarazione del quadro RS, che, di fatto, costituiscono l'esatto contrario della semplificazione –, e che sollevano dubbi sull'efficacia e sul rapporto costi/benefìci dei controlli, poiché si mettono in campo ingenti risorse pubbliche per effettuare verifiche di dati facilmente recuperabili dal sistema informatico Sdi (Sistema di interscambio) gestito dall'Agenzia delle entrate.
(4-03465)
PERISSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nell'ambito della conversione del decreto-legge 11 giugno 2024, n. 76, recante «Disposizioni urgenti per la ricostruzione post-calamità, per interventi di protezione civile e per lo svolgimento di grandi eventi internazionali», durante l'esame dello stesso nell'Aula della Camera dei deputati, è stato approvato un ordine del giorno, a firma dell'interrogante, relativo alle facoltà assunzionali dei comuni;
in particolare, l'ordine del giorno approvato impegnava il Governo «ad adottare le opportune iniziative volte ad aggiornare, nei tempi stabiliti dal decreto ministeriale 17 marzo 2020, le misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni»;
come segnalato dall'interrogante anche nell'atto di indirizzo, infatti, il comune di Roma sarà presto interessato dal grande evento internazionale del Giubileo, e avrà bisogno di tutte le risorse umane e finanziarie disponibili per garantire un ordinato svolgimento degli eventi e al fine di porre argine agli effetti che i provvedimenti adottati nel corso dei precedenti Governi hanno di fatto generato effetti disastrosi per la città;
sull'argomento è necessario evidenziare che in attuazione di quanto previsto dall'articolo 33, comma 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, come modificato dall'articolo 1, comma 853, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, nel 2020 è stato emanato dai Ministri competenti – tra cui Roberto Gualtieri – il decreto ministeriale 17 marzo 2020, che ha individuato le misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni;
l'articolo 7, comma 2, del citato decreto stabilisce che i parametri individuati possono essere aggiornati ogni cinque anni con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali;
per l'aggiornamento dei parametri occorre, quindi, adottare un nuovo decreto ministeriale;
il sindaco Gualtieri ha recentemente dichiarato che il comune di Roma avrebbe esaurito le proprie capacità assunzionali e di aver «bisogno di risorse economiche per almeno tremila nuove assunzioni e arginare la fuga dei dipendenti ottenendo l'incremento del tetto di spesa per il salario accessorio» e ha preannunciato l'intenzione di incontrare il Governo, nella persona del Ministro dell'economia e delle finanze, «per chiedere formalmente di elevare la soglia minima per il personale» –:
di quali elementi siano in possesso circa la capacità assunzionale del comune di Roma, e quali eventuali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere in relazione a quanto esposto in premessa.
(4-03468)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta orale:
SCARPA, DI BIASE, SERRACCHIANI, LACARRA e GIANASSI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il Ministero della giustizia ha avviato da molti anni un processo di digitalizzazione del processo penale telematico che si svolge tramite servizi forniti da aziende esterne che concorrono a gare pubbliche periodicamente bandite dal suddetto Ministero;
in data 10 agosto 2023 il Ministero della giustizia ha determinato di indire una nuova procedura aperta, suddivisa in 5 lotti, per l'affidamento del servizio di digitalizzazione dei fascicoli giudiziari di Procure della Repubblica, Tribunali ordinari – sezioni penali, Corti d'appello – sezioni penali per la durata di 30 mesi;
nel giugno 2024 è proceduto con l'affidamento dei lotti: i primi 4 lotti sono stati affidati ad una medesima azienda, il quinto, riguardante le regioni di Lazio, Umbria, Toscana e Abruzzo, affidato ad una seconda azienda. In merito all'assegnazione i sindacati confederali, in particolare la CGIL Roma e Lazio, assieme alla Fiom CGIL, Fp CGIL e Nidil CGIL Roma e Lazio, denunciano una ricerca del massimo ribasso nell'assegnazione del quinto lotto;
in particolare, le organizzazioni sindacali denunciano una scarsa attenzione ai lavoratori già operanti da diversi anni nell'ambito dei servizi di digitalizzazione, al servigio, delle diverse aziende che si sono susseguite nell'aggiudicarsi l'appalto. In genere, nel rispetto del Ccnl metalmeccanici, si prevede un periodo di 15 giorni di contrattazione con i sindacati per concordare le nuove condizioni di assunzione dei lavoratori, a tutela della loro dignità e professionalità, nonché anzianità. Tuttavia la proposta incorsa per la reintegrazione dei lavoratori da parte della nuova azienda che si è aggiudicata l'appalto prevede il passaggio ad un altro inquadramento contrattuale, implicando un peggioramento delle condizioni di lavoro e una discontinuità contrattuale che penalizzerebbe i benefici acquisiti per anzianità di servizio. Inoltre, verrebbero assunti con un contratto a tempo determinato, e con un compenso eroso rispetto a quello percepito fino al mese di giugno 2024;
molti lavoratori, attualmente a tempo indeterminato, svolgono attività connesse alle operazioni di digitalizzazione da oltre 20 anni e, accanto ad essi, si affiancano molteplici lavoratori a tempo determinato e in somministrazione, che sarebbe auspicabile stabilizzare. Non è peraltro trascurabile che i suddetti lavoratori operano nella gestione di attività estremamente delicate e con accesso ad informazioni estremamente sensibili e che una successione di lavoratori precari rendono quindi molto vulnerabile il sistema di garanzia della segretezza degli atti che vengono giornalmente lavorati in quelle attività;
è evidente che vi sia un tentativo di risparmio di risorse che va a danno dei lavoratori, che non hanno intenzione di accettare delle condizioni peggiorative, per loro e per le loro famiglie, e che per questo negli scorsi giorni hanno manifestato il loro dissenso. Ciò che risulta particolarmente grave è ad avviso degli interroganti che questo risparmio a scapito della dignità dei lavoratori è ad opera della pubblica amministrazione, che sacrifica decine di famiglie sull'altare del massimo ribasso;
a partire dal primo luglio 2024 i servizi di digitalizzazione, fondamentali per lo svolgimento di istruttorie e processi, sono fermi, causando di fatto un rallentamento e inceppamento dell'intera macchina giudiziaria e un conseguente disservizio. La situazione deteriore che si è venuta a creare ha generato, di fatto, un'interruzione di pubblico servizio, a scapito di lavoratori e cittadini, su cui le responsabilità vanno accertate –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione incresciosa che la procedura di gara illustrata nelle premesse ha generato nell'ordinaria attività della macchina giudiziaria e cosa intenda fare per favorire la ripresa di un pubblico servizio, nonché se abbia intenzione di accertare le responsabilità a livello amministrativo che hanno condotto di fatto alla predetta interruzione del servizio e che ad avviso degli interroganti hanno portato il suo dicastero a girare le spalle a decine di lavoratori e famiglie, proponendo loro condizioni peggiorative, poco dignitose e precarie.
(3-01435)
INTERNO
Interrogazione a risposta in Commissione:
MADIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'8 e il 9 giugno 2024, in occasione dello svolgimento delle ultime elezioni europee, gli studenti fuori sede hanno potuto votare, per la prima volta e in via sperimentale, al di fuori della propria circoscrizione elettorale di origine o comunque nel comune di temporaneo domicilio;
l'articolo 1-ter del decreto-legge n. 7 del 2024 ha previsto infatti una normativa sperimentale in vista delle imminenti elezioni per il Parlamento europeo, in base alla quale gli studenti che si trovavano al di fuori del comune di residenza per motivi di studio avrebbero potuto esercitare tale diritto, ma solo con riferimento a questa consultazione elettorale;
il voto dei fuori sede era stato fortemente auspicato all'interno del libro bianco sulle misure per ridurre l'astensionismo e agevolare il voto, presentato dall'allora Ministro per i rapporti con delega alle riforme istituzionali nell'aprile del 2022, e nella XVIII legislatura era stato finalmente calendarizzato per l'aula, su richiesta del gruppo del Partito democratico, l'atto Camera 1714 che prevedeva il voto al di fuori della propria circoscrizione elettorale per gli studenti, e per coloro che per ragioni di lavoro o di cura si trovavano fuori sede, e la prevedeva con riferimento alle elezioni europee, politiche e referendarie;
tale atto è stato prontamente ripresentato nella XIX legislatura (Atto Camera 115 Madia e altri), e nuovamente calendarizzato in quota opposizione, ma quando nel corso dell'esame alla Camera è stato inaspettatamente trasformato per volere del Governo in una delega, la stessa sottosegretaria Ferro, sollecitata nel maggio del 2023 a seguito dei malumori dell'opposizione, ha pubblicamente dichiarato di aver personalmente preso un impegno anche con i comitati per fare una «buona legge» attraverso la delega al fine di garantire l'esercizio dei diritti dei fuori sede in vista delle prossime tornate elettorali;
trascorso più di un anno dal maggio del 2023, mentre per milioni di cittadini, studenti e lavoratori che studiano o lavorano lontano dal proprio comune di residenza continua ad essere impossibile recarsi alle urne, se non al prezzo di intraprendere viaggi lunghi e costosi, e spesso insostenibili, il disegno di legge delega voluto dal Governo, e che ad avviso dell'interrogante ha stravolto quella di iniziativa parlamentare che non necessitava dell'adozione di ulteriori atti legislativi con forza di legge, terminato l'esame alla Camera, non ha ancora iniziato l'esame al Senato dal febbraio 2024 –:
come intenda procedere per portare a regime, e in tempo utile per lo svolgimento delle prossime elezioni referendarie e politiche, il voto a fuori sede, anche estendendolo alle lavoratrici e ai lavoratori.
(5-02842)
Interrogazioni a risposta scritta:
LACARRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nella giornata di mercoledì 18 settembre 2024, a Noicattaro (Ba) sono avvenute due rapine a distanza di poche ore;
la prima rapida si è svolta nel pomeriggio in un supermercato situato nei pressi del centro storico mentre la seconda, messa a segno dallo stesso malvivente, è avvenuta ai danni di una barberia del paese, durante la quale vi è stata una colluttazione con il titolare dell'attività che ha riportato ferito nel tentativo di resistere all'aggressione;
in ambedue i casi il rapinatore ha sottratto l'intero incasso delle attività;
da ciò che si apprende da organi di stampa, il responsabile non è stato ancora individuato;
tali episodi, che rappresentano solo gli ultimi casi di una lunga serie di furti in attività e nelle abitazioni, generano comprensibilmente inquietudine e paura nella cittadinanza e, in particolare, tra i commercianti locali –:
se e quali iniziative intenda adottare per supportare, per quanto di competenza, le autorità di Noicattaro nell'individuazione del responsabile degli episodi rappresentati in premessa e, più in generale, per garantire il ripristino della sicurezza pubblica nella città, sempre più spesso teatro di fatti criminosi di vario genere.
(4-03464)
FILINI e KELANY. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 22 agosto 2024, il sedicente Nuovo Partito Comunista italiano ha lanciato in rete «l'avviso ai naviganti 145"», nel quale viene stilata una lunga lista di nomi e cognomi di esponenti della comunità ebraica, politici, giornalisti, intellettuali, imprenditori e aziende che sarebbero – come si legge testualmente – «agenti sionisti in Italia», che costituirebbero un «blocco sionista» e che avrebbero il sostegno del governo «dalle larghe intese»;
nel documento si invita espressamente a «sviluppare la denuncia e la lotta contro organismi e agenti sionisti in Italia» e si invitano i lettori a contribuire, in quanto, – cito di nuovo testualmente – «la nostra ricerca sulla presenza dei sionisti in Italia è ancora limitata»;
si tratta di una vera e propria lista di proscrizione, che si configura come un inquietante e concreto attacco alla libertà di espressione e che espone a ritorsioni coloro che vengono espressamente menzionati;
un fatto ancor più grave se si considera che non si conoscono gli esecutori materiali del documento, in quanto sul sito del Nuovo PCI non sono presenti i riferimenti dei responsabili e, come unico recapito, viene indicato un indirizzo in Francia che corrisponde a un ufficio postale;
dal 7 ottobre 2023, data dell'attacco di Hamas ai civili in Israele, gli episodi di antisemitismo in Italia ed in Europa hanno registrato un aumento considerevole;
facendo menzione dei dati raccolti dall'Osservatorio sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD) sono stati registrati dal 7 ottobre 2023 al 30 giugno 2024, 406 casi di antisemitismo distinguibili in 4 categorie: hate crime, hate speech, hate speech on line e hate incident, a fronte dei 98 casi dello stesso periodo dell'anno precedente;
la compilazione di una lista di proscrizione contenente dati personali relativi a soggetti qualificati come «agenti sionisti in Italia» si configura evidentemente come un atto disdicevole e rientrante a pieno titolo tra gli atti di antisemitismo –:
se e quali iniziative, di competenza in relazione ai fatti esposti in premessa, intenda intraprendere per fare luce sulla origine di questa documentazione e per tutelare la sicurezza delle persone coinvolte.
(4-03467)
ISTRUZIONE E MERITO
Interrogazione a risposta scritta:
CASO, AMATO e ORRICO. — Al Ministro dell'istruzione e del merito. — Per sapere – premesso che:
il Ministero dell'istruzione e del merito ha introdotto per l'anno scolastico 2024-25 i nuovi criteri di pesatura delle istituzioni scolastiche, un sistema di classificazione che determina la complessità di gestione degli istituti e, di conseguenza, lo stipendio dei dirigenti scolastici;
i nuovi criteri dovrebbero riflettere la complessità delle scuole basandosi su vari fattori, tra cui il numero di studenti e il contesto socio-economico, tuttavia, da parte del sindacato dirigenti scuola, si osserva paradossalmente un risultato, in molti casi, contrario alle premesse: scuole situate in contesti difficili, a rischio dispersione, con carenze di risorse strutturali risultano collocate nella fascia più bassa di classificazione;
il nuovo sistema di classificazione ha infatti portato a una riduzione generale del numero di scuole nelle fasce più alte;
la reazione dei dirigenti scolastici è stata immediata e fortemente critica, in quanto molti di loro si sono visti improvvisamente declassati e con una significativa riduzione dello stipendio fino a 500 euro lordi, senza una chiara spiegazione dei motivi;
i dirigenti scolastici hanno anche criticato la mancanza di trasparenza nel processo decisionale. Molti lamentano di non aver ricevuto spiegazioni chiare sui nuovi criteri e di essere stati informati solo a decisioni già prese;
sempre a detta del sindacato: «Ad alimentare le preoccupazioni della categoria sono stati anche i decreti emessi che in solo 48 ore, hanno proceduto a ben quattro rettifiche dei provvedimenti pubblicati aumentando il convincimento che ancora molti errori si celano nelle pieghe delle decisioni ministeriali»;
alla legittima richiesta di chiarimenti, il Ministero dell'istruzione e del merito ha risposto respingendo le accuse di approssimazione nella definizione dei punteggi e delle fasce di complessità, spiegando che le rettifiche successive riguardano solo un numero limitato di scuole; inoltre, il Ministero assicura che non ci sono stati tagli agli stipendi dei dirigenti scolastici in quanto una clausola di salvaguardia garantisce che nessun dirigente subisca una riduzione stipendiale nel caso in cui la sua scuola passi a una fascia inferiore;
nonostante le rassicurazioni del Ministro, le testimonianze dei dirigenti che si sono visti decurtare lo stipendio sono molteplici e con esse i numerosi errori di valutazione e continuano a restare inascoltate le istanze di maggiore trasparenza –:
se a fronte dell'adozione di un metodo frettoloso e approssimativo, che ha portato a dei punteggi parziali e ad errori, non ritenga opportuno procedere all'annullamento dei nuovi criteri di pesatura e ad ascoltare le istanze di maggiore coinvolgimento e trasparenza in tutte le fasi procedimentali di definizione degli stessi.
(4-03462)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:
SPORTIELLO, DI LAURO, QUARTINI e MARIANNA RICCIARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
come segnalato da più parti, in diverse regioni del Paese migliaia di persone, pur avendo i requisiti, non possono usufruire della «Carta dedicata a te», concepito come strumento di sostegno generalizzato per l'acquisto di beni di prima necessità ma alla prova dei fatti totalmente inadeguato nel tener conto dei divari tra persone e famiglie nelle stesse condizioni di indigenza;
alcune indiscrezioni prospettano gli intendimenti del Governo circa un'indennità di 100 euro per il 2024 destinata ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore a 28 mila euro e con coniuge e almeno un figlio fiscalmente a carico. Il cosiddetto bonus di Natale: che sarà riconosciuto solo su richiesta del lavoratore e con un tetto massimo di spesa, ad avviso degli interroganti, si tratta in sostanza di bonus «spot» che non ha nulla a che fare con misure strutturali di sostegno al reddito;
nessuna misura reale a sostegno dei nuclei familiari con figli, con riguardo anche ai congedi obbligatori di maternità e di paternità o di congedi per malattia dei figli, né alcun sostegno è stato rinnovato per le esigenze delle famiglie ove vivono soggetti fragili o minori: neanche la possibilità di svolgere le prestazioni lavorative in modalità agile;
l'ultimo rapporto dell'Istat riporta che l'incidenza della povertà assoluta è al 9,8 per cento tra gli individui e all'8,5 per cento tra le famiglie: i livelli più alti degli ultimi dieci anni. In valori assoluti si parla di un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e di 5 milioni 752 mila individui;
l'Inps ha certificato che 600 mila famiglie e un milione di persone in condizioni di disagio e povertà, che un anno fa beneficiavano del reddito di cittadinanza, oggi sono escluse dall'accesso all'assegno di inclusione per il quale si teme un ritocco nella prossima manovra economica –:
quali interventi sulle politiche sociali abbia in programma il Ministro interrogato, che possano qualificarsi come interventi strutturali di sostegno al reddito e ai nuclei familiari.
(5-02839)
FURFARO, CIANI, GIRELLI, MALAVASI e STUMPO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in questi giorni su vari organi di stampa si apprendono notizie sempre più preoccupanti riguardo alla futura legge di bilancio e alle possibili modifiche inerenti alla misura dell'assegno unico e universale;
oggi, la misura dell'assegno unico ha un valore di 20 miliardi di euro, e secondo gli ultimi dati Inps, riguarda oltre 6 milioni di nuclei familiari per un totale di 9,8 milioni di figli raggiunti;
le discussioni su una sua possibile riforma sono nate in seguito alla procedura di infrazione dell'Unione europea, culminata con il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea a luglio 2024 e dalla necessità di apportare i necessari correttivi;
la Commissione europea ritiene, infatti, che alcuni requisiti imposti dalla normativa italiana siano discriminatori nei confronti dei lavoratori mobili dell'Unione europea, in violazione del diritto comunitario. In particolare, la questione riguarda due specifici requisiti, la residenza in Italia da almeno due anni e la presenza in Italia dei figli;
di fronte alla procedura di infrazione e al rischio di una condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea, l'Italia deve ora considerare possibili modifiche alla normativa sull'assegno;
al di là delle ipotesi quali l'abolizione del requisito della residenza o l'inclusione dei figli residenti all'estero, circolano ulteriori voci di possibili modifiche, tra cui quella di non farlo più rientrare nell'Isee; almeno per le famiglie numerose, oppure quella dell'introduzione di detrazioni per scaglioni di reddito;
a fronte di tutte queste ipotesi l'unica vera strada percorribile rimane quella di aumentare le risorse attualmente stanziate visto che l'assegno unico andrebbe sicuramente rafforzato e non tagliato;
è importante ricordare che l'assegno unico e universale è l'unica misura che ha permesso fino ad ora di superare la frammentazione preesistente, in cui tanti piccoli provvedimenti, fra detrazioni fiscali e trasferimenti, avevano portato a un disegno totalmente casuale, da cui erano escluse ampie fette di popolazione: i lavoratori autonomi e, in larga misura, i lavoratori più poveri –:
se il Governo, con il prossimo disegno di legge di bilancio, intenda incrementare le risorse fino ad ora stanziate a favore dell'assegno unico e universale anche e non solo al fine di uniformarsi a quanto richiesto dall'Unione europea, visto che tale strumento, ad oggi, ha raggiunto il 91 per cento dei beneficiari.
(5-02840)
LANCELLOTTA, VIETRI, CIOCCHETTI, CIANCITTO, MACCARI, MORGANTE, ROSSO e SCHIFONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
gli Ambiti territoriali sociali (Ats) sono il nuovo punto di riferimento, sul piano programmatorio, organizzativo e gestionale, delle funzioni sociali e assistenziali in capo agli enti locali, indispensabile per agevolare l'inclusione sociale e l'autonomia di persone «fragili» in condizione di svantaggio;
in particolare, la definizione dell'assetto organizzativo degli Ats rappresenta un'occasione importante per promuovere un sistema di welfare secondo un modello integrato dei servizi sociali, come già sperimentato nell'ambito socio-sanitario, anche con gli altri ambiti della vita sociale;
e recente la notizia della pubblicazione da parte del Ministero interrogato di una manifestazione di interesse, rivolta agli Ambiti territoriali sociali (Ats), volta a rafforzare l'assistenza e favorire l'inclusione sociale attraverso il potenziamento del personale degli Ats, nonché la creazione di équipe multiprofessionali;
un ruolo centrale nel potenziamento degli Ats verrà riservato alla figura dello psicologo, il cui fabbisogno verrà calcolato in modo tale da garantire la presenza di un professionista ogni 20 mila abitanti;
l'iniziativa, che conta su un finanziamento di 300 milioni di euro, è indice della volontà di rafforzare quel sistema di cura e promozione del benessere, basato sulla capillarità territoriale, sulla multidisciplinarietà e sul «dialogo tra le competenze»;
l'Ambito territoriale sociale, sede principale della programmazione locale e di coordinamento degli interventi dei servizi sociali e delle altre prestazioni integrate, non può prescindere da azioni sinergiche e cooperative con le diverse istituzioni pubbliche, del terzo settore e del volontariato, per la piena attuazione dei Leps, per la promozione di politiche efficaci di inclusione sociale e lo sviluppo di percorsi di coesione sociale nelle comunità territoriali –:
quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato per l'implementazione e attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali dell'ambito territoriale sociale, con particolare riguardo al potenziamento degli Ambiti territoriali sociali.
(5-02841)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
AMBROSI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
si segnala che nel mese di settembre 2024, presso l'ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento (Vr), sono risultati positivi al batterio citrobacterkoseri ulteriori 2 neonati. Ciò nonostante una nota aziendale, ha smentito il caso d'infezione e il ricovero in terapia intensiva neonatale, sebbene i 2 neonati siano stati messi in isolamento, sostenendo che la situazione all'interno della struttura ospedaliera risulta attualmente sotto controllo grazie alle misure di sorveglianza attivate aggiungendo inoltre che è stata disposta l'immediata attivazione di ulteriori azioni straordinarie previste dai protocolli aziendali; inoltre a giugno 2024 il reparto è stato temporaneamente trasferito per consentire l'ammodernamento tecnologico della struttura;
a tal fine si evidenzia che con l'atto di sindacato ispettivo n. 3-01241 presentato il 3 giugno 2024 l'interrogante segnalava che già tra il 2018 e la prima metà del 2020 nei reparti di terapia intensiva neonatale e pediatrica del medesimo ospedale, si erano verificate circa 100 infezioni da citrobacterkoseri che hanno portato alla morte di quattro neonati, mentre 9 bambini hanno riportato gravi danni cerebrali;
riguardo agli ultimi casi, segnalati da un articolo pubblicato il 18 settembre 2024 da Il Corriere di Verona, si rileva che diversi esperti della medicina, tra cui infettivologi di fama nazionale, hanno suggerito la sospensione temporanea dell'attività del reparto di terapia intensiva neonatale, lo smantellamento degli impianti e il trasferimento del reparto in un'altra struttura, fino al chiarimento delle cause del proliferare del batterio e l'adozione delle necessarie contromisure;
l'azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona non ha reso noto se il batterio sia stato trasmesso dalle madri ai neonati o se il contagio sia avvenuto in altro modo e ha dichiarato come il citrobacter sia un microorganismo ubiquitario, che si trova dappertutto e che vive nell'intestino e si trasmette attraverso le feci a giudizio dell'interrogante, l'ultimo caso in precedenza richiamato non può che destare ulteriore sconcerto e preoccupazione, soprattutto se valutato con i casi degli anni scorsi e del maggio 2024, nei riguardi delle mamme del reparto neonatale, che devono essere informate, alla luce delle vicende accadute, della presenza del virus e decidere liberamente se optare per altre strutture;
il numero dei parti, che a quanto consta all'interrogante sembrerebbe essere diminuito drasticamente, nonostante l'ospedale sia considerato un'eccellenza nel suo campo, conferma, a parere dell'interrogante, che all'interno della struttura sanitaria le condizioni complessive igieniche di salute non siano effettivamente corrispondenti alle misure previste dalla normativa vigente in materia;
le rassicurazioni dell'azienda ospedaliera, secondo l'interrogante, non appaiono sufficienti a rasserenare i pazienti e soprattutto le donne in gravidanza, le quali anche dal punto di vista psicologico rischiano di subire danni permanenti alla salute propria e dei nascituri –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda accaduta al suddetto ospedale ed esposto in premessa e in caso affermativo, quali intendimenti, per quanto di competenza, intenda esprimere con riguardo ad un episodio che rappresenta l'ultimo di una serie di casi infettivi citrobacter, verificatisi all'interno dell'azienda ospedaliera;
se sia a conoscenza e possa fornire chiarimenti sul numero dei parti, diminuito significativamente negli ultimi mesi, a causa delle infezioni dovute al batterio e se sia a conoscenza della presenza del CitrobacterKoseri in altre strutture di terapia intensiva neonatale nei nosocomi presenti sul territorio nazionale e quali siano i protocolli ed i provvedimenti adottati al riguardo;
quali iniziative urgenti, intenda intraprendere nell'ambito delle proprie competenze, al fine di tutelare i pazienti in degenza presso il predetto ospedale, oltre che sconfiggere il batterio citato in premessa;
se infine, in considerazione della situazione di precarietà complessiva, oggettivamente presente all'interno dell'ospedale veronese ed in particolare nel reparto della terapia intensiva neonatale, non ritenga urgente e opportuno valutare la sussistenza dei presupposti, per avviare iniziative, anche di carattere ispettivo, in ordine alle reali condizioni della struttura ospedaliera.
(5-02843)
Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Caso n. 5-02594 del 9 luglio 2024.
Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Scarpa e altri n. 5-02656 del 24 luglio 2024 in interrogazione a risposta orale n. 3-01435.