TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 16 di Mercoledì 30 novembre 2022

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE
AL CONFLITTO TRA RUSSIA E UCRAINA

   La Camera,

   premesso che:

    l'aggressione della Federazione russa nei confronti dell'Ucraina del 24 febbraio 2022, è ormai in atto da circa nove mesi, in un contesto segnato da una perdurante escalation militare inasprita, peraltro, dallo spettro della minaccia nucleare;

    a seguito della summenzionata aggressione, il Governo ha autorizzato, fino al 31 dicembre 2022, previo atto di indirizzo delle Camere, la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative ucraine, in deroga alle disposizioni di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185 e agli articoli 310 e 311 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66;

    in particolare, tale autorizzazione, è disposta dall'articolo 2-bis, comma 1, del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, ed attuata con l'emanazione, ad oggi, di cinque decreti interministeriali contenenti allegati con il dettaglio delle forniture. Gli allegati in questione sono considerati «documenti classificati» e sono stati illustrati dal Governo in seno al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir);

    la ratio della norma succitata, riconducibile all'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, ha consentito all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa nei confronti della Russia, responsabile della violazione dei principi cardine del diritto internazionale. La Carta delle Nazioni Unite prevede infatti un generale divieto del ricorso alla forza (articolo 2) con la sola eccezione della legittima difesa individuale e collettiva (articolo 51);

    il Governo italiano ha annunciato l'emanazione di un sesto decreto interministeriale per la cessione di mezzi militari, con particolare riferimento ai sistemi di artiglieria per la difesa aerea;

    inoltre, con il decreto-legge n. 14 del 2022 sono state adottate misure, per far fronte alla eccezionale e drammatica crisi umanitaria provocata dall'aggressione della Russia, volte a incrementare le risorse finanziarie destinate alle attività del sistema di prima accoglienza per le persone vulnerabili provenienti dall'Ucraina;

    successivamente, il decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, ha integrato le misure di assistenza e accoglienza, prevedendo l'attivazione di ulteriori modalità di assistenza diffusa affidata ai Comuni e associazioni del terzo settore, nonché la concessione di un contributo di sostentamento;

    il 1° marzo 2022 la Camera, a seguito delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto Russia e Ucraina rese dal Presidente del Consiglio dei ministri, ha approvato la risoluzione n. 6-00207 che impegnava il Governo ad assicurare sostegno e solidarietà, al popolo ucraino e alle sue istituzioni attivando, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché – tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati – la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione;

    il 22 giugno 2022 la Camera, a seguito delle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio, europeo del 24 e 25 giugno 2022, ha approvato la risoluzione n. 6-00224 con la quale si impegnava, tra l'altro, il Governo a continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario ed ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità, ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle Istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari;

    Governo e Parlamento, in questi mesi, si sono adoperati per consentire all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa, e per sostenerla per mezzo di aiuti umanitari e finanziari, come attestato dai provvedimenti adottati;

    tuttavia, la drammatica situazione venutasi a produrre non è più sostenibile: decine di migliaia di vittime, civili e militari, distruzione di edifici pubblici e privati e infrastrutture vitali, la crisi umanitaria, nonché, per gli equilibri geopolitici, le evidenti ripercussioni sul tessuto economico-produttivo internazionale, sull'approvvigionamento energetico e sulle principali regole della convivenza internazionale;

    il 27 aprile 2022 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, in un passaggio del suo discorso afferma che «quanto la guerra ha la pretesa di essere lampo – e non le riesce – tanto la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione.». La pace, ha rimarcato, «è frutto di una ostinata fiducia verso l'umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti». Invoca il bisogno di «prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull'esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di positivi sviluppi», allo scopo di «affermare con forza il rifiuto di una politica, basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per popoli e persone.»;

    il 23 ottobre 2022 il Presidente della Repubblica ha inoltre partecipato all'Incontro Internazionale «Il grido della pace Religioni e culture in dialogo». Nel suo intervento ha ribadito l'importanza e la necessità di «realizzare con perseveranza percorsi di pace, attraverso un impegno collettivo della comunità internazionale che valorizzi il dialogo, i negoziati, il ricorso alla diplomazia in luogo delle armi.», in quanto «la pace è un processo, non un momento della storia; ha bisogno di coraggio, di determinazione, di volontà politica e di impegno dei singoli.». Rinnovando la ferma condanna delle azioni della Federazione russa che rappresentano una sfida diretta ai valori di pace, afferma che sono stati stravolti i principi e i valori della vita internazionale e che la comunità globale è chiamata «a trovare soluzioni cooperative urgenti a problemi comuni; le crisi sanitarie e alimentari, gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, le minacce terroristiche.», facendo appello al bisogno di un multilateralismo efficace;

    il 5 novembre 2022 si è svolta a Roma una importante manifestazione della società civile italiana, sotto l'egida di «Europe for peace», che ha visto partecipare migliaia di persone per sostenere fermamente le ragioni della pace e chiedere alla politica e alle istituzioni italiane ed europee il cessate il fuoco subito e il negoziato per la pace in Ucraina;

    il 15 novembre 2022, durante un massiccio attacco lanciato dalla Russia contro la rete di infrastrutture energetiche ucraine, due missili hanno raggiunto la Polonia. Uno ha colpito una fattoria di Przewodów, al confine con l'Ucraina e l'altro un deposito di cereali a Hrubieszow 35 km a nord: due persone sono rimaste uccise;

    alla luce di quanto esposto, appare ineludibile la necessità di concentrare tutte le azioni, in sinergia con gli altri Paesi europei, per giungere ad una soluzione diplomatica del conflitto e porre fine alla crisi in atto,

impegna il Governo:

1) a voler illustrare preventivamente alle Aule parlamentari l'indirizzo politico da assumere in occasione di consessi di carattere internazionale riguardanti il conflitto Russia-Ucraina, compreso quello concernente l'eventuale invio di forniture militari, al fine di tenere conto degli indirizzi dalle stesse formulati;

2) a promuovere iniziative in cui il nostro Paese si faccia interprete e protagonista di una nuova fase di sforzi diplomatici affinché sia scongiurato si rischio di una ulteriore escalation militare, a tal fine intraprendendo le opportune iniziative nelle sedi europee e internazionali allo scopo di promuovere una decisa e forte azione diplomatica volta ad imporre un immediato cessate il fuoco e, nel contempo, l'avvio, di negoziati per il raggiungimento di una soluzione politica, giusta, equilibrata, duratura e in linea con i principi di diritto internazionale;

3) a sostenere un ruolo dell'Italia, in prima linea, in direzione del rafforzamento del pilastro europeo della difesa comune, che adeguatamente posto a supporto di una politica estera europea, possa garantire maggiore sicurezza all'Unione europea e consentire una razionalizzazione delle spese e degli investimenti militari, in modo da dotarsi di uno strumento militare europeo più moderno ed efficiente, oltreché più economico per i singoli Stati membri;

4) ad adoperarsi, ripartendo dai principi di diritto che sono alla base dell'ordine internazionale, per la convocazione di una Conferenza sulla Sicurezza in Europa, al fine di ristabilire, in nome di un rinnovato spirito di Helsinki, un quadro di pace, sicurezza e cooperazione, nonché avviare un percorso per una Conferenza multilaterale sulla pace;

5) a proseguire con un'azione costante di aiuti umanitari per la popolazione ucraina, nonché con le misure di accoglienza adottate per le persone in fuga dalla crisi bellica, con particolare attenzione alle esigenze dei soggetti minori, anche al fine di assicurare: la tutela dei diritti loro riconosciuti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e alle esigenze dei soggetti più fragili, tra cui anziani e disabili;

6) ad avviare con urgenza un confronto costruttivo per l'istituzione di un Fondo energetico europeo straordinario, quale strumento, a disposizione dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, a supporto della lotta al caro energia, al fine di garantire una maggiore autonomia sul fronte energetico;

7) ad adottare iniziative di competenza affinché, nel quadro delle iniziative europee, venga adottata una strategia comune di sostegno energetico (Energy Recovery Fund), volta a raggiungere, in tempi brevi, l'obiettivo dell'indipendenza dall'approvvigionamento energetico russo, nonché adottando idonee iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate a favorire la transizione ecologica, energetica e verso l'economia circolare, mediante la progressiva riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi, e la tempestiva definizione di appositi indicatori per gli investimenti ecosostenibili.
(1-00010) «Conte, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Lomuti, Onori, Pellegrini, Gubitosa, Scutellà, Scerra, Cappelletti, Quartini».

(16 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    bisogna ribadire la ferma condanna dell'aggressione russa in Ucraina che si pone in palese violazione del diritto internazionale e che ha aperto uno scenario angosciante di insicurezza globale;

    si sottolinea che il dramma di questa guerra, come di ogni guerra, ricade principalmente sulla popolazione civile inerme e guarda con allarme alla sua condizione; si esprime quindi la piena solidarietà alla popolazione colpita dalla guerra, ai profughi, ai rifugiati costretti ad abbandonare le proprie case e le proprie attività, alle vittime di bombardamenti, violenze e torture;

    al netto di altalenanti evoluzioni del conflitto, si prefigura una condizione di guerra di posizione e di logoramento destinata a protrarsi sul lungo periodo prolungando e aumentando così il carico di morte, distruzione e sofferenza. Come rilevato dallo stesso Capo di Stato Maggiore Usa, Mark Milley, esiste «una bassa probabilità che l'Ucraina possa costringere militarmente la Russia a lasciare tutto il territorio ucraino che occupa» e osserva che in tale contesto non è immaginabile nessuna soluzione militare al conflitto;

    la fornitura di equipaggiamento militare all'Ucraina era stata considerata come uno strumento volto a consentire la determinazione di migliori condizioni negoziali. Va rilevato però con estrema preoccupazione l'assenza di qualsiasi percorso negoziale o persino l'individuazione di condizioni concrete e realistiche in cui tale negoziato possa aver luogo. Si osserva invece la debolezza se non l'inesistenza di un ruolo diplomatico da parte dell'Italia e dell'Unione europea, rispetto alla quale emerge la necessità di una netta inversione di rotta;

    si considera quindi urgente un cambio di strategia e di prospettiva finalizzato a rendere prioritaria la via negoziale per la ricerca della pace e la fine del conflitto. È a tal fine necessario farsi carico di uno sforzo negoziale e diplomatico, nella consapevolezza della difficoltà e della fatica del percorso, ma ancor più del fatto che questo rappresenti l'unica strada possibile per la fine della guerra, per interrompere ulteriori escalation e allargamenti del conflitto e per allontanare scenari drammatici per la sicurezza globale;

    si ricorda e sottolinea la straordinaria lucidità dell'intervento del Presidente della Repubblica all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa del 27 aprile 2022, in particolare laddove si ricorda che «la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione» indicando la necessità di «prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione sull'esempio della Conferenza di Helsinki del 1975 (...)»;

    è necessario mettere immediatamente in campo una forte iniziativa diplomatica multilaterale che includa la convocazione di una conferenza di pace con un rinnovato protagonismo delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco e per la definizione di un nuovo quadro di sicurezza regionale e internazionale condivisa e costruita su un sistema di garanzie multilaterali;

    la difesa della pace, della democrazia e dei diritti umani nel mondo sono elementi costitutivi dell'Unione europea e che su questi deve basarsi la sua azione esterna e la sua autonomia strategica. Va constatata con allarme l'assenza di una forte iniziativa europea per la pace ed evidenzia che tale assenza ha dato spazio e respiro all'azione di altri attori negoziali, come la Turchia, che seguono spesso traiettorie esplicitamente in contraddizione con la difesa della democrazia e dei diritti umani; è quindi urgente sollecitare anche in sede europea un cambio di prospettiva e un serio impegno diplomatico per la pace;

    nel nostro Paese la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) ha istituito in via sperimentale i Corpi civili di pace (Ccp), che attualmente rappresentano un progetto interno al programma del Servizio civile universale (Scu). Di fronte all'atrocità della guerra in Ucraina, l'idea di rilanciare i Corpi civili di pace acquisisce una straordinaria urgenza, perseguendo l'obiettivo di lavorare su soluzioni alternative all'uso della forza, anche militare, per la risoluzione dei conflitti. A tale scopo si pone l'urgenza di dare sistematicità alle attività dei Corpi civili di pace con un intervento normativo specifico che sia in grado di dare riconoscimento e sostegno ad un'esperienza che ha una sua specificità ed esigenza precipua;

    va sottolineata l'estrema drammaticità di qualsiasi prospettiva di ulteriore escalation o allargamento del conflitto, come si è concretamente rischiata il 15 novembre 2022, a causa di un missile lanciato dalla contraerea di Kiev caduto per errore in territorio polacco, nella località di Przewodów, a pochi chilometri dal confine con l'Ucraina, che ha ucciso due persone, che ha indotto per alcune ore taluni ad invocare il ricorso all'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico;

    si evidenzia che qualsiasi ipotesi, per quanto remota, di uso di armi nucleari risulterebbe assolutamente insostenibile e aberrante e che pertanto occorre mettere in campo ogni sforzo per escluderne persino la più remota eventualità;

    è urgente richiedere e sollecitare l'istituzione di una zona di sicurezza e protezione nucleare nell'area in cui sorge la centrale nucleare di Zaporizia, come sollecitato dal direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, che negli ultimi giorni è stata addirittura oggetto di un bombardamento missilistico che ha causato vari danni al sito, essendo evidenti i rischi di un apocalittico disastro ambientale;

    la crisi attuale si colloca nel venir meno di un approccio multilaterale alle relazioni internazionali e dalla forzatura ideologica e materiale su un sistema polarizzato che penalizza l'esercizio del dialogo e delegittima persino i luoghi in cui questo avviene. Il ruolo marginale fin qui svolto dalle Nazioni Unite e l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) sono un sintomo evidente di questa polarizzazione. È quindi necessario e urgente che il percorso di pace venga incardinato all'interno della rilegittimazione dei luoghi multilaterali dove poter ricercare soluzioni più avanzate e condivise che garantiscano l'effettiva sicurezza globale;

    si guarda con allarme al continuo e scellerato aumento delle spese militari riscontrabile a livello nazionale, europeo e globale e iniziato ben prima dell'inizio del conflitto in Ucraina. Si considera questo un pericoloso fattore di instabilità ed una minaccia alla sicurezza globale. È invece necessario lavorare per strutturare percorsi di disarmo, in particolare le armi nucleari. Sebbene il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) rappresenti ancora oggi un riferimento imprescindibile, i progressi compiuti per quanto riguarda l'obiettivo di disarmo sono ancora molto limitati e i tentativi di conseguire l'universalizzazione del trattato non sono riusciti. Occorre quindi lavorare per un avanzamento significativo che porti allo smantellamento almeno dei missili a lungo e medio raggio in Europa e nella Russia occidentale e una adesione formale ed effettiva anche al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw);

    si esprime seria preoccupazione rispetto all'allarme lanciato da Interpol secondo cui almeno una parte del materiale bellico inviato all'Ucraina finirà nel mercato nero gestito dalla criminalità organizzata ed alimenterà un florido commercio di armi, sia leggere che pesanti, in tutto il mondo. Anche alla luce di ciò, è necessaria la massima trasparenza circa la natura e la quantità del materiale fornito;

    è necessario mettere in campo un grande sforzo di solidarietà ed esprime apprezzamento per la decisione di applicare la direttiva 2001/55/CE del Consiglio per la concessione della protezione temporanea per chi fugge dalla guerra in Ucraina. È però incomprensibile e ingiusta la scelta di riconoscere la protezione temporanea ai soli cittadini ucraini e ai loro familiari, escludendo migliaia di persone straniere presenti in Ucraina, costrette anch'esse a fuggire dalla medesima guerra. Si ritiene peraltro che lo stesso strumento di protezione temporanea dovrebbe essere esteso e che sia necessaria un'applicazione anche per chi fugge da altri contesti bellici altrettanto drammatici come ad esempio la Siria, la Libia o l'Afghanistan;

    occorre considerare serie e drammatiche le conseguenze su scala globale della guerra sul piano economico, sociale ed ambientale. Una enorme crisi alimentare globale, aggravata da inaccettabili operazioni di carattere speculativo, rischia oggi di produrre carestie nei paesi più poveri del mondo, accentuando squilibri già insostenibili. L'aumento dell'inflazione sta già colpendo ulteriormente salari già troppo bassi, polverizzandone il potere di acquisto. La guerra sta determinando inoltre scelte scomposte e dannose per il clima e la vita nel pianeta, che frenano l'urgente processo di transizione ecologica. La stessa paura dell'incidente nucleare è riaffiorata troppe volte in questi mesi. Per questo l'opinione pubblica anche del nostro Paese si sta mobilitando e il 5 novembre 2022 decine di migliaia di cittadini hanno sfilato per le strade di Roma dando vita ad una grande manifestazione, promossa dalla Rete italiana pace e disarmo, a cui hanno aderito tante organizzazioni e associazioni, per chiedere il cessate il fuoco e l'avvio di un negoziato per la pace,

impegna il Governo:

1) a cambiare strategia e approccio dando priorità alla costruzione di un processo di pace e all'attivazione di canali negoziali;

2) ad adottare, per quanto di competenza, iniziative normative volte a dare sistematicità alle attività dei Corpi civili di pace, riconoscendone pienamente il valore di prevenzione e trasformazione dei conflitti, nella difesa non armata e nonviolenta alternativa all'uso della forza;

3) a lavorare alla convocazione di una conferenza multilaterale per la pace e la sicurezza guidata dalle Nazioni Unite;

4) a interrompere la fornitura di equipaggiamento militare, concentrando tali risorse sull'assistenza umanitaria e la ricostruzione;

5) a fornire al Parlamento ogni elemento utile circa la natura e la quantità di equipaggiamento militare fin qui fornito all'Ucraina;

6) ad adottare iniziative di competenza volte ad estendere l'applicazione della direttiva 2001/55/CE del Consiglio per la concessione della protezione temporanea a tutti coloro che fuggono dalla guerra, senza alcuna distinzione o discriminazione riguardante la nazionalità o il conflitto.
(1-00020) «Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Soumahoro, Zaratti».

(23 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    nella mattinata del 24 febbraio del 2022 la Federazione russa ha avviato, unilateralmente ed indiscriminatamente, un'invasione militare a danno dell'Ucraina, in aperto contrasto con le norme che regolano la vita della comunità internazionale, nonché con i princìpi di indipendenza, sovranità e integrità territoriale di ogni Stato;

    al momento dell'inizio del conflitto, in Ucraina erano presenti circa 2.300 nostri connazionali, di cui oltre 1.600 residenti;

    il disegno imperialista di Vladimir Putin – avviato nel 2014 con l'annessione della Crimea con un referendum illegale e proseguito con il finanziamento, economico e militare, delle forze separatiste nel Donbass – si è oramai rivelato nei suoi contorni in maniera nitida ed inequivocabile: annientare, militarmente e culturalmente, l'Ucraina e portarla sotto l'egida della Russia;

    come sottolineato dall'ex Presidente del Consiglio Mario Draghi in occasione del proprio discorso in Senato del 1° marzo 2022, negli ultimi decenni molti si erano illusi che la guerra non avrebbe più trovato spazio in Europa, che gli orrori che avevano caratterizzato il secolo scorso fossero mostruosità irripetibili, che l'integrazione economica e politica perseguita dall'UE ci avrebbe messo al riparo della violenza e che, in definitiva, «potessimo dare per scontate le conquiste di pace, sicurezza e benessere che le generazioni che ci hanno preceduto avevano ottenuto con enormi sacrifici»: la guerra, invece, ha bussato nuovamente alle porte d'Europa;

    anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo intervento al Quirinale alla cerimonia di consegna delle decorazioni dell'Ordine militare d'Italia, ha dichiarato che la «guerra scatenata dalla Federazione russa contro l'Ucraina sta riportando indietro di un secolo l'orologio della storia», che «non possiamo arrenderci a questa deriva» e che, pertanto, occorra proseguire nel «sostegno senza riserve» in favore di Kyiv;

    la comunità occidentale si è immediatamente stretta attorno all'Ucraina ed al popolo ucraino, condannando fermamente un'aggressione militare violenta e insensata che ha provocato – e continua a provocare – ingenti perdite umane, sofferenze, distruzioni nonché una grave emergenza umanitaria;

    il precedente Esecutivo, sin da subito, non solo ha condannato tempestivamente l'aggressione, ma ha altresì dato seguito alle enunciazioni di principio attraverso concreti atti normativi: con decreto-legge n. 14 del 2022 si è, infatti, autorizzata fino al 31 dicembre 2022 la cessione di mezzi materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, in deroga alla vigente disciplina in materia;

    con deliberazione del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2022 è stato dichiarato sino alla fine dello stesso anno lo stato di emergenza di rilievo nazionale in relazione all'esigenza di assicurare soccorso ed assistenza alla popolazione ucraina sul territorio nazionale;

    ogni iniziativa portata avanti dal Governo presieduto da Mario Draghi si è fondata sul pieno appoggio del Parlamento, in conformità alle disposizioni costituzionali che regolano il rapporto intercorrente tra Esecutivo e Camere;

    nella già richiamata seduta del 1° marzo, infatti, Camera e Senato hanno approvato due risoluzioni unitarie con le quali si impegnava il Governo, tra le altre cose, ad assicurare sostegno e solidarietà al popolo ucraino e alle sue istituzioni attivando, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché – tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati – la cessione di apparati e strumenti militari che consentissero all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione;

    anche l'Unione europea ha più volte adottato, a livello di Consiglio europeo, dichiarazioni di condanna dell'aggressione militare della Russia, ribadendo il fermo sostegno all'indipendenza, alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina entro i confini riconosciuti a livello internazionale;

    lo stesso Consiglio europeo ha, poi, ha adottato un complesso quadro di sanzioni nei confronti della Russia e approvato il sostegno militare all'Ucraina, riconoscendone le aspirazioni europee, concedendole lo status di Paese candidato all'adesione all'UE e impegnandosi a contribuire, una volta cessato il conflitto, alla sua ricostruzione;

    da ultimo, il Consiglio dell'UE – durante una riunione informale d'emergenza tenutasi il 21 settembre 2022 a New York – ha adottato una dichiarazione nella quale ha condannato l'organizzazione, da parte della Russia, di referendum illegali finalizzati all'annessione di parti delle regioni di Donetsk, Kherson, Lugansk e Zaporižžja;

    il 15 novembre 2022, l'Assemblea generale dell'Onu ha approvato con 94 voti a favore, 14 contrari e 73 astenuti una risoluzione in cui si chiede che la Russia sia responsabile per le sue violazioni della legge internazionale in Ucraina e che i paesi membri creino «un registro internazionale» per documentare le richieste di danni, perdite o lesioni agli ucraini causati dalla Russia;

    agli importanti interventi delle Istituzioni nazionali, europee ed internazionali si sono affiancate numerose manifestazioni e mobilitazioni da parte della Società civile, che hanno chiesto a gran voce – anche nelle fasi più drammatiche del conflitto – di aprire canali di dialogo finalizzati alla creazione di percorsi di pace duraturi;

    nel corso dell'invasione le forze russe hanno bombardato obiettivi, sia militari che civili, ben lontani dalla linea del fronte, contrastati dalle coraggiose forze della resistenza ucraina;

    l'invasione militare unilaterale e spregiudicata perpetrata dalla Federazione russa non consente di lasciare spazio ad alcun tipo di ambiguità politica ed impone di proseguire con forza e convinzione nell'adozione di ogni possibile misura di sostegno, economico e militare, al popolo ucraino, fino al ripristino della sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina;

    tollerare una guerra di aggressione nei confronti di uno Stato sovrano del continente europeo vorrebbe dire mettere a rischio, in maniera forse irreversibile, la sicurezza e la pace in Europa,

impegna il Governo:

1) a proseguire senza riserve l'attività di sostegno, economico e militare, a Kyiv e al popolo ucraino, in continuità con le azioni intraprese ed i provvedimenti adottati dall'Esecutivo guidato da Mario Draghi, anche mediante l'invio di nuovi equipaggiamenti bellici, tenendo opportunamente informato il Parlamento sulle decisioni che si intenderanno assumere;

2) ad adottare iniziative di competenza per esigere dalle Autorità russe l'immediata cessazione delle operazioni belliche e il ritiro di tutte le forze militari entrate illegittimamente in Ucraina dopo il 24 febbraio 2022, in modo da aprire la strada ad un vero «cessate il fuoco», ad un dialogo fra le parti che rispetti il principio della piena sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina nonché a negoziati di pace equi;

3) a stimolare e sostenere tutte le iniziative diplomatiche (pubbliche o riservate, bilaterali o multilaterali) che abbiano come obiettivo l'ottenimento di quanto previsto all'impegno n. 2 del presente atto di indirizzo e/o incontrino comunque il consenso del Governo ucraino;

4) a rafforzare i programmi umanitari per la popolazione ucraina e semplificare le procedure di utilizzo dei fondi erogati;

5) ad attivarsi, in ogni opportuno consesso europeo, per un netto rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune, anche con riguardo alle riforme procedurali necessarie per promuovere l'abolizione del criterio dell'unanimità nel processo decisionale del Consiglio europeo, e per la creazione di un esercito comune europeo.
(1-00022) «Richetti, Benzoni, Bonetti, Bonifazi, Boschi, Carfagna, Castiglione, Enrico Costa, D'Alessio, Del Barba, De Monte, Faraone, Gadda, Giachetti, Grippo, Gruppioni, Marattin, Pastorella, Rosato, Ruffino, Sottanelli».

(25 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione russa rappresenta una violazione di principi e norme che regolano la vita della comunità internazionale e, in particolare, il rispetto dell'indipendenza, sovranità e integrità territoriale di ogni Stato;

    la Federazione russa si è resa colpevole di una gravissima violazione del diritto internazionale, aggredendo l'Ucraina, anche attraverso atrocità e azioni ostili nei confronti di obiettivi civili;

    in linea con la Carta delle Nazioni Unite e con il diritto internazionale, l'Ucraina ha esercitato il suo legittimo diritto di difendersi dall'aggressione russa per riconquistare il pieno controllo del proprio territorio e liberare i territori occupati entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale;

    il Governo italiano ha condannato immediatamente e con assoluta fermezza l'aggressione russa all'Ucraina, inaccettabile e ingiustificata, e tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento hanno espresso analoga condanna; il Governo ha fornito sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, lavorando al fianco degli alleati europei e della Nato per rispondere immediatamente, con unità e determinazione, alla crisi militare ed umanitaria che ne è nata;

    la guerra voluta dalla Russia, infatti, ha provocato e continua a provocare ingenti perdite umane, sofferenze, distruzioni, nonché consistenti flussi di profughi e una grave emergenza umanitaria;

    l'ufficio dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ha registrato oltre 5,6 milioni di rifugiati ucraini, il 90 per cento dei quali sono donne e bambini. Si tratta, finora, della più grande migrazione forzata di profughi interni e internazionali di questo nuovo secolo e millennio, il più grande e rapido spostamento di persone in Europa dalla fine dei conflitti nei Balcani;

    per garantire un'immediata ed efficace risposta di accoglienza per i profughi che lasciano l'Ucraina, l'Unione europea ha attivato, per la prima volta, la direttiva 2001/55/CE per la «Protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati» del 2001. Questo sistema di protezione speciale, finora, non era mai stato applicato e introduce una protezione immediata e temporanea su tutto il territorio dell'Unione europea, istituendo la concessione quasi automatica dell'asilo e, soprattutto, fornendo i permessi di soggiorno e lavorativi, di alloggio e accesso all'istruzione per i minori, oltre a considerare legami familiari o reti di supporto preesistenti, con procedure minime ed efficienti;

    anche moltissimi russi in patria soffrono il dramma della guerra, sia perché caduti in combattimento, sia perché, da quando è cominciata l'invasione, in Russia più di 15 mila persone sono state arrestate per aver manifestato il proprio dissenso o sono stati costretti a fuggire dal Paese per evitare la leva obbligatoria imposta dal Presidente Putin;

    negli ultimi mesi la Federazione russa ha proseguito la sua guerra illegale, non provocata e ingiustificata nei confronti dell'Ucraina, compiendo azioni in totale spregio del diritto internazionale umanitario, quali il massacro di Bucha o le fosse comuni contenenti oltre 440 corpi a Izyum e altri gravi violazioni dei diritti umani, che sembrano configurare veri e propri crimini di guerra commessi dalle forze russe e su cui la Corte penale internazionale è parte attiva nell'accertamento degli stessi e la stessa Unione europea ha invitato i suoi Stati membri a collaborare con gli organismi internazionali per raccogliere prove e sostenere le indagini della Corte penale internazionale sui crimini di guerra commessi nel territorio dell'Ucraina dal 24 febbraio 2014 in poi;

    inoltre, ci sono le tantissime testimonianze di stupri compiuti perlopiù dai soldati russi su civili ucraini. Secondo i dati della procura generale ucraina erano, già a luglio 2022, 10.619 i crimini di guerra e di aggressione registrati da inizio conflitto in Ucraina, ma, riguardo agli stupri, soltanto poche tra le donne vittime di violenza sono psicologicamente e fisicamente in grado di testimoniare per le loro aggressioni sessuali, che rientrano anch'esse in questa categoria di reati;

    inoltre, a causa dei continui bombardamenti russi alle infrastrutture energetiche in varie zone dell'Ucraina, milioni di persone sono rimaste senza luce, riscaldamento e acqua corrente: 10 milioni secondo fonti ucraine. Così come destano grande preoccupazione i bombardamenti nella zona attorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, che potrebbero provocare un incidente atomico grave. Difatti, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha detto che le notizie che arrivano da Zaporizhzhia sono «estremamente allarmanti»;

    nonostante i numerosi appelli che la comunità internazionale, tra cui, con forza, Papa Francesco, ha rivolto alla Russia affinché ponga immediatamente fine all'aggressione militare nei confronti dell'Ucraina, il regime russo ha purtroppo deciso di non darvi ascolto, continuando a bombardare costantemente le città ucraine e la capitale Kiev e provocando anche pericolosi incidenti nei territori di confine come quello recente nel territorio polacco, che rischiano di aprire ad un allargamento Nato del conflitto;

    inoltre, la Russia continua a far costante riferimento alla minaccia di ricorrere ad armi di distruzione di massa, che esacerbano la tensione dei Paesi coinvolti e della comunità internazionale e, purtroppo, si riaffaccia nuovamente dopo tre decenni il rischio dell'incubo dell'utilizzo di armi atomiche. Occorre rilanciare un'iniziativa internazionale per la non proliferazione di dispositivi nucleari;

    le ricadute dell'attuale crisi tra Russia e Ucraina sull'andamento complessivo dell'economia globale sono evidenti e rischiano di diventare devastanti sul medio periodo, con risvolti importanti sul piano umanitario, in particolare sul fronte dell'alimentazione, a cominciare dalle forniture di cereali e fertilizzanti, o delle fonti energetiche per i Paesi più poveri;

    l'effetto domino del conflitto in Ucraina sulle speranze di ripresa economica post pandemia di molti Paesi sta dispiegando tutti i suoi peggiori effetti, a partire dal forte rialzo dei prezzi delle materie prime alimentari ed energetiche, di cui la Russia e l'Ucraina sono tra i maggiori esportatori;

    inoltre, secondo una stima del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, il conflitto armato in corso provocherà un incremento di 47 milioni delle persone che soffrono la fame, il cui numero potrebbe superare gli 800 milioni. Nel breve termine a essere investiti saranno quei Paesi strutturalmente dipendenti dalle importazioni alimentari provenienti dal Mar Nero, tra cui soprattutto le nazioni mediorientali. La produzione interna di molti Paesi dell'area mediorientale e del Nord Africa (Mena) è da tempo insufficiente a far fronte alla domanda interna. Si aggraveranno crisi preesistenti, come quelle in Siria, Yemen e Libano, mentre saranno in difficoltà Paesi finora relativamente sicuri dal punto di vista alimentare, come Tunisia ed Egitto;

    in questo contesto, l'atteggiamento della Federazione russa, ancora una volta, è stato di ricatto verso la comunità internazionale, per giungere alla sofferta firma dell'accordo sul corridoio del grano tra Ucraina e Russia alla presenza del Presidente turco Erdoğan e del Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, di vitale importanza per la riduzione dei prezzi alimentari globali e per la garanzia della sicurezza alimentare, che prevede la garanzia dell'export di cereali, di fertilizzanti e di altre derrate rimaste bloccate nei porti ucraini dopo l'invasione russa;

    in egual modo, sul piano dell'energia, nel corso dell'ultimo anno, la repentina crescita della domanda di energia nella fase di ripresa economica successiva alla pandemia da COVID-19, combinata con gli effetti della recente invasione dell'Ucraina da parte della Russia, ha determinato un incremento dei prezzi del gas e, conseguentemente, dell'energia elettrica, a livelli mai registrati in passato, mettendo a forte rischio la continuità produttiva delle imprese in Europa, a partire da quelle energivore, e con pesanti ricadute sui bilanci familiari in conseguenza del notevole aumento delle bollette elettriche;

    la Russia ha annesso i territori degli oblast di Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhia, a seguito di referendum farsa condotti sotto la minaccia delle armi e in violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale e anche l'Italia ha condannato fermamente tale annessione;

    è sempre più diffuso nel nostro Paese un sentimento pacifista, nel cui solco, il 5 novembre 2022, si è svolta a Roma un'importante manifestazione di piazza, alla quale hanno partecipato decine di migliaia di persone, per ribadire solidarietà al popolo ucraino aggredito e chiedere alle istituzioni di promuovere ogni sforzo utile a condurre il prima possibile ad una risoluzione pacifica, negoziata e giusta del conflitto;

    come ha detto il Presidente della Repubblica Mattarella all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, serve una nuova conferenza come quella di «(...) Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali»;

    all'ultimo incontro del G20, la maggior parte dei membri ha condannato «con forza la guerra in Ucraina, sottolineando che sta causando immense sofferenze umane e aggravando le fragilità esistenti nell'economia globale, limitando la crescita, aumentando l'inflazione, interrompendo le catene di approvvigionamento, aumentando l'insicurezza energetica e alimentare ed elevando i rischi per la stabilità finanziaria», anche sottolineando l'inammissibilità dell'uso o della minaccia di usare armi nucleari;

    l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che condanna l'invasione russa dell'Ucraina, con 141 Paesi che hanno votato a favore, cinque contrari e 35 astenuti. Per essere adottata, la risoluzione doveva essere approvata dai due terzi dei Paesi membri. L'esito è stato superiore a quella di un'analoga risoluzione di condanna della Russia per l'annessione della Crimea;

    il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione nella quale ricorda il fermo sostegno dell'Unione europea all'Ucraina, nonché alla sua sovranità, indipendenza e integrità territoriale entro i confini riconosciuti a livello internazionale; condanna con la massima fermezza la guerra di aggressione ingiustificata, non provocata e illegale della Russia contro l'Ucraina; ricorda che la responsabilità della guerra ricade interamente sulla Russia, la quale deve immediatamente porre fine alla guerra e ritirare tutte le sue forze e le forze per procura da tutti i territori riconosciuti a livello internazionale appartenenti all'Ucraina;

    l'Unione europea si è profusa per garantire in un quadro multilaterale, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e anche del nuovo strumento dell'European peace facility, sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, una continua e costante azione diplomatica per il raggiungimento di un cessate il fuoco;

    l'Unione europea ha, al tempo stesso, messo in campo 8 pacchetti di sanzioni nei confronti di esponenti del regime di Mosca, nonché di altri sostenitori, diretti e indiretti, di questa aggressione ingiustificata, ed ha adottato tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, ivi compresa la cessione di apparati e strumenti militari volti a consentire all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione, strategia che ha permesso di arrestare la prima avanzata russa e di liberare ampie porzioni di territorio aggredito;

    il Parlamento italiano si è adoperato sin dallo scoppio della guerra, anche nel quadro della cooperazione europea ed internazionale, per assicurare sostegno e solidarietà al popolo ucraino e alle sue istituzioni, attivando, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, anche militare, votando a larghissima maggioranza, le risoluzioni 6-00207 del 1° marzo 2022 e 6-00224 del 22 giugno 2022 e approvando il decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, nella quale, grazie all'iniziativa del Partito Democratico, è stata introdotta la previsione che obbliga i Ministri della difesa e degli affari esteri e della cooperazione internazionale a riferire alle Camere, con cadenza trimestrale, sull'evoluzione della situazione in atto,

impegna il Governo:

1) a sostenere il ruolo dell'Italia nell'avvio di un percorso diplomatico per la costruzione di una conferenza di pace, sempre nel quadro di una stretta e fattiva collaborazione con le istituzioni europee e gli alleati Nato, attraverso iniziative utili a una de-escalation militare che realizzi un cambio di fase nel conflitto, anche in linea con gli orientamenti emersi in occasione dell'ultimo incontro G20;

2) a continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie, anche al fine di assicurare quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite – che sancisce il diritto all'autodifesa individuale e collettiva – confermando il ruolo dell'Italia nel quadro dell'azione multilaterale, a partire dall'Unione europea e dall'Alleanza Atlantica, rispetto alla grave, inammissibile ed ingiustificata aggressione russa dell'Ucraina;

3) ad adoperarsi in ogni sede internazionale per l'immediato cessate il fuoco e il ritiro di tutte le forze militari russe che illegittimamente occupano il suolo ucraino, ripristinando il rispetto della piena sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina;

4) a prevedere il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere sugli sviluppi riguardanti la guerra in Ucraina, secondo le modalità previste dal comma 3 dell'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, e a stabilire che, allo scadere dello stesso decreto, nella non auspicabile ipotesi del protrarsi del conflitto, l'impegno dell'Italia nel sostegno a Kiev sia oggetto di un apposito provvedimento legislativo;

5) a sostenere il percorso di adesione all'Unione europea dell'Ucraina, rafforzando in ogni campo la cooperazione Unione europea-Ucraina;

6) a proseguire l'azione fattiva e costante già svolta dall'Italia per il sostegno della popolazione ucraina in patria, nonché a implementare le misure di accoglienza adottate per le persone in fuga dalla crisi bellica, con particolare attenzione alle esigenze dei soggetti minori, anche al fine di assicurare la tutela dei diritti loro riconosciuti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e alle esigenze dei soggetti più fragili, tra cui anziani e disabili, anche in ragione del previsto aumento di arrivi dovuti al danneggiamento sistematico delle fonti energetiche in Ucraina da parte russa, che ostacola la capacità del Paese di affrontare l'inverno;

7) a sostenere, in modo fattivo e tempestivo, l'appello delle autorità ucraine per l'acquisto e l'invio di generatori di energia elettrica, anche coinvolgendo, a tal fine, enti locali e associazionismo;

8) ad adoperarsi in sede europea e internazionale per promuovere azioni di solidarietà nei confronti dei cittadini russi perseguitati, arrestati o costretti a fuggire dal Paese, per aver protestato contro il regime e contro la guerra;

9) a promuovere l'istituzione di un tribunale internazionale ad hoc per il crimine di aggressione contro l'Ucraina e a sostenere le iniziative della Corte penale internazionale dell'Aja per perseguire i crimini di guerra perpetrati nei confronti della popolazione ucraina, anche attraverso l'invio di joint investigation team;

10) ad adottare iniziative per prevedere misure di sostegno alle imprese per i maggiori oneri derivanti dall'applicazione di sanzioni, nonché per la promozione di accesso a nuovi mercati verso cui indirizzare esportazioni e investimenti non allocabili sul mercato russo;

11) a proseguire nell'azione di diversificazione degli approvvigionamenti energetici e di investimento sulle energie rinnovabili, concorrendo alle decisioni dell'Unione europea nella direzione dell'Unione dell'energia;

12) ad adottare iniziative per definire ogni soluzione necessaria a livello bilaterale e multilaterale, a partire dall'Onu, dall'Unione europea e dal G7, per assicurare la sicurezza alimentare a livello globale attraverso corridoi sicuri, e a garantire la prosecuzione e il rispetto degli accordi già raggiunti.
(1-00025) «Serracchiani, Amendola, Graziano, De Luca, Quartapelle Procopio, Fassino, Ascani, Boldrini, Carè, De Maria, Guerini, Porta, Ciani, Furfaro».

(29 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    sono ormai nove mesi che, nel totale dispregio dei principi costitutivi posti a fondamento dell'ordine internazionale universalmente riconosciuto e statuiti dalla Carta delle Nazioni Unite, tra cui il generale divieto dell'uso della forza per la risoluzione delle controversie fra gli Stati, nonché dei più elementari principi e regole del diritto umanitario, continua la feroce e inammissibile aggressione della Federazione russa all'Ucraina, alla sua integrità territoriale, al diritto di autodeterminazione del popolo ucraino e alla inerme popolazione civile, oggetto costante di indicibili orrori e insopportabili sofferenze;

    tale aggressione ha riportato la guerra nel cuore dell'Europa minacciando la pace e la stabilità internazionali, e continua a produrre gravi effetti negativi a livello globale in ambito energetico, sociale, economico-produttivo e financo alimentare, dove in particolare si segnalano gli effetti sulle forniture del grano, e rende necessario presidiare l'approvvigionamento delle materie prime critiche, difendere i settori strategici, adottare strategie volte a contribuire, nel quadro dell'Unione europea, alla sicurezza energetica della Nazione;

    la reazione di ferma condanna dell'Unione europea è stata immediata e poderosa, attraverso un sistema di sanzioni nei confronti della Federazione russa e un considerevole sostegno all'Ucraina in termini di aiuti militari che, ad oggi, le hanno consentito di resistere e di riguadagnare terreno;

    in piena coerenza con le politiche definite dall'Unione europea e nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia come membro dell'Alleanza atlantica, il Parlamento ha approvato disposizioni normative derogatorie al regime ordinario (l'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14), con cui è stata autorizzata, fino al 31 dicembre 2022, la cessione alle autorità governative ucraine di materiali, mezzi ed equipaggiamenti militari, previo atto di indirizzo delle Camere;

    infatti, in data 1° marzo 2022, le Camere hanno approvato due distinte risoluzioni con cui hanno impegnato il Governo, fra l'altro, ad assicurare sostegno e solidarietà al popolo ucraino e alle sue istituzioni attivando, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché – tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati – la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione;

    il Governo, a tutt'oggi, in linea con l'espresso indirizzo parlamentare e con il costante coinvolgimento del Copasir, ha disposto cinque invii di aiuti militari alle autorità governative ucraine, volti ad agevolare, unitamente ai medesimi sforzi di altri Paesi occidentali alleati, l'efficace esercizio del diritto di legittima difesa;

    parallelamente sono state varate misure volte ad affrontare la grave crisi umanitaria conseguente all'aggressione russa e ad appostare idonee risorse per approntare l'accoglienza e l'assistenza ai profughi in fuga dalla guerra;

    il ritorno della guerra in Europa ha determinato un ripensamento della politica estera e di difesa europea e la conseguente necessità di aumentare gli investimenti di settore, nella consapevolezza che una forte e integrata difesa comune costituisce lo strumento fondamentale, necessario e complementare a quelli, altrettanto essenziali, diplomatico ed economico;

    pertanto, nel quadro della riforma del Patto di stabilità e crescita sarebbe coerente considerare l'esclusione dell'incidenza delle spese di investimento per la difesa sul rispetto dei vincoli di bilancio;

    come dichiarato dal Presidente del Consiglio in occasione della fiducia alla Camera il 25 ottobre 2022 «L'Italia continuerà a essere partner affidabile in seno all'Alleanza atlantica, a partire dal sostegno al valoroso popolo ucraino che si oppone all'invasione della Federazione russa, non soltanto perché non possiamo accettare la guerra di aggressione e la violazione dell'integrità territoriale di una Nazione sovrana, ma anche perché è il modo migliore di difendere il nostro interesse nazionale. Soltanto un'Italia che rispetta gli impegni può avere l'autorevolezza per chiedere, a livello europeo e occidentale, ad esempio, che gli oneri della crisi internazionale siano suddivisi in modo più equilibrato ed è quello che intendiamo fare, a partire dalla questione energetica»;

    come ha dichiarato il Presidente della Repubblica il 22 novembre 2022 all'assemblea nazionale dell'Anci, quella provocata dalla Federazione russa è «Una guerra contrassegnata da atroci crudeltà e, in questi giorni, dal disegno di tenere milioni di persone al buio e al freddo d'inverno. Di fronte a questi misfatti l'Unione europea ha reagito con compattezza, insieme alla comunità internazionale, assicurando solidarietà all'Ucraina e alla sua resistenza. Una reazione importante, che ha come orizzonte la costruzione di una pace giusta e necessaria, capace di restituire a quel Paese la piena indipendenza violata»;

    il perdurare dell'aggressione da parte della Federazione russa su più domini, anche ricorrendo a gruppi intermediari con gravi riflessi sulla sicurezza internazionale, nonché il rischio concreto di una ancor più grave crisi umanitaria a fronte della distruzione della maggioranza delle infrastrutture energetiche ucraine alle porte dell'inverno, richiedono di poter proseguire, ove necessario, nel quadro delle politiche condivise in ambito Nato e Ue, nell'azione di supporto all'Ucraina, alla sua popolazione e alle sue Forze armate,

impegna il Governo:

1) a promuovere e sostenere, di intesa con i partner Nato ed europei, tutte le iniziative diplomatiche volte a creare le condizioni per un negoziato di pace, una pace giusta e sostenibile, fondata sul rispetto delle norme di diritto internazionale, della sovranità e dell'integrità territoriale e del principio di autodeterminazione dei popoli;

2) a promuovere il rilancio delle Nazioni Unite come strumento internazionale per assicurare la coesistenza pacifica, i cui fini sono definiti all'articolo 1 dello Statuto e in particolare:

  a) mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace;

  b) sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale;

  c) conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione;

  d) costituire un centro per il coordinamento dell'attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni;

3) ad assumere tutte le iniziative necessarie, sulla base di quanto concordato in ambito Nato e Unione europea, per continuare a sostenere il popolo ucraino e per limitare gli effetti della crisi umanitaria in atto, a protezione anzitutto dei minori e dei più fragili, favorendo la riabilitazione delle infrastrutture necessarie ad assicurare i servizi essenziali;

4) a contribuire alla tenuta degli accordi in materia di sicurezza alimentare, soprattutto dell'accordo sul grano di Istanbul, al fine di evitare che le ripercussioni della guerra colpiscano un numero ancor maggiore di civili, quali le popolazioni del Medio Oriente e dell'Africa che dipendono dalle importazioni di derrate agricole ucraine;

5) a sostenere le iniziative normative necessarie a prorogare fino al 31 dicembre 2023 l'autorizzazione, previo atto di indirizzo delle Camere, alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative dell'Ucraina nei termini e con le modalità stabilite dall'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14;

6) a proseguire nella strada tracciata con l'adozione formale, da parte del Consiglio europeo, nel marzo 2022, della «Bussola Strategica», che implementa la capacità di agire in contesti di prevenzione e gestione delle crisi, la capacità di proteggere, con particolare riferimento al libero accesso nei domini marittimo, cibernetico e spaziale, l'investimento in termini di sviluppo di capacità congiunte in ambito Unione, e il rafforzamento dei rapporti di partenariato prevedendo la possibilità di scorporare dal computo dei vincoli di bilancio le spese di cooperazione fra industrie e i Paesi aderenti all'Unione europea;

7) ad assumere tutte le iniziative necessarie per conseguire l'obiettivo di una spesa per la difesa pari al 2 per cento del prodotto interno lordo entro il 2028, anche promuovendo, nel quadro della riforma del Patto di stabilità e crescita, l'esclusione delle spese per gli investimenti nel settore della difesa dal computo dei vincoli di bilancio e a incrementare le risorse umane e finanziarie destinate alla politica estera, quale strumento fondamentale per tutelare l'interesse nazionale;

8) a proseguire con i negoziati in ambito europeo volti ad individuare una soluzione comune al caro energia, con l'obiettivo prioritario di impedire la speculazione e l'innalzamento dei prezzi del gas al fine di ridurre il più possibile la pressione su imprese e famiglie, assumendo contemporaneamente tutte le iniziative necessarie a diversificare le fonti di produzione;

9) ribadendo la centralità e il ruolo fondamentale della Nato, a lavorare per la costruzione di un esercito comune europeo così come auspicato dai padri fondatori dell'Unione europea.
(1-00031) «Tremonti, Formentini, Mulè, Bicchielli, Calovini, Matone, Orsini, Cesa, Chiesa, Battilocchio, Tirelli, Marrocco, Caiata».

(29 novembre 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALL'INTRODUZIONE DEL SALARIO MINIMO

   La Camera,

   premesso che:

    sono tanti, ancora troppi, i lavoratori in Italia che non hanno un contratto collettivo di lavoro di riferimento o che si vedono negare una retribuzione corrispondente a quella prevista dai contratti nazionali e che possono essere considerati lavoratori in situazione di povertà proprio per gli stipendi: sono i cosiddetti «working poors», che anche il reddito di cittadinanza escluderebbe da qualsiasi tipo di aiuto pubblico e che ricevono salari al di sotto dei minimi stabiliti dalla contrattazione;

    come noto, il primo comma dell'articolo 36 della Costituzione dispone che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;

    dopo un lungo processo di valutazione e coinvolgimento delle parti sociali, il 19 ottobre 2022 l'Unione europea ha adottato la direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea;

    i criteri su cui si è informata la nuova disciplina comunitaria sono riconducibili a quattro obiettivi principali: il salario minimo deve sempre garantire un tenore di vita dignitoso; le norme UE rispetteranno le pratiche nazionali di fissazione dei salari; il rafforzamento della contrattazione collettiva nei paesi in cui è coinvolto meno dell'80 per cento dei lavoratori; il diritto di ricorso per i lavoratori, i loro rappresentanti e i sindacalisti in caso di violazione delle norme;

    nel quarto punto del preambolo della suddetta direttiva, si ricorda che la Carta europea sociale (Esc) «Riconosce il diritto di tutti i lavoratori a un'equa remunerazione sufficiente per un tenore di vita dignitoso per sé e per le proprie famiglie. Riconosce inoltre il ruolo dei contratti collettivi liberamente conclusi, nonché dei meccanismi legali di fissazione del salario minimo, per garantire l'effettivo esercizio di tale diritto, il diritto di tutti i lavoratori e datori di lavoro di organizzarsi in organizzazioni locali, nazionali e internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali e il diritto alla contrattazione collettiva.»;

    nel successivo punto 7 del preambolo si ribadisce il principio in base al quale «Migliori condizioni di vita e di lavoro, anche grazie a salari minimi adeguati, vanno a beneficio dei lavoratori e delle imprese dell'Unione, nonché della società e dell'economia in generale, e sono un prerequisito per il conseguimento di una crescita equa, inclusiva e sostenibile. Affrontare le grandi differenze nella copertura e nell'adeguatezza della tutela del salario minimo contribuisce a migliorare l'equità del mercato del lavoro dell'Unione, a prevenire e ridurre le disparità salariali e sociali e a promuovere il progresso economico e sociale e la convergenza verso l'alto. La concorrenza nel mercato interno dovrebbe basarsi su norme sociali elevate, tra cui un livello elevato di protezione dei lavoratori e la creazione di posti di lavoro di qualità, nonché sull'innovazione e sul miglioramento della produttività, garantendo nel contempo condizioni di parità.»;

    nell'Unione europea il salario minimo legale è in vigore in grandi Paesi come Francia e Germania e sono soltanto cinque gli Stati, oltre all'Italia, dove non è previsto;

    come evidenziato anche nell'ultimo Rapporto Inapp 2022, l'Italia è l'unico Paese dell'area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9 per cento), mentre in Germania è cresciuto del 33,7 per cento e in Francia del 31,1 per cento. Si tratta di un andamento composto, infatti nella decade 1990-2000 e in quella 2000-2010 i salari in Italia sono cresciuti, seppure con una dinamica piatta, rispettivamente dello 0,7 per cento e del 5,2 per cento. L'ultima decade 2010-2020 è stata quella maggiormente negativa con una caduta del -8,3 per cento. In queste tre decadi è aumentato il divario tra la crescita media dei salari nei Paesi Ocse e la crescita dei salari in Italia progressivamente dal -14,6 per cento (1990-2000), al -15,1 per cento (2000-2010) e, infine, al -19,6 per cento (2010-2020. Allo stesso tempo, questi valori si sono accompagnati ad un andamento della produttività del lavoro che, sebbene meno significativa rispetto a quella degli altri Paesi dell'area, è comunque cresciuta più dei salari, quindi non solo la sua dinamica è stata contenuta, ma non sembrano nemmeno aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro;

    oltre alla ordinaria dinamica delle retribuzioni che ha determinato questi andamenti, uno dei fattori che influiscono sul fenomeno dei working poor è certamente originato dall'ampliarsi dei rapporti di lavoro atipici e, come evidenziato dal rapporto annuale Istat (2020), dalla larga diffusione del lavoro part-time e, in particolare, di quello involontario che si accompagna a un'elevata marginalità dell'occupazione;

    ai sensi della richiamata direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio si individua la contrattazione collettiva quale strumento centrale per la tutela dei diritti salariali dei lavoratori, tanto da individuare la soglia dell'80 per cento del tasso di copertura della medesima contrattazione collettiva quale limite minimo, al di sotto del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare un piano d'azione con un calendario chiaro e misure concrete per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva;

    parimenti, il legislatore comunitario con la citata direttiva individua degli impegni specifici per gli Stati membri quali l'adozione di misure: che garantiscano l'accesso effettivo dei lavoratori al salario minimo legale (articolo 8); per garantire che, nell'aggiudicazione e nell'esecuzione di appalti pubblici o contratti di concessione, gli operatori economici e i loro subappaltatori rispettino con gli obblighi applicabili in materia di salari, diritto di organizzazione e contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari (articolo 9); per garantire la raccolta dei dati per monitorare la tutela del salario minimo (articolo 10); per assicurare le informazioni relative ai salari minimi legali e alla protezione dei salari minimi prevista dai contratti collettivi universalmente applicabili (articolo 11); per prevedere il diritto al risarcimento e la protezione contro trattamenti o conseguenze sfavorevoli (articolo 12); per la definizione di appropriate sanzioni applicabili alle violazioni dei diritti e degli obblighi in materia di retribuzioni (articolo 13);

    in coerenza con le suddette finalità, nel pieno rispetto del ruolo della contrattazione collettiva e con la tradizione delle relazioni industriali del nostro Paese, il riferimento per la definizione delle retribuzione minima applicabile ai lavoratori del settore privato dovrà coincidere con il valore del trattamento economico complessivo stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dalle associazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

    corollario fondamentale per delineare un quadro certo di regole in materia di individuazione dei livelli minimi retributivi, in coerenza con i princìpi costituzionali e comunitari, è quello legato alla definizione e alla disciplina della misurazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali e datoriali, scongiurando il dumping salariale generato dai cosiddetti «contratti pirata»;

    secondo l'ultimo report del Cnel, a giugno si contavano in Italia addirittura 985 contratti nazionali vigenti (compresi quelli del settore pubblico), di cui più di metà scaduti da anni. Di questi, tuttavia, soltanto 60 sono riferibili a circa il 90 per cento dei lavoratori dipendenti,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, per dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, con particolare riguardo:

  a) alla definizione della retribuzione minima legale, da far coincidere con il complessivo trattamento economico non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, da applicare a tutti i lavoratori del settore di riferimento, ovunque impiegati nel territorio nazionale, prevedendo in ogni caso che, anche alla luce dei parametri europei e del dettato costituzionale, il trattamento economico corrisposto ai lavoratori non possa essere inferiore a 9,50 euro all'ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali;

  b) alla predisposizione di misure che favoriscano l'estensione della contrattazione collettiva ai settori ancora non coperti, prevedendo procedure amministrative che, attraverso il pieno coinvolgimento delle parti sociali e del Cnel in apposite sedi tecniche, individuino, nelle more, soglie minime di retribuzioni applicabili;

  c) alla previsione di chiare disposizioni volte ad assicurare che l'applicazione dei contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale sia condizione per poter intrattenere rapporti economici con le pubbliche amministrazioni, nonché per accedere ai benefici di legge previsti dal nostro ordinamento;

  d) alla definizione di misure che assicurino il diritto al risarcimento e la protezione contro trattamenti o conseguenze sfavorevoli sul piano salariale, nonché per l'applicazione di appropriate sanzioni in caso di violazioni dei diritti e degli obblighi in materia di retribuzioni;

2) a favorire, per quanto di competenza, la definizione di una disciplina legislativa della misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali;

3) ad informare costantemente il Parlamento in merito alle misure adottate in materia di applicazione dei salari minimi legali e di applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
(1-00012) (Nuova formulazione) «Orlando, Serracchiani, Provenzano, Laus, Fossi, Gribaudo, Sarracino, Scotto, Amendola, Ascani, Bakkali, Berruto, Boldrini, Bonafè, Braga, Casu, Ciani, Cuperlo, D'Alfonso, De Luca, De Maria, Di Sanzo, Ferrari, Forattini, Furfaro, Ghio, Girelli, Gnassi, Guerra, Lai, Malavasi, Mancini, Manzi, Marino, Mauri, Ubaldo Pagano, Peluffo, Porta, Quartapelle Procopio, Toni Ricciardi, Roggiani, Andrea Rossi, Scarpa, Schlein, Simiani, Tabacci, Vaccari».

(18 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    in Italia il fenomeno dei working poors – lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa, dovuto anche al lavoro a tempo parziale, pur essendo regolarmente occupati – è in crescita, così come, secondo quanto riferito dal rapporto Eurostat «In-work poverty in the EU» del 16 marzo 2018, è in crescita la distanza che li separa dal resto dei lavoratori;

    nel nostro Paese, l'11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali: dato questo ben al di sopra della media dell'Unione europea, che si attesta al 9,6 per cento. Ciò che allarma di più è l'aumento record, oltre il 23 per cento, registrato tra il 2015 e il 2016. A ciò si aggiungono i dati sulle prospettive di vita: stando ai dati attuali (fonte Censis) ben 5,7 milioni di giovani (precari, cosiddetti neet, working poor e in «lavoro gabbia») rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà;

    la garanzia di una retribuzione dignitosa e adeguata per tutti i lavoratori favorirebbe senz'altro la realizzazione di un mercato del lavoro più inclusivo, equo e paritario, abbattendo le disuguaglianze, anche in termini di divario retributivo di genere (gender pay gap);

    come dimostrato da illustri economisti, la misura che più è idonea a contrastare il fenomeno della povertà lavorativa è la fissazione legislativa dei minimi salariali;

    la necessità di interventi nazionali sul salario minimo in un contesto di garanzia europea di adeguatezza delle retribuzioni è avvertita con maggior urgenza anche alla luce della crisi prodotta dalla emergenza epidemiologica, energetica e relativa all'inflazione economica conseguente alla guerra in corso, che ha colpito in modo particolare proprio i settori caratterizzati da un'elevata percentuale di lavoratori a basso salario, quali, a titolo esemplificativo, quello del commercio al dettaglio, dei servizi, del turismo e agricolo;

    in base agli studi condotti dalla Commissione europea riportati anche nella proposta di direttiva relativa ai salari minimi, l'aumento dei costi del lavoro verrebbe in gran parte compensato da un incremento dei consumi da parte dei lavoratori a basso salario, così da sostenere la domanda interna. Inoltre, sempre in base alle richiamate stime dell'Unione europea, l'eventuale impatto negativo sull'occupazione sarebbe di scarso rilievo, rimanendo nella maggior parte dei casi al di sotto dello 0,5 per cento del tasso di occupazione totale, raggiungendo l'1 per cento in soli tre Stati membri;

    nonostante nel nostro Paese si registri una copertura quasi totale della contrattazione collettiva (che si attesta al 98 per cento della forza lavoro impiegata nel settore privato e riguarda oltre il 99 per cento delle aziende private), purtroppo un consistente numero di lavoratori percepisce salari non dignitosi. Ciò è quanto emerge dall'ultimo rapporto annuale dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) che, ipotizzando diversi importi del salario minimo regolato dalla legge, individua: 2.596.201 lavoratori «sotto soglia», se si considera un salario minimo tabellare (e un importo minimo pari a 8 euro lordi) e 4.578.535,00 pari al 29,7 per cento dei lavoratori se si considera un salario tabellare pari a 9 euro lordi;

    l'insufficienza dei salari percepiti dai lavoratori italiani risulta inequivocabilmente confermata anche dalle stime relative al numero di soggetti che, pur essendo titolari di un rapporto di lavoro, percepiscono il Reddito di cittadinanza (RdC). Più precisamente, in base alle informazioni disponibili, sono 365.436 i beneficiari della misura che, alla data dell'8 gennaio 2021, risultano titolari di un rapporto di lavoro attivo. Ciò significa che almeno 365.436 individui percepiscono un trattamento economico che non consente loro di superare la soglia di povertà;

    da una verifica dei dati disponibili sui minimi contrattuali applicati in concreto emerge come sia certamente necessario individuare dei criteri affidabili di selettività dei soggetti collettivi abilitati a fissarli, fondati su trasparenti riscontri in termini di rappresentatività e, al tempo stesso, offrire direttive orientative agli agenti negoziali sui limiti che in ogni caso si devono garantire; un doppio sostegno alla contrattazione senza il quale la realtà ci mostra che, nonostante gli sforzi e l'impegno di parte sindacale, i risultati possono essere deludenti;

    in alcuni settori, infatti, i minimi salariali fissati nei cosiddetti contratti leader non sembrano adeguati e «sufficienti», alla luce delle disposizioni costituzionali e degli indicatori internazionali. Per citare solo alcuni esempi, soffermandoci sui contratti collettivi tra i più applicati secondo i dati forniti Dall'Inps, si possono richiamare: il contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) del settore del turismo (dove il trattamento orario minimo è pari a 7,48 euro), quello delle cooperative nei servizi socio-assistenziali (in cui l'importo orario minimo ammonta a 7,18 euro), il Ccnl per le aziende dei settori dei pubblici esercizi, della ristorazione collettiva e commerciale e del turismo (che stabilisce il minimo orario contrattuale in euro 7,28) e il Ccnl del settore tessile e dell'abbigliamento che stabilisce una retribuzione minima pari ad euro 7,09 per il comparto abbigliamento;

    in alcuni casi la retribuzione scende addirittura al di sotto della soglia dei 7 euro: è quanto si osserva per il Ccnl per i servizi socio-assistenziali, in cui il minimo retributivo è fissato in euro 6,68 o per il Ccnl relativo alle imprese di pulizia e dei servizi integrati o dei multiservizi che prevede un minimo retributivo orario pari a 6,83 euro. Infine, anche se non rientra tra i Ccnl maggiormente applicati, occorre ricordare che il Ccnl della vigilanza e dei servizi fiduciari, anche esso non rinnovato dal 2015, prevede un minimo salariale di soli 4,60 euro all'ora per il comparto dei servizi fiduciari e un importo di poco superiore a 6 euro per i servizi di vigilanza privata;

    a ciò si aggiungono ulteriori ragioni che ostacolano l'effettività del diritto a percepire una giusta retribuzione. Tra di esse, particolare rilievo deve certamente riconoscersi al proliferare dei cosiddetti contratti collettivi «pirata», ossia quei contratti collettivi – diffusi soprattutto in alcuni settori – stipulati da soggetti dotati di scarsa o inesistente forza rappresentativa, finalizzati a fissare condizioni normative ed economiche peggiorative per i lavoratori rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, dando vita a dannosi fenomeni di distorsione della concorrenza;

    in alcuni settori, quali a titolo esemplificativo quello alimentare, della logistica e socio-sanitario, è frequente la presenza del fenomeno delle esternalizzazioni al «ribasso». Una soluzione alle problematiche descritte potrebbe essere rappresentata dall'introduzione del salario minimo legale che proprio nell'ambito degli appalti, pubblici e privati, potrebbe portare a risultati significativi consentendo di sottrarre con maggiore decisione il costo del lavoro dal gioco della libera concorrenza tra imprese;

    il moltiplicarsi dei contratti collettivi (troppi e spesso non rappresentativi, soprattutto nel caso dei cosiddetti «contratti pirata»), oggi pari a 1.011, costituisce infatti una ulteriore forma di dumping salariale;

    quali concause possono inoltre individuarsi: la frammentazione dei settori prevalentemente collegata ai mutamenti economici, organizzativi e tecnologici; la proliferazione di forme di lavoro atipico, che sfuggono ad un immediato inquadramento nell'ambito del lavoro autonomo o subordinato; il massiccio ricorso delle aziende alle esternalizzazioni. Dal quadro sopra delineato si può agevolmente concludere che l'attuale assetto della contrattazione collettiva necessita di essere sostenuto e promosso dall'ordinamento statuale al fine di garantire a tutti i lavoratori italiani l'applicazione di trattamenti retributivi dignitosi;

    l'introduzione di una disciplina sul salario minimo che valorizzi il ruolo della contrattazione collettiva deve però tenere conto di alcuni ostacoli. Infatti, i contratti collettivi non sono dotati di una efficacia erga omnes, attesa la mancata attuazione dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione, ma la giurisprudenza utilizza, nella stragrande maggioranza dei casi, i trattamenti minimi fissati dal contratto collettivo quale parametro per l'individuazione della retribuzione sufficiente ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione;

    tuttavia, proprio in virtù del pluralismo sindacale che caratterizza il nostro sistema, attualmente si contano nell'ordinamento oltre 900 contratti collettivi. Pertanto, nella piena consapevolezza della massiccia presenza dei contratti cosiddetti al ribasso appare opportuno introdurre nella nostra legislazione soluzioni più idonee a circoscrivere la cerchia dei contratti collettivi che possano fungere da parametro per la determinazione del salario minimo,

impegna il Governo:

1) ferma restando l'applicazione generalizzata del Ccnl, a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, ad adottare iniziative volte ad introdurre una soglia minima inderogabile, pari al cinquanta per cento del valore medio delle retribuzioni dei rapporti di lavoro a tempo pieno dei lavoratori dipendenti privati e comunque non inferiore a 9 euro lordi all'ora, in linea con i parametri di adeguatezza indicati dalla Commissione europea nella proposta di direttiva citata in premessa (il 50 per cento del salario medio lordo), tenuto conto che l'applicabilità di tale «soglia» è del tutto eventuale e riguarda i soli «minimi retributivi» ai fini del raggiungimento del parametro dell'adeguatezza e della sufficienza della retribuzione alla luce dell'articolo 36 della Costituzione e che i contratti collettivi sarebbero in tal modo rafforzati in quanto la soglia opererebbe solo sulle clausole relative ai «minimi», lasciando al contratto collettivo la regolazione delle altre voci retributive;

2) a valorizzare i contratti collettivi «leader», ossia quelli siglati dai soggetti comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale che presentino maggiore connessione, in senso qualitativo, all'attività esercitata dal datore;

3) ad adottare iniziative volte a definire specifici criteri atti a «pesare» il grado di rappresentatività sia delle organizzazioni sindacali che datoriali, valorizzando i criteri autoprodotti dall'ordinamento intersindacale negli accordi interconfederali stipulati dalle confederazioni maggiormente rappresentative;

4) a sancire, per quanto di competenza, il principio secondo il quale le parti sociali sono abilitate a stabilire il trattamento minimo complessivo e il trattamento economico minimo;

5) ad istituire una Commissione tripartita composta dalle parti sociali maggiormente rappresentative che avrà il compito di aggiornamento e controllo dell'osservanza del trattamento economico proporzionato e sufficiente, così da garantire effettivamente ai lavoratori una giusta retribuzione, che si conservi tale nel tempo;

6) ad adottare iniziative di competenza al fine di introdurre un'apposita procedura giudiziale, di matrice collettiva, volta a garantire l'effettività del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso.
(1-00023) «Conte, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Tucci, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Fenu, Scerra, Quartini».

(25 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 36 della Costituzione italiana non si limita meramente a stabilire che la retribuzione di ogni lavoratore debba essere proporzionata al lavoro secondo criteri oggettivi, quali la qualità e la quantità della prestazione, ma prevede anche che essa debba essere sufficiente a soddisfare i bisogni e le esigenze fondamentali personali e familiari del lavoratore affinché egli possa vivere una vita «libera e dignitosa»;

    in Italia si stima che ci siano oltre 4 milioni di cosiddetti working poors (lavoratori poveri), coloro i quali, cioè, pur avendo un'occupazione, si trovano costantemente a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello eccessivamente basso del loro reddito;

    il citato articolo 36 della Costituzione va letto unitamente al successivo articolo 39, il quale attribuisce ai sindacati, previa loro registrazione, il potere di stipulare contratti collettivi nazionali di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, a patto che l'accordo sia stato stipulato dai sindacati stessi rappresentati in modo congiunto e proporzionato ai rispettivi iscritti;

    la mancata attuazione di quest'ultima previsione costituzionale ha determinato due criticità: da un lato, la mancata estensione dell'efficacia dei contratti collettivi nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti alla medesima categoria – si stima che almeno il 15 per cento dei lavoratori non sia coperto da contratti collettivi – e, dall'altro, una proliferazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro stessi;

    se, nel tempo, alla mancanza di un'efficacia generalizzata dei contratti collettivi nazionali di lavoro ha sopperito una consolidata giurisprudenza secondo cui i minimi tabellari stabiliti nei medesimi contratti sono applicabili anche alle imprese e ai lavoratori che non hanno sottoscritto alcun contratto, come ribadito anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del 2015, dall'altro l'elevato numero di questi ultimi – secondo l'ultimo rapporto del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel) al 31 dicembre 2021 risultavano depositati ben 992 contratti collettivi – ha fatto sì che emergesse il fenomeno del cosiddetto «dumping contrattuale», vale a dire l'applicazione di contratti firmati da organizzazioni non rappresentative con minimi tabellari più bassi;

    l'Italia, infatti, fa parte di quella ristrettissima schiera di Paesi dell'Unione europea – ed è l'unico Paese fondatore – in cui non esiste un salario minimo stabilito per legge, dove quindi si delega univocamente alla contrattazione collettiva nazionale la sua fissazione e, di conseguenza, la dignità retributiva dei lavoratori;

    se i dati sui working poors in Italia, e in generale sulle persone sotto la soglia di povertà, sono peggiorati a causa della pandemia, va sottolineato che la tendenza negli ultimi 30 anni era già comunque negativa, con un aumento costante del divario tra la crescita media dei salari nei Paesi Ocse e quella in Italia;

    se, da un lato, occorre rilevare come l'Italia, secondo il compendio degli indicatori sulla produttività realizzato dall'Ocse nel 2018, sia fanalino di coda per i livelli di produttività fin dai primi anni del 2000 – quindi da prima della crisi finanziaria del 2008 –, in molti settori i salari hanno avuto una dinamica di crescita inferiore a quella della produttività stessa, con compensi reali orari diminuiti in media dello 0,4 per cento tra il 2010 e il 2016; gli ultimi dati pubblicati dall'Ocse confermano che negli ultimi trent'anni l'Italia ha avuto una sostanziale stagnazione nella crescita dei salari (+0,3 per cento), mentre altre due grandi economie europee come Francia e Germania, dove peraltro è previsto un salario minimo legale, hanno registrato una crescita di oltre il 33 per cento;

    con l'obiettivo di voler creare all'interno dell'Unione europea un mercato del lavoro e un contesto sociale più equi e dignitosi, il 4 ottobre 2022 il Consiglio dell'Unione europea ha, per quanto di competenza, definitivamente approvato la direttiva (UE) 2022/2041, volta alla promozione di salari minimi adeguati in tutti gli Stati membri, i quali avranno due anni per recepirla, non già con l'obbligo di introdurre un salario minimo legale laddove non previsto, ma con il fine di garantire l'adeguatezza dei salari minimi e condizioni di vita e di lavoro accettabili per tutti, sempre nel rispetto delle specificità di ogni ordinamento nazionale (punto 12 del preambolo);

    al quinto punto del preambolo della citata direttiva, viene chiamato in causa il Pilastro europeo dei diritti sociali del 2017, il quale statuisce il «diritto dei lavoratori a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso» e la garanzia di «salari minimi adeguati che soddisfino i bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie», in analogia a quanto previsto dall'articolo 36 della Costituzione;

    al successivo punto 8 del preambolo si riafferma il principio secondo cui i salari minimi previsti dal diritto nazionale o da contratti collettivi «se fissati a livelli adeguati (...) contribuiscono a garantire una vita dignitosa, in linea con gli obiettivi perseguiti dalla Convenzione n. 131 dell'Organizzazione internazionale del lavoro del 1970» e «possono contribuire a ridurre la povertà a livello nazionale e a sostenere la domanda interna e il potere d'acquisto, a rafforzare gli incentivi al lavoro, a ridurre le disuguaglianze salariali, il divario retributivo di genere e la povertà lavorativa e a limitare il calo del reddito nei periodi di contrazioni economiche»; al punto 16, poi, si sottolinea come, se da un lato la contrattazione collettiva contribuisce a tutelare salari minimi adeguati, dall'altro «negli ultimi decenni le strutture tradizionali di contrattazione collettiva si sono indebolite, a causa, tra l'altro, di spostamenti strutturali dell'economia verso settori meno sindacalizzati e (...) dell'aumento delle forme di lavoro precarie e atipiche»;

    la direttiva comunitaria ha individuato delle direttrici specifiche entro cui i Paesi membri debbono muoversi, prevedendo, in particolare: criteri di determinazione e aggiornamento periodico dei salari minimi legali che tengano conto del potere d'acquisto e del costo della vita, così come del tasso di crescita dei salari e dei livelli di lungo periodo della produttività (articolo 5), attraverso il coinvolgimento delle parti sociali (articolo 7); l'accesso effettivo dei lavoratori ai salari minimi legali, con controlli e ispezioni da parte degli organismi responsabili (articolo 8); che gli operatori economici e i loro subappaltatori, nell'aggiudicazione ed esecuzione di appalti pubblici o contratti di concessione, si conformino agli obblighi concernenti i salari e la contrattazione collettiva (articolo 9); strumenti efficaci di raccolta dati per il monitoraggio e la comunicazione biennale alla stessa Commissione europea (articolo 10); l'accesso pubblico a tutte le informazioni utili alla tutela garantita del salario minimo, ivi inclusi i meccanismi di ricorso (articolo 11), con diritto a risoluzioni delle controversie, con eventuale risarcimento, efficaci e tempestive (articolo 12); sanzioni applicabili in caso di violazioni dei diritti e degli obblighi previsti dagli ordinamenti nazionali in applicazione della direttiva stessa (articolo 13),

impegna il Governo:

1) ad adottare le iniziative di competenza per recepire tempestivamente la direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, al fine di giungere all'approvazione di una legge sulla rappresentanza che:

  a) assicuri la validità erga omnes dei contratti collettivi e combatta il fenomeno del dumping contrattuale, garantendo validità solo ai contratti firmati da organizzazioni realmente rappresentative;

  b) preveda la fissazione di un salario minimo legale inderogabile non inferiore ai 9 euro l'ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali per i settori che, anche a seguito dell'applicazione della riforma di cui al punto a), non risultino coperti dalla contrattazione collettiva, ovvero per lavori aventi carattere di saltuarietà;

  c) determini i parametri per l'adeguamento periodico della retribuzione minima legale, con riferimento in particolare agli indici economici in materia di tasso di crescita dei salari, livelli di lungo periodo della produttività, potere d'acquisto e costo della vita;

  d) introduca strumenti efficaci di raccolta dati e monitoraggio al fine di garantire, attraverso adeguati controlli, l'effettiva applicazione dei salari minimi legali, prevedendo adeguate misure sanzionatorie in caso di violazione, nonché di meccanismi di ricorso e di risoluzione delle controversie;

  e) preveda iniziative di informazione e formazione dei prestatori di lavoro.
(1-00026) «Richetti».

(29 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il punto 6 del Pilastro europeo dei diritti sociali afferma che «i lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. Sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l'accesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro. La povertà lavorativa va prevenuta. Le retribuzioni sono fissate in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell'autonomia delle parti sociali»;

    il 19 ottobre 2022 l'Unione europea ha adottato la direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea;

    secondo una stima Inapp relativa all'impatto dell'introduzione di un salario minimo legale, trarrebbero beneficio da tale misura circa 2,6 milioni di lavoratori e lavoratrici. Di questi, circa 1,9 milioni di lavoratori a tempo pieno, il 18,4 per cento del totale dei dipendenti a tempo pieno e circa 680.000 lavoratori a tempo parziale, il 29 per cento del totale dei dipendenti part-time;

    secondo dati elaborati da Eurostat, nel 2019 l'11,8 per cento dei lavoratori italiani era da includersi nella categoria di «lavoro povero», a fronte di una media europea notevolmente inferiore (9,2 per cento). Dalle più recenti e accreditate ricerche, tenuto conto anche degli effetti devastanti della pandemia, risulta che tra i settori più esposti c'è quello turistico (specie alberghi e ristoranti) col 64,5 per cento di addetti a rischio bassa retribuzione annuale, seguito da altri servizi (41,6 per cento), dal settore delle costruzioni (31,7 per cento) e dall'agricoltura (30 per cento);

    applicando i parametri Istat (retribuzione inferiore alla soglia dei 9 euro l'ora), ricercatori del Censis hanno quantificato come working poor 2,9 milioni di lavoratori: 35 per cento nella classe 15-29 anni; 47,4 per cento nella classe 30-49 anni; 79 per cento operai, 53,3 per cento uomini. Tra gli operai ci sono 8,6 milioni persone che lavorano per un totale di poco più di 200 giornate l'anno, con una retribuzione media annua di 14.762 euro. Ci sono poi 629 mila apprendisti che lavorano 203 giorni l'anno per 11.709 euro. Nella sfera del lavoro povero, si possono inquadrare, peraltro, quasi tutti i lavoratori precari e una parte significativa dei lavoratori del settore agricolo e della vasta area del lavoro domestico (921 mila), cui va sommato il lavoro irregolare (circa 3 milioni di persone);

    nel 2020 la fondazione Di Vittorio ha reso noto che la massa salariale è scesa nell'eurozona del 2,4 per cento, mentre in Italia ha avuto un tracollo del 7,2 per cento. Anche depurando il dato italiano dall'ampio sostegno derivato dalla cassa integrazione (pari a 17,3 miliardi di euro in più sul 2019), l'insieme dei salari scende del 3,9 per cento, molto di più del livello europeo. In Italia ci sono 3 milioni di precari, 2,7 milioni di part-time involontari, una parte dei quali anche precari; 2,3 milioni di disoccupati ufficiali che diventano 4 milioni se si includono gli inattivi;

    il salario minimo legale esiste nella grande maggioranza degli Stati membri dell'Unione europea, tranne che in Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria e Italia;

    in genere, gli Stati che non hanno introdotto finora un salario minimo legale sono Paesi nei quali è garantita un'elevata copertura dei diritti dei lavoratori mediante i contratti collettivi;

    in Italia, come ha rilevato nel 2021 in un suo studio la Confederazione europea dei sindacati (Etui and Etuc, Benchmarking working Europe 2020, Brussels, Etui, 2020), già prima della crisi economico-sociale dovuta alla pandemia e alla crisi energetica e dell'aumento delle materie prime, il numero dei lavoratori esposti al rischio di povertà era aumentato sensibilmente nel secondo decennio del secolo;

    la crisi pandemica e la successiva crisi energetica hanno ulteriormente aggravato una situazione che già vedeva milioni di lavoratori in Italia preda del lavoro povero, precario, privo di diritti;

    come affermato anche dalla direttiva (UE) 2022/2041, l'iniziativa legislativa per istituire il salario minimo non può e non deve essere alternativa alla contrattazione collettiva, tenuto conto che si vanno diffondendo contratti collettivi «pirata», ovvero quei contratti stipulati da organizzazioni sindacali e soprattutto da organizzazioni datoriali di dubbia rappresentatività, nonostante quanto stabilito ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione tutt'ora inattuato;

    va ricordato che in Italia esiste una sorta di salario minimo solo grazie a un consolidato orientamento dalla giurisprudenza del lavoro, che ha affermato, sia pure con qualche oscillazione, attraverso l'interpretazione combinata dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione e dell'articolo 2099, secondo comma, del codice civile, il diritto delle persone che lavorano a percepire i minimi salariali previsti dai contratti collettivi;

    va rilevato, però, che vi sono diversi contratti collettivi nazionali di lavoro, sovente in concorrenza tra loro, e che non sussiste alcuna legge sulla rappresentanza e sulla rappresentatività sindacale che vincoli il datore di lavoro all'applicazione di un contratto collettivo, neppure con riguardo al trattamento economico ivi previsto, fatto salvo quanto precisato al punto che precede relativamente all'applicabilità dei minimi salariali previsti dai contratti collettivi;

    la tutela economica delle lavoratrici e dei lavoratori è fattore determinante per una crescita sostenibile basata sull'equità e il salario minimo è uno dei fattori che può contribuire alle migliori condizioni di lavoro;

    è sconfortante il quadro sulla disparità salariale, di genere e geografica. Al Sud si guadagna il 25 per cento in meno rispetto alla media del Paese, mentre le donne percepiscono in media il 27 per cento in meno degli uomini;

    appare improcrastinabile definire un intervento normativo che:

     a) consenta una definizione certa, eguale per tutti i rapporti di lavoro e cogente del trattamento economico;

     b) nella perdurante inattuazione dell'articolo 39, seconda parte della Costituzione, comporti l'integrale rispetto del precetto costituzionale relativo al diritto di ogni lavoratore a una retribuzione proporzionata e sufficiente (articolo 36, comma 1), prevedendo che questa non sia inferiore al trattamento economico complessivo previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, tanto per i lavoratori subordinati, quanto per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato che presentino analoghe necessità di tutela;

     c) garantisca l'adeguatezza nel tempo del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l'incremento automatico dell'importo previsto dai precedenti articoli sulla base di contratti collettivi dei quali sia nel frattempo intervenuta scadenza o disdetta, per mezzo dell'applicazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati prodotto dall'Istituto nazionale di statistica, con l'effetto di mantenere alle parti sociali il ruolo di autorità salariali e di conservare un valore adeguato all'importo che il legislatore avrà considerato costituire attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione;

     d) individui un salario minimo legale, inderogabile anche dalle parti sociali, per evitare che proprio i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali, possano vedersi fissate retribuzioni contrattuali collettive non conformi, come ha riconosciuto anche la giurisprudenza, al requisito costituzionale di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa;

     e) definisca dei criteri nazionali per la determinazione e l'aggiornamento periodico e puntuale dei salari minimi legali, che tengano conto del potere d'acquisto dei salari minimi, del livello generale dei salari lordi e della loro distribuzione, del tasso di crescita dei salari lordi e dell'andamento della produttività del lavoro;

     f) preveda sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazioni delle disposizioni nazionali che istituiscono la tutela garantita dal salario minimo, garantendo, in particolare, il diritto di ricorso in caso di violazione del diritto relativo ai salari minimi legali o alla tutela garantita dal salario minimo e tutelando i lavoratori e i loro rappresentanti da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro a seguito di un reclamo o di una procedura promossa al fine di ottenere il rispetto in caso di violazione dei diritti relativi alla tutela dal salario minimo,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, per dare piena attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché a quanto sancito dalla Costituzione agli articoli 36 e 37, con particolare riguardo a:

  a) definire con certezza, eguale per tutti i rapporti di lavoro e cogente, il trattamento economico, nel rispetto del precetto costituzionale relativo al diritto di ogni lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente (articolo 36, comma 1), attraverso l'obbligo che questa non sia inferiore al trattamento economico complessivo previsto dai contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative;

  b) garantire l'applicazione del contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno di commisurazione del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione, nel caso di esistenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili;

  c) garantire l'adeguatezza del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l'incremento automatico dell'importo previsto dai contratti collettivi dei quali sia nel frattempo intervenuta scadenza o disdetta, per mezzo dell'applicazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati prodotto dall'Istituto nazionale di statistica, al fine di mantenere alle parti sociali il ruolo di autorità salariali e conservare un valore adeguato all'importo;

  d) individuare comunque il salario minimo legale, inderogabile anche dalle parti sociali, pari a 10 euro all'ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali, importo annualmente da rivalutare sulla base della variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, da applicare a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori ovunque impiegati nel territorio nazionale e senza differenza di genere, al fine di garantire una retribuzione proporzionata, che superi le differenze di genere e contrasti le disuguaglianze;

  e) garantire l'applicazione dell'articolo 5, comma 3, della direttiva europea 2022/2041, che consente agli Stati membri di «ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell'indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri appropriati e conformemente al diritto e alle prassi nazionali, a condizione che l'applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale»;

  f) stabilire, in base all'articolo 12 della direttiva 2022/2041, in caso di violazione il diritto di ricorso del lavoratore o delle organizzazioni sindacali con procedura sommaria per l'applicazione diretta dei minimi salariali.
(1-00028) «Grimaldi, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti».

(29 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il salario minimo orario è la soglia minima cui devono sottostare le retribuzioni affinché possano essere eque ed efficienti, la quota al di sotto della quale qualsiasi datore di lavoro non può scendere, pena sanzioni civili e penali;

    tale misura è attualmente in vigore in ventuno Stati europei, inclusi la Germania e il Regno Unito, e ha principalmente lo scopo di contrastare il lavoro povero (working poor), mentre i sei rimanenti Stati, Austria Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia, affidano l'individuazione della paga base ai contratti collettivi delle diverse categorie;

    il «lavoro povero» è un fenomeno che si è esteso maggiormente a seguito della crisi del 2008/2009 e a seguito della rivoluzione tecnologica che ha colpito il lavoro dipendente (ma non solo) soprattutto di bassa qualifica;

    il 25 ottobre 2022 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale europea la direttiva sul salario minimo, 2022/2041, che intende garantire ai lavoratori dell'Unione europea condizioni dignitose, e il Parlamento europeo l'ha approvata nella versione definitiva nella seduta del 19 ottobre 2022;

    la norma non fissa una soglia europea di salario, bensì detta le regole dentro le quali ciascuno Stato membro deve muoversi: i salari minimi devono essere fissati a un livello adeguato; i lavoratori devono avere accesso alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salario minimo legale o di salari determinati nell'ambito di contratti collettivi;

    obiettivo dell'Unione europea non è quello di uniformare i sistemi nazionali sui salari minimi per la definizione di un salario minimo unico per tutti gli Stati membri, ma piuttosto tendere a una convergenza verso l'alto delle retribuzioni minime, nel rispetto delle specificità di ciascun ordinamento interno e favorendo al contempo il dialogo tra le parti sociali;

    l'intervento dell'Unione europea si snoda, quindi, su tre assi: migliore adeguatezza dei salari minimi legali (ove esistenti), anche mediante la definizione di criteri stabili e chiari per determinarli e aggiornarli (tra cui il potere d'acquisto, tenendo conto anche delle imposte e delle prestazioni sociali, il livello generale dei salari lordi e la relativa distribuzione, il tasso di crescita dei salari lordi e l'andamento della produttività del lavoro) e un maggiore coinvolgimento delle parti sociali per la loro definizione; promozione della contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, in particolare in quelli in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore al 70 per cento dei lavoratori; migliore applicazione e monitoraggio per tutti gli Stati membri, anche mediante relazioni annuali degli Stati membri alla Commissione europea, unitamente a un dialogo strutturato;

    in Italia la discussione sul salario minimo è sul tavolo della politica da un po' di tempo dal momento che alcune forze politiche ritengono possa essere lo strumento migliore per garantire condizioni dignitose di lavoro e retribuzione;

    il salario minimo non è solo retribuzione, bensì si compone di diversi istituti, non tutti rientrabili nella soglia del salario medesimo e non tutti compatibili sia con il costo del lavoro, per non aggravarlo, sia con i conti dello Stato, stante il rischio di compromettere i costi di tutti gli appalti pubblici;

    il nostro Paese gode di una contrattazione collettiva che copre l'85 per cento dei lavoratori. Questo sistema garantisce una serie di misure che negli anni sono state introdotte a tutela dei lavoratori (tfr, malattia, ferie, permessi, tredicesima, quattordicesima, previdenza complementare, sanità integrativa). Tale sistema determina già in molti casi salari più alti di un'ipotetica soglia di salario minimo, comprensivi degli istituti accessori di welfare e tutele sopra citati;

    con la definizione per legge di un salario minimo si metterebbe a rischio il sistema della contrattazione collettiva, con il serio pericolo di favorire la tendenza alla diminuzione delle ore lavorate, l'aumento del lavoro nero, l'incremento della disoccupazione e l'aumento dei contratti di lavoro irregolare e dei contratti «pirata»;

    occorre sottolineare come l'introduzione di una retribuzione minima potrebbe avere un effetto inflazionistico sul mercato dal momento che le imprese potrebbero riversare i maggiori costi del lavoro sui consumatori finali, determinando così un ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti dalle stesse commercializzati;

    piuttosto che intervenire sui salari si ritiene che la contrattazione collettiva andrebbe implementata puntando a quella di prossimità. Quest'ultima, in particolare, rappresenta uno strumento utile proprio per la propria flessibilità, in un mercato del lavoro oggi più che mai dinamico, dal momento che offre alle imprese la possibilità di adeguare alcuni istituti normativi e contrattuali, entro limiti prestabiliti, alle condizioni e alle specifiche esigenze delle diverse realtà aziendali;

    un ampliamento della contrattazione collettiva contribuirebbe ad arginare il fenomeno dei contratti «pirata», molto diffusi nel nostro Paese. Con tale dicitura si definiscono quei contratti sottoscritti da sindacati minoritari e associazioni imprenditoriali, poco rappresentativi delle parti sociali, con l'obiettivo di costituire un'alternativa ai contratti collettivi nazionali cosiddetti «tradizionali». L'uso della parola «pirata» deriva dal fatto che tali contratti prevedono condizioni normative ed economiche inferiori rispetto a quelli siglati dai sindacati confederali (ad esempio retribuzioni minime inferiori; un minor numero di ferie o permessi ed altro);

    alla luce della difficile situazione economica che il nostro Paese sta affrontando, che rischia di avere pesantissime ripercussioni per tutti i settori produttivi, bisogna intervenire sul mercato del lavoro partendo dal presupposto che in Italia il costo del lavoro è tra i più alti d'Europa; è indispensabile quindi tagliare il cuneo fiscale, seguendo la scia già tracciata dall'ultimo Consiglio dei ministri del 20 novembre 2022;

    il cuneo fiscale, come noto, è dato dalla differenza tra il costo del lavoro per il datore di lavoro e la corrispondente retribuzione netta del lavoratore, ed è composto dalla somma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e dei contributi previdenziali, la prima posta a carico del dipendente insieme a parte dei contributi previdenziali, mentre il datore è onerato della restante parte dei contributi previdenziali;

    l'onere rappresentato del cuneo fiscale si configura, pertanto, come uno dei principali indicatori degli effetti dell'imposizione fiscale e contributiva sul reddito dei lavoratori e sulle conseguenti dinamiche correlate all'occupazione e alla crescita economica;

    nel 2021 l'Italia aveva il quinto cuneo fiscale più alto sia fra i Paesi Ocse e sia fra quelli dell'area euro: a titolo esemplificativo, per un lavoratore dipendente con uno stipendio lordo medio, il cuneo era del 46,5 per cento, contro una media del 41,4 per cento nell'area euro (dati Osservatorio Cpi luglio 2022);

    un abbassamento del cuneo fiscale determinerebbe un aumento del potere di acquisto dei lavoratori, in un momento come quello attuale caratterizzato da un alto tasso di inflazione;

    a livello generale, inoltre, l'abbassamento del cuneo fiscale darebbe il via a un circolo che dovrebbe far ripartire l'economia reale, ossia quella direttamente collegata alla produzione e alla distribuzione di beni e servizi, in contrapposizione all'economia finanziaria: meno tasse, più soldi disponibili, più consumi, più produzione, più distribuzione di beni e servizi, più lavoro ed altro;

    per le imprese, con un taglio del costo del lavoro si libererebbero risorse non solo per garantire salari più elevati ai dipendenti ma anche per la transizione digitale, la green economy e l'assunzione di giovani nel mondo del lavoro, l'aggiornamento dei dipendenti ed altro;

    a tale scopo un'adeguata riduzione del cuneo fiscale rappresenta, ora più che mai, un intervento indispensabile ed urgente, poiché il suo ammontare elevato rappresenta un deterrente per lo sviluppo del Paese e per la sua competitività, configurandosi come un elemento ostativo agli investimenti delle imprese, un freno alla crescita dei tassi di produttività, al potere di acquisto dei lavoratori e alle potenzialità del mercato del lavoro;

    i Governi degli ultimi anni, hanno privilegiato misure assistenziali, come il reddito di cittadinanza, che hanno comportato l'impegno di ingenti risorse per le casse dello Stato e che oltre a non portare l'Italia fuori dalla crisi economica, si sono dimostrate inadeguate per i criteri con i quali sono state introdotte;

    sul punto, si pensi come la misura si sia rilevata esclusivamente un sussidio statale, vista la totale assenza di un sistema funzionante per la ricerca di lavoro ai beneficiari; per tale provvedimento sono stati stanziati 7,1 miliardi di euro per l'anno 2019, 8 miliardi di euro per il 2020 e 8,3 miliardi di euro per il 2021, che non hanno dato alcun impulso alla nostra economia;

    occorre intervenire per tagliare il reddito di cittadinanza, come nelle intenzioni del presente Governo, facilitando l'ingresso nel mercato del lavoro di tutti gli attuali percettori «occupabili», favorendo con l'ammontare risparmiato la detassazione delle imprese mirata anche all'assunzione di giovani lavoratori,

impegna il Governo:

1) a raggiungere l'obiettivo della tutela dei diritti dei lavoratori non con l'introduzione del salario minimo, ma attraverso le seguenti iniziative:

  a) attivare percorsi interlocutori tra le parti non coinvolte nella contrattazione collettiva, con l'obiettivo di monitorare e comprendere, attraverso l'analisi puntuale dei dati, motivi e cause della non applicazione;

  b) estendere l'efficacia dei contratti collettivi nazionali comparativamente più rappresentativi, avvalendosi dei dati emersi attraverso le indagini conoscitive preventivamente svolte a livello nazionale, alle categorie di lavoratori non comprese nella contrattazione nazionale;

  c) avviare un percorso di analisi rispetto alla contrattazione collettiva nazionale, che, soprattutto in certi ambiti, coinvolge un gran numero di lavoratori, alla luce della frequente aggiudicazione di gare che recano in loro seno il concetto della «migliore offerta economica»;

  d) mettere in atto una serie di misure di competenza volte al contrasto dei cosiddetti contratti pirata in favore dell'applicazione più ampia dei contratti collettivi, con particolare riguardo alla contrattazione di secondo livello ed ai cosiddetti contratti di prossimità;

  e) favorire l'apertura di un tavolo di confronto che assicuri il pieno coinvolgimento delle parti sociali e del mondo produttivo sul tema cruciale delle politiche finalizzate alla riduzione del costo del lavoro e all'abbattimento del cuneo fiscale, al fine di rilanciare lo sviluppo economico delle imprese, incrementare l'occupazione e la capacità di acquisto dei lavoratori;

  f) porre in essere interventi e azioni volti a liberare risorse da altre voci della spesa pubblica per destinarle al mercato del lavoro e favorire l'occupazione che rappresenta il volano di crescita del nostro Paese, nonché implementare una serie di politiche attive volte a garantire una più veloce collocazione dei giovani nel mondo del lavoro (ad esempio, alternanza scuola lavoro).
(1-00030) «Tenerini, Rizzetto, Giaccone, Pisano, Schifone, Tassinari, Nisini, Tirelli, Coppo, Giovine, Malagola, Mascaretti, Volpi, Zurzolo, Caparvi, Giagoni, Alessandro Colucci».

(29 novembre 2022)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA RATIFICA DELLA RIFORMA DEL TRATTATO ISTITUTIVO DEL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ (MES)

   La Camera,

   premesso che:

    il Meccanismo europeo di stabilità (Mes, in inglese European Stability Mechanism – Esm), è un'organizzazione internazionale nata nel 2012 mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico della Ue;

    il Mes ha affiancato e poi sostituito due strumenti transitori di stabilizzazione finanziaria: il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (Mesf) e il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf);

    la sua funzione fondamentale è concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai Paesi membri che – pur avendo un debito pubblico sostenibile – trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato;

    la condizionalità varia a seconda della natura dello strumento utilizzato: per i prestiti assume la forma di un programma di aggiustamento macroeconomico, specificato in un apposito memorandum; è meno stringente nel caso delle linee di credito precauzionali, destinate a Paesi in condizioni economiche e finanziarie fondamentalmente sane ma colpiti da shock avversi;

    il Mes attenua i rischi di contagio connessi con eventuali crisi di un paese dell'area euro, rischi che in passato si sono materializzati e hanno avuto anche gravi ripercussioni sul nostro Paese. La presenza del Mes riduce la probabilità di un default sovrano, almeno per i Paesi le cui difficoltà sono temporanee e possono essere risolte con prestiti o linee di credito;

    nel dicembre 2017 la Commissione europea, all'interno del più ampio processo di completamento dell'Unione economica monetaria (Uem) aveva presentato una proposta di regolamento per la trasformazione del Mes in un Fondo Monetario Europeo (Fme), basato sulla struttura finanziaria ed istituzionale del Mes, sempre secondo il rispetto di rigorose condizionalità e analisi di sostenibilità del debito, ma incluso nel quadro giuridico dell'Ue;

    questa proposta di riforma non prevedeva né annunciava un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani, né affidava al Mes compiti di sorveglianza macroeconomica;

    la riforma avrebbe attribuito al Mes una nuova funzione, quella cioè di fornire una rete di sicurezza finanziaria di sostegno comune (backstop) al Fondo di risoluzione unico (Fru, in inglese Single Resolution Fund, Srf) nell'ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie;

    con il ruolo di backstop al Fru, il Mes avrebbe contribuito a contenere i rischi di contagio connessi con eventuali crisi bancarie di rilievo sistemico. Per quanto riguarda specificamente l'Italia, il rifinanziamento dell'elevato debito pubblico del nostro Paese sarebbe potuto così avvenire in maniera più ordinata e a costi più contenuti;

    questa proposta della Commissione è stata, infine, superata dall'accordo trovato nel giugno 2019 dall'Eurogruppo su una revisione del Trattato istitutivo del Mes, che disporrà di strumenti e di un mandato più forti;

    il 27 gennaio e l'8 febbraio 2021 i Paesi membri del Mes hanno sottoscritto l'accordo che riforma il Trattato istitutivo: il Mes, con ratifica immediata, avrebbe potuto fornire la garanzia comune (backstop) al Fru dall'inizio del 2022 (anziché dal 2024), in considerazione di una valutazione complessivamente positiva del rispetto di alcuni obiettivi di riduzione del rischio bancario, quali la riduzione dei crediti deteriorati e la capacità di assorbimento delle perdite;

    il Mes affiancherà così, senza affatto sostituirla, la Commissione europea, e le modalità di cooperazione tra le due istituzioni saranno definite in un accordo che verrà sottoscritto quando le modifiche entreranno finalmente in vigore;

    il Mes non avrà alcun compito di sorveglianza fiscale ai sensi del Patto di stabilità e crescita, e la sua attività sarà vincolata al rispetto della legislazione dell'Unione europea;

    inoltre, la valutazione complessiva della situazione economica dei Paesi e la loro posizione rispetto alle regole del Patto di stabilità e crescita e della procedura per gli squilibri macroeconomici rimarrà responsabilità esclusiva della Commissione;

    il Trattato riformato non è ancora entrato in vigore perché allo stato attuale risultano mancanti soltanto le ratifiche di Italia e Germania, con quest'ultima che ha sottoposto la propria decisione alla Corte costituzionale;

    negli scorsi giorni, il Ministro dell'economia e delle finanze, con una strategia che parrebbe essere dilatoria, ha affermato di voler attendere la decisione della Corte tedesca,

impegna il Governo

1) a presentare nel prossimo Consiglio dei ministri utile, e comunque entro fine anno, il disegno di legge di ratifica della riforma del Trattato istitutivo del Mes sottoscritta ad inizio 2021, dando finalmente seguito ad un impegno assunto in sede internazionale quasi due anni fa, evitando così possibili contenziosi politici con gli altri Paesi che già hanno portato a compimento i loro rispettivi iter di ratifica e rilanciando, invece, la posizione dell'Italia in sede internazionale.
(1-00021) «Richetti, Marattin, Benzoni, Bonetti, Bonifazi, Boschi, Carfagna, Castiglione, Enrico Costa, D'Alessio, Del Barba, De Monte, Faraone, Gadda, Giachetti, Grippo, Gruppioni, Pastorella, Rosato, Ruffino, Sottanelli».

(23 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), istituito nel 2012, nell'ambito della strategia dell'Unione europea per il rafforzamento finanziario della zona euro, con l'obiettivo di fornire assistenza finanziaria ai Paesi che ne sono parte e che si trovino in gravi difficoltà finanziarie o ne siano minacciati, è oggetto di un processo di riforma avviato nel 2017 e non ancora concluso;

    in base al Trattato istitutivo, che l'Italia ha sottoscritto nel 2011 e poi ratificato nel 2012, il Mes è un'organizzazione intergovernativa regolata dal diritto pubblico internazionale, istituita mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico europeo;

    sotto il profilo della governance e del processo decisionale, il Mes è guidato dal Consiglio dei Governatori, composto dai Ministri delle finanze degli Stati membri dell'eurozona e presieduto dal Presidente dell'Eurogruppo, che assume all'unanimità tutte le principali decisioni, ovvero con la maggioranza qualificata dell'85 per cento del capitale qualora, in caso di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell'area dell'euro, la Commissione europea e la Banca centrale europea richiedano l'assunzione di decisioni urgenti in materia di assistenza finanziaria;

    il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi di euro, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi di euro. L'Italia ha sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi di euro, versando oltre 14 miliardi di euro. I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi Paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono, quindi, porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza;

    il Mes ha a disposizione diversi strumenti in favore dei Paesi che ne richiedano l'intervento. In particolare, può: fornire «assistenza finanziaria precauzionale», da erogare sotto forma di linea di credito condizionale precauzionale o sotto forma di una linea di credito soggetto a condizioni rafforzate; assistenza finanziaria per la ricapitalizzazione di istituzioni finanziarie di un Paese membro; concedere misure di sostegno ancora più stringenti come i cosiddetti «prestiti»; acquistare titoli di debito degli Stati membri in sede di emissione e sul mercato primario o secondario;

    l'accesso all'assistenza finanziaria è soggetto a una rigorosa condizionalità, commisurata allo specifico strumento di sostegno utilizzato, tra cui per gli strumenti di assistenza finanziaria la definizione di un apposito protocollo d'intesa (Memorandum of understanding, MoU) da sottoscrivere con la Commissione europea che lo negozia preliminarmente di concerto con la Banca centrale europea, insieme e ove possibile anche con il Fondo monetario internazionale;

    per quanto riguarda i prestiti (che sono condizionati a un programma di aggiustamento macroeconomico), alla preliminare verifica della sostenibilità del debito (già prevista dal trattato in vigore) verrebbe affiancata quella della capacità di ripagare il prestito (già utilizzata nella sorveglianza post-programma). Sono clausole a tutela delle risorse del Mes, di cui l'Italia è il terzo principale finanziatore;

    per quanto riguarda le linee di credito precauzionali la riforma conferma la differenza già esistente nel Trattato in vigore tra quella «semplice» (Precautionary conditioned credit line, Pccl) e quella «a condizionalità rafforzata» (Enhanced conditions credit line, Eccl): la Precautionary conditioned credit line è riservata ai Paesi che rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità e crescita, che non presentano squilibri macroeconomici eccessivi e che non hanno problemi di stabilità finanziaria, mentre la Enhanced conditions credit line è destinata ai Paesi che non rispettano pienamente i suddetti criteri e ai quali pertanto vengono richieste misure correttive;

    nel dicembre 2017, al fine di integrare pienamente il Mes nell'ordinamento giuridico europeo e consentire un maggior legame con il circuito politico-istituzionale dell'Unione europea e nell'ambito di una più ampia prospettiva riforma dell'unione economica e monetaria, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento finalizzata a trasformare il Mes in un Fondo monetario europeo (Fme), mantenendone la struttura ma attribuendogli l'ulteriore funzione di fornire un sostegno finanziario (backstop), sotto forma di una linea di credito rotativo, al Fondo di risoluzione unico, istituito dal regolamento (UE) n. 806 del 2014, per la gestione delle crisi bancarie;

    tale proposta di regolamento non ha avuto seguito, ma i negoziati per una modifica del Mes sono andati avanti. In occasione del Consiglio europeo di dicembre 2018 sono state definite le linee guida della riforma, sulla base delle proposte di revisione del Trattato istitutivo elaborate dall'Eurogruppo del 4 dicembre 2018;

    in tale contesto, nel corso del 2019 è stato definito, nell'ambito di un ampio pacchetto di interventi per rafforzare e completare l'unione economica e monetaria, una riforma complessiva del Trattato istitutivo del Mes;

    in particolare, nella riunione del 13 giugno 2019, l'Eurogruppo ha raggiunto un ampio consenso su una bozza di revisioni del Trattato, che è stata poi presentata al successivo Vertice Euro del 21 giugno 2019. Il 4 dicembre 2019 l'Eurogruppo ha raggiunto un accordo di massima, con riserva della conclusione delle procedure nazionali, sui punti principali dei documenti correlati alla riforma del Mes;

    all'esito di questo percorso negoziale, il 27 gennaio 2021 e l'8 febbraio 2021 gli Stati membri del Mes hanno sottoscritto l'accordo di riforma del Trattato istitutivo;

    gli strumenti di finanziamento del Mes, prestiti e linee di credito, a seguito della riforma rimarranno sostanzialmente inalterati, ma si semplificheranno le procedure di accesso all'assistenza finanziaria precauzionale semplice (Precautionary conditioned credit line, Pccl) per Paesi economicamente e finanziariamente solidi, ma alle prese con uno shock avverso e con un debito pubblico considerato sostenibile, consentendone l'erogazione previa sottoscrizione di una semplice «lettera di intenti» con la Commissione europea. Si instaureranno, inoltre, forme di cooperazione con la Commissione stessa più trasparenti e nel rispetto del quadro giuridico dell'Unione europea. Sarà prevista, infine, l'introduzione anticipata della funzione di backstop al Fondo di risoluzione unico, per rafforzare la tenuta e la stabilità del sistema bancario europeo;

    accanto a questa riforma, gli Stati membri del Mes prevedono anche, in una logica di pacchetto, la definizione di uno Strumento europeo di bilancio per la convergenza e la competitività e il completamento dell'unione bancaria, in particolare con l'introduzione di uno schema europeo di garanzia sui depositi (Edis);

    i negoziati per consentire il raggiungimento di un accordo sull'intero pacchetto definito nel 2019, strategico in un'ottica di condivisione dei rischi del sistema bancario e di stabilità del sistema finanziario, hanno visto un rallentamento – nonché un ulteriore momento di riflessione – con la pandemia COVID-19; sono poi ripresi nel corso del 2020 e vanno completati;

    resta aperta la necessità di portare avanti il processo di riforma avviato rispetto al Patto di stabilità e crescita;

    è opportuno completare l'attuale negoziato di modifica del Mes, inteso quale passo indispensabile per l'ulteriore trasformazione di tale organismo in un vero e proprio Fondo monetario europeo, all'interno del quadro giuridico di diritto dell'Unione europea, coordinato con le politiche di bilancio europee;

    allo stato attuale, alla conclusione del processo di ratifica della riforma del Trattato istitutivo del Mes, risultano mancanti le ratifiche di Italia, che l'ha sottoscritto nel 2021, e Germania, dove si attende l'esito della pronuncia del Tribunale costituzionale federale,

impegna il Governo:

1) a procedere senza ulteriori indugi alla ratifica della riforma del Trattato istitutivo del Mes, presentando il relativo disegno di legge in tempi brevi, anche in modo da consentire l'avvio delle nuove funzioni e contribuire al rafforzamento del sistema finanziario dell'eurozona;

2) a farsi parte attiva affinché il processo di riforma avviato in relazione al Patto di stabilità e crescita permetta di coniugare sempre più in futuro il rispetto di traiettorie di riduzione del debito e stabilità economico-finanziaria degli Stati membri con esigenze di politiche di investimenti e sviluppo, in particolare nei settori sociali e della transizione ambientale e digitale.
(1-00027) «De Luca, Fassino, Amendola, Iacono, Guerra, Madia, Scarpa, Boldrini, Porta, Quartapelle Procopio, Casu».

(29 novembre 2022)

   La Camera,

   premesso che:

    il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è un'organizzazione istituita nel 2012, sulla base di un Trattato intergovernativo, siglato il 2 febbraio 2012 ed entrato in vigore l'8 ottobre 2012 a seguito della ratifica dei 17 Stati membri dell'eurozona (a cui si sono aggiunti in seguito la Lettonia e la Lituania), nel quadro del diritto pubblico internazionale. Ne sono membri tutti i 19 Paesi dell'eurozona (Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna) e l'adesione è aperta agli altri Stati membri dell'Unione europea;

    l'istituzione del Mes è avvenuta a seguito di un'apposita modifica all'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e ha dapprima affiancato, e poi sostituito, il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria nel compito di fornire, laddove necessario, assistenza finanziaria agli Stati membri della zona euro;

    nel dicembre 2017 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento volta a integrare il Mes nell'ordinamento istituzionale dell'Unione europea, trasformandolo in un Fondo monetario europeo (Fme), proposta che non ha, tuttavia, generato un accordo sulla trasformazione dell'organismo;

    la riforma del Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità, i cui primi negoziati si sono svolti in occasione del Vertice dell'Eurogruppo del 12 marzo 2018, è una modifica che si inscrive nell'ambito di un più ampio ventaglio di interventi volti, secondo un approccio complessivo, al completamento dell'unione economica e monetaria in corso dal 2015 e che comprendono anche l'introduzione dello Strumento di bilancio per la competitività e la convergenza nell'eurozona (Bicc) e l'unione bancaria, incluso il pilastro dello schema comune di assicurazione dei depositi (European deposit insurance scheme, Edis);

    la riforma dell'unione economica e monetaria e dei suoi strumenti non è stata a tutt'oggi completata e in particolare, con riferimento all'Edis, terzo pilastro del progetto di unione bancaria, nonostante alcuni passi avanti nel negoziato, le trattative risultano ancora ad una fase di stallo a causa della mancanza di consenso degli Stati membri sul dispositivo;

    come è noto, la riforma del Mes, approdata sul tavolo dell'eurosummit nel dicembre 2019, incorporava l'introduzione del backstop comune al Fondo di risoluzione unico, a partire però dal 2024; grazie all'azione del Governo di allora, l'Italia è riuscita ad ottenere l'introduzione anticipata di tale meccanismo, che rappresenta una forma essenziale di condivisione dei rischi a livello dell'unione economica e monetaria, obiettivo cardine per il nostro Paese;

    con l'Eurogruppo del 13 giugno 2019 e, successivamente, con l'eurosummit del 21 giugno 2019, è stato quindi raggiunto un accordo, in sede europea, sulla proposta di revisione del Trattato istitutivo del Mes: la proposta di riforma, in sintesi, prevede una procedura semplificata per l'attivazione della linea di credito condizionale precauzionale, il sostegno del Mes al Fondo di risoluzione unico, alcune innovazioni nel riparto di competenze fra i soggetti chiamati a garantire l'attuazione del Trattato, anche con riferimento alla valutazione della situazione macroeconomica e finanziaria degli Stati membri, nonché l'introduzione delle clausole d'azione collettiva con approvazione a maggioranza unica per i titoli di Stato della zona euro di nuova emissione con scadenza superiore a un anno;

    dopo l'accordo politico raggiunto in sede di Eurogruppo il 20 novembre 2020, c'è stata la firma dell'accordo che modifica il Trattato Mes, cui però non ha fatto seguito la necessaria ratifica per l'entrata in vigore del Trattato, così come modificato, da parte di tutti e 19 gli Stati membri della zona euro, non avendo l'Italia e la Germania proceduto alla suddetta ratifica;

    il processo ha, quindi, subito una successiva battuta d'arresto a causa della pandemia da COVID-19, a fronte della sospensione temporanea, da parte dell'Eurogruppo, dei negoziati in corso a favore dell'adozione di tutta una serie di strumenti, coordinati e integrati con le politiche nazionali, volti a fronteggiare gli effetti della crisi sul piano economico e sociale;

    il più significativo di tali strumenti di risposta alla crisi è stata l'adozione, il 21 luglio 2020, del Next generation Eu, il programma comune di aiuti, da oltre 800 miliardi di euro, mirati a fronteggiare l'emergenza economica post-COVID. A questo si è aggiunta l'attivazione, nel marzo 2020, della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita, che ha consentito agli Stati membri di adottare politiche fiscali espansive per sostenere il sistema economico entrato in crisi a causa delle restrizioni imposte dal contrasto alla diffusione del virus. La Commissione europea ha poi istituito un Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia, con il quale sono stati autorizzati specifici interventi di sostegno alle imprese. La Banca europea per gli investimenti ha approvato l'istituzione di una garanzia europea da 25 miliardi di euro (Fondo di garanzia paneuropeo), al fine di mobilitare fino a 200 miliardi di euro a sostegno dell'economia reale e, in particolare, alle piccole e medie imprese. Anche la Banca centrale europea ha adottato alcune misure straordinarie per fornire, tramite il sistema finanziario, il flusso di liquidità necessaria al sistema imprenditoriale e pubblico europeo, avviando, tra l'altro, un nuovo programma temporaneo di acquisto di titoli del settore privato e pubblico denominato «Programma di acquisto per l'emergenza pandemica» (Pandemic emergency purchase programme, Pepp), con una dotazione finanziaria complessiva di 1.350 miliardi di euro. Inoltre, è stato istituito uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza (Sure);

    resta nella piena disponibilità del Parlamento, attraverso la procedura parlamentare di ratifica, in linea con la Costituzione, la scelta definitiva sull'adesione dell'Italia al nuovo Trattato riformato del Mes, anche alla luce della verifica del più generale stato di avanzamento e attuazione del pacchetto di riforme dell'unione economica e monetaria e di tutti gli impegni ad esso collegati, né tantomeno si intravede all'orizzonte alcuna necessità di ricorrere all'attivazione del Meccanismo europeo di stabilità;

    il processo di riforma del Mes, tornato recentemente al centro del dibattito europeo con particolare riferimento all'opportunità di mettere a disposizione del Fondo di risoluzione unico il sostegno del meccanismo di stabilità, va osservato nel contesto più generale di una riforma del sistema di governance dell'Unione europea;

    in questo quadro, il 9 novembre 2022, la Commissione europea ha adottato la comunicazione COM(2022)583 final in cui definisce gli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'Unione europea, comprensiva di una riforma delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita, con l'intento espresso di «rafforzare la sostenibilità del debito e promuovere una crescita sostenibile e inclusiva attraverso investimenti e riforme»;

    l'ipotesi di riforma, disegnata dalla proposta della Commissione europea, desta non poche perplessità in ordine, in primo luogo, al mantenimento dei parametri quantitativi del 3 per cento per il disavanzo – che resterebbe come è adesso e che sarebbe vincolante per tutti i Paesi – e all'obiettivo del 60 per cento per il rapporto debito su prodotto interno lordo, nonché all'assenza della previsione di una golden rule per escludere gli investimenti dalle norme fiscali dell'Unione europea;

    pochi giorni prima si è tenuta a Bruxelles anche la riunione dell'Eurogruppo in cui i Ministri delle finanze degli Stati membri della zona euro hanno proceduto a uno scambio di opinioni sugli ultimi sviluppi economici e sulle prospettive per la zona euro, discutendo, tra gli altri temi chiave, anche della modifica del Patto di stabilità e crescita e dello stato delle ratifiche del Mes. Il prossimo eurosummit è in programma per il 5 dicembre 2022;

    la legge 24 dicembre 2012, n. 234, nell'ambito della regolazione dei rapporti del nostro Paese con l'Unione europea, prevede tutta una serie di misure che assicurano la partecipazione attiva del Parlamento al processo normativo e decisionale dell'Unione europea, nonché le relative procedure di informazione da parte del Governo alle Camere,

impegna il Governo:

1) ad assicurare la coerenza della posizione del Governo con gli indirizzi precedentemente espressi dalle Camere, nonché un'interlocuzione costante e il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro dell'unione economica e monetaria, incluso il completamento dell'iter di adesione al nuovo Trattato Mes, attraverso una procedura chiara di coordinamento e di approvazione, nel rispetto della legge n. 234 del 2012 e in coerenza con il principio di sovranità e centralità del Parlamento;

2) a promuovere, in sede europea, una verifica e valutazione congiunta sullo stato di avanzamento dei lavori e attuazione del pacchetto di riforme dell'unione economica e monetaria e di tutti gli impegni ad essa collegati, in ottemperanza alla logica del cosiddetto package approach – a partire da un sistema di assicurazione comune dei depositi che possa portare a una vera mutualizzazione dei rischi e al superamento del carattere intergovernativo dello stesso Mes – secondo una logica di condivisione politica e di equilibrio complessivo dei diversi elementi al centro del processo di riforma dell'unione economica e monetaria, al fine di costruire una nuova stagione dell'integrazione europea;

3) in ordine all'approfondimento dell'unione economica e monetaria, a disegnare, in sede europea, la strategia complessiva di riforma della nuova architettura dell'Unione europea in senso coerente con l'interesse dell'Italia, opponendosi a qualsiasi meccanismo che implichi una ristrutturazione automatica del debito pubblico e che finisca per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici, con sostanziale esautorazione del potere di elaborare in autonomia politiche economiche efficaci;

4) in merito alla recente comunicazione della Commissione europea sull'ipotesi di riforma del quadro di governance economica dell'Unione europea, ad avviare un dibattito nelle istituzioni europee sulle implicazioni negative per l'Italia del mantenimento delle attuali regole di bilancio, sostenendo altresì la necessità di ripensare tali parametri – alla luce del rinnovato contesto economico e alle nuove sfide che l'Unione europea e i suoi Stati membri sono chiamati ad affrontare – e di perseguire politiche di bilancio sostenibili, prevedendo percorsi di rientro dal debito realistici che tengano conto delle specificità degli Stati membri e del loro quadro macroeconomico complessivo e superando, infine, l'utilizzo prevalente di indicatori non osservabili come il saldo strutturale, al fine di ancorare la sorveglianza macroeconomica a indicatori direttamente osservabili e misurabili;

5) nell'ambito della discussione sulla riforma delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita, ad intraprendere ogni iniziativa utile, in sede europea, finalizzata a prevedere, tra gli altri, l'esclusione degli investimenti produttivi, inclusi quelli in capitale umano, dal computo dei parametri utili al pareggio di bilancio e del rapporto deficit/prodotto interno lordo e la revisione del riferimento al saldo strutturale, al fine di sostenere crescita, lavoro e inclusione sociale, investendo nella politica industriale aperta alle nuove tecnologie, nella ricerca e nell'innovazione, nelle infrastrutture materiali e digitali, nella cultura, rilanciando l'economia e uscendo dalle spirali recessive.
(1-00029) «Scerra, Conte, Francesco Silvestri, Scutellà, Bruno, Todde, Fenu, Alifano, Lovecchio, Raffa».

(29 novembre 2022)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   STEGER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'11 ottobre 2022 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito i chiarimenti in merito alla prestazione della staffetta generazionale;

   in effetti, la cosiddetta staffetta generazionale è una nuova prestazione, inserita dall'articolo 12-ter del decreto-legge n. 21 del 2022 nell'impianto del decreto legislativo n. 148 del 2015, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro;

   dal parere ministeriale pare che la nuova prestazione in questione preveda esclusivamente l'uscita totale e definitiva dei lavoratori beneficiari, con la contestuale assunzione di almeno un giovane under 35;

   il quesito fondamentale, tuttavia, è quello di sapere se la misura è articolabile, cioè se è possibile che i lavoratori, ai quali mancano meno di 36 mesi al raggiungimento della pensione di vecchiaia o anticipata, non escano completamente dall'organico aziendale, ma riducano il proprio orario di lavoro giornaliero nella misura massima del 50 per cento, permettendo così l'assunzione di un giovane under 35;

   tale meccanismo permetterebbe al lavoratore vicino alla pensione di alleggerire il proprio carico di lavoro e, contestualmente, di trasmettere le conoscenze lavorative al neoassunto. Inoltre, il lavoratore avrebbe così la retribuzione mensile riparametrata al nuovo orario di lavoro, come anche la relativa contribuzione, mentre la contribuzione venuta a mancare verrebbe coperta nell'ambito della nuova prestazione;

   tale orientamento corrisponderebbe anche alle intenzioni dei proponenti della norma precedentemente citata –:

   se il Ministro interrogato possa confermare se la misura è articolabile come esposto in premessa.
(3-00042)

(29 novembre 2022)

   FOTI, CARAMANNA, ANTONIOZZI, COLOMBO, COMBA, GIOVINE, MAERNA, PIETRELLA, SCHIANO DI VISCONTI, ZUCCONI, MESSINA, GARDINI, RUSPANDINI, VINCI, MURA, PULCIANI, SBARDELLA e LA PORTA. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   l'inchiesta giudiziaria che coinvolge alcune cooperative legate ad alcuni parenti del deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Aboubakar Soumahoro, accusati di truffa aggravata e false fatturazioni, a seguito della presentazione di alcune denunce presentate dai lavoratori delle stesse cooperative, è contraddistinta da aspetti grotteschi e inquietanti, considerato che, secondo quanto risulta dagli organi di stampa, si ipotizza una truffa ai danni dello Stato pari a circa 60 milioni di euro;

   al riguardo, gli interroganti evidenziano come, se, da un lato, gli stessi colleghi del parlamentare neoeletto rilevano, attraverso il co-portavoce di Alleanza Verdi e Sinistra e il Segretario di Sinistra italiana, che quanto accaduto rappresenta «una brutta vicenda» e che lo stesso Soumahoro avrebbe dovuto informare i vertici del suo partito prima della candidatura alle recenti elezioni politiche, dall'altro, non possono non sottolineare come essi stessi si siano nei fatti smarcati dallo stesso attivista sindacale, adesso deputato della Repubblica italiana, scaricandolo, come risulta in modo manifesto dalle loro dichiarazioni pubbliche;

   oltre agli accertamenti della Guardia di finanza e dei carabinieri nei riguardi delle cooperative, gestite dai parenti Soumahoro (nel frattempo autosospesosi dal gruppo parlamentare Alleanza Verdi e Sinistra), che secondo le indagini della procura di Latina sarebbero, tra l'altro, responsabili di mancati pagamenti e di riservare condizioni malsane ai migranti che accoglievano, gli interroganti evidenziano, altresì, come siano iniziate anche le indagini da parte del Ministero delle imprese e del made in Italy, che si affiancano a quelle in corso dell'ispettorato del lavoro, al fine di accertare in maniera esatta la regolarità delle cooperative della provincia di Latina, che operano nel Lazio da circa 20 anni, anche dal punto di vista di eventuali contributi o finanziamenti ricevuti nel corso del recente passato –:

   quali valutazioni di competenza il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento alla vicenda esposta in premessa e se il Ministero sia stato interessato nel passato nell'ambito di eventuali finanziamenti concessi alle cooperative gestite dai parenti di Soumahoro, la cui vicenda rappresenta, nel caso le indagini siano in grado di confermare quanto sostenuto dagli inquirenti, una serie di condotte gravissime ai danni dei lavoratori delle cooperative e dello Stato.
(3-00043)

(29 novembre 2022)

   BARABOTTI, BILLI, MONTEMAGNI, NISINI, ZIELLO, ANDREUZZA, DI MATTINA, GUSMEROLI e TOCCALINI. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   è di queste settimane la notizia delle manifestazioni dei lavoratori dei quattro siti produttivi della Sanac s.p.a. di Gattinara Vercelli, di Vado Ligure, di Massa e di Assemini Grogastu;

   Sanac s.p.a. (Società anonima nazionale argille e caolini) produce un'ampia gamma di prodotti refrattari di altissima qualità, necessari alla costruzione, manutenzione ed esercizio di impianti appartenenti a diversi settori industriali;

   la società, facente parte del gruppo Ilva, ne seguiva le sorti; infatti, in data 20 febbraio 2015, Sanac veniva ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria con nomina commissariale e con decreto del 4 gennaio 2016 il Ministero dello sviluppo economico autorizzava l'esecuzione del programma di amministrazione straordinaria di Sanac e delle altre società connesse a Ilva s.p.a., seguendo l'indirizzo della cessione dei complessi aziendali;

   ancorché previsto nel piano di acquisizione Ilva, nel 2018 Sanac veniva esclusa dall'ambito della cessione della stessa ad Arcelor Mittal e inserita in un diverso bando di vendita, che Arcelor Mittal si aggiudicava provvisoriamente nel 2019; nel 2021, però, Arcelor Mittal si ritirava, azzerando il percorso di uscita dall'amministrazione concorsuale predisposto per Sanac;

   nonostante l'impegno del Ministero dello sviluppo economico e del Ministro pro tempore Giorgetti, la posizione di Sanac veniva ulteriormente aggravata dall'interruzione delle commesse provenienti dalle acciaierie di Taranto (più del 60 per cento della produzione), evidenziando un orientamento della politica commerciale di Acciaierie d'Italia rispetto alla ex controllata, teso ad escluderla dalla filiera produttiva; atteggiamento incomprensibile e industrialmente preoccupante, per quanto concerne la solidità della filiera dell'acciaio nel nostro Paese e ovviamente per le ricadute sul piano occupazionale;

   si aggiunga che Acciaierie d'Italia, che gestisce le acciaierie di Taranto, pur partecipata dallo Stato attraverso Invitalia, stando a quanto riportano i commissari straordinari del Ministero, ha un debito nei confronti di Sanac che supera i 20 milioni di euro;

   infine, in data 6 ottobre 2022, i commissari straordinari hanno emanato un invito a manifestare interesse all'acquisto dei complessi aziendali facenti capo a Sanac s.p.a. in amministrazione straordinaria. Acciaierie d'Italia non ha inviato alcuna manifestazione d'interesse, la cui scadenza era prevista per il 7 novembre 2022, a differenza di due leader mondiali nel settore delle produzioni di refrattari per l'industria siderurgica, Dalmia e Rhi Italia –:

   quali iniziative il Ministro interrogato abbia assunto o intenda assumere, anche nei confronti di Acciaierie d'Italia, per preservare produzione e posti di lavoro degli stabilimenti Sanac insediati sul territorio nazionale.
(3-00044)

(29 novembre 2022)

   CASASCO, CATTANEO, SQUERI e POLIDORI. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   tra il 2019 e i primi sei mesi del 2022 il personale dell'Agenzia delle dogane ha intercettato 26,5 milioni di prodotti contraffatti, 9,5 milioni dei quali con marchi falsificati delle più importanti aziende italiane;

   i più recenti report di intelligence certificano che le merci che sono riuscite a superare i controlli, anche sfruttando le verifiche più blande in altri Stati dell'Unione europea, sono almeno il quadruplo;

   negli ultimi tre anni e mezzo sono finiti sotto sigillo oltre 3,3 milioni di giocattoli e articoli sportivi, 1,4 milioni di capi di abbigliamento, 756 mila calzature. Nella voce «altro» sono classificati oltre 19 milioni di parti di prodotto, tra le quali le etichette prive di scritte, che fungono da matrice per la copia delle griffe, realizzate con tecnologie di ultima generazione;

   il 65,9 per cento delle merci sequestrate aveva bolle bulgare, Paese nel quale, secondo fonti giudiziarie dell'antimafia, operano ramificazioni di clan della camorra. Il 12,2 per cento aveva bolle turche, 9,9 per cento cinesi e il 6,2 per cento greche;

   nella falsificazione del made in Italy la Cina costituisce il principale Paese produttore ed esportatore: nel 2021 il 96 per cento dei sequestri di merci con marchi delle aziende italiane erano provenienti dalla Repubblica popolare. Secondo studi statunitensi il valore globale delle merci contraffatte colà prodotte è di 435 miliardi di euro. In tale Paese la proprietà intellettuale non è ancora adeguatamente tutelata;

   nel traffico dei prodotti contraffatti l'anello debole sembrano essere le dogane di altri Paesi dell'Unione europea, attraverso cui molta merce falsa riesce a superare i controlli per poi finire sugli scaffali dei negozi. La struttura dei controlli italiana rischia di non essere sufficiente: l'aggressione a un asset strategico come il made in Italy frutta alle organizzazioni criminali internazionali oltre 100 miliardi di euro all'anno, secondo l'Ocse;

   questo volume si somma ai 120 miliardi di euro del falso made in Italy agroalimentare nel mondo: in questo ambito soltanto negli Stati Uniti il valore dell'italian sounding ha raggiunto i 40 miliardi di euro;

   il danno per le imprese è incalcolabile. Le conseguenze le subiscono l'indotto, tutta la catena di lavoratori ma anche la salute e la sicurezza dei consumatori –:

   quali ulteriori iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per contrastare il falso made in Italy sia in materia di potenziamento dei controlli interni, sia di iniziative da intraprendere in sede di Unione europea, sia di rafforzamento delle tutele internazionali dei marchi e della proprietà intellettuale.
(3-00045)

(29 novembre 2022)

   BOSCHI, RICHETTI, DEL BARBA, ENRICO COSTA, GADDA e SOTTANELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   il tragico evento calamitoso verificatosi ad Ischia, con le conseguenze di morte che ha comportato, le 8 vittime e i dispersi ancora sommersi dal fango, rammenta come negli ultimi anni si sia registrato un inaccettabile incremento delle catastrofi idrogeologiche e un progressivo aumento dei rischi per la popolazione, senza che si sia riusciti ad attuare politiche di prevenzione efficaci, ma solo interventi di emergenza;

   stando alle dichiarazioni del presidente dei geologi, Casamicciola era già stata interessata da fenomeni di calata rapida di fango e riconosciuta a rischio, così come il 60 per cento del territorio, che interessa almeno il 30 per cento della popolazione, eppure, nonostante i fenomeni temporaleschi violenti siano sempre più frequenti, non si è mai intervenuti risolutivamente;

   la fragile situazione del territorio di Ischia è stata sicuramente aggravata dall'abusivismo e dai condoni, tra cui quello del settembre 2018, varato dal Governo Conte I con il «decreto Genova»;

   i geologi ricordano anche come l'ultimo piano organico contro il rischio idrogeologico sia stato quello di «ItaliaSicura», voluto dal Governo Renzi, grazie al quale si ha la banca dati Rendis e che ha stanziato risorse per 8,8 miliardi di euro su oltre 12.000 interventi;

   Ance pone anche l'accento sull'azione di recupero, da parte della cabina di regia, dei fondi contro il dissesto e non spesi negli anni 2000-2014, 2,2 miliardi di euro sbloccati anche grazie all'opera di semplificazione degli iter burocratici necessari alla cantierazione;

   con «ItaliaSicura», oltre a fornire impulso, coordinamento, monitoraggio e controllo della programmazione, progettazione e realizzazione degli interventi, si è garantito il coordinamento tra i diversi livelli di governo, favorendo un uso efficiente e tempestivo delle risorse da parte delle amministrazioni interessate;

   nel 2018 il Governo Conte I decideva di chiudere e smantellare l'unita di missione «Italia Sicura»;

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 settembre 2021, che doveva stabilire, con il nuovo portale, le priorità di intervento, evidenziando le situazioni di maggiore criticità, non ha prodotto i risultati sperati, perché le regioni non hanno provveduto a inserire i dati necessari, vanificandone, di fatto, ogni utilità –:

   in considerazione del fatto che, ormai dal 2018, fondi e coordinamento degli interventi risultano essere in capo al Ministero dell'ambiente, quali iniziative intenda intraprendere il Governo, eventualmente anche attraverso il ripristino dell'unità di missione «ItaliaSicura», per consentire più stringenti controlli e monitoraggi del territorio e una maggiore rapidità di intervento e messa a terra delle risorse necessarie, affinché eventi come quello avvenuto ad Ischia non abbiano a ripetersi.
(3-00046)

(29 novembre 2022)

   ILARIA FONTANA, SERGIO COSTA, L'ABBATE, FEDE e MORFINO. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2022 nell'isola di Ischia si è registrato un nubifragio di straordinaria intensità che ha causato il distacco di una frana dal Monte Epomeo, la quale ha colpito l'area a nord dell'isola – distruggendo strade, case e macchine – si è abbattuta sul comune di Casamicciola Terme e ha trascinato enormi quantità di detriti fino al mare;

   la forza distruttiva dell'evento è stata tale da estirpare alberi secolari e radere al suolo intere abitazioni;

   le conseguenze sono state drammatiche: il nubifragio ha provocato allagamenti e smottamenti; le case distrutte sono 15, mentre le vittime accertate sono otto, con ancora quattro dispersi; circa 230 persone sono state evacuate;

   dalla mattina di sabato 26 novembre 2022 sull'isola operano 160 vigili del fuoco con 70 mezzi giunti da diverse regioni per fornire il necessario soccorso alla popolazione e per cercare i dispersi;

   le caratteristiche geomorfologiche dell'isola di Ischia la rendono – in un panorama nazionale caratterizzato dalla diffusa fragilità del territorio – particolarmente vulnerabile sia agli eventi atmosferici estremi sia agli eventi sismici, come ricorda la triste contabilità degli episodi che hanno colpito il territorio ischitano negli anni passati;

   la tragedia che ha colpito Ischia è avvenuta a poche settimane di distanza dall'alluvione abbattutasi nelle Marche tra il 15 e il 16 settembre 2022, coinvolgendo in particolar modo le province di Ancona e Pesaro-Urbino, con livelli eccezionali delle precipitazioni, e che ha causato 12 vittime, una donna dispersa, 50 feriti, 150 persone sfollate e danni per 2 miliardi di euro;

   i cambiamenti climatici hanno determinato l'aumento della frequenza e dell'intensità di alluvioni e nubifragi, la cui forza dirompente è stata amplificata da una politica di governo del territorio non certo impeccabile;

   alla luce di questa ennesima tragedia, si ravvisa l'indifferibile esigenza di riprendere e rafforzare una politica di prevenzione dei rischi per la sicurezza del territorio, che tenga in adeguata considerazione la necessità di tenere conto del mutato quadro climatico –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare per affrontare la grave situazione di dissesto idrogeologico sia delle zone colpite dall'alluvione, con particolare riferimento al comune di Casamicciola, sia a livello nazionale, fornendo puntuali elementi al Parlamento circa lo stato di avanzamento del Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico e il quadro degli stanziamenti previsti per far fronte al problema del dissesto idrogeologico.
(3-00047)

(29 novembre 2022)

   BRAGA, SIMIANI, CURTI, DI SANZO, MORASSUT, FERRARI, GHIO, CASU e FORNARO. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia è un Paese fragile segnato dal dissesto idrogeologico e impreparato ad affrontare la crisi climatica in atto e i fenomeni meteorologici estremi che ne derivano;

   i temi del consumo del suolo e del dissesto idrogeologico legati agli effetti dei cambiamenti climatici stanno assumendo un'importanza crescente nelle tematiche della sostenibilità ambientale e della pianificazione urbana e regionale ed evidenziano la drammatica urgenza di politiche più efficaci sia sul fronte della mitigazione dei processi in atto, sia sul fronte dell'adattamento agli stessi;

   secondo l'ultimo rapporto Snpa, il consumo di suolo in Italia, non solo non rallenta, ma nel 2021 riprende a correre con maggiore forza, superando la soglia dei 2 metri quadrati al secondo e sfiorando i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali in un anno, un ritmo non sostenibile che dipende anche dall'assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell'attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale;

   difendere il suolo significa anche proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto idrogeologico che, purtroppo, spesso ha conseguenze gravissime, anche in termini di perdita di vite umane, a causa dell'uso dissennato del territorio. Complessivamente, sono infatti il 93,9 per cento i comuni a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera;

   nell'isola di Ischia il consumo di suolo è stato di 15 ettari in 15 anni: in media, 10.000 metri quadrati all'anno di nuove costruzioni, quasi un terzo in aree a rischio frana (fonte Ispra);

   a questo si aggiungono gli effetti del condono edilizio approvato nel 2018 dal Governo Conte I, con il voto favorevole di MoVimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d'Italia e fermamente contrastato dal Partito Democratico, che ha reso sanabili a Ischia abusi realizzati anche in aree a rischio idrogeologico;

   la tragedia che sta vivendo la popolazione dell'isola conferma l'esigenza di contrastare ogni forma di condono edilizio e di dare al Paese una normativa nazionale sul consumo di suolo, che tenga insieme l'aspetto parallelo della riqualificazione dell'esistente, del quadro europeo («consumo di suolo zero al 2050») e del riparto di competenze tra Stato e regioni –:

   se intenda promuovere e sostenere l'adozione di una normativa efficace per il contenimento del consumo di suolo che consenta di raggiungere l'obiettivo di «consumo di suolo zero al 2050» e quali iniziative di competenza intenda adottare per aggiornare e approvare senza indugi il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
(3-00048)

(29 novembre 2022)

   BONELLI, ZANELLA e BORRELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra 25 e il 26 novembre 2022 un violento nubifragio ha colpito l'isola di Ischia, causando allagamenti e frane, i cui effetti hanno determinato ingentissimi danni nella zona del comune di Casamicciola Terme e almeno otto vittime, oltre ad altre persone disperse;

   secondo quanto riportato dal Cnr l'intensità del fenomeno registrato è stato il più intenso degli ultimi venti anni, con un picco massimo di pioggia oraria di 51,6 millimetri a Forio, uno dei comuni ischitani, e di 50,4 millimetri sul Monte Epomeo, la montagna dalla quale avrebbe avuto origine la frana che ha devastato Casamicciola Terme;

   un analogo evento franoso aveva interessato la stessa zona nel 2009, causando la morte di una ragazza, e, come denuncia l'ex sindaco di Casamicciola Giuseppe Conte, dopo l'alluvione nessuno intervento significativo, nonostante i fondi stanziati, sarebbe stato realizzato per la messa in sicurezza del territorio, né sarebbe stato adottato il più volte annunciato piano per il dissesto idrogeologico;

   lo stesso ex sindaco quattro giorni prima della tragedia avrebbe invitato, attraverso l'invio di 23 mail-pec ad altrettanti destinatari, le autorità competenti ad adottare tutte le iniziative necessarie per la sicurezza e la salute delle persone, anche ipotizzando un'evacuazione preventiva della zona;

   realizzare un'opera di costante monitoraggio delle zone ad alto rischio idrogeologico, insieme ad efficaci azioni di contrasto all'abusivismo edilizio e di arresto del consumo di suolo, significa dare risposte efficaci alla crisi ambientale e ai cambiamenti climatici, i cui effetti sul territorio appaiono sempre più devastanti;

   in particolare, ad Ischia insistono 600 ordinanze di demolizione che non sono state eseguite;

   nonostante dal 2018 sul sito del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica risulta pubblicata una bozza, l'Italia ancora non si è dotata di un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e ancora oggi non ha una carta geologica perché il progetto Carg (Cartografia geologica e geotematica), per assenza di nuovi finanziamenti, rischia di rimanere incompleto, considerando che mancano 300 fogli geologici da completare su 636 –:

   se il Ministro interrogato si impegni a non proporre un nuovo condono edilizio e, contestualmente, ad adottare iniziative volte a finanziare il completamento della carta geologica, strumento essenziale per prevenire disastri legati al dissesto idrogeologico.
(3-00049)

(29 novembre 2022)

   LUPI e SEMENZATO. — Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. — Per sapere – premesso che:

   le comunità energetiche rinnovabili sono disciplinate dall'articolo 42-bis del decreto-legge n. 162 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, che recepisce la direttiva europea Red II (2018/2001/UE);

   la normativa in materia di comunità energetiche rinnovabili è stata successivamente modificata dal decreto legislativo n. 199 del 2021, che ha attuato la direttiva europea Red II sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, con l'obiettivo di accelerare il percorso di crescita sostenibile dell'Italia, coerentemente con gli obiettivi di decarbonizzazione dell'Unione europea al 2030 e al 2050;

   il decreto legislativo n. 199 del 2021 ha aumentato il perimetro per le comunità energetiche rinnovabili, passando dalla cabina secondaria a quella primaria, che ora possono estendersi a più comuni o alle comunità montane e non più solo a piccoli borghi o quartieri;

   ad oggi non sono ancora stati pubblicati i decreti attuativi, previsti entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 199 del 2021, che dovranno modificare la vigente legislazione, anche in materia di comunità energetiche rinnovabili, per esempio in materia di potenza massima degli impianti;

   il 23 novembre 2022 il Ministro interrogato ha dichiarato che «si è chiuso un percorso procedurale sulle comunità energetiche, che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza hanno uno stanziamento di 2,2 miliardi di euro: da lunedì prossimo parte una consultazione di quindici giorni, dopodiché chiudiamo il provvedimento con le osservazioni che verranno raccolte»;

   il 28 novembre 2022 è stata avviata la consultazione pubblica sullo schema di decreto, che «individua criteri e modalità per la concessione di incentivi volti a promuovere la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili inseriti in comunità energetiche, sistemi di autoconsumo collettivo e individuale a distanza»;

   le comunità energetiche rinnovabili rappresentano una risorsa importante per tutti i comuni italiani –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per attuare e sviluppare la normativa sulle comunità energetiche rinnovabili, in particolare con riferimento alla possibilità di non prevedere soglie massime demografiche per i comuni che possono accedere alla misura in oggetto.
(3-00050)

(29 novembre 2022)

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