Rapporto Svimez 2014
31 ottobre 2014
Il 28 ottobre è stato presentato il Rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno.
I numeri del Rapporto fotografano un Sud a rischio desertificazione umana e industriale, dove si continua a emigrare (116mila abitanti nel solo 2013), non fare figli (continuano nel 2013 a esserci più morti che nati), impoverirsi (+40% di famiglie povere nell'ultimo anno) perché manca il lavoro (al Sud perso l'80% dei posti di lavoro nazionali tra il primo trimestre del 2013 e del 2014); l'industria continua a soffrire di più (-53% gli investimenti in cinque anni di crisi, -20% gli addetti); i consumi delle famiglie crollano di quasi il 13% in cinque anni; gli occupati arrivano a 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977 e la disoccupazione corretta sarebbe del 31,5% invece che il 19,7%.
Di seguito alcuni degli ambiti indagati:
Profili demografici: alla fine del 2012 la popolazione italiana è tornata a sfondare la quota dei 60 milioni di abitanti, con un incremento di poco meno di 100mila unità, quasi tutte al Centro-Nord. Nel Sud, invece, si registra un calo di oltre 20mila unità, a testimonianza dell'invecchiamento della popolazione, della scarsa immigrazione straniera e dell'insufficiente ricambio generazionale dovuto alla bassa fecondità. È infatti l'immigrazione straniera a essere il motore dell'incremento demografico nazionale, prevalentemente concentrata al Centro-Nord. Al Sud ancora più morti che nati, per il secondo anno consecutivo.
In calo nel 2012 i matrimoni: appena 207mila celebrazioni, di cui 84mila al Sud. I matrimoni civili al Sud sono fermi al 24,5% contro l'oltre 52% del Centro-Nord. Resiste al Sud la tendenza a contrarre matrimonio a un'età media relativamente più giovane rispetto al Centro-Nord, circa due anni prima: l'età media degli sposi meridionali nel 2012 è stata infatti di 32,7 anni per gli uomini e di 29,6 anni per le donne, contro i 34,7 e 31,6 del Centro-Nord. In quasi 15 matrimoni su 100 uno dei coniugi è straniero, percentuale che supera il 20% al Centro-Nord, rispetto al 7% del Sud. A dicembre 2013 i residenti stranieri nel nostro Paese sono circa 5 milioni, di cui solo 717mila al Sud. e 4 milioni 200mila nel Centro-Nord.
Giovani: per le nuove generazioni del Mezzogiorno continuano a essere sbarrate le porte d'accesso al lavoro, la durata della disoccupazione si è allungata, così come la transizione scuola-lavoro. Si è innescata una spirale di depauperamento del capitale umano che unisce emigrazione allo scoraggiamento a investire nella formazione più avanzata. Al dualismo territoriale si unisce insomma anche quello generazionale: dal 2008 al 2013 sono andati persi in Italia 1 milione e 800mila posti di lavoro fra gli under 34, mentre per gli over 35 nello stesso periodo l'aumento è stato di oltre 800mila unità. Il tasso di disoccupazione degli under 35 è salito nel Mezzogiorno nel 2013 al 35,7%. Dei 3 milioni 593mila Neet (Not in education, employment or training) registrati nel 2013, 2 milioni sono donne e quasi 2 milioni si trovano al Sud.
Condizione femminile:negli ultimi cinque anni, dal 2008 al 2013, in Italia le donne hanno perso 11mila posti di lavoro. Le donne continuano a lavorare poco: nel 2013 a fronte di un tasso di attività femminile medio del 66% in Europa, (che arriva all'83% in Finlandia), le regioni del Mezzogiorno vanno peggio di Malta e della Romania (che registrano tassi di attività femminile rispettivamente del 50% e del 48,4%). A eccezione infatti dell'Abruzzo, che segna un tasso di attività femminile del 50,2%, tutte le altre regioni meridionali segnano valori più bassi, fino al 38% in Puglia, il 37% in Calabria e Campania, il 35% in Sicilia. La scarsità di servizi all'infanzia e un sistema di tassazione che scoraggia la partecipazione al mercato del lavoro di un secondo percettore di reddito uniscono alle difficoltà economiche anche un arretramento dei progressi sociali. Delle oltre 1 milione e 100mila donne che al Sud nel 2013 ha smesso di lavorare, il 40% lo ha fatto per la scadenza contrattuale, cosa che, nella stessa condizione, ha coinvolto al Centro-Nord solo il 28% del totale. Ma se gli uomini perdono il posto di lavoro perché concentrati in quei settori più colpiti dalla crisi negli ultimi anni, quali il bancario/finanziario, il manifatturiero e quello delle costruzioni, le donne rientrano, o entrano per la prima volta, nel mercato del lavoro, ma andando a ricoprire posizioni poco qualificate.
Famiglie: nel 2013 oltre un milione di famiglie in Italia è composta soltanto da persone in cerca di occupazione, un numero aumentato addirittura di quasi il 59% in quattro anni. Quasi 600mila famiglie, il 53% del totale, sono nel Mezzogiorno. Nel 2013 le famiglie monoreddito sono 7 milioni 311mila; il solo occupato è uomo in due casi su tre. Al Sud 620mila famiglie si basano su un unico reddito da lavoro femminile. La crisi ha quindi spinto a inventare nuove strategie sociali; le famiglie non rivestono più il ruolo di ammortizzatore sociale, ma diventano spesso luogo principe della sofferenza e di nuove povertà.
Reddito delle famiglie: la crisi economica ha prodotto effetti molto diversi sul livello e la distribuzione del reddito delle famiglie in Europa. In Italia, Spagna e Olanda il reddito delle famiglie è sceso due volte il Pil. Tra il 2007 e il 2012 la caduta del potere d'acquisto delle famiglie italiane è stata di 10 punti percentuali, pari a una perdita annua di circa 6mila euro. A ogni cittadino italiano, la crisi è costata 1.664 euro all'anno. Il deterioramento delle condizioni economiche delle famiglie ha fatto emergere gravemente il problema della povertà.
Il no profit: il settore negli ultimi anni sta assumendo un ruolo sussidiario rispetto al sistema di welfare pubblico, specialmente nell'erogazione dei servizi sociali ai cittadini. Le istituzioni no profit si concentrano soprattutto nell'Italia settentrionale (157.197); sono 79.317 nel Mezzogiorno. In rapporto alla popolazione, sono maggiormente diffuse nel Nord Est. E sempre nel Centro-Nord si trovano le risorse finanziarie più consistenti. Sul fronte delle risorse umane, invece, il divario si esprime sia nel numero e nelle caratteristiche dei volontari (più numerosi, giovani e istruiti al Nord) che nel numero degli occupati e nella dimensione delle strutture (meno occupati e organizzazioni più piccole al Sud). Al Centro-Nord infatti gli addetti sono 555mila, contro i 126mila al Sud. A livello economico, le istituzioni no profit sono in attivo al Centro-Nord e in pareggio al Sud, dove si rileva anche una maggiore dipendenza dalle fonti di finanziamento pubbliche.
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