TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 465 di Giovedì 10 aprile 2025
MOZIONI IN ORDINE AL PIANO DI RIARMO EUROPEO
La Camera,
premesso che:
1) le conclusioni del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2025 confermano la pericolosa quanto concreta svolta militarista dell'Europa, preannunciata nel Libro Bianco della Difesa europea, ribattezzando il Piano di riarmo europeo «Rearm Europe» in «ReArm Europe Plan/Readiness 2030», intendendo sottolineare la capacità di prontezza e risposta militare, in totale contrasto con i principi e i valori comuni dell'Unione europea ossia libertà, democrazia, uguaglianza e Stato di diritto, promozione della pace e della stabilità. Una vera e propria chiamata alle armi;
2) in particolare, al titolo IV – Difesa e Sicurezza europee, delle conclusioni del Consiglio europeo, si chiede al paragrafo 21 «un'accelerazione dei lavori su tutti i filoni per potenziare in modo decisivo la prontezza dell'Europa alla difesa nel corso dei prossimi cinque anni», a tal fine invitando «il Consiglio e i co-legislatori a portare avanti rapidamente i lavori sulle recenti proposte della Commissione». Al paragrafo 23, del medesimo titolo, il Consiglio europeo invita la Commissione e l'Alta rappresentante a riferire periodicamente in merito agli avanzamenti compiuti nell'attuazione delle conclusioni sulla difesa;
3) al Consiglio europeo sono comunque emerse varie divergenze tra gli Stati membri in materia di debito comune e sul tema degli investimenti. Il debito comune dovrà essere necessariamente affrontato nel prossimo Consiglio di giugno 2025, considerato che al summit Nato in programma all'Aia dal 24 al 26 giugno 2025 verrà indicato il nuovo target di spesa per i Paesi membri dell'Alleanza atlantica;
4) il 19 marzo 2025, la Commissione e l'Alta rappresentante hanno presentato il Libro Bianco sulla difesa europea, contestualmente la Commissione ha presentato, nell'ambito del piano ReArm Europe/Readiness-2030, un pacchetto di difesa che fornisce leve finanziarie agli Stati membri dell'Unione europea al fine di facilitare l'aumento degli investimenti nelle capacità di difesa;
5) ReArm Europe Pian/Readiness 2030 ha ottenuto un primo via libera nel corso del Consiglio europeo straordinario del 6 marzo 2025, tra cui il sostegno del Governo italiano, dopo esser stato annunciato già qualche giorno prima, in maniera alquanto irrituale in considerazione della portata e dell'impatto, con una lettera del Presidente della Commissione europea Von der Leyen all'attenzione dei capi di Stato e di Governo dei Paesi membri;
6) il piano, declinato in 5 punti, vale 800 miliardi di euro e segna un deciso cambio di rotta dell'Unione a favore di una vera e propria militarizzazione dell'Unione europea, come a più riprese denunciato dal gruppo parlamentare «Movimento Cinque Stelle», in cui le priorità politiche su temi centrali quali la transizione verde e digitale, la sanità, l'istruzione e la green economy, cedono il passo al rafforzamento della capacità di produzione di armi e munizioni;
7) in particolare, il piano dell'Unione europea prevede un aumento esponenziale della spesa per la sicurezza e la difesa dell'Europa, declinata nel senso di un rafforzamento della capacità militare, attraverso l'istituzione di un nuovo strumento finanziario basato su prestiti agli Stati membri garantiti dal bilancio dell'Unione europea, per l'acquisto, tra l'altro, di sistemi di difesa aerea e missilistica, artiglieria, missili e munizioni, droni e sistemi anti-drone, nonché investimenti in infrastrutture critiche e protezione dello spazio, mobilità militare, cyber, intelligenza artificiale e guerra elettronica;
8) gli Stati membri avrebbero inoltre la possibilità di innalzare la propria spesa militare a livello nazionale, tramite l'attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita, ipotesi che – consentendo lo scorporo degli investimenti per la difesa dal calcolo deficit/prodotto interno lordo – libererebbe, nelle intenzioni della Presidente della Commissione europea, complessivamente 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni, da aggiungersi ai 150 miliardi del nuovo strumento di prestiti per la difesa sostenuti dal bilancio dell'Unione europea. Gli spazi di indebitamento a disposizione degli Stati membri verrebbero così occupati dalle spese per il riarmo, a svantaggio dello stato sociale e dei servizi alla persona, con evidenti disparità a seconda delle disponibilità di bilancio, creando un progetto di investimento industriale non organico, che potrebbe falsare la concorrenza interna, minando i principi stessi del mercato comune, in luogo di una sana e ordinata competizione all'interno dell'Unione europea. La possibilità di attivare la clausola di salvaguardia è stato uno dei punti che ha fatto emergere distanze profonde tra Stati membri al Consiglio europeo di marzo 2025, considerate le singole situazioni debitorie dei Paesi;
9) allo stato attuale, dunque, si prospetta unicamente una mobilitazione senza precedenti di risorse finanziarie per l'aumento delle spese militari a livello nazionale dei singoli Stati membri, peraltro senza una revisione delle regole fiscali europee ma incidendo esclusivamente sul debito dei singoli Paesi membri;
10) la svolta bellicista descritta sta minando le fondamenta dello spirito originale del grande progetto di pace che avrebbe dovuto essere l'Unione europea e che auspichiamo si torni a perseguire, come rivoluzionariamente sancito dal testo del «Il Manifesto di Ventotene», ovvero uno dei testi fondanti dell'Unione europea, per creare una federazione europea ispirata ai principi di pace, libertà e democrazia;
11) considerati i futuri sviluppi a livello europeo in materia di difesa, come riportato nelle conclusioni del Consiglio europeo di marzo 2025, è fondamentale tenere costantemente informati gli organi parlamentari competenti, come previsto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234 recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea», all'articolo 4, comma 2, disponendo che «Il Governo informa tempestivamente i competenti organi parlamentari su iniziative o su questioni relative alla politica estera e di difesa comune presentate al Consiglio dell'Unione europea o in corso di esame da parte dello stesso, dando specifico rilievo a quelle aventi implicazioni in materia di difesa.»,
impegna il Governo:
1) a non proseguire nel sostegno del piano di riarmo europeo «ReArm Europe/Readiness 2030»;
2) al fine di recuperare i valori fondanti dell'Unione europea, a sostenere nelle opportune sedi europee la sostituzione integrale del «ReArm Europe/Readiness 2030» con un piano di rilancio e sostegno agli investimenti che promuovano la competitività, gli obiettivi a lungo termine e le priorità politiche dell'Unione europea quali: spesa sanitaria, sostegno alle filiere produttive e industriali, incentivi all'occupazione, istruzione, investimenti green e beni pubblici europei, per rendere l'economia dell'Unione più equa, competitiva, sicura e sostenibile;
3) a dare seguito tempestivamente, per quanto di competenza, al dettato normativo di cui all'articolo 4 della legge n. 234 del 2012, al fine di aggiornare costantemente gli organi parlamentari competenti in merito alle evoluzioni in materia di difesa di cui in premessa, nel rispetto del dialogo politico e a salvaguardia delle prerogative parlamentari alla luce di quella che i firmatari del presente atto ritengono essere la nuova postura bellicista assunta dalla Commissione europea.
(1-00422) «Riccardo Ricciardi, Francesco Silvestri, Pellegrini, Scerra, Conte, Baldino, Lomuti, Bruno, Cantone, Alfonso Colucci, D'Orso, Torto, Fenu, Caso, Ilaria Fontana, Iaria, Pavanelli, Barzotti, Quartini, Caramiello, Morfino, Auriemma, Cherchi, Dell'Olio, Aiello».
(25 marzo 2025)
La Camera,
premesso che:
1) secondo i dati del Kiel Institute, dall'inizio dell'invasione su vasta scala della Russia al 31 dicembre 2024 l'Italia ha fornito aiuti bilaterali all'Ucraina per complessivi 2,26 miliardi di euro e ulteriori 6,76 miliardi di euro di contributi per gli aiuti forniti direttamente dall'Unione europea;
2) gli aiuti italiani, nel periodo considerato, sono quindi stati mediamente di poco inferiori allo 0,15 per cento del Prodotto interno lordo annuo, comprendendo sia il sostegno militare sia gli impegni di solidarietà umanitaria e finanziaria;
3) nello stesso periodo, i Paesi europei hanno fornito aiuti, sia bilaterali che intermediati dall'Unione europea, pari a 132,3 miliardi di euro e ne hanno programmati per ulteriori 115,1 miliardi di euro. Gli Stati Uniti hanno fornito aiuti per 114,2 miliardi di euro e ne hanno programmati per ulteriori 4,8 miliardi;
4) complessivamente, l'impegno finanziario europeo e statunitense per l'Ucraina dall'inizio del 2022 alla fine del 2024 è stato pari a circa 366 miliardi di euro. In termini teorici, se l'impegno europeo proseguisse per l'intero 2025 come nel triennio precedente e surrogasse per intero l'impegno statunitense, nel frattempo venuto meno, nel complesso assorbirebbe circa lo 0,6 per cento del Prodotto interno lordo complessivo dei Paesi membri dell'Unione europea, del Regno Unito e della Norvegia;
5) nel febbraio 2025, l'Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, aveva proposto un piano da 40 miliardi di euro per aiuti militari urgenti all'Ucraina, di fronte al completo disimpegno degli Usa. Nell'ultimo Consiglio europeo, tenutosi il 20 marzo 2025, il piano è stato fortemente ridimensionato sia nell'importo (sceso da 40 a 5 miliardi di euro), sia nel meccanismo di funzionamento (non una ripartizione in base al Prodotto interno lordo dei Paesi membri, ma su base volontaria);
6) lungi dall'essere stato avviato un vero processo di pace, non è stato ancora perfezionato neppure l'accordo per una tregua, cioè per una – almeno temporanea – sospensione dell'aggressione militare della Russia all'Ucraina, annunciata come imminente dopo la recente telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin; al contrario, proprio dopo il vertice, si sono intensificate sia le operazioni militari, sia gli attacchi russi su obiettivi e infrastrutture civili;
7) nel Documento programmatico pluriennale (Dpp) della difesa per il triennio 2024-2026, trasmesso alle Camere il 12 settembre 2024, risulta che nel 2024 il rapporto percentuale tra il budget della difesa (29,18 miliardi di euro) e il Prodotto interno lordo nominale (2.130,48 miliardi di euro) si attestava al valore dell'1,37 per cento ed era destinato a decrescere all'1,31 per cento nel 2025 e all'1,26 per cento nel 2026 rispetto ai corrispondenti valori di Prodotto interno lordo previsionale;
8) in base agli impegni assunti in occasione del summit Nato svoltosi in Galles nel settembre 2014, poi ribaditi a Varsavia nel 2016 con il cosiddetto Defence investment pledge (Dip), ciascuna nazione alleata avrebbe dovuto raggiungere entro il 2024 tre obiettivi: il 2 per cento delle spese per la difesa rispetto al prodotto interno lordo (cash), il 20 per cento della quota del budget della difesa da destinare agli investimenti (capabilities) e un contributo a missioni, operazioni ed altre attività (contributions);
9) se pure la percentuale delle spese in conto capitale per la difesa è aumentata negli ultimi anni in Italia, nel 2024 sarebbero stati necessari ulteriori 13,4 miliardi di euro per raggiungere il rapporto del 2 per cento sul Prodotto interno lordo, che, come ha ammesso lo stesso Ministro della difesa, «oggi non è più un obiettivo, ma un requisito minimo»;
10) i Paesi che, secondo le stime Nato, nel 2024 hanno raggiunto l'obiettivo del 2 per cento del Prodotto interno lordo per le spese per la difesa sono circa due terzi, ventitré su trentadue. Le spese (e quindi le percentuali) considerate dalla Nato non sono del tutto coincidenti con quelle autorizzate dal bilancio nazionale in quanto – come dà conto il documento programmatico pluriennale per la difesa relativo al periodo 2022/2024 – il cosiddetto budget della difesa in chiave Nato viene individuato sulla base di parametri specifici, per rendere rapportabili i dati finali di tutti i Paesi membri dell'Alleanza;
11) sulla base dei criteri adottati dalla Nato, il bilancio per la difesa italiana nel 2024 è stato pari all'1,49 per cento del Prodotto interno lordo e l'obiettivo dichiarato dal Governo nel documento programmatico pluriennale 2024-2026 è di raggiungere l'obiettivo del 2 per cento del Prodotto interno lordo entro il 2028;
12) al prossimo vertice Nato previsto all'Aja nel giugno 2025 sarà presumibilmente presentata da parte del Segretario generale una nuova proposta sulla percentuale di spesa per la difesa, che dovrebbe superare il 3 per cento del Prodotto interno lordo, a fronte di una richiesta dell'amministrazione americana del 5 per cento;
13) nelle conclusioni della riunione straordinaria del 6 marzo 2025, il Consiglio europeo aveva accolto con favore l'intenzione della Commissione di formulare una raccomandazione per l'attivazione della clausola di salvaguardia nazionale prevista dal Patto di stabilità e crescita, al fine di agevolare un aumento della spesa per la difesa a livello nazionale e di aprire uno spazio di spesa aggiuntiva potenziale di 650 miliardi di euro nell'intera Unione europea;
14) il Consiglio europeo aveva, altresì, preso favorevolmente atto della proposta della Commissione relativa a un nuovo strumento dell'Unione europea – denominato SAFE (Security action for Europe) – finalizzato a fornire agli Stati membri prestiti sostenuti dal bilancio dell'Unione europea per un importo fino a 150 miliardi di euro;
15) nella riunione del 20 marzo 2025 il Consiglio europeo, in ordine alle conclusioni della riunione straordinaria del 6 marzo e alla luce del libro bianco sul futuro della difesa europea del 19 marzo 2025, ha chiesto «un'accelerazione dei lavori su tutti i filoni per potenziare in modo decisivo la prontezza dell'Europa alla difesa nel corso dei prossimi cinque anni»;
16) la risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – relazione annuale 2024 – ha accolto con favore il piano «ReArm Europe» e il Libro bianco sulla prontezza europea alla difesa per il 2030, confermando gli indirizzi della Commissione,
impegna il Governo:
1) nelle more di un negoziato di pace, di cui al momento neppure si intravedono i possibili contorni politici e giuridici, a rendere disponibili per il sostegno militare all'Ucraina stanziamenti almeno in linea con quelli assicurati finora dall'Italia, in modo bilaterale o attraverso il bilancio dell'Unione europea, al Governo di Kyiv e in ogni caso non inferiori allo 0,15 per cento del Prodotto interno lordo annuo;
2) a cooperare con gli altri Paesi europei «volenterosi» e con il Regno Unito a fare in modo che la fornitura di munizioni di artiglieria di grosso calibro e di missili, che l'ultimo Consiglio europeo ha individuato come necessarie per corrispondere alle pressanti esigenze militari dell'Ucraina, siano assicurate tempestivamente alle forze di difesa ucraine;
3) ad innalzare entro il 2025 le spese per la difesa dell'Italia al 2 per cento del prodotto interno lordo e ad operare perché sia rapidamente attivato lo strumento, individuato nel Consiglio europeo del 6 marzo 2025, di un prestito garantito dal bilancio dell'Unione europea per il finanziamento dell'incremento della spesa per la difesa, fino agli obiettivi stabiliti in ambito Nato;
4) qualora questo strumento, o altri di analoga funzione e convenienza finanziaria per il bilancio nazionale, non fossero resi disponibili in tempi brevi, ad innalzare le spese per la difesa al 2 per cento del Prodotto interno lordo ricorrendo alla clausola di salvaguardia di cui all'articolo 26 del Regolamento (UE) 2024/1263 del 29 aprile 2024;
5) a partecipare attivamente, in base al piano ReArm Europe e al programma European Defense/Readiness 2030, al percorso di costruzione di un sistema di difesa europea e di progressiva integrazione politica, industriale e militare tra gli Stati membri, favorendo il ripristino di un rapporto sempre più stretto con il Regno Unito, al fine di contrastare le incombenti minacce alla libertà e sicurezza dell'Europa, in primo luogo da parte della Federazione Russa e in prospettiva da parte di altri Paesi ostili, a fronte dell'annunciato disimpegno statunitense dallo scenario europeo.
(1-00423) (Nuova formulazione) «Richetti, Rosato, Bonetti, Benzoni, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Onori, Pastorella, Ruffino, Marattin».
(27 marzo 2025)
La Camera,
premesso che:
1) nella riunione del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2025 è stato approvato il piano «ReArm Europe», già esposto dalla Presidente Von der Leyen in una lettera al Consiglio europeo in vista della riunione straordinaria del 6 marzo 2025;
2) esso è declinato in cinque punti principali. Il primo è una clausola di salvaguardia per consentire ai paesi membri di fare debito per le spese militari senza violare il Patto di stabilità e crescita che regola strettamente gli eccessi di spesa. In pratica si tratta di un'eccezione al Patto: finché spendono per la difesa, i Paesi membri potranno aumentare il loro debito oltre i limiti consentiti senza rischiare di incorrere in procedure di infrazione da parte della Commissione. Questa eccezione varrà per un massimo di 650 miliardi di euro complessivi per un periodo di quattro anni, che dovrebbero consentire ai paesi membri di aumentare la loro spesa militare fino all'1,5 per cento in più del proprio Prodotto interno lordo rispetto ad ora;
3) la seconda misura prevede 150 miliardi del fondo Safe (Security action for Europe) messi a disposizione degli Stati membri: si tratta di prestiti a lungo termine finanziati dalla Commissione europea con l'emissione di titoli, dunque facendo in sostanza debito, finalizzati agli investimenti nel settore della difesa;
4) quindi, invece di fare debito per rilanciare l'economia lo si fa esclusivamente per la spesa militare, mentre restano al palo il green deal, il lavoro, il welfare;
5) il terzo punto vuole l'utilizzo di fondi dell'Unione, in particolare dei «fondi per la coesione», per finanziare progetti con finalità legate alla difesa. Con il quarto ed il quinto punto la Commissione vuole mobilitare il capitale privato e quello della Banca europea degli investimenti al fine di sostenere il riarmo degli Stati europei;
6) il piano ReArm Europe non può essere definito o connesso alla difesa europea: esso consiste, al contrario, in un enorme piano di riarmo nazionale senza che questo comporti alcun passo in avanti in termine di integrazione europea;
7) nelle conclusioni approvate in esito alla riunione del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2025 al paragrafo 21 si legge che «il Consiglio europeo chiede un'accelerazione dei lavori su tutti i filoni per potenziare in modo decisivo la prontezza dell'Europa alla difesa nel corso dei prossimi cinque anni. Invita il Consiglio e i colegislatori a portare avanti rapidamente i lavori sulle recenti proposte della Commissione. Il Consiglio europeo chiede che sia avviata con urgenza l'attuazione delle azioni individuate nelle sue conclusioni del 6 marzo 2025 nel settore delle capacità e che siano portati avanti i lavori relativi alle pertinenti opzioni di finanziamento.»;
8) nel paragrafo successivo si dice che «Il Consiglio europeo ricorda che un'Unione europea più forte e più capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla Nato, che, per gli Stati che ne sono membri, resta il fondamento della loro difesa collettiva.» Tale approccio è in palese contraddizione con l'idea di autonomia strategica europea e colloca lo stesso piano ReArm Europe in una evidente subalternità rispetto alle richieste del Presidente Trump ed agli impegni non vincolati presi in sede Nato;
9) l'aumento della spesa per la difesa non determina in alcun modo maggiore sicurezza. L'indebitamento comune e le deroghe alle norme sulla governance economica europea dovrebbero essere utilizzati piuttosto per finanziare la transizione ecologica e digitale, per sostenere settori fondamentali come la sanità e l'istruzione e per mettere in campo misure volte a risolvere le emergenze sociali che affliggono molti cittadini europei. Inoltre, se ci si è sempre opposti ad ogni ipotesi di scorporo di investimenti produttivi o sociali dal Patto di stabilità e crescita è ora inopportuno ed immorale aprire a tale opportunità per la spesa in armamenti;
10) i fondi connessi alla politica di coesione europea sono vitali per lo sviluppo delle comunità locali negli stati membri, motivo per cui ci si oppone ad ogni distorsione o deroga che consenta il loro utilizzo, anche parziale per sostenere la spesa militare. Come ricordato anche da Svimez nei giorni scorsi, la coesione «rappresenta un pilastro costitutivo dell'Unione europea che non può essere indebolito di fronte ad ogni emergenza». Tuttavia, il basso tasso di spesa del ciclo 2021-2027 e il debole consenso politico intorno a questa politica «potrebbe determinare, come avvenuto in passato, e nonostante le dichiarazioni di principio, una forte pressione della Commissione e delle stesse istituzioni nazionali per un loro utilizzo per investimenti nella difesa. Non basta dunque opporsi a tale proposta ma occorre prendere atto dell'urgenza di una profonda riforma che faccia i conti con i suoi 'fallimenti' ma che sia in grado di valorizzarne il potenziale in termini di costruzione di un'Europa più inclusiva e competitiva»;
11) l'idea di un'unione di tutti gli Stati europei prende forma dopo la seconda guerra mondiale: l'intero continente usciva dilaniato dai combattimenti, dalle atrocità compite dagli eserciti nemici sulle popolazioni civili, dallo sterminio nazista degli ebrei e di altre minoranze. Il sogno europeo fu allora quello di mettere fine a conflitti e divisioni e di dare l'avvio ad un lungo processo di cooperazione tra Stati. Un progetto che si è dimostrato efficace, perché ha portato il periodo di pace più lungo nella storia dell'Europa occidentale;
12) all'invasione russa dell'Ucraina e al protrarsi da oltre due anni della guerra, l'Unione Europea e i suoi Stati membri sono stati incapaci di una risposta che promuovesse una iniziativa politica e diplomatica per la cessazione del conflitto, percorrendo esclusivamente al seguito degli Stati Uniti la via del sostegno militare;
13) oggi di fronte ai mutamenti degli scenari geopolitici determinati dai nuovi orientamenti, ispirati ad un nazionalismo sovranista aggressivo, della nuova amministrazione americana e del suo Presidente Trump e alla sua iniziativa verso la Federazione Russa e il suo Presidente Putin per la cessazione del conflitto in Ucraina, operata da entrambi con spirito padronale nei confronti dell'Ucraina e del suo popolo, invece di rispondere con la politica i leader europei scelgono la corsa al riarmo e il via libera alla spesa nazionale;
14) la pace e la sicurezza non si ottengono promuovendo una politica di scontro e di guerra, aumentando le spese militari, la militarizzazione dell'Unione Europea e la sua trasformazione in un blocco militare, ma piuttosto attraverso la diplomazia, il dialogo e la soluzione politica dei conflitti e la costruzione di una sicurezza collettiva, nel rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale;
15) oggi, più che mai occorrerebbe costruire una politica estera e una difesa comune, agire insieme nel campo dell'immigrazione e degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, proseguire e ampliare la cooperazione nella politica economica e nei grandi progetti scientifici dai quali dipende il nostro futuro. Tutti obiettivi semplici da individuare, ma che esigono una visione politica comune ancora molto difficile da mettere in atto. La difesa comune dovrebbe camminare accanto a un grande piano di investimenti comuni per l'autonomia strategica dell'Unione Europea, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica;
16) la spesa militare globale è in crescita da oltre due decenni, come dimostrano tutti i dati internazionali più attendibili: una tendenza ulteriormente rafforzata negli ultimi due anni e mezzo a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina. Il continuo aumento della spesa militare mondiale è estremamente preoccupante: una corsa agli armamenti non creerà sicurezza per i cittadini europei, ma al contrario aumenterà il rischio di conflitti violenti. Secondo i dati del Sipri (Stockholm international peace research Institute) per il 2023, gli Stati membri europei insieme al Regno Unito spendono già in termini nominali per la difesa più di tutti gli altri paesi del mondo, ad eccezione degli Stati Uniti. Tra il 2021 e il 2024 la spesa totale per la difesa degli Stati membri dell'Unione Europea è aumentata di oltre il 30 per cento;
17) il fatto che l'Unione Europea decida di investire maggiori risorse pubbliche non per fronteggiare l'invecchiamento della popolazione, per l'istruzione di milioni di giovani legati ai grandi spostamenti di popolazione, per la trasformazione produttiva in termini sostenibili, per le profonde disuguaglianze evidenzia che per le leadership europee nessuna di queste esigenze strutturali ha un valore paragonabile a quello delle armi, tanto da consentire ai singoli Stati membri non solo di tenere fuori dal patto le spese militari, ma di poter negoziare persino le somme attribuite per le politiche di coesione o per altre finalità purché simili rinegoziazioni finiscano in armi,
impegna il Governo:
1) ad interrompere il sostegno al piano di riarmo europeo «ReArm Europe»;
2) ad impegnarsi in sede europea affinché l'Unione Europea ponga in essere una urgente iniziativa politica e diplomatica con il coinvolgimento dell'Onu per una tregua nel conflitto russo-ucraino, finalizzata al raggiungimento di una pace stabile e duratura;
3) in luogo di qualsiasi sostegno al piano di riarmo europeo, a promuovere, nelle opportune sedi europee, la definizione di deroghe alle norme sulla governance economica per finanziare la transizione ecologica e digitale, per sostenere settori fondamentali come la sanità e l'istruzione e per mettere in campo misure volte a risolvere le emergenze sociali;
4) a lavorare in sede di Consiglio europeo per non consentire nessuna deroga finalizzata all'utilizzo dei fondi di coesione per finanziare l'acquisto o la produzione di armamenti;
5) a sostenere in tutte le sedi opportune la necessaria strada per la creazione di una difesa europea, attraverso un percorso opposto a quello scelto dell'aumento delle capacità militari nazionali, che consiste in una razionalizzazione ed integrazione della spesa esistente.
(1-00424) «Zanella, Fratoianni, Bonelli, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».
(7 aprile 2025)
La Camera,
premesso che:
1) il 19 marzo 2025, la Commissione europea e l'Alta rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno presentato il Libro bianco sulla difesa europea, un documento strategico per orientare le politiche di rafforzamento della difesa e della sicurezza dell'Unione europea;
2) nei giorni immediatamente precedenti la presentazione del Libro bianco, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva presentato alcune linee per un piano di rafforzamento delle capacità difensive degli Stati membri, denominato ReArm Europe, poi ridenominato Readiness 2030;
3) la presentazione del Libro bianco sulla difesa europea arriva in un contesto internazionale caratterizzato da instabilità, minacce e sfide inedite;
4) la criminale aggressione militare dell'Ucraina da parte della Russia di Putin ha mostrato la volontà di colpire l'ordine internazionale basato su regole, minacciando la sicurezza globale e in particolare dell'Europa;
5) la nuova amministrazione Trump – con le sue decisioni che minano le istituzioni del multilateralismo (a partire dalle sanzioni alla Corte penale internazionale), con le ostilità aperte nei confronti dell'Europa, con la dichiarazione che la sicurezza europea non è più una priorità strategica e i dubbi sull'impegno nell'Alleanza atlantica – pone ai principi fondativi dell'Europa Unita sfide e minacce senza precedenti;
6) l'Unione europea ha l'urgenza di mettere in campo una risposta all'altezza di questo tornante della storia, con una svolta nel segno dell'integrazione e della solidarietà tra i Paesi membri, affermando a pieno la sua autonomia strategica, difendendo e promuovendo i pilastri della sua fondazione, la democrazia, lo stato di diritto, il sostegno all'ordine internazionale basato su regole e alle istituzioni multilaterali, contro una pratica e una narrativa – apertamente in contrasto con l'articolo 11 della nostra Carta costituzionale – che legittima l'uso della forza per risolvere le controversie internazionali;
7) il Partito Democratico ha più volte ribadito che, ai fini della realizzazione di una piena autonomia strategica europea, è cruciale la definizione di una vera politica estera comune a servizio dell'ideale fondativo di un'Europa progetto di pace: strumentale ma essenziale a questo obiettivo è la creazione di una «vera unione di difesa», superando la mancanza di volontà politica degli Stati membri – attraverso cooperazioni rafforzate o altre forme di accelerazione nell'integrazione tra paesi che condividono questo obiettivo (inclusi partner strategici europei fuori dall'Unione, come Regno Unito, Norvegia e Islanda) – che tenda all'orizzonte federalista di un vero e proprio esercito comune;
8) all'Unione europea serve pertanto la difesa comune e non la corsa al riarmo dei singoli Stati. La Commissione europea sta preparando il Libro bianco sul futuro della difesa europea che rappresenta l'avvio di un percorso di discussione per la costruzione di una difesa comune, per cui serve un cambiamento radicale del modo in cui agiamo e investiamo nella nostra sicurezza e difesa, per fare in modo che d'ora in poi pianifichiamo, innoviamo, sviluppiamo, acquistiamo, manteniamo e dispieghiamo le capacità insieme, in modo coordinato e integrato, per conseguire una difesa comune europea;
9) la riluttanza del Consiglio europeo e degli Stati membri nell'affrontare le profonde sfide strutturali del panorama industriale della difesa europea e la mancanza di ambizione nella cooperazione tra le loro forze armate a livello dell'Unione europea, va superata con un decisivo impegno per aumentare i common procurements per strumenti di difesa europea, aggregare la domanda e migliorare l'interoperabilità delle forze armate europee, facendo economie di scala e superando la frammentazione tra gli Stati membri, chiamati a unire le forze e a sostenere un passo decisivo verso un quadro ambizioso e globale per la difesa;
10) il piano ReArmEU, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va invece nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato, poiché così come presentato non risponde all'esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune che garantisca la deterrenza e un percorso di investimenti comuni in sicurezza realizzati non a detrimento delle priorità sociali, di coesione e sviluppo dell'Unione. L'attivazione della clausola di salvaguardia nazionale consente di fare debito nazionale senza alcun vincolo a utilizzare le risorse per progetti di difesa comune insieme a più Stati membri in modo da realizzare maggiore integrazione e coordinamento, con il rischio ulteriore di creare profonde asimmetrie tra le capacità di investimento, i sistemi nazionali di difesa, a svantaggio degli Stati membri con un indebitamento maggiore;
11) il piano ReArmEU, ancora molto indefinito su aspetti fondamentali, va profondamente cambiato per garantire l'autonomia strategica in materia di sicurezza: trasformando lo strumento finanziario Safe – l'unico strumento che presenta un embrione di solidarietà europea, con 150 miliardi di euro destinati a potenziare alcune capacità strategiche comuni – da erogatore di prestiti (loans) che gravano sui bilanci degli Stati a fornitore di sovvenzioni (grants) capaci di garantire l'effettività dell'obiettivo; condizionando tutti gli strumenti previsti a progetti di difesa comune insieme a più Stati membri in modo da favorire l'interoperabilità, il coordinamento tra i sistemi di difesa e il rafforzamento della capacità industriale comune, anche con l'obiettivo di superare un sistema di acquisti dei paesi membri che, privo dell'obbligo di coordinamento, favorirebbe i sistemi produttivi al di fuori dell'Unione europea (a partire da quello statunitense) che al momento pesano circa l'80 per cento dell'approvvigionamento complessivo, in questo modo rischiando di rafforzare le dipendenze strategiche anziché ridurle; escludendo la facoltà di utilizzare per il riarmo i fondi di coesione, che i Trattati dedicano all'obiettivo, cruciale anche per il nostro Paese, di ridurre i divari territoriali e favorire la convergenza socio-economica, e che pertanto non possono essere dirottati per il finanziamento dell'aumento delle spese militari;
12) l'Unione europea, per conseguire l'obiettivo di una difesa comune, deve significativamente aumentare la coerenza tra i suoi strumenti esistenti e futuri, anche a livello di governance per assicurare un efficace «controllo democratico» e di condivisione dell'intelligence. Sulle politiche di sicurezza occorre uno sforzo significativo di semplificazione e coerenza, in particolare: tra la Pesco (Cooperazione strutturata permanente) per quel che riguarda il consolidamento della domanda e il Fed (Fondo europeo per la difesa) per quel che riguarda le tabelle di marcia programmatiche, tra lo strumento per il rafforzamento dell'industria europea della difesa mediante appalti comuni (Edirpa) e il regolamento Asap (sostegno alla produzione di munizioni) per quel che riguarda il potenziamento industriale, tra un significativo rafforzamento anche della dotazione finanziaria dell'Edip (European defence industry programme) per quel che riguarda l'individuazione delle dipendenze e il Fed per quel che riguarda la risoluzione delle dipendenze individuate, o all'interno dell'Edip stesso per quel che riguarda la coerenza con lo strumento dell'attuazione delle azioni relative al consolidamento della domanda e dell'offerta;
13) gli investimenti in sicurezza devono accompagnarsi e non sostituirsi a quelli necessari a realizzare l'autonomia strategica in altri settori prioritari, a partire da quelli per la coesione e la protezione sociale, garantiti dai Fondi strutturali e di investimento dell'Unione europea su cui l'attuale Governo ha accumulato un drammatico ritardo nell'attuazione, che penalizza la necessaria convergenza delle regioni meno sviluppate, a partire dal nostro Mezzogiorno;
14) la difesa non può essere considerata un bene pubblico separato dal benessere sociale, ma è parte integrante di una strategia globale che prevede di garantire non solo la sicurezza fisica dei cittadini europei, ma anche la loro sicurezza sociale ed economica: tanto più l'affermazione dei nazionalismi disgregatori dell'unità europea è legata anche alla percezione di insicurezza economica e sociale, nonché alla paura nei confronti delle sfide globali,
impegna il Governo:
1) a collocare l'Italia da protagonista nella costruzione di una vera difesa comune europea e non di un riarmo degli eserciti nazionali privo di coordinamento, esprimendo la chiara volontà politica di andare avanti nel percorso di realizzazione di un'unione della difesa, anche partendo da forme di cooperazione rafforzata o integrazione differenziata tra Stati membri;
2) a promuovere, nel corso del negoziato che si è aperto con la presentazione del Libro bianco sulla difesa europea e i suoi strumenti, tutti gli elementi che puntano a una governance democratica chiara del settore, agli investimenti comuni necessari per realizzare l'autonomia strategica e colmare i deficit alla sicurezza europea, al coordinamento e all'integrazione della capacità industriali europee e dei comandi militari, all'interoperabilità dei sistemi di difesa verso un esercito comune europeo: a promuovere, pertanto, una radicale revisione del piano di riarmo proposto dalla Presidente Von der Leyen, sulla base delle critiche e delle proposte avanzate in premessa, al fine di assicurare investimenti comuni effettivi non a detrimento delle priorità sociali di sviluppo e coesione, e di condizionare tutte le spese e gli strumenti europei alla pianificazione, lo sviluppo, l'acquisizione e la gestione di capacità comuni per realizzare un'unione della difesa;
3) a ribadire la ferma contrarietà all'utilizzo, ancorché facoltativo, dei Fondi di coesione europei per il finanziamento e l'aumento delle spese militari;
4) in tale contesto, a promuovere un'iniziativa per una risposta all'altezza delle sfide strategiche, politiche, economiche e di sicurezza poste all'Europa, mobilitando le risorse necessarie al rilancio della competitività e della coesione europea, con un grande piano di investimenti comuni finalizzato alla realizzazione della piena autonomia strategica, sull'esempio del Next Generation EU, capace di mobilitare complessivamente un ammontare maggiore di risorse;
5) ad adottare una posizione forte e determinata in sede europea, chiedendo un sostanziale raddoppio delle risorse per il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale, al fine di renderlo più ambizioso e adeguato a realizzare le politiche necessarie a fronteggiare le nuove sfide globali;
6) a ribadire la ferma condanna della grave, inammissibile e ingiustificata aggressione russa dell'Ucraina e a continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, promuovendo con urgenza un'iniziativa diplomatica e politica autonoma dell'Unione europea, in collaborazione con gli alleati, per il perseguimento di una pace giusta e sicura, che preservi i diritti del popolo ucraino a partire da quello alla propria autodeterminazione, l'ordine internazionale basato sulle regole e offra le necessarie garanzie di sicurezza per una soluzione duratura.
(1-00425) (Nuova formulazione) «Braga, Provenzano, Amendola, De Luca, Graziano».
(7 aprile 2025)
La Camera,
premesso che:
1) il contesto geopolitico sta diventando progressivamente più instabile e complesso: ai conflitti armati in corso si aggiunge la decisione unilaterale dell'Amministrazione Trump di abbandonare la tradizionale politica atlantica e il ruolo di leadership degli Stati Uniti nella difesa dei principi di libertà e democrazia a livello globale;
2) la stessa guerra commerciale, con l'imposizione di «dazi reciproci» che colpiscono indistintamente e stanno mettendo in crisi la finanza e l'economia globale, è un elemento della strategia di chiusura nazionalista, isolazionista e protezionista della nuova Amministrazione americana;
3) gli annunci e le promesse del Presidente Trump di una tregua o di un cessate il fuoco in Ucraina non hanno, ad oggi, prodotto alcun risultato concreto, dal momento che i bombardamenti russi, anche deliberatamente contro obiettivi civili, si sono intensificati negli ultimi giorni;
4) l'Unione europea è chiamata, oggi più che mai, a svolgere un ruolo centrale nella gestione del conflitto in Ucraina e nella definizione di un accordo di pace giusto, duraturo e non violabile;
5) il piano ReArm Europe (ridenominato ReArm Europe – Readiness 2030), presentato dalla Commissione europea, mira a rafforzare gli investimenti e la produzione nel settore della difesa, sia nelle sue componenti tradizionali che in quelle più innovative e tecnologicamente avanzate;
6) ricorre sempre più spesso – nel dibattito pubblico, nelle piazze e in Parlamento – l'uso strumentale dell'idea di una difesa comune futura, utilizzata retoricamente per opporsi – nell'immediato – al piano di difesa europeo proposto dalla Commissione europea: al contrario, la necessaria e urgente iniziativa di preparazione, difesa e deterrenza dell'Unione europea, oggi necessariamente operate dai singoli Stati, va considerata un importante passo nella direzione di una difesa comune,
impegna il Governo:
1) a continuare a sostenere la resistenza ucraina contro l'aggressione russa, nel quadro degli sforzi dell'Unione europea, e a promuovere un impegno europeo, anche nei negoziati in corso, volto a conseguire una pace giusta, duratura e inviolabile, frutto del consenso e del contributo negoziale imprescindibile del Governo di Kyiv;
2) a sostenere il piano ReArm Europe (ora ReArm Europe – Readiness 2030), attivandosi nelle sedi opportune affinché le risorse messe in campo siano orientate fin da subito alla realizzazione di una difesa comune europea, da realizzarsi definendone al più presto l'architettura istituzionale, in particolare secondo strumenti di politica estera comune che in primo luogo superino il potere di veto dei singoli Paesi membri.
(1-00427) «Della Vedova, Magi, Schullian».
(8 aprile 2025)
La Camera,
premesso che:
1) il 4 marzo 2025 la Commissione europea ha predisposto il piano «ReArm Europe», concernente misure per consentire agli Stati membri di adottare politiche industriali volte ad incrementare le spese difensive e militare, con l'obiettivo di implementare la produzione di armamenti dei singoli Stati membri: la proposta del suddetto piano è diretta conseguenza del più volte annunciato disimpegno economico, militare e logistico dell'attuale Amministrazione americana rispetto all'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (Nato), l'alleanza militare intergovernativa che per decenni ha garantito la protezione militare del continente europeo, sempre più esposta alle minacce espansionistiche della Federazione russa;
2) nel dettaglio il piano «ReArm Europe» prevede l'introduzione di una clausola di salvaguardia volta a consentire agli Stati membri di adottare misure di indebitamento per l'aumento delle spese militari senza violare il Patto di stabilità e crescita, evitando quindi di incorrere in procedure di infrazione da parte della Commissione europea: la citata deroga varrà per un massimo di 650 miliardi di euro complessivi per un periodo di quattro anni, che dovrebbero consentire ai Paesi membri di aumentare la loro spesa militare fino all'1,5 per cento in più del proprio prodotto interno lordo rispetto ad ora;
3) lo stesso Piano prevede, inoltre, l'istituzione di un fondo da 150 miliardi di euro messo a disposizione per i singoli Stati membri, dal quale potranno ottenere prestiti per finanziare le proprie spese militari;
4) il 6 marzo 2025 il Consiglio europeo, durante la riunione straordinaria, ha approvato in via informale la proposta della Commissione, di fatto un piano da 800 miliardi di euro per consentire quindi ai Paesi membri di aumentare le proprie spese militari, con l'obiettivo di implementare la produzione di assetti tattici e strategici;
5) alla luce della «Risoluzione del Parlamento europeo del 12 marzo 2025 sul libro bianco sul futuro della difesa europea (2025/2565(RSP))», l'Unione europea si è impegnata a garantire la propria sicurezza, rafforzare i suoi partenariati con attori che condividono gli stessi principi e ridurre nettamente la sua dipendenza da Paesi terzi, garantendo una distribuzione dei finanziamenti per la difesa equilibrata dal punto di vista geografico nel prossimo quadro finanziario pluriennale;
6) la stessa risoluzione sottolinea la necessità di elaborare piani di emergenza per la cooperazione economica con i partner più stretti in caso di guerra, per garantire un sostegno reciproco in caso di crisi di sicurezza su vasta scala che li coinvolgano direttamente, e dovrebbe approfondire i dialoghi economici in tempo di guerra con i partner europei e globali, per fornire una segnalazione tempestiva delle minacce gravi, ibride e informatiche e migliorare la pianificazione del sostegno reciproco, la protezione delle infrastrutture critiche e la sicurezza marittima;
7) il 18 marzo 2025, nelle Commissioni 4ª (Politiche dell'Unione europea), 5ª (Programmazione economica, bilancio) e 9ª (Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato della Repubblica e V (Bilancio, tesoro e programmazione), X (Attività produttive, commercio e turismo) e XIV (Politiche dell'Unione europea) della Camera dei deputati, si è assistito all'audizione del Presidente Mario Draghi sul Rapporto futuro competitività europea. Durante l'audizione, in materia di difesa, il Presidente Draghi ha sostenuto come sia necessario definire una catena di comando di livello superiore, che coordini eserciti eterogenei di lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali, operando come sistema di difesa continentale: inoltre, è stato sottolineato come sia necessario favorire le sinergie industriali europee verso lo sviluppo di piattaforme militari comuni (aerei, navi, mezzi terrestri, satelliti) che consentano l'interoperabilità e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni nelle produzioni degli Stati membri;
8) il Parlamento europeo, il 2 aprile 2025, ha approvato la risoluzione sull'attuazione delle politiche di sicurezza e di difesa comune europea, invitando la Commissione europea ad «aumentare il debito comune per far sì che l'Unione disponga della capacità di bilancio necessaria per contrarre prestiti in situazioni eccezionali e di crisi», tenendo conto «dell'esperienza e degli insegnamenti tratti da NextGenerationEU, vista la necessità pressante di rafforzare la sicurezza e la difesa per proteggere i cittadini dell'Unione europea e ripristinare la deterrenza e sostenere gli alleati, innanzitutto l'Ucraina, il Parlamento europeo sottolinea che l'onere di tale azioni deve essere condiviso equamente»;
9) il raccordo e il coordinamento delle politiche estere e di difesa, anche attraverso il rafforzamento dell'azione esterna dell'Unione europea nel suo complesso, rappresenta un presupposto indefettibile per il perseguimento di tali finalità;
10) risulta, inoltre, indispensabile provvedere alla creazione di un esercito unico europeo e di un mercato unico europeo della difesa in grado di scongiurare duplicazioni nei processi produttivi europei e garantire una più efficiente razionalizzazione delle spese militari degli Stati membri, anche attraverso un coordinamento degli acquisti di singoli Stati, investendo sul piano della ricerca e dello sviluppo, quale strumento fondamentale per la promozione dello sviluppo tecnologico altresì nel settore civile;
11) risulta improcrastinabile la creazione di un sistema industriale e tecnologico della difesa europea (Edtib) che sia più integrato e competitivo e che favorisca appalti comuni, ricerca e sviluppo congiunti, un maggiore sostegno alle piccole e medie imprese e la riduzione della dipendenza dalle filiere che sono critiche e che aumentano il gradiente di instabilità;
12) occorre riaffermare la condivisione dei valori atlantici e gli storici legami politici, economici e sociali con il Regno Unito, difendendo nel contempo gli interessi degli Stati dell'Unione europea e del mercato interno;
13) in questa prospettiva, occorre anche sollecitare il rafforzamento della bussola strategica europea per il rafforzamento della sicurezza e della difesa dell'Unione europea, prevedendo anche un comando unico accentrato quale base di elaborazione di una difesa comune;
14) obiettivi ambiziosi, come la creazione di un esercito unico europeo e di un mercato unico della difesa, richiedono necessariamente una riforma dei trattati istitutivi volti a superare l'unanimità in materia di politica estera e di difesa (Pesc/Psdc) e rafforzare la governance europea, inclusa l'ipotesi di riavviare il percorso della Comunità europea di difesa;
15) il finanziamento di tale sforzo industriale non può però gravare unicamente sui bilanci nazionali, con il rischio di diminuire ulteriormente le risorse finanziarie per le prestazioni sociali, i servizi e il welfare, ma richiede strumenti finanziari europei che siano innovativi e destinati all'obiettivo di cui si discute;
16) in materia di difesa, inoltre, deve essere assunto quale criterio fondamentale per le prossime politiche europee la correlazione tra investimenti in difesa e in cultura, prevedendo che gli aumenti delle spese militari devono essere in ugual misura previsti anche in ricerca, istruzione e attività culturali (secondo il modello «un euro per un euro»): a tal proposito risulterebbe di estrema efficacia la adozione di una 18App europea, ossia di un bonus di 500 euro da spendere in cultura destinato a tutti i neo 18enni, introdotta nella legge di stabilità per il 2016 nel nostro Paese, da estendere a tutti i neo maggiorenni europei, anche al fine di far emergere le comuni radici culturali europee,
impegna il Governo:
1) a promuovere attivamente in sede europea l'attuazione del piano «ReArm Europe» e a sostenere l'adozione di una strategia industriale europea della difesa ambiziosa, che favorisca l'integrazione, l'innovazione, la competitività e la riduzione delle dipendenze, anche attraverso un massiccio ricorso agli appalti comuni e al potenziamento di strumenti in essere;
2) a promuovere, in sede europea, una governance europea che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali, operando come sistema di difesa continentale, come indicato dal Presidente Draghi durante l'audizione in Parlamento il 18 marzo 2025;
3) a sollecitare l'elaborazione di una politica industriale di difesa europea comune agli Stati membri, con strumenti di finanziamento comuni volti a non intaccare in alcun modo le risorse e l'erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali e il sistema di welfare, nonché a favorire la creazione di un sistema industriale e tecnologico della difesa europea maggiormente integrato e competitivo, in grado di favorire appalti comuni, ricerca e sviluppo congiunti, nonché a salvaguardare le piccole e medie imprese e a ridurre la dipendenza dalle filiere nei settori critici;
4) a favorire le sinergie industriali europee verso lo sviluppo di piattaforme militari comuni (aerei, navi, mezzi terrestri, satelliti) che consentano l'interoperabilità e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni nelle produzioni degli Stati membri; in particolare, in attesa della modifica dei trattati e in attesa dell'esercito comune, occorre adottare iniziative che favoriscano il processo di integrazione dei modelli di acquisizione e concertazione degli asset strategici, favorendo le sinergie tra gli Stati membri e realizzando accordi di spesa comune volti a rendere più efficiente e incrementare il coordinamento possibile anche a livello tecnologico;
5) a favorire in sede europea la modifica dei trattati al fine di superare il diritto di veto in materia di politica estera, così da consentire all'Unione europea di affrontare in maniera unitaria e coordinata le sfide globali e il nuovo scenario internazionale;
6) a promuovere, in connessione con gli obiettivi poc'anzi segnalati, la realizzazione di un'Unione europea che superi il meccanismo dell'unanimità, laddove sia previsto, nonché a favorire il funzionamento istituzionale europeo secondo il modello degli Stati Uniti d'Europa, con l'elezione diretta del Presidente della Commissione europea e il rafforzamento delle prerogative del Parlamento europeo;
7) a favorire in sede europea dialoghi con gli Stati membri al fine di favorire un'azione finalizzata all'integrazione europea in materia di industria difensiva tramite la condivisione di finanziamenti, dati e progetti, in considerazione del fatto che le azioni solitarie dei singoli Stati in materia di industria militare risulterebbero prive di successo ed estremamente dispendiose;
8) a favorire, per quanto di competenza, l'iter parlamentare volto alla ratifica e all'esecuzione degli accordi per la Comunità europea di difesa, firmati a Parigi il 27 maggio 1952, al fine di avviare quanto prima il percorso di costituzione dell'esercito unico europeo quale elemento indispensabile per la definizione di una strategia europea nello scenario globale;
9) a garantire che le politiche nazionali ed europee per la difesa si integrino con le strategie per la competitività industriale e la resilienza economica dell'Unione europea, sostenendo la creazione di campioni europei in settori strategici, in linea con le indicazioni del Rapporto Draghi.
(1-00428) «Boschi, Bonifazi, Del Barba, Faraone, Gadda, Giachetti, Gruppioni».
(8 aprile 2025)
La Camera,
premesso che:
1) il contesto internazionale attuale richiede un rafforzamento della capacità di difesa e deterrenza dell'Italia e dei suoi alleati, nell'ambito di un sistema multilaterale fondato sul rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati;
2) la partecipazione dell'Italia alle alleanze internazionali, con particolare riferimento all'Alleanza Atlantica (Nato), costituisce un pilastro della politica estera e di sicurezza nazionale e impegna il nostro Paese al rispetto degli obblighi derivanti, anche in termini di investimenti e sviluppo di capacità;
3) in base agli impegni assunti a partire dal summit Nato svoltosi in Galles nel settembre 2014, poi confermati a Varsavia nel 2016 con il cosiddetto Defence investment pledge (Dip) e ulteriormente ribaditi nei successivi summit del 2018 (Bruxelles), del 2019 (Londra), 2021 (nuovamente Bruxelles), 2022 (Madrid), 2023 (Vilnius) e 2024 (Washington), ciascuna nazione alleata avrebbe dovuto raggiungere entro il 2024 tre obiettivi, i cosiddetti «3C» (cash, capabilities, contributions): almeno il 2 per cento delle spese per la difesa rispetto al prodotto interno lordo; 20 per cento della quota del budget della difesa da destinare agli investimenti; un contributo a missioni, operazioni ed altre attività;
4) il conflitto in Ucraina continua a rappresentare una grave minaccia alla sicurezza e alla stabilità del continente europeo, con conseguenze dirette anche sugli equilibri globali e sulla sicurezza nazionale italiana;
5) l'Italia, in linea con gli indirizzi espressi dal Parlamento, ha finora contribuito attivamente al sostegno della resistenza ucraina, fornendo assistenza militare, umanitaria e diplomatica;
6) appare prioritario continuare a sostenere ogni sforzo, a livello internazionale, volto al raggiungimento di una tregua e alla successiva definizione di un accordo di pace stabile e duraturo;
7) al prossimo vertice Nato previsto all'Aja nel giugno 2025 sarà presumibilmente presentata da parte del Segretario generale una nuova proposta sulla percentuale di spesa per la difesa, che dovrebbe superare l'attuale soglia minima del 2 per cento del prodotto interno lordo;
8) nelle conclusioni della riunione straordinaria del 6 marzo 2025, il Consiglio europeo aveva accolto con favore l'intenzione della Commissione europea di formulare una raccomandazione per l'attivazione della clausola di salvaguardia nazionale prevista dal Patto di stabilità e crescita, al fine di agevolare un aumento della spesa per la difesa a livello nazionale e di aprire uno spazio di spesa aggiuntiva potenziale di 650 miliardi di euro nell'intera Unione europea, lasciando alle singole nazioni le decisioni sull'incremento da destinare;
9) il Consiglio europeo aveva, altresì, preso favorevolmente atto della proposta della Commissione europea relativa a un nuovo strumento – denominato Safe (Security action for Europe) – finalizzato a fornire agli Stati membri un importo fino a 150 miliardi di euro, in supporto al consolidamento industriale del comparto difesa e sicurezza,
impegna il Governo:
1) a proseguire nell'opera di rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza nazionale al fine di garantire, alla luce delle minacce attuali e nel quadro della discussione in atto in ambito europeo in ordine alla difesa europea, la piena efficacia dello strumento militare, secondo i compiti stabiliti dall'ordinamento, a salvaguardia delle libere istituzioni, della democrazia, dell'integrità e della sicurezza dei cittadini e del territorio nazionale, come presupposto per l'esercizio universale dei diritti fondamentali;
2) a confermare gli impegni assunti dall'Italia negli ultimi dieci anni, nelle alleanze internazionali di cui fa parte, in particolare in ambito Nato, rispettando i requisiti di investimento e di sviluppo delle capacità necessarie a garantire all'Alleanza una postura credibile e una reale deterrenza;
3) a continuare, nel rispetto degli indirizzi del Parlamento, a sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario, fermo restando l'auspicio di una rapida conclusione dei negoziati di pace;
4) a operare, in ogni sede internazionale e con ogni strumento diplomatico, affinché si giunga nel più breve tempo possibile a un cessate il fuoco e a una pace duratura sul territorio ucraino;
5) a ribadire la necessità che ogni eventuale tregua includa, sin dalla fase iniziale, la protezione delle infrastrutture civili ucraine, non soltanto quelle energetiche, ma soprattutto scuole, ospedali e città;
6) a favorire, successivamente alla tregua e alla firma di un accordo di pace tra la Federazione russa e l'Ucraina, la costituzione di una forza multinazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite, subordinata a una deliberazione del Consiglio di sicurezza, al fine di garantire un processo di pace stabile, condiviso ed irreversibile.
(1-00431) «Calovini, Billi, Orsini, Bicchielli, Chiesa, Zoffili, Bagnasco, Carfagna, Tremonti, Formentini, Rossello, Ciaburro, Carrà, De Monte, Caiata, Coin, Battilocchio, Comba, Cecchetti, Di Giuseppe, Crippa, Loperfido, Giglio Vigna, Maullu, Malagola, Mura, Padovani, Polo, Vinci».
(8 aprile 2025)
MOZIONI CONCERNENTI IL MONITORAGGIO E LO STATO DI ATTUAZIONE DEL PNRR
La Camera,
premesso che:
1) il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenta un'occasione unica di rilancio per il nostro Paese, nonché un nuovo e virtuoso paradigma di programmazione, monitoraggio e rendicontazione della realizzazione dei progetti e della effettiva spesa dei fondi;
2) a tal fine, l'articolo 2, comma 2, lettera e) del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, prevede che il Governo trasmetta alle Camere con cadenza semestrale, per il tramite del Ministro per i rapporti con il Parlamento, una relazione sullo stato di attuazione del Pnrr;
3) l'ultima relazione presentata in Parlamento risale al 22 luglio 2024, non risultando ad oggi ancora presentata la sesta relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, che illustri lo stato di avanzamento del Piano fino alla fine del 2024;
4) i dati disponibili più recenti sono, dunque, quelli presentati nell'ultima relazione semestrale della Corte dei conti, pubblicata il 9 dicembre 2024, quelli disponibili sulla piattaforma OpenPNRR, un progetto realizzato dalla fondazione Openpolis che monitora la messa a terra del Piano, nonché quelli inclusi nel dossier di monitoraggio relativo alla VII rata redatto dai servizi studi di Camera e Senato lo scorso 20 febbraio 2025;
5) in seguito a numerose richieste e dopo diversi mesi di attesa, a fine dicembre 2024 il Governo ha risposto alla richiesta di accesso agli atti presentata da Openpolis per conoscere lo stato di avanzamento dei quasi 290 mila progetti finanziati dal Pnrr;
6) sono quindi oggi disponibili i dati su ogni progetto aggiornati al 31 dicembre 2024, e questi mostrano, in linea con quanto aveva già evidenziato la relazione semestrale della Corte dei conti, che a fine 2024 risultavano messe a terra il 32 per cento delle risorse complessive, per una cifra pari a 62,2 miliardi di euro su 194,4 miliardi totali;
7) si sottolinea come questo risultato sia stato raggiunto a distanza di tre anni e mezzo dall'approvazione del Piano e quando alla sua conclusione mancano meno di un anno e mezzo, essendo prevista la fine di questo ingente piano di investimenti per giugno 2026;
8) per riuscire a spendere tutti i fondi previsti, da gennaio 2025 a giugno 2026 sarà necessario spendere in media circa 5,6 miliardi di euro al mese;
9) sia osservando i dati della Corte dei conti, secondo i quali nei primi nove mesi del 2024 sono stati spesi 12,6 miliardi di euro, sia considerando i dati di spesa complessiva per il 2024, pari a circa 16,4 miliardi di euro, risulta una capacità di spesa mensile media pari a 1,4 miliardi di euro: ciò significa che per riuscire a mettere a terra tutti i fondi previsti entro la data di scadenza del piano la capacità di spesa mensile dovrà quadruplicare rispetto agli ultimi dati disponibili;
10) secondo i dati presentati nell'ultima relazione semestrale del Governo al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr, nel primo semestre 2024 erano stati spesi 9,4 miliardi di euro: nei prossimi tre semestri la spesa dovrà arrivare in media a 45 miliardi di euro ogni sei mesi, più del doppio di quanto è stato speso in tutto il 2023, l'anno con i dati migliori per quanto riguarda la spesa di fondi Pnrr;
11) analizzando i dati presentati nell'ultimo dossier sul monitoraggio del Pnrr pubblicato dai Servizi Studi di Camera e Senato, si evince come nel 2024 siano stati spesi complessivamente 16,4 miliardi di euro, di cui 9,4 miliardi di euro nel primo semestre e 7 miliardi di euro nel secondo semestre;
12) dunque, l'andamento della spesa per semestre, invece di aumentare, diminuisce, così come è in diminuzione la spesa complessiva per anno, che, dopo essere cresciuta costantemente fino al record di 21,2 miliardi di euro del 2023, è per la prima volta diminuita nel 2024 rispetto all'anno precedente, tutto questo nonostante le rassicurazioni pronunciate dall'ex Ministro Fitto in sede di presentazione della quinta relazione, quando disse: «Ci sono stati progetti e gare e sono in corso gli avvii dei lavori; quindi, tra sei mesi ci rivedremo e la spesa crescerà»;
13) secondo i dati presentati dalla Corte dei conti, risultano particolarmente problematici gli obiettivi legati agli investimenti, mentre per quanto riguarda le riforme la situazione è maggiormente in linea con il cronoprogramma: al giugno 2024 risultava ultimato il percorso degli obiettivi europei da raggiungere per il 63 per cento delle 72 misure di riforma, a fronte del 6 per cento degli investimenti;
14) nei prossimi tre semestri, sarà necessario completare 284 traguardi e obiettivi per ottenere le ultime rate previste dall'accordo con l'Unione Europea, che rappresentano il 45 per cento del totale;
15) una delle priorità trasversali del Piano riguarda il contrasto ai divari di genere e generazionale. Con il decreto-legge n. 77 del 2021 è stata istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Cabina di regia per il Pnrr, la quale – tra i vari compiti – è incaricata di trasmettere alle Camere anche ogni elemento utile a valutare lo stato di avanzamento degli interventi, il loro impatto e l'efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti, con specifico riguardo anche alle politiche di sostegno per l'occupazione;
16) l'articolo 47 del medesimo decreto-legge ha stabilito che le stazioni appaltanti prevedano, tra le altre, specifiche clausole sulla parità di genere, sull'assunzione di under 36 e di donne – categorie generalmente penalizzate dal mercato del lavoro – anche al fine di raggiungere l'obiettivo qualitativo e trasversale del miglioramento delle condizioni occupazionali dei giovani e delle donne;
17) tra il 2021 e il 2022 il Governo Draghi aveva pubblicato due relazioni sugli obiettivi del Pnrr di miglioramento delle condizioni di giovani e donne, ma ad oggi non si sa molto di più sugli effetti delle riforme e degli investimenti del Piano in tale ambito;
18) come sottolineato anche dalla Corte dei conti, l'attuazione delle misure su donne e giovani è stata fino all'anno scorso sostanzialmente in linea con il programma, ma è anche vero che le varie revisioni del Pnrr hanno di fatto posticipato molti adempimenti verso gli ultimi anni del Piano, e ci ritroviamo ormai nei sedici mesi finali di attuazione del Pnrr;
19) dopo la corposa modifica del 2023, con la quale è stato anche aggiunto un ulteriore capitolo finanziato dal RePowerEU, nel 2024 sono state apportate altre due modifiche, la prima il 14 maggio 2023 e la seconda il 18 novembre 2024;
20) il nuovo capitolo introdotto nel 2023 e finanziato con i fondi del RePowerEU prevede l'investimento 15 «Transizione 5.0» con una dotazione finanziaria di 6,3 miliardi di euro, misura che consiste in un regime di crediti d'imposta con l'obiettivo di sostenere la transizione dei processi di produzione verso un modello efficiente sotto il profilo energetico, sostenibile e basato sulle energie rinnovabili;
21) il Piano Transizione 5.0, approvato dal Governo nell'ottica di incentivare gli investimenti che prevedono una riduzione dei consumi energetici, non sta funzionando: la fruizione dei benefìci non è automatica, essendo subordinata a complesse procedure amministrative, tra cui l'attesa di comunicazioni ufficiali e certificazioni sia ex ante che ex post, con un conseguente aumento delle tempistiche e degli oneri a carico delle imprese;
22) sono previste, inoltre, soglie minime di risparmio energetico che escludono dalla misura investimenti potenzialmente utili e molti settori strategici, tra cui quelli legati all'economia circolare e alle industrie ad alta intensità energetica;
23) secondo i dati più recenti, a gennaio 2025 erano arrivate richieste di accesso ai fondi di questo strumento per soli 500 milioni di euro, poco meno dell'8 per cento totale delle risorse a disposizione,
impegna il Governo:
1) ad inviare al Parlamento quanto prima la sesta relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, contenente i dati più aggiornati sullo stato di avanzamento della spesa, dei traguardi e degli obiettivi, con un focus particolare sullo stato di avanzamento degli investimenti;
2) ad illustrare quali strumenti intenda adottare per aumentare la capacità di spesa dei fondi fino a quadruplicarla, per consentire la messa a terra di tutte le risorse di cui è dotato il piano entro il termine perentorio di giugno 2026;
3) nel caso di una conferma da parte del Governo sull'incapacità di rispettare il termine di giugno 2026, a rendere noto quanto prima al Parlamento l'eventuale intenzione di chiedere e ottenere una proroga della scadenza del Piano oltre tale termine e gli eventuali margini di azione che il Governo ritenga di poter utilizzare in una contrattazione con la Commissione europea;
4) a chiarire se intenda adottare iniziative volte ad apportare ulteriori modifiche al Piano o se la versione attuale possa essere considerata definitiva e, dunque, da tenere in considerazione per un puntuale e definitivo monitoraggio dello stato di avanzamento della spesa, dei traguardi e degli obiettivi;
5) ad illustrare le motivazioni che hanno portato la spesa complessiva del 2024 e quella dell'ultimo semestre ad una diminuzione rispetto all'anno e al semestre precedenti, contrariamente a tutte le rassicurazioni precedentemente offerte dal Governo, e come intenda porre rimedio a questa situazione per invertire la tendenza;
6) a trasmettere con la massima celerità al Parlamento una relazione aggiornata sul rispetto delle clausole in materia di pari opportunità e inclusione lavorativa di donne e giovani, nonché sugli effetti e il raggiungimento degli obiettivi in tale ambito conseguenti all'attuazione del Piano;
7) ad adottare iniziative normative volte a semplificare le procedure di richiesta del credito d'imposta previsto dal Piano Transizione 5.0, riducendo i passaggi autorizzativi attraverso l'eliminazione di duplicazioni burocratiche e l'introduzione di strumenti digitali per l'autocertificazione delle imprese, garantendo comunque un adeguato controllo ex post, per rendere il beneficio quanto più automatico possibile, sul modello del Piano «Industria 4.0».
(1-00410) «Richetti, Bonetti, Benzoni, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Onori, Pastorella, Rosato, Ruffino».
(6 marzo 2025)
La Camera,
premesso che:
1) a meno di un anno e mezzo dalla sua conclusione, prevista per giugno 2026, i ritardi fatti registrare dal Governo nello stato di avanzamento delle riforme e degli investimenti contenuti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza rimangano allarmanti, così come il mancato rispetto degli obiettivi prefissati e i rallentamenti nella messa a terra delle relative risorse finanziarie;
2) dalla consultazione della banca dati ReGiS emerge come i dati che riguardano il nostro Paese, aggiornati al 31 dicembre 2024, siano oltremodo preoccupanti: dei 120 miliardi di euro già incassati dall'Unione europea, ne risultano essere stati spesi appena 62,2 miliardi, pari a solo il 32 per cento dei 194 miliardi complessivi ottenuti grazie all'operato del Governo Conte; ma il dato più allarmante è quello riferito al drastico rallentamento della spesa negli ultimi mesi: dalla fine di settembre 2024 a gennaio 2025, sono stati messi a terra solo 5 miliardi di euro in quattro mesi, un ritmo assolutamente insufficiente a garantire la spesa di tutti i fondi previsti per raggiungere gli obiettivi prefissati entro giugno 2026;
3) il completamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza richiede ancora la realizzazione di 284 traguardi e obiettivi previsti nei prossimi tre semestri, di cui 177 da conseguire nell'ultimo semestre che avrà scadenza il 30 giugno 2026; secondo le valutazioni economiche effettuate dall'Osservatorio Recovery plan, ipotizzando un andamento costante del regime di spesa, sarebbero infatti 94 i miliardi di euro di spesa a rischio del Piano nazionale di ripresa e resilienza;
4) questo trend negativo è confermato anche dall'ultima Relazione semestrale della Corte dei conti al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza pubblicata il 9 dicembre 2024, in cui si evidenzia come l'avanzamento finanziario del Piano, seppur in linea con le scadenze concordate, continui a segnalare – come peraltro già messo in luce in occasione di precedenti relazioni – scostamenti significativi rispetto al cronoprogramma: al 30 settembre 2024, il livello della spesa si era attestato sui 57,7 miliardi di euro, il 30 per cento delle risorse del Piano e circa il 66 per cento di quelle che erano programmate entro il 2024;
5) il Piano nazionale di ripresa e resilienza è stato oggetto di successive modifiche – che hanno comportato il definanziamento totale o parziale di numerose misure – e il Governo sembrerebbe intenzionato, in tempi brevi, ad avanzare alla Commissione europea l'ennesima richiesta di revisione del Piano, la quinta in due anni, a pochi mesi dall'approvazione da parte del Consiglio dell'Unione europea – nel novembre del 2024 – dell'ultima modifica, con il rischio di un ulteriore posticipo degli obiettivi o una loro revisione al ribasso, con conseguente complessiva rimodulazione che coinvolgerebbe inevitabilmente anche gli investimenti del Piano destinati al Mezzogiorno;
6) finora, le modifiche apportate hanno infatti determinato uno spostamento generalizzato della spesa negli ultimi anni di attuazione del Piano medesimo, diffondendo incertezza tra i soggetti attuatori. Secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio, l'ultima modifica avrebbe ritardato la pubblicazione dei bandi e il loro affidamento, rallentando l'esecuzione dei progetti del 14,2 per cento; criticità sono inoltre state riscontrate dagli enti locali nel funzionamento della piattaforma ReGiS – tra cui disallineamenti nelle informazioni, difficoltà nell'accesso alla piattaforma, nonché di navigazione, inserimento dati e ritardi nella registrazione delle operazioni – che, se da un lato rischiano di sottostimare i risultati raggiunti, dall'altro includono nella spesa anche le anticipazioni finanziarie, ovvero investimenti non ancora realizzati;
7) a differenza del preoccupante andamento della spesa fatto registrare a livello nazionale, parte del successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza è dovuto invece ai comuni, che stanno dando un contributo decisivo nel rispetto della riserva del 40 per cento di investimenti destinati al Mezzogiorno: il 54 per cento di tutti i progetti comunali viene infatti proprio dal Sud. Il problema principale in questo momento, come denunciato a livello degli enti locali, risiede nella certezza e nella puntualità dei pagamenti dall'amministrazione centrale verso i comuni che hanno anticipato dalle proprie casse e che spesso sono in grave difficoltà, così come nelle difficoltà riscontrate dai medesimi enti locali nel monitoraggio della spesa delle risorse destinate alle regioni del Mezzogiorno, ai fini del rispetto del richiamato vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza alle regioni del Sud;
8) nonostante il vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse complessive a favore dei territori del Mezzogiorno previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza – che si aggiunge alle soglie del 37 per cento delle risorse per interventi per la transizione ecologica e del 25 per cento per la transizione digitale – preoccupano i divari fra i territori a livello di macroaree e fra le regioni del Mezzogiorno che continuano a sussistere, mettendo in dubbio uno dei pilastri del Piano, ovvero la coesione territoriale: la riduzione delle disuguaglianze territoriali è infatti un elemento essenziale non solo dei fondi strutturali e di investimento europei ma anche del Next generation EU e, quindi, dei Piani nazionali di ripresa e resilienza;
9) proprio con riguardo alla clausola di salvaguardia si denuncia inoltre la mancata pubblicazione della Relazione periodica sul rispetto della clausola di almeno il 40 per cento delle risorse territorialmente allocabili del Piano nazionale di ripresa e resilienza da destinare al Mezzogiorno, con dati relazionati fermi ormai al dicembre 2022, nonostante le numerose richieste in sedi formali e atti di sindacato ispettivo del MoVimento 5 Stelle;
10) la mancanza di trasparenza e l'assenza di informazioni sui dati sull'avanzamento finanziario della spesa dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza pregiudica ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo le stesse prerogative del Parlamento, oltre che rappresentare una violazione dei fondamentali diritti di informazione e partecipazione democratica. L'accesso a queste informazioni è essenziale per verificare quale sia l'effettivo stato di realizzazione degli interventi e, di conseguenza, per ricostruire a che punto siano le misure del Piano. La pubblicazione tempestiva e completa di questi dati in formato aperto consentirebbe, inoltre, di verificare le informazioni prodotte e quindi segnalare eventuali problemi nei dati e, soprattutto, intervenire nei processi attuativi tempestivamente;
11) le risorse finanziarie del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono preziose e limitate e consentono anche di intervenire sui nodi storici dei divari territoriali, favorendo lo sviluppo, la coesione sociale e la competitività economica e accelerando i processi di transizione ecologica e digitale; per questo motivo è imprescindibile, anche nell'ottica di un corretto impiego dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, scongiurare l'ipotesi contenuta nel piano di riarmo «Rearm EU» dell'utilizzo dei suddetti fondi, su cui poggia anche la programmazione dell'intero Piano nazionale di ripresa e resilienza, per il finanziamento delle spese militari;
12) affinché il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenti effettivamente un'occasione storica, probabilmente unica e irripetibile, per investire sul futuro, per fornire ai giovani nuove opportunità di lavoro e, più in generale, disegnare, innestare e realizzare, a tutti i livelli di governo, un nuovo percorso di crescita sostenibile del Paese, sia essa di tipo economico, sociale che ambientale, è fondamentale che il Parlamento, istituzione rappresentativa per eccellenza, svolga maggiormente una funzione di indirizzo e controllo sugli atti del Governo connessi alla relativa attuazione secondo il cosiddetto cronoprogramma; in questo senso, la funzione di monitoraggio, indirizzo e controllo parlamentare sull'attuazione del Piano rimane centrale ed imprescindibile, anche per fornire indicazioni al Governo sui profili sostanziali inerenti al processo di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e al monitoraggio dei relativi traguardi e obiettivi;
13) anche con riferimento al Piano Transizione 5.0 si ravvisa inoltre come, ad oggi, solo il 6,3 per cento del totale dei fondi disponibili sia stato allocato, segnale evidente delle difficoltà incontrate dalle imprese nell'accesso agli incentivi previsti; numerose aziende continuano, infatti, a segnalare criticità burocratiche che ostacolano la fruizione della misura, con particolare riguardo alla rendicontazione e alla certificazione dei progetti e del conseguente risparmio energetico;
14) rimangono infine alte le preoccupazioni dovute al rischio di un uso irregolare dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza – quantificabili in circa 1,8 miliardi di euro – e delle indebite interferenze della criminalità organizzata sulle risorse, come denunciato da ultimo dalla Commissione europea nella relazione annuale dell'Unione europea 2024 sullo Stato di diritto, che fanno dell'Italia il Paese dell'Unione europea con più indagini per frodi, rispetto ai livelli delle altre nazioni;
15) il fallimento nell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza significherebbe far perdere al sistema Paese la possibilità del suo definitivo rilancio, lasciarsi sfuggire una capillare rivoluzione in termini di riforme e maggiori investimenti nella sanità, nelle scuole, nelle infrastrutture, in tutto ciò che può consentire all'Italia di affrontare una impegnativa transizione ecologica e digitale, nel segno di una maggiore inclusione sociale, nonché al sistema sovranazionale europeo di tradursi in un'Europa più solidale, capace di allontanare lo spettro di tagli e politiche di austerità, suscettibili solo di rinnovare il senso di sfiducia verso l'Italia e verso l'Europa intera,
impegna il Governo:
1) a pubblicare senza indugio, nel rispetto dell'articolo 2, comma 2, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, la sesta relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, recante ogni elemento utile a valutare lo stato di avanzamento degli interventi, il loro impatto e l'efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti, con specifico riguardo alle politiche di sostegno economico-sociali;
2) ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, al fine di garantire l'integrale, tempestivo ed efficiente utilizzo da parte dell'Italia dei fondi europei del programma Next generation EU, come previsto da Piano nazionale di ripresa e resilienza e Piano nazionale complementare in tempi celeri e rispettosi del cronoprogramma, in particolare assicurando prioritariamente il raggiungimento di obiettivi trasversali, come la sostenibilità economica, sociale e ambientale degli interventi, incluso il rispetto delle clausole in materia di pari opportunità e inclusione lavorativa dei giovani e delle donne, nonché la relativa attuazione nell'ambito delle transizioni digitali e green e del riparto bilanciato delle risorse con la destinazione minima del 40 per cento delle stesse al Sud;
3) a pubblicare e ad inviare senza indugio al Parlamento la IV Relazione istruttoria sul rispetto del vincolo di destinazione alle regioni del Mezzogiorno di almeno il 40 per cento delle risorse territorialmente allocabili, al fine di mantenere l'ambizione di riequilibrio territoriale del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché ad assicurare il rispetto della destinazione minima del 40 per cento dei finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza al Sud ed il vincolo di concentrazione delle risorse nelle regioni del Mezzogiorno previsto dal Fondo di sviluppo e coesione, al fine di consentire, nell'ottica dell'obiettivo della coesione territoriale, il pieno superamento delle disuguaglianze e dei divari territoriali a livello di macroaree e fra le regioni del Mezzogiorno, che rappresenta proprio uno degli obiettivi più qualificanti del Piano nazionale di ripresa e resilienza;
4) ad opporsi, altresì, in tutte le competenti sedi istituzionali nazionali ed europee, alla possibilità di reindirizzare i fondi della politica di coesione verso le spese relative alla difesa, distogliendo tali fondi dalla finalità del rafforzamento della coesione economico e sociale, in quanto pilastro fondamentale su cui poggia la programmazione e il contenuto dell'intero Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha tra i suoi obiettivi proprio il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud, come priorità trasversale a tutte le missioni del Piano;
5) ad adottare, per quanto di competenza, le necessarie iniziative volte ad imprimere un deciso miglioramento nella gestione della spesa a valere sulle risorse di provenienza europea di cui al Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche favorendo, per quanto di competenza, l'iter dell'iniziativa legislativa riferita all'istituzione di una Commissione parlamentare per l'indirizzo, la vigilanza e il controllo dell'attuazione del suddetto Piano, al fine di superare le difficoltà nell'utilizzo dei fondi del Next generation EU, a partire dalla scarsa capacità del loro impiego integrale;
6) a garantire, altresì, per quanto di competenza, il coinvolgimento pieno e tempestivo del Parlamento nel processo di definizione di un'eventuale proposta di modifica del Piano nazionale di ripresa e resilienza, assicurando una puntuale e corretta informazione nei confronti delle competenti Commissioni parlamentari, su quali siano i cambiamenti richiesti, nonché le conseguenti previsioni in termini di effetti degli investimenti e di crescita del sistema Paese, così come sulla definizione del capitolo dedicato al piano REPowerEU all'interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, al fine di assicurare la coerenza dello stesso rispetto all'evoluzione dell'economia verso un modello sostenibile;
7) a fronte delle segnalazioni di cui alla citata relazione della Corte dei conti, ad assumere altresì tutte le iniziative di competenza volte a contrastare con azioni effettive le irregolarità e le frodi a danno del bilancio europeo, per scongiurare la possibilità di perdere, anche parzialmente, i fondi già ottenuti, essenziali per il nostro Paese per investimenti in sanità, nell'istruzione, nelle infrastrutture, verso una autentica transizione ecologica e digitale, nel segno di una maggiore inclusione sociale;
8) ad assumere urgenti iniziative, anche di carattere normativo, affinché vengano superate le difficoltà legate alla rendicontazione degli investimenti e ai criteri di risparmio energetico ad essi correlati, nonché quelle connesse, laddove non sia ottenuto il risparmio energetico richiesto per l'accesso al Piano 5.0, del passaggio dal medesimo al Piano 4.0, prevedendo per quest'ultimo uno stanziamento aggiuntivo oppure una riserva di fondi utili a scongiurare che le imprese restino escluse da entrambi i benefici fiscali.
(1-00416) «Scerra, Torto, Appendino, Bruno, Cantone, Carmina, Dell'Olio, Donno».
(17 marzo 2025)
La Camera,
premesso che:
1) i Piani nazionali di ripresa e resilienza sono i programmi di riforme e investimenti per il periodo 2021-2026 che gli Stati membri definiscono per accedere ai fondi del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility), nel quadro di Next generation EU (Ngeu);
2) il Piano nazionale di ripresa e resilienza dell'Italia è stato approvato a livello europeo il 13 luglio 2021, con decisione di esecuzione del Consiglio dell'Unione europea. La decisione di esecuzione contiene un allegato con cui vengono definiti, in relazione a ciascun investimento e riforma, precisi obiettivi e traguardi (milestone e target), cadenzati temporalmente, al cui conseguimento è vincolata l'assegnazione delle risorse, che è, a sua volta, articolata in dieci rate entro il 30 giugno 2026;
3) il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano prevedeva, nella sua originaria formulazione, 132 investimenti e 59 riforme, cui corrispondevano 191,5 miliardi di euro finanziati dall'Unione europea attraverso il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, suddivisi tra 68,9 miliardi di euro di sovvenzioni a fondo perduto e 122,6 miliardi di euro di prestiti, da impiegare nel periodo 2021-2026 attraverso l'attuazione del Piano;
4) in data 8 dicembre 2023 è stata approvata la proposta italiana di revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza;
5) a seguito della revisione, il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano prevede: una dotazione finanziaria incrementata a 194,4 miliardi di euro, di cui 122,6 miliardi di euro in prestiti e 71,8 miliardi di euro in sovvenzioni; investimenti aggiuntivi per 25 miliardi di euro (di cui 11 miliardi afferenti ai nuovi interventi del capitolo REPowerEU e 14 miliardi derivanti dall'ampliamento di investimenti già previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza); sette missioni, di cui una relativa al capitolo REPowerEU, che prevedono 66 riforme (sette in più rispetto al piano originario) e 150 investimenti, diretti a promuovere la competitività e la resilienza dell'Italia, nonché la transizione verde e digitale; un numero complessivo di milestone e target pari a 617 (a fronte delle 527 originarie);
6) allo stato attuale risulterebbero spesi circa il 21 per cento dei prestiti e il 52 per cento di sovvenzioni;
7) il 23 dicembre 2024 la Commissione europea ha versato all'Italia la sesta rata del Piano nazionale di ripresa e resilienza pari a 8,7 miliardi di euro e il 30 dicembre 2024 l'Italia, primo Paese europeo, ha inviato alla Commissione europea la richiesta di pagamento della settima rata, pari a 18,3 miliardi di euro. In termini di milestone e target, con la richiesta di pagamento della settima rata, l'Italia ha dimostrato di aver conseguito il 54 per cento degli obiettivi previsti dal Piano, ovvero 337 obiettivi su 621. I restanti 284 obiettivi sono, infatti, collegate alle ultime tre rate del Piano;
8) il pagamento della settima rata costituirà, ancora una volta, la prova tangibile dell'impegno profuso dal Governo nell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, consolidando ulteriormente il primato dell'Italia in termini di rate incassate, di obiettivi raggiunti e di importo ricevuto che supererà i 140 miliardi di euro, corrispondente a oltre il 72 per cento della dotazione complessiva del Piano;
9) nonostante si continui a leggere di ritardi nell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la Commissione europea, fino ad oggi, ha ritenuto raggiunti tutti gli obiettivi e i traguardi rendicontati dal nostro Paese, come attestato dall'erogazione delle risorse collegate alle rate oggetto di richieste di pagamento; ciò a conferma dell'efficacia dell'azione del Governo e delle iniziative dallo stesso assunte, fin dalla data del suo insediamento, per assicurare il tempestivo raggiungimento delle milestone e dei target previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;
10) per effetto delle revisioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza proposte dal Governo e condivise con la Commissione europea, è stato possibile, in coerenza con le indicazioni del Parlamento e in attuazione degli orientamenti in materia della Commissione europea, correggere alcuni errori materiali, apportare alcune modifiche fisiologiche a fronte di circostanze oggettive ed imprevedibili e proseguire nella piena attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che vede l'Italia al primo posto in Europa per numero di obiettivi conseguiti e di rate richieste, per investimenti realizzati e per importo complessivo ricevuto;
11) avuto riguardo all'attuale scadenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza e agli obiettivi collegati alle ultime tre rate, è indispensabile proseguire nell'attività di monitoraggio e di confronto costante con le amministrazioni titolari delle misure in ordine allo stato di attuazione e all'andamento dei singoli investimenti per individuare, per tempo, le eventuali criticità e le possibili soluzioni; al contempo, è necessario continuare nel dialogo e nell'attività di confronto con la Commissione europea, che ha caratterizzato l'operato del Governo fin dal suo insediamento, al fine di superare le eventuali criticità, con l'obiettivo di assicurare la piena realizzazione degli investimenti programmati nel rispetto delle condizionalità e delle scadenze previste, anche mediante un'ulteriore revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ove ritenuto necessario;
12) è indispensabile che il Governo assicuri un'adeguata informazione del Parlamento in ordine allo stato di attuazione e all'andamento dei singoli investimenti, anche mediante l'invio della relazione periodica prevista dall'articolo 2, comma 2, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, con l'evidenziazione dei risultati conseguiti relativamente all'asse strategico dell'inclusione sociale, che individua come priorità la parità di genere, la parità generazionale, il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud;
13) è parimenti indispensabile che il Governo assicuri un adeguato coinvolgimento del Parlamento in ordine ai contenuti di un'eventuale nuova proposta di aggiornamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza diretta a mantenere inalterate la portata e l'impatto del Piano medesimo e ad assicurare un impiego razionale, efficiente ed efficace delle risorse ad esso assegnate,
impegna il Governo:
1) a proseguire nell'attività di attuazione delle riforme e degli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, assumendo tutte le iniziative ritenute necessarie al fine di assicurare il tempestivo raggiungimento entro il 2026 delle milestone e dei target;
2) a proseguire nell'attività di informazione del Parlamento in ordine allo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e alle eventuali problematiche di tipo attuativo, nonché ad assicurare, per quanto di competenza, un adeguato coinvolgimento delle Camere con riguardo alla nuova proposta di aggiornamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ove effettivamente necessaria;
3) ad assicurare che la proposta di aggiornamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ove realmente necessaria, sia coerente con le finalità e le condizionalità, anche temporali, stabilite dai regolamenti europei, garantendo al contempo l'attuazione delle riforme previste e il raggiungimento degli obiettivi trasversali, quali la parità di genere, il miglioramento delle competenze e delle prospettive occupazionali dei giovani, il riequilibrio territoriale e lo sviluppo del Mezzogiorno, assicurando, a tal fine, per quanto di competenza, l'attuazione della clausola che destina almeno il 40 per cento delle risorse allocabili territorialmente alle regioni del Meridione;
4) a proseguire nell'azione diretta a garantire un utilizzo sinergico, più razionale ed efficiente delle risorse europee e nazionali destinate alla realizzazione degli investimenti pubblici, con particolare riguardo al rafforzamento dell'autonomia energetica, al sostegno alle attività produttive, alla transizione clean e digitale, in linea con la nuova strategia annunciata dalla Commissione europea, nonché all'attuazione delle politiche di coesione.
(1-00429) «Lucaselli, Candiani, Pella, Romano, Mantovani, Comaroli, Pisano, Cannata, Giglio Vigna, Cannizzaro, Giorgianni, Bagnai, D'Attis, Mascaretti, Barabotti, Mangialavori, Rampelli, Cattoi, Angelo Rossi, Frassini, Trancassini, Ottaviani, Tremaglia, Ambrosi, Di Maggio, Donzelli, Gabellone, Giordano, Rotondi, Rachele Silvestri».
(8 aprile 2025)
La Camera,
premesso che:
1) l'Unione europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next generation EU (Ngeu), un programma di portata e ambizione inedite che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale, migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori, conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale, e che segna un cambiamento radicale sia per la modalità di messa a terra e di attuazione dei relativi progetti e sia per l'entità di risorse messe in campo pari a 750 miliardi di euro, di cui oltre la metà (390 miliardi) costituita da sovvenzioni a fondo perduto;
2) per un Paese come l'Italia, che deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all'esclusione sociale e alle disuguaglianze, il Next generation EU può essere l'occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo attraverso la rimozione di quegli ostacoli che negli ultimi decenni ne hanno bloccato la crescita;
3) l'Italia è la principale beneficiaria, in valore assoluto, dei due strumenti del Next generation EU: il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf) e il Pacchetto di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d'Europa (React-EU);
4) il solo Dispositivo per la ripresa e la resilienza garantisce risorse totali (ossia per tutti i Paesi dell'Unione europea) per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi costituiscono sovvenzioni a fondo perduto. L'Italia intende utilizzare appieno la propria eccezionale dote finanziaria riservatale dall'Unione europea, stimata in 122,6 miliardi di euro, dietro la presentazione di un pacchetto di investimenti e riforme denominato Piano nazionale di ripresa e resilienza;
5) il Piano nazionale di ripresa e resilienza, in quanto parte di una più ampia e ambiziosa strategia, può, pertanto, rappresentare una straordinaria occasione per l'Italia, una sorta di «tornante storico» per rispondere ai problemi che la attanagliano, in primis una crisi economica e sociale aggravata dalla pandemia globale, affrontando le grandi trasformazioni determinate dalle transizioni digitale e verde, colmando i persistenti e marcati divari territoriali, recuperando le fratture sociali che minano i rapporti civili, riducendo le disuguaglianze e, soprattutto, rispondendo alla principale emergenza del Paese: la diffusione di tipologie contrattuali di lavoro meno tutelate, precarie e atipiche che interessano quote elevate di donne, giovani e stranieri;
6) per garantire il corretto andamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Governo ha messo in piedi una complessa struttura di governance per monitorare l'attuazione dei progetti e la dinamica della spesa, il cui compito consiste, a seconda dei casi, nel fornire linee di indirizzo, risolvere i conflitti politico-istituzionali, monitorare l'andamento dei progetti e superare eventuali stalli ed elementi di criticità che possano compromettere il rispetto delle scadenze, una condizione essenziale, dirimente ed imprescindibile affinché l'Italia si aggiudichi effettivamente le risorse previste per la realizzazione del Piano;
7) la suddetta governance prevede che per la concreta attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza non è sufficiente la sola ed esclusiva azione del Governo, ma anche quella degli enti territoriali (tra cui regioni, province e comuni) individuati, in solido, quali soggetti attuatori del Piano che possono, nel caso in cui non operino correttamente o comunque non rispettino le tappe del cronoprogramma, essere soppiantati dai poteri sostitutivi del Governo (che nel frattempo sono stati progressivamente accentrati e rafforzati), attraverso i quali può attribuire a un altro organo l'esecuzione dei progetti;
8) nonostante l'esistenza di tale apparato, quella dell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano continua a rappresentare una corsa contro il tempo che accresce gli interrogativi e legittima timori e perplessità circa la capacità di rispettare le scadenze e portare a compimento tutti gli investimenti entro la deadline fissata al 30 giugno 2026. Numerose relazioni ed analisi curate da soggetti istituzionali a ciò preposti (Corte dei conti, Ufficio parlamentare di bilancio ed altri) testimoniano, infatti, come, a fronte di progressi formali, con riferimento a numerosi e fondamentali obiettivi lo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano registra ritardi significativi nella spesa che non legittimano l'inspiegabile ottimismo del Governo rispetto alla capacità di spesa dei prossimi sedici mesi;
9) le vere criticità del Piano nazionale di ripresa e resilienza risiedono anche nella poca trasparenza e nello scarso coinvolgimento della società civile: la situazione – paradossale per un Piano performance-based – sconta la mancanza di un sistema strutturato per la verifica dello stato di avanzamento di milestone e target. A fronte di qualche dato percentuale sulla spesa complessiva, si registra, in particolare, la carenza di informazioni essenziali circa l'efficacia e la qualità dei singoli esborsi che rendono alquanto opaco il processo attuativo;
10) con la sesta Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, presentata il 31 marzo 2025, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo il Governo continua a rivendicare, con toni trionfalistici, risultati che poco hanno a che vedere con la sua azione politica e la sua fallimentare gestione del Piano, tra cui il primato che il nostro Paese occuperebbe nella realizzazione in termini di obiettivi raggiunti, di risorse complessivamente ricevute e di richieste di pagamento formalizzate. Inoltre, il documento metterebbe in evidenza che l'Italia ha ricevuto finora dalla Commissione europea l'importo economico più rilevante, pari a 122 miliardi di euro in termini assoluti e al 63 per cento della dotazione complessiva del Piano, a fronte di 337 traguardi già dichiarati raggiunti su 621 totali e progetti attivati che cumulano il 92 per cento delle risorse disponibili, un'affermazione, quest'ultima, palesemente fuorviante visto che il nostro Paese, pur essendo primo in termini assoluti per numero di obiettivi e traguardi raggiunti, non lo è in termini percentuali, avendo negoziato un numero di milestone e target più elevato rispetto agli altri Paesi membri;
11) il documento precisa, inoltre, che il Governo, il 30 dicembre 2024 ha avanzato alla Commissione europea la richiesta di pagamento della settima rata, del valore di 18 miliardi e 300 milioni di euro, la più impegnativa tra quelle rendicontate finora, legata al raggiungimento di 67 obiettivi (32 target e 35 milestone), con la cui riscossione l'avanzamento finanziario del Piano dovrebbe superare quota 140 miliardi di euro, corrispondente a oltre il 72 per cento del finanziamento complessivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza;
12) altro primato riguarderebbe il ritmo di implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano, che sembra essere superiore a quello di altri Paesi europei, essendo il più importante in termini di risorse totali: 194,4 miliardi di euro, seguito da quello spagnolo (163), polacco (60) e francese (42), una condizione che dovrebbe costituire una sfida notevole perché aumenta la pressione sulla struttura amministrativa per la messa a terra dei progetti;
13) il confronto internazionale restituirebbe il dato che l'Italia si colloca tra i paesi dove il Piano sta procedendo più celermente, in relazione agli accordi stabiliti con la Commissione europea: il 43 per cento dei traguardi e obiettivi sarebbero stati raggiunti, rispetto al 28 per cento medio dei Paesi i cui piani hanno un valore di almeno 5 miliardi di euro; il 64 per cento delle risorse sarebbero già state erogate all'Italia dall'Europa, un valore ben sopra al 48 per cento della media europea, anche se occorre tener presente che, con l'approssimarsi della scadenza del Piano, quei Paesi che hanno ricevuto un importo più limitato di risorse potrebbero rapidamente colmare il vantaggio maturato fino ad oggi dal Piano italiano;
14) di contro, sotto l'aspetto sostanziale l'avanzamento finanziario a fine 2024 indica pagamenti effettivi per 63,9 miliardi di euro, cioè appena 18,3 miliardi di euro sopra i livelli di fine 2023, pertanto resterebbero da riconoscere in soli due anni 130,5 miliardi di euro, dunque, al ritmo di 65 miliardi di euro l'anno e di 5,5 miliardi di euro al mese: un'accelerazione nella spesa per investimenti (che, tra l'altro, riguardano asili, scuole, ospedali, residenze universitarie, dissesto idrogeologico, linee ferroviarie nel Mezzogiorno e alta velocità) difficile da immaginare rispetto alla capacità di spesa mostrata nell'ultimo biennio, che potrebbe indurre il Governo a rinunciare, in sede di prossima richiesta rimodulazione del Piano già avanzata alla Commissione europea, a qualche finanziamento;
15) per sua stessa ammissione, secondo il Governo, delle risorse stanziate finora per la missione 7 «Repower EU» è stato speso l'1,45 per cento, per la missione 6 «Salute» il 18 per cento, per la missione 5 «Inclusione e coesione» il 18,6 per cento, tutti dati certificati anche dalla Ragioneria generale dello Stato e che sembrerebbero voler indurre il Ministro dell'economia e finanze a chiedere alla Commissione europea la proroga al 2027 della scadenza del Piano;
16) un'ulteriore ammissione indiretta di ritardi e difficoltà di completa attuazione del Piano da parte del Governo è anche la proposta di rimodulazione del Piano avanzata alla Commissione europea. Per rispettare il cronoprogramma stabilito, l'Italia deve infatti completare, con la riscossione delle ultime tre rate, 284 traguardi e obiettivi nei prossimi tre semestri, di cui 177 da conseguire nell'ultimo semestre che avrà scadenza il 30 giugno 2026;
17) i dati riportati dalla sesta Relazione, pur se hanno squarciato parte di quel velo di opacità che ammanta l'iter attuativo del Piano, rivelano che sempre sul fronte dell'avanzamento finanziario si addensano, in realtà, ulteriori nubi ben evidenziate anche con l'ultima Relazione al Parlamento dalla Corte dei conti, secondo la quale il livello attuale di spesa è pari ad un terzo di quello programmato. Inoltre, nonostante il raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi, stabiliti a livello nazionale e concordati a livello europeo, sia in linea con le previsioni, permangono alcune criticità che richiedono attenzione costante e interventi mirati, soprattutto in vista della scadenza del Piano. La magistratura contabile ha, inoltre, rimarcato che i dati della piattaforma Regis mostrano un rinvio di spese programmate per il biennio 2023-2024 pari a circa 2,4 miliardi di euro, con un conseguente incremento della spesa di 1,2 miliardi nel 2025 e 680 milioni nel 2026, e come la carenza di personale negli uffici di rendicontazione e controllo abbia avuto quale conseguenza un rallentamento nelle verifiche di spesa;
18) la Corte dei conti ha, inoltre, puntato il dito sul mancato regolare aggiornamento dei dati sulla piattaforma Regis da parte di alcune amministrazioni coinvolte anche a causa di frequenti disallineamenti tra dati interni e ufficiali, una circostanza che rappresenta un ulteriore elemento di criticità, soprattutto alla luce della normativa volta a rafforzare le responsabilità nella gestione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza;
19) secondo un'analisi della Fondazione «Openpolis», basata sui dati riportati nell'ultima «Relazione semestrale sullo stato di attuazione del Pnrr al Parlamento» della Corte dei conti, i progetti più ritardatari sul fronte della spesa riguardano: la transizione ecologica, con solo l'8 per cento dei fondi spesi a fronte dell'85 per cento delle riforme attuate, la cultura e il turismo, per cui è stato speso l'11 per cento dei fondi a fronte di riforme completate, e la salute, con una spesa del 14 per cento dei fondi a fronte di tutte le riforme completate. Seguono, nella fallimentare classifica, i progetti per la digitalizzazione, con le riforme completate ma la spesa ferma al 22 per cento, e quelli per istruzione e ricerca, per cui è stato speso il 26 per cento dei fondi a fronte del 94 per cento di riforme completate. A trainare, invece, la classifica sarebbero i progetti destinati alle infrastrutture, per cui è stato speso il 46 per cento dei fondi, e quelli destinati alle imprese, con il 47 per cento;
20) dalla consultazione della banca dati Regis (sistema gestionale unico del Piano nazionale di ripresa e resilienza) emerge che, al 31 dicembre 2024, risultano spesi 62,2 miliardi di euro (appena il 32 per cento delle risorse complessive). Le misure per le quali risulta la maggiore spesa, in termini assoluti, sono il rafforzamento dell'ecobonus per l'efficienza energetica (14 miliardi di euro), il credito d'imposta per i beni strumentali 4.0 (8,8 miliardi di euro), la linea di collegamento ad alta velocità Brescia–Verona–Vicenza–Padova (3 miliardi di euro). La missione 2 («Rivoluzione verde e transizione ecologica») risulta, invece, quella in cui residuano le maggiori risorse da spendere (circa 36 miliardi di euro), nonostante rappresenti uno dei pilastri del progetto Next generation EU e direttrice imprescindibile dello sviluppo futuro;
21) sin dalle prime previsioni ufficiali, si è assistito ad uno slittamento in avanti della pianificazione annuale di spesa, spesso motivato dalla necessità di tempistiche più lunghe per avviare i progetti, rinvio che oggi potrebbe essere considerato come un vero e proprio ritardo nell'utilizzo delle risorse, una preoccupazione, tra l'altro, che sembra essere compatibile con le stime contenute nell'ultimo Piano strutturale di bilancio dove l'impatto annuale del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul prodotto interno lordo registra una percentuale di crescita aggiuntiva per il 2024 di appena 0,1 per cento, rispetto allo 0,9 per cento indicato nel documento di economia e finanza del mese di aprile 2024;
22) i probabili ritardi hanno un'implicazione ovvia, ossia quella di rinviare l'impatto sulla crescita del prodotto interno lordo, poiché, spostando la pianificazione delle risorse, si spostano gli effetti sul prodotto interno lordo. Infatti, le stime di impatto del Piano sui primi anni di implementazione sono state abbassate dal Governo di pari passo con la revisione della distribuzione temporale della spesa per anno, anch'essa sistematicamente spostata in avanti. Finché si è potuto rinviare le spese agli anni futuri, l'impatto finale del Piano nazionale di ripresa e resilienza è rimasto, per una questione puramente automatica, elevato, ragion per cui nel Piano strutturale di bilancio la stima di impatto cumulato al 2026, nell'ipotesi di efficienza alta, è stata rivista leggermente al rialzo (+0,3 per cento) rispetto all'ultimo documento di economia e finanza di aprile 2024, passando dal 3,4 per cento al 3,7 per cento;
23) il suddetto rinvio, a due anni dalla conclusione del Piano, può costituire un problema poiché i punti percentuali di crescita aggiuntiva «spariti» dal 2024 sono stati quasi completamente attribuiti all'ultimo anno, il 2026, tanto che la stima di impatto del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul prodotto interno lordo 2026 è raddoppiata, da 0,8 per cento a 1,6 per cento. Tuttavia, una stima di crescita aggiuntiva così ampia fa sorgere molte perplessità, poiché prendendola alla lettera e immaginando che al 2026 lo scenario senza l'impatto del Piano nazionale di ripresa e resilienza sia allineato con la crescita media annua pre-pandemia (+0,5 per cento), con un calcolo molto approssimativo ci si dovrebbe aspettare una crescita del prodotto interno lordo oltre il 2 per cento, per quanto, come pure riportato in audizione da Banca d'Italia, si tratti di «prospettive circondate da incertezza straordinaria, su cui gravano forti rischi al ribasso»: una stima che confligge con quella dei maggiori previsori nazionali e internazionali che prevedono una crescita nel 2026 intorno all'1 per cento e non paiono, quindi, scontare uno scenario di impatto del Piano così ampio;
24) il ritmo di implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano sembra essere superiore a quello di altri Paesi europei essendo il più importante in termini di risorse totali: 194,4 miliardi di euro, seguito da quello spagnolo (163), polacco (60) e francese (42), una condizione che dovrebbe costituire una sfida notevole perché aumenta la pressione sulla struttura amministrativa per la messa a terra dei progetti;
25) il confronto internazionale restituirebbe il dato che l'Italia si colloca tra i paesi dove il Piano sta procedendo più celermente, in relazione agli accordi stabiliti con la Commissione europea: il 43 per cento dei traguardi e obiettivi sarebbero stati raggiunti, rispetto al 28 per cento medio dei Paesi i cui piani hanno un valore di almeno 5 miliardi di euro; il 64 per cento delle risorse sarebbero già state erogate all'Italia dall'Europa, un valore ben sopra al 48 per cento della media europea, anche se occorre tener presente che, con l'approssimarsi della scadenza del Piano, quei Paesi che hanno ricevuto un importo più limitato di risorse potrebbero rapidamente colmare il vantaggio maturato fino ad oggi dal Piano italiano;
26) sul fronte delle politiche sulla casa volte ad incidere sul problema della tensione e del disagio abitativo, il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina all'edilizia residenziale pubblica e a quella sociale risorse per 2,8 miliardi di euro, rientranti prevalentemente nel Piano innovativo per la qualità dell'abitare (PINQuA), ai quali aggiungere, in parte, la dotazione pari a 2 miliardi di euro del Piano nazionale complementare «Sicuro, verde e sociale». Tali misure, che puntano soprattutto alla riqualificazione e alla manutenzione, più che a un incremento dello stock mediante nuove costruzioni, evidenziano difficoltà realizzative nel caso di molti progetti: quelli rientranti nel Piano innovativo per la qualità dell'abitare, che rappresenta la misura più strettamente connessa alla questione abitativa, per oltre un terzo presentano ritardi rispetto alla relativa programmazione temporale; inoltre, circa l'80 per cento di questi ritardi si concentra nelle fasi precedenti l'avvio dei lavori, denotando una serie di criticità nei procedimenti autorizzativi;
27) riguardo all'efficientamento energetico degli edifici, che rappresenta uno dei principali obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, da realizzare, in particolare, attraverso le risorse per il finanziamento del cosiddetto superbonus 110 per cento, dai dati ancora parziali pubblicati dall'Enea, è possibile stimare che gli obiettivi della misura, in termini di risparmio energetico e di emissioni di anidride carbonica, siano stati ampiamente superati. Tuttavia, un'analisi costi-benefici, fatta sia a livello aggregato che a livello di singola tipologia di intervento incentivato, restituisce un tempo di ritorno dell'investimento del superbonus abbastanza elevato (circa 35 anni), non coerente con l'orizzonte di vita utile degli interventi incentivati;
28) riguardo alle infrastrutture energetiche il Piano nazionale di ripresa e resilienza dedica otto misure volte a sostenerne l'ammodernamento attraverso uno stanziamento pari a 5,5 miliardi di euro, misure delle quali risulta attivata la ripartizione per 53 progetti, che segnano un grado di avvicinamento ai target assegnati pari al 5,7 per cento: un valore ancora molto basso, anche considerata la concentrazione della fase esecutiva dei progetti nel biennio 2025-2026;
29) anche la transizione ecologica ricopre un ruolo importante all'interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che attraverso la missione 2 («Agricoltura sostenibile ed economia circolare; Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; Tutela del territorio e della risorsa idrica») punta alla completa neutralità climatica e allo sviluppo ambientale sostenibile per mitigare le minacce di eventi naturali ed alla quale destina almeno il 37 per cento dei fondi a disposizione, ma dei quali circa il 92 per cento, risultano, a tutt'oggi, già impegnati per il suddetto superbonus 110 per cento;
30) a tre anni dall'avvio del Piano nazionale di ripresa e resilienza e a circa 16 mesi dalla sua scadenza lo stato di attuazione della missione «Salute» (M6) è allarmante, con troppi progetti che procedono a rilento, con ritardi nell'esecuzione dei lavori o ancora fermi alla fase di progettazione. Riguardo alle case della comunità risultano finanziati progetti per 1.416 strutture, per un valore complessivo di 2,8 miliardi di euro. Dei progetti monitorati risultano completati e collaudati solo 25 (1,8 per cento del totale), mentre sono 885 i progetti che presentano un ritardo almeno in uno step (62,6 per cento). A dicembre 2024 risultano effettuati pagamenti per soli 261 milioni di euro (pari al 9,2 per cento), ossia per meno di un decimo dei fondi disponibili. I ritardi maggiori nell'esecuzione dei lavori si registrano in Molise, dove tutti i progetti presentano ritardi nell'inizio lavori, Sardegna (con ritardi nel 93,9 per cento dei progetti), Calabria (86,9 per cento) e Campania (78,4 per cento). Le regioni, invece, che registrano meno ritardi sono il Friuli-Venezia Giulia (4,3 per cento), l'Emilia-Romagna (5,9 per cento) e Veneto (6,4 per cento). Nessun ritardo nei lavori delle strutture della Valle d'Aosta;
31) non meno critica risulta la situazione degli ospedali di comunità, le strutture sanitarie a prevalente gestione infermieristica, fondamentali per garantire le cure intermedie e la continuità assistenziale dopo le dimissioni del paziente. Nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono stati finanziati progetti per 427 strutture, per un valore complessivo di 1,3 miliardi di euro, dei quali ne risultano completati e collaudati solo 10 (2,3 per cento del totale), mentre 264 progetti presentano almeno una fase in ritardo (61,8 per cento);
32) il declino demografico sta interessando molti Paesi sviluppati, tra cui l'Italia; pertanto, il potenziamento dei servizi per l'infanzia, come politica di contrasto alla crisi della natalità, ha assunto una centralità crescente all'interno dell'agenda politica europea e nazionale. A tal proposito anche il Piano per gli asili nido e le scuole dell'infanzia costituisce parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza, avendo individuato nei servizi educativi 0-6 anni una priorità strategica, contribuendo agli obiettivi 4 (istruzione) e 5 (parità di genere) dell'Agenda 2030, oltre che all'obiettivo 7 (energia pulita) tramite la riqualificazione degli edifici ed al quale destina 3,24 miliardi di euro per la realizzazione di 150.480 nuovi posti per il potenziamento dell'offerta delle scuole dell'infanzia e degli asili nido, della cui attuazione sono incaricati i comuni, ma il cui stato di avanzamento dei progetti segnala difficoltà che potrebbero non essere recuperate entro giugno 2026: nessun progetto, infatti, risulta nella fase iniziale di programmazione, mentre 81 progetti (per un valore di 82,6 milioni di euro) del Nuovo piano asili nido sono ancora in fase di progettazione. Circa 2.240 progetti (per 3,1 miliardi di euro) sono in esecuzione, di cui il 92 per cento (2,9 miliardi di euro) in corso di realizzazione. Altri 420 progetti (426,7 milioni di euro) sono nella fase conclusiva, ma solo 88 risultano completati. Infine, per altri 440 progetti (372,5 milioni di euro), tutti relativi al Nuovo piano asili nido, mancano del tutto informazioni aggiornate;
33) anche in base a quanto riportato dall'Ufficio parlamentare di bilancio, particolari ed evidenti disparità tra le varie macro-aree del Paese emergono in maniera più evidente laddove si considerano la quota di progetti già arrivati a conclusione e la capacità di fare bandi e di assegnare gli appalti. La quota di progetti già conclusi è, infatti, bassa dappertutto, anche se nelle regioni del Nord Italia è quasi doppia, evidenziando le maggiori difficoltà che le regioni meridionali incontrano nell'indire le gare e assegnare i lavori. Secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio tali disparità sarebbero attribuibili in parte a storiche difficoltà del Mezzogiorno nella preparazione e nello svolgimento delle gare, soprattutto da parte di stazioni appaltanti di piccole dimensioni, ed in parte all'estrema frammentazione del Piano e all'elevata numerosità di piccoli progetti, i cui soggetti attuatori, di natura privata o mista (scuole, associazioni, imprese, consorzi, singole partite Iva o ragioni sociali ed altri), oltre ad essere dispersi sul territorio, dimostrano una limitata esperienza di gestione delle gare. Se, da un lato, sembrerebbe una chiara scelta pensata per consentire un maggiore coinvolgimento delle comunità territoriali, dall'altro l'Ufficio parlamentare di bilancio individua proprio in questa scelta uno dei motivi dei ritardi accumulati finora, anche in termini di trasmissione dei dati riguardanti l'assegnazione dei lavori e di monitoraggio sul loro avanzamento. Per questo sarebbe necessario intervenire a sostegno dei soggetti attuatori più in difficoltà, anche per evitare che il divario tra Nord e Sud del Paese e tra aree all'interno delle singole regioni si acuisca ancor di più, divario che il Piano nazionale di ripresa e resilienza punta, tra le condizionalità trasversali, a ridurre;
34) tra le misure meno performanti, inoltre, ne spiccano tre per dimensione: la componente C1-«Politiche attive del mercato del lavoro» (M5C1), per la quale era prevista una spesa di 2,6 miliardi di euro entro il 2024, ma al 31 ottobre 2024 ne erano stati spesi soltanto il 7 per cento; la componente C1-«Sostegno al sistema di produzione per la transizione ecologica, le tecnologie a zero emissioni nette e la competitività e la resilienza delle catene di approvvigionamento strategiche:» e M2C1 «Contratti di filiera in agricoltura», per i quali erano previsti circa 2 miliardi di euro di spesa ciascuno, ma per i quali al 31 ottobre 2024 non risultava alcuna spesa effettuata;
35) inoltre, anche per le 126 misure con importo inferiore ai 500 milioni di euro e bassi livelli di spesa sono presenti ritardi di realizzazione: su 13,5 miliardi di euro previsti ne sono stati spesi solo 2,6, cioè appena il 19 per cento;
36) l'Italia, come gli altri Stati membri dell'Unione europea, dovranno individuare entro giugno 2025 i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza che rischiano di non essere completati entro agosto 2026. Tale revisione di medio termine, pilotata dalla Commissione europea, oltre alla modifica dei progetti a rischio, implicherebbe anche la possibilità, come recentemente chiarito dal Vicepresidente esecutivo della Commissione europea con deleghe alla coesione e alle riforme Raffaele Fitto, di aumentare le spese per la competitività, per la produzione industriale nel settore della difesa, per il miglioramento della mobilità militare, per gli alloggi, per la resilienza idrica e per la transizione energetica, attraverso l'eventuale ricorso ai fondi destinati alla politica di coesione, lasciando, pertanto, ciascun Paese membro libero se avvalersene o meno;
37) l'eventuale ricorso da parte del Governo italiano ai fondi europei rischierebbe di trasformarli in una forma di finanziamento diretto e indiretto alle lobby militari e in uno strumento al servizio dell'industria della difesa e della militarizzazione dell'economia europea,
impegna il Governo:
1) a escludere categoricamente la possibilità per l'Italia di dirottare i fondi per le politiche di coesione verso la spesa per la difesa, l'industria bellica e la mobilità militare;
2) ad adottare iniziative di competenza volte a completare entro il 30 giugno 2026, senza la richiesta di ulteriori proroghe e/o rimodulazioni, le opere previste dal Piano, con particolare riferimento a quelle relative alle case e agli ospedali di comunità, agli asili nido, alle residenze universitarie, agli interventi contro il dissesto idrogeologico e alle linee ferroviarie nel Mezzogiorno;
3) ad adottare iniziative di competenza volte a rafforzare la capacità amministrativa, in particolare a livello subnazionale, per realizzare gli impegni del Piano;
4) ad esercitare da parte dei rispettivi Ministeri un maggiore impulso sui soggetti attuatori, esercitando il ruolo di coordinamento, monitoraggio, rendicontazione e controllo, assumendo una maggiore responsabilità attraverso un monitoraggio costante e continuativo dei dati di avanzamento fisico, procedurale e finanziario delle misure di propria competenza, esercitando il costante controllo dell'avanzamento dei relativi obiettivi intermedi e finali, nonché della trasmissione e validazione dei dati finanziari e di realizzazione fisica e procedurale dei singoli progetti;
5) ad affrontare i gravi ritardi riportati in premessa, che stanno caratterizzando e inficiando la piena attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano, attraverso un'attenta analisi e il superamento di tutti quei fattori che, oltre a determinarli, rischiano di compromettere la capacità di spesa delle risorse disponibili e l'efficacia e la tempestività delle misure in esso previste, quali:
a) la complessità burocratico-amministrativa insita nelle procedure documentali per l'approvazione e la gestione dei progetti, nonché la scarsa flessibilità e tempestività nei processi decisionali;
b) la mancanza di coordinamento tra i diversi livelli di governo e le difficoltà nella selezione e nel reclutamento del personale necessario per l'implementazione dei progetti;
c) le difficoltà delle singole amministrazioni nell'attuazione dei progetti e nella loro rendicontazione a causa della mancanza di personale qualificato;
d) la mancanza di una corretta pianificazione e di un sistema di monitoraggio e di valutazione continuo, che richiedano la raccolta e l'analisi di grandi quantità di dati su aree tematiche eterogenee e trasversali, al fine di garantire l'efficacia e l'efficienza del Piano e l'ottenimento dei risultati attesi;
e) le potenziali resistenze e conflitti di interesse tra le diverse istituzioni e gli attori chiave coinvolti nell'attuazione del Piano e che concorrono all'ottenimento delle diverse somme finanziarie messe a disposizione;
f) la mancanza di una piena trasparenza e responsabilità nella gestione delle risorse, nonché di un miglior coordinamento tra i diversi attori coinvolti, al fine di garantire un maggiore controllo civico;
g) la mancanza di una capacità di spesa effettiva;
h) le debolezze strutturali e organiche delle amministrazioni, sia centrali che locali, causate da decenni di mancato reclutamento, sia numerico che qualitativo, che continuano a influire pesantemente sul ritmo di attuazione del Piano;
i) i ritardi nell'implementazione della piattaforma Regis e i disallineamenti contabili tra i sistemi di gestione.
(1-00430) «Ghirra, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».
(8 aprile 2025)