Sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 sul blocco della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS per gli anni 2012-2013

4 giugno 2015

Con la recente sentenza n.70/2015 la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 25, del decreto-legge n.201/2011, con cui era stato disposto il blocco della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS per gli anni 2012-2013.

Con tale pronuncia la Corte ha ritenuto che "sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento" pensionistico siano stati "valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività".

La Corte fa presente che "non è stato ascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n.316 del 2010", con cui aveva segnalato che "la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni".

Richiamata l'esigenza che il legislatore operi un corretto bilanciamento dei valori costituzionali ogniqualvolta si profili l'esigenza di un risparmio di spesa, la Corte osserva, poi, che la disposizione censurata "si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi" (aggiungendo "che in sede di conversione non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate"). "L'interesse dei pensionati", prosegue la Corte, "in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.).

Servizio Studi della Camera dei deputati

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