FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 887

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
VARCHI, ALMICI, AMBROSI, AMICH, COLOSIMO, DE CORATO, DEIDDA, DI GIUSEPPE, IAIA, LONGI, LUCASELLI, MALAGUTI, MARCHETTO ALIPRANDI, MORGANTE, TREMAGLIA, URZÌ

Modifica all'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all'estero da cittadino italiano

Presentata il 15 febbraio 2023

  Onorevoli Colleghi! – La legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», all'articolo 12, comma 6, prevede che «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».
  Questo divieto, tuttavia, opera solo a livello nazionale, mentre in altri Paesi, sia europei e soprattutto extraeuropei come India e Stati Uniti d'America, tali pratiche sono legali.
  Questo ha dato luogo e sta dando luogo in questi anni alla diffusione del cosiddetto turismo procreativo, cioè di quel fenomeno per cui coppie italiane che non possono avere figli si avvalgono della tecnica della surrogazione di maternità in un Paese estero in cui la stessa è consentita.
  La surrogazione di maternità può assumere due forme distinte. Nella prima si tratta specificamente di una surrogazione di concepimento e di gestazione, ossia la situazione in cui l'aspirante madre demanda a un'altra donna sia la produzione di ovociti, sia la gestazione, non fornendo alcun apporto biologico. Nella seconda si dà corso, invece, a una surrogazione di gestazione, comunemente detta «affitto di utero» o «surrogazione di utero», nella quale l'aspirante madre produce l'ovocita il quale, una volta fecondato dallo spermatozoo dell'aspirante padre, viene impiantato nell'utero di un'altra donna che fungerà esclusivamente da gestante.
  Le pratiche della surrogazione di maternità costituiscono un esempio esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini che nascono attraverso tali pratiche, che sono trattati alla stregua di merci. Ciononostante il ricorso a queste pratiche è in vertiginoso aumento e la maternità surrogata sta diventando un vero e proprio business che, tanto per fare un esempio, in India vale oltre 2 miliardi di dollari l'anno. In questo Paese le «volontarie», reclutate nelle zone più povere, «producono» più di millecinquecento bambini all'anno per assecondare la domanda che viene dall'estero, attirata dai prezzi bassi, «appena» 25.000/30.000 dollari rispetto ai 50.000 che si spendono negli Stati Uniti d'America.
  In India, le volontarie che entrano nel circuito legale delle cliniche per la maternità surrogata guadagnano tra gli 8.000 e i 9.000 dollari a gestazione, una cifra che corrisponde a dieci anni di lavoro di un operaio non specializzato, mentre quelle che ne rimangono al di fuori sono reclutate da veri e propri «scout», attivi nelle zone più povere, sono pagate molto meno – da 3.000 a 5.000 dollari – e sono costrette a firmare dei contratti che non prevedono alcun supporto medico post parto.
  Nonostante i costi un po’ più elevati, anche negli Stati Uniti d'America il business della maternità surrogata sta aumentando a ritmo esponenziale, con un numero di nascite superiore a duemila ogni anno, rispetto alle quali addirittura si dà agli aspiranti genitori la possibilità di scegliere alcune caratteristiche base del nascituro.
  Nella surrogazione di maternità le donne che «prestano» il proprio corpo non hanno alcun diritto sui bambini che pure portano in grembo e non sono neanche considerati i diritti dei bambini, costretti a separarsi dalla madre biologica subito dopo il parto (un evento assolutamente traumatico) e che si chiederanno per tutta la vita chi sia la loro madre biologica.
  Tutto questo dimostra come la «favola» della madre che generosamente presta il proprio corpo a una donna che non riesce a sostenere una gestazione sia lontana dalla realtà, mentre la verità è che si tratta di un banale mercimonio di madri e di bambini. Dopo decenni in cui si è lottato per riconoscere ai bambini un'autonoma dimensione giuridica e si sono firmati decine di convenzioni e di atti internazionali volti a promuovere la tutela dei loro diritti, ora si sta tornando indietro.
  Nasce da queste considerazioni l'esigenza, sempre più avvertita in ambito nazionale e internazionale, di condannare la diffusione di tali pratiche.
  In Italia, il 18 marzo 2016, il Comitato nazionale per la bioetica, organo di consulenza al Governo, al Parlamento e alle altre istituzioni, ha approvato una mozione con la quale definisce la maternità surrogata come «un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», ritenendo che «l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i princìpi bioetici fondamentali».
  In ambito europeo, invece, il 17 dicembre 2015, nel corso dell'Assemblea plenaria del Parlamento europeo, è stata approvata la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014, sulla politica dell'Unione europea in materia, di cui alla risoluzione 2015/2229 (INI). La Relazione contiene un emendamento di un eurodeputato della Slovacchia che stabilisce che il Parlamento europeo «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani» a disposizione dell'Unione europea nel dialogo con i Paesi terzi.
  Negli ultimi anni i giudici italiani hanno dovuto confrontarsi con il fenomeno del ricorso alla maternità surrogata all'estero e l'impossibilità, stante la normativa vigente, di sanzionare penalmente tale fenomeno, ha spinto la giurisprudenza a utilizzare approcci di diversa natura rispetto agli eventuali profili di responsabilità penale, concentrandosi prevalentemente, almeno in una prima fase, sull'analisi della configurabilità del reato di alterazione di stato di cui al secondo comma dell'articolo 567 del codice penale, che punisce con la reclusione da cinque a quindici anni «chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità».
  In dottrina si è ampiamente discusso se l'indicazione della madre biologica nel certificato di nascita rilasciato nel Paese estero sia circostanza idonea a integrare la fattispecie di cui al citato articolo, posto che nel certificato di nascita rilasciato dall'autorità straniera appare il nome della madre biologica, anziché quello della donna che ha partorito, e la parte maggioritaria ha ritenuto applicabile tale fattispecie di reato alla surrogazione di maternità.
  In ogni caso, in via generale, la dottrina italiana maggioritaria si è, infatti, mostrata restia ad accettare un'attribuzione della qualifica di madre alla donna non gestante, adottando come parametro fondante il concetto giuridico di madre l'esperienza della maternità come anche sembra discendere dall'articolo 269 del codice civile. Si è quindi ritenuto che per integrare il concetto giuridico di madre non sia sufficiente il mero dato biologico, ma sia necessario non solo considerare lo strettissimo legame che intercorre durante la gravidanza, ma anche che l'apporto biologico sia accompagnato dalla decisione responsabile di giungere alla generazione di una nuova vita.
  Sinora la giurisprudenza si è pronunciata solo in poche occasioni sulle problematiche legate alla surrogazione di maternità e solo recentemente si è trovata a fare fronte alle conseguenze giuridiche del cosiddetto turismo procreativo.
  Con riferimento all'applicabilità del reato di cui al citato articolo 567 del codice penale, un'interpretazione diversa è stata fornita nell'aprile 2014 con una sentenza del tribunale di Milano, nella quale si è affermato che la trascrizione del certificato di nascita estero non avrebbe effetto costitutivo dello status filiationis ma solamente un mero effetto di pubblicità del registro di stato civile dell'atto formatosi all'estero, negando, di conseguenza, la configurabilità del delitto di alterazione di stato nella mera richiesta di trascrizione del certificato di nascita estero.
  Di contro, la sentenza di Milano ha, invece, riconosciuto i due coniugi indagati colpevoli del reato di cui all'articolo 495 del codice penale, rubricato «Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», il quale punisce con la reclusione da uno a sei anni «Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o le altre qualità della propria o dell'altrui persona» a causa della falsa dichiarazione resa dal marito in ordine alla qualifica di madre biologica della moglie.
  La falsa dichiarazione che si effettua nei casi di surrogazione di maternità sarebbe – secondo la sentenza – diretta a sottrarre al patrimonio conoscitivo dell'ufficiale di stato civile un elemento potenzialmente valutabile ai fini del rifiuto della trascrizione perché contraria all'ordine pubblico.
  Nella medesima sentenza, peraltro, il giudice ha svolto alcune considerazioni non di poco rilievo in merito al desiderio di genitorialità, riconoscendone l'importanza ma ribadendo che questo non sia meritevole di tutela «allorché tale desiderio sia soddisfatto od ogni costo, anche a probabile discapito del nascituro». La legislazione nazionale sul tema della filiazione, dalla Costituzione in poi, e quella sulle adozioni dedicano grandissima attenzione al fatto che il desiderio di genitorialità non violi i diritti del minore e non travalichi il dato materiale, cioè, per citare il giudice di Milano, «le condizioni per mezzo delle quali due soggetti possono naturalmente generare».
  Appare evidente come non sia più possibile lasciare i tribunali soli davanti alle problematiche che sempre più spesso si stanno determinando a causa del ricorso da parte di cittadini italiani a pratiche di surrogazione di maternità effettuate all'estero, e quanto sia opportuno che la normativa nazionale sanzioni simili pratiche, esattamente come sono sanzionate se commesse in Italia, con ciò ribadendo in modo chiaro la nostra contrarietà allo sfruttamento e alla commercializzazione di fatto di donne e di bambini.
  La legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, scritta in un tempo in cui non esisteva ancora il turismo procreativo, ha lasciato un vuoto normativo, nulla prevedendo in ordine alla liceità o no della surrogazione di utero, e più in generale di maternità, attuata all'estero da cittadini italiani.
  Tuttavia, il codice penale, all'articolo 7, stabilisce espressamente la punibilità per taluni reati anche se commessi all'estero, prevedendo una riserva di legge in materia, in forza della quale la presente proposta di legge interviene proprio sulla legge n. 40 del 2004, introducendo la punibilità del reato anche quando lo stesso sia stato commesso in un Paese straniero.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Al comma 6 dell'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all'estero».

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