FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 141

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
FRATOIANNI, MARI

Istituzione del salario minimo legale

Presentata il 13 ottobre 2022

  Onorevoli Colleghi! — Un salario minimo legale esiste nella grande maggioranza degli Stati membri dell'Unione europea. Esso non è previsto nei Paesi nordici (Danimarca, Svezia, Finlandia), in Austria e in Italia, la quale costituisce dunque – salvo quello che si dirà dopo – l'eccezione più importante. La Repubblica di Cipro, talvolta citata come altro caso di assenza di salario minimo legale, in realtà ha una legge risalente al 1941, che però è applicata per settori e soprattutto per professioni.
  In genere, gli Stati che non hanno introdotto un salario minimo legale vi hanno soprasseduto perché era comunque garantita una elevata copertura dei diritti dei lavoratori mediante i contratti collettivi.
  Infatti, l'ultimo Paese che ha provveduto all'introduzione di un salario minimo legale, la Germania, lo ha fatto nel 2015 proprio per rimediare a un insufficiente e anzi rapidamente decrescente livello di tutela della forza lavoro mediante la contrattazione collettiva e ora il nuovo governo socialdemocratico-liberale-ecologista intende portarne l'importo minimo orario a 12 euro.
  Il tema sta diventando in tutta Europa una questione di emergenza sociale, tanto che l'Unione europea ha approvato una direttiva sul salario minimo adeguato in Europa.
  In Italia, come ha rilevato nel 2021 in un suo studio la Confederazione europea dei sindacati (ETUI and ETUC, Benchmarking Working Europe 2020, Brussels, ETUI, 2020), già prima della crisi economico-sociale dovuta alla pandemia, il numero dei lavoratori esposti al rischio di povertà era aumentato sensibilmente nel secondo decennio del secolo.
  In effetti, la crisi pandemica ha soltanto incrementato l'intollerabilità di una situazione che esisteva da anni. Noi riteniamo che sia dovere del Parlamento ascoltare il dolore sociale che si leva dalla parte più fragile della nostra società e intervenire rigorosamente contro il lavoro povero, che oggi tocca milioni di persone nel nostro Paese.
  Naturalmente, è saggio prevedere che l'intervento del legislatore nazionale sia conforme ai testi approvati dall'Unione europea: cosa che certamente si può dire del progetto qui formulato, ma non di altri progetti già presentati nella scorsa legislatura come è stato già osservato in sede scientifica.
  Va precisato che si intende fare dell'intervento legislativo non un'alternativa, ma al contrario un mezzo di rafforzamento della contrattazione collettiva.
  Occorre tenere presente, infatti, che il tasso di copertura di quest'ultima è probabilmente più basso di quello stimato, se si tiene conto di tutti i rapporti di lavoro non dichiarati come subordinati, ma in realtà tali.
  D'altra parte, si vanno diffondendo i cosiddetti contratti collettivi pirata, stipulati da organizzazioni sindacali e soprattutto da organizzazioni datoriali di scarsa o nulla rappresentatività; mentre l'idea di applicare le regole contenute ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione per ottenere l'efficacia generale dei contratti collettivi continua a trovare l'ostilità delle organizzazioni dei datori di lavoro e a scontrarsi con le molteplici difficoltà tecniche e politiche che ne hanno sempre impedito l'attuazione.
  Esiste tuttavia una possibilità diversa di rispondere con immediatezza alle esigenze che si sono prospettate anche in sede europea mediante un'iniziativa avente le caratteristiche di un intervento di sostegno della contrattazione collettiva e non già sostitutivo di essa, che eviti ogni rischio di effetti prociclici di riduzione salariale, i quali, in una fase persistente e tutt'altro che conclusa di crisi da insufficienza della domanda, potrebbero determinare conseguenze negative di vasta portata.
  Va ricordato, infatti, che per molti aspetti in Italia esiste un salario minimo determinato dalla giurisprudenza, che ha affermato, sia pure con diverse oscillazioni non sempre giustificate e convincenti, il diritto delle persone che lavorano a percepire i minimi salariali previsti dai contratti collettivi attraverso l'interpretazione combinata dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione e dell'articolo 2099, secondo comma, del codice civile.
  Occorre altresì considerare che esiste una normativa settoriale che può fungere da esempio. Infatti, per le società cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio, l'articolo 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142, prevede che «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300» – cioè l'obbligo per i beneficiari di sostegni pubblici, gli appaltatori di opere pubbliche e i concessionari di pubblici servizi di applicare condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi – «le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine».
  Inoltre, per risolvere contrasti insorti nel sistema di relazioni industriali tra differenti organizzazioni delle società cooperative, che avevano prodotto la stipulazione di differenti contratti collettivi con trattamenti economici molto differenziati, il legislatore è tornato sul tema disponendo, all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, che «Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».
  Le censure di costituzionalità mosse a quest'ultima disposizione sono state dichiarate non fondate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 51 del 26 marzo 2015, la quale ha espressamente affermato: «Nell'effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l'andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l'articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative».
  Orbene, l'assetto che ne deriva pone un delicato problema – già rilevato dai commentatori di quella sentenza – di differenziazione ingiustificata tra la posizione giuridica dei soci lavoratori delle cooperative, cui è garantito un trattamento economico complessivo non inferiore a quello derivante dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, e quella dei dipendenti di imprese individuali o società di capitali, cui tale livello di trattamento economico è garantito con tutte le oscillazioni e le limitazioni della giurisprudenza ordinaria fondata sull'articolo 36 della Costituzione, cui si faceva cenno in precedenza.
  In effetti, per la generalità del lavoro al di fuori del settore cooperativo non esiste uno strumento che dia certezza del diritto ai datori di lavoro e ai lavoratori, che contrasti efficacemente forme di competizione salariale al ribasso e che garantisca dunque la correttezza della competizione concorrenziale sul mercato da parte delle imprese.
  Al contempo, la presente proposta di legge mira a generalizzare – senza le oscillazioni e limitazioni della giurisprudenza, sovente casuali – l'osservanza dei minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi, deflazionando e semplificando il contenzioso in materia retributiva che grava sulla giustizia del lavoro; a sostenere per questa via l'attività di regolazione del mercato del lavoro liberamente compiuta dalle parti sociali, che sono le autorità salariali più idonee allo svolgimento del compito, senza sostituirsi ad essa; a regolare con facilità e immediatezza il tema della retribuzione proporzionata e sufficiente prescritta dall'articolo 36, primo comma, della Costituzione, senza pregiudicare l'eventuale volontà del Parlamento di dare una soluzione generale al problema dell'efficacia generale dei contratti collettivi, secondo le previsioni dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della stessa Costituzione.
  Premesso tutto questo, i punti fondamentali dell'articolato che si propone possono sinteticamente riassumersi nei seguenti:

   1) definizione certa, eguale per tutti i rapporti di lavoro e cogente del trattamento economico, che integra la previsione costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l'obbligo che questa non sia inferiore al trattamento previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, per i lavoratori subordinati, come pure per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato che presentino analoghe necessità di tutela (articoli 1 e 2 della proposta di legge);

   2) garanzia dell'applicazione del contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno di commisurazione del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente ex articolo 36 della Costituzione, nel caso di esistenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili, che ovviamente le parti restano libere comunque di applicare (articolo 3 della proposta di legge);

   3) garanzia dell'adeguatezza nel tempo del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l'incremento automatico dell'importo previsto dai precedenti articoli sulla base di contratti collettivi dei quali sia nel frattempo intervenuta scadenza o disdetta, per mezzo dell'applicazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati prodotto dall'Istituto nazionale di statistica, con l'effetto di mantenere alle parti sociali il ruolo di autorità salariali e di conservare – in caso di contrasto tra esse – un valore adeguato all'importo che il legislatore avrà considerato costituire attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione (articolo 1, commi 2 e 3, della proposta di legge);

   4) individuazione di un minimo legale, inderogabile anche dalle parti sociali, per evitare che proprio i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali, possano vedersi fissate retribuzioni contrattuali collettive non conformi, come talvolta ha riconosciuto anche la giurisprudenza, al requisito costituzionale di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

  In particolare, l'articolo 1, al comma 1, enunzia la definizione della giusta retribuzione, in applicazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, facendo riferimento a un trattamento economico complessivo non inferiore a quello derivante dall'applicazione del contratto collettivo nazionale stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Il comma 2 disciplina l'ipotesi in cui il pertinente contratto collettivo nazionale non sia applicabile per scadenza o disdetta, prevedendo che in tal caso il trattamento economico complessivo non possa essere inferiore a quello previsto dal medesimo contratto, rivalutato sulla base della variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Il comma 3 determina il trattamento minimo orario, indicizzato all'incremento dei prezzi al consumo per combattere la deflazione salariale che ha colpito i settori con minore potere contrattuale. L'importo è stabilito direttamente dalla legge; si ritiene invece del tutto inopportuno demandare a un organo collegiale, comunque composto, la funzione di stabilire tale minimo, poiché ciò istituirebbe una sede di contrattazione salariale parallela, che toglierebbe ruolo alla contrattazione nazionale svolta tra le parti sociali. L'articolo 2 dispone l'applicazione delle disposizioni sulla giusta retribuzione anche ai compensi dei lavoratori con contratto di lavoro non subordinato.
  L'articolo 3, al comma 1, stabilisce i criteri per selezionare il trattamento economico complessivo da prendere a riferimento per la fissazione del minimo retributivo, nel caso in cui il datore di lavoro non sia tenuto all'osservanza di alcun contratto collettivo nazionale che sia stato sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative oppure sia possibile applicare alla attività d'impresa svolta una pluralità di contratti collettivi. Al comma 2 è indicato il criterio per la determinazione del trattamento economico minimo per i lavoratori non subordinati.
  L'articolo 4 prescrive l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla contrattazione collettiva da parte dei soggetti esecutori di appalti pubblici o concessioni ed estende ai casi di ritardato pagamento delle retribuzioni le conseguenze già previste dagli articoli 30 e 50 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
  L'articolo 5 prevede l'inderogabilità delle disposizioni contenute nella proposta di legge da parte dei cosiddetti «contratti collettivi di prossimità»: ciò appare indispensabile per conservare una funzione utile all'introduzione del salario minimo legale.
  L'articolo 6, infine, stabilisce le sanzioni amministrative applicabili per l'inosservanza delle disposizioni previste dalla proposta di legge.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Definizione della retribuzione proporzionata e sufficiente)

  1. In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, e fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i datori di lavoro corrispondono ai soggetti della cui prestazione lavorativa si avvalgono in forza dell'esistenza di rapporti di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile, di contratti di prestazione occasionale di cui all'articolo 54-bis, comma 6, lettera b), del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, o di contratti di collaborazione di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, un trattamento economico proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e, comunque, complessivamente non inferiore ai minimi stabiliti, per la prestazione lavorativa oggetto del contratto o, in mancanza, per prestazioni equiparabili a quelle effettivamente svolte, dal contratto collettivo nazionale del settore o della categoria, stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
  2. Qualora il pertinente contratto collettivo nazionale non sia applicabile per scadenza o disdetta, il trattamento economico complessivo di cui al comma 1 non può essere inferiore a quello previsto dal medesimo contratto, rivalutato sulla base della variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
  3. Il trattamento economico minimo orario stabilito dal contratto collettivo nazionale di cui al comma 1 non può essere in ogni caso inferiore a 10 euro lordi. Tale importo è annualmente rivalutato sulla base della variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

Art. 2.
(Applicazione ai contratti di lavoro non subordinato)

  1. In attuazione degli articoli 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, ai lavoratori che prestano la propria attività lavorativa in forza di un contratto di agenzia o di rappresentanza commerciale o di un contratto di collaborazione che si concreti in una prestazione di opera coordinata e continuativa, prevalentemente personale, a carattere non subordinato, il committente è tenuto a corrispondere un compenso proporzionato al risultato ottenuto, avuto riguardo al tempo normalmente necessario per conseguirlo.
  2. In mancanza di contratti collettivi nazionali specifici per il settore di riferimento, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, il compenso di cui al comma 1 non può essere complessivamente inferiore a quello stabilito dal contratto collettivo nazionale che disciplina, nel medesimo settore, mansioni equiparabili svolte dai lavoratori con contratto di lavoro subordinato, avuto riguardo al tempo normalmente necessario per fornire la stessa opera o servizio.

Art. 3.
(Individuazione del contratto collettivo applicabile)

  1. In presenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili all'attività svolta dal datore di lavoro, il trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente non può essere comunque inferiore a quello stabilito, per la prestazione lavorativa oggetto del contratto, dai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa.
  2. Per i rapporti di lavoro non subordinato, il trattamento economico complessivo non può essere inferiore a quello stabilito nel medesimo settore, per mansioni equiparabili svolte dai lavoratori con contratto di lavoro subordinato, dai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa.

Art. 4.
(Personale impiegato nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni)

  1. Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici osservano gli obblighi in materia sociale e di lavoro stabiliti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
  2. Al personale impiegato nell'esecuzione di appalti pubblici e concessioni sono applicati i contratti collettivi nazionale e territoriale di categoria e di zona stipulati dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale nonché quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa, anche in maniera prevalente.
  3. In caso di ritardato pagamento della retribuzione dovuta ai sensi della presente legge, il responsabile unico del procedimento diffida per iscritto il soggetto inadempiente, e in ogni caso l'affidatario dell'appalto o della concessione, ad adempiere entro il termine di quindici giorni. Ove il soggetto o i soggetti diffidati, entro il medesimo termine, non ottemperino alla richiesta e non ne contestino motivatamente la fondatezza, la stazione appaltante provvede direttamente, anche in corso d'opera, al pagamento delle retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all'affidatario ovvero, in caso di pagamento diretto, al subappaltatore inadempiente.

Art. 5.
(Inderogabilità)

  1. I contratti collettivi di cui all'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, non possono derogare alle disposizioni della presente legge.

Art. 6.
(Sanzioni)

  1. Al datore di lavoro o al committente che corrisponde al lavoratore un trattamento economico o un compenso complessivamente inferiore a quello dovuto ai sensi della presente legge si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di un importo da 1.000 euro a 10.000 euro per ciascun lavoratore, commisurato alla durata e all'entità della violazione. Resta ferma l'obbligazione al pagamento del trattamento economico dovuto.
  2. Al datore di lavoro o al committente che consapevolmente affida l'esecuzione di opere o la prestazione di servizi a un soggetto che non rispetta quanto previsto dagli articoli 1 e 2 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di un importo da 500 euro a 1.000 euro per ciascun lavoratore, commisurato alla durata e all'entità della violazione.
  3. L'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui ai commi 1 e 2 comporta altresì l'esclusione, per la durata di due anni, dalla partecipazione a gare pubbliche d'appalto di opere o di servizi, dalla concessione di agevolazioni finanziarie, creditizie o contributive e da finanziamenti pubblici di qualunque genere.

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