TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 357 di Martedì 1° ottobre 2024

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   BALDELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il Registro unico del terzo settore (Runts) rappresenta un elemento fondamentale per la gestione e la trasparenza degli enti del terzo settore in Italia;

   le procedure telematiche per la gestione delle comunicazioni e delle variazioni relative agli enti iscritti al Registro unico del terzo settore, come, ad esempio, le modifiche dei membri del consiglio direttivo o del legale rappresentante, sono attualmente accessibili esclusivamente al legale rappresentante tramite il Sistema pubblico di identità digitale (Spid);

   gli studi professionali, in particolare i dottori commercialisti, hanno segnalato ripetutamente le difficoltà operative incontrate dai legali rappresentanti degli enti del terzo settore, che spesso non sono in grado di gestire autonomamente tali procedure sul portale del Registro unico del terzo settore;

   la situazione si complica ulteriormente nel caso di variazione del legale rappresentante, dove il rappresentante uscente è tenuto a comunicare la modifica e a inserire i dati del nuovo legale rappresentante. Tuttavia, accade frequentemente che il rappresentante uscente, una volta terminato il proprio mandato, non adempia a queste procedure, creando ulteriori disagi e rallentamenti;

   gli stessi professionisti incaricati sono spesso costretti a ricorrere a procedure complicate e non immediate per ottenere lo Spid del legale rappresentante e poter intervenire sul portale, con conseguenti ritardi e inefficienze;

   l'attuale sistema non prevede infatti una funzione di delega, come invece avviene per il cassetto fiscale dell'Agenzia delle entrate o per l'Inps che permetterebbe ai professionisti di operare sul portale del Registro unico del terzo settore in sostituzione dei propri clienti, semplificando notevolmente le operazioni;

   è necessario garantire una gestione più fluida e agevole delle comunicazioni e delle variazioni relative agli enti del terzo settore;

   un sistema di delega, facile da realizzare, permetterebbe ai professionisti incaricati di svolgere le operazioni sul portale del Registro unico del terzo settore con maggiore efficienza, riducendo i disagi per i legali rappresentanti e migliorando complessivamente il servizio;

   il ritardo nelle comunicazioni e nelle variazioni anagrafiche può comportare conseguenze negative per gli enti del terzo settore, incluse sanzioni amministrative e perdita di opportunità di finanziamento –:

   se il Ministro interrogato ritenga opportuno valutare l'implementazione di una funzione di delega all'interno del portale del Registro unico del terzo settore, che permetta ai dottori commercialisti e ai professionisti incaricati di operare in sostituzione dei legali rappresentanti, come già avviene ordinariamente per altre fattispecie;

   se il Ministro interrogato intenda adottare ulteriori misure per semplificare le procedure di accesso e utilizzo del portale del Registro unico del terzo settore, incluse l'abilitazione dell'accesso tramite Carta nazionale dei servizi (Cns) e altre forme di autenticazione digitale;

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per sensibilizzare e formare i legali rappresentanti degli enti del terzo settore sull'utilizzo del portale del Registro unico del terzo settore, al fine di garantire una maggiore autonomia e consapevolezza nell'adempimento delle loro responsabilità;

   se il Ministro interrogato abbia valutato l'opportunità di promuovere una revisione normativa per semplificare e rendere più efficienti le procedure di comunicazione e variazione anagrafica degli enti del terzo settore, con particolare riguardo alle problematiche sollevate dai professionisti del settore.
(3-01451)

(30 settembre 2024)
(ex 4-03119 del 10 luglio 2024)

B) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle imprese e del made in Italy, per sapere – premesso che:

   come è noto dal 2022 è stata completata la riforma del registro pubblico delle opposizioni – ora esteso a tutti i numeri telefonici nazionali, fissi e cellulari – che consente al cittadino di opporsi alle chiamate di telemarketing indesiderate;

   tuttavia, come risulta dai dati Codacons, sono milioni gli utenti che lamentano chiamate indesiderate sul proprio numero di cellulare, nonostante l'avvenuta iscrizione presso il registro pubblico delle opposizioni, e ancora troppi sono numeri telefonici carpiti in maniera illegittima;

   il registro pubblico delle opposizioni ha rappresentato, indubbiamente, un grosso passo in avanti, ma richiede necessariamente una messa al punto sotto il profilo dell'efficacia, anche prevedendo una modalità diversa di gestione dei consensi attraverso la realizzazione un portale unico delle opposizioni, ossia di un unico luogo virtuale nel quale i cittadini in tempo reale possano inserire i numeri dai quali sono stati impropriamente o illegittimamente chiamati o nel quale ciascun operatore potrebbe conoscere in tempo reale l'eventuale segnalazione di un numero di telefono che si appresta a chiamare;

   questo strumento consentirebbe, inoltre, di rafforzare il coordinamento tra le diverse attività ispettive svolte dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dal Garante per la protezione dei dati personali, consentendo verifiche e interventi su eventuali violazioni più tempestivi ed efficaci;

   tale questione – anche alla luce del fatto che il 38 per cento circa delle telefonate commerciali ricevute dagli utenti propone contratti di forniture per luce e gas – diventa particolarmente rilevante nel momento del passaggio al mercato libero dell'energia, un passaggio nel quale, come già in parte visto, il fenomeno del marketing aggressivo o addirittura illegale diventerà assai più consistente –:

   quali siano state sin qui le ragioni ostative alla realizzazione di un portale unico delle segnalazioni e, per quanto di competenza, quali iniziative intenda adottare al fine di contrastare il fenomeno del marketing aggressivo o addirittura illegale ai danni dei cittadini, particolarmente esposti in un momento delicato quale quello del passaggio al mercato libero dell'energia.
(2-00317) «Ascani, De Luca».

(29 gennaio 2024)

C) Interrogazione

   PAVANELLI e FEDE. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 68 del 2022, al fine di favorire la transizione ecologica, è stato istituito un fondo con una dotazione di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 destinato all'incentivo alla nautica da diporto sostenibile;

   nel dettaglio, la norma ha previsto l'erogazione di contributi per la sostituzione di motori endotermici alimentati da carburanti fossili con motori ad alimentazione elettrica, sotto forma di rimborso pari al 40 per cento delle spese sostenute e documentate e fino a un massimo di 3.000 euro;

   tra le spese ammesse rientra l'acquisto di un motore ad alimentazione elettrica ed eventuale pacco batterie, con contestuale rottamazione di un motore endotermico alimentato da carburanti fossili;

   l'attuazione della misura sarebbe dovuta avvenire tramite un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell'economia e delle finanze, che dovrebbe definire i criteri, le modalità e le procedure per l'erogazione dei contributi;

   nonostante il termine di 60 giorni previsto dalla norma, tale decreto attuativo non è ancora stato emanato;

   l'incentivo darebbe notevole spinta all'intero settore della nautica da diporto che, nonostante la crisi, continua a pesare sul prodotto interno lordo del Paese per oltre 5 miliardi di euro –:

   quali siano le reali tempistiche per l'adozione del decreto attuativo in grado di garantire l'operatività della norma sul cosiddetto «retrofit nautico».
(3-01452)

(30 settembre 2024)
(ex 5-01555 del 30 ottobre 2023)

D) Interrogazioni

   SOUMAHORO. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la Mozarc Medical (ex Bellco), una delle aziende più importanti del distretto biomedicale modenese, intenderebbe chiudere la parte produttiva dello stabilimento di Mirandola, conservando solo la ricerca e sviluppo. A rischio sarebbero circa 350 dipendenti: 300 diretti e gli altri interinali;

   i sindacati Femca Cisl e Filctem Cgil, informati dai vertici aziendali dell'intenzione di aprire una procedura anti-delocalizzazione, hanno proclamato lo sciopero alla Mozarc;

   l'azienda occupa oltre 500 persone a Mirandola, in provincia di Modena. Fino ad oggi non si era mai registrata una crisi aziendale del genere. Il settore, per decenni uno dei più floridi della regione, era stato duramente colpito dal terremoto del 2012, che in questo territorio aveva avuto il suo epicentro;

   poi il comparto era ripartito, ma negli ultimi anni ha sofferto la concorrenza straniera, in particolare cinese, che ha abbattuto i margini ottenibili sui prodotti da dialisi. Tra gli addetti ai lavori si guarda con preoccupazione a un possibile effetto-domino sulle altre aziende del settore: in particolare, sono due quelle con gli scricchiolii più forti. Con la procedura anti-delocalizzazione Mozarc Medical punterebbe a trovare un possibile acquirente che rilevi lo stabilimento di Mirandola. Se non sarà così, scatterà la procedura di licenziamento collettivo –:

   quali urgenti iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati per scongiurare la chiusura del sito produttivo e la salvaguardia dei posti di lavoro.
(3-01453)

(30 settembre 2024)
(ex 5-02481 del 13 giugno 2024)

   VACCARI, DE MARIA e GUERRA. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la Mozarc-Bellco, una delle aziende più importanti del distretto biomedicale modenese, vuole chiudere la parte produttiva dello stabilimento di Mirandola, conservando solo la ricerca e sviluppo. A rischio ci sono 300 dipendenti. Bellco occupa oltre 500 persone a Mirandola. Per il biomedicale di Mirandola è uno shock;

   la notizia ha portato i sindacati Femca Cisl e Filctem Cgil a proclamare lo sciopero. A protestare sono i lavoratori della produzione;

   il settore, per decenni uno dei più floridi della regione, era stato duramente colpito dal terremoto del 2012 che in questo territorio aveva avuto il suo epicentro. Poi il comparto era ripartito, ma negli ultimi anni ha sofferto la concorrenza straniera, in particolare cinese, che ha abbattuto i margini ottenibili sui prodotti da dialisi. Tra gli addetti ai lavori si guarda con preoccupazione a un possibile effetto-domino sulle altre aziende del settore;

   con la procedura anti-delocalizzazione Mozarc Medical punta a trovare un possibile acquirente che rilevi lo stabilimento di Mirandola. Se non sarà così, scatterà la procedura di licenziamento collettivo;

   la produzione di macchine per dialisi e dei relativi consumabili, inclusi i dializzatori (filtri), sarà gradualmente fermata a Mirandola, compatibilmente con gli impegni assunti con la pubblica amministrazione e gli altri clienti, che l'azienda intende onorare. Dei 500 lavoratori attualmente impiegati, circa 300 saranno in esubero –:

   quali iniziative – per quanto di competenza – si intendano intraprendere, se non si ritenga necessario convocare i vertici aziendali della Mozarc-Bellco per trovare soluzioni volte a tutelare il posto di lavoro dei dipendenti su cui ricade questa eventuale chiusura e se non si ritenga di aprire un dialogo più vasto per conoscere i piani industriali e le intenzioni dell'azienda.
(3-01454)

(30 settembre 2024)
(ex 5-02483 del 13 giugno 2024)

   ASCARI. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la ex Bellco, ora Mozarc Medical, una delle aziende più rilevanti del distretto biomedicale modenese, ha annunciato la chiusura della parte produttiva dello stabilimento di Mirandola, mantenendo esclusivamente il reparto di ricerca e sviluppo;

   tale decisione mette a rischio 350 dipendenti, di cui 300 diretti e i restanti interinali, su un totale di oltre 500 impiegati a Mirandola;

   i sindacati coinvolti hanno già proclamato uno sciopero, bloccando l'ingresso dei camion allo stabilimento e consentendo il passaggio solo alle auto degli impiegati e dei lavoratori di ricerca e sviluppo;

   i lavoratori e le lavoratrici della produzione, in particolare, sono in stato di agitazione e preoccupazione, temendo per la perdita del posto di lavoro, in quanto il distretto biomedicale di Mirandola, per decenni, uno dei più floridi della regione, è stato duramente colpito dal terremoto del 2012 e ha successivamente sofferto la concorrenza straniera, in particolare cinese, che ha ridotto i margini sui prodotti da dialisi;

   vi è una crescente preoccupazione per un possibile effetto domino che potrebbe colpire altre aziende del settore, già in difficoltà, considerato che la procedura anti-delocalizzazione avviata da Mozarc Medical mira a trovare un potenziale acquirente per lo stabilimento di Mirandola e che, in assenza di un acquirente, si avvierebbe la procedura di licenziamento collettivo –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano intraprendere per salvaguardare i posti di lavoro dei dipendenti e delle dipendenti dello stabilimento di Mirandola e sostenere il distretto biomedicale modenese;

   se i Ministri ritengano opportuno aprire un tavolo di crisi con la partecipazione dei rappresentanti aziendali, sindacali e istituzionali, al fine di individuare soluzioni condivise per evitare la chiusura della parte produttiva dell'azienda;

   quali misure, infine, il Governo intenda adottare per incentivare la competitività del settore biomedicale italiano, contrastando la concorrenza straniera e favorendo l'innovazione e la crescita delle aziende del settore.
(3-01455)

(30 settembre 2024)
(ex 4-03005 del 19 giugno 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA PREVENZIONE
E LA CURA DEL TUMORE AL SENO

   La Camera,

   premesso che:

    1) dal 1992 ottobre è il mese della sensibilizzazione sul cancro al seno, il cosiddetto mese rosa, durante il quale vengono promosse azioni per informare e sensibilizzare un sempre maggior numero di donne sull'importanza della prevenzione del cancro al seno e della diagnosi precoce;

    2) dal 1° al 31 ottobre, operatori sanitari, istituzioni, organizzazioni di volontariato e associazioni, in tutto il mondo organizzano eventi e iniziative per sottolineare l'importanza dello screening per la diagnosi precoce dei tumori al seno, così da identificare la malattia nei primi stadi del suo sviluppo e rendere un eventuale trattamento più efficace;

    3) in Italia il cancro al seno rappresenta il 30 per cento dei tumori che colpiscono le donne con circa 60 mila nuovi casi l'anno, ma, grazie alla ricerca sulle terapie e nuove tecnologie diagnostiche, che permettono innovatività e specificità degli interventi terapeutici, e alla possibilità di intervenire in fase iniziale grazie alla maggiore sensibilità acquisita dalle donne in merito all'importanza della prevenzione, la guaribilità raggiunge l'85 per cento dei casi;

    4) il calo della mortalità è attribuibile alla ricerca e a migliori conoscenze della biologia dei tumori al seno che permettono maggiore velocità e precisione delle diagnosi, oltre alla maggiore diffusione dei programmi di diagnosi precoce;

    5) ciò nonostante, il cancro al seno è la prima causa di morte nelle diverse età della vita, rappresentando il 28 per cento delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21 per cento tra i 50 e i 69 anni e il 14 per cento dopo i 70 anni. La mortalità, che supera i 12.000 decessi l'anno, si sta riducendo per tutte le classi di età, soprattutto nelle donne con meno di 50 anni;

    6) anche a livello europeo il cancro al seno è attualmente quello più comunemente diagnosticato nelle donne e la principale causa di morte correlata al cancro, con circa 530.000 nuovi casi e 140.000 decessi all'anno. Tuttavia, la situazione varia notevolmente da un Paese europeo all'altro: l'Europa settentrionale e occidentale presenta un tasso molto più elevato rispetto all'Europa meridionale o orientale di incidenza, ma la situazione si capovolge per quanto riguarda la mortalità che è significativamente inferiore nell'Europa settentrionale e occidentale rispetto all'Europa meridionale e orientale;

    7) secondo il Global cancer observatory – agenzia internazionale di ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità – se non si adottano interventi specifici entro il 2040 il numero di nuovi casi di cancro al seno a livello mondiale aumenterà ogni anno da circa 530.000 a 570.000. Allo stesso modo, seguirà lo stesso trend il numero di decessi annuali per cancro al seno, che da circa 140.000 arriveranno a circa 170.000 entro il 2040;

    8) nello specifico europeo, si prevede che l'incidenza e la mortalità del cancro al seno diminuiranno nelle donne di età inferiore ai 70 anni, ma, se non verranno adottate ulteriori misure specifiche per le donne anziane, l'incidenza e la mortalità del cancro al seno aumenteranno significativamente nelle donne di età superiore ai 70 anni;

    9) le donne sopra i 50 anni d'età, infatti, hanno un maggior rischio di sviluppare un tumore mammario, in quanto l'età è uno dei fattori di rischio non modificabili anche se, oggi, le diagnosi di cancro al seno riguardano donne sempre più giovani, il che comporta la necessità di sensibilizzare le ragazze a eseguire controlli non invasivi, quali l'ecografia mammaria, per individuare, già a partire dai 25 anni, eventuali anomalie – nelle donne anziane il tumore al seno viene diagnosticato in una fase successiva in cui la malattia ha raggiunto stadi già più difficili da curare;

    10) nelle donne più anziane il tumore si presenta con modalità diverse: in un contesto fisico di un sistema immunitario più debole spesso i tumori sono più grandi, coinvolgono i linfonodi ascellari e comportano maggiore rischio di mortalità;

    11) a ciò si aggiunge che a volte, in sede di esame, il tumore non viene diagnosticato per le difficoltà che comporta la struttura di un seno anziano, oltre a essere diffusa la convinzione che il cancro al seno nelle donne anziane non sia pericoloso, mentre, in realtà, questo tende a progredire più facilmente ed è quindi necessario diagnosticarlo nella fase iniziale;

    12) nelle giovani il cancro al seno si presenta in forme più aggressive: secondo l'American cancer society il tasso di carcinoma mammario è aumentato del 3 per cento ogni anno dal 2000 al 2019 per le donne con meno di 40 anni;

    13) le giovani donne colpite da tumore al seno hanno, inoltre, maggiori probabilità di ammalarsi di forme tumorali aggressive e in fase avanzata, un maggiore rischio di recidiva e tutto ciò si accompagna, spesso, con un disagio emotivo maggiore rispetto alle più anziane, con forti ripercussioni su lavoro e famiglia e possibili influenze sulla fertilità derivante da alcune terapie;

    14) la prevenzione primaria si propone la riduzione dell'incidenza dei tumori intervenendo sulla conoscenza e rimozione delle cause determinanti: in materia la ricerca sta cercando di individuare modalità per l'identificazione di gruppi di donne a più alto rischio e con più probabilità di sviluppare il tumore;

    15) gli sforzi della ricerca dovrebbero essere canalizzati e concentrati sull'individuazione dei fattori di rischio e sulla prevenzione primaria, in quanto alcuni fattori di rischio possono essere rimossi, riducendo così in misura considerevole il rischio di sviluppare un tumore mammario;

    16) per quanto riguarda i fattori di rischio, infatti, alcuni non sono modificabili, ma su alcuni è possibile intervenire riducendo in misura considerevole il rischio di sviluppare un tumore mammario: ci sono fattori di rischio ereditari e familiari, alcuni sono di natura ormonale e sono legati al ciclo mestruale (menarca precoce e menopausa tardiva), ma altri fattori, è ormai noto, sono legati allo stile di vita: incidono sul rischio di tumore l'obesità, il consumo di alcol, l'inattività fisica, un ridotto consumo di frutta e verdura e, in misura minore, il fumo. Accanto a questi fattori si pongono l'impatto di sostanze inquinanti, dei pesticidi e di cattive abitudini alimentari;

    17) la prevenzione secondaria si propone la riduzione della mortalità e l'aumento della sopravvivenza attraverso la diagnosi precoce, in quanto intervenire nella fase iniziale dello sviluppo del tumore permette di intervenire chirurgicamente con terapie meno invasive e aggressive, oltre a rendere maggiori le possibilità di guarigione: l'atto chirurgico assume un'importanza fondamentale e costituisce l'atto terapeutico determinante, cui si affiancano terapie mediche sistemiche finalizzate ad aumentare le chance di sopravvivenza e guarigione e una migliore qualità della vita della donna;

    18) i costi socioeconomici del tumore rischiano di esplodere se non si potenzia la prevenzione e non si riorganizza la spesa investendo sul bisogno di prevenzione e diagnosi precoce non ancora soddisfatti. Quello del cancro al seno è un problema che rischia di incidere fortemente sulla sanità pubblica, considerato che l'aspettativa di vita aumenterà nei prossimi decenni, è quindi fondamentale prevedere misure specifiche: la prevenzione dei tumori della mammella deve diventare prioritaria nell'agenda politica sanitaria per contenere sia l'insorgere della malattia che ridurre il tasso di mortalità e deve essere incentivata sia come prevenzione primaria che secondaria;

    19) assumono rilevanza, in tal senso, anche le campagne di sensibilizzazione per modificare abitudini di vita errate e iniziative per promuovere una corretta educazione alimentare che possono avere ricadute positive per la prevenzione dei tumori e per la salute in generale, con risultati di portata superiore a quelli ipotizzabili esclusivamente con interventi medicalizzati, costosi e con conseguenze a lunga distanza ancora non ben valutabili;

    20) intervenire sugli stili di vita, però, non basta ed è fondamentale sostenere e promuovere gli screening di senologia diagnostica: la mammografia può essere usata per lo screening. In Italia è raccomandata e offerta gratuitamente alle donne nella fascia di età tra i 50 e i 69 anni con frequenza biennale. Per quanto già evidenziato precedentemente, alcune regioni, su indicazione del Ministero della salute, stanno estendendo lo screening alle donne tra i 45 e 49 anni con intervallo annuale e alle donne tra i 70 e 74 anni con intervallo biennale;

    21) si aggiunge, a tutto quanto già espresso, l'importanza dell'assistenza e del sostegno alle donne nel corso della malattia, nel periodo del follow up e dopo: la qualità della vita della donna operata al seno è un fine che bisogna perseguire sottolineando il valore della femminilità che si persegue, mediante l'utilizzo di protesi oggi anche meno invasive in quanto predisposte con materiali meno nocivi per la salute della donna;

    22) l'11 ottobre 2022, il gruppo Women@Pace, costituito dal Segretario generale dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nel 2022 in occasione della Giornata internazionale della donna, nell'ambito della campagna di sensibilizzazione sul cancro al seno, ha organizzato un dibattito in merito agli ostacoli nell'individuazione e nel trattamento del cancro al seno. Nello specifico, l'incontro ha sviluppato il tema delle numerose ricerche che si stanno conducendo volte a individuare la correlazione tra l'ambiente e lo sviluppo del cancro al seno;

    23) il dibattito ha preso il via dalla premessa che la nozione di ambiente non è univoca e presenta aspetti di complessità; comprende diversi fattori di rischio, come stili di vita e comportamenti (attività fisica, sedentarietà, sovrappeso), influenze culturali e sociali (consumo di alcol, fumo, cure ormonali), vita riproduttiva (età della prima gravidanza, numero di figli, allattamento, gravidanze tardive), senza dimenticare gli agenti chimici come pesticidi, inquinanti industriali e metalli;

    24) nel corso delle iniziative di sensibilizzazione adottate nel corso del cosiddetto «mese rosa» verrà, tra l'altro, distribuito materiale informativo e illustrativo finalizzato, da una parte, a ridurre i fattori di rischio e, dall'altra, a fornire l'adeguata conoscenza affinché ogni donna possa acquisire quel minimo di conoscenze adeguate a effettuare in autonomia una corretta autopalpazione con l'autoesame mensile, che costituisce una pratica fondamentale per conoscere meglio il proprio corpo e riconoscere il carcinoma della mammella nella sua fase iniziale, seguito da controlli clinico-diagnostico-strumentali di fondamentale importanza (ecografia-mammografia-risonanza magnetica), indispensabili, visto che, la possibilità di guarigione per tumori al seno che misurano meno di un centimetro è di oltre il 90 per cento,

impegna il Governo:

1) ad assicurare l'uniformità territoriale dello screening, a partire dai 40 anni e sino ai 75 anni di età, con cadenza annuale;

2) ad adottare iniziative volte a prevedere la dotazione, presso tutte le strutture ospedaliere, di strumentazione di ultima generazione come quella digitale, supportata da algoritmi di intelligenza artificiale basata su tecnologie validate da un punto di vista clinico-scientifico, al fine di poter sviluppare una migliore capacità diagnostica in grado di individuare con sufficiente anticipo anche piccolissime anomalie, così da intervenire con diagnosi precoci e, ove possibile, evitare ulteriori esami che esporrebbero le pazienti a quantità di radiazioni nocive proprie di macchinari più antiquati e analogici;

3) a incentivare la diffusione e l'accesso ai test diagnostici molecolari al fine di permettere l'accesso a terapie target personalizzate, utilizzando in modo appropriato le risorse del Servizio sanitario nazionale e distribuendole omogeneamente sul territorio nazionale;

4) a implementare campagne mirate a migliorare l'adesione ai programmi di screening mammario già esistenti, al fine di ridurre le differenze regionali e a migliorare l'aderenza alle terapie adiuvanti per ridurre i rischi di recidiva e/o metastasi e, di conseguenza, il tasso di mortalità per questo tipo di tumore;

5) ad avviare, di concerto con il Ministero dell'istruzione e del merito, progetti di informazione e sensibilizzazione nelle scuole, finalizzate a educare le ragazze all'adozione di stili di vita salutari e all'importanza della prevenzione anche attraverso la pratica dell'autoesame.
(1-00204) (Nuova formulazione) «Polidori, Benigni, Cappellacci, Patriarca, Barelli, Bagnasco, Deborah Bergamini, Dalla Chiesa, De Palma, Gatta, Mangialavori, Marrocco, Pittalis, Rossello, Paolo Emilio Russo, Saccani Jotti, Tassinari, Tosi, Battilocchio, Tenerini, Nevi, Mulè, Colombo, Mura, Vietri, Ciocchetti, Ciancitto, Colosimo, Lancellotta, Maccari, Morgante, Rosso, Schifone».

(17 ottobre 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    1) anche quest'anno il mese di ottobre con la campagna di prevenzione del tumore al seno si è tinto di rosa, come ogni anno da oltre trent'anni;

    2) il tumore al seno rappresenta nelle donne, come anche indicato dall'ultimo report «I numeri del cancro in Italia 2022», la neoplasia più frequente;

    3) in Italia il tumore alla mammella rappresenta il 30 per cento dei tumori che colpiscono le donne e le nuove diagnosi nel 2022 sono state 55.700, mentre i decessi verificatisi nel 2021 per effetto di tale patologia sono stati 12.500;

    4) anche a livello europeo il tumore alla mammella è attualmente quello più comunemente diagnosticato nelle donne ed è la principale causa di morte, con circa 530.000 nuovi casi e 140.000 decessi all'anno. La situazione varia notevolmente da un Paese europeo all'altro, sia per quanto riguarda i tassi d'incidenza che quelli di mortalità: nei Paesi dell'Europa settentrionale e occidentale il tasso d'incidenza è più alto a fronte di un tasso di mortalità inferiore, mentre nei Paesi dell'Europa meridionale o orientale il tasso di mortalità è più alto a fronte di un tasso d'incidenza inferiore;

    5) dagli inizi degli anni '90 si osserva una moderata, ma costante diminuzione della mortalità per carcinoma mammario (-0,8, –1,4 per cento all'anno), attribuibile soprattutto all'anticipazione diagnostica della malattia per effetto della maggiore efficacia delle campagne di screening, oltre che ai progressi terapeutici. La sopravvivenza a 5 anni delle donne con tumore alla mammella è oggi pari in Italia all'88 per cento, dato che influenza sensibilmente quello relativo alla sopravvivenza con riferimento a tutte le patologie tumorali e che è migliore nelle donne (65 per cento) rispetto a quella degli uomini (59,4 per cento);

    6) nonostante il miglioramento dei dati sulla mortalità, il tumore al seno rimane la prima causa di morte nelle diverse fasce di età, rappresentando il 28 per cento delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21 per cento tra i 50 e i 69 anni e il 14 per cento dopo i 70 anni;

    7) i principali fattori di rischio, oltre all'età, sono rappresentati da fattori riproduttivi, ormonali, dietetici e metabolici, stili di vita, pregressa radioterapia a livello toracico, precedenti displasie o neoplasie mammarie, familiarità ed ereditarietà;

    8) in Italia il 20 per cento delle donne colpite da tumore del seno ha meno di 40 anni, una percentuale importante, che equivale a 11.140 nuovi pazienti l'anno e che riguarda persone nel pieno dell'attività lavorativa e famigliare, determinando enormi problemi da un punto di vista socio-sanitario;

    9) allo stesso tempo si registra anche un incremento di diagnosi fra le donne con più di 74 anni e che sono ormai escluse dai programmi di screening;

    10) a fronte di questi dati, più volte esplicitati tanto dalla comunità scientifica quanto da associazioni di pazienti come Fondazione IncontraDonna, è indispensabile rimodulare al più presto interventi di prevenzione primaria e secondaria, tenendo conto di quali possano essere le indagini di prevenzione più adatte alle giovani donne, per favorire la diagnosi precoce e la possibilità di guarigione, senza dimenticare però la presa in carico delle donne più anziane;

    11) il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 ha previsto l'esecuzione di programmi di screening per la diagnosi precoce del tumore mammario in favore delle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni, le quali sono invitate a sottoporsi a una mammografia gratuita ogni due anni;

    12) alcune regioni, inoltre, hanno ampliato la fascia di età di riferimento alle donne comprese tra i 45 e i 74 anni di età;

    13) per quanto riguarda gli screening, l'aumento dei casi «giovanili» pone il problema oggettivo di ampliare la platea di donne da sottoporre gratuitamente alla mammografia, abbassando l'età minima di inizio dei programmi di screening;

    14) inoltre, rimane il problema della scarsa adesione agli screening gratuiti che si registra soprattutto in alcuni territori del Centro-Sud. È una battaglia innanzitutto culturale che va portata avanti per incentivare il più possibile la partecipazione ad esami che possono evitare molti gravi problemi a migliaia di potenziali pazienti;

    15) il valore medio italiano della proporzione di donne che hanno eseguito la mammografia rispetto a quelle aventi diritto si attesta intorno al 46,3 per cento, con forte diversità territoriali (61 per cento al Nord, 48 per cento nella macro aerea dell'Italia centrale e solamente 23 per cento al Sud);

    16) la partecipazione ai programmi di screening mammario incide direttamente sulla percentuale di sopravvivenza delle donne colpite dal carcinoma; infatti, i dati disponibili dimostrano che i tumori maligni accertati a seguito delle campagne di screening hanno una prognosi più favorevole rispetto a quella dei tumori diagnosticati quando la malattia è già divenuta sintomatica. In particolare, con riguardo al carcinoma mammario, lo screening e la diagnosi precoce riducono del 40 per cento la mortalità della malattia;

    17) è necessario, quindi, avviare campagne di comunicazione e prevenzione rivolte alla popolazione, anche attraverso i servizi di informazione radiofonica e televisiva, finalizzate a sensibilizzare la collettività sull'importanza della diagnosi tempestiva per contrastare il tumore della mammella;

    18) infine, non bisogna dimenticare che sono 13 mila le donne che ogni anno subiscono un intervento di mastectomia a causa di un tumore al seno. La possibilità di scegliere la migliore ricostruzione possibile, anche garantendo la contestualità con la mastectomia demolitiva nei casi in cui è possibile, garantirebbe alle donne di recuperare prima il proprio benessere fisico e psicologico;

    19) al momento questo non è possibile, poiché il sistema dei raggruppamenti omogenei di diagnosi (cosiddetti drg), che stabilisce a livello regionale il rimborso dei costi ospedalieri, è arretrato e carente e, seppure la tecnica d'elezione oggi sia la ricostruzione del seno effettuata in tempo unico alla mastectomia, così come indicato nei parametri decisi nel riordino dei 196 centri multidisciplinari di senologia diffusi sul territorio nazionale e così come raccomandato dai medici oncologi, la realtà sul territorio nazionale è ben diversa;

    20) la maggioranza delle tecniche operatorie possibili è esclusa dai sistemi di rimborsi che le regioni riconoscono agli ospedali, creando forte disparità tra le regioni e gravi «squilibri» di garanzie per le pazienti,

impegna il Governo:

1) a considerare il tumore al seno tra le priorità della sanità pubblica e ad avviare ogni intervento idoneo a fronteggiare lo stesso;

2) ad avviare campagne informative e di prevenzione contro il tumore al seno che coinvolgano le regioni e le scuole per un coinvolgimento attivo e diretto del mondo scolastico, insegnando alle più giovani i corretti stili di vita e la pratica dell'autoesame;

3) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire uniformità territoriale, in tutte le regioni, dello screening annuale per la diagnosi precoce del carcinoma mammario, abbassando la soglia anagrafica delle campagne del servizio sanitario pubblico a partire dai 45 anni e sino ai 74 anni di età, in ragione del fatto che le giovani donne rappresentano un target particolarmente interessato e considerato che negli ultimi dieci anni si è registrato un progressivo incremento di casi di tumore al seno in donne under 50 anni;

4) a prevedere e garantire lo screening mammografico dedicato alle donne ad alto rischio per familiarità/mutazione genetica e per seno denso;

5) a prevedere, di concerto con le regioni, un nuovo modello di avviso e informazione per gli screening mammari, seguendo gli obiettivi della transizione digitale, inviando le comunicazioni alla categoria di donne interessate non più attraverso il sistema postale ma con sms, fascicolo elettronico o altra tecnologia digitale, al fine di garantire un'informazione più puntuale e una risposta tempestiva;

6) ad adottare iniziative di competenza volte a prevedere i raggruppamenti omogenei di diagnosi per la ricostruzione mammaria contestuale all'atto demolitivo, come da indicatore dei centri di senologia, sia per le protesi che per tutti i tipi di intervento di ricostruzione anche con tessuti autologhi;

7) a definire dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (pdta) per le pazienti metastatiche con carcinoma mammario, come previsto tra gli obiettivi del recente Piano oncologico nazionale, attraverso linee guida nazionali da trasmettere a tutte le regioni, garantendo così uniformità di azione e continuità nella gestione del singolo caso;

8) a monitorare ed aggiornare gli indicatori per il percorso diagnostico terapeutico assistenziale per i centri di senologia;

9) a garantire, di concerto con le regioni, il necessario supporto psiconcologico per le donne afflitte da tumore al seno, determinante per permettere alle pazienti di affrontare un iter terapeutico lungo e spesso doloroso;

10) ad agire, in collaborazione con Inps, per assicurare rapidità nell'iter per la richiesta di invalidità civile nei casi di donne afflitte da tumore al seno metastatico;

11) a favorire l'accesso all'innovazione farmacologica con equa distribuzione fra le regioni per tutte le donne con carcinoma mammario, colmando l'attuale divario territoriale e garantendo pieno accesso alle cure;

12) a promuovere con campagne informative un piano nutrizionale dedicato per il contrasto del tumore al seno e ogni raccomandazione necessaria per un corretto stile di vita;

13) a realizzare un codice nazionale di esenzione dal ticket per le prestazioni diagnostiche opportune in persone sane con mutazione genetica Brca 1, 2 e Cdh1, considerato che attualmente solo poche regioni hanno attivato un ticket (D99) e che si rende, quindi, necessaria un'estensione a tutto il territorio nazionale per garantire una prevenzione accessibile a tutti;

14) a implementare le reti oncologiche regionali con caratteristiche di equità e uniformità su tutto il territorio nazionale (molecular tumor board, oncologia mutazionale, innovazione farmacologica), garantendo una presa in carico multidisciplinare.
(1-00209) (Nuova formulazione) «Di Biase, Malavasi, Braga, Madia, Ferrari, Roggiani, Marino, Manzi, Bonafè, Forattini, Ghio, Gribaudo, Boldrini, Toni Ricciardi, Andrea Rossi, Fornaro, Furfaro, Vaccari, Graziano, Gianassi, Ciani, Fassino, Casu, Sarracino, Cuperlo, Porta, Simiani, Carè, Scarpa, Girelli, D'Alfonso, Curti, Iacono, Berruto, Stumpo, Lacarra, Scotto, Fossi, Orfini, Stefanazzi».

(27 ottobre 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    1) in Italia il carcinoma della mammella è il tumore più frequentemente diagnosticato nelle donne. I principali fattori di rischio sono rappresentati da: età, fattori riproduttivi, fattori ormonali, fattori dietetici e metabolici, stile di vita, pregressa radioterapia a livello toracico, precedenti displasie o neoplasie mammarie, familiarità ed ereditarietà;

    2) per l'anno 2022, in ordine decrescente di incidenza stimata nella popolazione complessiva, i tumori più frequenti sono il tumore della mammella e, nelle donne, in ordine decrescente di incidenza stimata, i tumori più frequenti sono il tumore della mammella (55.700 casi); dunque, il tumore della mammella continua a confermare la sua tragica prevalenza e frequenza tra i tumori della popolazione e tra i tumori delle donne;

    3) la maggior parte dei cancri nasce e cresce lentamente e silenziosamente e tanto più piccolo è il tumore, tanto maggiori sono le probabilità di guarigione: la ricerca dei tumori piccoli e asintomatici si chiama prevenzione secondaria, che, seppure ha fatto negli anni passi straordinari, è purtroppo ancora lontana dal raggiungere tutti gli obiettivi attesi;

    4) gli screening oncologici di popolazione ricercano tumori asintomatici e frequenti e rivelano la presenza di neoplasie che si sarebbero manifestate più avanti nel tempo in uno stadio più avanzato, più difficili da curare e con meno speranze di guarigione;

    5) l'efficienza delle campagne di screening è una misura qualificante dell'efficienza del sistema sanitario e al riguardo si rileva che i programmi nazionali di screening per i tumori della mammella sono inegualmente praticati nel territorio nazionale a causa della diversa organizzazione dei progetti di prevenzione, della diversa sensibilizzazione della popolazione, delle diverse risorse sanitarie, logistiche e tecnologiche;

    6) lo screening e la maggior consapevolezza delle donne consentono di diagnosticare la maggior parte dei tumori maligni mammari in fase iniziale quando il trattamento chirurgico può essere più spesso conservativo e la terapia adottata più efficace, permettendo di ottenere sopravvivenze a 5 anni molto elevate;

    7) i medici di medicina generale sono i professionisti che più di altri possono condurre un'efficace prevenzione secondaria, comunicando i benefici della diagnosi precoce del tumore alla mammella;

    8) oltre a ciò è fondamentale una comunicazione capillare e permanente nella scuola e negli ambienti di lavoro;

    9) l'emergenza sanitaria ha messo in evidenza le fragilità dei programmi di screening, soprattutto in alcune aree del Paese e per alcuni programmi;

    10) secondo quanto si evince dalla dodicesima edizione dei «Numeri del cancro in Italia» – anno 2022 – la pandemia da COVID-19 ha aumentato le difficoltà di produrre stime sulle incidenze delle neoplasie e la raccolta dei dati da parte di molti registri tumori di popolazione ha subito rallentamenti e disfunzioni, mentre solo pochi registri hanno potuto aggiornare i dati delle nuove incidenze neoplastiche;

    11) i programmi di screening oncologico sono compresi tra i livelli essenziali di assistenza (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017) e la loro attività viene monitorata attraverso una serie di analisi effettuate dall'Osservatorio nazionale screening (Ons) e dalla sorveglianza Passi (Progressi delle aziende sanitarie);

    12) lo screening mammografico è un'attività di prevenzione secondaria periodica rivolta a donne asintomatiche, al fine di effettuare una diagnosi di carcinoma mammario in stadio precoce e, quindi, offrire trattamenti meno aggressivi e più efficaci, con l'obiettivo di ridurre la mortalità da carcinoma mammario;

    13) in Italia, i programmi di screening mammografico prevedono l'esecuzione di una mammografia ogni due anni nelle donne tra i 50 e i 69 anni ed in alcune regioni fino all'età di 74 anni. In alcune regioni è stata, inoltre, adottata l'estensione dello screening a donne tra 45 e 49 anni con mammografia annuale;

    14) secondo quanto si evince dalle linee guida neoplasie della mammella – edizione 2021 (in continuo aggiornamento) – pubblicate nel Programma nazionale per le linee guida dell'Istituto superiore di sanità ed elaborate dall'Aiom – Associazione italiana di oncologia medica, in collaborazione con Airo, Anisc, Siapec-Iap, Sico, Sirm – la mammografia è tuttora ritenuto il test più efficace di screening, la modalità organizzata di popolazione è preferibile rispetto a quella spontanea e la tecnica digitale (digital mammography, dm) è da preferire alla mammografia analogica (film-screen);

    15) sulla tecnica digitale c'è da rilevare che non tutte le strutture sanitarie che effettuano lo screening sono dotate della predetta tecnica;

    16) i dati dell'Osservatorio nazionale per lo screening mammografico del periodo 2018-2021, per macroarea geografica (Nord, Centro, Sud e Isole) e complessivi per l'Italia, evidenziano che: il valore medio italiano, che nel 2020 si era attestato al 30 per cento, nel 2021 ritorna in linea (46,3 per cento) con i valori di copertura del periodo 2018-2019. I livelli di copertura sono differenti tra le macroaree, con un evidente gradiente Nord-Sud. Al Nord i valori di copertura, stabili intorno al 61 per cento nel biennio 2018-2019, si sono ridotti drasticamente al 40 per cento nel 2020 per poi ritornare, nel 2021, ai valori pre-pandemici. I valori di copertura della macroarea Centro nel periodo 2018-2019 si attestavano intorno al 50 per cento, per ridursi al 38 per cento nel 2020 e riposizionarsi quindi intorno al 48 per cento nel 2021. I valori di copertura nell'area Sud e Isole sono sempre stati decisamente inferiori alle altre due aree (intorno al 20-21 per cento), con un sensibile peggioramento nel 2020 (12 per cento) e un recupero al 23,2 per cento nel 2021;

    17) come noto, nel 2020 in tutte e tre le macroaree si è osservato un'importante contrazione dei volumi di attività dello screening mammografico e, nonostante in linea di massima si sia registrato nel 2021 un ritorno ai valori di copertura pre-pandemici, all'interno di ogni singola macroarea ci sono regioni con maggiore capacità di ripresa ed altre che dimostrano un'evidente difficoltà anche nel 2021; solo alcune regioni hanno recuperato completamente il ritardo, mentre la maggior parte sono riuscite a prendere in carico, entro la fine del 2021, tutta la popolazione che doveva essere invitata nel 2020, con uno slittamento al 2022 di una quota parte di donne che doveva essere invitata nel 2021;

    18) i dati evidenziati nella dodicesima edizione dei «Numeri del cancro in Italia» confermano che in ambito di screening mammografico le diseguaglianze nell'offerta sono forti e sono profonde le differenze di attenzione al proprio stato di salute;

    19) i dati, come evidenziato nel predetto rapporto, «ci consegnano una Italia a due se non a tre velocità, ma anche con notevoli capacità di rispondere alle emergenze. Senz'altro in epoca pre-pandemica vi era una maggiore sofferenza nella macroarea Sud e Isole, anche se, almeno per lo screening mammografico e cervicale, nel triennio precedente la pandemia si era osservato un progressivo miglioramento nella capacità di offerta dei servizi. In realtà i valori di copertura pre-pandemici non ottimali che si registravano in questa area erano anche osservati in alcune, seppur limitate, aree del Centro e del Nord. In sintesi, si registravano fragilità certamente dovute a difficoltà di implementazione dell'offerta, in particolare nelle regioni in piano di rientro, ma anche ad un'allocazione non adeguata delle risorse sia dal punto di vista meramente numerico che qualitativo (in particolare scarsa competenza organizzativo-manageriale)»;

    20) in sostanza, l'emergenza pandemica ha messo in risalto ancora di più le fragilità che già erano evidenti in epoca pre-pandemica e che ancora non consentivano di ottenere livelli di copertura ottimali in tutte le aree del Paese;

    21) i dati Passi 2021-2022 mostrano che in Italia il 70 per cento delle donne fra i 50 e i 69 anni si è sottoposto allo screening mammografico a scopo preventivo e che la quota di donne che si sottopone allo screening mammografico è maggiore fra quelle più istruite o con maggiori risorse economiche, fra le donne di cittadinanza italiana rispetto alle straniere e fra le donne coniugate o conviventi;

    22) anche i dati Passi 2022 confermano che la copertura dello screening mammografico disegna un chiaro gradiente Nord-Sud, con una copertura totale dell'80 per cento al Nord, 76 per cento nel Centro e solo del 58 per cento nelle regioni meridionali. Il Friuli Venezia Giulia (88 per cento) è la regione con la copertura maggiore, la Calabria (43 per cento), il Molise e la Campania (entrambe al 51 per cento) sono le regioni con le coperture totali più basse; non è trascurabile la quota di 50-69enni che non si è mai sottoposta a una mammografia a scopo preventivo o lo ha fatto in modo non ottimale: 1 donna su 10 non ha mai fatto un esame mammografico e quasi il 20 per cento riferisce di averlo eseguito da oltre due anni;

    23) secondo quanto evincibile dal sito della Lilt «il rischio di tumore al seno si modifica in rapporto all'età: i tassi di incidenza aumentano esponenzialmente fin verso i 50 anni, quindi subiscono una pausa o addirittura una lieve diminuzione, per poi riprendere a crescere, ma con un tasso inferiore, dopo il periodo menopausale. Esiste una stretta correlazione tra l'insorgenza del tumore mammario e gli ormoni femminili. La prima gravidanza precoce e l'allattamento riducono il rischio, che aumenta per effetto della terapia ormonale sostitutiva con associazione di estrogeni e progestinici, in età perimenopausale e in menopausa, se protratta per più di 5 anni. Altri fattori di rischio riconosciuti sono rappresentati dal numero di parenti di primo grado con tumori alla mammella, l'obesità dopo la menopausa, l'eccessivo consumo di alcol, l'età al menarca e l'eventuale diagnosi di iperplasia atipica, il diabete e l'ipertensione arteriosa. Solo il 5-8 per cento dei tumori della mammella sono dovuti a fattori genetici riconosciuti. Un precedente carcinoma della mammella aumenta le probabilità di un secondo tumore alla stessa o nell'altra mammella. Le radiazioni ionizzanti, se utilizzate ripetutamente in età prepubere o puberale, anche a scopo diagnostico, specialmente sulla parete toracica e sulla colonna vertebrale, costituiscono riconosciuti fattori di rischio»;

    24) nel numero del 20 agosto 2022 della rivista Lancet sono stati resi noti i risultati del più grande e rappresentativo studio finora pubblicato sull'associazione tra vari fattori di rischio e mortalità per tumori. Usando stime delle morti per tumori in più di 200 Paesi, i ricercatori del «Global burden of disease study 2019 (Gbd Study)» hanno stimato che nel 2019, nel mondo, i vari fattori di rischio evitabili siano responsabili di 4.450.000 morti per cancro. Questa stima in valore assoluto corrisponde al 44,4 per cento di tutte le morti per cancro documentate nel mondo nel 2019 (il 50,6 per cento delle morti per cancro negli uomini e il 36,3 per cento delle morti per cancro nelle donne): fumo di tabacco, consumo di bevande alcoliche e un alto indice di massa corporea sono risultati di gran lunga i più impattanti fattori di rischio evitabili per la mortalità oncologica nel mondo intero; lo studio conferma e aggiorna a livello mondiale le evidenze ben note da decenni e ribadisce alcuni concetti fondamentali per la prevenzione dei tumori: non fumare, controllare il proprio peso ed evitare l'uso di bevande alcoliche;

    25) il trattamento standard delle forme iniziali del tumore mammario è costituito dalla chirurgia conservativa associata a radioterapia o dalla mastectomia e, dopo la chirurgia, viene generalmente proposto un trattamento sistemico poli-chemioterapico o radioterapico nell'ottica di ridurre il rischio di recidiva e di morte ad esso associata, tenuto conto della situazione del singolo paziente;

    26) nelle pazienti con carcinoma mammario a recettori ormonali positivi/Her2-negativo sono oggi prescrivibili in regime di rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale classificatori prognostici genomici, i quali sono indicati in pazienti a rischio intermedio di recidiva, per le quali sia quindi necessaria un'ulteriore definizione dell'effettiva utilità dell'aggiunta della chemioterapia adiuvante al trattamento endocrino;

    27) nelle pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale a recettori ormonali positivi/Her2-negativo, operato, ad alto rischio di recidiva, è oggi disponibile l'inibitore Cdk 4/6 abemaciclib; questo medicinale, tuttavia, non è al momento rimborsata da parte del Servizio sanitario nazionale;

    28) nelle pazienti con carcinoma mammario triplo-negativo localmente avanzato, infiammatorio o in stadio iniziale ad alto rischio di recidiva, è oggi disponibile l'inibitore del checkpoint immunitario Pd1 pembrolizumab, nell'ambito di un programma ad uso compassionevole e tale opzione terapeutica non è al momento rimborsata da parte del Servizio sanitario nazionale;

    29) circa 30 mila donne del nostro Paese affette da cancro metastatico del seno Her2 low attenderebbero, da oltre un anno, la possibilità di curarsi con Enhertu, Inn-trastuzumab deruxtecan, un farmaco approvato dall'Agenzia italiana del farmaco sia per la cura del cancro metastatico al seno Her2+ che per Her2 low, ma per cui è stato concluso l'iter di rimborsabilità solo per Her2+, lasciando quindi le donne affette da Her2 low sospese fino al termine del nuovo iter, che dovrebbe essere non prima di febbraio 2024;

    30) Enhertu è un chemioterapico di ultima generazione che ha ottenuto risultati rilevanti rispetto agli altri chemioterapici per la cura del cancro al seno metastatico, sia Her2+ che Her2 low e se l'Her 2+, nelle more della rimborsabilità, era stato previsto l'uso compassionevole, per il cancro Her2 low tale possibilità non è stata prevista;

    31) incomprensibilmente sono attive due diverse procedure per la rimborsabilità dello stesso farmaco, con le stesse case farmaceutiche e per lo stesso tipo di cancro (metastatico al seno) che viene distinto solo per la differenza di proteina Her2 contenuta nel sangue, nonostante l'Agenzia italiana del farmaco abbia accertato e ratificato che la cura è efficace per entrambi i casi; l'ulteriore procedura per il cancro Her2 low durerebbe in media più di 400 giorni e ritarderebbe l'accesso alle cure di ulteriori sei mesi;

    32) nel 6-7 per cento dei casi, il tumore alla mammella si presenta metastatico già alla diagnosi, tuttavia la maggior parte delle donne che oggi vive in Italia con carcinoma mammario metastatico (circa 37.000) ha presentato una ripresa di malattia dopo un trattamento per una forma iniziale di carcinoma mammario. Grazie ai progressi diagnostico-terapeutici, alla disponibilità di nuovi farmaci antitumorali, alle migliori terapie di supporto e alla migliore integrazione delle terapie sistemiche con le terapie locali, la sopravvivenza globale di queste pazienti con malattia metastatica è notevolmente aumentata;

    33) il 12 marzo 2019 il Parlamento, su proposta del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, ha approvato all'unanimità la legge n. 29 del 2019, recante «Istituzione e disciplina della rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione»;

    34) l'articolo 1, al comma 2, della predetta legge prevede l'emanazione, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di un regolamento da parte del Ministro della salute, con il quale devono essere individuati e disciplinati i dati che possono essere inseriti nella rete, le modalità relative al loro trattamento, i soggetti che possono avere accesso alla rete, i dati che possono essere oggetto dell'accesso, le misure per la custodia e la sicurezza dei dati, nonché le modalità con cui è garantito agli interessati l'esercizio dei diritti previsti dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr);

    35) l'articolo 1, comma 6, della medesima legge dispone che: «Per le finalità della presente legge, il Ministro della salute può stipulare, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, accordi di collaborazione a titolo gratuito con università, con centri di ricerca pubblici e privati e con enti e associazioni scientifiche che, da almeno dieci anni operino, senza fini di lucro, nell'ambito dell'accreditamento dei sistemi di rilevazione dei tumori, secondo standard nazionali e internazionali, della formazione degli operatori, della valutazione della qualità dei dati, della definizione dei criteri di realizzazione e di sviluppo di banche dati nazionali e dell'analisi e interpretazione dei dati, purché tali soggetti siano dotati di codici etici e di condotta che prevedano la risoluzione di ogni conflitto di interesse e improntino la loro attività alla massima trasparenza, anche attraverso la pubblicazione, nei rispettivi siti internet, degli statuti e degli atti costitutivi, della composizione degli organismi direttivi, dei bilanci, dei verbali e dei contributi e delle sovvenzioni a qualsiasi titolo ricevuti»;

    36) l'articolo 4 prevede poi l'istituzione del referto epidemiologico, al fine di consentire un controllo permanente dello stato di salute della popolazione, anche nell'ambito dei sistemi di sorveglianza, dei registri di mortalità dei tumori e di altre patologie, con particolare riferimento alle aree più critiche del territorio nazionale;

    37) infine, l'articolo 6 stabilisce: «Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e successivamente entro il 30 settembre di ogni anno, il Ministro della salute trasmette una relazione alle Camere sull'attuazione della presente legge, con specifico riferimento al grado di raggiungimento delle finalità per le quali è stata istituita la Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza di cui all'articolo 1, nonché sull'attuazione del referto epidemiologico di cui all'articolo 4»;

    38) sono passati quasi 4 anni dall'approvazione della legge ma, ad oggi, il regolamento non risulta adottato e non è stata trasmessa alle Camere alcuna relazione sull'attuazione della legge,

impegna il Governo:

1) a potenziare ulteriormente lo screening mammografico quale attività di prevenzione secondaria periodica rivolta a donne asintomatiche al fine di effettuare una diagnosi di carcinoma mammario in stadio precoce e, quindi, offrire trattamenti meno aggressivi e più efficaci, con l'obiettivo di ridurre la mortalità da carcinoma mammario, assicurando che non vi siano aree del Paese carenti quanto a strutture organizzative e tecnologiche;

2) a garantire uniformità territoriale dello screening mammografico per la diagnosi precoce del carcinoma mammario, adottando iniziative di competenza volte a prevedere che la piena realizzazione dello screening mammografico, in tutte le regioni, non solo rappresenti un adempimento ai fini della verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza da parte del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, ma consenta anche l'accesso alle forme premiali di cui all'articolo 2, comma 67-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nell'ambito del riparto delle risorse del Fondo sanitario nazionale;

3) ad estendere lo screening mammografico, ampliando la soglia anagrafica di accesso alle donne con fascia di età dai 45 anni ai 74 anni di età, tenuto conto che in alcune regioni è stata già adottata l'estensione dello screening a donne tra 45 e 74 anni con mammografia annuale;

4) ad aggiornare il sistema di realizzazione dello screening mammario, usufruendo delle possibilità oggi consentite dalla tecnologia e dalla comunicazione digitale, prevedendo che l'informazione e l'avviso per l'effettuazione dello screening possa avvenire tramite sms o altra tecnologia;

5) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, l'accesso a tutte le ulteriori indagini specialistiche per le donne ad alto rischio di carcinoma mammario per ragioni di familiarità o mutazione genetica;

6) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare che in tutte le regioni sia garantita, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, la ricostruzione mammaria contestuale all'atto demolitivo, sia per le protesi che per tutti i tipi di intervento di ricostruzione anche con tessuti autologhi;

7) ad assicurare che i protocolli terapeutici e assistenziali siano uniformi in tutte le regioni in conformità al Piano oncologico nazionale vigente e alle linee guida pubblicate nel Programma nazionale per le linee guida dell'Istituto superiore di sanità, adottando ogni iniziativa di competenza volta a verificarne periodicamente l'adozione in tutte le strutture sanitarie;

8) a garantire che in tutte le strutture sanitarie oncologiche siano presenti figure professionali per il supporto psicologico delle donne che si sottopongono al complesso e doloroso percorso di cura conseguente al tumore al seno, sostenendo anche l'istituzione in ogni unità complessa di oncologia di un servizio di psiconcologia riservato ai pazienti e ai familiari;

9) ad assicurare che il riconoscimento dell'invalidità civile per le donne che ne hanno diritto sia rapido;

10) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare il più rapido accesso al farmaco e all'innovazione farmacologica a tutte le pazienti che sono affette da carcinoma mammario;

11) a verificare e quindi ad adottare iniziative di competenza volte a superare la coesistenza di diverse procedure di approvazione per una medesima patologia che differenzia le pazienti che ne sono affette a seconda della bassa o alta presenza della proteina Her2, garantendo a tutti i pazienti affetti da cancro metastatico al seno, sia Her2+ che Her2 low, il medesimo trattamento di cura, assicurando a tutti i pazienti i medesimi tempi di accesso al farmaco;

12) ad implementare, assicurandone una maggiore capillarità, le campagne informative per la prevenzione del tumore al seno che coinvolgano i medici di medicina generale, le strutture consultoriali di tutte le regioni, le scuole e le università e gli ambienti di lavoro;

13) a definire un piano strategico per l'eliminazione dei principali fattori di rischio del tumore al seno, attraverso azioni mirate alla promozione dei corretti stili di vita e all'informazione puntuale dei diversi fattori di rischio evitabili (fumo di tabacco, consumo di bevande alcoliche e un alto indice di massa corporea), prevedendo campagne informative specifiche, anche attraverso i media, che indichino come il fumo, l'alcol e un'alimentazione sbagliata siano all'origine anche del tumore al seno, oltre che di altri tipi di tumori;

14) a garantire che nel territorio nazionale siano presenti ambulatori specifici per le donne in menopausa, tenuto conto che esiste una stretta correlazione tra l'insorgenza del tumore mammario e gli ormoni femminili e che il rischio di tumore al seno aumenta per effetto della terapia ormonale sostitutiva con associazione di estrogeni e progestinici, in età perimenopausale e in menopausa, soprattutto se protratta per più di 5 anni;

15) a sostenere, con azioni mirate, l'allattamento al seno, tenuto conto che, come più volte ribadito, lo stesso riduce il rischio di tumore al seno;

16) ad adottare iniziative volte a completare il percorso istitutivo del registro nazionale tumori e della rete dei registri regionali, nonché del referto epidemiologico nazionale, assicurando un corretto conferimento dei dati regionali relativi al tumore al seno in un unico e funzionante database nazionale.
(1-00214) «Sportiello, Quartini, Marianna Ricciardi, Di Lauro, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Fenu».

(16 novembre 2023)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO PRODUTTIVO
E OCCUPAZIONALE DEGLI STABILIMENTI ITALIANI DI STELLANTIS

   La Camera,

   premesso che:

    1) il settore dell'automotive rappresenta un pilastro strategico dell'industria italiana, con un fatturato di oltre 90 miliardi di euro (5,2 per cento del prodotto interno lordo, ma nel 2022 ha prodotto solo 460 mila vetture – rispetto alle 743 mila del 2019 – a riprova di una drastica diminuzione della produzione negli ultimi dieci anni, ulteriormente aggravata dalla pandemia;

    2) il dato italiano desta maggiori preoccupazioni se paragonato con quello di altri Paesi dell'Unione europea – Germania (3,5 milioni), Francia (1 milione), Spagna (1,7 milioni) – e con quello del Regno Unito (764 mila);

    3) nel corso del 2020, sfruttando l'inedito strumento «Garanzia Italia» stanziato dal decreto-legge «liquidità» (decreto-legge n. 23 del 2020), Fca Italy, controllata del gruppo Fca – avente sede legale in Olanda – ha ottenuto un prestito di circa 6,3 miliardi di euro, pari a circa il 25 per cento del fatturato, limite massimo ottenibile;

    4) tale prestito, da ripagare con interessi entro tre anni, prevedeva alcune condizionalità, tra cui la rinuncia alla distribuzione di un dividendo di circa 1,1 miliardi di euro nel primo anno e la destinazione esclusiva delle risorse verso il finanziamento delle attività produttive e industriali di Fca Italy, inclusi quindi gli stabilimenti localizzati in Italia;

    5) a seguito della fusione già in corso tra Fca e il gruppo francese Psa – finalizzata nel gennaio 2021 con la nascita di Stellantis – e ad un anno dall'erogazione del prestito garantito dallo Stato, Fca e Psa hanno riconosciuto ai propri azionisti un maxi-dividendo di circa 5,5 miliardi di euro, rivisti poi a 2,9 miliardi;

    6) il rapporto delle istituzioni con Fca, dopo la morte di Sergio Marchionne, non ha riflettuto alcuna logica di reale salvaguardia della presenza del gruppo automobilistico in Italia, contribuendo nei fatti ad arrivare, con la colpevole disattenzione anche delle organizzazioni sindacali e degli organi di informazione, alla più grande deindustrializzazione della storia della Repubblica italiana;

    7) se, infatti, nel 2017 la produzione di veicoli aveva superato il milione di unità, nel 2023 la cifra è scesa fino a toccare quota 751 mila, con un calo occupazionale del 30 per cento. Inoltre, nei primi sei mesi del 2024, considerando sia auto che veicoli commerciali, Stellantis Italia ha prodotto 303.510 veicoli, facendo registrare una riduzione di oltre il 25 per cento rispetto al primo semestre 2023. Se l'andamento produttivo del primo semestre 2024 dovesse riconfermarsi nei mesi a venire, la produzione annuale si attesterebbe intorno alle 500.000 unità, un calo di oltre il 33 per cento rispetto ai 751.000 veicoli del 2023. Un risultato simile corrisponderebbe ad appena la metà dell'obiettivo di produzione fissato per il 2030 dal Governo e concordato con Stellantis, pari a 1 milione di veicoli l'anno;

    8) oltre alla questione legata allo stabilimento Marelli Holdings di Crevalcore e risalente allo scorso anno, tutto ciò viene riflesso anche dall'impietoso confronto tra gli stabilimenti italiani – divenuti ormai l'ottava produzione europea – e quelli francesi di Stellantis: questi ultimi sono pressoché tutti pronti alla produzione di veicoli elettrici o ibridi e in corso di riconversione, mentre in Italia nemmeno la metà. Per quanto riguarda la ricerca, nel 2021 la divisione italiana ricerca e sviluppo ha depositato appena un decimo dei brevetti rispetto all'omologa francese;

    9) a questi fatti si sono aggiunte le notizie di questi mesi su chiusure, cassa integrazione e limitazione della produzione nei vari stabilimenti del gruppo, oltre a lettere inviate dallo stesso gruppo ai fornitori circa le opportunità di investimento in Africa e l'apertura, esemplificativa, di uno stabilimento nella città di Orano (Algeria) lo scorso dicembre 2023, alla presenza del viceministro italiano Valentini;

    10) la stessa Presidente del Consiglio dei ministri, nel rispondere ad un question-time il 29 gennaio 2024, ha ribadito come si debba avere «il coraggio di criticare alcune scelte che sono state fatte dalla proprietà e dal management del gruppo quando sono stati distanti dagli interessi italiani» e che, anche alla luce del fatto che nel consiglio di amministrazione di Stellantis siede un rappresentante del Governo francese, «le scelte industriali del gruppo tengano in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane»;

    11) in quella stessa occasione, la Presidente del Consiglio dei ministri Meloni sottolineò come fosse intenzione dell'attuale Governo «difendere [...] i livelli occupazionali e tutto l'indotto dell'automotive» anche con l'obiettivo di «tornare a produrre in Italia almeno un milione di veicoli l'anno»;

    12) tali dichiarazioni di intenzione, nonostante l'apertura del tavolo automotive presso il Ministero delle imprese e del made in italy avvenuto il 6 dicembre 2023 e i successivi incontri del tavolo stesso, dove Stellantis ha confermato ancora una volta l'impegno nei confronti dell'Italia e la centralità del nostro Paese nella strategia globale del gruppo, e dove il Ministero ha discusso con gli altri attori della filiera l'introduzione di nuovi incentivi per le produzioni ad elevato contenuto di componentistica italiana ed europea, non hanno trovato riscontro nella realtà, come evidenziato dai risultati produttivi del primo semestre 2024;

    13) nonostante, poi, le recenti dichiarazioni del Ministro Urso – secondo cui «La priorità è il sostegno alla filiera nazionale e all'occupazione [...]» – e la dotazione del fondo automotive che può contare ancora su quasi 6 miliardi di euro fino al 2030, i vertici del gruppo Stellantis seguitano con quella che potrebbe essere definita una vera e propria «fuga» dai confini nazionali anche per mezzo di una campagna comunicativa polemica e ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo di natura ricattatoria, come dimostrato pochi giorni fa dall'invito agli operai di Mirafiori di trasferirsi in Polonia;

    14) toni ricattatori che seguono una lunga scia del gruppo, confermata anche dalle parole del febbraio 2024 dell'amministratore delegato Carlos Tavares, il quale reclamava a gran voce sussidi per l'elettrificazione, pena il rischio di chiusura degli stabilimenti italiani;

    15) il calo produttivo e delle relative commesse ha coinvolto nelle ultime settimane persino lo storico stabilimento di Atessa, dove negli ultimi 40 anni erano stati prodotti oltre 7,3 milioni di furgoni e veicoli commerciali: a partire da giugno 2024, con un calo produttivo arrivati a circa 800 veicoli, dapprima è stata richiesta una cassa integrazione parziale, seguita dalla fermata del turno pomeridiano e da un nuovo ricorso alla cassa integrazione fino almeno al prossimo 15 settembre;

    16) discorso analogo per quanto riguarda lo stabilimento di Cassino, che ha visto una netta riduzione del personale e un costante ricorso agli ammortizzatori sociali. A causa del calo degli ordini, lo stabilimento è rimasto chiuso questa estate dal 31 luglio e lo rimarrà almeno fino al 15 settembre 2024, ovvero una settimana aggiuntiva rispetto a quanto previsto inizialmente: una chiusura di 40 giorni mai registrata finora. Lo stabilimento di Cassino, il quale negli ultimi 3 anni ha perso circa il 30 per cento dei dipendenti, passando da 4.200 unità a 3.000 unità, ha peraltro certificato un calo produttivo del 40 per cento nel primo trimestre dell'anno in corso rispetto al già non brillante 2023;

    17) le promesse evidentemente non mantenute da Stellantis circa gli investimenti e i livelli occupazionali degli stabilimenti italiani sono incompatibili con le rassicurazioni date per mezzo stampa e durante gli incontri tenuti al Ministero e, oltretutto, risultano inaccettabili alla luce delle garanzie pubbliche ottenute nel corso del 2020,

impegna il Governo

1) a convocare con la massima urgenza il presidente di Stellantis, John Elkann, e l'amministratore delegato, Carlos Tavares, per chiarire quali siano i piani industriali del gruppo con riferimento agli stabilimenti italiani e con quali garanzie sugli investimenti e sui livelli occupazionali.
(1-00316) «Richetti, Benzoni, Bonetti, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Ruffino, Onori, Rosato, Pastorella».

(11 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il settore dell'automotive riveste un ruolo centrale nell'economia italiana, comprendendo tutte le imprese coinvolte nella produzione di autoveicoli, a partire dalle imprese che producono materie prime e macchine utensili, passando per le imprese più strettamente produttive, fino ad arrivare alle aziende che si occupano di imballaggi, trasporto merci e servizi legati agli autoveicoli, e quella dei servizi automotive, con 5.500 imprese, oltre un milione e duecentomila addetti e un fatturato con un'incidenza percentuale sul prodotto interno lordo includendo i servizi, a due cifre;

    2) la filiera automotive italiana si posiziona nei segmenti a più elevato valore aggiunto grazie non solo alle eccellenze nella produzione di autoveicoli di alta gamma e di autoveicoli commerciali, ma anche in virtù delle specializzazioni produttive che caratterizzano in particolare i distretti della componentistica;

    3) la produzione di auto in Italia mostra scenari preoccupanti: da quasi un milione e mezzo di veicoli prodotti nel 1999 si è scesi a 473 mila nel 2022; solo a Torino nel 2007 venivano fabbricate 218 mila auto, nel 2019 si è arrivati a 21 mila;

    4) tale calo di produzione determina anche la crisi dell'indotto del settore: a partire dal 2008, nella componentistica torinese più di 500 aziende hanno cessato l'attività e 35 mila persone hanno perso il lavoro. Le crisi si estendono e si moltiplicano in tutto il Paese, dall'area industriale di Melfi, Cassino, Termoli e Atessa, alla decisione di chiusura della Marelli a Crevalcore ribaltata grazie alla mobilitazione che ha portato ad un importante progetto di reindustrializzazione, alla gravissima crisi della Lear a Grugliasco;

    5) il comparto dell'automotive italiano si presenta articolato e composto da numerose realtà: da quelle specializzate nella produzione di autoveicoli fino alla componentistica, segmento quest'ultimo nel quale le imprese nazionali hanno sempre saputo distinguersi: una filiera produttiva in cui operano 5.439 imprese, risultano occupati oltre 272.000 addetti e che genera un fatturato di poco superiore a 100 miliardi di euro, pari al 5,6 per cento del Pil nazionale, con un contributo al gettito fiscale per oltre 76 miliardi di euro (dati Anfia 2023);

    6) da una ricerca condotta da Cassa depositi e prestiti, Ernst & Young e Luiss Business School, emerge come circa il 20 per cento del valore aggiunto generato dalla filiera della componentistica risulti fortemente radicato nei mercati internazionali (la Germania resta il primo cliente nell'Unione) e inglobato dai prodotti esportati dagli altri partner commerciali. Nel 2022, il nostro Paese ha esportato il 12,5 per cento di tutte le produzioni manifatturiere nazionali, per un valore di circa 73 miliardi di euro e, con riferimento alla sola componentistica per autoveicoli, circa il 21 per cento per un valore intorno ai quattro miliardi;

    7) la situazione di Stellantis è sempre più preoccupante: con sei stabilimenti produttivi, la forza lavoro nazionale del gruppo conta circa 40 mila addetti; a partire dal 2015 il personale è diminuito di 11.500 unità, con il costante ricorso agli ammortizzatori sociali tra cassa integrazione e contratti di solidarietà in tutti gli stabilimenti e alle uscite incentivate (3.800 solo nei primi mesi del 2024);

    8) l'Italia sta pagando un prezzo molto alto per la presenza di un solo produttore di automobili: la produzione del primo semestre 2024 rispetto all'analogo periodo del 2023 è precipitata del 30 per cento e a Torino addirittura del 64 per cento; la cassa integrazione è in aumento ovunque e in Piemonte è cresciuta di più del 47 per cento in un anno; senza nuovi modelli la situazione dei lavoratori di Stellantis e dell'indotto potrà solo peggiorare;

    9) i 950 milioni di euro di euro di incentivi all'acquisto stanziati nel 2024 non hanno in alcun modo invertito la rotta;

    10) al tavolo che si è tenuto il 20 febbraio 2024 a Torino con il sindaco, l'assessore regionale alle attività produttive del Piemonte, le organizzazioni sindacali e Stellantis non sono emersi impegni concreti da parte dell'azienda;

    11) ad agosto 2024, Stellantis ha proposto a una decina di operai il trasferimento in Polonia per mantenere il posto di lavoro;

    12) il 12 settembre 2024 Stellantis ha comunicato l'ennesimo stop produttivo che bloccherà la produzione della 500 elettrica per un intero mese;

    13) il 17 settembre 2024 il Ministro delle imprese e del made in Italy Urso ha reso noto che il Governo ha deciso di spostare su altri progetti i fondi del PNRR destinati a co-finanziare la Gigafactory di Stellantis a Termoli, annunciata nel 2021;

    14) il periodo di sofferenza per Mirafiori, quindi, prosegue nonostante le dichiarazioni di Stellantis, la quale ha sempre affermato di voler puntare sullo stabilimento torinese per la realizzazione di un «green campus»; a queste parole però non seguono i fatti e non si può che constatare il periodo di difficoltà che sta affrontando il sito in questo momento, in particolare nei reparti della carrozzeria;

    15) sul destino di Mirafiori e Pomigliano si rincorrono periodicamente annunci, dichiarazioni e indiscrezioni che non precipitano ancora in una seria trattativa tra Governo, azienda e organizzazioni sindacali, né in azioni concrete per il rilancio degli stabilimenti. L'apertura del battery center e del cosiddetto hub dell'economia circolare denominato Sustainera nel corso del 2023 a Torino non hanno infatti portato a nessuna nuova assunzione;

    16) da troppi anni le organizzazioni sindacali sottolineano la necessità che vengano individuati nuovi modelli, vengano effettuate assunzioni e abbandonato il ricorso alla cassa integrazione, per non arrivare all'eutanasia dello stabilimento di Mirafiori e dell'indotto che verrà inevitabilmente travolto. In meno di 10 anni, infatti, la maggior parte dei lavoratori di Mirafiori andrà in pensione e un piano di assunzioni risulta essenziale perché possa restare aperto;

    17) anche nello stabilimento di Pomigliano vi è forte preoccupazione, da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, per il futuro della fabbrica e i timori nascono dalla mancanza di un piano industriale e dal fatto che le uniche notizie ufficiali sono che il 2029 sarà l'ultimo anno di produzione della Panda, modello che ha consentito la sopravvivenza dello stabilimento, e che dal 2025 sarà in diretta concorrenza con la nuova Grande Panda, elettrica e ibrida, costruita in Serbia;

    18) secondo uno studio di Federcontribuenti, dal 1975 al 2012 Fiat ha ricevuto dallo Stato italiano 220 miliardi di euro per cassa integrazione, sviluppo industriale, sussidi, implementazione degli stabilimenti;

    19) nel 2020 a Fca sono stati concessi 6,3 miliardi di euro di linea di credito con garanzia Sace: il prestito è stato restituito, ma senza che i livelli di produzione tornassero mai a quelli precedenti la pandemia;

    20) Stellantis produce in Francia un milione di auto e 15 modelli e quasi tutta la componentistica, mentre in Italia meno di 500 mila auto e 13 modelli a fine vita risalenti all'epoca Fca, il che vuol dire che da quando c'è Stellantis nessuna produzione di nuovi modelli è stata portata in Italia;

    21) Stellantis a livello mondiale ha chiuso il 2023 con un utile netto di 18,6 miliardi di euro, in crescita dell'11 per cento sul 2022, e ricavi netti per 189,5 miliardi di euro, annunciando un dividendo di 1,55 euro per azione ordinaria; circa il 16 per cento in più del 2022. Exor, la holding della famiglia Elkann che detiene il 14 per cento delle azioni di Stellantis, ha incassato per il 2023 circa 700 milioni di euro di dividendi, contro i 140 milioni di euro del 2020. Tavares nel 2023 ha percepito 23 milioni di euro, pari alla retribuzione di 12.000 dipendenti, mentre le lavoratrici e i lavoratori da tanti anni sono interessati da un massiccio utilizzo di cassa integrazione con incertezze sulla tenuta occupazionale e una significativa decurtazione del salario;

    22) le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l'evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti, e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini, impongono alle grandi aziende automobilistiche l'avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione. Di conseguenza, è necessaria anche una politica industriale finora assente nell'azione di Governo, proprio in un contesto in cui questa fase di trasformazione, se ben supportata, potrebbe rappresentare una opportunità di ritornare a crescere;

    23) per la filiera dell'industria automobilistica è necessario sviluppare ecosistemi, tramite anche il coinvolgimento delle università, per sostenere la riconversione produttiva verso l'elettrico, la ricerca e lo sviluppo di prodotti e tecnologie in modo da poter assecondare la domanda emergente nel mercato di riferimento e di competere a livello globale, nonché la riqualificazione professionale degli addetti. In assenza di tali politiche si prefigura il rischio di ulteriori chiusure e licenziamenti di personale;

    24) il nostro parco di autovetture (38,5 milioni) e di veicoli commerciali (3,97 milioni) è fra i più vetusti, insicuri ed inquinanti d'Europa con il 29 per cento delle vetture e il 47 per cento degli autocarri che hanno un'omologazione tra Euro 0 e Euro 3. Risulta quindi evidente l'urgenza di politiche volte a svecchiare il circolante e aumentare l'infrastrutturazione per la mobilità sostenibile, dal momento che la media di colonnine di ricarica ogni 100 chilometri è di 12,3 in Unione europea e in Italia siamo a 7,9;

    25) una politica industriale che non contrasta il ritardo e, anzi, in qualche modo lo incentiva rischia, nel corso dei prossimi anni, di aggravare la situazione, mentre sarebbe necessario farsi promotori di un piano per la gestione a livello europeo della transizione ecologica con strumenti comuni e avviare immediatamente una trattativa con Stellantis per salvaguardare l'occupazione e mantenere la capacità produttiva degli impianti,

impegna il Governo:

1) a convocare con la massima urgenza il presidente e l'amministratore delegato di Stellantis per richiamare il gruppo alle sue responsabilità e pervenire ad un accordo quadro sul settore automotive che rilanci un settore in forte crisi e che tuteli l'occupazione;

2) a rendere permanente il tavolo automotive già costituito presso il Ministero delle imprese e del made in Italy e a spostarlo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, allo scopo di mantenere costante il dialogo tra le parti sociali, i rappresentanti delle regioni, le associazioni di categoria, le case produttrici e le istituzioni;

3) ad adottare iniziative volte a condizionare i finanziamenti pubblici alla tutela di posti di lavoro stabili e a tempo indeterminato e, solo successivamente, a varare incentivi pluriennali per l'acquisto di autovetture ibride ed elettriche per riportare il prezzo delle autovetture ad un livello sostenibile per il consumatore;

4) ad adottare iniziative volte a varare urgentemente nuovi ammortizzatori sociali perché le aziende del settore automotive stanno esaurendo le settimane di cassa integrazione e per la necessità di integrare il reddito dei lavoratori altrimenti penalizzati;

5) a esigere che Stellantis porti in Italia la progettazione e la produzione di nuovi modelli mass market al fine di garantire il milione di autoveicoli prodotti a più riprese promesso;

6) ad adottare iniziative di competenza finalizzate ad un piano di assunzioni per determinare il necessario cambio generazionale e fermare la dinamica delle uscite volontarie che stanno svuotando gli stabilimenti;

7) ad adottare iniziative di competenza per delineare un nuovo e solido quadro finanziario volto a sostenere il progetto di Acc per la costruzione della Gigafactory nel sito di Termoli ed ottenere da Acc e Stellantis l'approvazione di un nuovo piano industriale che fissi tempi certi per l'avvio dei lavori, al fine di dare prospettiva ai 2.000 lavoratori impegnati attualmente nello stabilimento Stellantis oltre a quelli dell'indotto;

8) ad avviare ogni iniziativa di competenza al fine di incentivare la presenza nel nostro Paese di almeno un altro costruttore che, nel rispetto delle regole europee e italiane, garantisca un futuro al settore automotive in Italia e che si appoggi alla catena di fornitura presente nel nostro Paese.
(1-00327) «Appendino, Pavanelli, Cappelletti, Ferrara, Auriemma, Lomuti, Francesco Silvestri, Torto, Ilaria Fontana».

(20 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il settore automobilistico è la punta di diamante della produzione industriale metalmeccanica, ma negli anni '90 l'Italia si sfidava con la Germania per veicoli prodotti, ora è sotto la Repubblica ceca. Nel 1992 l'Italia era il secondo produttore in Europa e il quinto nel mondo con oltre 2 milioni di autovetture prodotte. Nel 2024 non si arriverà a 350 mila auto e 650 mila se si aggiungono i veicoli commerciali;

    2) l'automotive e la sua filiera rappresentano un comparto strategico per il sistema industriale del Paese che produce l'11 per cento del prodotto interno lordo nazionale;

    3) il gruppo automobilistico Stellantis – nato nel 2021 dalla fusione tra Psa (ex Peugeot-Citröen) e Fca (a sua volta nata dalla fusione tra Fiat e Chrysler) – ha annunciato la sospensione fino all'11 ottobre 2024 della produzione della Fiat 500 elettrica nello stabilimento di Mirafiori, a Torino;

    4) dal 2014 ad oggi sono 11.500 i lavoratori diretti usciti dagli stabilimenti italiani di Stellantis, di cui 2.800 dagli enti centrali. E nel 2024 sono previste ulteriori 3.800 uscite incentivate. A questi vanno aggiunti gli oltre 3.000 lavoratori in somministrazione che risultano licenziati al giugno 2024. Un andamento sull'occupazione che dimostra in maniera esplicita che il problema della crisi di Stellantis non è determinato dalla transizione, bensì da una chiara strategia di disinvestimento;

    5) se si guarda alla situazione produttiva dei singoli stabilimenti il quadro è allarmante. A Cassino si è passati da 30.006 vetture prodotte nel primo semestre del 2023 a 18.375 nel 2024; a Melfi da 99.085 nel 2023 a 56.935 nel 2024; a Mirafiori da 52.000 a 18.500; a Modena da 600 a 160. L'unico stabilimento dove si registra una leggera crescita è Pomigliano dove nel primo semestre del 2023 sono state prodotte 71.520 auto, mentre 85.080 nello stesso periodo del 2024. Infine, per quanto riguarda i veicoli commerciali leggeri prodotti alla Sevel, il calo è da 115.250 nel 2023 a 114.670 nel 2024;

    6) ad agosto 2024, finito l'effetto degli incentivi di giugno e luglio, le vendite di auto in Italia hanno fatto registrare un calo del 13,4 per cento. Stellantis ad agosto 2024 ha perso oltre il 30 per cento delle vendite e il marchio Fiat, ancora primo in Italia negli otto mesi, ad agosto è stato superato da Toyota, Volkswagen e Dacia;

    7) tra gennaio e settembre 2024 a Mirafiori sono state prodotte 18.500 auto contro le 52 mila dello stesso periodo 2023, con un calo dell'83 per cento rispetto ai primi otto mesi del 2023. La produzione di auto al suo interno si è drasticamente ridotto nel corso degli anni: oggi è limitata alla 500 elettrica e a due modelli di Maserati. Al momento gli addetti sono 34.000;

    8) a fronte degli 11.500 dipendenti andati via dal 2014, aumentano gli utili, come ricorda anche la Fiom, a discapito dei lavoratori, anche attraverso l'utilizzo massiccio di ammortizzatori sociali e il peggioramento delle condizioni di lavoro negli stabilimenti;

    9) nel 2025, quando scadrà la cassa integrazione per i lavoratori di Melfi, si rischia di perdere circa 25 mila posti di lavoro;

    10) nel primo semestre 2024 la produzione di Stellantis in Italia è scesa di oltre un quarto rispetto ai risultati, già poco performanti, del 2023. Per la precisione la diminuzione è del 25,2 per cento: dagli stabilimenti italiani sono usciti appena 303.510 veicoli. Solo lo stabilimento di Pomigliano registra una leggera crescita (Atessa -0,5 per cento);

    11) nei giorni scorsi, Stellantis ha comunicato ai sindacati che la produzione della 500 elettrica a Mirafiori subirà una sospensione delle attività sino all'11 ottobre 2024. Un duro colpo per gli operai già impegnati in contratti di solidarietà e cassa integrazione fino a dicembre 2024;

    12) lo stop alla produzione della 500 elettrica avrà inevitabilmente un impatto anche sulla filiera dell'indotto, da tempo in grave sofferenza nella cerchia torinese. I 1.400 lavoratori della Denso di Poirino, dove si producono sistemi di condizionamento, sono già in cassa integrazione e i problemi potrebbero non essere finiti perché anche i volumi di commesse da Iveco e New Holland non stanno rispettando le attese, motivo per il quale non si esclude l'annuncio di esuberi nelle prossime settimane. Non va meglio alla Novares di Riva di Chieri dove si producono particolari in plastica per la 500 e la Panda: i 150 operai sono in cassa integrazione e non lavorano più su tre turni. Rallentamenti nella produzione sono stati notati anche nello stabilimento di Magna Olsa, gruppo tedesco con uno stabilimento a Moncalieri dedicato alla produzione di gruppi faro e sistemi di illuminazione. Infine, la Sfc solutions di Ciriè, che produce guarnizioni per auto e camion, ha annunciato, il 3 settembre 2024, otto settimane di cassa integrazione per tutti i 316 dipendenti;

    13) è evidente quindi la crisi della vendita di auto e il calo di commesse interne, che si riflette inevitabilmente sullo stesso settore della componentistica. Un settore che sconta ovviamente soprattutto la riduzione della produzione Stellantis in Italia e la partenza lenta dei nuovi prodotti previsti negli stabilimenti italiani;

    14) il calo di produzione determina quindi anche la crisi dell'indotto del settore: a partire dal 2008, nella componentistica torinese più di 500 aziende hanno cessato l'attività e 35 mila persone hanno perso il lavoro; le crisi si estendono e si moltiplicano in tutto il Paese, dall'area industriale di Melfi, alla cessione della Marelli a Crevalcore (Bologna), alla gravissima crisi della Lear a Grugliasco (Torino);

    15) è bene comunque sottolineare che in questo momento l'impatto dell'elettrico sulla crisi della filiera delle forniture automotive è assai limitato. Dai dati dell'Osservatorio sulle trasformazioni dell'ecosistema automotive italiano, risulta che su 2.300 componentisti, solo 100 hanno la totalità dei loro componenti utilizzabili solo sul motore endotermico;

    16) negli ultimi anni il numero di auto prodotte nello stabilimento Fiat di Mirafiori di Torino è diminuito decisamente. Non solo non vengono fatte assunzioni per sostituire i dipendenti che vanno in pensione, ma i licenziamenti vengono incentivati con contributi economici. Diverse produzioni sono state spostate all'estero, mentre in altri Paesi come la Francia sono stati aperti nuovi stabilimenti e assunti dipendenti;

    17) nel 2023 Stellantis aveva annunciato investimenti per lo stabilimento di Torino, ma per certi versi marginali rispetto alla produzione e all'assemblaggio di nuovi modelli che verranno invece costruiti all'estero;

    18) Torino è la città più esposta al grave declino e disimpegno di Stellantis, con conseguenze pesantissime sull'occupazione e sulla stessa città di Torino e i suoi abitanti;

    19) il periodo di sofferenza per Mirafiori, quindi, prosegue nonostante le dichiarazioni di Stellantis, la quale ha sempre affermato di voler puntare sullo stabilimento torinese per la realizzazione di un «green campus»; a queste parole però non seguono i fatti e non si può che constatare il periodo di difficoltà che sta affrontando il sito in questo momento, in particolare nei reparti della carrozzeria;

    20) a luglio 2024 Stellantis del 2024 ha avviato la vendita della quota di maggioranza di Comau – azienda specializzata nell'automazione industriale – al fondo di investimento statunitense One equity partners, privandosi così di un comparto ad alto contenuto tecnologico e innovativo, che conta circa 750 dipendenti solo a Grugliasco, di cui circa 70 operai e operaie;

    21) in precedenza era successo con la Marelli, che dopo la cessione nell'ottobre 2018 da Fca alla giapponese Calsonic Kansei, a sua volta integralmente controllata dal fondo di investimento americano Kkr, ha subito un percorso di licenziamenti e chiusure, anche nello stabilimento piemontese di Venaria;

    22) recentemente è trapelata l'indiscrezione secondo la quale la dirigenza Stellantis intenderebbe trasferire in Polonia una decina di lavoratori di Mirafiori, ulteriore drammatico segnale di un'azienda senza strategia e che intende disimpegnarsi dall'Italia;

    23) nonostante l'azienda abbia più volte ribadito la centralità dello stabilimento torinese e assicurato che «è fermamente impegnata a garantire la continuità di tutti i suoi impianti e delle sue attività e sta lavorando duramente per gestire al meglio e traguardare questa difficile fase della transizione», la cassa integrazione continua inesorabilmente con un ennesimo stop produttivo;

    24) tutto questo avviene mentre la stessa azienda nei giorni scorsi ha mandato una mail per offrire a prezzi scontati le Maserati ai propri dipendenti che ne guadagnano 1.200 al mese. L'assurda iniziativa commerciale riguarda tre modelli: il Grecale prodotto a Cassino, GranTurismo e GranCabrio che nascono a Mirafiori. I modelli costano dagli 80 ai 180 mila euro;

    25) dei diversi modelli del gruppo Fiat un tempo prodotti in Italia e oggi delocalizzati in altri Paesi, si ricordano la 500 algerina, la Panda serba, la Topolino prodotta anche in Marocco, l'Alfa Romeo Junior realizzata in Polonia;

    26) nonostante tutti gli annunci, da parte di Stellantis sull'Italia non ci sono strategie. Né sull'auto di massa, storicamente la più forte, né sul lusso. Anche la Maserati ha volumi di produzione minimi;

    27) sulla linea Maserati la situazione della produzione è infatti critica. Sul fronte produttivo si sono raggiunte le 1.850 unità: una diminuzione del 70 per cento rispetto al 2023. Negli anni migliori di Maserati la produzione, tra Grugliasco e Mirafiori, nel primo semestre raggiungeva oltre le 27.000 unità (anno 2017). Oltre ai 65 giorni di stop produttivo nel primo semestre, dal 3 aprile fino al 31 dicembre 2024 viene utilizzato il contratto di solidarietà per circa 968 lavoratori in base agli ordinativi da evadere;

    28) dal secondo trimestre vengono prodotte solo le Maserati Gt e Gc anche nelle versioni Folgore full-electric, ma a tutt'oggi non riescono a compensare il fermo produttivo di Ghibli, Quattroporte e Levante;

    29) sul destino di Mirafiori e Pomigliano si rincorrono periodicamente annunci, dichiarazioni e indiscrezioni che non precipitano ancora in una seria trattativa tra Governo, azienda e organizzazioni sindacali, né in azioni concrete per il rilancio degli stabilimenti. L'apertura del battery center e del cosiddetto hub dell'economia circolare denominato Sustainera nel corso del 2023 a Torino non hanno infatti portato a nessuna nuova assunzione;

    30) anche la quota di partecipazione del 20 per cento acquisita nel 2023 dal marchio cinese Leapmotor non affiancherà infine nuove vetture elettriche alla produzione della Cinquecento elettrica a Mirafiori, perché a quanto pare la produzione di tali modelli si svolgerà in Ungheria;

    31) secondo uno studio di Federcontribuenti, dal 1975 al 2012 Fiat ha ricevuto dallo Stato italiano 220 miliardi di euro per cassa integrazione, sviluppo industriale, sussidi, implementazione degli stabilimenti;

    32) nel 2020 a Fca sono stati concessi 6,3 miliardi di euro di linea di credito con garanzia Sace: il prestito è stato restituito, ma senza che i livelli di produzione tornassero mai a quelli precedenti la pandemia;

    33) Stellantis produce in Francia un milione di auto e 15 modelli e quasi tutta la componentistica, mentre in Italia sono prodotte circa 500 mila auto e 7 modelli;

    34) Stellantis, anche grazie al progressivo passaggio alla produzione di auto elettriche, ha iniziato il secondo semestre del 2024, confermando il secondo posto nella classifica europea, con una quota di mercato totale di quasi il 18 per cento. Il gruppo risulta al vertice in Francia, Italia e Portogallo ad agosto 2024 e dall'inizio dell'anno, mentre in Austria, Germania e Polonia registra una crescita costante;

    35) Stellantis Pro One, in particolare, conferma la propria leadership nel settore dei veicoli commerciali, con una quota di mercato che sfiora il 29 per cento e un incremento dei volumi dell'1,4 per cento. Nel mercato lev (low-emission-vehicle), Stellantis ha registrato un aumento continuo delle vendite, con una crescita delle elettriche (Bev) in Francia e Regno Unito nel corso del 2024;

    36) è improcrastinabile che Stellantis presenti al più presto un serio e credibile progetto industriale indicando espressamente quali investimenti, quali nuovi modelli, quali garanzie sotto il profilo produttivo e occupazionale;

    37) i nostri siti produttivi potrebbero fare un milione e mezzo di auto e il Governo si è impegnato a farne almeno un milione. La realtà è che nel 2023 ne facevamo 750 mila, nel 2024 si chiuderà a 500 mila. In Francia ne producono un milione e mezzo e hanno 15 modelli;

    38) nel 2025 sia l'indotto che Stellantis esauriranno gli ammortizzatori sociali e, se non si interviene per tempo, ci saranno licenziamenti di massa;

    39) a tale quadro desolante corrisponde paradossalmente una crescita esponenziale degli utili di esercizio e del valore aggiunto per addetto realizzati da Stellantis;

    40) l'Unione europea si è impegnata a diventare un'area a «impatto climatico zero» entro il 2050 e il settore dei trasporti, che rappresenta un quarto delle emissioni totali di gas serra della stessa Unione europea, è un ambito su cui è prioritario intervenire, per raggiungere l'obiettivo europeo di neutralità climatica;

    41) secondo la ricerca «La rivoluzione dell'automotive», condotta e realizzata dall'Associazione economisti dell'energia per Federmanager, entro il 2030 i veicoli elettrificati arriveranno a rappresentare oltre il 70 per cento delle vendite in Europa e più del 40 per cento negli Stati Uniti, mentre entro il 2026 il costo totale delle auto elettriche uguaglierà quello dei veicoli a combustione interna e già da tempo molte case automobilistiche europee hanno deciso di convertire la propria filiera verso un radicale passaggio all'elettrico, anche anticipando, in molti casi, le scadenze previste dalle normative dell'Unione europea;

    42) a livello di Unione europea e nel nostro Paese, le case automobilistiche hanno preferito continuare a fare margini facili sull'endotermico piuttosto che puntare con forza sull'elettrico, con la conseguenza che i produttori coreani e cinesi stanno guadagnando un vantaggio competitivo che si traduce in una maggiore offerta di auto elettriche e a prezzi più bassi. Sotto questo aspetto è evidente che i produttori europei devono colmare rapidamente il gap in termini di offerta di prodotto, senza illudersi che uno spostamento dei termini del phase out al 2035 li protegga realmente dalla competizione. L'unico effetto, in negativo, sarebbe solo sull'ambiente,

impegna il Governo:

1) a convocare in tempi rapidi l'amministratore delegato di Stellantis per concordare un piano di rilancio e vincolare Stellantis stessa al rispetto degli impegni presi in termini di investimenti per nuovi modelli, di livelli di produzione nazionale di autovetture, di garanzie sotto il profilo occupazionale;

2) ad adottare le opportune iniziative per la proroga degli ammortizzatori sociali nel settore dell'automotive allo scopo di impedire licenziamenti di massa;

3) ad adottare iniziative volte a prevedere forme di integrazione al reddito per le lavoratrici e i lavoratori in cassa integrazione da lungo tempo;

4) a elaborare, in accordo con le parti sociali, misure di politiche industriali, energetiche e infrastrutturali atte a difendere e rilanciare la filiera italiana dell'automotive e, in particolare, a:

  a) favorire forti investimenti per la produzione di modelli mass market, avviando tutte le iniziative, anche in ambito europeo, necessarie a ridurre il gap con i produttori, soprattutto cinesi e coreani, che stanno guadagnando un notevole vantaggio competitivo con l'offerta di auto elettriche molto più articolata e meno cara;

  b) sostenere l'indotto e il comparto della componentistica;

  c) favorire gli investimenti anche stranieri nel pieno rispetto di salari, norme e contratti di lavoro e contenenti la valorizzazione dell'indotto nazionale;

  d) favorire partnership con produttori cinesi e internazionali più avanzati nella produzione di modelli elettrici, in grado di garantire un aumento sensibile della produzione nazionale di auto elettriche;

  e) tutelare le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, mediante misure quali incentivi per favorire accordi tra le parti per la riduzione di orario di lavoro a parità di salario, nonché piani per la riqualificazione del personale;

  f) sostenere con forza, anche in ambito di Unione europea gli investimenti del settore dell'automotive per garantire, nei tempi e modi previsti, la transizione all'elettrico.
(1-00328) «Grimaldi, Ghirra, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(20 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) nel 2014, dalla fusione tra Fiat e Chrysler, nasce Fiat Chrysler Automobiles (Fca), con sede legale ad Amsterdam e domicilio fiscale a Londra;

    2) a dicembre 2019 i Consigli di amministrazione di Fca e del gruppo francese Psa hanno annunciato la fusione tra le due società per dare vita al quarto gruppo mondiale del settore per volumi di vendita;

    3) a marzo 2020 Fca ha ricevuto un prestito da 6,3 miliardi di euro a un tasso agevolato con garanzia pubblica all'80 per cento di Sace, nell'ambito della procedura prevista dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23. A fronte della garanzia, Fca si era impegnata a utilizzare le risorse a supporto del piano industriale prevedendo: a) investimenti in Italia per 5,2 miliardi di euro; b) pagamenti ai fornitori e al personale degli stabilimenti italiani; c) gestione dei livelli occupazionali attraverso accordi sindacali; d) divieto di distribuzione dei dividendi ordinari e di riacquisto di azioni proprie;

    4) il 21 dicembre 2020 l'Unione europea ha approvato la fusione tra le due società;

    5) il 4 gennaio 2021 le assemblee degli azionisti di Psa e Fca hanno deliberato la fusione divenuta effettiva il 16 gennaio 2021, sette mesi dopo la concessione del prestito con garanzia pubblica del Governo italiano, e dalla fusione tra Fca e Groupe Psa, è nata Stellantis N.V., holding multinazionale con sede nei Paesi Bassi;

    6) nel 2021 il Governo decise di non esercitare i poteri speciali (Golden power) sull'operazione di fusione tra Fiat Chrysler Automobiles N.V. e Peugeot S.A., ritenendola non oggetto di obbligo di notifica;

    7) il Governo francese, invece, concordò l'ingresso nel capitale di Bpi France, controllata dalla Caisse des depots et consignations, l'equivalente della nostra Cassa depositi e prestiti, rafforzando la presenza pubblica nella nuova società, avendo già una partecipazione azionaria significativa in Peugeot;

    8) tra i primi mesi del 2020 e la primavera 2021 diverse interrogazioni (3-01285, 3-01764, 3-02292 Camera dei deputati, 3-02397 Senato della Repubblica) presentate dai Gruppi che compongono l'attuale maggioranza hanno denunciato la non pariteticità dell'avvenuta fusione tra i gruppi industriali del settore automobilistico Psa e Fca, dovuta allo sbilanciamento in termini di quota di possesso del nuovo gruppo automobilistico Stellantis;

    9) dette interrogazioni chiedevano le motivazioni del mancato ingresso di Cassa depositi e prestiti con quota pari a quella detenuta dallo Stato francese o altra forma di partecipazione pubblica dello Stato italiano, allo scopo di garantire che anche gli stabilimenti industriali italiani e la filiera dell'automotive nazionale fossero protetti in caso di ristrutturazioni;

    10) anche il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, nella relazione annuale al Parlamento presentata nel febbraio 2022, aveva evidenziato uno squilibrio azionario a favore della Francia, con ricadute «già evidenti nel settore dell'indotto connesso con le linee di produzione degli stabilimenti italiani», e, inoltre, un aumento della presenza dello Stato francese nell'azionariato, «determinando una distribuzione della proprietà diversa da quella precedentemente annunciata», invitando a un ingresso nel capitale di Stellantis da parte di Cassa depositi e prestiti per «preservare gli interessi nazionali nell'industria automobilistica»;

    11) nel corso del 2021 il gruppo Stellantis ha ottenuto una nuova linea di credito revolving di 12 miliardi di euro con un gruppo di banche, utilizzata per sostituire le precedenti linee di credito di Psa per 3 miliardi di euro e Fca per 6,3 miliardi di euro;

    12) a gennaio 2022, con un anno di anticipo, Stellantis ha rimborsato la linea di credito da 6,3 miliardi vincolata agli impegni sopra richiamati;

    13) l'assetto societario di Stellantis prevedeva al momento della fusione una quota di partecipazione pari al 6,2 per cento per Bpi France, banca d'investimento di proprietà dello Stato francese. Come risultato del meccanismo di voto in vigore, i poteri di voto di Bpi sono attualmente del 9,9 per cento;

    14) su territorio italiano sono operativi sei stabilimenti di assemblaggio: Torino Mirafiori, Modena, Cassino, Pomigliano, Melfi e Atessa;

    15) oltre a questi stabilimenti di assemblaggio, sono presenti anche altri stabilimenti: tre centri di produzione dei cambi: Torino Mirafiori, Termoli (Campobasso) e Verrone (Biella); tre stabilimenti per la produzione di motori: Cento (Ferrara), Pratola Serra (Avellino) e Termoli (Campobasso);

    16) i dati della produzione dei siti produttivi italiani di Stellantis nei primi sei mesi del 2024 hanno segnato una riduzione della produzione con una quantità tra autovetture e furgoni commerciali di 303.510 unità contro le 405.870 del primo semestre 2023, e, in particolare, la produzione di autovetture ha registrato una contrazione del 36 per cento;

    17) le imprese della componentistica nazionale sono circa 2.200, impiegano 167.000 addetti e generano un fatturato pari a 56 miliardi di euro; di tutte le aziende la metà produce componenti specifici per veicoli endotermici e non è attiva nei veicoli elettrici;

    18) il Ministero delle imprese e del made in Italy (Mimit) ha avviato in data 5 dicembre 2022 il Tavolo automotive, rappresentativo di tutte le realtà del comparto, e in data 6 dicembre 2023 un Tavolo permanente con Stellantis, Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), sindacati di categoria e regioni con l'obiettivo di giungere a un accordo con Stellantis e tutti gli attori del settore al fine di: a) aumentare i livelli produttivi; b) consolidare i centri di ingegneria e ricerca; c) rafforzare gli investimenti sui modelli innovativi; d) riqualificare le competenze dei lavoratori; e) sostenere la riconversione della filiera della componentistica;

    19) in quell'occasione, il Ministro delle imprese e del made in Italy ha sottolineato l'importanza di invertire la progressiva contrazione dei volumi produttivi, con lo scopo di raggiungere in Italia la produzione di almeno un milione di veicoli Stellantis;

    20) il 10 luglio 2023 l'amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, al termine del primo incontro con il Ministro delle imprese e del made in Italy, affermò di condividere l'obiettivo del milione di veicoli;

    21) nel corso dell'incontro il Ceo di Stellantis, al fine di incrementare la produzione in Italia, chiese al Governo di rimuovere l'ostacolo del regolamento Euro 7, che avrebbe costretto a investire risorse su una tecnologia di transizione e realizzare un piano incentivi significativo;

    22) in data 18 dicembre 2023 il Ministero delle imprese e del made in Italy è riuscito nell'obiettivo di modificare in modo radicale il regolamento sull'omologazione di veicoli a motore e motori, nonché di sistemi, componenti ed entità tecniche indipendenti destinati a tali veicoli, per quanto riguarda le relative emissioni e la durabilità delle batterie, meglio noto come regolamento Euro 7, nella direzione auspicata dalle case automobilistiche;

    23) il Ministero delle imprese e del made in Italy ha realizzato per il 2024 un piano di incentivi alla domanda da un miliardo di euro che ha raggiunto tre dei quattro obiettivi che si era proposto: a) supporto alla transizione energetica; b) rinnovo del parco auto circolante; c) supporto alle persone con minori capacità d'acquisto; non è stato invece raggiunto l'obiettivo di aumentare la produzione in Italia: la quota nel mercato italiano di Stellantis nei primi otto mesi 2024 si è addirittura ridotta passando al 31,2 per cento dal 33,2 per cento dello stesso periodo del 2023;

    24) a giugno 2024 Automotive Cells Company (Acc), la joint venture per la produzione di batterie tra Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies, ha annunciato di sospendere il progetto di costruzione delle gigafactory previste a Termoli in Italia e a Kaiserslautern in Germania, adducendo la motivazione che i costi di produzione non sarebbero stati competitivi con quelli extraeuropei e che il mercato delle auto elettriche non aveva i ritmi di crescita che erano stati previsti;

    25) il Ministero delle imprese e del made in Italy ha convocato Acc il 17 settembre 2024, in presenza della regione Molise e delle organizzazioni sindacati, e in quella sede Acc ha affermato l'intenzione di sviluppare una nuova tecnologia più competitiva assumendo l'impegno a chiarire il Piano industriale entro la prima metà del 2025;

    26) il Ministero delle imprese e del made in Italy, alla luce di quanto manifestato da Acc, al fine di non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi del PNRR e di utilizzare le risorse pubbliche entro il 2026, pari a circa euro 256 milioni, ha comunicato che procederà a riallocare i fondi previsti per la realizzazione del sito produttivo di Termoli in altri investimenti coerenti con la transizione energetica del comparto e nel contempo ha assicurato che in presenza di un nuovo progetto avrebbe assicurato il sostegno finanziario in pari entità con altre risorse non legate alla tempistica del PNRR;

    27) il 14 maggio 2024 Stellantis ha annunciato l'accordo con Leapmotors che prevede la vendita di auto cinesi sul territorio europeo nella rete vendita dell'azienda;

    28) il 7 agosto 2024 è stato convocato il terzo incontro del Tavolo automotive al Mimit in cui il Ministro delle imprese e del made in Italy ha ricordato l'operazione di salvataggio dello stabilimento Marelli di Crevalcore, rilevato dalla Tecnomeccanica, che ha consentito di garantire la riconversione industriale e la salvaguardia dei livelli occupazionali;

    29) in quella stessa occasione, il Ministro ha dichiarato soddisfazione per il raggiungimento di quasi 7 obiettivi posti dalla misura dell'Ecobonus, a eccezione dell'incremento appunto dei volumi produttivi dei modelli prodotti in Italia;

    30) nella medesima sede, viste queste premesse, Il Ministro delle imprese e del made in Italy ha comunicato che, nel prossimo futuro, il piano incentivi sarà rimodulato, puntando a una programmazione pluriennale delle risorse e allo stimolo all'acquisto di veicoli a prevalente incidenza di componentistica europea e italiana;

    31) il Ministro delle imprese e del made in Italy ha comunicato l'intenzione di porre in essere una politica di attrazione in Italia di nuovi player, consentendo l'insediamento di almeno un'altra casa automobilistica. A tale riguardo, il Ministro ha dichiarato di aver sottoscritto Memorandum of Understanding con il Ministero dell'industria cinese e con diverse case automobilistiche;

    32) l'Italia è l'unico Paese produttore di auto in Europa ad avere una sola casa automobilistica; negli altri Paesi, dalla Francia alla Germania, Spagna, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia ne sono presenti da 4 a 7;

    33) il Ministero delle imprese e del made in Italy ha annunciato che nei Memorandum of Understanding è previsto che le case automobilistiche debbano produrre in Italia con componenti italiane o europee così che possano rispondere alle regole d'origine al fine di sostenere la filiera dell'automotive;

    34) in sede di regolamentazione UE, il piano Fit for 55 (Regolamento 2019/631 Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019) prescrive che, entro il 2025, le case automobilistiche europee dovranno ridurre l'impronta di CO2 delle loro flotte di veicoli mediamente del 19 per cento rispetto al periodo 2020-2024 (e di un ulteriore 38 per cento entro il 2030), fino ad azzerarle nel 2035. In caso di mancato raggiungimento di tali obiettivi, è prevista una multa che ammonterà a 95 euro per ogni grammo al chilometro di CO2 emesso sopra la soglia, moltiplicato per il numero di veicoli immatricolati;

    35) si tratta di un risultato pressoché irraggiungibile per tutti i produttori europei. Secondo le simulazioni Dataforce, società di analisi di mercato, il Gruppo Stellantis dovrebbe avere una quota di vendite di Bev e plug-in del 26 per cento, ma lo scorso anno non è arrivata al 18 per cento e ora è al 13 per cento;

    36) per il 2025 si stimano già sanzioni complessive da pagare per i costruttori europei comprese tra i 7,5 e i 15 miliardi di euro;

    37) il Gruppo Volkswagen ha annunciato l'inizio di una fase di spending review che partirà con la chiusura del sito produttivo Audi di Bruxelles, ma potrebbe estendersi anche alle fabbriche di Dresda e Osnabruck con il licenziamento di trentamila lavoratori;

    38) a normativa vigente, la Commissione Europea dovrà effettuare entro il 2026 una revisione complessiva dell'efficacia del regolamento che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi; tale revisione includerà l'opportunità di aggiornare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per auto e furgoni e stabilire soglie minime di efficienza;

    39) l'8 settembre 2024 al meeting internazionale di Cernobbio, il Ministro delle imprese e del made in Italy ha annunciato l'intenzione del Governo italiano di proporre l'anticipo della revisione alla prima parte del 2025 per evitare il collasso della industria europea dell'auto a fronte dei dati che già dimostrano la impossibilità di reggere la pressione globale con la tempistica e le regole che l'Unione europea ha imposto alle proprie aziende, anche al fine di non lasciare i mercati nella incertezza per altri due anni preso atto sin d'ora della assoluta necessità di rivedere il green deal;

    40) il Ministro ha, inoltre, avviato una serie di consultazioni bilaterali con i colleghi europei su quella che sarà la proposta italiana, e ha convocato per lunedì 23 settembre 2024 le rappresentanze delle imprese e dei sindacati per confrontarsi nel merito anche in vista del meeting europeo sull'automotive che si svolgerà a Bruxelles il 25 settembre 2024 e del successivo Consiglio competitività del 26 settembre 2024;

    41) a giugno del 2024 Mario Draghi, incaricato dalla Commissione europea di elaborare un rapporto sul futuro della competitività europea, ha stimato in via preliminare in 500 miliardi l'anno il fabbisogno necessario per sostenere le transizioni verde e digitale dei settori produttivi europei, pari al gap di investimenti tra Unione europea e Usa;

    42) il «Rapporto sul futuro della competitività europea» (cosiddetto rapporto Draghi), pubblicato il 9 settembre 2024, stima invece in 800 miliardi l'anno, tra risorse pubbliche e private, il fabbisogno necessario per sostenere le transizioni verde e digitale dei settori produttivi europei, per effetto di un divario dell'Unione europea rispetto agli Usa che si sta progressivamente allargando. La differenza rispetto alla stima di giugno dà la misura della rapidità nell'evoluzione degli scenari e della necessità di un intervento urgente per rafforzare la competitività dell'industria europea;

    43) il rapporto Draghi sottolinea l'esigenza di introdurre fondi comunitari per sostenere la duplice transizione digitale ed ecologica delle economie dell'Unione europea;

    44) il rapporto Draghi evidenzia che il settore automobilistico è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell'Unione europea che nel tempo ha creato un disaccoppiamento tra politica climatica e politica industriale, causando la progressiva perdita di leadership a livello globale ed evidenzia la necessità di una visione fondata sulla «naturalità tecnologica», come evidenzia il Governo italiano in sede nazionale ed europea sin dall'inizio della legislatura;

    45) in particolare, per il settore automobilistico il rapporto Draghi, sottolinea l'importanza di rafforzare la certezza sulla legislazione in vigore e dare al settore il tempo adeguato di adattamento di prodotti e processi attraverso un forte stimolo agli investimenti aziendali e la ricerca nel settore automobilistico;

    46) il mercato europeo delle auto elettriche, a zero emissioni, è ancora limitato e non evidenzia un trend crescente significativo: nel primo semestre 2024, le immatricolazioni di Bev sono pari al 13,9 per cento del totale in Europa, quota praticamente in linea con l'anno precedente, e appena al 3,9 per cento in Italia;

    47) ad agosto detto mercato ha registrato un calo del 43,9 per cento rispetto all'agosto 2023: la quota di mercato complessiva perde un terzo, passando dal 21 per cento al 14,4 per cento, i risultati peggiori si sono registrati in Germania (-68,8 per cento), Italia (-40,9 per cento) e Francia (-33,1 per cento); il calo è dovuto, secondo gli analisti, alla mancanza di chiarezza sugli incentivi, ai prezzi elevati delle vetture e alle preoccupazioni sul basso valore residuo dei veicoli elettrici; in tale quadro Stellantis ha registrato una delle performance peggiori con un -52 per cento;

    48) il 19 settembre 2024 Acea, associazione che rappresenta le case produttrici europee, ha rilasciato un comunicato pubblico in cui chiederà alla Commissione europea e a tutti i Capi di Stato dell'Unione europea di sviluppare un pacchetto completo di misure a breve e lungo termine per riportare saldamente sulla buona strada la transizione a emissioni zero, garantire i posti di lavoro nel settore e ripristinare la nostra competitività. In particolare, Acea ha chiesto alle istituzioni europee di varare misure urgenti di sostegno in vista dell'entrata in vigore nel 2025 dei nuovi obiettivi per le emissioni di CO2 per automobili e i furgoni, nonché di anticipare le revisioni del regolamento CO2 per le automobili e i furgoni e per i mezzi pesanti, attualmente previsti rispettivamente per il 2026 e il 2027;

    49) al fine di evitare le sanzioni miliardarie sopra indicate, Acea ha chiesto di posticipare al 2027 l'entrata in vigore delle sanzioni per il superamento dei limiti di emissioni previste per il 2025. Nonostante la performance estremamente negativa della casa automobilistica da lui condotta, il Ceo di Stellantis si è espresso contro la richiesta di Acea;

    50) in costanza dell'attuale quadro normativo, le case produttrici si troverebbero di fronte al dilemma di tagliare la produzione di veicoli endotermici, con effetti sulle quote di mercato e sulla base produttiva, ovvero di riversare il costo delle sanzioni sul prezzo di vendita dei veicoli; oltre alla perdita di competitività, si aggraverebbe la tendenza di mercato già in atto che vede ridursi la presenza di veicoli nuovi dal costo accessibile per i cittadini meno abbienti;

    51) nel rapporto annuale «Veicoli sulle strade europee» pubblicato da Acea a febbraio 2024, si segnala che dal 2018 l'età media di tutti i tipi di veicoli è aumentata di circa un anno (secondo il Rapporto in Italia è di 12,5 anni, ma un'auto su cinque è una Euro 0-2, con almeno 18 anni di anzianità): le politiche sin qui perseguite a livello europeo sembrano aver sortito l'effetto di aumentare le difficoltà per i cittadini a svecchiare il parco circolante;

    52) consapevole di questi aspetti problematici e al fine di evitare che gli automatismi della legislazione europea, trasfusi nelle norme sulla circolazione emanate dagli enti territoriali, incidessero su cittadini e imprese, il Governo ha emanato il 12 settembre 2023 il decreto-legge n. 121 in materia di pianificazione della qualità dell'aria e di limitazioni della circolazione stradale,

impegna il Governo:

1) ad avanzare una proposta in sede europea per rivedere da subito il percorso del green deal anche alla luce del rapporto sulla competitività che conferma quel che il Governo italiano ha sempre evidenziato;

2) a proporre in sede dell'Unione europea l'anticipo alla prima metà del 2025 della presentazione della relazione sui progressi sulla mobilità e della clausola di revisione del regolamento che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, al fine di dare certezze alle imprese della filiera e ai consumatori;

3) a promuovere, anche in sede europea, percorsi di transizione della filiera italiana dell'automotive non solo verso l'elettrico ma anche verso soluzioni tecnologicamente ecologiche che utilizzino carburanti di nuova generazione come gli e-fuel (carburanti sintetici), biocarburanti e idrogeno, potenziando le misure di incentivazione delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica, nonché gli investimenti in beni strumentali;

4) a proporre in sede di Unione europea l'elaborazione e l'approvazione di un piano che preveda la costituzione di un Fondo con risorse comuni finalizzato a supportare la transizione all'elettrico dell'intera filiera;

5) a proporre in sede di Unione europea l'elaborazione di politiche volte a incentivare la realizzazione di veicoli a basso impatto a prezzi accessibili ai cittadini meno abbienti;

6) a convocare i vertici Stellantis per chiarire i termini del piano industriale del Gruppo in Italia, così come da impegni emersi nei lavori del tavolo al Ministero delle imprese e del made in Italy impegnando Stellantis a comunicare i dati dei dipendenti fuoriusciti dagli stabilimenti italiani attraverso la prassi (con accordi sindacali) delle dimissioni incentivate, così da valutare la congruità con il piano di sviluppo industriale;

7) a fornire aggiornamenti sui Memorandum of Understanding firmati con il Ministero dell'industria cinese e con le diverse case automobilistiche condividendo l'obiettivo di altre case produttrici in Italia;

8) a monitorare il nuovo progetto di Acc, sollecitando Stellantis a mantenere gli impegni presi e a mettere in sicurezza le risorse del PNRR utilizzando eventualmente risorse che abbiano altre tempistiche di impegno più confacenti alle nuove modalità del progetto;

9) a valutare i risultati applicativi del decreto-legge 12 settembre 2023, n. 121, citato in premessa, riconsiderandone gli obiettivi e adottando le misure che si dovessero rendere necessarie per il suo aggiornamento.
(1-00335) «Caramanna, Barabotti, Squeri, Cavo, Antoniozzi, Andreuzza, Casasco, Colombo, Benvenuto, Polidori, Comba, Di Mattina, Giovine, Gusmeroli, Maerna, Maccanti, Pietrella, Toccalini, Schiano di Visconti, Zucconi».

(25 settembre 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI PARITÀ DI GENERE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE CONDIZIONI LAVORATIVE, ECONOMICHE E SOCIALI DELLE DONNE

   La Camera,

   premesso che:

    1) nel 1947, in un intervento all'Assemblea costituente, Teresa Mattei, affermò: «È nostro convincimento (...) che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese»;

    2) a oltre 70 anni da questo intervento, il Presidente della Repubblica nel messaggio che ha inviato, il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne» ha, tra l'altro, affermato «Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica», e proseguendo ha esortato alla rimozione degli «ostacoli che rendono difficile la conciliazione tra occupazione e cura della famiglia. Il lavoro non allontana la donna dalla maternità. È vero il contrario: l'occupazione femminile è un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite.»;

    3) l'uguaglianza di opportunità sociali e giuridiche tra i generi, oltre ad essere un diritto fondamentale di rango costituzionale, è un principio cardine dell'Unione europea, riconosciuto dal Trattato di Roma del 1957 e dalla Carta dei diritti fondamentali, nonché un principio chiave del pilastro mondiale dei diritti sociali;

    4) il mancato raggiungimento dell'uguaglianza tra le donne e gli uomini in ogni settore della vita sociale è anche drammaticamente rappresentato dal persistere di comportamenti di violenza, fisica e/o psicologica nei confronti delle donne, che rappresenta solo la punta dell'iceberg di un fenomeno culturale, molto più ampio, legato al fenomeno millenario della misoginia, nonostante i passi in avanti che, indubbiamente, le legislazioni di alcuni Paesi hanno compiuto negli ultimi anni per contrastare la violenza di genere;

    5) nell'Unione europea nessuno Stato membro ha ancora raggiunto la piena uguaglianza e i progressi rimangono lenti e insufficienti, sia in Europa che a livello globale, e l'Italia è lontana dall'obiettivo;

    6) i progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni; nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale, benché, a livello globale, il raggiungimento dell'uguaglianza per le donne e per le ragazze rappresenti uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030;

    7) la centralità delle questioni relative al superamento delle «disparità di genere» viene ribadita anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia. Il Piano, infatti, la individua come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano. L'intero Piano dovrà inoltre essere valutato in un'ottica di gender mainstreaming;

    8) il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, o per uno di pari valore, è sancito dai Trattati europei e il Trattato di Lisbona del 2009 non solo ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini, anche in ambito lavorativo, ma lo ha inserito tra i valori fondanti dell'Unione;

    9) il principio di uguaglianza e la lotta contro la violenza maschile sulle donne sono sostenuti da numerosi atti di legislazione ordinaria e applicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea;

    10) la proposta di direttiva della Commissione sulla trasparenza retributiva, adottata il 4 marzo 2021, e approvata il 30 marzo 2023 dal Parlamento europeo, introduce misure volte a garantire la parità di retribuzione tra donne e uomini nell'Unione europea per uno stesso lavoro; le nuove norme possono garantire una maggiore trasparenza e un'applicazione efficace del principio della parità retributiva tra donne e uomini e possono migliorare l'accesso alla giustizia per le vittime di discriminazione retributiva, gli Stati membri dovranno prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per i datori di lavoro che non rispettano tali regole; per la prima volta, sono stati inclusi nell'ambito di applicazione delle nuove norme la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie;

    11) la direttiva (UE) 2023/970 approvata il 10 maggio 2023 prevede che, a partire da giugno 2026, le aziende debbano rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica. Inoltre, dovranno obbligatoriamente condividere con i candidati la retribuzione prima dell'assunzione. L'obiettivo primario è quello di garantire la parità salariale per le persone che svolgono le stesse mansioni;

    12) con la successiva direttiva UE 2024/1500 del 14 maggio 2024 il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;

    13) anche a livello di legislazione nazionale sono state introdotte e si sono succedute norme dirette a contrastare e a rimuovere gli ostacoli di fatto che impediscono la realizzazione delle pari opportunità;

    14) pur a fronte di una crescente sensibilità delle politiche europee e nazionali e di una aumentata attenzione al fenomeno da parte delle Istituzioni, il divario di genere nel mondo del lavoro risulta essere ancora oggi per il nostro Paese uno dei fattori di disparità maggiormente persistenti;

    15) la costante inferiorizzazione delle donne è una condizione legata a un retaggio storico, culturale e giuridico che ha origini molto antiche. Gli avvenimenti storici dimostrano, seppur con parentesi positive, il forte divario lavorativo, prima, e salariale, poi, tra uomo e donna; le donne, infatti, vivono costantemente penalizzazioni sul lavoro nel momento in cui diventano madri. Il connubio tra un vetusto modello patriarcale e il sistema neoliberista reintroduce il vecchio «Male breadwinner», che si può tradurre così: «è l'uomo che deve portare il pane a casa». In una prospettiva globale, il World economic forum, che ogni anno pubblica il World gender gap report sulla base di un'attenta analisi che copre circa 146 Paesi (Italia inclusa), ha messo in luce come la disparità di genere tra uomo e donna nel mercato del lavoro riversi ancora in una situazione di stallo con margini residuali di crescita;

    16) l'11 giugno 2024 il World economic forum ha pubblicato la nuova edizione del Global gender gap report aggiornata al 2024: secondo la nuova classifica nel 2024 l'Italia ha registrato un Global gender gap index score pari a 0,703, in leggero calo rispetto al 2023 (-0,002). Questo calo ha causato all'Italia una perdita di otto posizioni in classifica, finendo all'ottantasettesimo posto su 146 Paesi monitorati; anche nel 2023 l'Italia era scesa in graduatoria, perdendo 16 posizioni e piazzandosi al posto numero 79;

    17) il Rapporto annuale 2023 dell'Istat evidenzia come avere un figlio in Italia comporti una probabile esclusione della donna dal mercato del lavoro. Nella maggioranza delle coppie, in cui spesso accade che è più istruita del partner, la donna o non lavora o viene intesa come percettrice secondaria. Questo riflette la disuguaglianza di genere presente nel mercato del lavoro e, a sua volta, la disparità dei compiti lavoro-famiglia; d'altra parte, in Italia emerge chiaramente dalle statistiche la diversa distribuzione del carico di lavoro familiare all'interno della coppia: nell'indagine sugli aspetti di vita quotidiana condotta da Istat, il tempo dedicato alla cura della casa e della famiglia è ben maggiore per le donne (15,4 per cento) rispetto agli uomini (6 per cento). Nel momento in cui, però, la donna riesce a entrare nel mercato del lavoro, con principali difficoltà nei ruoli C-suite (ruoli dirigenziali), diviene vittima di un particolare fenomeno qualificato come gender pay gap, ossia un divario retributivo di genere, in cui a parità di mansioni o quantità/qualità del lavoro prestato, l'uomo percepisce comunque una retribuzione più elevata;

    18) focalizzando l'analisi sulle donne che partecipano al mercato del lavoro, la condizione di disuguaglianza si manifesta sia nei livelli retributivi, sia nella ridotta presenza ai ruoli apicali. Il «gender pay gap» a livello italiano è del –10,7 per cento, secondo le elaborazioni di Odm Hr ConsultingGi Group holding su dati dell'Osservatorio sul lavoro dipendente dell'Inps per gli anni 2019-2022, pari a un gap che va dai circa 3.000 euro a oltre 16.000 euro in meno a seconda dell'inquadramento (in termini di retribuzione fissa annua lorda). Il gender pay gap, che si era ridotto fra il 2017 e il 2019, ha poi ripreso a crescere raggiungendo e superando il 10 per cento nel 2022. Il trend di aumento del divario si è stabilizzato attestandosi in chiusura 2023 su una media del 10,7 per cento. Guardando ai singoli inquadramenti, il divario percentuale, e anche in termini di valore assoluto, più ampio tra retribuzione fissa media di uomini e donne si riscontra nell'inquadramento dirigenti. Inoltre, negli ultimi anni le donne sono sempre più protagoniste di rapporti di lavoro non-standard, ossia rapporti caratterizzati da una ridotta continuità nel tempo e/o da una bassa intensità lavorativa (sempre come da dati Istat);

    19) secondo il gender equality index (indice sull'uguaglianza di genere) dell'Unione europea 2022 pubblicato dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), se si continua al ritmo attuale, la parità di genere all'interno dell'Unione europea diventerà realtà solo tra 60 anni. A livello globale, l'uguaglianza di genere è lontana su certi indici anche di 300 anni, come ha sottolineato il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres alla United Nations Commission on the status of women nel marzo 2023;

    20) nel dettaglio, il citato rapporto annuale sintetizza la parità di genere dei 27 Stati membri dell'Unione europea in un unico dato che rappresenta la combinazione delle performance tracciate tramite 31 indicatori che compongono sei dimensioni: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute. Nell'ultima edizione relativa al 2023, emerge come l'Italia si collochi al tredicesimo posto della classifica, con 68,2 punti su 100, sotto la media europea che si attesta a 70 punti. Fra gli indicatori, i peggiori riguardano proprio il lavoro: l'Italia è infatti ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3);

    21) nell'ambito lavorativo, le donne in Italia sono ancora molto sottorappresentate, specialmente nei campi dell'energia e dei trasporti. Nel 2022, solo il 26 per cento dei professionisti nel settore energetico italiano erano donne. Analogamente, le donne costituivano solo il 20 per cento del personale nel settore dei trasporti;

    22) i dati Eurostat riferiti al 2023 mostrano che in Italia c'è un tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni pari al 51,1 per cento, sotto la media europea che si attesta al 64,9 per cento, ma soprattutto con un gap di 18,1 punti percentuali rispetto agli uomini, il cui tasso di occupazione è pari al 69,2 per cento. Sopra la media dell'Unione europea del 30 per cento, invece, il tasso di inattività femminile che per l'Italia è al 43,6 per cento. Il quadro si completa con i dati Inps sul lavoro dipendente. I lavoratori a tempo determinato e indeterminato sono per il 71 per cento uomini e solo il 29 per cento donne. Divario che si amplia per i dirigenti (solo 21 per cento di donne) ed è invece lievemente inferiore per quadri e impiegati, confermando quindi non solo una maggiore difficoltà di ingresso delle donne nel mondo del lavoro, ma anche la persistenza del cosiddetto soffitto di cristallo; il divario nei livelli occupazionali maschile e femminile in Italia è uno dei più elevati nell'Unione europea e tra le lavoratrici, quasi 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario, contro 849 mila uomini nelle stesse condizioni; l'occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2 per cento) e nelle isole (33,2 per cento): un dato significativo, perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel Sud Italia;

    23) si osserva poi un peggioramento del gap di genere in presenza di figli, a favore della componente maschile. Nel 2022 il tasso di occupazione dei genitori (25-64 anni) con un figlio varia dall'82 per cento per gli uomini al 58,1 per cento per le donne e il divario si amplifica con un numero superiore di figli. Questo vuol dire che, anche a causa di un'adeguata presenza di servizi per la conciliazione vita-lavoro, in una coppia sono più spesso le donne a uscire dal mercato del lavoro per dedicarsi alla cura dei figli, mentre l'uomo si concentra sulla carriera professionale; le donne godono infatti di minore flessibilità rispetto agli uomini, in particolare le lavoratrici laureate. Queste disuguaglianze sono in larga parte il riflesso della «specializzazione» di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù del quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari;

    24) all'interno dei consigli di amministrazione la presenza di donne è cresciuta arrivando al 43 per cento, ma meno del 5 per cento di queste ricopre ruoli esecutivi e solo il 2 per cento la carica di amministratrice delegata. Dopo la legge «Golfo-Mosca», che ha portato a un aumento della presenza femminile all'interno dei consigli di amministrazione; un'ulteriore spinta viene data dalla certificazione della parità di genere (UNI/PdR 125:2022), ossia un'attestazione a valore nazionale di validità triennale che le imprese possono richiedere su base volontaria e che viene loro riconosciuta a condizione che dimostrino di aver fatto proprio il paradigma della «parità di genere» nella loro cultura, strategia e piani di azione al fine di ridurre al proprio interno le disuguaglianze uomo-donna. Anche dal punto di vista imprenditoriale la componente femminile è arretrata: la quota di donne imprenditrici rappresenta nel 2021 il 30 per cento dell'ammontare complessivo; la situazione è migliore tra le libere professioniste (37,4 per cento, mentre è più bassa l'incidenza in caso di società di capitale (26 per cento);

    25) un altro elemento che influisce sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro è l'indirizzo disciplinare scelto. È noto, infatti, che alcuni stereotipi di genere influiscono sul percorso formativo scelto dalle donne che, ad esempio, si orientano verso gli indirizzi Stem (science, technology, engineering e mathematics) in misura ben più contenuta degli uomini. Nell'anno accademico 2022-23, le ragazze rappresentano solo il 37 per cento degli iscritti ai corsi di laurea in discipline Stem, con differenze ancora più evidenti nei percorsi Ict (information and communication technologies) 16 per cento donne a fronte di un 84 per cento uomini;

    26) i dati più recenti mostrano che in Italia i lavoratori di genere maschile sono meno istruiti rispetto alle donne: secondo dati Istat, in Italia nel 2021 le donne laureate sono pari al 57,2 per cento in netto vantaggio rispetto alla controparte maschile. Nonostante questo, uno degli ambiti in cui il divario di genere è più evidente rimane il gender pay gap, ossia le disparità salariali, proprio la finanza e le professioni Stem sono i settori nei quali si evidenziano i gap salariali maggiori a favore degli uomini, con una retribuzione oraria per i dipendenti maschili superiore ai 2 euro all'ora, che arriva a 5 euro nei servizi finanziari;

    27) a corroborare queste evidenze contribuisce anche il Gender policies report 2022, la pubblicazione dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche) che ogni anno monitora le differenze di genere nel mondo del lavoro. Le statistiche evidenziano che il divario uomo-donna resta immutato nel tempo e sempre sbilanciato sulla componente maschile, perché la partecipazione femminile è ancora oggi ostaggio di criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part-time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici; dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi;

    28) è facilmente intuibile come la delineata discriminazione di genere nel mondo del lavoro abbia importanti conseguenze nel settore previdenziale: il divario di genere a livello occupazionale e retributivo, che si accumula nell'arco di una vita, conduce infatti a un divario pensionistico ancor più accentuato e, di conseguenza, comporta per le donne in età avanzata un maggior rischio di povertà rispetto agli uomini;

    29) le carriere delle donne sono più brevi, principalmente a causa del loro ruolo e degli impegni familiari: la maternità e la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico, rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno, gratuito, quasi esclusivamente delle donne, e ciò ha un impatto enorme sulla loro capacità di accumulare una pensione completa;

    30) per questo con l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, era stata introdotta una misura denominata «opzione donna» che consentiva alle donne di accedere all'assegno pensionistico con requisiti anagrafici più favorevoli rispetto a quelli in vigore, optando per il sistema di calcolo contributivo dell'intero trattamento pensionistico, senza ulteriori penalizzazioni. La misura, rivelatasi del tutto insufficiente negli anni e non risolutiva del problema del divario previdenziale di genere, di recente è stata ulteriormente ridimensionata attraverso la legge di bilancio per il 2023 (articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197);

    31) i dati 2022 dell'Osservatorio Inps evidenziano come le pensioni delle donne valgano circa il 30 per cento in meno rispetto a quelle degli uomini: per questi ultimi l'assegno medio è di 1.381 euro, per le donne la media è di 976 euro. In generale, gli uomini percepiscono pensioni mediamente più elevate rispetto alle donne, arrivando a essere quasi il doppio (+81,5 per cento) nel Settentrione per la categoria vecchiaia;

    32) l'analisi dei dati evidenzia la generale inadeguatezza degli strumenti normativi finora ideati dal legislatore, finalizzati al raggiungimento degli obiettivi prefissati in tema di uguaglianza di genere e nello specifico diretti a ridurre il «gender pay gap», i quali, pur avendo prodotto in taluni miglioramenti anche consistenti, si rilevano nel complesso ancora insufficienti per condurre al radicale e definitivo superamento del problema;

    33) ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo si registra un netto e deciso cambio di rotta da parte dell'attuale Governo, volto a indirizzare il Paese in direzione opposta rispetto a quella auspicabile del riconoscimento dell'autodeterminazione delle donne, della parità di genere e del superamento delle discriminazioni nel mondo del lavoro: l'orientamento, sorretto da un'idea arcaica e sorpassata di famiglia e genitorialità, parrebbe essere quello di relegare il genere femminile ai tradizioni ruoli di cura e assistenza familiare, in tutto con l'obiettivo di incentivare la natalità, dichiarato obiettivo prioritario del Governo Meloni;

    34) la strategia del Governo Meloni per i firmatari del presente atto è fallimentare, come dimostra il tasso di occupazione femminile in Italia, che secondo gli ultimi dati Eurostat, è il più basso tra gli Stati europei, attestandosi 14 punti sotto la media. Come rivela peraltro un dossier pubblicato dal Servizio studi della Camera dei deputati, nel quarto trimestre del 2022, il divario tra popolazione maschile e femminile è piuttosto ampio sia dal punto di vista occupazionale – sono 9,5 milioni le donne occupate mentre gli uomini sono 13 milioni – sia retributivo. Il dato che parla di risicato aumento del tasso di occupazione femminile va quindi contestualizzato: non riporta i numeri di quante sono costrette a un part-time per poter conciliare il lavoro e la famiglia: nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, con un figlio minore il tasso di occupazione per le donne (madri) si ferma al 63 per cento contro il 90,4 per cento di quello degli uomini (padri); con due figli minori, poi, l'occupazione femminile scende addirittura al 56,1 per cento, mentre crescono i padri che lavorano (90,8 per cento), con un divario che arriva a ben 34 punti percentuali;

    35) il cosiddetto «bonus mamme» previsto dalla legge di bilancio per il 2024 è una misura selettiva: l'esenzione dei contributi previdenziali spetta infatti solo a determinate categorie di donne, ovvero madri lavoratrici dipendenti, con un contratto a tempo indeterminato, con tre o più figli (con al massimo 18 anni di età), una quota molto ridotta;

    36) parimenti inadeguata la misura del «bonus asilo nido» per le famiglie con un reddito Isee fino a 40 mila euro, che hanno almeno un figlio con meno di 10 anni di età e che ne hanno un altro dal 1° gennaio 2024, soprattutto a fronte del taglio dei fondi europei del PNRR destinati alla creazione dei servizi di educazione e cura a favore della prima infanzia: tagli previsti dalla revisione proposta dalla maggioranza e approvata dalla Commissione europea il 24 novembre 2023, che consistono nella riduzione da 264.480 a 150.480 dei nuovi posti da creare, riducendo lo stanziamento previsto da 4,6 miliardi di euro a 3,2 miliardi di euro. Il tutto in pieno contrasto con l'obiettivo dell'Unione europea al 2030 di 45 posti al nido ogni 100 bambini, considerando che nel Mezzogiorno del Paese attualmente i posti disponibili sono solo 16 su 100 bambini;

    37) a riprova di quello che ai firmatari del presente atto appare il generale orientamento oscurantista e misogino del Governo, oltre le recentissime posizioni esternate in occasione della stesura del documento conclusivo del G7 tenutosi in Puglia il 13-14 e 15 giugno 2024 in tema di diritto di aborto, anche il recente voto contrario delle forze di maggioranza alla direttiva sulla trasparenza salariale votata dal Parlamento europeo. Voto contrario, quest'ultimo, in evidente contrasto con quanto affermato in data 28 giugno 2023 dalla Viceministra del lavoro e delle politiche sociali Bellucci, nell'ambito della discussione alla Camera dei deputati della legge 3 luglio 2023, n. 85, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 48 del 2023, recante «Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro», con riguardo all'ordine del giorno n. 9/1238/113 a prima firma Ghirra. In tale sede la Viceministra dichiarava il parere non contrario del Governo alla direttiva europea n. 2021/0050 dell'11 aprile 2023 sulla trasparenza retributiva e negava il parere favorevole all'ordine del giorno citato nel punto in cui chiedeva l'estensione delle nuove norme alle aziende con meno di 100 dipendenti, sulla base del fatto che la direttiva non fosse stata ancora approvata definitivamente;

    38) realizzare l'uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne sono obiettivi fondamentali dell'Agenda 2030 e requisiti imprescindibili per la costruzione di una società realmente giusta e sostenibile. Secondo i dati World economic forum 2023, l'inclusione delle donne nelle aziende sarebbe in grado di aumentare il prodotto interno lordo mondiale fino al 35 per cento. Il sopracitato rapporto Boston consulting group evidenzia, inoltre, come nel 2022 le aziende con almeno il 30 per cento di dirigenti donne abbiano registrato un aumento del 15 per cento della redditività,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative normative per promuovere con urgenza una generale riforma diretta a introdurre l'assoluto divieto di discriminazione di genere in materia salariale, in attuazione della direttiva sulla trasparenza salariale, con la previsione di adeguate sanzioni in caso di violazione del divieto;

2) a promuovere ogni iniziativa di competenza per incentivare la stabile e qualificata occupazione femminile, al contempo riducendo i disincentivi al lavoro attualmente esistenti per le donne;

3) a promuovere un piano straordinario per l'occupazione femminile e politiche, anche promuovendo il reinserimento professionale delle donne che hanno lasciato il lavoro da più tempo, nonché misure efficaci per il sostegno alle imprese femminili;

4) a dare concreta applicazione alla Convenzione n. 190 dell'Organizzazione internazionale del lavoro «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia e ancora introdotta nella normativa nazionale, e nello specifico ad adottare iniziative normative volte a introdurre il reato di molestie nei luoghi di lavoro, con la previsione di adeguate sanzioni penali a carico dei responsabili e l'obbligo per le aziende di prevedere specifici protocolli preventivi del fenomeno;

5) a promuovere le opportune iniziative finalizzate a sostenere la domanda e l'offerta di lavoro delle donne, rafforzando la disponibilità di servizi di cura per l'infanzia, per gli anziani e i familiari disabili, individuando, altresì, nuovi e adeguati stanziamenti diretti allo sviluppo di servizi di qualità per infanzia, anziani e disabili e misure per favorire una redistribuzione dei carichi di lavoro familiare all'interno della stessa, prevedendo, tra l'altro, investimenti straordinari e strutturali per il sistema pubblico integrato di educazione e istruzione per la fascia 0-6 anni, garantendo l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 33 per cento di servizi, individuato oltre 20 anni fa dalla Strategia di Lisbona, per fare della fascia 0-3 anni non più un servizio a domanda individuale ma un diritto universale;

6) ad adottare iniziative normative volte a ridurre il divario pensionistico di genere attraverso l'introduzione di nuovi e più efficaci strumenti e/o meccanismi previdenziali;

7) a promuovere campagne e progetti comunicativi e formativi sul rispetto dell'uguaglianza, declinato in rapporto alla cogenitorialità e alla condivisione dei compiti di cura nelle famiglie;

8) ad adottare iniziative normative volte a introdurre un congedo di genitorialità paritario di 6 mesi a genitore, introducendo un congedo di paternità di sei mesi per un periodo continuativo, con indennità al 100 per cento, di cui tre obbligatori e tre facoltativi, per usufruirne nell'arco dei primi dodici mesi di vita del bambino.
(1-00326) «Ghirra, Zanella, Piccolotti, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Zaratti».

(18 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) secondo i dati pubblicati da Istat nel rapporto annuale 2024, il tasso di occupazione in Italia è al 62 per cento, ossia 8 otto punti sotto la media europea. Inoltre, l'Italia vanta un primato anche per numero di inattivi, donne e giovani senza lavoro, part time involontario, retribuzioni basse, scarsa produttività, lavoro povero, sommerso e lavoro autonomo, da vent'anni sacca fantasma di precarietà; anche in base ai dati Eurostat 2023, l'Italia è il Paese con il tasso di occupazione più basso fra i Paesi dell'Unione europea e registra una crescita più lenta rispetto ai Paesi europei anche sul fronte dei salari;

    2) sempre secondo Istat, negli ultimi vent'anni l'occupazione italiana è cresciuta: in valore assoluto, da 22 a 24 milioni di occupati; come tasso, dal 57 al 62 per cento, da sempre uno dei più bassi in Europa (nello stesso arco temporale il tasso tedesco è salito di 13 punti);

    3) stante ciò, l'occupazione stabile, a tempo indeterminato, dice l'Istat nel suo Rapporto annuale, è «aumentata solo tra gli over 50», da 3 a 6 milioni di occupati, mentre è scesa in tutte le altre fasce d'età, anche per un fattore demografico: l'Italia invecchia, fa meno figli e le coorti degli anni '50-'60-'70 si spostano, trattenute al lavoro anche da riforme pensionistiche;

    4) c'è stato poi un incremento del lavoro a tempo determinato, così come di voucher, somministrazione, lavoro a chiamata e collaborazioni occasionali. Se la quota di occupati a tempo in Italia è in linea col resto d'Europa (16 per cento), così come il part time al 18 per cento è più o meno nella media europea, il nostro Paese è primo per part time involontario ossia non voluto, ma subìto, e più spesso dalle lavoratrici: si consideri che il 53 per cento degli occupati a tempo parziale è imposto, quota ferma a poco più di 1/3 solo vent'anni fa;

    5) nel triste primato italiano si concretizza quella che Istat chiama «doppia vulnerabilità»: contratti di collaborazione o a tempo determinato e anche a part-time. Questa parte dei lavoratori italiani è quella con i più bassi salari, sia orari che annuali, dal 30 al 60 per cento in meno degli altri: è la sacca del lavoro povero – quella che sarebbe in parte beneficiata dal salario minimo; in Italia purtroppo la flexsecurity è diventata precarietà cronica, senza sicurezza: non è stato dato più valore al lavoro e, pertanto, si è scivolati nella competizione globale col dumping salariale, spesso diventando fornitori di lavoro a basso costo. I dati di oggi sull'occupazione in crescita non devono pertanto trarre in inganno: il punto non è solo quanto «più lavoro» purchessia posto che, laddove aumenta l'occupazione in virtù di un basso costo del fattore lavoro, allora ne consegue un mancato aumento dei salari come del reddito e della distribuzione, ovverosia un mancato incremento corrispondente in termini di prodotto interno lordo e di crescita reale per il sistema Paese;

    6) con riguardo alla questione femminile, secondo i dati Istat, il divario nel tasso di occupazione rispetto all'Unione europea supera i 12 punti percentuali. Anche secondo il rapporto pubblicato solo il 10 settembre 2024 dall'Ocse, dal titolo Education at a glance 2024, sebbene ragazze e donne continuino ad eccellere in ambito scolastico e nei tassi di completamento degli studi, questi successi non si riflettono in pari opportunità lavorative: per esempio, le donne tra i 25 e i 34 anni senza diploma di scuola secondaria superiore hanno un tasso di occupazione del 47 per cento, ben 25 punti percentuali inferiore a quello dei loro coetanei maschi. Anche tra le donne con una qualifica terziaria, il divario persiste: l'84 per cento di loro è occupato, rispetto al 90 per cento degli uomini con lo stesso livello di istruzione; sulla differenza di genere nessun altro Paese dell'Ocse evidenzia un divario così marcato: le donne laureate in Italia guadagnano solo il 58 per cento dello stipendio dei loro colleghi maschi. Questa disparità è particolarmente significativa se confrontata con la media degli altri Paesi – dove le donne percepiscono in media il 17 per cento in meno rispetto agli uomini – e deriva da «fattori complessi che includono la segregazione occupazionale, pregiudizi nelle pratiche di assunzione e opportunità diseguali di fare carriera», si legge nel rapporto. Le donne hanno meno probabilità degli uomini di ottenere una promozione o di ricevere un grosso aumento di stipendio quando cambiano lavoro;

    7) in aggiunta, gli stop alla carriera legati alla nascita di un figlio – e alla successiva necessità di avere maggiore flessibilità, anche a costo di uno stipendio più ridotto – continuano a colpire più le donne degli uomini. Senza contare che si parla solo di chi ha un lavoro a tempo pieno, e non del lavoro part time, determinato, di collaborazione occasionale o a partita Iva: in questi casi, vale quanto già sottolineato rispetto al «falso» incremento dell'occupazione e alla mancanza di investimenti per la crescita effettiva del prodotto interno lordo e del sistema Paese;

    8) secondo il rapporto annuale Istat, se in quasi tutti i Paesi europei nella fascia di età compresa fra 30 e 40 anni – fascia potenzialmente più coinvolta da scelte di genitorialità –, si apre un gap tra l'occupazione femminile e quella maschile che poi si ricompone più avanti, in Italia questo gap non si richiude più: in altri termini, nel nostro Paese, il problema vero non è sostenere le famiglie con incentivi alla natalità – scelta che deve rimanere nella sfera personale –, quanto aiutare i diversi nuclei a conciliare vita personale e professionale;

    9) non sorprende allora che il Presidente della Repubblica, nel messaggio che ha inviato il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne», abbia tra l'altro sottolineato come l'occupazione femminile sia un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite e come pure siano però ancora presenti «ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice», oltreché fenomeni come le «dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza»;

    10) in questa prospettiva, secondo i dati Eurostat (pubblicati nel rapporto annuale Employment and activity by sex and age a dicembre 2023), in Italia, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, mentre stando all'osservazione del mercato del lavoro nel 2011 e nel 2022, come riporta Inapp nel recente Rapporto plus 2023, si conferma che l'evento della maternità presenta caratteristiche rispetto all'occupazione femminile ricorrenti addirittura a distanza di un decennio. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa. Difficoltà a loro volta fortemente connesse allo sbilanciamento nel care burden familiare che costituisce un persistente fattore critico per i livelli di occupazione femminile, con particolare riguardo anche alle sue declinazioni in attività domestiche, come emerge dal lavoro pionieristico del premio Nobel per l'economia 2023 Claudia Goldin;

    11) secondo il rapporto Istat Sdgs (Sustainable development goals) 2023, infatti, ad oggi la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora, mentre i dati ufficiali non sono in grado di descrivere la realtà dell'assistenza domiciliare e del lavoro domestico, a causa degli alti livelli di quello che la Commissione europea definisce «lavoro sommerso», o che comunemente si chiama pagamento in nero per i servizi di assistenza diretta e indiretta. Come si legge in una dichiarazione delle parti sociali di marzo 2022, «in base all'ultima indagine dell'Eurobarometro sull'argomento, è stato calcolato che circa il 34 per cento di tutto il lavoro sommerso svolto nell'Unione europea nel 2019 è relativo al settore dei servizi per la persona e la famiglia. Stime recenti rivelano che, tra i 9,5 milioni di lavoratori e lavoratrici domestiche presenti in Europa, almeno 3,1 milioni svolgono lavoro sommerso»;

    12) per quanto attiene all'Italia, come emerge chiaramente dai dati dell'osservatorio Domina, nel relativo quinto rapporto annuale 2024, l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: il report rileva infatti che oltre il 21 per cento del «prodotto interno lordo del lavoro domestico» italiano è prodotto in Lombardia e circa il 45 per cento nel Lazio, in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, ovvero nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso;

    13) se per le donne esiste ancora una difficoltà nel conciliare le responsabilità familiari e quelle lavorative, il processo di evoluzione normativa in materia è stato caratterizzato da un significativo ritardo rispetto ad altri Paesi europei che hanno disciplinato il congedo paterno obbligatorio ben oltre i dieci giorni di congedo paterno previsti nel nostro Paese dal 2021: in Francia e Spagna i padri possono usufruire, rispettivamente, di quattro e di sedici settimane di congedo, mentre già nel 1974, prima al mondo, la Svezia sostituiva il congedo di maternità con quello parentale e oggi prevede cinquantadue settimane di congedo da ripartire con il partner, mentre la Norvegia assegna ai neogenitori ben quarantasei settimane di congedo;

    14) la conciliazione tra lavoro e genitorialità è nel nostro Paese ancora estremamente difficoltosa e la percezione sociale di un aumentato sostegno pubblico alla genitorialità, sul piano dei congedi, appare ancora debole: il sondaggio di opinione condotto da We World in collaborazione con Ipsos, tra il febbraio e il marzo 2022 su un campione di 1.000 genitori di bambini/e under 18, ha rivelato che solo un genitore su cinque sa che attualmente il congedo di paternità ha una durata di 10 giorni, mentre i dati dell'Istat riferiti al 2022 indicano che il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5 per cento rispetto a quello delle donne della stessa età senza figli che è del 76,6 per cento. In altre parole, i dati restituiscono una fotografia dell'Italia come Paese in cui il potenziamento degli istituti del congedo genitoriale realizzato nell'ultimo decennio, con particolare riferimento a quello paterno, non è stato ancora in grado di sostenere adeguatamente il binomio genitorialità/lavoro, in cui il livello di informazione sui congedi genitoriali è ancora scarso, ma dove pure si rileva un'emergente disponibilità dei giovani padri a condividere la cura filiale;

    15) l'occupazione femminile è poi caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;

    16) per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat già citati, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento, come riporta un comunicato stampa della Commissione europea del 14 novembre 2023), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento);

    17) secondo i dati dell'Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell'Inps, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 per cento;

    18) dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l'occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate contro il 26,2 per cento degli uomini (si veda il Gender policies report 2022);

    19) tra le politiche sovranazionali volte a favorire l'occupazione femminile va ricordata la direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026. Tale direttiva stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, in particolare attraverso una maggiore trasparenza dei dati sulle retribuzioni, condizione prodromica per la garanzia di un'effettiva parità retributiva che si basa sulla convinzione secondo cui una maggiore conoscibilità del sistema retributivo di un'azienda, dei dati effettivi del divario retributivo di genere, delle informazioni specifiche per ciascun lavoratore è elemento centrale e decisivo per prevenire ed eliminare la discriminazione retributiva e garantire la parità;

    20) similmente, con la successiva direttiva dell'Unione europea 2024/1500 del 14 maggio 2024, il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;

    21) sebbene il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e maschile sia un principio fondamentale dell'Unione europea, l'effettiva attuazione di tale principio continua a incontrare una serie di ostacoli, come dimostra il dato sul divario retributivo di genere (gender pay gap) nell'Unione europea in base al quale le donne guadagnano, a parità di mansioni, in media il 13 per cento in meno rispetto agli uomini;

    22) il lavoro è uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità. Secondo le stime contenute nella recente ricerca di Banca d'Italia «Le donne, il lavoro e la crescita economica», in Italia solo poco più di una donna su due ha un lavoro, con un tasso di occupazione femminile del 51,1 per cento, ben al di sotto della media europea del 65 per cento;

    23) anche in virtù di quanto già riportato in merito alla difficile conciliazione di vita e lavoro, le donne più svantaggiate sono quelle con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Preoccupante è in questo senso il dato evidenziato con riferimento alla cosiddetta child penalty sui redditi da lavoro nel nostro Paese: tra le madri occupate, a 15 anni dalla nascita dei figli, la retribuzione annua è circa la metà rispetto a quella delle donne senza figli;

    24) il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il divario retributivo complessivo di genere, determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il divario retributivo pensionistico (gender pension gap), che è addirittura pari al 29 per cento nell'Unione europea;

    25) secondo il rapporto annuale dell'Inps pubblicato a settembre 2023, in media i pensionati percepiscono un importo mensile lordo superiore di oltre il 36 per cento a quello incassato dalle coetanee e la differenza sfiora il 38 per cento se si fa riferimento «solo» alle pensioni e alle indennità erogate dall'istituto. Per quanto poi attiene al settore pubblico, mentre i dipendenti fuori servizio per raggiunti limiti di età incassano 2.423,91 euro, le dipendenti di 1.831,97 (media lorda mese);

    26) il citato rapporto Inps certifica quello che milioni di lavoratrici e lavoratori già sanno, ossia che i fattori che creano e mantengono il divario di genere – in ambito lavorativo, nelle carriere, nelle retribuzioni, nei ruoli apicali – si riflettono anche nelle pensioni, con le donne svantaggiate, in eterna rincorsa dei coetanei, superati unicamente per le pensioni di reversibilità (legate ai redditi dei mariti defunti);

    27) sempre dai dati Inps si evidenzia un'altra differenza tra donne e uomini in relazione allo spostamento in avanti degli anni che bisogna avere per poter accedere alla pensione. L'età media per il collocamento a riposo è cresciuta per tutti: per gli uomini è passata da 62 anni nel 2012 a 64,2 nel 2014, per le donne è aumentata più lentamente, ma è arrivata a superare di cinque mesi quella dei coetanei: da 62,3 anni nel 2012 a 64,7 nel 2022. La ragione sta nella già richiamata discontinuità delle carriere femminili, che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata;

    28) da ultimo, la cosiddetta opzione donna ha sì consentito a molte donne di uscire prima dal mercato del lavoro, ma per le lavoratrici che hanno aderito a questa modalità il prezzo è stato la massiccia decurtazione dell'importo percepito: l'assegno medio è stato del 40 per cento più basso rispetto alla media di tutte le pensioni anticipate. Tale differenza sarebbe in parte riconducibile al ricalcolo contributivo, ma anche in parte alla minore contribuzione rispetto alle pensioni anticipate, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l'opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione;

    29) trattando di gender gap nel mercato del lavoro, non si può prescindere da un approccio che parta dalla violenza sulle donne, troppo spesso ancora oggetto di molestie sul luogo di lavoro e non sufficientemente supportate nel mantenimento dell'occupazione e del reddito, oltreché nel percorso di reinserimento lavorativo laddove siano state vittime di violenza;

    30) con la Convenzione n. 190, dal 2019 l'Organizzazione internazionale del lavoro ha riconosciuto il diritto di tutte le persone a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, comprese la violenza e le molestie di genere. Ratificata dall'Italia (secondo Paese europeo, dopo la Grecia) il 29 ottobre 2021, la Convenzione rappresenta la prima norma internazionale volta a fornire un quadro organico di intervento per prevenire e contrastare le molestie nel mondo del lavoro, ma soprattutto ne detta la prima definizione riconosciuta secondo cui le molestie sono un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili che si prefiggono, causano o possono comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico;

    31) secondo i dati del paper «The wage effect of workplace sexual harassment: evidence for women in Europe», pubblicato a maggio 2023 dall'Institute for new economic thinking, l'alto rischio di molestie sessuali penalizza le donne, riducendone i salari e contribuendo così ad aumentare il divario retributivo di genere. Si è infatti riscontrato un impatto negativo significativo del rischio di molestie sessuali sui salari delle donne occupate, che è maggiore per le lavoratrici altamente qualificate rispetto a quelle poco qualificate: il rischio di molestie sessuali riduce il premio salariale che le lavoratrici percepiscono per il fatto di essere impiegate in posizioni professionali apicali;

    32) lo studio conclude che, in Europa, le donne impiegate in occupazioni contro-stereotipate – sia in termini di status occupazionale (donne in posizioni apicali), sia in termini di composizione di genere (donne impiegate in ambienti di lavoro in cui la maggior parte delle posizioni apicali sono occupate da uomini) – sono altamente penalizzate, perché sperimentano le conseguenze più severe delle molestie sessuali sui loro salari. Questo tipo di pressioni va considerato quindi come costo aggiuntivo per le donne, anche perché può agire come disincentivo rispetto all'accettare lavori altamente qualificati, andando a incrementare la segregazione orizzontale e verticale di genere nei mercati del lavoro europei;

    33) per quanto attiene al nostro Paese, sebbene tra il 2015 e il 2022 l'Italia abbia speso complessivamente 157 milioni di euro contro la violenza (circa 20 per misure di sostegno al reddito, 124 per interventi di reinserimento e inserimento lavorativo delle donne fuoriuscite da situazioni di violenza, 12 per l'autonomia abitativa), stando a quanto emerge dallo studio «Diritti in bilico. Reddito, casa e lavoro per l'indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza» di ActionAid Italia, si tratta di cifre decisamente insufficienti, corrispondenti a circa 54 euro al mese per donna presa in carico non economicamente autonoma;

    34) oltre alla necessità di modificare l'attuale disciplina penale che identifica la violenza sessuale solo se agita con «violenza, minaccia o abuso di autorità» e, quindi, di riconoscere il fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro – come d'altronde fa già da tempo l'Inail –, va garantita la possibilità di disporre di un reddito sufficiente, di un alloggio sicuro, di un lavoro dignitoso e di servizi pubblici ben funzionanti: si tratta di presupposti tutti essenziali per consentire alle donne non solo di abbandonare situazioni di violenza, ma anche di accelerare il loro processo di empowerment. Questi devono essere gli elementi costitutivi di una politica pubblica per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza economica. Si tratta sostanzialmente di garantire quei diritti economici e sociali tutelati da numerose leggi internazionali – inclusa la Convenzione di Istanbul – e dalla stessa Costituzione;

    35) ancora lontana, però, è la realtà quotidiana delle donne rispetto alle previsioni normative: come testimoniato dall'Istat nel corso dell'audizione svoltasi presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati il 27 febbraio 2024, quasi la metà delle donne che hanno avviato un percorso di uscita da una violenza subita non è infatti economicamente autonoma. La rilevazione sull'utenza dei centri antiviolenza non solo ha permesso di individuare le donne che hanno subito violenza economica (nel complesso si tratta di 10.515 donne, il 40,2 per cento), ma anche una serie di segnali importanti della dipendenza economica della donna. La percentuale infatti aumenta al 74 per cento se si considerano le donne che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al centro antiviolenza con una richiesta di supporto all'autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subito violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all'autonomia da parte del centro antiviolenza;

    36) anche dall'analisi delle chiamate ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking emerge un quadro preoccupante: nel 2023 le violenze economiche sono segnalate dal 19,7 per cento delle donne che contattano il numero 1522. Subiscono di più violenza economica le casalinghe (41 per cento), le lavoratrici in nero (32,9 per cento) e le disoccupate (30,6 per cento); per le occupate la percentuale è pari a 15,9 per cento. Inoltre, le donne che presentano situazioni economiche più svantaggiate subiscono più di frequente violenza dai partner con cui vivono: in particolare ciò si verifica per le disoccupate (53,7 per cento), le casalinghe (79,5 per cento) e le lavoratrici in nero (52,8 per cento);

    37) i dati raccolti evidenziano quindi ancora quanto il lavoro, l'occupazione femminile e l'indipendenza economica siano un valido e imprescindibile argine contro la violenza. In Italia, le politiche per l'inserimento lavorativo o il mantenimento dell'occupazione rivolte alle donne vittime di violenza sono poche e frammentarie. Nello specifico, per favorire l'inserimento lavorativo sono stati finanziati in maniera disorganica, generalmente a livello regionale, percorsi di formazione professionale, tirocini, attività di avvio all'autoimprenditorialità, a cui si sommano gli sgravi contributivi per le imprese – introdotti sperimentalmente a livello nazionale – per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato di donne che hanno subito violenza;

    38) la parità di genere è uno dei valori fondanti dell'Unione europea, al centro della Strategia per la parità di genere 2020-2025 e riconosciuta dai Piani di ripresa e resilienza adottati dai Governi degli Stati che ne fanno parte. I piani d'intervento nazionali riguardano soprattutto le differenze di genere sul mercato del lavoro, che restano marcate in alcuni Paesi come l'Italia;

    39) l'attuale contesto europeo vive una persistente fase di crisi che trae origine dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla situazione di instabilità geopolitica alimentata dai conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente, nonché dall'emergenza climatica e ambientale globale. In tale scenario, le disparità di genere si moltiplicano e pongono ai Paesi europei vecchie e nuove sfide a cui le politiche pubbliche dovrebbero trovare risposte capaci di raggiunge l'intera popolazione;

    40) si tratta di scelte sul futuro che, stando ai dati appena usciti sulla composizione di genere del nuovo Parlamento europeo, saranno assunte da un consesso in cui la partecipazione femminile è in calo. A parte alcune conferme (Svezia e Finlandia sono i Paesi che hanno eletto più donne, rispettivamente 62 e 60 per cento), infatti, la media europea di presenza femminile passa dal 41 per cento del 2019 al 39 per cento nel 2024: per la prima volta nella storia del Parlamento europeo la presenza delle donne non cresce e si registra un passo indietro. Una dinamica che riguarda anche l'Italia, che dopo queste elezioni risulta ben al di sotto della media dell'Unione europea con il 33 per cento, mentre nel 2019 le donne erano il 41 per cento;

    41) altra notizia negativa la si apprende leggendo il rapporto Draghi su «Il futuro della competitività europea», presentato il 9 settembre 2024 a Bruxelles: alzando lo sguardo verso un futuro di più lungo termine, dentro uno scenario economico-finanziario soggetto a continui e repentini cambiamenti, specie negli ultimi anni, la prospettiva di genere pare quasi completamente assente. Il sintetico riferimento alla crescita della quota femminile della forza lavoro, come fattore di aumento del contributo del lavoro alla crescita, non basta come indicazione in un Rapporto che ambisce ad indicare la strategia per affrontare le sfide future: stando ai dati del Global gender gap report 2024, ad oggi servirebbero 134 anni per raggiungere la piena parità, circa cinque generazioni in più rispetto all'obiettivo di sviluppo sostenibile fissato al 2030; la correlazione positiva tra occupazione femminile e livello del prodotto interno lordo è invero ormai stimata da numerose organizzazioni internazionali: più donne al lavoro significa maggiore produzione e creazione di valore aggiunto che si converte in prodotto interno lordo. Non si tratta solo di livello di prodotto interno lordo, ma anche di crescita in termini reali e di benessere sociale perché il lavoro femminile innesca una spinta ulteriore di domanda di lavoro e un circolo virtuoso di opportunità;

    42) diverso è stato infatti il caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, al fine di rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia, ha individuato nel superamento delle «disparità di genere» una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano stesso, in un'ottica di gender mainstreaming;

    43) uno studio dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige) sui «vantaggi economici dell'uguaglianza di genere» fornisce nuovi solidi riscontri obiettivi dai quali emergono gli impatti positivi della riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro. Tra le misure a favore dell'uguaglianza di genere che possono ridurre i divari di genere, si segnalano in particolare: offerta di assistenza all'infanzia e altre forme di assistenza, cambiamenti della retribuzione e delle condizioni di fruizione del congedo parentale, promozione e sostegno di contratti di lavoro a tempo parziale e flessibili, disposizioni legislative e politiche in materia di parità di retribuzione e di condizioni di lavoro, eliminazione della segregazione di genere a livello di settori e di posti di lavoro e riduzione del numero di interruzioni di carriera tra le donne;

    44) la stima dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere sulla crescita del prodotto interno lordo in Europa mostra che, entro il 2050, promuovere la parità di genere in uno scenario di progresso rapido rispetto a quello lento potrebbe aumentare il prodotto interno lordo pro capite in Europa dal 6,1 al 9,6 per cento. Si tratta di un ammontare tra i 1,95 e i 3,15 milioni di milioni di euro. Inoltre, nei Paesi che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, come l'Italia, il potenziale impatto sul prodotto interno lordo è maggiore: i guadagni di prodotto interno lordo potrebbero arrivare nel 2050 a circa il 12 per cento,

impegna il Governo:

1) al fine di rilanciare il sistema Paese, ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a predisporre un piano straordinario e urgente volto a sostenere e promuovere l'occupazione femminile, la conciliazione tempi di vita e lavoro, in particolare:

  a) adottando iniziative di programmazione concrete che riorganizzino ogni servizio suscettibile di supportare e sostituire il lavoro di cura prevalentemente svolto dalle donne, anche attraverso:

   1) la disponibilità di servizi socio-educativi per la prima infanzia quale diritto esigibile di tutti i bambini e il rafforzamento della rete degli asili nido, a partire dai territori più deprivati, con copertura dei posti, adeguati standard qualitativi e condizioni di accessibilità eque e compatibili con le potenzialità di spesa delle famiglie;

   2) il riconoscimento e l'acquisizione di un valore economico del lavoro di cura e domestico, cruciale per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e per una maggiore conciliazione vita-lavoro, in particolare adottando un serio piano di sostegno all'occupazione in questo settore, suscettibile di determinarne una maggiore produttività e una conseguente riduzione dell'area sommersa;

   3) la promozione di progetti a livello comunale che, sostenendo l'occupazione, rispondano in maniera più prossima alle esigenze legate alla cura e all'assistenza, con effetti positivi sia per le famiglie che per coloro che prestano il servizio;

   4) l'incentivazione della creazione di asili nido aziendali attraverso l'istituzione di un «Fondo» nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   5) l'adozione di modelli flessibili di organizzazione del lavoro come la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario e lo smart working, con particolare attenzione ai soggetti fragili e ai genitori con figli di età inferiore ai 14 anni;

  b) prevedendo iniziative volte a un'estensione del sistema di tutela delle lavoratrici, sia del comparto autonomo che subordinato, modificando il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e in particolare prevedendo:

   1) l'ampliamento da cinque a sei mesi del congedo obbligatorio di maternità;

   2) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio di paternità;

   3) la fruibilità congiunta e contestuale dei congedi obbligatori dei genitori;

   4) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio per entrambi i genitori anche nel caso di adozione o affidamento ovvero nei casi rientranti nella gestione separata;

   5) l'estensione del trattamento in tutti i casi sopra citati fino alla copertura di un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione;

   6) il sostegno dell'allattamento attraverso l'individuazione di spazi idonei che, ove le condizioni lavorative e ambientali lo consentano, permettano al genitore che lo desideri di poter allattare il bambino anche durante l'orario di lavoro, fermo restando il diritto ad usufruire dei periodi già previsti dalla normativa vigente;

  c) rafforzando e implementando iniziative specifiche di tutela e sostegno delle donne, in particolare delle donne vittime di violenza e con disabilità, e dedicate anche alle persone transgender, non-binary e gender non-conforming, volte a superare la discriminazione e gli ostacoli che incontrano nel corso dell'intero ciclo lavorativo, con specifico riguardo:

   1) alla promozione e creazione di una cultura lavorativa positiva e inclusiva finalizzata alla prevenzione di comportamenti che possano direttamente o indirettamente determinare l'insorgere di stati di disagio o di danno psichico a carico delle lavoratrici e dei lavoratori;

   2) alla prevenzione e al contrasto delle condotte vessatorie a carico delle lavoratrici e dei lavoratori e delle conseguenti disfunzioni organizzative ansiogene nei luoghi di lavoro;

   3) alla definizione di sistemi premiali che incentivino l'inclusività, la concreta attuazione dell'eguale valorizzazione del lavoro e siano funzionali alla conservazione del posto di lavoro nel tempo e nelle varie fasi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori;

   4) alla previsione di iniziative normative volte al reinserimento professionale delle donne vittime di violenza, al riconoscimento del fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro, all'accelerazione del processo di empowerment femminile nei luoghi di lavoro sia pubblici che privati, dando concreta attuazione alla Convenzione Ilo n. 190 «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia con legge 15 gennaio 2021, n. 4;

  d) garantendo una piena e più estesa effettiva applicazione dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e delle relative tutele contro il fenomeno delle c.d. «dimissioni in bianco»;

  e) dando piena attuazione alla direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione, in particolare:

   1) attraverso il riconoscimento di un valore economico al lavoro di cura e domestico di modo che, nell'ambito di una considerazione dell'economia quale sistema di riproduzione sociale, esso non si traduca in una valorizzazione di mercato quanto piuttosto una valorizzazione sociale (social provisioning), tale da influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, rendendo quindi il lavoro di cura remunerabile e contribuendo a ridurre il differenziale di genere nel mercato del lavoro in termini di retribuzione e benefici;

   2) prevedendo interventi mirati a ridurre il gap pensionistico, attraverso il ripristino, nel prossimo provvedimento utile, della disciplina sull'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna» alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022 e l'adozione di ulteriori misure suscettibili di affrontare in modo più incisivo e risolutivo le condizioni che sono alla base della penalizzazione femminile in campo previdenziale ovverosia la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro, con particolare riguardo ai bassi livelli contributivi e alle interruzioni di contribuzione per maternità e lavoro di cura.
(1-00329) «Quartini, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Di Lauro, Marianna Ricciardi, Sportiello, Tucci, Alifano, Amato, Appendino, Ascari, Auriemma, Baldino, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Cappelletti, Caramiello, Carmina, Caso, Cherchi, Alfonso Colucci, Conte, Sergio Costa, D'Orso, Dell'Olio, Donno, Fede, Fenu, Ferrara, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Penza, Raffa, Riccardo Ricciardi, Santillo, Scerra, Scutellà, Francesco Silvestri, Torto, Traversi».

(23 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) la parità di genere è un diritto fondamentale riconosciuto a livello internazionale, europeo e costituzionale e rappresenta un obiettivo prioritario per garantire equità e sviluppo sociale ed economico;

    2) nonostante una maggiore attenzione delle politiche europee e nazionali e un crescente impegno delle istituzioni nel contrastare il fenomeno, il divario di genere nel mondo del lavoro rimane per l'Italia una delle più significative forme di disuguaglianza, soprattutto in termini di accesso alle posizioni dirigenziali, di retribuzione e opportunità di crescita professionale;

    3) l'Italia è scesa dal 79° all'87° posto nella graduatoria mondiale della parità di genere stilata dal World economic forum e secondo il Gender equality index 2022 dell'Eige (European institute for gender equality) si colloca al 14° posto tra i 27 Paesi europei, con ampie disparità in aree come la partecipazione al lavoro, le risorse economiche e il potere decisionale;

    4) secondo i dati Istat, il tasso di occupazione femminile in Italia nel 2023 si attesta al 52,1 per cento, contro il 72,1 per cento degli uomini, con un divario di 20 punti percentuali che pone l'Italia tra i Paesi con il divario occupazionale di genere tra i più alti in Europa, dove la media è del 10,8 per cento;

    5) le donne risultano essere maggiormente coinvolte nei lavori part time e una su cinque lascia il mercato del lavoro dopo la maternità, spesso non per scelta ma per una necessità imposta da fattori esterni come la cura familiare, la mancanza di servizi di supporto e la discriminazione di genere nel mercato del lavoro;

    6) in molte famiglie italiane la cura dei figli, degli anziani o di altri familiari dipendenti ricade prevalentemente sulle donne. Secondo dati Istat, il 24,5 per cento delle donne italiane tra i 55 e i 64 anni fornisce assistenza gratuita ai familiari, riducendo così la loro disponibilità per un impiego a tempo pieno. Questa distribuzione diseguale del lavoro di cura è spesso una delle principali ragioni che spingono le donne a lavorare part time o a rimanere in posizioni a basso reddito e con poche opportunità di crescita in cambio di una maggiore flessibilità a lavoro;

    7) la carenza di servizi accessibili e flessibili, come asili nido, scuole pubbliche con orari prolungati e strutture per l'assistenza agli anziani, costringe molte donne a ridurre le proprie ore lavorative per poter far fronte alle esigenze familiari. In particolare, nelle regioni del Mezzogiorno, la disponibilità di tali servizi è limitata, aumentando la pressione sulle donne di dover combinare lavoro e cura familiare;

    8) è fondamentale evidenziare che l'accesso agli asili nido è un fattore cruciale per permettere alle donne di partecipare attivamente e a tempo pieno al mercato del lavoro, ma l'offerta di asili nido pubblici in Italia è insufficiente e non è distribuita equamente sul territorio. Secondo dati Istat, solo il 26 per cento dei bambini sotto i tre anni ha accesso a servizi per la prima infanzia, contro una media europea che supera il 30 per cento. La situazione è ancora più critica nelle regioni del Mezzogiorno, dove la copertura dei servizi per l'infanzia è ben al di sotto della media nazionale. Ad esempio, in alcune regioni, come la Calabria e la Sicilia, la percentuale di bambini che frequentano un asilo nido è inferiore al 10 per cento, lasciando le famiglie senza alternative. Questo deficit di servizi pubblici spinge molte donne a rimanere a casa o a ridurre le ore di lavoro per occuparsi dei figli, rinunciando così alle opportunità di carriera e di realizzazione professionale;

    9) inoltre, anche nelle aree in cui i servizi sono disponibili, gli orari di apertura delle scuole non sono sempre compatibili con le esigenze lavorative dei genitori. Le scuole italiane, infatti, hanno orari ridotti rispetto a quelli di molti altri Paesi europei, con la maggior parte delle istituzioni che terminano le lezioni a metà giornata e con poche opzioni per il tempo prolungato o il doposcuola. Tale situazione costringe i genitori, in particolare le madri, a dover gestire il tempo extra non coperto dalla scuola, spesso ricorrendo al part time oppure rivolgendosi all'assistenza privata, gravando in modo sproporzionato sul reddito e generando disparità di trattamento tra chi può permettersi un supporto esterno e chi invece è costretto a ridurre o abbandonare l'attività lavorativa per mancanza di alternative economiche;

    10) oltre alla cura dei figli, molte donne sono responsabili dell'assistenza agli anziani, specialmente in famiglie multigenerazionali. Il nostro Paese ha una popolazione in progressivo invecchiamento e i servizi di assistenza pubblici, come le residenze per anziani o l'assistenza domiciliare, sono insufficienti. Secondo i dati Istat, solo il 10 per cento degli anziani riceve assistenza domiciliare, il che significa che il 90 per cento delle persone anziane, molte delle quali necessitano di cure quotidiane, è gestito in casa, prevalentemente dalle donne della famiglia, che finiscono per sacrificare la loro carriera lavorativa;

    11) le famiglie italiane spendono in media il 10 per cento del loro reddito per pagare i servizi di cura, una percentuale che aumenta nelle regioni del Sud e per le famiglie a reddito più basso. Molte donne, trovandosi davanti a costi elevati e a servizi pubblici limitati, scelgono di lavorare meno ore o di rinunciare completamente al lavoro, poiché il reddito derivante da un impiego a tempo pieno potrebbe non coprire i costi di cura e assistenza alla famiglia;

    12) la precarietà lavorativa femminile ha effetti negativi non solo sull'autonomia economica delle donne durante l'età lavorativa, ma anche sulla loro pensione futura, in quanto contratti a termine, lavori part time e interruzioni di carriera dovute a responsabilità di cura familiare riducono il reddito complessivo e i contributi pensionistici, ampliando le disuguaglianze di genere a lungo termine;

    13) le donne con disabilità affrontano ostacoli significativi non solo nell'ottenere un'occupazione stabile, ma anche nel vedersi garantiti i diritti fondamentali alla pari dei colleghi maschi o delle donne senza disabilità, subendo pertanto una doppia discriminazione, sia a causa della loro condizione fisica o mentale, sia per questioni di genere, che le espone a maggiori difficoltà nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera e nella conciliazione vita-lavoro;

    14) in tante aziende esiste ancora una forte discriminazione di genere basata su stereotipi radicati che presumono erroneamente che le donne, specialmente in età fertile o già madri, siano meno affidabili o meno «dedicate» al lavoro, in quanto vengono spesso percepite come poco disponibili a fare straordinari o a spostarsi per motivi professionali. Tali pregiudizi impliciti portano a una minore fiducia nell'affidare loro ruoli di grande responsabilità o a offrire opportunità di crescita professionale, alimentando il fenomeno del «soffitto di cristallo», ossia di barriere invisibili che impediscono alle donne, anche quando dimostrano di avere le competenze e l'esperienza necessarie per ricoprire ruoli di alto livello, di accedere a posizioni di leadership o di avanzare nella carriera aziendale o istituzionale;

    15) il divario di genere è evidente anche nella retribuzione: le donne italiane guadagnano mediamente meno degli uomini, con un gender pay gap complessivo che raggiunge il 43 per cento tra i salari annui medi, uno dei più alti in Europa. Nel settore privato, in particolare, il gender pay gap diventa più marcato, considerando le differenze di carriera che vedono solo il 28 per cento delle posizioni dirigenziali nelle imprese occupate da donne, rispetto al 33 per cento della media europea;

    16) nonostante le donne rappresentino il 58 per cento dei laureati, superando gli uomini in termini di tasso di conseguimento di lauree triennali e magistrali, tuttavia continuano a essere fortemente sottorappresentate nelle discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics). Solo il 16,6 per cento delle laureate italiane proviene da tali discipline, un dato che evidenzia un divario significativo rispetto agli uomini e che ha implicazioni importanti sul loro accesso ai settori lavorativi più remunerativi e strategici per la crescita economica e tecnologica del Paese;

    17) le istituzioni europee hanno più volte sottolineato la necessità di attuare misure concrete per ridurre le disuguaglianze di genere nel lavoro, come indicato nelle recenti direttive e raccomandazioni, con l'obiettivo di colmare il divario di genere entro il 2030. In particolare, la direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026, ha stabilito norme finalizzate a garantire la trasparenza salariale e a stabilire prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro tra uomini e donne e il divieto di discriminazione in materia di occupazione e impiego per motivi di genere. La direttiva ha inoltre previsto che gli Stati membri sviluppino strumenti o metodologie per confrontare il valore dei lavori svolti da uomini e donne, assicurando che le valutazioni siano basate su criteri oggettivi, non discriminatori e, ove possibile, concordati con i rappresentanti dei lavoratori;

    18) il Piano nazionale di ripresa e resilienza avrebbe dovuto essere uno strumento utile a raggiungere la parità di genere, ma, a tre anni dalla sua approvazione, le azioni messe in atto sembrano presentare notevoli criticità. L'articolo 47 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, ha stabilito disposizioni per promuovere l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro, tramite l'introduzione del cosiddetto «gender procurement», imponendo l'obbligo per le imprese partecipanti alle gare pubbliche di riservare almeno il 30 per cento delle assunzioni alle donne. Tale norma mirava a ridurre il significativo divario occupazionale tra uomini e donne, contribuendo a innalzare il tasso di occupazione femminile in Italia, fermo al 55 per cento, e avvicinarlo alla media europea del 69,3 per cento. Tuttavia, le deroghe consentite dalle linee guida per l'attuazione dell'articolo 47 hanno aperto la possibilità di escludere l'applicazione delle quote con clausole generiche. Di conseguenza, il 57 per cento dei progetti approvati è andato in deroga totale, senza alcun riferimento al «gender procurement», e per il 60 per cento dei bandi in deroga non è stata resa disponibile alcuna motivazione specifica per l'esenzione;

    19) la normativa vigente non prevede l'obbligo di inserire le premialità legate all'inclusione lavorativa delle donne nei bandi di gara, lasciando la loro applicazione alla discrezionalità degli enti appaltanti. Questa mancanza di vincolo normativo determina un'applicazione insufficiente delle misure a sostegno della parità di genere, in contrasto con l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza di considerare la parità di genere una priorità trasversale, e compromette la possibilità di riconoscere punteggi aggiuntivi alle imprese che hanno già attuato misure concrete per favorire l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro e la parità di genere nelle loro strutture organizzative;

    20) la legge 5 novembre 2021, n. 162, ha introdotto la certificazione della parità di genere per incentivare le aziende a ridurre il divario di genere, ma solo poche centinaia di imprese hanno ottenuto tale certificazione su oltre 4,3 milioni di imprese attive in Italia;

    21) il cosiddetto Family act, introdotto con la legge 7 aprile 2022, n. 32, che delegava il Governo ad adottare entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge i decreti legislativi attuativi volti a promuovere interventi strutturali a favore delle famiglie, dei giovani e delle donne, non è stato attuato. La delega all'Esecutivo per attuare il piano è scaduta senza l'emanazione di alcun decreto e, di conseguenza, non sono state introdotte le misure di fiscalità agevolata per le famiglie, il rimborso delle spese scolastiche, gli incentivi al lavoro femminile e la riforma dei congedi parentali. L'unica misura strutturale rimasta è l'assegno unico universale, approvato nella XVIII legislatura;

    22) le misure introdotte dai decreti collegati al cosiddetto Jobs act, come l'estensione del periodo di congedo parentale, insieme agli incentivi per le imprese che adottano il telelavoro e la legislazione che ha regolamentato lo smart working, hanno rappresentato passi importanti per promuovere una più equa distribuzione delle responsabilità familiari e ridurre per le imprese i costi di organizzare il lavoro in maniera meno standardizzata e più aderente ai ritmi richiesti dalla combinazione di lavoro e famiglia;

    23) le misure introdotte con la legge di bilancio per il 2024, come l'aumento del bonus asilo nido e la riduzione dei contributi previdenziali per le madri lavoratrici dipendenti, pur rappresentando dei passi avanti, sono comunque rivolte solo a famiglie con due o più figli e con limiti di Isee che restringono ulteriormente la platea di beneficiari. Escludere le madri con un solo figlio dal beneficio significa ignorare il fatto che le difficoltà economiche e le esigenze di conciliazione lavoro-famiglia per le donne si presentano anche nel caso del primo figlio e non tenere in considerazione che la maggior parte delle famiglie italiane ha un solo bambino e che è proprio la decisione di avere il primo figlio a rappresentare un passo cruciale per invertire la tendenza demografica negativa del nostro Paese. Inoltre, la mancanza di sostegni specifici per le donne single con figli, che devono gestire in completa autonomia le responsabilità genitoriali senza poter contare sul supporto di un partner, rischia di emarginarle ulteriormente. Questa situazione limita le loro opportunità di realizzazione personale e professionale, riducendo la capacità di partecipare attivamente al mercato del lavoro;

    24) uno degli ostacoli principali alla formazione di nuove famiglie è la mancanza di stabilità economica e abitativa, che spesso impedisce alle coppie di programmare la costituzione di una famiglia. La difficoltà di accesso a mutui e affitti a condizioni vantaggiose, soprattutto per i giovani e per coloro che hanno contratti di lavoro precari o part time, prime fra tutte le donne, rappresenta un freno significativo alla natalità;

    25) le politiche attuali, nel loro complesso, tendono a incentivare principalmente la nascita del secondo e del terzo figlio, riflettendo una visione che focalizza le politiche di genere sulla promozione della maternità come priorità centrale per le donne, sottintendendo che il ruolo primario delle donne sia quello di madri. Questo orientamento politico e culturale non considera adeguatamente il desiderio di molte donne di conciliarsi con il lavoro, né promuove un sistema equo che condivida il peso delle responsabilità genitoriali e familiari con i padri, ma rafforza una visione tradizionale del ruolo delle donne, limitando le loro opportunità di crescita professionale e occupazionale,

impegna il Governo:

1) a promuovere iniziative strutturali volte a ridurre il divario di genere nel mondo del lavoro, in particolare attraverso l'introduzione di politiche che favoriscano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro in modo strutturato e qualificato e che garantiscano l'equità salariale, incentivando la trasparenza retributiva all'interno delle aziende pubbliche e private, anche con l'introduzione di sanzioni per le realtà che non rispettano i principi di equità retributiva tra uomini e donne;

2) a sviluppare misure di sostegno per l'accesso delle donne alle posizioni dirigenziali e di leadership, favorendo politiche di quota di genere nei processi di selezione e assunzione e introducendo maggiori incentivi per le aziende che adottano politiche inclusive;

3) a prevedere misure che incentivino l'inclusione femminile nei settori caratterizzati da alta disparità di genere, come le discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics), strategici per la crescita economica e tecnologica del Paese, attraverso politiche di orientamento, borse di studio dedicate e misure per combattere gli stereotipi di genere che ancora limitano le scelte formative delle ragazze;

4) ad assumere iniziative volte a incentivare le politiche di welfare aziendale che favoriscano la conciliazione lavoro-famiglia e sostengano il reinserimento delle donne nel mercato del lavoro dopo periodi di assenza e che favoriscano il lavoro flessibile, con particolare riguardo al part time, ai servizi per l'infanzia e al lavoro agile, incentivandolo e compatibilmente con esigenze organizzative, su base accordi, favorendo anche la settimana corta al fine di favorire di organizzare il lavoro in maniera meno standardizzata e più aderente ai ritmi richiesti dalla combinazione di lavoro e famiglia;

5) ad adottare iniziative volte a potenziare, per quanto di competenza, l'accesso ai servizi di supporto alla famiglia, come asili nido e scuole con orari prolungati, attraverso l'ampliamento dell'offerta di tali servizi su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno, al fine di consentire alle donne di partecipare attivamente al mercato del lavoro senza dover ridurre le proprie ore lavorative o abbandonare il lavoro;

6) ad adottare iniziative volte a estendere le misure di sostegno previste dalla legislazione vigente per le madri di due o più figli anche alle madri con un solo figlio, incluse le madri single, al fine di poter affrontare le sfide economiche e di conciliazione lavoro-famiglia fin dal primo figlio;

7) ad adottare iniziative volte a sviluppare strumenti di garanzia pubblica più efficaci per facilitare l'accesso a mutui e affitti a condizioni agevolate, in particolare per le giovani coppie con donne lavoratrici che si trovano in condizioni di precarietà occupazionale;

8) ad adottare iniziative volte a introdurre politiche di congedo parentale paritario, estendendo e rafforzando il congedo retribuito per i padri, al fine di favorire una più equa divisione delle responsabilità genitoriali e ridurre il carico di cura che grava prevalentemente sulle madri, incentivando la partecipazione dei padri alla cura familiare;

9) a promuovere politiche inclusive che incentivino le aziende a integrare donne con disabilità, attraverso programmi di formazione, incentivi fiscali e strumenti di monitoraggio per valutare i progressi in termini di inclusione;

10) a rafforzare le tutele lavorative, con l'introduzione di programmi di assistenza specifici che prevedano supporto sia per le donne con disabilità che per le imprese che le assumono, facilitando, per quanto di competenza, la creazione di ambienti di lavoro accessibili e inclusivi;

11) ad adottare iniziative per rendere obbligatoria l'applicazione delle premialità legate all'inclusione lavorativa delle donne nei bandi di gara e appalti pubblici, garantendo che le aziende che adottano politiche inclusive e paritarie ricevano riconoscimenti tangibili in termini di punteggi aggiuntivi, come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, al fine di promuovere una maggiore partecipazione delle donne al lavoro;

12) ad adottare iniziative volte a potenziare il sistema di certificazione della parità di genere, incentivando ulteriormente le imprese a ottenere la certificazione attraverso meccanismi di premialità più efficaci e diffondendo la consapevolezza sui vantaggi derivanti dall'adozione di misure concrete per ridurre il divario di genere;

13) a rafforzare il monitoraggio dell'applicazione del «gender procurement» previsto dall'articolo 47 del decreto-legge n. 77 del 2021, eliminando le clausole generiche di deroga e prevedendo obblighi stringenti per le imprese partecipanti alle gare pubbliche in materia di assunzioni di donne, con l'obiettivo di aumentare il tasso di occupazione femminile e ridurre il divario occupazionale tra uomini e donne;

14) ad adottare iniziative normative per riaprire la delega prevista dal Family act, ai fini dell'adozione dei decreti legislativi necessari per garantire l'introduzione di misure di fiscalità agevolata per le famiglie, il rimborso delle spese scolastiche, incentivi al lavoro femminile e la riforma dei congedi parentali, fornendo così un quadro normativo stabile e strutturato a favore delle famiglie e delle donne;

15) ad adottare iniziative per riprendere il percorso di consolidamento e rafforzamento dell'assegno unico universale, rendendolo uno strumento più inclusivo ed equo, capace di sostenere economicamente tutte le famiglie con figli, indipendentemente dal numero dei figli o dalle loro condizioni economiche, per incentivare una ripresa demografica e ridurre il peso economico che grava sulle donne in particolare;

16) a sostenere campagne di sensibilizzazione a livello nazionale per promuovere la parità di genere nei luoghi di lavoro e combattere gli stereotipi di genere che ancora influenzano le scelte dei datori di lavoro, coinvolgendo non solo le istituzioni pubbliche, ma anche le aziende private e le associazioni di categoria, con particolare attenzione alle nuove generazioni, al fine di educarle all'inclusione e promuovere l'introduzione nelle scuole di programmi educativi sulla parità di genere, indispensabili per superare gli stereotipi e le mentalità patriarcali che perpetuano le disuguaglianze.
(1-00333) «Faraone, Gadda, De Monte, Del Barba, Bonifazi, Boschi, Giachetti, Gruppioni».

(24 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) un Paese che non riesce a riconoscere il dovuto ruolo della donna nella società, nell'economia e nelle istituzioni, oltre a perpetrare una ingiustificabile discriminazione che ne frustra le legittime aspirazioni e potenzialità – è ormai dimostrato da innumerevoli studi e ricerche – rinuncia a uno sviluppo equilibrato e inclusivo, nonché a ingenti quote di ricchezza nazionale che, secondo la Banca d'Italia, arrivano fino a 7 punti percentuali di Pil;

    2) nel contesto europeo, il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere – secondo dati relativi al quarto trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell'Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento. Il recente dato dell'aprile 2024 di limitato incremento dell'occupazione femminile nella fascia di età 15-64 anni, con un 53,4 per cento, non sembra certo il prologo per una inversione di tendenza, anche in considerazione del fatto che, in numeri assoluti, si registrano 13.781 mila occupati maschi a fronte di 10.194 mila lavoratrici, con un divario occupazionale di 18 punti percentuali;

    3) in Germania il tasso di occupazione femminile è al 77,4 per cento, in Francia al 71,7 per cento, ma anche in Spagna è superiore di quasi dieci punti percentuali a quello italiano e con divari che si fermano al 7,7 per cento in Germania, al 5,5 per cento in Francia e al 10,2 per cento in Spagna;

    4) per di più, secondo Eurostat 2024, una donna su cinque presenta le proprie dimissioni dopo la nascita del primo figlio. Quasi la metà delle dimissioni presentate nel 2022 (il 42 per cento) è collegata apertamente alle difficoltà di svolgere il lavoro di cura a causa dell'assenza di adeguati servizi per la prima infanzia e il 22 per cento a problemi legati all'organizzazione del lavoro, secondo quanto riferito dall'ispettorato nazionale del lavoro;

    5) inoltre, in Italia, alla maternità è associata una forte perdita salariale per le donne, la difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro e minori possibilità di progressioni di carriera. Tale effetto, conosciuto come «child penalty», si traduce in cifre allarmanti: nel lungo periodo la perdita dei salari annuali delle lavoratrici madri determinata dalla nascita di un figlio è pari al 53 per cento, dovuto per il 6 per cento alla riduzione del salario settimanale, per l'11,5 per cento all'accesso a rapporti di lavoro a tempo parziale e per il 35,1 per cento al minor numero di settimane retribuite (secondo i dati del 2020 dell'Istituto nazionale della previdenza sociale);

    6) come lucidamente chiarito dal Presidente della Repubblica in occasione del recente messaggio inviato all'11a edizione dell'iniziativa «il tempo delle donne», «Il divario del quasi 20 per cento tra occupazione maschile e femminile costituisce un punto critico di sistema: ogni sforzo va compiuto per ridurlo sempre di più. Il lavoro è anche libertà, dignità e riscatto. Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica. Il rispetto delle norme e dei diritti va assicurato anche attraverso una vigilanza ferma ed efficace.»;

    7) sul tema della parità salariale il Parlamento ha compiuto un significativo passo in avanti approvando la legge n. 102 del 2021, legge sulla parità salariale e di opportunità sul luogo di lavoro, in linea con le finalità della successiva direttiva (UE) 2023/970. Con tale misura si introducono disposizioni volte a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi, con l'obiettivo di ridurre la differenza di salario tra donne e uomini, e far emergere ogni discriminazione, anche indiretta, in ambito lavorativo, fornendo concretezza ai principi di equità già sanciti dalla Costituzione e dalla «legge Anselmi» del 1977 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, «Parità, di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro»);

    8) il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una grande occasione per intervenire sulle disuguaglianze e sul gender gap: le proposte del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevedono la digitalizzazione, l'innovazione, la competitività e la cultura, ovvero la promozione di posizioni dirigenziali di alto livello e incentivi per il corretto bilanciamento tra vita professionale e vita privata; investimenti nell'imprenditoria femminile digitale; un piano asili nido e di estensione del tempo pieno per semplificare la gestione della cura famigliare e l'occupazione femminile, uno specifico investimento nell'imprenditoria femminile, soprattutto nelle aree più critiche per la crescita professionale delle donne. In più, sono previste azioni per l'autonomia delle persone disabili che avranno effetti indiretti sull'occupazione femminile, nonché il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto domiciliare;

    9) il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto, inoltre, un investimento significativo per le giovani donne, che beneficeranno di progetti nei campi dell'istruzione e della ricerca, come pure dello stanziamento di risorse per l'estensione del tempo pieno scolastico e per il potenziamento delle infrastrutture sportive (a tal proposito, è promossa l'attività motoria nella scuola primaria, in funzione di contrasto alla dispersione scolastica), nonché la previsione di una clausola di condizionalità per l'assunzione di almeno il 30 per cento di donne e giovani. In tale prospettiva, appare più che criticabile la decisione del taglio dei fondi del PNRR riguardo il target finale degli asili nido e delle scuole dell'infanzia previsti dal precedente Governo Draghi, riducendo, difatti, sia il numero da 264.480 a 150.480 di posti e operando un taglio di 900 milioni destinati all'avvio della gestione del servizio di prima infanzia. Anche il successivo decreto del Ministro dell'istruzione e del merito per un nuovo Piano per gli asili nido del valore di 734,9 milioni di euro, che, in linea con gli obiettivi del PNRR, punta a incrementare i posti degli asili nido, non compensa il taglio fatto a valere sulle risorse del PNRR di 1,3 miliardi di euro;

    10) a livello internazionale va ricordata la Convenzione n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro in questo contesto normativo, approvata dall'Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, con la quale si stabilisce l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso». A fronte di tali problematiche, la Convenzione ha, altresì, proposto l'adozione un approccio inclusivo, integrato e in una prospettiva di genere, che intervenga sulle cause all'origine e sui fattori di rischio, ivi compresi stereotipi di genere, forme di discriminazione multiple e interconnesse e squilibri nei rapporti di potere dovuti al genere;

    11) tra i fattori che maggiormente incidono in negativo sulla condizione delle donne lavoratrici si segnala certamente l'incidenza del lavoro precario e del part-time involontario, fenomeni che vedono coinvolti maggiormente proprio le donne e i giovani, con particolare riguardo per quelle che vivono nelle regioni del Sud. Il contrasto alla precarietà e la promozione della buona e stabile occupazione rappresentano uno degli obiettivi prioritari per il miglioramento della condizione delle lavoratrici italiane;

    12) un lavoro precario, discontinuo e sottopagato precostituisce la condizione per una prospettiva pensionistica di povertà, a fronte della quale le misure adottate dal Governo non solo non rappresentano una opportunità reale, ma addirittura ne peggiorano il quadro. Basti pensare alla pressoché eliminazione di «opzione donna» o all'introduzione di «quota 103» con l'applicazione integrale del calcolo contributivo, che non costituisce alcuna concreta opportunità di uscita anticipata per le donne;

    13) sul piano salariale va ricordato che dai recenti lavori del Forum Ambrosetti è stato evidenziato come l'introduzione del salario minimo legale in Germania abbia ridotto il gender pay gap tra uomini e donne. Una valutazione confermata dall'Ocse che ha dimostrato come l'introduzione del salario minimo abbia aiutato Paesi come Germania, Francia e Spagna nella fase della crescita inflazionistica, mettendo al riparo il potere di acquisto, soprattutto, dei lavoratori più fragili quali le donne;

    14) l'articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020, ha introdotto il «reddito di libertà», destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l'autonomia: la legge di bilancio per il 2024, legge 30 dicembre 2023, n. 213, al fine di incrementare la misura, ha incrementato di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 e di 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2027 il Fondo di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;

    15) per quanto concerne la condivisione dei carichi familiari, soprattutto nei primi mesi di vita dei figli, appare sempre più urgente l'introduzione della misura del congedo paritario e non trasferibile di almeno cinque mesi, come strumento per sostenere le donne e la loro carriera professionale e, al tempo stesso, garantire agli uomini la possibilità di essere più vicini ai propri figli. Un concreto supporto per contrastare la crisi della natalità, favorire l'occupazione femminile e redistribuire il carico di cura dentro le famiglie,

impegna il Governo:

1) ad assumere le necessarie iniziative di competenza, anche di carattere normativo, al fine di favorire l'implementazione della normativa in materia di parità salariale di genere e la trasparenza retributiva, in linea con quanto disposto dalla legge 5 novembre 2021, n. 162, anche prevedendo un'estensione incentivata dell'applicazione alle imprese fino a 20 dipendenti, nonché dalla direttiva (UE) 2023/970;

2) ad adoperarsi affinché sia tempestivamente presentata alle Camere la relazione ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in merito ai risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, nonché per rendere accessibili i dati relativi ai rapporti sulla situazione del personale presentati dalle aziende, ai sensi dell'articolo 46 del medesimo decreto legislativo;

3) ad adottare un vero a proprio piano per incrementare l'occupazione femminile, con particolare riguardo nelle aree interne e del Mezzogiorno;

4) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, che metta al centro la buona e stabile occupazione e il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso una vera e propria «bonifica» normativa delle diverse forme di precarietà che colpiscono con particolare riguardo le donne e ai giovani;

5) ad adottare iniziative volte a introdurre significative modifiche al quadro normativo in materia previdenziale, al fine di assicurare appropriate condizioni di accesso al trattamento pensionistico per le donne, ripristinando integralmente l'istituto originario di «opzione donna», così come disciplinato nel 2004 dall'allora Ministro Maroni, nonché prevedendo il riconoscimento del lavoro di cura per le lavoratrici attraverso una riduzione del requisito anagrafico per l'accesso alla pensione di vecchiaia di dodici mesi per ogni figlio, nel limite massimo di tre anni;

6) ad assumere iniziative normative volte a prevedere, già in occasione del prossimo disegno di legge di bilancio, l'introduzione di un congedo paritario di almeno 5 mesi, pagato al 100 per cento per entrambi i genitori, non trasferibile, così come positivamente praticato in altri Paesi Ue;

7) a favorire, con la massima sollecitudine, ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, volta a dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento alle lavoratrici e ai lavoratori di ciascun settore economico del salario minimo legale, coincidente con il trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Un trattamento salariale in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e ad assicurare alle lavoratrici e ai lavoratori e alle relative famiglie un'esistenza libera e dignitosa;

8) a monitorare e a garantire, per quanto di competenza, che le missioni e le modalità di attuazione indicate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per la parità di genere e volte alla eliminazione del gender gap, come, a esempio, la clausola del 30 per cento, siano applicate concretamente in tutti i campi di azione indicati in premessa, nonché a individuare le opportune risorse per ripristinare le condizioni per realizzare l'obiettivo dei 264.480 posti negli asili nido;

9) ad assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, volte a dare piena attuazione alla Convenzione approvata dall'Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, la Convenzione n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, che ha sancito l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso», introducendo nel nostro ordinamento la fattispecie di reato di molestia sessuale, nonché tese a mettere in campo strategie efficaci volte a prevenire e perseguire ogni forma di violenza e molestia sul luogo di lavoro anche dotandosi di linee guida per la predisposizione di appositi protocolli volti prevenire e ad affrontare adeguatamente le molestie sul luogo di lavoro;

10) ad adottare iniziative volte a garantire adeguati stanziamenti finanziari per le case rifugio e per i centri antiviolenza, nonché per gli sportelli dedicati alle vittime di reati violenti, semplificando, velocizzando e rendendo stabile il percorso dei finanziamenti stessi, verificando l'effettiva erogazione ai centri antiviolenza e alle case rifugio attraverso un sistema di monitoraggio più efficace anche al fine di assicurare una loro adeguata distribuzione in tutto il territorio nazionale;

11) a garantire annualmente con tempestività la distribuzione dei fondi per il reddito di libertà alle regioni, assicurando che tale misura sia fruibile da tutte le donne inserite nei percorsi di uscita dalla violenza che ne facciano richiesta.
(1-00334) «Gribaudo, Ferrari, Ghio, Scotto, Fossi, Laus, Sarracino, Braga, Forattini, Scarpa, Marino, Iacono, Romeo, Madia, Bonafè, Manzi, Quartapelle Procopio, Malavasi, Roggiani, Boldrini, Serracchiani, Evi, Prestipino».

(25 settembre 2024)

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