XIX LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1018
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
FOTI, MESSINA, ANTONIOZZI, GARDINI, RUSPANDINI, ANGELO ROSSI, MATTIA, BENVENUTI GOSTOLI, IAIA, LAMPIS, MILANI, FABRIZIO ROSSI, ROTELLI, RACHELE SILVESTRI
Modifica all'articolo 71 del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in materia di compatibilità urbanistica dell'uso delle sedi e dei locali impiegati dalle associazioni di promozione sociale per le loro attività
Presentata il 17 marzo 2023
Onorevoli Colleghi! — Nell'ultimo decennio si è registrata nel nostro Paese una diffusa proliferazione di associazioni di promozione sociale (APS) che, di fatto, però, hanno come funzione esclusiva o prevalente quella di gestire luoghi di culto per le comunità islamiche in immobili privi dei requisiti urbanistici, strutturali e di sicurezza, necessari per tale destinazione d'uso.
In particolare, la prassi, ormai invalsa in tutto il territorio nazionale, è quella di presentare una richiesta all'amministrazione comunale per poter usufruire di locali pubblici da adibire a centro culturale. Una volta ottenuta la concessione, senza che sia necessario il cambio di destinazione d'uso e in assenza di modifiche ai piani urbanistici, i locali sono adibiti a luoghi di culto, conformemente alle norme vigenti.
Si tratta, in sostanza, di un escamotage che sfrutta le maglie di una normativa pensata per tutt'altro scopo, la legge 7 dicembre 2000, n. 383, recante «Disciplina delle associazioni di promozione sociale» (i cui contenuti sono ora stati trasfusi nel codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117), che doveva servire per «riconoscere il valore sociale dell'associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo».
Insomma, la legge era nata per aiutare circoli culturali e associazioni sportive dilettantistiche o culturali ad essere riconosciute e procurarsi una sede senza eccessivi aggravi burocratici; ma, invece, è diventata ben presto il grimaldello utilizzato dalle comunità islamiche per insediarsi nel territorio italiano creando moschee e madrasse nella completa indifferenza delle istituzioni, in spregio alla legge e nella sostanziale impossibilità a intervenire da parte delle Forze dell'ordine.
Il punto centrale del problema è la previsione secondo cui le sedi delle associazioni di promozione sociale «in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica» (articolo 71, comma 1, del codice del Terzo settore, in cui sono state trasposte, modificandole, le norme originariamente recate dall'articolo 32, comma 4, della legge n. 383 del 2000).
L'ampia portata applicativa sia della nozione di associazione di promozione sociale sia della deroga urbanistica ha permesso a molti enti di invocare le norme in esame per giustificare situazioni di tutt'altra portata rispetto a quelle originariamente pensate dal legislatore; la normativa, infatti, è divenuta lo strumento attraverso il quale creare edifici di culto islamico in locali del tutto inadeguati: le comunità islamiche, con la falsa dicitura di associazioni culturali, hanno potuto occupare scantinati, garage, negozi, magazzini e altro destinandoli a luoghi di culto.
In proposito, si ricorda che già nel 2013, con la sentenza n. 181, il Consiglio di Stato ha dichiarato l'impossibilità di qualificare come associazione di promozione sociale un'associazione islamica che, oltre a prevedere nel proprio statuto finalità quali «favorire lo studio e la conoscenza della lingua araba e della cultura islamica, sia tra i credenti islamici sia tra i cittadini di diversa religione e cultura; promuovere una maggior comprensione e migliori relazioni tra i soci e le istituzioni locali, gli uffici pubblici e la cittadinanza in genere», preveda o faccia svolgere presso la propria sede attività di culto o di preghiera, precisando, peraltro, che la sede e i locali di un'associazione di promozione sociale non possono essere suscettibili di un uso promiscuo tra attività di effettiva promozione sociale e attività di culto.
Il Consiglio di Stato, nella medesima sentenza, ha ribadito, inoltre, che «proprio in considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale, le relative sedi, ai sensi dell'articolo 32 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, sono localizzabili in tutte le parti del territorio urbano, essendo compatibili con ogni destinazione d'uso urbanistico, e a prescindere dalla destinazione d'uso edilizio impressa specificamente e funzionalmente al singolo fabbricato, sulla base del permesso di costruire.
Pertanto, ove, come nella specie, non venga specificamente dimostrato un vincolo strumentale dell'attività di culto rispetto alle attività di promozione sociale che l'associazione intende realizzare, si rischierebbe di consentire un utilizzo del tutto strumentale ed opportunistico della normativa di estremo favore sopra richiamata per porre un edificio destinato al culto in qualsiasi parte del territorio comunale.
Occorre ulteriormente precisare che, ai sensi dell'articolo 1 della citata legge n. 383 del 2000, il valore sociale dell'associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo è riconosciuto anche per il conseguimento di finalità di carattere culturale e di ricerca etica e spirituale.
È evidente che la finalità di ricerca etica e spirituale è attività distinta dall'esercizio delle pratiche di culto, configurandosi la “ricerca” come attività che si giova della dimensione sociale e associativa attraverso lo scambio delle opinioni e delle conoscenze e che non può confondersi con la mera attività di culto, quale pratica religiosa esteriore riservata ai credenti di una determinata fede e senza nulla impingere sulla conformità o meno a Costituzione del culto che non è questione rilevante nel caso concreto e che il provvedimento impugnato non ha nemmeno toccato».
Alla luce di ciò, in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale sul tema, appare evidente la necessità di colmare il vuoto normativo che si è venuto a creare in questa materia, prevedendo esplicitamente l'impossibilità per tutte le associazioni di avvalersi della normativa di favore applicabile alle associazioni di promozione sociale ai fini della destinazione di locali da adibire all'esercizio del culto.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. All'articolo 71, comma 1, del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le disposizioni del presente comma non si applicano alle associazioni di promozione sociale che svolgono, anche occasionalmente, attività di culto di confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato non sono regolati sulla base di intese, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione».