TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 506 di Martedì 8 luglio 2025

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A SALVAGUARDARE IL SISTEMA PRODUTTIVO NAZIONALE IN RELAZIONE ALLA PROSPETTATA APPLICAZIONE DEI DAZI DA PARTE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA

   La Camera,

   premesso che:

    1) il Presidente statunitense, Donald Trump, fin dal suo insediamento, ha più volte paventato l'imposizione di dazi sulle merci europee (ivi incluse quelle italiane), seguendo la stessa politica adottata durante il suo primo mandato, nel quale aveva imposto dazi differenziati per categorie di beni e aliquote, che andavano dal 10 al 25 per cento del prezzo del prodotto;

    2) il 12 marzo 2025 sono entrati in vigore i dazi del 25 per cento sulle importazioni negli Usa di acciaio e alluminio, estesi anche a una serie di prodotti che contengono i due materiali, come racchette da tennis, biciclette, mobili e condizionatori. I dazi su acciaio e alluminio, peraltro, a partire dal 4 giugno 2025 sono stati innalzati al 50 per cento, aggravando le ripercussioni sul settore;

    3) in risposta la Commissione europea ha annunciato dazi su diversi prodotti statunitensi, per un valore complessivo di 26 miliardi di euro annui;

    4) il successivo 27 marzo 2025, il Presidente Trump ha annunciato l'introduzione, dal 2 aprile 2025, di dazi pari al 25 per cento sulle automobili importate negli Usa. Nelle ore subito successive all'annuncio, il Presidente Usa ha dichiarato di essere pronto a introdurre ulteriori dazi nel caso in cui l'Unione europea e il Canada avessero adottato misure coordinate in risposta all'introduzione dei dazi statunitensi;

    5) il 2 aprile 2025 il Presidente Trump ha annunciato un'ulteriore ampia e imponente introduzione di dazi, questa volta nei confronti di più di 100 Paesi, tra cui anche gli Stati membri dell'Unione europea, quindi inclusa l'Italia;

    6) l'Amministrazione Trump ha imposto queste aliquote partendo da un valore del 10 per cento, incrementato in chiave di «reciprocità» in misura diversa verso singoli Stati alla luce dei «dazi» o altre barriere in entrata che, secondo l'Amministrazione americana, sarebbero stati scorrettamente applicati verso i prodotti americani;

    7) nel caso degli Stati membri dell'Unione europea, compresa l'Italia, i dazi americani sono inizialmente entrati in vigore a partire dal 9 aprile 2025 in misura pari al 20 per cento, dando avvio a una guerra commerciale sulla base di presupposti errati e pretestuosi da parte dell'Amministrazione statunitense;

    8) in risposta all'introduzione dei dazi sui prodotti europei, il 3 aprile 2025, la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha annunciato «ulteriori contromisure commerciali» nei confronti dei prodotti Usa: secondo la Commissione europea, i dazi americani comporteranno conseguenze terribili per milioni di persone in tutto il mondo, provocando incertezza per i mercati e per le imprese e danneggiando i cittadini più vulnerabili a causa dell'aumento dell'inflazione. Alla prima apertura dei mercati dopo l'annuncio dell'Amministrazione americana, le borse europee hanno aperto con un profondo ribasso: secondo alcune stime l'Italia rischia una perdita di crescita tra lo 0,3 e lo 0,6 per cento del prodotto intero lordo;

    9) il 9 aprile 2025 il Presidente Trump ha annunciato una sospensione temporanea di 90 giorni sui dazi imposti all'Unione europea e agli Stati membri, annunciando contestualmente l'innalzamento dei dazi verso la Cina sino al 125 per cento, poi incrementati al 145 per cento e, in fine, ridotti al 30 per cento a seguito dei negoziati tra i due Paesi;

    10) risulta peraltro evidente che le scelte del tutto soggettive e imprevedibili sulla sospensione dei dazi da parte di Trump, con annunci e smentite che si sono susseguiti a stretto giro, ha creato delle oscillazioni nei mercati finanziari che hanno consentito operazioni speculative sulla cui legalità vi sono molti dubbi;

    11) nonostante la temporanea sospensione, il Presidente Trump ha peraltro confermato che resteranno in vigore i dazi già previsti per alcuni prodotti come alluminio e acciaio e sulle automobili importate negli Usa pari al 25 per cento, mentre dal 3 maggio 2025 scatteranno ulteriori dazi sulle componenti delle automobili;

    12) in relazione alle mosse di Trump anche l'Unione europea ha deciso di sospendere a propria volta per 90 giorni i controdazi applicati ai prodotti statunitensi per poter negoziare con l'Amministrazione americana che ha ribadito di voler trattare con l'Unione europea come unico blocco;

    13) secondo organi di stampa la Commissione europea sarebbe pronta ad accettare l'imposizione di dazi statunitensi in misura fissa, pari al 10 per cento: ciò dopo la minaccia fatta dal Presidente Trump il 24 maggio 2025 in risposta all'infruttuosità dei negoziati, quando ha prospettato l'applicazione di dazi ai prodotti europei in misura pari al 50 per cento;

    14) sul versante europeo, inoltre, la bilancia commerciale tra Usa e Unione europea (nel suo complesso) oggi vede il Vecchio continente esportare beni per circa 502 miliardi di euro, a fronte di importazioni Usa per un valore di 346,5 miliardi di euro: un saldo decisamente compensato dal settore dei servizi, dove l'Unione europea esporta i medesimi negli Usa per un valore pari a circa 292 miliardi di euro, contro i 396 miliardi importati dall'Unione europea;

    15) a prescindere dalla temporanea sospensione, l'annuncio e l'applicazione della prima tranche di dazi ha provocato una contrazione dei traffici commerciali, alimentando un clima di incertezza a livello globale che rischia di catapultare l'economia in una nuova fase di grave recessione;

    16) il Presidente della Repubblica non ha esitato a definire l'imposizione dei dazi statunitensi «un errore profondo», cui dare «una risposta compatta, serena, determinata» per difendere gli interessi nazionali ed europei con misure risposte adeguate;

    17) l'Associazione europea dell'industria delle auto ha sottolineato, per prima, il grave impatto che i dazi possono avere per il settore, sia in termini di posti di lavoro sia per le prospettive di tenuta di interi comparti collegati alla produzione di automobili. A seguito dell'introduzione dei suddetti dazi i titoli in borsa delle cosiddette big three del settore automobilistico, General motors, Ford e Stellantis, sono diminuiti rispettivamente del 6,6 per cento, 3,1 per cento e del 2,9 per cento, con flessioni che inevitabilmente producono conseguenze sui consumatori europei e sulle imprese;

    18) l'Italia è il tredicesimo partner commerciale degli Usa, con uno scambio commerciale pari a circa 92 miliardi di euro: il valore delle esportazioni italiane negli Usa è pari a 67 miliardi di euro, mentre quello delle importazioni dagli Usa è pari a 24 miliardi di euro, con un saldo positivo pari a 43 miliardi di euro annui;

    19) la filiera italiana dell'automotive (industria e servizi), in Italia, conta 1,28 milioni di lavoratori, con un impatto diretto sull'economia reale (in termini di compensi e salari) pari a 28,8 miliardi di euro, con un fatturato complessivo pari a 346,4 miliardi di euro, pari al 19,4 per cento del prodotto interno lordo nazionale. Si tratta di un settore strategico per il nostro Paese, ora fortemente a rischio per i dazi introdotti dalla nuova Amministrazione statunitense, da cui rischia di derivare per il nostro Paese una perdita netta di 11,1 miliardi di euro annui;

    20) l'Italia è il primo Paese dell'Unione europea per l'export dell'agroalimentare negli Usa: le esportazioni dell'agroalimentare italiano verso gli Usa costituiscono, infatti, una componente fondamentale per la crescita del Paese, rappresentando il 15 per cento delle esportazioni totali e con una crescita pari al 18 per cento nell'ultimo anno e al 158 per cento negli ultimi dieci anni, per un valore di 7,8 miliardi di euro solo nell'anno 2024;

    21) gli Usa sono il terzo Paese (e il primo «non europeo») di destinazione delle merci italiane in assoluto, la cui origine si ha prevalentemente nelle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Piemonte, che da sole producono più di due terzi delle esportazioni complessive: l'applicazione di dazi su beni e servizi italiani da parte degli Usa rappresenta un concreto pericolo per le prospettive di crescita del Paese, nonché per la tenuta di interi settori che già patiscono l'aumento dell'inflazione e dei costi dell'energia;

    22) diverse imprese del made in Italy, infatti, hanno già avanzato serie preoccupazioni dopo l'introduzione di dazi americani sui prodotti di eccellenza italiana come vino, basilico, olio, formaggi e pasta: i dazi del 20 per cento sui nostri prodotti provocheranno, di fatto, conseguenze che ricadranno in modo drammatico sui fatturati delle imprese italiane e sull'occupazione del Paese, fattori che si sommeranno ai costanti dati negativi della produzione italiana;

    23) l'impatto territorialmente concentrato dei dazi rappresenta un rischio concreto per l'intera filiera: solo il settore del vino, che nel 2024 ha portato al sistema Paese 1,2 miliardi di euro grazie alle esportazioni negli Usa, vede il 48 per cento dei bianchi esportati prodotti in Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia e il 71 per cento dei rossi prodotti tra Toscana e Piemonte. A seguito dell'annuncio americano, l'Unione italiana vini (Uiv) ha infatti dichiarato come l'introduzione dei dazi americani rischi di causare per il settore una perdita di 323 milioni di euro di ricavi all'anno, pena l'uscita dal mercato per buona parte delle nostre produzioni;

    24) le ripercussioni economiche derivanti dall'imposizione di dazi nel settore agroalimentare rischiano di essere drammatiche per quelle filiere che dipendono quasi interamente dalle esportazioni, come il pecorino romano denominazione di origine protetta prodotto in Sardegna, il cui export è destinato per circa la metà al mercato statunitense, ma anche per la Toscana, che negli Usa esporta il 33 per cento della propria produzione di vini e il 42 per cento della propria produzione di olio extravergine d'oliva, e il Lazio, che proprio di olio esporta circa il 58 per cento della propria produzione;

    25) la filiera agroalimentare si contraddistingue per la presenza di aziende di grandi dimensioni, così come di micro imprese, e di realtà cooperative che rappresentano veri e propri modelli di sviluppo sostenibile, inclusivo e innovativo, la cui operatività rischia di essere pregiudicata fortemente dall'imposizione di dazi, che, oltre a cagionare gravi perdite economiche, si ripercuotono sulla pianificazione degli investimenti;

    26) in questa prospettiva occorre approntare un piano europeo per la semplificazione e la previsione di misure nazionali ed eurounitarie legate all'internazionalizzazione delle produzioni italiane, ma soprattutto dare avvio da subito ad un'operazione di sburocratizzazione nel nostro Paese e di concreto sostegno alle nostre aziende, anche piccole e medie imprese, per la penetrazione in nuovi mercati che possano compensare la contrazione delle esportazioni verso gli Usa;

    27) secondo le stime di Confindustria, la produzione di macchinari e impianti rischia una perdita di fatturato pari a 12,4 miliardi di euro annui, quella farmaceutica una perdita di 8 miliardi di euro annui, quella chimica di 2,9 miliardi di euro annui e il settore della moda, già fortemente provato da anni di extracosti per via del caro-energia e caro-materiali, una perdita di circa 2,4 miliardi di euro: un colpo ferale per un comparto ritenuto unanimemente un'eccellenza mondiale;

    28) le loro esportazioni italiane verso gli Usa rappresentano circa il 3 per cento del prodotto interno lordo. I settori maggiormente interessati dai dazi sono quello dei macchinari, dei prodotti chimici e dei manufatti finiti, che insieme valgono rispettivamente il 77 per cento e l'82 per cento: il settore dei macchinari e delle attrezzature, in particolare, rappresenta la fetta più consistente delle esportazioni verso il mercato statunitense (circa 24 miliardi di euro, il 38 per cento del totale);

    29) Confindustria ha calcolato che dazi americani al 25 per cento (di poco superiori a quelli effettivi) sui prodotti italiani porteranno ad una riduzione dello 0,4 per cento del prodotto interno lordo nel 2025 e di 0,6 per cento del prodotto interno lordo nel 2026, erodendo di fatto tutta la crescita;

    30) a questi dati preoccupanti si somma il rischio che l'Europa e, quindi, l'Italia diventino mercato privilegiato dei prodotti cinesi o di altri paesi a seguito della politica dei dazi americani che spingerà la Cina ed altri ad aggredire mercati diversi da quello statunitense con prodotti a prezzi molto bassi;

    31) una delle finalità dichiarate da Trump connessa alla politica dei dazi è il trasferimento in Usa di aziende straniere e molte realtà italiane hanno già manifestato tale intenzione per aggirare i dazi, con evidenti ricadute sugli investimenti nel nostro Paese e soprattutto sui livelli occupazionali;

    32) l'aumento dei prezzi legato ai dazi imposti da Trump, l'inflazione, le delocalizzazioni in Usa, la concorrenza dei prodotti cinesi, la perdita di posti di lavoro porteranno ad un impoverimento complessivo delle nostre famiglie, oltre che ad un indebolimento della nostra economia;

    33) l'imposizione di dazi sui prodotti italiani ne aumenta inevitabilmente il prezzo per il consumatore statunitense, penalizzando il produttore che si vedrà sottrarre quote di mercato da aziende che non risentono della medesima sovraimposizione e possono offrire prezzi maggiormente competitivi;

    34) le prospettive di una guerra commerciale con gli Stati Uniti d'America non rappresentano in alcun modo una sorta di «opportunità» e «occasione», come inspiegabilmente prospettato da alcuni esponenti della maggioranza di Governo: a fronte delle crescenti e fondate preoccupazioni delle imprese e dei lavoratori italiani il Governo è chiamato a dare risposte rapide e concrete, mettendo in sicurezza il tessuto economico-produttivo del Paese nel suo complesso;

    35) l'attuale contesto di incertezza impone un'attenta valutazione delle ricadute delle proposte dell'Amministrazione Trump sul piano della totale deregulation degli scambi commerciali a fronte della riduzione o cancellazione dei dazi, ponderando i rischi connessi all'incremento delle vendite dei prodotti cosiddetti «Italian sounding» e i danni per la nostra economia, oltre che dall'impatto dell'ingresso in Europa di nuovi merci, soprattutto laddove queste ultime rispondono a standard qualitativi e di controllo inferiori rispetto a quelli europei, generando effetti negativi su tutte le corrispondenti filiere del mercato interno e con riguardo, ad esempio, al settore agroalimentare, anche un maggior rischio per la salute dei cittadini;

    36) di fronte a fenomeni globali, come, appunto, il rischio di una possibile guerra commerciale, l'ipotesi di adottare un approccio bilaterale tra Italia e Usa, al di fuori del dialogo con l'Unione europea e gli altri Stati membri, non solo sconfessa i valori europeisti che hanno portato il nostro Paese a fondare l'Unione europea, ma colloca l'Italia al di fuori di ogni prospettiva futura di integrazione. Porsi al di fuori – o persino contrastare – una strategia coordinata e concordata a livello europeo, nella speranza di ottenere un qualche vantaggio esclusivo di brevissimo periodo, rischia di esporre le nostre imprese a ulteriori incertezze, posto che i nostri principali partner commerciali si trovano sul territorio europeo;

    37) in vista delle prossime trattative tra l'Unione europea e gli Usa in materia di dazi e politiche commerciali, risulta fondamentale che l'Unione europea sia compatta, solida e autorevole: pertanto è necessario che la stessa Unione europea inizi a interloquire con gli Usa tramite una «voce» unitaria, rappresentata da una voce autorevole, credibile e forte della sua competenza come Mario Draghi. Un approccio frammentato, con iniziative diplomatiche unilaterali da parte degli Stati membri, risulterebbe estremamente controproducente per gli interessi europei: la nomina di Mario Draghi come inviato speciale per l'Unione europea nelle trattative con gli Usa risulterebbe la giusta soluzione affinché l'Unione europea possa risultare un soggetto ascoltato e autorevole in uno dei dossier più complicato in politica estera, come, appunto, quello dei dazi introdotti dagli Usa;

    38) va scongiurato il pericolo concreto che le imprese italiane, nel medio-lungo periodo, possano ricorrere a forme di delocalizzazione volte ad aggirare i dazi, in ossequio a una strategia che impoverisce il Paese e le famiglie, giacché delocalizzare significa licenziare i lavoratori e pregiudicare l'indotto e le filiere di riferimento;

    39) al fine di mitigare gli effetti negativi dei dazi sul sistema economico e scongiurare la delocalizzazione delle imprese, occorre elaborare senza indugio un piano industriale volto a rilanciare la produzione italiana a livello nazionale e mondiale, rafforzando le forme di incentivazione alla competitività, come «Industria 5.0», ma anche realizzando interventi di semplificazione normativa e amministrativa volti ad alleggerire gli oneri burocratici (e i relativi costi) patiti dalle imprese;

    40) è necessario attivare un quadro normativo europeo che consenta, in linea con l'esperienza maturata nell'ambito del temporary framework durante la pandemia, di sospendere il divieto di aiuti di Stato, nonché favorire il rientro del capitale umano italiano che nel corso degli anni, soprattutto per mancanza di competitività e prospettive, è espatriato all'estero;

    41) è altresì fondamentale che il Governo riconosca la centralità di una risposta condivisa a livello europeo che porti all'elaborazione di una strategia comune europea in risposta ai dazi introdotti dalla nuova Amministrazione statunitense, elaborando misure coordinate e concrete che forniscano risposte concrete e certezze ai comparti interessati, oltre che misure volte a garantire liquidità alle imprese nel breve periodo e a sostenerne l'operatività nel medio-lungo periodo anche attraverso interventi volti a ridurre i costi di produzione, in primis sul versante energetico;

    42) è indispensabile promuovere la centralità di un'azione europea condivisa, per tutelare l'economia europea e nazionale, nonché i lavoratori e le imprese, salvaguardando i settori interessati dai nuovi dazi statunitensi;

    43) il Presidente Trump, peraltro, periodicamente annuncia l'ipotesi di nuovi dazi su singoli mercati a prodotti (dai chip al farmaceutico) che generano un diffuso senso di incertezza negli operatori e quindi di stallo negli investimenti;

    44) alla situazione di incertezza e di rallentamento dei traffici commerciali generata dalla politica dei dazi introdotta dal Presidente Trump si somma, inoltre, l'instabilità derivante dai diversi conflitti aperti; in particolare, il recente attacco da parte di Israele ad alcuni obiettivi militari e industriali iraniani e il supporto militare diretto degli Stati Uniti d'America, nonché la reazione iraniana avranno ricadute anche sulle relazioni commerciali e sulla circolazione delle merci e si ripercuoteranno inevitabilmente anche sui prezzi di alcuni prodotti e materie prime, in particolare laddove venisse chiuso lo Stretto di Hormuz;

    45) salvo ulteriori iniziative, l'entrata in vigore degli ulteriori dazi annunciati dal Presidente Trump e temporaneamente sospesi è ormai imminente,

impegna il Governo:

1) a riconoscere la centralità di una risposta condivisa a livello europeo che porti all'elaborazione di una strategia comune europea in risposta ai dazi statunitensi, abbandonando qualsivoglia iniziativa che rischi di rendere ancora più incerte e difficili le prospettive per le imprese nazionali, anche in rapporto ai partner europei;

2) a non ostacolare le iniziative europee elaborate nell'ambito delle istituzioni dell'Unione europea e volte a riequilibrare i rapporti commerciali con gli Usa, al fine di scongiurare uno scenario di incertezza che si presta a discriminazione tra Stati e settori commerciali, oltre che a ulteriori ritorsioni sul piano economico;

3) a richiedere, in sede europea, la nomina di Mario Draghi come inviato per l'Unione europea in vista del possibile negoziato con gli Usa in materia di politiche commerciali, al fine di consentire alla stessa Unione europea di interloquire con il Presidente Trump tramite una «voce» unitaria, credibile e autorevole;

4) a promuovere ogni iniziativa utile, in sede europea, volta a calmierare i costi dell'energia e a rivedere la normativa Emission trading system sull'anidride carbonica e il decoupling del prezzo del gas e dell'energia elettrica per contrastare l'aumento delle tariffe, oltre che a rivedere la normativa eurounitaria di riferimento in un'ottica di semplificazione per le imprese;

5) ad adottare iniziative tese ad attivare in ambito nazionale strumenti volti a ridurre e stabilizzare il costo dell'energia per le imprese, incrementando il mix delle fonti energetiche anche in un'ottica di elaborazione di una strategia di politica industriale di medio-lungo periodo;

6) a sollecitare in sede europea la sospensione del divieto di aiuti di Stato al fine di predisporre ogni intervento utile per sostenere le imprese italiane, ivi compresa l'attivazione di un fondo nazionale per l'accesso a finanziamenti agevolati e con ampi piani di rimborso, sì da favorire la liquidità e gli investimenti per i comparti maggiormente colpiti dai dazi;

7) ad adottare ogni iniziativa utile volta a compensare economicamente e a salvaguardare le imprese e i settori interessati, nonché il tessuto economico-produttivo del Paese nel suo complesso e il potere di acquisto delle famiglie rispetto all'imposizione di dazi sulle merci italiane;

8) a predisporre un piano di interventi di sostegno economico e supporto all'internazionalizzazione per i settori maggiormente colpiti dai dazi statunitensi, in particolare elaborando, per il comparto agroalimentare, interventi di semplificazione (come la riduzione al 50 per cento degli obblighi di rendicontazione degli incentivi dell'organizzazione comune del mercato vitivinicolo concessi alle imprese impegnate sul mercato statunitense) e soluzioni di lungo periodo che possano garantire flussi di mercato a condizioni eque e non discriminatorie, nonché misure immediate volte a sostenere, anche in termini di liquidità, le imprese già colpite dal calo degli ordini dovuto alle forti incertezze ingenerate sul piano del commercio internazionale;

9) ad adottare iniziative di competenza volte ad elaborare, con il pieno coinvolgimento delle Camere e in particolare delle opposizioni, un piano industriale volto a rilanciare la competitività del sistema produttivo nazionale, anche attraverso la revisione di «Industria 5.0» e la rivisitazione delle misure di incentivazione vigenti coerentemente con le modalità di fruizione introdotte dal Governo Renzi con «Industria 4.0», nonché a rafforzare e semplificare i contratti di sviluppo e sbloccare i progetti già approvati;

10) a favorire l'internazionalizzazione dei settori colpiti dai dazi statunitensi per rafforzare l'export verso gli altri Paesi del continente americano, dell'India e dei Paesi arabi, promuovendo, altresì, la ratifica degli accordi economici e commerciali tra l'Unione europea e il Canada (Ceta) e con l'America latina (Mercosur);

11) a salvaguardare nell'ambito delle trattative il principio di reciprocità su qualità e controlli per evitare, con particolare riguardo al settore agroalimentare, che l'ingresso in Europa di nuovi merci con standard qualitativi e di controllo inferiori generino effetti negativi su tutte le corrispondenti filiere;

12) ad adottare iniziative volte ad incrementare la capacità di spesa delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, al fine di compensare, sia pure parzialmente, la contrazione dell'export delle imprese italiane col pieno sfruttamento delle risorse ottenute;

13) a predisporre ogni iniziativa di competenza utile a scongiurare qualsiasi forma di delocalizzazione delle imprese al fine di salvaguardare il sistema-Paese, l'occupazione e le famiglie, oltre che il futuro della nazione;

14) ad adottare le iniziative anche di carattere normativo necessarie a diminuire gli oneri burocratici a carico delle imprese, nonché a semplificare e accelerare le procedure di realizzazione degli investimenti pubblici e privati al fine di rimuovere ostacoli di natura procedimentale alla crescita del Paese;

15) a richiedere misure urgenti, in sede europea, che vadano a tutelare un asset decisivo per il nostro Paese come quello dell'automotive, colpito dai dazi introdotti dall'Amministrazione Trump, anche attraverso la creazione di un campione europeo volto a garantire maggiore competitività al comparto e l'occupazione.
(1-00434) (Nuova formulazione) «Boschi, Gadda, Bonifazi, Del Barba, Faraone, Giachetti, Gruppioni».

(22 aprile 2025)

   La Camera,

   premesso che:

    1) l'attuale situazione economica globale e la grande incertezza legata alle misure protezionistiche degli Usa, rischiano di peggiorare ulteriormente i dati già estremamente preoccupanti della produzione industriale nazionale: sebbene i rilievi Istat di aprile fotografino una lieve ripresa rispetto al recente passato (l'indice destagionalizzato è cresciuto dell'1 per cento rispetto al mese di marzo), spostano comunque solo marginalmente la performance del 2025 che nei primi 4 mesi dell'anno ha segnato un decremento del -1,2 per cento dell'indice sull'industria rispetto allo stesso periodo del 2024, con i beni di consumo che nel periodo scendono del -0,6 per cento, con grave pregiudizio per l'economia italiana;

    2) d'altra parte, la risposta dell'Unione europea alla guerra commerciale dell'amministrazione Trump è stata finora inadeguata e del tutto insufficiente in termini di risposte concrete al mondo imprenditoriale per colmare il divario di competitività di cui soffrono le imprese: mentre continuano le discussioni tecniche e politiche tra la presidente Ursula Von der Leyen e le controparti statunitensi, l'inadeguatezza della risposta europea ai dazi statunitensi rischia di avere ripercussioni negative su consumatori ed imprese;

    3) in un siffatto contesto, già segnato da un generale incremento dei prezzi di beni e servizi essenziali, i nuovi e più elevati dazi americani sulle importazioni rallenterebbero ulteriormente l'attività produttiva che, secondo un'analisi di Confartigianato, potrebbe subire un calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti di oltre 11 miliardi di euro, con una perdita di 33 mila occupati nel settore manifatturiero. Più di un terzo dell'impatto occupazionale riguarderebbe le micro e le piccole imprese, con 13 mila posti di lavoro a rischio;

    4) le stime complessive sull'impatto economico per l'Italia oscillano tra i 4 e i 7 miliardi di euro, con una significativa contrazione delle esportazioni ed effetti misurabili in termini di Prodotto interno lordo, occupazione e potere di acquisto delle famiglie italiane. Inoltre, eventuali nuove tensioni in termini di incertezza sulle politiche a livello globale potrebbero risultare amplificate in Italia dall'elevato debito pubblico;

    5) secondo Svimez, l'elevata esposizione ai dazi americani del nostro Paese riguarda, in particolare, i settori della moda, dell'industria automobilistica e dell'agroalimentare. Rilevante anche il valore dei mezzi di trasporto prodotti in Italia per il mercato statunitense, dove l'export supera i 10 miliardi di euro: 5,7 per l'automotive e il 5,8 per i restanti comparti (aerospazio, nautica, ferroviario). Compresi tra i 4 e i 5 miliardi il valore dell'export del settore moda, mobilio, elettronica/informatica; tra i 2-3 miliardi l'export di chimica ed energetici;

    6) sebbene Liguria, Campania, Molise e Basilicata identifichino gli Stati Uniti come principale mercato di sbocco, in termini di volumi assoluti di vendite oltreoceano spiccano Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana (dati Istat 2023). La Cgia di Mestre segnala come le regioni meridionali, in particolare Sardegna, Molise e Sicilia, risulterebbero le più esposte al rischio a causa di una minore diversificazione del loro export, con la potenziale conseguenza di esacerbare le preesistenti difficoltà economiche e sociali di tali aree;

    7) con particolare riguardo all'industria automobilistica – già alle prese con un rallentamento generalizzato della spesa al consumo, con margini di profitto esigui e con l'intensa concorrenza cinese nel settore dei veicoli elettrici – i rischi maggiori potrebbero risiedere in potenziali cali degli investimenti, una profonda interruzione della catena di approvvigionamento e un significativo aumento dei costi di produzione, con effetti negativi a cascata lungo tutta la filiera di un settore che, solo in Italia, esporta negli Usa veicoli per 3,4 miliardi di euro, componenti per 1,3 miliardi di euro e impiega 270.000 occupati, con perdite stimate di posti di lavoro fino al 5,7 per cento. Si consideri che solo per le Pmi e gli stabilimenti legati all'export del settore auto, le nuove tariffe mettono a rischio circa 9.700-15.500 lavoratori. Tra i segmenti più colpiti c'è quello dei subfornitori, che potrebbe perdere tra 7.000 e 10.000 posti mentre sistemisti e modulisti potrebbero subire una riduzione tra 1.500 e 3.000 posti di lavoro;

    8) con riferimento alla filiera del tessile e del lusso made in Italy, a preoccupare le imprese del settore, secondo il presidente di Confindustria moda, non solo vi sono gli impatti diretti in termini di mancati ricavi ma anche quelli indiretti sulle fasi produttive e distributive, a partire dall'approvvigionamento delle materie prime e nella confezione dei capi che costringeranno inevitabilmente a ridisegnare la filiera rivedendo le politiche di pricing e le strategie di approvvigionamento. Secondo i dati diffusi da Confindustria moda, l'interscambio di tessile-abbigliamento dall'Italia agli Stati Uniti da gennaio a dicembre 2024 è stato pari a 2,8 miliardi di euro, in flessione dello 0,7 per cento rispetto al 2023. In tale periodo, nel ranking delle top-destination delle esportazioni l'America è risultata essere il terzo mercato di sbocco con un'incidenza del 7,4 per cento sul totale del tessile-abbigliamento esportato con una predominanza del comparto dell'abbigliamento con 2,3 miliardi di euro;

    9) ai predetti comparti, si aggiunge anche quello della cosmetica – che coinvolge ben 400.000 addetti lungo tutta la filiera, delle materie prime fino alla distribuzione – per il quale il mercato statunitense risulta il principale partner commerciale, con un valore di oltre 1,1 miliardi di euro – pari a circa il 13 per cento dell'export totale di beauty made in Italy, consolidandosi come uno dei principali motori dell'economia nazionale, con una crescita del 9,1 per cento rispetto al 2023;

    10) per quanto concerne poi l'agroalimentare, nel 2024 l'export italiano ha segnato un altro record, attestandosi tra i 67 e i 70 miliardi di euro (+6,5-8 per cento sul 2023). La performance vale l'11 per cento circa del totale delle esportazioni italiane. I prodotti più esportati sono vino con oltre 8 miliardi (+5,5 per cento nel 2024); pasta e prodotti da forno per 7,7 miliardi (+8,6 per cento); olio d'oliva con oltre 2 miliardi (+56 per cento); cioccolato per 3,4 miliardi (+17,8 per cento); formaggi e latticini per 4 miliardi;

    11) a generare il maggior valore aggiunto nel primario è la cosiddetta Dop economy. Nel 2024, questa ha raggiunto un valore alla produzione di 20,2 miliardi di euro, il 19 per cento circa del fatturato complessivo dell'agri-food (dati Qualivita). In particolare: il cibo Dop e Igp ha superato i 9 miliardi di valore (+3,5 per cento sul 2023), i vini Dop e Igp hanno raggiunto gli 11 miliardi (-2,3 per cento in valore e +0,7 per cento in volume); l'export complessivo delle IG vale 11,6 miliardi (+5,3 per cento nell'Unione europea e -4,6 per cento nei paesi extra Unione europea). Gli Usa sono il primo mercato, attraggono il 21 per cento dell'export delle Dop e Igp;

    12) nell'eventualità di applicazione di dazi pari al 20 per cento, sempre secondo le proiezioni elaborate da Svimez, l'agroalimentare potrebbe subire una flessione compresa tra il 13,5 per cento e il 16,4 per cento. Particolarmente preoccupante è la stima fornita da Coldiretti, che quantifica in 6 milioni di euro al giorno i potenziali costi per il solo comparto vinicolo italiano;

    13) gli Stati Uniti, infatti, sono il primo mercato di destinazione per i vini italiani, tanto che nel 2024 ha raggiunto i 2 miliardi di euro, assorbendo oltre 3,5 milioni di ettolitri di vino; ma, più in generale, è fondamentale considerare che nel 2024, l'export agroalimentare italiano negli Stati Uniti ha toccato una cifra pari a 7,8 miliardi di euro e, come rilevato dalle associazioni di categoria, una tassazione del 20 per cento sulle esportazioni potrebbe costare ai consumatori fino a 2 miliardi di euro in più;

    14) oltre al vino, risultano impattati negativamente i settori di eccellenza dell'olio extravergine di oliva e dei formaggi che costituiscono un'importante fetta della domanda di beni alimentari italiani oltreoceano, basti pensare che il primo mercato estero per il Parmigiano Reggiano è proprio quello statunitense, ma non solo, per la mozzarella di bufala il mercato americano vale tra il 4 e il 7 per cento dell'export totale;

    15) i possibili effetti avversi di una simile presa di posizione si sostanzierebbero non solo in un drastico calo degli acquisti da parte dei consumatori americani, ma anche in una dilagante diffusione delle imitazioni e del fenomeno dell'italian sounding – il cui giro d'affari ammonta a 8,6 miliardi di euro e che si stima possa aumentare di ulteriori 1,1 miliardi di euro per l'effetto dazi – arrecando un gravissimo danno alle imprese italiane e agli stessi consumatori;

    16) in tema di imitazioni, è importante ricordare che sugli scaffali dei supermercati giapponesi e brasiliani più di 7 prodotti agroalimentari su 10 evocano il made in Italy, ma solo 3 su 10 provengono davvero dall'Italia. Come emerge dall'analisi di Teha per l'incontro finale della Community Food&Beverage a Bormio, in Germania, Regno Unito e Stati Uniti, l'italian sounding rappresenta tra il 60 e il 67 per cento dei prodotti tipici italiani. Viaggiano poco sopra il 50 per cento nei Paesi Bassi, in Cina e in Australia, mentre sono poco sotto il 50 per cento le imitazioni dei prodotti italiani venduti nei supermercati di Canada e Francia;

    17) infine, con riferimento all'export dei prodotti agroalimentari, dal forum Food&Beverage organizzato da Teha a Bormio, è emerso che oltre 6 miliardi di euro dei 7,8 miliardi totali di cibi e bevande italiani esportati negli Stati Uniti sono prodotti senza alternative dirette sul mercato locale e che i dazi potrebbero portare a una potenziale perdita di 1,3 miliardi di euro nelle esportazioni alimentari italiane;

    18) anche la catena distributiva subirebbe effetti nefasti, con riverberi negativi riguardanti l'interruzione delle relazioni con le piattaforme europee e la compromissione della solidità dei rapporti con i buyer statunitensi, costretti a ricercare mercati alternativi, più convenienti sotto il profilo economico;

    19) in diverse circostanze sia alcuni Ministri sia il Presidente del Consiglio hanno rilasciato dichiarazioni dalle quali emerge una grave sottovalutazione di un problema che colpisce una parte importante e preziosa della nostra economia;

    20) la fase emergenziale in cui si trova il nostro Paese è emersa chiaramente anche nelle comunicazioni afferenti al Pacchetto di primavera del Semestre europeo di recente pubblicazione, in cui la Commissione europea ha certificato come gli elevati prezzi dell'energia in Italia indeboliscono e riducono la competitività industriale, proprio a svantaggio delle piccole e medie imprese;

    21) d'altra parte, la nuova strategia industriale dell'Unione europea delineata nella «Bussola per la competitività» delinea un quadro in cui la competitività europea è ancora ostaggio di problemi strutturali che costringono le imprese in un contesto globale volatile caratterizzato da concorrenza sleale, catene di approvvigionamento fragili, costi dell'energia in aumento, carenza di manodopera e di competenze e accesso limitato ai capitali;

    22) preoccupa, in particolare, l'accento posto dalla Commissione europea sull'esigenza di rafforzare l'industria della difesa europea, così come l'auspicio di destinare sempre maggiori fondi europei allo sviluppo di questo settore per allentare la dipendenza da fornitori stranieri, Stati Uniti inclusi, con il rischio di un adeguamento dell'agenda di sostenibilità all'industria e non più viceversa e lasciando presagire un preoccupante piano di rilancio dell'economia e della competitività europea basato esclusivamente sul riarmo,

impegna il Governo:

1) a porre in essere, al fine della tutela del mercato unico e dell'economia europea, tutte le necessarie, tempestive iniziative di competenza, affinché l'Unione dia una risposta efficace e proporzionata all'apposizione di dazi da parte degli Stati Uniti, anche attraverso:

   a) l'adozione di strumenti e misure non tariffarie previsti dallo strumento anti-coercizione volto a rispondere alle aggressioni economiche e alle pratiche commerciali sleali compiute da potenze extra-europee;

   b) il completamento di un mercato unico dei capitali quale strumento strategico per attrarre i flussi di capitali in fuga dal mercato americano da reimpiegare per il sostegno agli investimenti delle imprese europee, con particolare riguardo alla transizione energetica;

2) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare l'apertura dell'Italia a nuovi mercati in direzione di una maggiore diversificazione degli scambi commerciali;

3) a farsi promotore e a sostenere le opportune iniziative in ambito unionale tese alla costituzione di un energy recovery fund per favorire gli interventi di riduzione dei consumi di energia, d'efficienza energetica, di produzione di energia da fonti rinnovabili, di impiego delle tecnologie per l'accumulo e lo sviluppo della relativa filiera produttiva tecnologica, da considerare predominanti e con vantaggi maggiori su scala temporale, per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 e 2050 e la riduzione dei costi energetici, nonché a sollecitare il disaccoppiamento dei prezzi del gas da quelli dell'energia elettrica al fine di offrire prezzi maggiormente competitivi per famiglie e imprese;

4) a farsi promotore e a sostenere le opportune iniziative, anche normative, volte all'istituzione di un Fondo europeo per il sostegno al settore dell'automotive e per la competitività della relativa industria europea – con un modello di finanziamento basato sull'emissione di debito comune da parte dell'Unione, ispirato al fondo Sure – quale misura strategica e temporanea finalizzata a compensare, inter alia, l'impatto negativo dei dazi sulla filiera nonché salvaguardare l'intero comparto e i livelli occupazionali, ancor più considerato che, nell'attuale scenario geopolitico, il sostegno e la redditività del settore automobilistico costituiscono condizioni determinanti per garantire certezza di investimento da parte delle imprese, rilanciare il loro posizionamento internazionale nonché per sostenere la domanda di veicoli;

5) ad adottare idonee iniziative volte a ridurre progressivamente le importazioni italiane di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti d'America al fine di assicurare investimenti in nuova capacità di energia rinnovabile e, al contempo, rafforzare l'indipendenza energetica nazionale e la sua coerenza con gli obiettivi geopolitici e climatici;

6) nell'ambito della strategia per far fronte ai dazi, a scongiurare comunque qualsiasi iniziativa, sia a livello nazionale sia europeo, volta alla possibilità di riconvertire l'industria dell'automotive verso una produzione industriale incentrata sugli armamenti;

7) a definire, di concerto con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le parti sociali, le istituzioni interessate e i sindacati, un serio e lungimirante piano industriale nazionale per una «transizione giusta» e una maggiore competitività del settore automobilistico attraverso misure di sostegno alla continuità occupazionale e produttiva del comparto e dei lavoratori, ivi incluso quello della componentistica, e la programmazione di adeguati interventi di incentivazione pluriennale indirizzati alle imprese del settore che non trasferiscono e delocalizzano la produzione industriale e volti, nel medio e lungo periodo, allo sviluppo di veicoli a guida autonoma e nuove piattaforme produttive di modelli elettrici cosiddetti small e di nuovi modelli capaci di favorire la penetrazione in mercati alternativi e compensare la contrazione delle esportazioni verso gli Stati Uniti d'America;

8) ad adottare le opportune iniziative affinché siano garantite tutte le risorse necessarie per la realizzazione, in tempi certi, del progetto della gigafactory di Termoli, la cui realizzazione non è solo essenziale per il mantenimento dei livelli occupazionali, della competitività e dello sviluppo dello stabilimento medesimo ma, altresì, cruciale per la creazione di una filiera industriale delle batterie per veicoli elettrici il più possibile indipendente dal dominio asiatico e tanto più rilevante nel quadro delle strategie per far fronte alle conseguenze dei dazi;

9) ad adottare, nell'ambito della nuova iniziativa di rimodulazione del Pnrr ancora al vaglio della Commissione europea, urgenti iniziative volte ad accelerare la riallocazione delle risorse non impegnate a valere sul piano Transizione 5.0 affinché siano rese disponibili, in via immediata e senza ulteriori difficoltà, per il rifinanziamento del piano Transizione 4.0 al fine di scongiurare la frenata degli investimenti, di accelerare la transizione nonché di stabilizzare i segnali di crescita dell'economia sostenendo gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione, formazione del personale, a partire dal potenziamento della ricerca di base e applicata, preservando in ogni caso, con particolare riferimento agli investimenti finalizzati alla transizione ecologica ed energetica, il pieno automatismo degli incentivi e la più ampia diffusione tra le imprese;

10) ad adottare iniziative volte ad istituire un apposito fondo nazionale per la compensazione economica delle perdite subite dalle imprese e dai settori maggiormente colpiti dai dazi americani e per il sostegno alla diversificazione dei mercati di riferimento, anche attraverso incentivi fiscali, contributi a fondo perduto o linee di credito agevolate per la realizzazione di soluzioni e-commerce, nonché ad adottare iniziative di carattere normativo volte a ripristinare, anche al fine di sostenere la crescita economica e la patrimonializzazione delle imprese, l'Aiuto alla crescita economica (Ace) con agevolazione al 15 per cento e a riformare l'agevolazione fiscale alle operazioni di aggregazione aziendale (il cosiddetto bonus aggregazioni) per favorire le reti di impresa ed i processi di aggregazione, in particolare nelle filiere proiettate sui mercati esteri;

11) nell'ambito dell'individuazione, tra i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, dei 14 miliardi di euro da destinare a interventi di contrasto ai dazi americani, ad escludere che tale eventuale rimodulazione dei fondi abbia un impatto negativo in termini di definanziamento delle misure per gli investimenti nelle regioni del Mezzogiorno, cosicché sia assicurato il pieno rispetto della priorità trasversale della coesione sociale e sia assicurato, nell'ottica dell'obiettivo della coesione, che il Sud possa beneficiare in via effettiva delle risorse di cui è destinatario;

12) a sostenere altresì, con l'urgenza richiesta dal caso, le necessarie iniziative affinché vengano assunte in sede unionale misure concrete e coordinate tra gli Stati membri a sostegno delle famiglie per contrastare l'aumento generalizzato del costo della vita e il conseguente ulteriore indebolimento del potere d'acquisto di queste ultime;

13) a valutare, in maniera particolare, le conseguenze dei dazi sul settore agroalimentare italiano e soprattutto sulle più importanti eccellenze del made in Italy, non sottovalutando la portata di questa «tassa» ma al contrario cercando la strada migliore, mediante le necessarie iniziative di competenza, per garantire concreto sostegno ai comparti, anche attraverso l'istituzione di fondi dedicati, che possano sostenere le aziende colpite dai dazi americani prevedendo, anche sulla scia di quanto fatto da altri paesi europei linee di garanzia, prestiti industriali, fondi per riorientare le capacità produttive e sostegno all'internazionalizzazione;

14) a porre in essere iniziative di competenza volte a scongiurare i rischi di imitazione e contraffazione dei prodotti ai quali l'introduzione dei dazi potrebbe esporre maggiormente il settore agroalimentare attraverso, in particolare, politiche di più ampio respiro nell'ambito della diplomazia commerciale e gli accordi internazionali finalizzate a vietare con rigore l'italian sounding e promuovere il riconoscimento dei prodotti Dop e Igp, la promozione di campagne o iniziative per la sensibilizzazione dei consumatori, affinché siano in grado di riconoscere subito un prodotto autentico da uno contraffatto, la promozione dell'innovazione tecnologica, specie per l'individuazione di un sistema di etichettatura e tracciabilità adeguato.
(1-00463) «Pavanelli, Caramiello, Scerra, Appendino, Cappelletti, Ferrara, Sergio Costa, Cherchi, Bruno, Cantone».

(23 giugno 2025)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il commercio internazionale rappresenta un pilastro fondamentale dell'economia globale, in grado di alimentare crescita, innovazione, cooperazione tra Stati e benessere diffuso. I meccanismi multilaterali, costruiti attorno al sistema dell'Organizzazione mondiale del commercio, hanno garantito un progressivo abbattimento delle barriere tariffarie e una relativa armonizzazione normativa, consentendo alle imprese, in particolare piccole e medie, di accedere a mercati lontani, diversificare il rischio e incrementare la propria competitività;

    2) in tale contesto, l'Italia ha saputo ritagliarsi un ruolo strategico, diventando la seconda potenza manifatturiera d'Europa e una delle prime esportatrici mondiali, con un saldo commerciale strutturalmente positivo. Tuttavia, negli ultimi anni, si sta assistendo a un'inversione di tendenza: tensioni geopolitiche, crisi energetiche, pandemie e il ritorno del protezionismo hanno minato la stabilità e l'affidabilità delle catene globali del valore. Questo scenario ha comportato, anche da parte degli Stati Uniti, l'adozione di misure restrittive su beni strategici, che stanno progressivamente ridisegnando le relazioni economiche internazionali;

    3) gli Stati Uniti rappresentano, per l'Italia, uno dei principali partner commerciali extraeuropei. Secondo i dati Istat e Ice, nel 2023 il valore dell'export italiano verso gli Usa ha raggiunto circa 65 miliardi di euro, mentre l'import è stato pari a circa 20 miliardi. I settori trainanti comprendono la meccanica strumentale, l'agroalimentare di alta gamma (vino, formaggi, olio d'oliva), la moda e il comparto dell'arredo e del design. Questo rapporto commerciale consolidato è reso ancora più rilevante dalla complementarietà delle economie e dalla presenza di numerose aziende italiane operanti direttamente nel mercato statunitense attraverso filiali, joint-venture e reti distributive. Tuttavia, le scelte protezionistiche dell'Amministrazione statunitense stanno mettendo a rischio questa relazione;

    4) in particolare, l'imposizione da parte statunitense di dazi del 25 per cento su acciaio e alluminio europei, con il pretesto della sicurezza nazionale, ha aperto una fase di tensioni tariffarie con l'Unione europea. L'Italia, in quanto grande esportatore di beni trasformati e intermedi, ha subito un contraccolpo rilevante sia diretto – con la contrazione dell'export in determinati comparti – sia indiretto, per effetto dell'incertezza normativa, del rallentamento delle catene logistiche e della riallocazione degli ordini da parte di operatori americani verso mercati più competitivi o meno penalizzati dai dazi. A queste misure si aggiungono quelle introdotte nel settore agroalimentare, in cui prodotti italiani di eccellenza – come formaggi Dop, prosciutti, vini e liquori – sono stati sottoposti a tariffe addizionali, in un contesto che penalizza proprio le piccole e medie imprese esportatrici;

    5) alle misure tariffarie si è aggiunta l'adozione, da parte degli Stati Uniti, del cosiddetto Inflation reduction Act (Ira), un pacchetto di incentivi da 370 miliardi di dollari destinato principalmente a sostenere la transizione energetica e a favorire la produzione domestica di componenti e tecnologie verdi, tra cui batterie, veicoli elettrici, semiconduttori e impianti rinnovabili. L'Inflation reduction Act prevede esplicitamente criteri di localizzazione produttiva che escludono le imprese europee – in particolare quelle operanti nei settori delle energie rinnovabili e dei veicoli elettrici, se non presenti fisicamente sul territorio statunitense, creando una distorsione della concorrenza e un disincentivo all'importazione di beni europei ad alto contenuto tecnologico. L'insieme di tali politiche rischia di innescare una spirale di ritorsioni commerciali, riducendo la cooperazione transatlantica e ostacolando gli sforzi di convergenza normativa in settori strategici;

    6) oltre a misure di incentivazione interna come l'Inflation reduction Act i Paesi extraeuropei si dotano sempre più spesso di strumenti volti a sostenere le imprese nazionali, anche nei mercati esteri. D'altra parte, invece, l'Unione Europa è vincolata ad operare entro i vincoli tracciati dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quale limita la possibilità per gli Stati membri di fornire aiuti di Stato, in particolare ad imprese esportatrici o che operano in settori esposti alla concorrenza internazionale. Soprattutto in contesti di particolare incertezza e instabilità, ciò incide negativamente sulla competitività delle filiere produttive europee, avendo come diretta conseguenza un forte indebolimento della capacità di risposta alle distorsioni derivanti dalle misure protezionistiche dei Paesi terzi;

    7) per il sistema economico italiano le conseguenze sono evidenti. Le perdite legate alle nuove misure tariffarie e regolatorie statunitensi colpirebbero soprattutto i settori a più alta intensità di lavoro qualificato e valore aggiunto, che rappresentano l'eccellenza manifatturiera italiana. Le imprese più piccole, che non dispongono di strutture locali negli Usa, sarebbero, poi, le più vulnerabili e costrette a rivedere i propri piani di crescita e di penetrazione nel mercato americano;

    8) tra le filiere penalizzate, si cita – a titolo esemplificativo e non esaustivo – quella vitivinicola, che rappresenta un'eccellenza assoluta del made in Italy e che ha subito forti contrazioni a seguito dell'introduzione dei dazi americani. Difatti, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato extraeuropeo per il vino italiano: nel 2023 vi sono stati esportati oltre 1,8 miliardi di euro di vino, corrispondente a circa il 23 per cento dell'export totale. Si stima che nel 2025 le misure tariffarie produrranno un effetto in termini di perdita per il comparto di oltre 300 milioni di euro. Le aziende più colpite sono quelle medio-piccole, che non possono assorbire gli aumenti di prezzo generati dai dazi né rilocalizzare la produzione. Inoltre, in aggiunta al danno economico, è stato registrato anche un effetto reputazionale negativo, legato alla percezione di inaccessibilità del prodotto italiano nel mercato statunitense;

    9) anche l'industria dell'automotive italiana è esposta in misura particolarmente elevata ai rischi derivanti dalla revisione tariffaria prospettata dall'amministrazione americana nel quadro del «Fair and reciprocal Plan», volto, tra le altre cose, all'aggiustamento delle attuali tariffe doganali americane in modo che siano reciproche rispetto agli altri Paesi. Basti considerare alcuni esempi al riguardo, tra cui le importazioni nell'Unione europea di automobili dagli Usa, cui si applica una tariffa del 10 per cento, nettamente superiore a quella imposta nel caso inverso, pari al 2,5 per cento, a fronte di una quantità di esportazione di autoveicoli e componentistica dall'Italia agli Usa pari a oltre il 30 per cento delle esportazioni totali del settore verso paesi extra-Unione europea – mentre le importazioni di veicoli statunitensi in Italia sono pari solo al 3,5 per cento. Questo squilibrio rende, chiaramente, il comparto italiano particolarmente vulnerabile all'inasprimento delle tariffe Usa, le quali colpirebbero in modo selettivo proprio i produttori italiani, danneggiando un settore strategico per l'economia nazionale in termini di investimenti, crescita e occupazione;

    10) un'altra delle filiere strategiche maggiormente esposte è quella farmaceutica, la quale, pur rivestendo un ruolo cruciale sia sotto il profilo economico-industriale che di salute pubblica, rischia di essere compromessa dalle incertezze tariffarie introdotte dagli Usa sui dispositivi medici e principi attivi. Gli Stati Uniti rappresentano, infatti, uno dei principali mercati di sbocco dell'export italiano di farmaci, che nel 2024 ha raggiunto un valore complessivo pari a circa 5 miliardi di euro, corrispondente a circa il 18 per cento delle esportazioni settoriali;

    11) tutto ciò avviene in aggiunta all'andamento dei prezzi energetici, già da tempo influenzato negativamente da tensioni geopolitiche e dalla conseguente crisi del gas, in un contesto – quale è quello italiano – in cui il costo dell'energia rappresenta un fattore determinante per la mancanza di competitività dell'intero sistema produttivo;

    12) in tal senso, la fallimentare applicazione del modello «Transizione 5.0», caratterizzato da una visione poco aderente alle concrete esigenze del sistema produttivo italiano, ha messo in luce l'assenza di una strategia industriale in grado di accompagnare la trasformazione tecnologica delle imprese italiane, le quali non sono in grado di rispondere da sole alle sfide del processo globale di innovazione;

    13) in un contesto in cui le catene del valore sono sempre più soggette a interruzioni, protezionismi selettivi e misure tariffarie discriminatorie – come nel caso delle politiche doganali adottate dagli Stati Uniti – la debolezza di una visione industriale integrata penalizza l'intero sistema produttivo italiano, in particolare nei settori ad alta tecnologia e con forte propensione all'export;

    14) l'evoluzione delle relazioni commerciali e delle politiche economiche internazionali evidenzia una crescente competizione per l'accesso ai mercati strategici. L'incertezza su scala globale, derivante anche dall'introduzione dei dazi americani, accentua la vulnerabilità dei sistemi produttivi fortemente orientati all'esportazione, come quello italiano. In parallelo, l'emergere e il consolidarsi di nuovi poli economici e commerciali, tra cui figurano anche le economie dell'America latina e dell'Asia meridionale, rappresentano un fattore di rilievo nella ridefinizione degli equilibri commerciali globali e pongono nuove opportunità in termini di proiezione esterna delle filiere produttive italiane e di un'effettiva valorizzazione del made in Italy;

    15) vi è, dunque, la necessità di dotare, con la massima urgenza, l'Italia e l'Unione europea di strumenti a tutela delle imprese che rafforzino e tutelino il loro posizionamento nel commercio internazionale,

impegna il Governo:

1) a sostenere, in tutte le sedi europee e internazionali, la necessità di una politica commerciale europea volta a garantire condizioni di reciprocità e di leale concorrenza nei rapporti commerciali con gli Stati Uniti, promuovendo il rafforzamento della cooperazione transatlantica e la tutela degli interessi strategici dell'industria e dell'export italiano all'interno del quadro delle regole multilaterali e di commercio internazionale;

2) a prevedere apposite misure di sostegno alle imprese italiane più esposte all'incertezza dei mercati internazionali, con particolare attenzione alle Pmi dei settori agroalimentare, meccanico e manifatturiero ad alta qualità, attraverso un utilizzo strategico di strumenti come Ice, Simest, Sace e Invitalia e la previsione di ulteriori strumenti di sostegno straordinario a favore delle filiere italiane più esposte alle distorsioni dei mercati internazionali, in grado di fornire di risorse adeguate a coprire i costi doganali sostenuti dalle stesse imprese e i costi di ristrutturazione delle strategie aziendali di esportazione;

3) a sostenere, anche nell'ambito dell'azione europea, la promozione di accordi settoriali con gli Stati Uniti basati su criteri di mutuo vantaggio, finalizzati a ridurre le barriere tariffarie e regolatorie e a costruire standard comuni nei settori a più alta intensità di lavoro qualificato e valore aggiunto, anche valutando di agevolare la definizione di una politica industriale europea moderna e orientata all'innovazione, che rafforzi la competitività del sistema produttivo italiano ed europeo nei settori strategici, garantendo un equilibrio tra autonomia e apertura al commercio globale;

4) a promuovere, d'intesa con le organizzazioni di categoria e le regioni, un piano straordinario per il rilancio dei settori strategici italiani sui mercati internazionali, comprendente misure di sostegno diretto per le perdite subite, strumenti di promozione integrata e incentivi per la diversificazione dei mercati di destinazione, anche valutando l'opportunità di negoziare con l'Amministrazione Usa un accordo specifico su ciascun comparto, finalizzato alla riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie;

5) a prevedere iniziative volte alla riduzione degli oneri burocratici per le imprese esportatrici che operano sul mercato internazionale, al fine di rimuovere gli ostacoli di natura procedimentale al processo di innovazione, crescita e sviluppo dell'Italia;

6) a istituire un osservatorio tecnico permanente sul settore automotive, con il compito di valutare l'impatto delle misure tariffarie Usa sulle imprese italiane del comparto e di elaborare proposte normative e finanziarie per rafforzarne la competitività internazionale;

7) a promuovere, anche nelle competenti sedi europee, l'adozione di misure strutturali volte a garantire la sostenibilità del sistema energetico per le imprese, prevedendo in parallelo il disaccoppiamento tra il prezzo dell'energia elettrica e del gas sul mercato nazionale e promuovendo l'inserimento dell'energia nucleare nel mix energetico italiano, nonché ulteriori misure volte a garantire un sostegno economico stabile per le imprese;

8) a promuovere la definizione e l'attuazione di un piano industriale nazionale ispirato ai principi del piano «Industria 4.0», finalizzato a sostenere la trasformazione ecologica delle filiere produttive e utile a garantire la competitività delle imprese italiane, mitigando gli effetti negativi delle distorsioni tariffarie derivanti dall'emersione delle nuove politiche di protezionismo, al fine di garantire stabilità al sistema produttivo italiano;

9) a promuovere, nell'ambito del dibattito europeo, una revisione delle regole sugli aiuti di Stato previste dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per consentire la programmazione di interventi mirati per le imprese strategiche del sistema produttivo europeo alla luce di determinati contesti internazionali e dinamiche di mercato che di volta in volta dovessero renderli necessari;

10) a promuovere, in sede europea, la conclusione di accordi commerciali internazionali con gli altri paesi del continente americano, con l'India, il Canada (Ceta) e l'America Latina (Mercosur), al fine di diversificare e ampliare i mercati di sbocco dei prodotti del made in Italy.
(1-00464) «Richetti, Benzoni, Onori, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Bonetti, Pastorella, Rosato, Ruffino».

(23 giugno 2025)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il quadro macroeconomico mondiale è attualmente esposto a rischi significativi e difficili da valutare. A contribuire a tale incertezza concorrono, da un lato, i segnali contraddittori provenienti dalla politica commerciale protezionistica degli Stati Uniti e, dall'altro, l'escalation del conflitto tra Israele e Iran. Pertanto, anche la politica economico-monetaria nell'area euro si trova nuovamente impelagata in un contesto di elevata incertezza;

    2) la svolta protezionista dell'Amministrazione statunitense appare l'estremo tentativo di rimediare a un'imponente esposizione debitoria verso l'estero, che sfiora i 29.000 miliardi di dollari, pari all'80 per cento del Prodotto interno lordo. Una crisi che ha visto gli Usa avvilupparsi dopo il crollo dell'Unione Sovietica e l'inizio della globalizzazione deregolata e che ha indotto il Presidente Trump a cercare di proteggersi contro il rischio di acquisizioni di capitali in mani straniere avverse, ricorrendo alla cosiddetta strategia del friend shoring, ossia dividendo il mondo e i suoi creditori internazionali in due grandi blocchi economici: da un lato i Paesi occidentali che definisce «amici» e i loro sodali, con i quali continuare a intrattenere affari purché accettino le condizioni imposte, dall'altro quelli che definisce «nemici» da tenere alla larga, Cina in primo luogo, ma anche vari altri Paesi creditori, oppure storicamente alleati non disposti ad accettare le nuove condizioni;

    3) quello impresso dal Presidente Trump rappresenta, sicuramente, un cambiamento epocale rispetto al passato recente. Dalla fine della Seconda guerra mondiale e fino almeno alla grande crisi finanziaria del 2008, gli Stati Uniti hanno rappresentato sia l'avanguardia che i principali sponsor del libero commercio internazionale, facendo della riduzione dei dazi tra Paesi e della globalizzazione delle catene del valore il cardine dell'attuale sistema economico mondiale. Già da alcuni anni le amministrazioni Usa avevano iniziato a rivedere la loro posizione globalista, ma ora Trump inverte decisamente la rotta, portando indietro le lancette di quasi un secolo: se andrà come annunciato, il dazio medio, pesato per il commercio, applicato dagli Stati Uniti al mondo, sarà intorno al 13 per cento, quasi il decuplo rispetto all'1,4 per cento degli anni di massima liberalizzazione;

    4) sebbene dal 9 aprile 2025 sia ancora in vigore una moratoria, più volte modificata nei termini, e siano stati avviati numerosi colloqui tra le parti interessate, un duraturo accordo è ancora di là da venire. Nel frattempo, è stato introdotto un dazio aggiuntivo del 10 per cento su tutte le importazioni da qualsiasi Paese verso gli Stati Uniti e, contestualmente, un dazio maggiorato fino al 50 per cento sulle importazioni di acciaio ed alluminio, per una lista di Paesi non allineati sulle posizioni strategiche statunitensi. Per l'Unione europea è stato introdotto un dazio ulteriore del 20 per cento generalizzato su tutte le merci;

    5) la storia insegna che forme scoordinate di protezionismo, attuate attraverso l'apertura di negoziati con i vari Paesi minacciati, al fine di concludere accordi differenziati, esacerbano le tensioni internazionali e possono creare condizioni tali da far precipitare le dispute economiche in veri e propri scontri militari;

    6) l'offensiva sferrata all'economia mondiale dalla minacciosa politica commerciale protezionistica dell'Amministrazione statunitense, che punterebbe, inoltre, a ridefinire gli equilibri economici internazionali, oltre ad aver scosso sensibilmente i mercati azionari, ha cominciato a generare tensioni commerciali. Tali tensioni impongono l'urgente avvio di un processo di riorganizzazione del mercato globale, anche alla luce del pesante impatto che i dazi, influenzando consumatori, imprese e competitività globale, produrrebbero sia in termini di export sia di occupazione;

    7) la forte incertezza sui dazi made in Usa incide sulle prospettive globali. Tra le maggiori fonti di incertezza che attualmente gravano sulle prospettive internazionali, oltre alle guerre vere e proprie, c'è la guerra commerciale che potrebbe scatenarsi qualora l'Amministrazione Trump portasse avanti con determinazione il drastico cambio di rotta nella politica commerciale preannunciato agli inizi di aprile del 2025;

    8) le potenziali e pesanti ricadute del protezionismo statunitense, tramite l'imposizione di dazi generalizzati su tutto l'import, segnano un passaggio cruciale capace di mettere in crisi definitivamente il già precario ordine mondiale e di ridisegnare la geografia del commercio internazionale (stante anche il peso dell'economia transatlantica, pari al 33 per cento del Prodotto interno lordo mondiale): tutti i continenti, alle prese con ignoti e temuti scenari, stanno valutando un cambio di approccio, diversificando o consolidando le strategie politico-diplomatiche e i propri rapporti commerciali;

    9) gli effetti a lungo termine di protezionismo conflittuale e non coordinato possono essere complessi e variegati, influenzando diversi aspetti economici e sociali, e si possono sostanzialmente così riassumere:

     a) stagnazione economica globale determinata dalla riduzione degli scambi commerciali e dall'aumento dei costi per le imprese, circostanza che può rallentare la crescita economica e ridurre gli investimenti internazionali;

     b) elevata inflazione determinata dall'aumento dei prezzi dei beni importati, fenomeno particolarmente preoccupante in caso di livelli già alti, poiché può limitare la capacità delle banche centrali di tagliare i tassi di interesse per stimolare l'economia;

     c) ridisegno delle catene di approvvigionamento poiché, a lungo termine, i dazi possono spingere le aziende a ristrutturare le loro catene di approvvigionamento, spostando la produzione in Paesi non soggetti a tariffe: una situazione che può portare a una maggiore diversificazione dei mercati e a una riduzione della dipendenza da un singolo partner commerciale;

     d) diversificazione dei mercati e rafforzamento industriale, poiché i Paesi colpiti dai dazi possono reagire cercando nuovi mercati e rafforzando le loro industrie interne (come nel caso della Cina, che ha risposto ai dazi statunitensi aumentando i sussidi all'industria high-tech);

     e) isolamento economico e politico con immaginabili conseguenze negative sul Prodotto interno lordo e sulla competitività globale;

     f) effetti sugli investimenti, poiché la riduzione dei dazi può aumentare gli investimenti del 4-6 per cento, mentre l'aumento dei dazi può avere l'effetto opposto, riducendo la fiducia degli investitori e la disponibilità di capitali per le imprese;

    10) i dazi generano frammentazione economica, che impatta sul flusso dei beni e dei servizi, i cui effetti possono essere differiti di diversi mesi, creando un clima di incertezza che nell'immediato comporta un freno a consumi e investimenti. Più ambiguo risulta, invece, l'impatto dei dazi sull'inflazione: nell'immediato si configura come deflattivo, mentre nel lungo periodo, stante la globalizzazione delle catene del valore, comporta una crescita dei prezzi;

    11) così come l'apertura commerciale e finanziaria verso l'estero di un Paese e i conseguenti processi di specializzazione produttiva, anche le politiche protezioniste, producono un importante impatto negativo sulla stabilità lavorativa, rappresentando, perciò, un pericoloso fattore di rischio per la tenuta dell'intero sistema, oltre che economico, soprattutto sociale;

    12) una possibile soluzione è rinvenibile nel rilancio del cosiddetto social standard per la regolazione dei movimenti internazionali di merci e di capitali, sostanzialmente una sintesi aggiornata di proposte avanzate da tempo dall'Ilo (l'agenzia dell'Onu per lavoro e politiche sociali), di regole presenti nei Trattati dell'Unione europea e di clausole contenute nello statuto del Fondo monetario internazionale, che già in passato ha ricevuto l'attenzione del Parlamento europeo;

    13) il nucleo dello standard consiste in una limitazione dei commerci con quei Paesi che attuino politiche di competizione al ribasso sui salari, sulle condizioni di lavoro, sul fisco, sui regimi di tutela ambientale e sanitaria, rispetto a un comune obiettivo di riferimento e alla posizione da cui partono. Tale meccanismo, così congegnato, potrebbe sanzionare, per esempio, non solo la Cina, che reprime i sindacati indipendenti, o la Romania che taglia il welfare per sussidiare gli investimenti delle multinazionali, ma anche la Germania, che comprime il salario per unità prodotta, gli Stati Uniti che abbattono i vincoli ambientali alla produzione o la stessa Italia che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sta smantellando il diritto del lavoro;

    14) il social standard rappresenta una soluzione esattamente opposta all'agenda con cui gli esponenti delle destre di governo in Europa vorrebbero inaugurare la trattativa con il Presidente Usa Trump, convinti che lo squilibrio internazionale vada invece affrontato con una scellerata miscela di protezionismo liberista: una sorta di dumping a tutto campo, che non risolverà la crisi mondiale ma aggraverà le condizioni del lavoro, della salute e dell'ambiente;

    15) riguardo all'impatto della politica protezionista statunitense sull'economia italiana, fortemente basata sulle esportazioni, con gli Usa come terzo partner commerciale, la Banca d'Italia ha ridotto le stime del Prodotto interno lordo: si attesterebbe a +0,6 per cento nel 2025, +0,8 per cento nel 2026, +0,7 per cento nel 2027. Si ridurrebbe, quindi, ulteriormente una crescita già anemica, all'interno di uno scenario che tiene solo parzialmente conto dei dazi, ma non considera l'impatto delle eventuali ritorsioni e l'andamento dei mercati. Tutto ciò potrebbe abbassare ulteriormente il Prodotto interno lordo e determinare addirittura una recessione;

    16) l'Istat ha elaborato una stima di quanto pesino il clima di incertezza economica e i dazi commerciali degli Usa sulla crescita dell'Italia: secondo tale analisi, queste variabili potrebbero comportare una perdita dello 0,2 per cento del Prodotto interno lordo nel 2025 e un incremento dello 0,3 per cento sulla crescita nel 2026;

    17) il commercio bilaterale tra Italia e Usa vale 92 miliardi di euro, con il nostro Paese che occupa il secondo posto tra gli esportatori europei subito dopo la Germania. Nel 2024, l'Italia ha esportato beni negli Stati Uniti per un valore di 64,8 miliardi di euro, cifra in crescita costante dal 2013. Rispetto al 2023, l'export ha subito una leggera flessione del 3,6 per cento;

    18) al contempo, il nostro è uno dei Paesi europei con il maggior surplus commerciale nei confronti degli Usa, pari a circa 43 miliardi di euro, con un export composto principalmente da macchinari (38 per cento), prodotti chimici e derivati (20 per cento), manufatti finiti (19 per cento) e semilavorati (9 per cento). Di questi, una grossa parte è rappresentata da prodotti ad alto valore aggiunto, come macchinari industriali (11 miliardi di euro), veicoli (7 miliardi di euro), moda e abbigliamento (5 miliardi di euro). L'agroalimentare costituisce invece l'11 per cento delle esportazioni per un valore di 7,2 miliardi di euro, principalmente composto da bevande, prodotti caseari e prodotti alimentari vari: esempi da menzionare sono sicuramente vini, formaggi e prodotti contrassegnati dalle sigle Dop, Igp, Stg. Nel caso delle bevande alcoliche, gli Usa rappresentano un importante mercato di sbocco, assorbendo una quota del 25 per cento dell'export;

    19) dopo l'annuncio dei dazi in data 2 aprile 2025 la Banca d'Italia ha dovuto rivedere al ribasso le prospettive di crescita dell'economia italiana, che si attesterebbe intorno allo 0,6 per cento; una stima decisamente cauta, che tiene conto dello scenario peggiore: quello in cui gli Usa, dopo la moratoria, potrebbero decidere di imporre dazi del 20 per cento. Le esportazioni italiane subirebbero, in tal caso, una stagnazione causata dalla perdita di quote di mercato statunitense, che nel breve-medio termine potrebbe essere compensata dalla ricerca di sbocchi verso nuovi mercati. Tale ragionamento non varrebbe per l'export agroalimentare, solitamente rivolto a una fascia di consumatori medio-alta, che potrebbero ritenere trascurabili eventuali aumenti di prezzo dei nostri prodotti;

    20) infine, gli effetti dei dazi non colpiranno la penisola in modo uniforme: le regioni più esposte sono infatti Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana, le quali rappresentano metà delle esportazioni italiane negli Usa;

    21) riguardo all'impatto diretto dei dazi statunitensi sul made in Italy a soffrire maggiormente saranno i settori più vocati all'export e che hanno oltre Oceano uno dei principali mercati di sbocco: dal vino all'olio di oliva per il quale gli Stati Uniti sono il primo Paese di esportazione dell'extravergine italiano, all'industria delle conserve di pomodoro, ai prodotti Dop che non sono delocalizzabili come il prosciutto di Parma, che può essere prodotto solo all'interno della zona tipica, ai formaggi italiani che vendono negli Usa il doppio di quelli francesi e generano, con un export di 40.867 tonnellate, 486 milioni di euro di fatturato. Tra questi ultimi anche il pecorino, finora rimasto esentato dai dazi imposti a decorrere dal 2019, sarà penalizzato con un dazio del 20 per cento, mentre subiranno sensibili rialzi mozzarella, burrata, ricotta e mascarpone, che passano dal 10 al 30 per cento, il provolone che passa dal 15 al 35 per cento e il gorgonzola che passa dal 20 al 40 per cento. Gli Usa rappresentano il terzo mercato di sbocco dei formaggi italiani dopo Francia e Germania, insomma un mercato fondamentale per quale servirà un negoziato pacato;

    22) a preoccupare, sempre riguardo alla filiera dell'agroalimentare, sarebbe l'ulteriore impennata che il regime doganale annunciato da Trump innescherebbe al fenomeno dell'italian sounding, ovvero quello dei prodotti tarocchi made in Italy, (come ad esempio il Parmesan) che già oggi comporta per l'economia italiana un danno complessivo di oltre 120 miliardi di euro all'anno;

    23) un discorso a parte, inoltre, merita il settore dell'automotive, rispetto al quale gli annunciati dazi statunitensi avrebbero un impatto significativo sul fatturato delle imprese italiane, con una perdita stimata tra 1,4 e 3 miliardi di euro e danni fino a 2,5 miliardi di euro, a fronte di una perdita di circa 15.000 posti di lavoro. Entrando più nello specifico i produttori di veicoli finiti (come Stellantis) potrebbero perdere tra 61 e 200 milioni di euro di fatturato, i sistemisti e modulisti (come ad esempio Marelli e Bosch Italia) registrerebbero un calo stimato tra 100 e 225 milioni di euro, i subfornitori, che rappresentano il 70 per cento della filiera con 1.500 aziende e un fatturato di 25 miliardi di euro nel 2023, potrebbero subire una contrazione tra 1,2 e 2,5 miliardi di euro, mentre gli specialisti (motorsport, aftermarket), subirebbero una perdita di fatturato stimata tra 25 e 70 milioni di euro;

    24) gli annunciati dazi al 20 per cento sulle produzioni europee annunciati dall'Amministrazione Trump spaventano anche il settore della moda italiana che vede negli Usa un importante mercato di sbocco e che già nel 2024 ha sperimentato una flessione delle esportazioni ove l'interscambio di tessile-abbigliamento è stato pari a 2,8 miliardi di euro, in flessione dello 0,7 per cento rispetto al 2023;

    25) in questo scenario, l'Europa potrebbe giocare una partita importante (stante la competenza esclusiva in materia doganale attribuitale dall'articolo 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) anche attraverso la pianificazione di un asset allocation meno concentrata sugli Usa, con esposizione stabile su Cina e Giappone e più spazio per l'Europa. Ciò potrebbe aiutare ad affrontare la volatilità dei prossimi mesi;

    26) tuttavia, è soprattutto necessaria una profonda ridefinizione della strategia economica e industriale dell'Unione europea, che abbandoni definitivamente le politiche di austerità e il mercantilismo, liberando lo straordinario potenziale inespresso della domanda interna europea con politiche comuni più espansive (modello NextGenEU):

     a) per finanziare investimenti pubblici e stimolare quelli privati su infrastrutture, conoscenza, salute e beni comuni;

     b) per mettere in campo politiche industriali non finalizzate all'economia di guerra, alla difesa, al riarmo, ma alla conversione ecologica, la transizione digitale e l'innovazione tecnologica del nostro sistema produttivo;

     c) per aumentare i salari reali, anche al fine di rilanciare i consumi e la domanda aggregata; ciò, nel nostro Paese, coincide innanzitutto col rinnovo di tutti i Ccnl pubblici e privati (in tal senso, i dazi non possono rappresentare l'ennesimo alibi delle nostre controparti per negare/ritardare i rinnovi);

    27) nel caso in cui le trattative con l'Amministrazione Trump dovessero fallire, l'opzione di reagire imponendo contro-dazi generalizzati non sarebbe comunque una scelta opportuna, perché causerebbe un'escalation della guerra commerciale pericolosa per l'Europa – con ulteriori effetti recessivi e un aumento dell'inflazione – ma soprattutto sarebbe inutile, poiché l'obiettivo di tornare alla situazione precedente è assolutamente irrealistico;

    28) una risposta mirata potrebbe essere indirizzata verso i servizi digitali e finanziari statunitensi (che, contrariamente alle merci, garantiscono agli Usa un significativo surplus commerciale a danno dell'Europa, pari a 109 miliardi di euro già nel 2023) e in particolare nei confronti delle «big tech», che oltretutto rappresentano ormai un pericolo tangibile per le nostre democrazie, a causa del controllo dei dati e della capacità di condizionare l'opinione pubblica. Ed invero la strategia americana non contempla solo i dazi sulle importazioni ma anche la tassazione delle multinazionali del web. Nel mirino del Memorandum emanato dal Presidente Trump il 20 gennaio 2025 sono presenti principalmente due componenti del progetto Gmt: la qualified domestic minimum tax (Qdmt) e l'under-taxed payment rule (Utpr), accusate di essere imposte «extraterritoriali» introdotte da governi stranieri per sottrarre gettito (quello per arrivare al prelievo minimo effettivo del 15 per cento della Global minimum tax) agli Usa, principale Paese di residenza della casa madre delle multinazionali. La Qdmt e l'Utpr dirotterebbe, infatti, gettito verso il Paese fonte dei profitti, ossia laddove si sono stabilite le sussidiarie estere, o verso altri Paesi stranieri, anche diversi da quello dove si origina il reddito, in cui comunque operano sussidiarie della multinazionale;

    29) anche in questo caso il piano di Trump ha messo, di fatto, la pietra tombale sul progetto della Global minimum tax. È infatti notizia degli ultimi giorni che al vertice del G7 di Kananaskis, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia e Regno Unito hanno accettato (o probabilmente dovuto accettare al fine di favorire un'intesa con l'Amministrazione americana) l'esenzione delle multinazionali Usa, comprese le cosiddette big tech, dal secondo pilastro della riforma Ocse del sistema di tassazione globale: un accordo che costituisce una vittoria diplomatica per l'Amministrazione americana e una conferma di debolezza delle controparti interessate;

    30) l'introduzione della web tax, la tassa digitale pensata per colpire i colossi americani del web come Google, Amazon, Meta e Apple, era stata interpretata dagli Stati Uniti come una misura ostile, alimentando il rischio di ritorsioni tariffarie in altri settori;

    31) ora dal suddetto accordo discende che il futuro mantenimento delle web tax nazionali appare oltre che difficile anche improbabile per i molti Paesi, tra cui anche l'Italia, che in attesa di una definizione a livello internazionale del primo pilastro sistema di tassazione globale proposto dall'Ocse, le avevano introdotte con l'obiettivo di tassare le grandi multinazionali del web;

    32) le misure per agire nella suddetta direzione sono:

     a) la tassazione dei profitti realizzati nell'Unione europea, da affiancare alla esistente ma debole Global Minimum Tax;

     b) la regolamentazione più stringente e il rilancio degli investimenti continentali su innovazione, ricerca e sviluppo per ricostruire una maggiore autonomia industriale e tecnologica dell'Europa;

     c) l'adozione di politiche nazionali e/o europee (sul modello Sure) di sostegno dei settori più colpiti, subordinate alla sussistenza di determinati requisiti e senza distrazione dei fondi Piano nazionale di ripresa e resilienza e coesione, e di protezione del lavoro a tutela sia dei livelli occupazionali (sotto forma di ammortizzatori) sia dei redditi (come restituzione del fiscal drag e detassazione dei rinnovi dei Ccnl);

     d) misure e strumenti di carattere straordinario (sotto forma di sanzioni o di disincentivi) per impedire le delocalizzazioni delle imprese e l'afflusso di capitali e investimenti europei verso gli Usa, che aggraverebbero ulteriormente la deindustrializzazione del vecchio continente, in particolare quella del nostro Paese, che ha assistito a un calo della produzione industriale di 26 mesi consecutivi;

     e) la riduzione dei costi energetici, l'accelerazione dello sviluppo delle fonti rinnovabili e il rafforzamento dell'autonomia e della sicurezza energetica continentale, per il raggiungimento di un compiuto ed effettivo Green Deal;

    33) l'obiettivo di riequilibrare il cronico disavanzo commerciale Usa verso il resto del mondo, reso possibile grazie all'egemonia monetaria fondata sul «privilegio» del dollaro, non è la sola ambizione dell'Amministrazione Trump, ma il «cavallo di Troia» di una strategia che, nella realtà, punterebbe: a scardinare definitivamente il sistema di regole multilaterali sul libero scambio (Wto), che ha retto la globalizzazione dagli anni '90, per affermare un modello di rapporti commerciali di tipo bilaterale da posizione di forza, basandosi sul «divide et impera»; a ricostruire la base industriale Usa re-internalizzando la produzione attualmente all'estero delle industrie statunitensi e costringendo quelle estere a localizzare la loro negli Usa, per avere accesso a quel mercato senza dazi, offrendo energia a basso costo, riduzione delle imposte e un'ampia deregolamentazione;

    34) con il cosiddetto «Green Deal», l'Europa sta costruendo la propria indipendenza, sicurezza energetica e competitività attraverso il progressivo superamento della dipendenza dalle fonti fossili. Nel solo settore della produzione elettrica, il peso dei combustibili fossili è già calato del 19 per cento nel 2023, mentre quello delle rinnovabili è salito a un record del 44 per cento, spinto da eolico e solare, inoltre l'implementazione del Green Deal nel 2019 e la promozione delle fonti rinnovabili hanno permesso di evitare importazioni di combustibili fossili per 59 miliardi di euro;

    35) nella visione dell'Amministrazione Trump, i dazi imposti all'Europa rappresentano principalmente una leva negoziale per ottenere l'eliminazione di barriere non tariffarie e, in tal senso, un altro obiettivo è proprio lo smantellamento del Green Deal europeo, considerato un rischio strategico di avvicinamento commerciale tra Europa e Cina e un ostacolo alle esportazioni statunitensi verso il mercato europeo. Il suo obiettivo, pertanto, non è solo quello vendere il proprio gas (Gnl) per ridurre lo sbilancio commerciale, ma imporre all'Europa di acquistarlo nel lungo periodo, impedendole così di costruire la propria indipendenza energetica e la propria competitività anche rivolgendosi a nuovi fornitori sui mercati globali, un discorso che vale anche per le tecnologie finali di uso delle fonti fossili, come, per esempio, l'automotive. In tal senso il regolamento europeo 2019/631, sulla riduzione dei livelli di emissioni di CO2 del trasporto su strada, viene pretestuosamente letto come una serie di norme restrittive di mercato, che giustificano l'imposizione di dazi da parte degli Usa. Gli obiettivi di decarbonizzazione del settore auto, infatti, escludono progressivamente le auto tradizionali e spostano il mercato europeo dell'auto elettrica da un prodotto di lusso, in cui Tesla è leader, a un prodotto di massa in cui gli Usa sono più deboli sia rispetto alla Cina e sia rispetto all'industria europea, sensibilmente sostenuta dalle politiche dell'Unione;

    36) una dipendenza dalle fonti fossili statunitensi rischia di ostacolare il tentativo dell'Unione europea di costruire nuove catene del valore più sostenibili, rinunciando a prendere atto dei nuovi equilibri nei mercati globali in cui è partecipe anche la Cina. Una simile scelta finirebbe per danneggiare le imprese italiane, già penalizzate dai costi elevati del gas, e le escluderebbe dalle opportunità offerte da una nuova economia più sostenibile e competitiva, con il rischio, duplice, di legarsi a un fornitore (gli Usa) che non sta esitando a usare la guerra commerciale come strumento di confronto geopolitico e di continuare a investire in infrastrutture fossili, come i rigassificatori, i cui costi andranno ammortizzati in decenni di utilizzo, scoraggiando così un rapido passaggio a forme pulite di energia;

    37) la partita sui dazi Usa rappresenta un banco di prova sia per l'Unione europea sia per il nostro Paese, essendo oramai entrato in crisi il modello di stampo mercantilista incentrato sulle esportazioni e sulla restrizione della domanda interna, interpretato in primo luogo dalla Germania e dai cosiddetti. Paesi «frugali» e poi imposto, attraverso la logica dell'austerità, a tutta l'Unione europea: un modello che, se da un lato ha prodotto lo straordinario surplus commerciale dell'Europa, dall'altro ha comportato il peggioramento dei sistemi di welfare e delle condizioni di vita e di lavoro della grande maggioranza delle persone,

impegna il Governo:

1) a sostenere un negoziato europeo per interrompere l'applicazione dei dazi all'importazione dai Paesi dell'Unione europea da parte dell'Amministrazione statunitense;

2) a predisporre un piano straordinario di sostegno dei settori dell'economia italiana maggiormente esposti agli effetti avversi dalla politica protezionistica made in Usa, come l'automotive e tutto il made in Italy;

3) a promuovere in tutte le sedi internazionali una diversa globalizzazione, basata su accordi di cooperazione fondati sulla piena apertura agli scambi commerciali e finanziari con quei Paesi che aderiscano a determinati «standard» di tutela sociale, sanitaria, ambientale e del lavoro e, viceversa, su limitazioni degli scambi di merci e di capitali con i Paesi che attuino politiche di competizione al ribasso sui salari, sulle condizioni di lavoro, sul fisco e sui regimi di tutela ambientale e sanitaria;

4) a favorire una globalizzazione che tenda a promuovere e migliorare, anziché peggiorare, gli standard sociali e del lavoro nei Paesi che scelgono politiche di apertura verso l'estero e, viceversa, a limitare i commerci con quelli che attuano politiche di competizione al ribasso sui salari, sulle condizioni di lavoro, sul fisco e sui regimi di tutela ambientale e sanitaria;

5) a respingere la pressione dell'Amministrazione Trump, volta a far aumentare gli acquisti da parte dei Paesi europei di beni energetici (Gnl) e di sistemi d'arma Usa, anche attraverso la pretesa di elevare il vincolo di spesa minima per la difesa dei Paesi Nato dall'attuale 2 per cento al 5 per cento;

6) a difendere gli interessi sottesi al Green Deal, quale metro dell'autonomia energetica dell'Europa e di protezione di cittadini, imprese e spesa pubblica dagli impatti crescenti del cambiamento climatico;

7) a sollecitare in sede europea la liberazione dello straordinario potenziale inespresso della domanda interna con politiche comuni più espansive (modello NextGenEU) al fine di:

   a) finanziare investimenti pubblici e stimolare quelli privati su infrastrutture, conoscenza, salute e beni comuni;

   b) mettere in campo politiche industriali non finalizzate all'economia di guerra, alla difesa, al riarmo, ma alla conversione ecologica, alla transizione digitale e all'innovazione tecnologica del nostro sistema produttivo;

   c) rilanciare i consumi e la domanda aggregata attraverso l'aumento dei salari reali e il rinnovo dei contratti di lavoro;

   d) tassare i profitti realizzati nell'Unione europea;

   e) regolamentare e rilanciare gli investimenti continentali su innovazione, ricerca e sviluppo per ricostruire una maggiore autonomia industriale e tecnologica dell'Europa;

   f) adottare politiche nazionali e/o europee (sul modello Sure) di sostegno dei settori più colpiti dai dazi Usa, subordinate alla sussistenza di determinati requisiti e senza distrazione dei fondi del Piano nazionale e resilienza e coesione, e di protezione del lavoro a tutela sia dei livelli occupazionali (sotto forma di ammortizzatori) che dei redditi (come restituzione del fiscal drag e detassazione dei rinnovi dei Ccnl);

   g) adottare misure e strumenti di carattere straordinario (sotto forma di sanzioni o di disincentivi) per impedire le delocalizzazioni delle imprese e l'afflusso di capitali e investimenti europei verso gli Usa, che aggraverebbero ulteriormente la deindustrializzazione del vecchio continente, in particolare quella del nostro Paese, che ha visto un calo della produzione industriale per 26 mesi consecutivi;

   h) ridurre i costi energetici, accelerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili e rafforzare l'autonomia e la sicurezza energetica continentale per il raggiungimento di un compiuto ed effettivo Green Deal.
(1-00469) «Grimaldi, Ghirra, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(2 luglio 2025)

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