XIX LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO ALL'11 GIUGNO 2025
COMUNICAZIONI
COMUNICAZIONI
DEL 28 MAGGIO 2025
Missioni valevoli
nella seduta del 28 maggio 2025.
Albano, Ascani, Bagnai, Barbagallo, Barelli, Barzotti, Battistoni, Bellucci, Benvenuto, Bicchielli, Bignami, Bitonci, Bonetti, Boschi, Braga, Brambilla, Calderone, Carloni, Casasco, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Sergio Costa, D'Alessio, Deidda, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lucaselli, Lupi, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Michelotti, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Morrone, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pellegrini, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Richetti, Rixi, Roccella, Romano, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Semenzato, Siracusano, Sportiello, Tajani, Trancassini, Tremonti, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili, Zucconi.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Albano, Ascani, Bagnai, Barbagallo, Barelli, Barzotti, Battistoni, Bellucci, Benvenuto, Bicchielli, Bignami, Bitonci, Bonetti, Boschi, Braga, Brambilla, Calderone, Cappellacci, Carloni, Casasco, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Sergio Costa, D'Alessio, Deidda, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lucaselli, Lupi, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Michelotti, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Morrone, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pellegrini, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Richetti, Rixi, Rizzetto, Roccella, Romano, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Semenzato, Siracusano, Sportiello, Stefani, Tajani, Trancassini, Tremonti, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili, Zucconi.
(Alla ripresa notturna della seduta).
Albano, Ascani, Bagnai, Barbagallo, Barelli, Barzotti, Battistoni, Bellucci, Benvenuto, Bicchielli, Bignami, Bitonci, Bonetti, Boschi, Braga, Brambilla, Calderone, Cappellacci, Carloni, Casasco, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Sergio Costa, D'Alessio, Deidda, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lucaselli, Lupi, Maccari, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Morrone, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Richetti, Rixi, Rizzetto, Roccella, Romano, Rotelli, Scerra, Schullian, Semenzato, Siracusano, Sportiello, Stefani, Tajani, Trancassini, Tremonti, Varchi, Vinci, Zanella, Zaratti, Zoffili, Zucconi.
(Alla ripresa antimeridiana della seduta
nella giornata del 29 maggio 2025).
Albano, Ascani, Bagnai, Barbagallo, Barelli, Battistoni, Bellucci, Benvenuto, Bicchielli, Bignami, Bitonci, Bonetti, Boschi, Braga, Brambilla, Calderone, Cappellacci, Carloni, Casasco, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Sergio Costa, D'Alessio, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lucaselli, Lupi, Maccari, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Michelotti, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Morrone, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Richetti, Rixi, Rizzetto, Roccella, Romano, Rotelli, Scerra, Schullian, Semenzato, Siracusano, Sportiello, Stefani, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta
nella giornata del 29 maggio 2025).
Albano, Ascani, Bagnai, Barbagallo, Barelli, Battistoni, Bellucci, Benvenuto, Bicchielli, Bignami, Bitonci, Bonetti, Boschi, Braga, Brambilla, Caiata, Calderone, Cappellacci, Carloni, Casasco, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Sergio Costa, D'Alessio, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lucaselli, Lupi, Maccari, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Michelotti, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Morrone, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Richetti, Rixi, Rizzetto, Roccella, Romano, Rotelli, Scerra, Schullian, Semenzato, Siracusano, Sportiello, Stefani, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili.
Annunzio di proposte di legge.
In data 27 maggio 2025 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
MULÈ: «Modifiche al codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e all'articolo 1 della legge 21 luglio 2016, n. 145, nonché introduzione dell'articolo 7-quater del decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 dicembre 2015, n. 198, concernenti lo spazio cibernetico di interesse nazionale per la difesa e la sicurezza dello Stato e le operazioni delle Forze armate in ambito cibernetico» (2425);
ORRICO ed altri: «Istituzione di una Commissione di valutazione indipendente presso il Ministero della cultura per la selezione delle candidature agli incarichi di sovrintendente delle fondazioni lirico-sinfoniche e di direttore generale dei teatri nazionali» (2426).
Saranno stampate e distribuite.
Annunzio di petizioni.
Francesco Di Pasquale, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede:
interventi urgenti per contrastare l'inquinamento dei mari (996) – alla VIII Commissione (Ambiente);
di potenziare i servizi di assistenza e informazione ai cittadini nelle pubbliche amministrazioni (997) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
di snellire le procedure amministrative per le autorizzazioni dei passi carrabili (998) – alla IX Commissione (Trasporti);
l'istituzione di un mese dedicato alla prevenzione delle malattie (999) – alla XII Commissione (Affari sociali);
iniziative volte a promuovere nuovi studi per approfondire eventuali legami tra il consumo di alcool e il cancro (1000) – alla XII Commissione (Affari sociali);
Moreno Sgarallino, da Roma, chiede:
che non sia più prevista la ripresa televisiva diretta per le interrogazioni a risposta immediata (1001) – alla Giunta per il Regolamento;
che sia previsto un risarcimento per i danni causati ai veicoli delle forze dell'ordine da parte dei responsabili di reati (1002) – alla II Commissione (Giustizia);
la possibilità per le vittime di borseggi di chiedere il risarcimento dei danni alle pubbliche amministrazioni (1003) – alla II Commissione (Giustizia);
che il futuro ponte sullo stretto di Messina sia dotato di corsie bidirezionali per la movimentazione dei container (1004) – alla VIII Commissione (Ambiente);
nuove norme in materia di indicazione dei genitori e degli esercenti la responsabilità genitoriale nei documenti personali (1005) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Waldenize Goncalves Rosati, da Trecate (Novara), chiede che nuove norme in materia di concessione della cittadinanza (1006) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Alessio Paiano, da Cavallino (Lecce), chiede:
interventi diversi volti a favorire l'inserimento sociale e lavorativo dei giovani (1007) – alla XII Commissione (Affari sociali);
che tra le spese rimborsabili in sede di dichiarazione dei redditi siano inserite anche quelle sostenute dal lavoratore dipendente per la propria istruzione (1008) – alla VI Commissione (Finanze);
la limitazione del potere di censura degli amministratori dei social network (1009) – alla IX Commissione (Trasporti);
Giovanni Bosco Restivo, da San Michele di Ganzaria (Catania), chiede la modifica della Costituzione per la reintroduzione della pena di morte per il reato di omicidio (1010) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Raffaele Mancuso, da Porto Empedocle (Agrigento), chiede modifiche al codice di procedura civile, con particolare riguardo ai presupposti per la concessione della sospensione dell'efficacia esecutiva delle sentenze impugnate (1011) – alla II Commissione (Giustizia);
Matteo Ronchini, da Valmorea (Como), chiede l'istituzione di un registro unico nazionale in cui siano iscritte tutte le persone giuridiche di diritto privato (1012) – alla II Commissione (Giustizia);
Stefano Fuschetto, da Gallarate (Varese), chiede:
l'abolizione di tutti i giorni festivi (1013) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'abolizione del ticket sanitario (1014) – alla XII Commissione (Affari sociali);
l'abolizione degli obblighi di vaccinazione per i minori fino a sedici anni (1015) – alla XII Commissione (Affari sociali);
l'abolizione degli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione (1016) – alla II Commissione (Giustizia);
iniziative per impedire l'utilizzo di alberi vivi recisi per la decorazione di piazza San Pietro, a Roma, nel periodo natalizio (1017) – alla VIII Commissione (Ambiente);
iniziative per la chiusura delle basi militari americane in Italia (1018) – alla III Commissione (Affari esteri);
Angelo Lucarella e Orazio Santagati, da Martina Franca (Taranto) e Fiumicino (Roma), chiedono la modifica della Costituzione, con l'inserimento del principio di lotta alle mafie (1019) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Luciano Greco, da Fuscaldo (Cosenza), chiede misure urgenti per la riduzione del sovraffollamento carcerario e il reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti (1020) – alla II Commissione (Giustizia);
Gianni Lanzinger, da Bolzano, propone una serie organica di argomentazioni in relazione al previsto esame in sede parlamentare della riforma dello Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige (1021) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Domenico Morra, da Torino, e numerosi altri cittadini chiedono interventi urgenti contro la diffusione della propaganda russa in Italia (1022) – alla III Commissione (Affari esteri);
Gianfranco Servodio, da Casamassima (Bari), chiede modifiche all'articolo 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, in materia di requisiti per l'ammissione al concorso per la nomina a magistrato ordinario (1023) – alla II Commissione (Giustizia);
Domenico Sergi, da Platì (Reggio Calabria), e altri cittadini chiedono:
di attribuire al Presidente del Consiglio il potere di nomina e revoca dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato (1024) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
una riforma del sistema elettorale, secondo criteri di trasparenza, omogeneità territoriale, coinvolgimento degli elettori e stabilità delle maggioranze (1025) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
misure per l'efficienza gestionale e il miglioramento delle condizioni operative e sanitarie negli istituti penitenziari (1026) – alla II Commissione (Giustizia);
Salvo Natale, da Trapani, e altri cittadini chiedono la riforma del Servizio civile universale (1027) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Valeria Canna, da Canegrate (Milano), e altri cittadini chiedono la chiusura obbligatoria dei supermercati e degli esercizi commerciali la domenica e negli altri giorni festivi (1028) – alla X Commissione (Attività produttive).
Trasmissione dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie.
Il Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, con lettera in data 28 maggio 2025, ha trasmesso – ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della delibera istitutiva approvata dalla Camera dei deputati il 23 marzo 2023 – la prima Relazione sull'attività svolta dalla Commissione, approvata dalla medesima Commissione nella seduta del 28 maggio 2025. Il predetto documento sarà stampato e distribuito (Doc. XXII-bis, n. 2).
Trasmissione dal Ministero della giustizia.
Il Ministero della giustizia, con lettera del 28 maggio 2025, ha trasmesso la nota relativa all'attuazione data alla mozione VARCHI, MORRONE, CALDERONE, ROMANO ed altri n. 1/00418, accolta dal Governo ed approvata nella seduta dell'Assemblea del 20 marzo 2025, concernente iniziative in merito alla situazione nelle carceri.
La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla II Commissione (Giustizia) competente per materia.
Trasmissione dal Dipartimento per gli affari europei della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Dipartimento per gli affari europei della Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 28 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione, predisposta dal Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 228/2013 per quanto riguarda l'assistenza integrativa e l'ulteriore flessibilità per le regioni ultraperiferiche colpite da gravi calamità naturali e nel contesto delle devastazioni provocate a Mayotte dal ciclone Chido (COM(2025) 190 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti.
Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Annunzio di progetti di atti
dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 27 maggio 2025, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Raccomandazione di decisione del Consiglio che autorizza l'avvio di negoziati per un emendamento all'articolo 1, lettera a), della convenzione per la protezione dell'ambiente marino dell'Atlantico nordorientale (COM(2025) 255 final), corredata dal relativo allegato (COM(2025) 255 final – Annex), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla maturità tecnologica e di mercato dei veicoli pesanti per il trasporto su strada (COM(2025) 260 final), che è assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti);
Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per i lavoratori espulsi dal lavoro (EGF/2025/000 TA 2025 – Assistenza tecnica su iniziativa della Commissione) (COM(2025) 680 final), che è assegnata in sede primaria alla XI Commissione (Lavoro).
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 27 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Con la predetta comunicazione, il Governo ha inoltre richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai documenti di immatricolazione dei veicoli e ai dati di immatricolazione dei veicoli registrati nei registri di immatricolazione nazionali, che abroga la direttiva 1999/37/CE del Consiglio (COM(2025) 179 final);
Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2021/2283 recante apertura e modalità di gestione di contingenti tariffari autonomi dell'Unione per taluni prodotti agricoli e industriali (COM(2025) 244 final).
Trasmissione dalla Regione
Emilia-Romagna.
Il Presidente della Regione Emilia-Romagna, in qualità di commissario delegato titolare di contabilità speciale, con lettera pervenuta in data 27 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 27, comma 4, del codice della protezione civile, di cui al decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, il rendiconto, per il periodo dal 1° gennaio al 22 maggio 2025, relativo alla contabilità speciale n. 6097, concernente le attività connesse alle ripetute e persistenti avversità atmosferiche verificatesi in varie aree della Regione Emilia-Romagna nel periodo dal 2 febbraio al 19 marzo 2018, di cui alle ordinanze del capo del Dipartimento della protezione civile n. 533 del 2018 e n. 760 del 2021.
Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).
Comunicazione di nomine ministeriali.
Il Ministero dell'istruzione e del merito, con lettera in data 23 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, il decreto ministeriale di nomina della dottoressa Letizia Cinganotto a componente del consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE).
Questo decreto è trasmesso alla VII Commissione (Cultura).
La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 27 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento alla dottoressa Maria Benedetta Francesconi, ai sensi dei commi 4 e 5-bis del medesimo articolo 19, dell'incarico di funzione dirigenziale di livello generale di direttore della Direzione generale coordinamento, gestione progetti e sviluppo tecnico dell'Unità di missione per l'attuazione degli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), nell'ambito del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali), alla VIII Commissione (Ambiente) e alla X Commissione (Attività produttive).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
COMUNICAZIONI
DEL 29 MAGGIO 2025
Annunzio di proposte di legge.
In data 28 maggio 2025 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
MULÈ ed altri: «Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e altre disposizioni di semplificazione e agevolazione in materia di beni del patrimonio culturale privato, nonché delega al Governo per la disciplina delle società di gestione di beni culturali» (2427);
GAETANA RUSSO: «Modifiche all'articolo 39-bis del codice della nautica da diporto, di cui al decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171, e altre disposizioni in materia di accesso ai dati contenuti nell'anagrafe nazionale delle patenti nautiche nonché di informatizzazione dei procedimenti a esse relativi» (2428).
Saranno stampate e distribuite.
Adesione di deputati a proposte di legge.
La proposta di legge CIOCCHETTI ed altri: «Istituzione del servizio di psicologia di assistenza primaria nell'ambito del Servizio sanitario nazionale» (814) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge MAIORANO ed altri: «Disposizioni per il riconoscimento e la promozione della clownterapia o terapia del sorriso» (846) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge CANNATA ed altri: «Disposizioni concernenti la fornitura e l'impiego dei sistemi di intelligenza artificiale» (1444) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge CIOCCHETTI ed altri: «Modifica del comma 255 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e altre disposizioni nonché delega al Governo per il riconoscimento e la tutela della figura del caregiver familiare» (1690) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge CASU ed altri: «Modifiche all'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di scorrimento integrale delle graduatorie degli idonei non vincitori di concorsi pubblici» (1710) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Borrelli.
La proposta di legge CIOCCHETTI ed altri: «Disposizioni concernenti l'introduzione dell'obbligo di diagnosi autoptica nei casi di morte improvvisa in età infantile e giovanile e l'istituzione di una rete nazionale diagnostica, terapeutica e assistenziale per i familiari» (1807) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Lampis.
La proposta di legge CARAMANNA ed altri: «Disposizioni in materia di prestazione di servizi ausiliari alla sicurezza» (1857) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge CIOCCHETTI ed altri: «Ordinamento della professione di sociologo e istituzione dell'albo professionale» (1936) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge MORGANTE ed altri: «Modifica all'articolo 2-quinquies del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, concernente l'età minima per l'espressione del consenso al trattamento di dati personali in relazione ai servizi della società dell'informazione, e delega al Governo per la disciplina della fornitura e dell'impiego di identità digitali protette» (2070) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge MAIORANO ed altri: «Riapertura del termine per l'accesso ai benefìci previdenziali in favore dei lavoratori che sono stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni» (2106) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Benvenuti Gostoli e Iaia.
La proposta di legge ZUCCONI ed altri: «Disposizioni concernenti il riordino normativo, la promozione e lo sviluppo del settore termale» (2129) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Benvenuti Gostoli.
La proposta di legge ROSSO ed altri: «Modifica all'articolo 8 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, in materia di etichettatura dei prodotti caseari a base di latte crudo» (2132) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Iaia.
La proposta di legge ALMICI ed altri: «Istituzione e disciplina delle figure professionali del soccorritore, dell'autista soccorritore e del tecnico delle centrali di soccorso» (2263) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Benvenuti Gostoli e Iaia.
Trasmissione dal Senato.
In data 28 maggio 2023 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza i seguenti progetti di legge:
S. 1279. – PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA: «Modifiche alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia» (approvata, in prima deliberazione, dalla Camera e dal Senato) (976-B);
S. 1320. – «Integrazione delle attività di interesse pubblico esercitate dall'Associazione della Croce Rossa italiana e revisione delle disposizioni in materia di Corpi dell'Associazione della Croce Rossa italiana ausiliari delle Forze armate. Delega al Governo per la revisione della disciplina del Corpo militare volontario e del Corpo delle infermiere volontarie dell'Associazione della Croce Rossa italiana ausiliari delle Forze armate e delega al Governo per la razionalizzazione, la semplificazione e il riassetto delle disposizioni in materia di ordinamento militare» (approvato dal Senato) (2429).
Saranno stampati e distribuiti.
Assegnazione di progetti di legge
a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
ONORI e PASTORELLA: «Modifiche agli articoli 1 e 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di attribuzione e riacquisto della cittadinanza» (2358) Parere delle Commissioni III e V.
X Commissione (Attività produttive):
RUFFINO: «Disciplina della professione di guida ambientale turistico-sportiva» (2300) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IV, V, VI, VII, VIII, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 27 maggio 2025, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n. 440, recante istituzione di un assegno vitalizio a favore di cittadini che abbiano illustrato la Patria e che versino in stato di particolare necessità, della concessione di un assegno straordinario vitalizio, con indicazione del relativo importo, al signor Gëzim Hajdari, poeta.
Questa comunicazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.
Trasmissione dal Ministero
dell'università e della ricerca.
Il Ministero dell'università e della ricerca ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 28 maggio 2025, ai sensi dell'articolo 33, comma 4-quinquies, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).
Trasmissione dal Dipartimento per gli affari europei della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Dipartimento per gli affari europei della Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 28 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione, predisposta dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che sospende alcune parti del regolamento (UE) 2015/478 per quanto riguarda le importazioni di prodotti ucraini nell'Unione europea (COM(2025) 107 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti.
Questa relazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive).
Annunzio di progetti di atti
dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 28 maggio 2025, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede di Forum mondiale per l'armonizzazione dei regolamenti sui veicoli della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite per quanto riguarda le proposte di regolamenti ONU del giugno 2025 (COM(2025) 251 final), corredata dal relativo allegato (COM(2025) 251 final – Annex), che è assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti);
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'esercizio del potere di adottare atti delegati a norma dell'articolo 46, paragrafo 2, del regolamento 2019/787 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione e all'etichettatura delle bevande spiritose, all'uso delle denominazioni di bevande spiritose nella presentazione e nell'etichettatura di altri prodotti alimentari, nonché alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e all'uso dell'alcol etilico e di distillati di origine agricola nelle bevande alcoliche, e che abroga il regolamento (CE) n. 110/2008 (COM(2025) 261 final), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura).
Richiesta di parere parlamentare
su atti del Governo.
Il Ministro della cultura, con lettera in data 29 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, commi 9 e 10, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, le richieste di parere parlamentare sugli schemi di decreto ministeriale recanti:
rimodulazione delle risorse del Fondo per la tutela del patrimonio culturale per gli anni 2022-2024, con riferimento alla regione Toscana (268);
rimodulazione delle risorse del Fondo per la tutela del patrimonio culturale per gli anni 2022-2024, con riferimento alla regione Piemonte, per la sostituzione degli impianti di elevazione della Biblioteca nazionale universitaria di Torino (269);
rimodulazione delle risorse del Fondo per la tutela del patrimonio culturale per gli anni 2022-2024, con riferimento alla regione Piemonte, per la messa in sicurezza dei soffitti della sala letture della Biblioteca nazionale universitaria di Torino (270);
rimodulazione delle risorse del Fondo per la tutela del patrimonio culturale per gli anni 2022-2024, con riferimento alla regione Piemonte, per interventi di restauro della cappella di San Pantaleone a Boccioleto e della cappella denominata del trasporto del sacro monte di Oropa a Biella (271);
rimodulazione delle risorse del Fondo per la tutela del patrimonio culturale per gli anni 2025-2027, con riferimento alla regione Piemonte (272).
Queste richieste sono assegnate, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla VII Commissione (Cultura), che dovrà esprimere i prescritti pareri entro il 18 giugno 2025.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
DISEGNO DI LEGGE: CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 11 APRILE 2025, N. 48, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI SICUREZZA PUBBLICA, DI TUTELA DEL PERSONALE IN SERVIZIO, NONCHÉ DI VITTIME DELL'USURA E DI ORDINAMENTO PENITENZIARIO (A.C. 2355)
A.C. 2355 – Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca norme anche sull'ordinamento penitenziario: in particolare, l'articolo 34 reca modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di benefici penitenziari, prevedendo – tra i tanti – la fissazione di un termine di 60 giorni dal ricevimento della proposta di convenzione per l'espressione del parere nel merito da parte dell'amministrazione penitenziaria, corredato delle eventuali condizioni e prescrizioni necessarie affinché la proposta possa essere approvata;
sotto altro profilo, gli articoli 35, 36 e 37 intervengono in materia di attività lavorativa dei detenuti, al fine di promuovere l'attività lavorativa da parte dei detenuti;
è notorio come le decisioni da parte dell'amministrazione penitenziaria sia in materia di benefici e permessi, che in materia di attività lavorativa dei detenuti richiedano tempistiche dilatate a causa del carico di lavoro esorbitante che grava sui tribunali di sorveglianza, ai quali spetta di solito le deliberazioni in tali materie;
in particolare, nel settore dell'esecuzione penale, è di tutta evidenza come manchi il personale amministrativo adeguato a sostenere il carico di lavoro che è destinato a gravare, così, sui magistrati di sorveglianza. A tal riguardo, si tenga conto che l'articolo 1 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 151 ha espressamente previsto che, oltre che presso i tribunali ordinari e le corti di appello, anche presso i tribunali di sorveglianza siano costituiti uno o più uffici per il processo, che operano secondo le disposizioni previste per l'ufficio per il processo penale presso i tribunali ordinari, in quanto compatibili;
stando a quanto riportato dai magistrati di sorveglianza e dagli operatori del settore, tale norma risulta ad oggi ancora non attuata, e la stessa coordinatrice dei magistrati di sorveglianza ha dichiarato di recente che il motivo per cui gli stessi non riescono a garantire una loro presenza maggiore nelle carceri – al fine di mettere in pratica ciò che prescrive la legge sull'ordinamento penitenziario, ovvero l'individualizzazione della pena – così da aiutare a scongiurare il ripetersi di casi di suicidi, deriverebbe anche dalla circostanza che sono troppo oberati da lavori di tipo burocratico, che dovrebbero, invece, essere svolti da personale amministrativo;
occorre garantire la presenza degli addetti agli uffici per il processo anche presso i Tribunali di sorveglianza, di modo da alleggerire il carico di lavoro dei magistrati, consentendo, così a questi ultimi, di occuparsi maggiormente delle condizioni dei detenuti e di dare tempestiva risposta alle loro istanze in relazione alla concessione dei benefici penitenziari,
impegna il Governo
a considerare gli elementi indicati in premessa e, al fine di realizzare effettive condizioni di sicurezza nel sistema penitenziario in linea con i principi costituzionali e ordinamentali, a rendere effettiva e strutturale la destinazione degli addetti agli uffici per il processo anche ai Tribunali di sorveglianza.
9/2355/21. Torto.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca norme anche sull'ordinamento penitenziario: in particolare, l'articolo 34 reca modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di benefìci penitenziari, prevedendo – tra i tanti – la fissazione di un termine di 60 giorni dal ricevimento della proposta di convenzione per l'espressione del parere nel merito da parte dell'amministrazione penitenziaria, corredato delle eventuali condizioni e prescrizioni necessarie affinché la proposta possa essere approvata;
sotto altro profilo, gli articoli 35, 36 e 37 intervengono in materia di attività lavorativa dei detenuti, al fine di promuovere l'attività lavorativa da parte dei detenuti;
appare imprescindibile, al fine ultimo di garantire maggiore sicurezza all'interno delle carceri e condizioni di lavoro più soddisfacenti per il personale, attualmente sottoposto a turni massacranti, anche per effetto del turn over, provvedere all'ampliamento della pianta organica del personale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del dipartimento per la giustizia minorile e di comunità;
in ragione dell'aumento della popolazione carceraria dovuto anche alle disposizioni previste dal decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123, per garantire la piena operatività degli uffici territoriali del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia,
impegna il Governo
a considerare gli elementi indicati in premessa e, al fine di realizzare effettive condizioni di sicurezza nel sistema penitenziario in linea con i princìpi costituzionali e ordinamentali, ad accompagnare le misure recate dagli articoli richiamate in premessa con ulteriori iniziative finalizzate a destinare, con il primo provvedimento utile, specifiche risorse volte all'ampliamento della pianta organica del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, anche tramite scorrimento delle graduatorie in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente legge.
9/2355/22. Carotenuto.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca norme anche sull'ordinamento penitenziario: in particolare, l'articolo 34 reca modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di benefici penitenziari, prevedendo – tra i tanti – la fissazione di un termine di 60 giorni dal ricevimento della proposta di convenzione per l'espressione del parere nel merito da parte dell'amministrazione penitenziaria, corredato delle eventuali condizioni e prescrizioni necessarie affinché la proposta possa essere approvata;
sotto altro profilo, gli articoli 35, 36 e 37 intervengono in materia di attività lavorativa dei detenuti, al fine di promuovere l'attività lavorativa da parte dei detenuti;
mancano, tuttavia, nel provvedimento in esame adeguate risorse a favore dell'implementazione delle condizioni carcerarie, nonché del rafforzamento del personale della polizia penitenziaria, sia in un'ottica di miglioramento delle condizioni di lavoro di quest'ultima, che di prevenzione di episodi di suicidi;
il nostro Paese sta attraversando una gravissima crisi del sistema penitenziario, esasperata dalle critiche condizioni delle strutture e dal sovraffollamento degli istituti penitenziari, che si sta trasformando in una vera e propria emergenza umanitaria, con un drammatico record di suicidi registrato nell'anno 2024 e già nei primi mesi del 2025; nel 2024 più di 85 persone hanno deciso di togliersi la vita sotto la custodia dello Stato; a questo tragico bilancio si debbono aggiungere 6 agenti di polizia penitenziaria e altri morti deceduti per altre cause; sono poi aumentati gli atti di autolesionismo, le colluttazioni, le rivolte, le aggressioni alla polizia penitenziaria;
nonostante la ratio cui è ispirato l'intero provvedimento, mancano in quest'ultimo strumenti adeguati per invertire la tendenza e migliorare le condizioni di vita all'interno degli istituti penitenziari italiani: eppure è notorio come, per garantire la sicurezza e l'ordine all'interno delle carceri, non si possa prescindere dall'assicurare ai soggetti ristretti condizioni di detenzione adeguate alle condizioni psico-fisiche, così da garantire la piena attuazione del principio della funzione rieducativa della pena ex articolo 27 della Costituzione, nonché al contempo prevenendo la commissione di ulteriori reati in fase di esecuzione della pena;
in particolare, sarebbe stato necessario prevedere misure concrete e adeguate anche per l'aumento di figure-chiave all'interno delle carceri come educatori, mediatori, operatori sociali e personale sanitario, per valorizzare i processi di reinserimento sociale e di rieducazione della pena, in conformità con quanto previsto all'articolo 27 del dettato costituzionale;
l'atto in esame, inoltre, non destina specifiche risorse per far fronte alla situazione del personale di Polizia penitenziaria, che presenta gravissime carenze, a cui occorre fare fronte con investimenti massivi, considerando, altresì, le gravi ripercussioni da ciò derivanti, sia in termini di condizioni di impiego dei lavoratori e di situazioni di stress correlato, che in termini di sicurezza all'interno degli istituti penitenziari;
secondo i dati riportati nelle schede trasparenza del Ministero aggiornate al 2024, manca il 16 per cento delle unità previste in pianta organica. In totale il personale effettivamente presente è pari a 31.068. Il rapporto detenuti agente attuale è pari ad 1,96 detenuti per ogni agente, a fronte di una previsione di 1,5;
occorre incrementare l'efficienza degli istituti penitenziari, al fine di incidere positivamente sui livelli di sicurezza, operatività e di efficienza degli istituti penitenziari e di incrementare le attività di controllo dell'esecuzione penale esterna,
impegna il Governo
a considerare gli elementi indicati in premessa e, al fine di realizzare effettive condizioni di sicurezza nel sistema penitenziario in linea con i princìpi costituzionali e ordinamentali, ad accompagnare le misure recate dagli articoli richiamati in premessa, con ulteriori iniziative finalizzate a destinare, con il primo provvedimento utile, risorse immediate al fine di fronteggiare quella che si sta trasformando in una vera e propria emergenza nel sistema dell'esecuzione della pena, garantendo la realizzazione di nuove strutture e la riqualificazione di strutture già esistenti, da progettare e realizzare con criteri innovativi che includano anche interventi di efficientamento energetico e antisismici, l'implementazione di strumenti e impianti tecnologici per la sicurezza, l'introduzione di impianti di videosorveglianza, di schermatura nonché impianti per il compostaggio di comunità, con individuazione e predisposizione di un sistema di poli detentivi di alto profilo tecnologico.
9/2355/23. Ilaria Fontana.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca norme anche sull'ordinamento penitenziario: in particolare, l'articolo 34 reca modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di benefici penitenziari, prevedendo – tra i tanti – la fissazione di un termine di 60 giorni dal ricevimento della proposta di convenzione per l'espressione del parere nel merito da parte dell'amministrazione penitenziaria, corredato delle eventuali condizioni e prescrizioni necessarie affinché la proposta possa essere approvata;
sotto altro profilo, gli articoli 35, 36 e 37 intervengono in materia di attività lavorativa dei detenuti, al fine di promuovere l'attività lavorativa da parte dei detenuti;
nonostante la ratio cui è ispirato l'intero provvedimento mancano, tuttavia, adeguate risorse a favore dell'implementazione delle condizioni carcerarie, nonché delle residenze sanitarie per l'esecuzione di misure di sicurezza (cosiddette «REMS»);
eppure è notorio come, per garantire la sicurezza e l'ordine all'interno delle carceri, non si possa prescindere dall'assicurare ai soggetti ristretti condizioni di detenzione adeguate alle condizioni psico-fisiche, così da garantire la piena attuazione del principio della funzione rieducativa della pena ex articolo 27 della Costituzione, nonché al contempo prevenire la commissione di ulteriori reati in fase di esecuzione della pena;
per quel che riguarda le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, si consideri preliminarmente come, secondo quanto riportato testualmente nel sito del Ministero della giustizia, le REMS hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente il 31 marzo 2015, anche se l'internamento nelle nuove strutture ha carattere transitorio ed eccezionale in quanto applicabile «solo nei casi in cui sono acquisiti elementi dai quali risulti che è la sola misura idonea ad assicurare cure adeguate ed a fare fronte alla pericolosità sociale dell'infermo o seminfermo di mente»;
la gestione della residenza e delle sue attività è di esclusiva competenza della Sanità, mentre le attività di sicurezza e di vigilanza esterna nonché l'accompagnamento dei pazienti in ospedali o ad altre sedi sono svolte, tramite specifico accordo, d'intesa con le prefetture. Con l'autorità prefettizia vanno concordati anche gli interventi delle forze dell'ordine competenti per territorio, nelle situazioni di emergenza e di sicurezza;
tuttavia ad oggi, le strutture sanitarie destinate a ospitare pazienti che soffrono di disturbi psichiatrici o di personalità che potenzialmente li rendono pericolosi per sé stessi o per gli altri, sono poche rispetto alle esigenze reali e, spesso, i soggetti in oggetto risultano detenuti negli istituti penitenziari, mettendo a rischio l'incolumità propria ed anche del personale, delle forze dell'ordine e degli altri detenuti;
circa il 15 per cento della popolazione carceraria è affetta da turbe psichiche che rendono incompatibile la loro detenzione;
i fondi previsti per gli psicologi e gli psichiatri sono totalmente insufficienti e non permettono, in media e non in tutti gli istituti, più di un'ora a settimana di terapia,
impegna il Governo
a considerare gli elementi indicati in premessa e, al fine di realizzare effettive condizioni di sicurezza nel sistema penitenziario in linea con i principi costituzionali e ordinamentali, e al precipuo fine di rafforzare le funzioni terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative in favore di soggetti affetti da patologie psichiatriche, ad accompagnare le misure recate dagli articoli richiamati in premessa, con ulteriori iniziative finalizzate a prevedere, con il primo provvedimento utile, lo stanziamento di ulteriori risorse per implementare la capienza e il numero delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, così da scongiurare il rischio che i soggetti che, necessitando di supporto psichiatrico, siano invece destinati a scontare la pena all'interno di non idonei istituti penitenziari, compiano gesti estremi, mettendo in pericolo altresì l'incolumità del personale penitenziario.
9/2355/24. Quartini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 22 dell'atto in esame reca disposizioni in materia di tutela legale per il personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
del pari l'articolo 23 reca disposizioni in materia di tutela legale per il personale delle Forze armate;
altri articoli contenuti nel Capo III recano ulteriori misure in materia di tutela del personale delle Forze di polizia, Forze armate e personale dei vigili del fuoco;
l'atto in esame, tuttavia, difetta di qualsivoglia previsione a favore del personale medico specialistico e sanitario che opera all'interno degli istituti penitenziari;
circa il 15 per cento della popolazione carceraria è affetta da turbe psichiche che rendono incompatibile la loro detenzione;
i fondi previsti per gli psicologi e gli psichiatri sono totalmente insufficienti e non permettono, in media e non in tutti gli istituti, più di un'ora a settimana di terapia;
dal 1° gennaio al 20 maggio 2025 sono già 32 i suicidi registrati nelle carceri italiane. Ma il numero reale potrebbe essere più alto, diluito nelle 73 morti classificate come «altre cause», dietro cui si celano spesso suicidi non riconosciuti;
tale numero dimostra quanto sia importante e indispensabile affrontare l'emergenza carceri immediatamente, in modo strutturale e attraverso scelte pragmatiche e, che in mancanza di queste, sarà destinato solo ad aumentare;
l'attuale situazione dei suicidi in carcere desta notevole preoccupazione: il quadro presenta criticità non solo per il numero dei suicidi dei detenuti, ma anche per chi ci lavora,
impegna il Governo
ad accompagnare le misure recate dagli articoli richiamati in premessa, con ulteriori iniziative finalizzate a destinare, con il primo provvedimento utile, incentivi economici a favore del personale medico specialistico e al personale sanitario che fornisce un servizio psichiatrico di diagnosi e cura, che svolge compiti di prevenzione, cura e riabilitazione a favore di soggetti affetti da problematiche psichiatriche in esecuzione penale, attraverso i competenti dipartimenti e servizi di salute mentale delle proprie aziende sanitarie, presso gli istituti penitenziari per adulti e nelle strutture minorili, presso le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (R.E.M.S.) di cui alla legge 30 maggio 2014, n. 81, e presso gli Uffici di esecuzione penale esterna, attraverso specifici emolumenti giustificati dalle particolari condizioni di lavoro.
9/2355/25. Marianna Ricciardi.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca norme anche sull'ordinamento penitenziario: in particolare, l'articolo 34 reca modifiche di diversa natura alla legge sull'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) e gli articoli 35, 36 e 37 intervengono in materia di attività lavorativa dei detenuti, al fine di promuovere l'attività lavorativa da parte dei detenuti;
il provvedimento in esame si prefigge l'obiettivo di intervenire con misure necessarie ed urgenti in materia di ordinamento penitenziario, anche al fine di garantire la sicurezza e tutelare le Forze dell'ordine impegnate all'interno delle carceri, tuttavia, esso difetta di norme per contenere ed affrontare la gravissima crisi che sta coinvolgendo il mondo delle carceri italiane;
l'attuale situazione dei suicidi in carcere desta notevole preoccupazione: il quadro presenta criticità non solo per il numero dei suicidi dei detenuti, ma anche per chi ci lavora;
purtroppo sono in aumento anche i suicidi che interessano il personale di polizia penitenziaria: è recente la notizia di cronaca che ha visto un agente della polizia penitenziaria impiegata presso il carcere di Palermo, porre fine alla sua vita, mentre era in servizio, sparandosi nel posto di sentinella sul muro di cinta dell'istituto;
solo nel 2024 si sono verificati sette suicidi da parte di poliziotti, mentre dall'inizio del 2025 si sono già registrati due casi;
questo pone di nuovo con urgenza l'attenzione sulla necessità di interventi concreti per il supporto psicologico e il miglioramento delle condizioni lavorative degli agenti di Polizia penitenziaria;
è fondamentale che si instauri un sistema di supporto adeguato per affrontare lo stress e le difficoltà che quotidianamente gli agenti affrontano nel loro delicato ruolo,
impegna il Governo
in linea con le finalità del provvedimento, come espresse nelle disposizioni richiamate in premessa, ad accompagnare le misure recate dagli articoli richiamati in premessa, con ulteriori iniziative volte a destinare, con il primo provvedimento utile, specifiche risorse all'introduzione in via strutturale del servizio di supporto psicologico per gli agenti di Polizia penitenziaria.
9/2355/26. Carmina.
La Camera
impegna il Governo
a proseguire nell'opera di sostegno psicologico alla Polizia penitenziaria.
9/2355/26. (Testo modificato nel corso della seduta)Carmina.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento affronta le criticità attuali in tema di sicurezza con un impianto esclusivamente repressivo, privo di visione strategica e sprovvisto di risorse per il potenziamento effettivo delle Forze dell'ordine, dei presìdi territoriali e degli strumenti concreti per la sicurezza delle comunità;
l'intervento legislativo introduce 14 nuovi reati e modifica 9 fattispecie esistenti, aumentando le pene e creando sovrapposizioni normative, senza alcuna attenzione alla prevenzione e senza misure sociali di contrasto al disagio e alla criminalità;
tale approccio non migliorerà la sicurezza pubblica, ma comprimerà gravemente il diritto alla libertà di espressione, aggraverà il problema del sovraffollamento carcerario e lascerà irrisolto l'aumento dei reati predatori, in netto rialzo dal 2023, anche a causa dell'assenza di politiche sociali e risorse preventive;
in particolare, l'articolo 33, relativo alle vittime dell'usura, interviene su un tema cruciale e urgente, che si aggrava sensibilmente nei periodi di instabilità economica e sociale. Oggi più che mai, l'usura rappresenta un rischio concreto e diffuso, alimentato da un contesto nazionale caratterizzato da un calo costante della produzione industriale, un preoccupante aumento delle famiglie in povertà assoluta, una precarietà occupazionale strutturale e la fragilità di un tessuto imprenditoriale esposto alla stretta creditizia e all'instabilità finanziaria;
il ricorso all'usura è spesso l'ultima via percorribile per imprese e cittadini che si trovano schiacciati da un eccessivo indebitamento rispetto alle proprie capacità di rimborso, impossibilitati ad accedere al credito bancario a causa di segnalazioni in centrale rischi, protesti o assenza di garanzie. La perdita del lavoro, l'inflazione crescente, gli oneri aggiuntivi sui mutui, la dipendenza da gioco d'azzardo o altre condizioni patologiche del comportamento finanziario contribuiscono ad ampliare la platea dei soggetti vulnerabili. In questo quadro, l'incapacità del sistema legale di rispondere con tempestività alle richieste di aiuto spinge molti verso il mercato del credito criminale;
a peggiorare il quadro, vi è la constatazione che le denunce per usura in Italia restano esigue, nonostante il radicamento e l'espansione silenziosa del fenomeno. La scarsa propensione alla denuncia non è solo frutto della paura o della rassegnazione, ma anche dell'inadeguatezza della normativa vigente, costruita su presupposti sociali ed economici risalenti a oltre 30 anni fa (legge n. 108 del 1996), completamente superati dagli scenari attuali. La lentezza della macchina istituzionale nel fornire supporto reale e concreto alle vittime, in particolare agli imprenditori in decozione, rappresenta un deterrente al coraggio della denuncia e rischia di aggravare ulteriormente la deriva criminale di interi settori economici;
l'usura, in quanto reato spia della presenza mafiosa e della criminalità economica organizzata, non può più essere trattata come una fattispecie penale isolata. Richiede una strategia nazionale integrata, sistemica e multilivello, capace di unire repressione, prevenzione, monitoraggio territoriale, educazione finanziaria e sostegno economico. In questo schema, è imprescindibile l'integrazione delle associazioni antiusura, dei presìdi di legalità e degli osservatori locali;
in questo contesto, pur valutando positivamente l'intento di istituire un albo di esperti a supporto delle vittime di usura, appare necessario esprimere forti riserve sull'efficacia operativa della figura così come delineata nel decreto in conversione. L'esperto, per come congegnato, interverrebbe in un momento spesso troppo tardivo, cioè solo dopo il riconoscimento del beneficio statale, procedura che può impiegare in media oltre tre anni. Nel frattempo, molte imprese sono già in stato di decozione irreversibile. In tali condizioni, l'esperto – se esercitasse il proprio mandato con diligenza professionale – sarebbe costretto a constatare l'irrecuperabilità dell'impresa, con la conseguente revoca del beneficio e la restituzione dei fondi, configurando un paradosso normativo e operativo che vanifica la stessa finalità della legge;
è evidente, dunque, che l'attuale impianto normativo e operativo necessita di una revisione profonda, coraggiosa e organica, in grado di rispondere alle reali condizioni del sistema economico-sociale italiano. Non si tratta solo di correggere un articolo di legge, ma di rivedere l'intera architettura dell'intervento pubblico contro l'usura, potenziando i tempi, gli strumenti, le risorse e le sinergie istituzionali e civili per intercettare il bisogno prima che sfoci nella trappola criminale;
preme al firmatario segnalare, in particolare, con riferimento all'attivazione del Fondo anti-usura, che l'attivazione automatica del Fondo in questi casi, come si propone, in coordinamento con le autorità preposte alla gestione delle crisi, consentirebbe un intervento mirato e tempestivo, riducendo drasticamente il rischio di degrado finanziario irreversibile e intercettando preventivamente la pressione criminale tipica delle fasi di indebitamento acuto e isolamento bancario – tale innovazione, oltre ad allineare la normativa antiusura alla logica preventiva della riforma sulla crisi d'impresa, contribuirebbe a ridurre significativamente il ricorso all'usura nei territori più esposti e ad assicurare l'effettiva funzione di protezione sociale del Fondo, che va inteso non come strumento straordinario e residuale, ma come parte integrante della rete di tutela economica e legalità costituzionalmente garantita,
impegna il Governo:
nel pieno rispetto delle prerogative delle Camere, a rivalutare in modo sostanziale il contenuto dell'articolo 33, anche nel prosieguo dell'iter di esame del provvedimento, potenziandone la portata e trasformandolo in uno strumento realmente efficace di tutela e sostegno per le vittime dell'usura e ad adottare con urgenza, anche tramite iniziative legislative e amministrative, le seguenti misure:
1) istituire un tavolo tecnico permanente presso il Ministero dell'interno, con la partecipazione di esperti, associazioni antiusura e rappresentanti della società civile, finalizzato a:
definire l'attuale dimensione e le nuove forme del fenomeno dell'usura e dell'estorsione;
valutare la coerenza e l'efficacia dell'attuale quadro normativo;
formulare proposte concrete di contrasto alla criminalità economica organizzata e di reale sostegno alle vittime;
2) rafforzare il Fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura, incrementandone in modo significativo le risorse al fine di rispondere in maniera proporzionata e tempestiva alla crescente domanda di intervento e protezione da parte di operatori economici e cittadini in condizioni di vulnerabilità finanziaria;
in particolare, tenendo conto della necessità di realizzare un raccordo sistematico e strutturale tra la disciplina del Fondo e la normativa vigente in materia di crisi d'impresa e d'insolvenza (di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019, Codice della crisi), al fine di anticipare l'intervento pubblico nei momenti di maggiore fragilità economica, prima del collasso irreversibile dell'attività produttiva o della necessità di ricorrere al mercato del credito illegale, e a tal fine, introducendo meccanismi automatici e oggettivi di attivazione del Fondo per la prevenzione dell'usura, in presenza di specifiche condizioni tecniche, quali:
1. la segnalazione della crisi in via di composizione negoziata o l'accesso a procedure di allerta;
2. il superamento di determinati indici di squilibrio patrimoniale, finanziario o reddituale definiti dal Codice della crisi;
3. la dichiarazione formale dello stato di difficoltà attestata da organi terzi o dalle Camere di commercio;
4. l'esistenza di esposizioni bancarie classificate come UTP (Unlikely To Pay) con impatto sulla continuità aziendale;
3) adeguare l'importo massimo dell'elargizione prevista dalla legge n. 44 del 1999, in particolare all'articolo 9, comma 1, aggiornandolo alle attuali condizioni economiche e ai fabbisogni risarcitori reali delle vittime.
9/2355/27. Francesco Silvestri, Giuliano.
La Camera,
premesso che:
il firmatario stigmatizzano le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
nel suo complesso, il provvedimento in titolo non produrrà alcun rafforzamento della sicurezza, a fronte di una inaccettabile compressione della sfera della libertà di espressione del pensiero sia da parte dei singoli, sia in forma associata, incrementerà il sovraffollamento carcerario, e i crimini predatori, ripresi in gran forza dall'anno 2023, aumenteranno, anche a causa della totale assenza di politiche sociali essenziali per prevenire e depotenziare la criminalità urbana e di risorse economiche all'uopo destinate;
con riferimento all'articolo 31, preme al firmatario rappresentare soddisfazione e apprezzamento per il ripensamento e la cancellazione delle norme, apparse critiche sotto un profilo di costituzionalità, recanti la previsione a che le pubbliche amministrazioni e soggetti equiparati fossero tenuti a prestare agli organismi del sistema di informazione per la sicurezza la collaborazione e l'assistenza richieste, anche in deroga ai vincoli di riservatezza previsti dalle normative di settore, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale e l'estensione di tale potere nei confronti di società partecipate, a controllo pubblico, comprese quelle che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi pubblici e di pubblica utilità;
tuttavia, l'articolo mantiene ferma, rispetto al precedente disegno di legge, l'estensione delle condotte di reato scriminabili, che possono compiere gli operatori dei servizi di informazione per finalità istituzionali a ulteriori fattispecie concernenti reati associativi per finalità di terrorismo – segnatamente, la direzione o l'organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico e la detenzione di materiale con finalità di terrorismo, la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti – che destano preoccupazione, anche a fronte dei recenti atti e fatti che hanno coinvolto o lambito l'attività dei servizi di intelligence e la stessa Agenzia;
nel suo complesso, l'articolo 31 realizza un rafforzamento dei poteri dei servizi di informazione per la sicurezza e della loro possibilità di incidere, senza prevedere il coinvolgimento parlamentare e al quale non corrisponde una maggiore funzione di controllo e vigilanza del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che, anzi, ne risulta escluso;
ad avviso del firmatario, il rafforzamento dei poteri, delle attività e dell'incisività dei nostri organismi di sicurezza e di informazione non può escludere il coinvolgimento del Copasir, rafforzando, al contempo, l'esercizio delle sue funzioni;
in proposito, si rammenta che l'articolo 30, comma 3, della legge 3 agosto 2007, n. 124, assegna al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica la verifica, in modo sistematico e continuativo, a che l'attività dell'intero «Sistema» della sicurezza nazionale si svolga, oltre che nel rispetto della Costituzione e delle leggi, nell'esclusivo interesse della Repubblica, questione che, ad avviso del firmatario, appare oltremodo pertinente a tutte le norme dell'articolo in parola,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad adottare ogni iniziativa utile affinché sia previsto il coinvolgimento del Copasir in ordine all'attuazione della disposizione illustrata in premessa.
9/2355/28. Pellegrini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del disegno di legge in esame apporta novelle alla disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.) di cui alla legge n. 242 del 2016. Tra le modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
ad avviso delle associazioni di settore, l'attuale formulazione della legge n. 242 del 2016 già fornisce una tutela della salute pubblica nei confronti dell'utilizzo ricreativo delle infiorescenze, in quanto la coltivazione della canapa viene consentita solamente per gli scopi industriali elencati da tale norma e al contempo mantenendo fermo il limite legale dello 0,2 per cento di THC;
molte associazioni di settore respingono con forza l'assunto che nega le interferenze negative delle modifiche introdotte dall'articolo 18 e lo svolgimento delle attività della filiera agro-industriale. Vietare l'utilizzo delle infiorescenze della pianta di canapa anche per uso industriale, infatti, limita numerose operazioni della filiera stessa, penalizzando enormemente i diversi ambiti di utilizzo della pianta;
i semi di canapa, i cui benefìci per la salute umana sono ormai ampiamente riconosciuti, sono contenuti nelle infiorescenze della pianta. L'impossibilità di lavorare le infiorescenze, introdotta proprio dal più volte citato articolo 18, paralizza un importante segmento produttivo;
allo stesso modo, le rotoballe di steli canapa – da cui vengono ricavate le fibre che contengono anche delle infiorescenze – non potrebbero essere spedite per la lavorazione. Sarebbe necessaria, infatti, una gravosa operazione di pulitura, insostenibile dal punto di vista economico per l'operatore agricolo;
appare difficile comprendere come si ritenga possibile coltivare la canapa impedendo lo sviluppo delle infiorescenze, dato che prima della fioritura la pianta rimane non adeguatamente utilizzabile da parte dell'operatore agricolo;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione UE, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi ad imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento;
il firmatario del presente atto reputano necessario assumere modalità e forme di sostegno al settore della canapa industriale,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad istituire un fondo finalizzato all'erogazione, almeno per l'anno in corso e per il prossimo biennio, di contributi a sostegno degli imprenditori, delle imprese, anche individuali, e delle società operanti nel settore della canapa industriale, individuando criteri e modalità per il loro riconoscimento con il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni.
9/2355/29. Ferrara.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del disegno di legge in esame apporta novelle alla disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.) di cui alla legge n. 242 del 2016. Tra le modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
ad avviso delle associazioni di settore, l'attuale formulazione della legge n. 242 del 2016 già fornisce una tutela della salute pubblica nei confronti dell'utilizzo ricreativo delle infiorescenze, in quanto la coltivazione della canapa viene consentita solamente per gli scopi industriali elencati da tale norma e al contempo mantenendo fermo il limite legale dello 0,2 per cento di THC;
molte associazioni di settore respingono con forza l'assunto che nega le interferenze negative delle modifiche introdotte dall'articolo 18 e lo svolgimento delle attività della filiera agro-industriale. Vietare l'utilizzo delle infiorescenze della pianta di canapa anche per uso industriale, infatti, limita numerose operazioni della filiera stessa, penalizzando enormemente i diversi ambiti di utilizzo della pianta;
i semi di canapa, i cui benefici per la salute umana sono ormai ampiamente riconosciuti, sono contenuti nelle infiorescenze della pianta. L'impossibilità di lavorare le infiorescenze, introdotta proprio dal più volte citato articolo 18, paralizza un importante segmento produttivo;
allo stesso modo, le rotoballe di steli canapa – da cui vengono ricavate le fibre che contengono anche delle infiorescenze – non potrebbero essere spedite per la lavorazione. Sarebbe necessaria, infatti, una gravosa operazione di pulitura, insostenibile dal punto di vista economico per l'operatore agricolo;
appare difficile comprendere come si ritenga possibile coltivare la canapa impedendo lo sviluppo delle infiorescenze, dato che prima della fioritura la pianta rimane non adeguatamente utilizzabile da parte dell'operatore agricolo;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione UE, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi ad imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento;
il firmatario del presente atto reputa necessario assumere modalità e forme di compensazione degli effetti economici negativi, in termini di concorrenza, tutela occupazionale e continuità del settore agroindustriale, derivanti dalle misure adottate con l'articolo in parola,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad istituire un fondo volto, attraverso l'erogazione di contributi almeno per l'anno in corso e il prossimo biennio, alla riconversione aziendale delle imprese operanti nel settore della canapa industriale, individuando criteri e modalità ai fini del riconoscimento del contributo con il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni.
9/2355/30. Cantone, Giuliano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del disegno di legge in esame apporta novelle alla disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.) di cui alla legge n. 242 del 2016. Tra le modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
ad avviso delle associazioni di settore, l'attuale formulazione della legge n. 242 del 2016 già fornisce una tutela della salute pubblica nei confronti dell'utilizzo ricreativo delle infiorescenze, in quanto la coltivazione della canapa viene consentita solamente per gli scopi industriali elencati da tale norma e al contempo mantenendo fermo il limite legale dello 0,2 per cento di THC;
molte associazioni di settore respingono con forza l'assunto che nega le interferenze negative delle modifiche introdotte dall'articolo 18 e lo svolgimento delle attività della filiera agro-industriale. Vietare l'utilizzo delle infiorescenze della pianta di canapa anche per uso industriale, infatti, limita numerose operazioni della filiera stessa, penalizzando enormemente i diversi ambiti di utilizzo della pianta;
i semi di canapa, i cui benefici per la salute umana sono ormai ampiamente riconosciuti, sono contenuti nelle infiorescenze della pianta. L'impossibilità di lavorare le infiorescenze, introdotta proprio dal più volte citato articolo 18, paralizza un importante segmento produttivo;
allo stesso modo, le rotoballe di steli canapa – da cui vengono ricavate le fibre che contengono anche delle infiorescenze – non potrebbero essere spedite per la lavorazione. Sarebbe necessaria, infatti, una gravosa operazione di pulitura, insostenibile dal punto di vista economico per l'operatore agricolo;
appare difficile comprendere come si ritenga possibile coltivare la canapa impedendo lo sviluppo delle infiorescenze, dato che prima della fioritura la pianta rimane non adeguatamente utilizzabile da parte dell'operatore agricolo;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione UE, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi ad imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento;
il firmatario del presente atto reputa necessario assumere modalità e forme di compensazione degli effetti economici negativi derivanti dalle misure adottate con l'articolo in parola,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad adottare le opportune iniziative, sotto il profilo amministrativo e legislativo, affinché sia prevista la restituzione, parziale o totale, delle somme versate a titolo di acconto per l'imposta sul reddito delle società (IRES) relativa al periodo d'imposta 2025 per gli imprenditori, le imprese, anche individuali, e le società che, in conseguenza delle disposizioni di cui al predetto articolo 18, registrino una contrazione del fatturato nell'anno 2025 rispetto all'anno 2024.
9/2355/31. Pavanelli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del disegno di legge in esame apporta novelle alla disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.) di cui alla legge n. 242 del 2016. Tra le modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
ad avviso delle associazioni di settore, l'attuale formulazione della legge n. 242 del 2016 già fornisce una tutela della salute pubblica nei confronti dell'utilizzo ricreativo delle infiorescenze, in quanto la coltivazione della canapa viene consentita solamente per gli scopi industriali elencati da tale norma e al contempo mantenendo fermo il limite legale dello 0,2 per cento di THC;
molte associazioni di settore respingono con forza l'assunto che nega le interferenze negative delle modifiche introdotte dall'articolo 18 e lo svolgimento delle attività della filiera agro-industriale. Vietare l'utilizzo delle infiorescenze della pianta di canapa anche per uso industriale, infatti, limita numerose operazioni della filiera stessa, penalizzando enormemente i diversi ambiti di utilizzo della pianta;
i semi di canapa, i cui benefìci per la salute umana sono ormai ampiamente riconosciuti, sono contenuti nelle infiorescenze della pianta. L'impossibilità di lavorare le infiorescenze, introdotta proprio dal più volte citato articolo 18, paralizza un importante segmento produttivo;
allo stesso modo, le rotoballe di steli canapa – da cui vengono ricavate le fibre che contengono anche delle infiorescenze – non potrebbero essere spedite per la lavorazione. Sarebbe necessaria, infatti, una gravosa operazione di pulitura, insostenibile dal punto di vista economico per l'operatore agricolo;
appare difficile comprendere come si ritenga possibile coltivare la canapa impedendo lo sviluppo delle infiorescenze, dato che prima della fioritura la pianta rimane non adeguatamente utilizzabile da parte dell'operatore agricolo;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione UE, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi ad imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento,
il firmatario del presente atto reputa necessario assumere un monitoraggio costante inerente alle piante di canapa (Cannabis sativa L.) presenti sul territorio nazionale,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad adottare le opportune iniziative, sotto il profilo amministrativo e legislativo, affinché sia istituito un portale per la tracciabilità delle predette piante di canapa onde assicurarne il monitoraggio del ciclo di vita, la relativa corretta determinazione numerica e l'allocazione negli areali di riferimento, a tal fine individuando modalità e criteri di realizzazione e funzionamento del portale in sede di Conferenza Stato-regioni.
9/2355/32. Sergio Costa.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento assume le forti e contingenti criticità del territorio nazionale in ordine alla sicurezza, sia essa pubblica in senso stretto o sicurezza urbana, e le affronta con l'unico filo conduttore della repressione del dissenso e del disagio sociale – si moltiplicano fattispecie penali, si aggravano le pene – e senza alcuno stanziamento a favore del reintegro degli organici delle forze preposte alla sicurezza né a favore dei presìdi della sicurezza né delle misure dirette al suo rafforzamento, a tutela della collettività;
l'articolo 17 dispone misure in tema di rafforzamento della polizia locale nell'ambito della sola Regione Siciliana, in ordine alla quale ANCI e IFEL hanno lanciato di recente un allarme specifico per la gravissima carenza di organico;
preme in questa sede segnalare l'esigenza di un rafforzamento generale del comparto della polizia locale, in carenza di organico nell'ambito di quasi tutto il territorio nazionale, per il tramite di un numero robusto di assunzioni, che consenta di incrementare i controlli antidegrado e di sicurezza urbana, i servizi di vigilanza, anche in occasione manifestazioni, gli accertamenti di polizia giudiziaria nonché i controlli, nell'ambito della sicurezza stradale, in termini di prevenzione, rilievo e repressione e le misure di tutela della sicurezza della cittadinanza e degli spazi pubblici delle città e del territorio di propria competenza – tutte funzioni che appartengono alla polizia locale, che tra il 2009 e il 2020 ha visto una diminuzione di organici superiore alle 10.000 unità,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, ad adottare, in occasione del prosieguo dell'iter del provvedimento in esame o in occasione del primo provvedimento utile, ogni misura e iniziativa atta, sotto il profilo amministrativo o legislativo, a perseguire l'obiettivo, corredato delle adeguate risorse, dell'incremento del numero delle unità di personale del corpo di polizia locale nonché dei mezzi e delle dotazioni strumentali, ai fini del rafforzamento delle misure a tutela della sicurezza dei territori e delle cittadinanze, estendendo, per intanto, il percorso di reintegro degli organici della polizia locale a tutti i comuni capoluogo di città metropolitana.
9/2355/33. Auriemma.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 interviene per modificare la legge 242 del 2016 in materia di promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, in particolare restringendo, in maniera rilevante, il campo di applicazione della stessa;
la disposizione introduce, infatti, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati; prevedendo che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
è importante ricordare che, la legge 242 del 2016 ha l'obiettivo di sostenere e promuovere la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione;
l'intervento attualmente introdotto dal provvedimento in esame, di fatto, annulla completamente l'impianto della norma madre, danneggiando migliaia di imprenditori di questa filiera, innovativa e in grande ascesa, il cui valore è stimato tra i 4 e i 500 di milioni di euro e che impiega circa 10 mila lavoratori, con una fortissima incidenza di giovani industriali;
tale filiera, nel corso degli anni, è divenuta una vera eccellenza del Made in Italy, e contrariamente a quanto si vuole lasciar intendere con la disposizione introdotta – che basa il suo impianto sulla necessità di prevenire fatti legati agli effetti psicotropi – non ha nulla a che vedere con le sostanze stupefacenti oggetto del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990;
è evidente, quindi, il rischio concreto di perdere importanti fette di mercato a discapito della produzione straniera, con una conseguente delocalizzazione e minore competitività internazionale, per una pianta che può vantare un non indifferente ritorno in termini economici, rappresentando una rilevante fonte di integrazione e di diversificazione del reddito dei produttori agricoli: essa infatti, garantisce fino a 30 mila euro per ettaro, anche grazie alla sua notevole rilevanza per i tanti nuovi mercati della bioeconomia;
la disposizione introdotta necessita quindi di una revisione urgente, in quanto, blocca lo sviluppo del comparto a danno delle aziende – cosmesi, bioedilizia, erboristeria, florovivaismo, tessile e agroalimentare – e lavoratori;
nel 2021, presso il Ministero delle politiche agricole, si è insediato per la prima volta il Tavolo nazionale di filiera della canapa, con il preciso obiettivo di avviare e garantire il confronto fra tutti gli attori del comparto, al fine di implementare il quadro normativo di un settore che negli ultimi anni ha fatto registrare un significativo aumento delle superfici coltivate. Tale Tavolo non si è però mai più riunito,
impegna il Governo
ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad:
arrestare gli effetti della disposizione introdotta con l'articolo 18 del provvedimento in parola, in particolare, prevedendo una urgente convocazione del Tavolo nazionale di filiera della canapa, al fine di fare i dovuti e necessari approfondimenti sulla materia e portare avanti l'approvazione di un vero e proprio piano di settore;
introdurre quantomeno, alla luce di quanto esposto in premessa in relazione ai danni economici alle numerose aziende della filiera, un differimento dell'efficacia delle disposizioni introdotte con l'articolo 18 del provvedimento in parola, al fine di poter far fronte agli investimenti già in essere dagli operatori del settore.
9/2355/34. Cherchi.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento assume le forti e contingenti criticità del territorio nazionale in ordine alla sicurezza, sia essa pubblica in senso stretto o sicurezza urbana, e le affronta con l'unico filo conduttore della repressione del dissenso e del disagio sociale – si moltiplicano fattispecie penali, si aggravano le pene – e senza alcuno stanziamento a favore del reintegro degli organici delle forze preposte alla sicurezza né a favore dei presìdi della sicurezza né delle misure dirette al suo rafforzamento, a tutela della collettività;
i firmatari stigmatizzano le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
tale approccio, adottato dal Governo fin dall'avvio del mandato, non ha offerto alcun risultato positivo in termini di tutela della sicurezza e contrasto alla criminalità, anzi, dati alla mano, l'anno 2023 ha conseguito almeno due primati:
1) dalle statistiche sulla criminalità dell'anno 2023 (fonte: Dipartimento P.S.) è emerso un quadro allarmante: si è interrotto per la prima volta il progressivo calo della criminalità predatoria in corso dal 2013; i reati e gli illeciti sono ritornati in strada, soprattutto nei contesti urbani densamente popolati, ove si rilevano «picchi»; allarma l'incremento di furti, rapine nelle abitazioni e nella pubblica via, in calo da molti anni, delle estorsioni: illeciti strettamente connessi «alla congiuntura economica nazionale, al crescente disagio sociale», come dichiarato dal servizio Analisi criminale della P.S., che ha rilevato «segnali di preoccupazione»;
2) nella sua relazione sull'anno 2023, la DIA rileva l'aumento dei casi di intimidazioni delle mafie e della criminalità organizzata nei confronti degli amministratori locali, sia consiglieri comunali sia sindaci e ciò, sembrerebbe, «dove non arriva la corruzione», nel senso che, si rileva nella relazione, «ci sono episodi di collusione negli apparati politico-amministrativi come dimostra la lunga serie di consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose», ma «dove i tanti pubblici amministrazioni si oppongono a queste infiltrazioni sono oggetto di danni e minacce affinché si pieghino a queste organizzazioni»;
i dati dell'anno 2023 sono stati confermati anche nell'anno 2024 appena trascorso;
l'articolo 7 del provvedimento in titolo reca una serie di modifiche alla disciplina della gestione delle aziende sequestrate e confiscate nonché di amministrazione di beni immobili abusivi sequestrati e confiscati, nella competenza dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC);
preme ai firmatari rammentare che con la proposta di revisione del PNRR avanzata alla Commissione Europea dal Governo italiano nell'agosto 2023, le risorse della Missione 5/Componente 3 – dedicata alle opere e ai progetti di coesione ed inclusione – e destinate all'Investimento 1.2 – recante «Valorizzazione dei beni confiscate alle mafie» – sono state eliminate, sottratte e dirottate ad altri interventi, a decorrere dal mese di dicembre dello stesso anno, come confermato in sede ECOFIN;
nella stessa sede, il Governo ha stabilito che avrebbe sopperito al finanziamento delle opere e dei progetti dell'Investimento 1.1 esclusi dal PNRR ricorrendo a risorse nazionali;
l'Investimento 1.2 prevedeva un vasto programma di valorizzazione di beni confiscati alle mafie, erano stati previsti criteri premiali a favore dei progetti tendenti a dare nuove finalità ai beni sottratti alla criminalità organizzata, realizzando il loro reimpiego come centri antiviolenza per donne e bambini, case rifugio, asili nido e micronidi e molte altre finalità sociali;
la realizzazione del programma di valorizzazione spettava all'Agenzia per la coesione territoriale la quale, pochi mesi prima della predetta richiesta di revisione del PNRR da parte del Governo, è stata soppressa;
la valorizzazione dei beni sottratti alla criminalità organizzata è da considerarsi fondamentale per dare un senso compiuto all'impegno delle forze di polizia, della magistratura e della società civile che, a diverso livello, combattono il fenomeno della criminalità, determinando le condizioni affinché i beni confiscati tornino nella disponibilità di coloro che più di altri risentono di disagio sociale. «Consentire l'abbandono dei beni confiscati alla mercé dei precedenti “proprietari” o il loro degrado per incuria per mancato utilizzo, infatti, svilisce e mortifica il contrasto svolto attraverso le indagini e pronunciamenti giudiziari» (fonte: Corte dei conti, 26 febbraio 2024, Relazione controllo di gestione);
al fine di assicurare la rapida realizzazione degli interventi di recupero, rifunzionalizzazione e valorizzazione di beni confiscati alla criminalità organizzata, non più finanziati con le risorse del PNRR,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad assumere le opportune iniziative, sotto il profilo amministrativo e legislativo, affinché l'Agenzia per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con il sostegno di risorse economiche nazionali possa predisporre e realizzare atti e progetti aventi l'obiettivo di rafforzare l'inclusione sociale, supportare la creazione di nuove opportunità di lavoro per i giovani e le persone a rischio di esclusione, potenziare i presidi di legalità e sicurezza del territorio e creare nuove strutture per l'ospitalità, la mediazione e l'integrazione culturale, come previsto dal predetto Investimento del PNRR ora definanziato e soppresso.
9/2355/35. Alfonso Colucci.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 17 del provvedimento interviene in materia di assunzioni di personale di polizia locale nei comuni capoluoghi di città metropolitana della Regione Siciliana;
in particolare, l'articolo in commento mira ad estendere anche ai comuni capoluogo di città metropolitana della Regione Siciliana in pre-dissesto e che abbiano sottoscritto l'accordo per il ripiano del disavanzo e il rilancio degli investimenti, l'autorizzazione ad assumere 100 vigili urbani per ciascun comune. L'autorizzazione era già prevista dal decreto-legge n. 39 del 2024 per le città metropolitane siciliane che hanno terminato il periodo di risanamento, ovvero il comune di Catania; pertanto, la norma in esame prevede di fatto l'estensione dell'autorizzazione alle assunzioni anche al comune di Palermo;
si segnala il recentissimo allarme lanciato nei giorni scorsi da ANCI, ripreso anche dagli organi della stampa, con riferimento ai comuni della Sicilia, per i quali la carenza di organico della polizia locale è tale da porne a rischio la funzionalità e l'erogazione dei servizi;
dalle elaborazioni di IFEL, su dati del Ministero dell'economia e delle finanze, si rileva che dal 2010 al 2023 i comuni siciliani hanno perso il 36,2 per cento del personale in servizio (per lo stesso periodo, la variazione media di tutti i comuni italiani è pari al 25 per cento) – nel solo 2023, le fuoriuscite sono state 1.978 di cui 1.411 per pensionamento – dopo il picco del 2019, anno in cui complessivamente furono assunti 8.507 dipendenti, il numero dei dipendenti fuoriusciti dai comuni siciliani è sempre stato maggiore a quello degli assunti;
nello scenario ipotizzato da IFEL, nei prossimi 7 anni, i comuni siciliani perderanno oltre 11.800 dipendenti a tempo indeterminato per pensionamento e altri 3.700 dipendenti per altre cause (esempio dimissioni volontarie) – ciò comporta la previsione di una riduzione ulteriore pari al 42 per cento del personale attualmente in servizio, che non potrà essere compensata da nuove assunzioni;
la situazione dei comuni siciliani assume rilevanza maggiore, anche rispetto al dato comune del territorio nazionale, a causa di alcuni fattori: la recente stabilizzazione di personale con un numero limitato di ore e la stabilizzazione di lavoratori Asu, che portano la questione sulle professionalità e sulle competenze del personale a cui si aggiunge il rapporto «perverso» – una sorta di circolo vizioso dal quale è difficile uscire – tra le criticità finanziarie in cui versano gli enti e la possibilità di assumere nuovi dipendenti;
il comparto lamenta, in sostanza, l'assenza di risposte normative per frenare questa drastica emorragia di personale, che sta svuotando le piante organiche a partire dalle figure apicali e da quelle preposte alla sicurezza e al controllo del territorio – il personale della polizia locale rappresenta meno del 50 per cento di quello previsto in pianta organico e l'età media di quello in servizio si avvicina ai 60 anni,
impegna il Governo
a dare seguito all'allarme lanciato dall'ANCI, adottando ulteriori iniziative normative volte al reintegro della polizia locale, attraverso l'assunzione di ulteriori 100 vigili urbani in tutte le aree territoriali della Regione Siciliana ove si registra la grave scopertura di organico.
9/2355/36. Raffa, Carmina.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca norme anche sull'ordinamento penitenziario: in particolare, l'articolo 34 reca modifiche di diversa natura alla legge sull'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) e gli articoli 35, 36 e 37 intervengono in materia di attività lavorativa dei detenuti, al fine di promuovere l'attività lavorativa da parte dei detenuti;
l'atto si prefigge l'obiettivo di intervenire con misure necessarie e urgenti in materia di ordinamento penitenziario, anche al fine di garantire la sicurezza e tutelare le forze dell'ordine impegnate all'interno delle carceri; tuttavia, esso difetta di norme per contenere e affrontare a 360 gradi la gravissima crisi che sta coinvolgendo il mondo delle carceri italiane, posto che le misure recate dal provvedimento in esame non paiono sufficienti a invertire la tendenza e a migliorare le condizioni di vita all'interno degli istituti penitenziari italiani, non solo dei soggetti ristretti, ma anche del personale impiegato;
sarebbe stato necessario prevedere misure concrete per favorire le attività trattamentali, al fine di valorizzare i processi di reinserimento sociale e di rieducazione della pena, in conformità con quanto previsto all'articolo 27 del dettato costituzionale;
tra le attività finalizzate al reinserimento sociale dei detenuti un ruolo significativo per il recupero sociale e psicologico dei soggetti ristretti appaiono – non solo l'attività lavorativa – ma anche l'attività sportiva e quella teatrale, che rientrano certamente nel novero delle attività trattamentali;
è ormai riconosciuto che le attività teatrali negli istituti penitenziari hanno non solo un carattere trattamentale nei confronti dei detenuti, ma anche un'importante funzione di collegamento con la società, nella creazione di rapporti che consentano un miglioramento delle condizioni di vita e il superamento dei pregiudizi non solo dei detenuti ma di tutto il personale coinvolto, al pari dell'attività lavorativa;
con un emendamento a firma dello scrivente alla legge di bilancio di ultima approvazione, è stato istituito nello stato di previsione del Ministero della giustizia, un fondo per la promozione e il sostegno delle attività teatrali negli istituti penitenziari, con una dotazione pari a 0,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025, 2026 e 2027, da destinare al recupero e al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, per il loro reingresso nella società civile;
appare evidente, come l'effetto di norme volte al potenziamento delle attività trattamentali si ripercuota anche sulla sicurezza e tutela del personale della polizia penitenziaria impiegata, posto che, è proprio il sovraffollamento carcerario e le condizioni spesso disumane cui i soggetti ristretti sono sottoposti a ingenerare il senso di frustrazione nei medesimi, che spesso sfocia in episodi di violenza nei confronti delle persone o cose, finanche arrivando a determinare casi di suicidi,
impegna il Governo
a considerare gli elementi indicati in premessa e, al fine di realizzare effettive condizioni di sicurezza nel sistema penitenziario in linea con i princìpi costituzionali e ordinamentali, a intervenire con il primo provvedimento utile, per destinare specifiche e ulteriori risorse al Fondo per le attività trattamentali, come individuato in premessa, rendendo strutturale il finanziamento del medesimo.
9/2355/37. Bruno.
La Camera
impegna il Governo
compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, a considerare gli elementi indicati in premessa e, al fine di realizzare effettive condizioni di sicurezza nel sistema penitenziario in linea con i princìpi costituzionali e ordinamentali, a intervenire con il primo provvedimento utile, per destinare specifiche e ulteriori risorse al Fondo per le attività trattamentali, come individuato in premessa, rendendo strutturale il finanziamento del medesimo.
9/2355/37. (Testo modificato nel corso della seduta)Bruno.
La Camera,
premesso che:
a parere del firmatario le misure contemplate dal provvedimento in titolo si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di nuove fattispecie di reato o modifiche a fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni tra fattispecie – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
in particolare, il decreto introduce 14 nuove fattispecie penali e 9 aggravamenti di pena, per colpire però a ben vedere condotte che già erano penalmente rilevanti e già erano adeguatamente sanzionate nel rispetto dei princìpi di ragionevolezza e proporzionalità;
si ritiene che l'atto in esame non produrrà alcun rafforzamento della sicurezza, perché omette di intervenire nei casi in cui effettivamente sussiste una lacuna legislativa;
invero, il Governo in carica ha trascurato che per garantire a 360 la sicurezza urbana, occorre diffondere a tutti i livelli la cultura della legalità, contrastando – colmando reali vuoti normativi – tutte quelle condotte di esaltazione di modelli e i comportamenti sovversivi che la mafia rappresenta, specie alla luce di episodi sempre più frequenti in cui nel corso di manifestazioni pubbliche, o addirittura sui social network o con altri mezzi di comunicazione, si inneggia alla mafia facendo istigazione o apologia del delitto di mafia;
questi modelli e stili di vita negativi ispirati a violenza e sopraffazione diventano attrattivi e determinano inevitabilmente ripercussioni negative sui più giovani e sui minori, e richiedono pertanto, una precisa sanzione penale,
impegna il Governo
coerentemente con le finalità dichiarate del provvedimento, a garantire la sicurezza urbana e tutelare l'incolumità dei cittadini, ad intervenire per colmare le reali lacune normative, al fine di diffondere a 360 gradi la cultura della legalità, provvedendo ad introdurre – con il primo provvedimento utile – la rilevanza penale delle condotte di istigazione ed apologia del delitto di associazioni di tipo mafioso anche straniere (articolo 416-bis del codice penale) o dei delitti commessi dalle associazioni di stampo mafioso.
9/2355/38. Ascari, Borrelli.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca modifiche tra gli altri, al codice penale, al codice di procedura penale, ed altre disposizioni in materia di sicurezza pubblica;
in particolare, esso introduce 14 nuove fattispecie penali e 9 aggravamenti di pena, tra cui l'occupazione arbitraria di immobili destinati al domicilio altrui, il blocco stradale e ferroviario, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
tutto il Capo II del provvedimento in esame introduce disposizioni in materia di sicurezza urbana, intervenendo sul codice penale sia per introdurre nuove fattispecie di reato, che per inasprire il trattamento sanzionatorio di altri reati già contemplati nel codice;
sebbene la ratio sottesa alla proposta di legge in esame sia quella di rendere più stringente ed efficiente l'attuale disciplina in materia di sicurezza pubblica, anche nelle aree più maggiormente a rischio di commissione di reati di violenza di genere (stazioni ferroviarie, aree extraurbane eccetera), nulla prevede il provvedimento in esame circa il contrasto della violenza di genere, considerato che, nonostante gli interventi legislativi che si sono di recente susseguiti per dare piena attuazione ai principi ispiratori della Convenzione di Istanbul per la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, le statistiche relative a questo fenomeno restituiscono una realtà sempre più drammatica, alla luce del numero di femminicidi che si registra: ne deriva che gli strumenti già esistenti non sono evidentemente sufficienti ed adeguati per contrastarne la portata sempre maggiore;
le condotte di violenza di genere sono espressione di una gravità certamente più elevata rispetto ad altre, e di un maggior rischio di reiterazione del reato, richiedendo una maggiore tempestività di intervento, nonché strumenti di contrasto specifici e più stringenti, finanche derogatori rispetto alla disciplina ordinaria;
sono noti alle cronache casi di aggressione presso le stazioni, come quella consumata alla stazione centrale di Milano, dove una giovane donna è stata oggetto di sevizie e stupro all'interno di un vano ascensore da un uomo senza fissa dimora; a distanza di poco tempo, nella medesima zona si sono registrate altre due denunce per violenza sessuale e i tre casi sembrerebbero rappresentare solo gli ultimi di una lunga serie di drammatici e traumatici episodi di questo genere;
altri casi di violenza contro le donne a distanza di pochi giorni si sono verificati presso la stazione Termini e nell'adiacente quartiere Esquilino;
lo scorso anno si sono registrati numerosi crimini di diversa gravità e ferocia: tra gli altri si ricorda l'accoltellamento di una turista, sempre alla stazione Termini, e il caso di una donna presa a morsi sul volto fino a staccargli la pelle;
ai casi di violenza sessuale si aggiungono, quotidianamente, nelle zone delle stazioni centrali, risse, molestie, rapine e scippi, presenza di spacciatori: il tema della sicurezza nelle zone delle stazioni centrali delle grandi città desta fortissima preoccupazione e paura in tutti i cittadini che vi transitano, a causa della sensazione di un luogo «terra di nessuno», dove si è in balìa di delinquenti, violenti e sbandati,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti delle fattispecie penali di nuova introduzione e delle aggravanti novellate, nonché a presentare alle Camere una relazione semestrale per valutare gli effetti applicativi delle medesime in termini di deterrenza e prevenzione delle violenze di genere nelle stazioni delle città a più alto indice di criminalità, al fine di valutare ulteriori interventi in tale direzione.
9/2355/39. Morfino, Ascari.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del disegno di legge in esame apporta novelle alla disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.) di cui alla legge n. 242 del 2016. Tra le modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
ad avviso delle associazioni di settore, l'attuale formulazione della legge n. 242 del 2016 già fornisce una tutela della salute pubblica nei confronti dell'utilizzo ricreativo delle infiorescenze, in quanto la coltivazione della canapa viene consentita solamente per gli scopi industriali elencati da tale norma e al contempo mantenendo fermo il limite legale dello 0.2 per cento di THC;
molte associazioni di settore respingono con forza l'assunto che nega le interferenze negative tra le modifiche introdotte dall'articolo 18 e lo svolgimento delle attività della filiera agro-industriale. Vietare l'utilizzo delle infiorescenze della pianta di canapa anche per uso industriale, infatti, limita numerose operazioni della filiera stessa, penalizzando enormemente i diversi ambiti di utilizzo della pianta;
i semi di canapa, i cui benefici per la salute umana sono ormai ampiamente riconosciuti, sono contenuti nelle infiorescenze della pianta. L'impossibilità di lavorare le infiorescenze, introdotta proprio dal più volte citato articolo 18, paralizza un importante segmento produttivo;
allo stesso modo, le rotoballe di steli canapa – da cui vengono ricavate le fibre che contengono anche delle infiorescenze – non potrebbero essere spedite per la lavorazione. Sarebbe necessaria, infatti, una gravosa operazione di pulitura, insostenibile dal punto di vista economico per l'operatore agricolo;
appare difficile comprendere come si ritenga possibile coltivare la canapa impedendo lo sviluppo delle infiorescenze, dato che prima della fioritura la pianta rimane non adeguatamente utilizzabile da parte dell'operatore agricolo;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione UE, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi a imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento;
il firmatario reputa necessario assumere modalità e forme di compensazione degli effetti economici negativi derivanti dalle misure adottate con l'articolo in parola,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, a istituire un fondo finalizzato all'erogazione, almeno per l'anno in corso e per il prossimo biennio, di contributi a sostegno degli imprenditori, delle imprese, anche individuali, e delle società che, in conseguenza dell'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 18, abbiano subito una contrazione del proprio fatturato nell'anno 2025 rispetto all'anno 2024, a tal fine individuando criteri e modalità per il loro riconoscimento in sede di Conferenza Stato-regioni.
9/2355/40. Appendino.
La Camera,
premesso che:
i firmatari stigmatizzano le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
tale approccio, adottato dal Governo fin dall'avvio del mandato, non ha offerto alcun risultato positivo in termini di tutela della sicurezza e contrasto alla criminalità, anzi, dati alla mano, l'anno 2023 ha conseguito almeno due primati:
1) dalle statistiche sulla criminalità dell'anno 2023 (fonte: Dipartimento P.S.) è emerso un quadro allarmante: si è interrotto per la prima volta il progressivo calo della criminalità predatoria in corso dal 2013; i reati e gli illeciti sono ritornati in strada, soprattutto nei contesti urbani densamente popolati, ove si rilevano «picchi»; allarma l'incremento di furti, rapine nelle abitazioni e nella pubblica via, in calo da molti anni, delle estorsioni: illeciti strettamente connessi «alla congiuntura economica nazionale, al crescente disagio sociale», come dichiarato dal servizio Analisi criminale della P.S., che ha rilevato «segnali di preoccupazione»;
2) nella sua relazione sull'anno 2023, la DIA rileva l'aumento dei casi di intimidazioni delle mafie e della criminalità organizzata nei confronti degli amministratori locali, sia consiglieri comunali sia sindaci a sindaci e consiglieri e ciò, sembrerebbe, «dove non arriva la corruzione», nel senso che, si rileva nella relazione, «ci sono episodi di collusione negli apparati politico-amministrativi come dimostra la lunga serie di consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose», ma «dove i tanti pubblici amministrazioni si oppongono a queste infiltrazioni sono oggetto di danni e minacce affinché si pieghino a queste organizzazioni»;
i dati dell'anno 2023 sono stati confermati anche nell'anno 2024 appena trascorso;
il provvedimento difetta di prevedere adeguate risposte alla richiesta di un più serrato controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine in particolare dove si addensa la criminalità oltre che nelle aree urbane degradate, in quelle più vulnerabili e nei territori ad alto indice di criminalità;
non è stato accolto alcun emendamento del M5S né di altri gruppi di opposizione per finanziare nuove assunzioni straordinarie nel comparto Sicurezza e tra i magistrati, e invece sono proprio queste le decisioni da prendere per tutelare la serenità dei cittadini e contrastare l'illegalità, perché senza risorse umane efficienti e gratificate non si fa sicurezza concreta: i cittadini chiedono la presenza dello Stato strada per strada, piazza per piazza, nelle stazioni, nei quartieri difficili e ovunque occorra;
con particolare riguardo alle misure e alle relative sanzioni disposte nell'ambito del Capo II, intitolato alla sicurezza urbana e, segnatamente, ai furti e alle truffe, preme ai firmatari segnalare un articolo riportato dalla stampa in base alla quale si rileva il crescente numero di furti di auto: secondo una ricerca recente, si tratta di una netta crescita, nel nostro Paese nel 2023 sono stati rubati 131.679 veicoli; Puglia, Campania e Lazio le regioni più colpite; secondo le forze dell'ordine competenti si tratta di una vera e propria filiera, sostanzialmente un vero e proprio traffico, volta al furto di autovetture per «reimpiegarne» le parti rubate, attraverso un circuito che vede, al suo termine, la vendita fraudolenta, vale a dire una truffa, ai cittadini;
alla luce del crescente traffico e commercio fraudolento di ricambi di auto rubati, al fine di tutelare i cittadini dalle truffe e dalle frodi nonché porre in essere misure di contrasto alla criminalità predatoria, alla criminalità organizzata e alla mafia,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad accompagnare le misure recate dal Capo II del provvedimento in esame, con le opportune iniziative, sotto il profilo amministrativo e legislativo, volte a:
perseguire e sanzionare con maggiore incisività le condotte indicate in premessa;
adottare misure, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni competenti, volte a contrastare e scoraggiare la predetta filiera criminale, anche individuando sistemi di tracciabilità di ogni parte o pezzo di ricambio onde garantirne la provenienza non fraudolenta.
9/2355/41. Donno.
La Camera,
premesso che:
il firmatario stigmatizza le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
nel suo complesso, il provvedimento in titolo non produrrà alcun rafforzamento della sicurezza, a fronte di una inaccettabile compressione della sfera della libertà di espressione del pensiero sia da parte dei singoli, sia in forma associata, incrementerà il sovraffollamento carcerario, e i crimini predatori, ripresi in gran forza dall'anno 2023, aumenteranno, anche a causa della totale assenza di politiche sociali essenziali per prevenire e depotenziare la criminalità urbana e di risorse economiche all'uopo destinate;
tale approccio, adottato dal Governo fin dall'avvio del mandato, non ha offerto alcun risultato positivo in termini di tutela della sicurezza e contrasto alla criminalità, anzi, dati alla mano, l'anno 2023 ha conseguito almeno due primati:
1) dalle statistiche sulla criminalità dell'anno 2023 (fonte: Dipartimento P.S.) è emerso un quadro allarmante: si è interrotto per la prima volta il progressivo calo della criminalità predatoria in corso dal 2013; i reati e gli illeciti sono ritornati in strada, soprattutto nei contesti urbani densamente popolati, ove si rilevano «picchi»; allarma l'incremento di furti, rapine nelle abitazioni e nella pubblica via, in calo da molti anni, delle estorsioni: illeciti strettamente connessi «alla congiuntura economica nazionale, al crescente disagio sociale», come dichiarato dal servizio Analisi criminale della P.S., che ha rilevato «segnali di preoccupazione»;
2) nella sua relazione sull'anno 2023, la DIA rileva l'aumento dei casi di intimidazioni delle mafie e della criminalità organizzata nei confronti degli amministratori locali, sia consiglieri comunali sia sindaci a sindaci e consiglieri e ciò, sembrerebbe, «dove non arriva la corruzione», nel senso che, si rileva nella relazione, «ci sono episodi di collusione negli apparati politico-amministrativi come dimostra la lunga serie di consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose», ma «dove i tanti pubblici amministrazioni si oppongono a queste infiltrazioni sono oggetto di danni e minacce affinché si pieghino a queste organizzazioni»;
la recrudescenza dei fatti criminosi ascritti all'anno 2023 sono stati confermati anche nell'anno 2024 appena trascorso;
il provvedimento difetta di prevedere adeguate risposte alla richiesta di un più serrato controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine nelle aree urbane degradate, in quelle più vulnerabili e nei territori ad alto indice di criminalità, non stanzia risorse per assumere agenti delle Forze dell'ordine che hanno carenze enormi;
non è stato accolto alcun emendamento del M5S né di altri gruppi di opposizione per finanziare nuove assunzioni straordinarie nel comparto Sicurezza e tra i magistrati, e invece sono proprio queste le decisioni da prendere per tutelare la serenità dei cittadini e contrastare l'illegalità, perché senza risorse umane efficienti e gratificate non si fa sicurezza concreta: i cittadini chiedono la presenza dello Stato strada per strada, piazza per piazza, nelle stazioni, nei quartieri difficili e ovunque occorra;
il provvedimento aumenta pene e introduce nuovi reati inerenti esattamente al dissenso e alla protesta sociale, che sono espressione del disagio, dell'emarginazione e del degrado, ma il Paese ha bisogno di politiche di sostegno e di inclusione, di una sanità veramente accessibile a tutti, di politiche abitative, di scuole nuove;
con particolare riguardo alle misure e alle relative sanzioni disposte nell'ambito del Capo II, intitolato alla sicurezza urbana e, segnatamente, agli articoli da 10 a 14 e 16 – trattasi di misure che introducono gravi sanzioni o aggravanti per condotte di protesta messe in atto, anche attraverso lo strumento della resistenza passiva, in specifici luoghi, stazioni e adiacenze, sedi stradali o ferroviarie e si inseriscono nel filone di contrasto della protesta sociale attraverso la criminalizzazione di comportamenti di dissenso anche laddove manifestati in forma non violenta,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, a monitorare l'attuazione dell'articolato indicato in premessa e a rendere alle Camere, con cadenza almeno semestrale, una relazione sui risultati conseguiti in termini di aumento, reale e percepito, della sicurezza e dell'incolumità pubblica e di riduzione delle fattispecie di reato ivi assunte, nei territori a più alto indice di criminalità e di vulnerabilità.
9/2355/42. Alifano.
La Camera,
premesso che:
il firmatario stigmatizza le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
nel suo complesso, il provvedimento in titolo non produrrà alcun rafforzamento della sicurezza, a fronte di una inaccettabile compressione della sfera della libertà di espressione del pensiero sia da parte dei singoli, sia in forma associata, incrementerà il sovraffollamento carcerario, e i crimini predatori, ripresi in gran forza dall'anno 2023, aumenteranno, anche a causa della totale assenza di politiche sociali essenziali per prevenire e depotenziare la criminalità urbana e di risorse economiche all'uopo destinate;
con riferimento agli istituti penitenziari e alle persone ivi detenute, oggetto delle misure di cui all'articolo 26 volte a reprimere in modo sproporzionato anche le condotte di mera resistenza passiva, non v'è alcuna iniziativa che possa scalfire la grave situazione di crisi che sta affrontando il sistema carcerario, che si intreccia ineludibilmente con la politica «pan penalistica» seguita dal Governo, che ha finito con l'appesantire ulteriormente le strutture carcerarie, comportando un aumento esponenziale della popolazione carceraria;
l'articolo, sulla base della rubrica e nelle intenzioni del Governo, mirerebbe al rafforzamento della sicurezza negli istituti penitenziari, ma in realtà presenta gravi profili di criticità in termini di rispetto dei princìpi costituzionali, attraverso l'introduzione nel codice penale, di un nuovo articolo 415-bis che punisce la «rivolta all'interno di un istituto penitenziario» con la pena della reclusione da due a otto anni, compiuta da chiunque promuova, organizzi o diriga una rivolta all'interno di istituti penitenziari attraverso atti di violenza o minaccia, di resistenza, anche passiva, all'esecuzione degli ordini impartiti, commessi da tre o più persone riunite. Nel caso di mera «partecipazione» alla rivolta si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni; ciò che più colpisce è la sanzione ascritta anche alla mera resistenza passiva;
orbene ad avviso del firmatario, trattasi di norme che – a tacer d'altro – risultano caratterizzate da difetto di tipizzazione della condotta e del bene giuridico tutelato, con nessun reale effetto preventivo e deterrente;
al contrario, continuiamo da mesi e mesi ad assistere a reiterate rivolte nelle carceri e, ciò che qui interessa, in diversi carceri minorili;
tra i motivi delle proteste e disordini vi sarebbe sempre il sovraffollamento ormai cronico delle strutture;
da tempo l'Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria (Osapp) aveva denunciato situazioni d'invivibilità totale, con almeno una decina di minorenni costretti a dormire per terra, in quanto non vi sono più letti disponibili;
l'attuale situazione della sicurezza all'interno degli istituti di pena minorili desta notevole preoccupazione: il quadro presenta criticità non solo per il numero delle rivolte, ma anche per chi ci lavora;
nulla prevede l'atto in esame per contenere ed affrontare la gravissima crisi che sta coinvolgendo il mondo delle carceri minorili italiane;
le assunzioni di polizia penitenziaria previste nei provvedimenti precedenti non appaiono sufficienti per far fronte alla situazione del personale di Polizia penitenziaria, che presenta gravissime carenze, a cui occorre fare fronte con investimenti massivi, considerando, altresì le gravi ripercussioni da ciò derivanti, sia in termini di condizioni di impiego dei lavoratori, che di sicurezza all'interno degli istituti penitenziari;
secondo i dati riportati nelle schede trasparenza del Ministero aggiornate al 2024, manca il 16 per cento delle unità previste in pianta organica. In totale il personale effettivamente presente è pari a 31.068. Il rapporto detenuti-agente attuale è pari ad 1,96 detenuti per ogni agente, a fronte di una previsione di 1,5,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, ad accompagnare le misure recate dall'articolo 26 del provvedimento in esame con tempestive iniziative, sotto il profilo amministrativo e legislativo, affinché sia posto rimedio ai gravi problemi degli istituti minorili – che si riverberano anche in termini di sicurezza dei reclusi, del personale dedicato e dei luoghi stessi – quali sovraffollamento, carenza di organico di polizia penitenziaria, degrado e vivibilità dei luoghi in cui sono trattenuti i minori, carenza di personale e di servizi e attività idonei ai fini della responsabilizzazione, maturazione e formazione sotto ogni profilo, psicologico, culturale e professionale dei minori – onde affrontarne la situazione e la condizione in atto, in termini di sicurezza e rieducazione, attraverso l'incremento, corredato delle adeguate risorse finanziarie, di personale, servizi, attività e strumenti adeguati.
9/2355/43. L'Abbate.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento assume le forti e contingenti criticità del territorio nazionale in ordine alla sicurezza, sia essa pubblica in senso stretto o sicurezza urbana, e le affronta con l'unico filo conduttore della repressione del dissenso e del disagio sociale – si moltiplicano fattispecie penali, si aggravano le pene – e senza alcuno stanziamento a favore del reintegro degli organici delle forze preposte alla sicurezza né a favore dei presìdi della sicurezza né delle misure dirette al suo rafforzamento, a tutela della collettività;
i firmatari stigmatizzano le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
nel suo complesso, il provvedimento in titolo non produrrà alcun rafforzamento della sicurezza, a fronte di una inaccettabile compressione della sfera della libertà di espressione del pensiero sia da parte dei singoli, sia in forma associata, incrementerà il sovraffollamento carcerario, e i crimini predatori, ripresi in gran forza dall'anno 2023, aumenteranno, anche a causa della totale assenza di politiche sociali essenziali per prevenire e depotenziare la criminalità urbana e di risorse economiche all'uopo destinate;
con riferimento all'articolo 3, si rileva che esso reca modifiche al codice antimafia concernenti la documentazione antimafia riferita ai contratti di rete e introduce la non applicabilità da parte del prefetto del divieto a contrattare e a ottenere concessioni o erogazioni pubbliche qualora dall'applicazione di tali divieti derivi il venir meno dei mezzi di sostentamento per l'interessato e la sua famiglia;
il testo del vigente codice antimafia – articolo 85, comma 2 – disciplina i soggetti ai quali deve riferirsi la documentazione antimafia nel caso di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese. La modifica introdotta dalla disposizione in commento è volta a includere nella previsione legislativa anche i contratti di rete, stabilendo che in tal caso la documentazione debba riferirsi alle imprese aderenti al contratto e, ove presente, all'organo comune;
viene, altresì, introdotta un'ulteriore modifica – un nuovo articolo, il 94.1 – che dispone l'esclusione di alcuni divieti e decadenze nei confronti delle imprese individuali oggetto di interdittiva: il prefetto, qualora ritenga sussistenti i presupposti per l'adozione dell'informazione antimafia interdittiva, può alleggerire, vale a dire, escludere l'applicazione di uno o più dei divieti o delle decadenze previsti dal codice antimafia derivanti dall'applicazione in via definitiva di una delle misure di prevenzione personali applicate dall'autorità giudiziaria, se, per effetto dei predetti divieti o decadenze verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento al titolare dell'impresa individuale e alla sua famiglia;
la mancanza dei mezzi di sostentamento è accertata, su documentata istanza del titolare dell'impresa individuale, all'esito di verifiche effettuate dal gruppo interforze istituito presso la prefettura competente;
si prevede, altresì, che il prefetto, disponendo le esclusioni di cui sopra, possa prescrivere all'interessato una o più delle misure amministrative di prevenzione collaborativa previste dal codice antimafia;
è esclusa l'applicazione delle disposizioni di cui sopra alle persone condannate, anche con sentenza non definitiva, ma confermata in grado di appello, per gravi delitti,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, anche in termini di funzioni di indirizzo e controllo, a monitorare gli effetti applicativi derivanti dalle modifiche introdotte dal provvedimento in esame al Codice Antimafia, al fine di escludere che gli stessi possano tradursi in limitazioni all'applicazione delle attuali misure interdittive antimafia, nonché a monitorare e valutare la sostenibilità delle modifiche apportate da parte delle singole Prefetture, e a rendere alle Camere una relazione sull'applicazione delle misure in parola.
9/2355/44. Scerra.
La Camera,
premesso che:
i firmatari stigmatizzano le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
nel suo complesso, il provvedimento in titolo non produrrà alcun rafforzamento della sicurezza, a fronte di una inaccettabile compressione della sfera della libertà di espressione del pensiero sia da parte dei singoli, sia in forma associata, incrementerà il sovraffollamento carcerario, e i crimini predatori, ripresi in gran forza dall'anno 2023, aumenteranno, anche a causa della totale assenza di politiche sociali essenziali per prevenire e depotenziare la criminalità urbana e di risorse economiche all'uopo destinate;
il provvedimento difetta di prevedere adeguate risposte alla richiesta di un più serrato controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine nelle aree urbane degradate, in quelle più vulnerabili e nei territori ad alto indice di criminalità, non stanzia risorse per assumere agenti delle Forze dell'Ordine che hanno carenze enormi;
non è stato accolto alcun emendamento del M5S né di altri gruppi di opposizione per finanziare nuove assunzioni straordinarie nel comparto Sicurezza e tra i magistrati, e invece sono proprio queste le decisioni da prendere per tutelare la serenità dei cittadini e contrastare l'illegalità, perché senza risorse umane efficienti e gratificate non si fa sicurezza concreta: i cittadini chiedono la presenza dello Stato strada per strada, piazza per piazza, nelle stazioni, nei quartieri difficili e ovunque occorra;
il provvedimento aumenta pene e introduce nuovi reati inerenti esattamente al dissenso e alla protesta sociale, che molto spesso sono espressione del disagio, dell'emarginazione e del degrado;
il provvedimento in esame, all'articolo 27 interviene con misure volte alla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti;
in particolare, l'articolo in commento, novellando l'articolo 14 del TU immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998), introduce un nuovo reato finalizzato a reprimere gli episodi di proteste violente da parte di gruppi di stranieri irregolari trattenuti nei centri di trattenimento per i migranti, con la pena della reclusione da uno a quattro anni, che si applica agli atti di resistenza, anche passiva;
ciò che desta maggiormente sconcerto è proprio la circostanza che la penalizzazione della condotta riguardi anche la mera «resistenza passiva» di migranti nei centri di trattenimento;
nonostante rispetto al precedente pacchetto sicurezza, sia stato definito meglio il nucleo di rilevanza penale delle condotte di resistenza (anche passiva), circoscrivendole a quelle relative all'esecuzione di ordini impartiti «per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza», non si può escluderne l'applicazione anche a forme di resistenza passiva che altro non sono che l'espressione della sfera più intima dell'individuo, nella sua libertà di obbedire o dissentire, in violazione palese dell'articolo 13 della Costituzione;
l'attuale legislatore sembra trascurare, inoltre, che l'entità delle pene previste, da un lato, e la possibilità di applicare misure pre-cautelari e cautelari, dall'altro, non potranno che incidere negativamente sulla già complicata situazione carceraria, caratterizzata, come noto, da un grave sovraffollamento e dalla carenza di adeguate strutture organizzative volte a garantire la finalità rieducativa della pena ai sensi dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti dell'articolo 27, nonché a presentare alle Camere una relazione annuale sul numero di procedimenti penali iscritti per il reato di nuova introduzione, dando evidenza delle condotte per cui si è ritenuto integrato il reato, nonché specificando il numero di eventuali archiviazioni e rinvii a giudizio.
9/2355/45. Iaria.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento assume le forti e contingenti criticità del territorio nazionale in ordine alla sicurezza, sia essa pubblica in senso stretto o sicurezza urbana, e le affronta con l'unico filo conduttore della repressione del dissenso e del disagio sociale – si moltiplicano fattispecie penali, si aggravano le pene – e senza alcuno stanziamento a favore del reintegro degli organici delle forze preposte alla sicurezza né a favore dei presìdi della sicurezza né delle misure dirette al suo rafforzamento, a tutela della collettività;
i firmatari stigmatizzano le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
con grave preoccupazione, altresì, si guarda agli effetti economici che ricadranno sul comparto in conseguenza delle disposizioni introdotte dall'articolo 18, che vieta l'importazione, la lavorazione, la detenzione, la cessione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l'invio, la spedizione, la consegna, la vendita al pubblico e il consumo di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, comprese estratti, resine e olii da esse derivati e dispone che a queste attività si applicano le sanzioni previste dal testo unico sugli stupefacenti;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione europea, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi ad imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento;
preme ai firmatari in questa sede rappresentare l'esigenza di sostenere la filiera della canapa industriale, promuovere lo sviluppo competitivo, incentivare la ricerca e l'ammodernamento delle relative tecniche di coltivazione,
impegna il Governo
ferme restando le prerogative parlamentari, al fine di compensare gli effetti negativi per il settore agro-industriale derivanti dall'applicazione dell'articolo 18, ad adottare ogni iniziativa utile, sotto il profilo amministrativo e legislativo, volta a prevedere l'incremento della dotazione del Fondo per la tutela e il rilancio delle filiere apistica, brassicola, della canapa e della frutta a guscio.
9/2355/46. Caramiello.
La Camera,
premesso che:
il firmatario stigmatizza le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
con grave preoccupazione, altresì, si guarda agli effetti economici che ricadranno sul comparto in conseguenza delle disposizioni introdotte dall'articolo 18, che vieta l'importazione, la lavorazione, la detenzione, la cessione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l'invio, la spedizione, la consegna, la vendita al pubblico e il consumo di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, comprese estratti, resine e olii da esse derivati e dispone che a queste attività si applicano le sanzioni previste dal testo unico sugli stupefacenti;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione Ue, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi ad imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento;
preme al firmatario in questa sede rappresentare l'esigenza di incentivare le attività di lavorazione e semi-lavorazione a scopo industriale della canapa nonché favorire l'economia circolare e la transizione ecologica sul territorio nazionale,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni recate dall'articolo 18 del provvedimento in esame, al fine di, ferme restando le prerogative parlamentari, adottare ogni iniziativa utile, sotto il profilo amministrativo e legislativo, volta a prevedere l'erogazione di un contributo a fondo perduto a favore delle imprese che investono in nuovi strumenti utili alla trasformazione dei prodotti derivanti dalla canapa e nella meccanizzazione dei processi produttivi, individuando le modalità e i criteri ai fini del riconoscimento economico in sede di Conferenza Stato-regioni.
9/2355/47. Fenu, Dell'Olio.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento assume le forti e contingenti criticità del territorio nazionale in ordine alla sicurezza, sia essa pubblica in senso stretto o sicurezza urbana, e le affronta con l'unico filo conduttore della repressione del dissenso e del disagio sociale – si moltiplicano fattispecie penali, si aggravano le pene – e senza alcuno stanziamento a favore del reintegro degli organici delle forze preposte alla sicurezza né a favore dei presìdi della sicurezza né delle misure dirette al suo rafforzamento, a tutela della collettività;
i firmatari stigmatizzano le misure del provvedimento in titolo, che si muovono in un'ottica esclusivamente repressiva – che percorre tutto il provvedimento, attraverso la configurazione di 14 nuove fattispecie di reato e 9 modifiche di fattispecie già esistenti, aggravandone le sanzioni penali, con non infrequenti sovrapposizioni con altri reati e altre fattispecie già vigenti – in assenza, tuttavia, di prospettiva di prevenzione dei fenomeni;
con grave preoccupazione, altresì, si guarda agli effetti economici che ricadranno sul comparto in conseguenza delle disposizioni introdotte dall'articolo 18, che vieta l'importazione, la lavorazione, la detenzione, la cessione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l'invio, la spedizione, la consegna, la vendita al pubblico e il consumo di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, comprese estratti, resine e olii da esse derivati e dispone che a queste attività si applicano le sanzioni previste dal testo unico sugli stupefacenti;
secondo uno studio dell'agenzia «Prohibition Partners», il mercato europeo della canapa dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro nel 2025. Inoltre, come chiarito da un rapporto della Commissione europea, negli ultimi anni la superficie destinata alla coltivazione della canapa tessile nel territorio dell'Unione europea è aumentata notevolmente, passando da 20.540 ettari nel 2015 a 33.020 ettari nel 2022;
anche in Italia, i numeri risultano in crescita di almeno il 25 per cento annuo, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto concerne il numero degli addetti del settore. Tale indicatore rivela quanto l'offerta del prodotto agricolo delle aziende italiane sia competitiva non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello estero, che assorbe oltre il 70 per cento del prodotto interno;
inoltre, secondo i dati divulgati dalle associazioni di categoria Imprenditori Canapa Italia (ICI), CIA Agricoltori Italiani, Assocanapa, il fatturato annuo del settore si attesta su circa 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000;
alla luce di tali dati, dunque, non si comprende come, dal versante governativo, possano scaturire rassicurazioni di tipo economico prive delle più elementari valutazioni causa-effetto. Se, infatti, tantissime imprese operanti saranno scoraggiate a produrre a causa di una legislazione stringente e punitiva, è evidente che tale misura avrà delle importanti ricadute finanziarie. Parimenti, il volume di clientela che attualmente si serve dei fornitori italiani sarà costretto a rivolgersi ad imprenditori di altri Paesi dell'Unione europea al fine di soddisfare le istanze di rifornimento;
preme ai firmatari in questa sede segnalare le disposizioni della legge n. 242 del 2016, che reca «norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera (industriale) della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità»;
il vigente articolo 2, comma 3, della predetta legge consente l'uso della canapa come biomassa ai fini energetici esclusivamente per l'autoproduzione energetica aziendale, entro certi limiti e determinate condizioni come disposte dall'allegato X alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
ad avviso del firmatario, risulta opportuna un'estensione della modalità e delle condizioni di utilizzo della canapa per i fini agro-industriali ed energetici e, a tal fine,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni recate dall'articolo 18 del provvedimento in esame, al fine di adottare, ferme restando le prerogative parlamentari, ogni iniziativa utile, sotto il profilo amministrativo e legislativo, affinché l'utilizzo della canapa, composta dell'intera pianta o di sue parti, sia consentito in forma essiccata, trinciata, concentrata e pellettizzata per le finalità agroindustriali, come disposto dalla vigente legge, e a fini energetici, negli stessi limiti e alle stesse condizioni di cui al predetto allegato.
9/2355/48. Gubitosa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 25 reca un inasprimento sanzionatorio delle previsioni dell'articolo 192 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con particolare riguardo ai casi di inosservanza dell'obbligo di fermarsi intimato dal personale che svolge servizi di polizia stradale, nonché delle altre prescrizioni impartite dal personale medesimo;
nell'ambito delle condotte gravi e lesive della sicurezza urbana rientra a pieno titolo la sicurezza stradale. Sotto questo profilo preoccupa la linea assunta dal Governo volta a ridurre il numero delle ammende per eccesso di velocità, così come l'azione amministrativa posta in essere contro l'autonomia dei sindaci, che nell'ambito della propria responsabilità, hanno scelto di inserire all'interno dei piani urbani della mobilità sostenibile le cosiddette zone 30;
il decreto ministeriale 11 aprile 2024, fortemente voluto dal Vicepresidente del Consiglio e Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, riguardante la riduzione dell'uso degli autovelox, con particolare riguardo all'impossibilità di poterli posizionare dentro tratti urbani con velocità inferiore a 50 chilometri orari, risulta contrario a tutte le prescrizioni europee per la sicurezza stradale urbana;
in contesti urbani particolarmente estesi quali quelli delle grandi aree urbane il controllo capillare da parte degli organi di polizia è esternamente complesso;
le cronache continuano a riportare episodi estremamente preoccupanti quali le gare clandestine di automobili che sovente coinvolgono giovani e giovanissimi, recentemente proprio nella città di Roma è stata portata all'attenzione del Prefetto questo pericoloso fenomeno,
impegna il Governo
ad accompagnare le misure di cui all'articolo 25 del provvedimento in esame, prevedendo, anche con futuri provvedimenti normativi, un ulteriore inasprimento delle sanzioni relative alle condotte lesive della sicurezza stradale, con particolare riguardo al superamento dei limiti di velocità e, al medesimo fine, a sostenere e incentivare i comuni che introducono aree estese a velocità ridotta.
9/2355/49. Traversi.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge all'esame dell'Assemblea prevede, agli articoli 35 e 36, misure lavorative in favore dei detenuti;
è importante il reinserimento sociale dei detenuti anche e soprattutto con riguardo all'articolo 27 della Costituzione che dispone che le pene devono mirare alla rieducazione ed al reinserimento sociale dei detenuti nella società. Questo ultimo principio è fondamentale per garantire un approccio umano e costruttivo alla detenzione;
la scarsa qualità della vita all'interno delle strutture penitenziarie costituisce un ostacolo significativo per il reinserimento dei detenuti nella società;
il tema della formazione e del lavoro in carcere non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche un investimento per il futuro del Paese,
impegna il Governo
ad accompagnare le disposizioni recate dal provvedimento in esame, con ulteriori misure dirette a potenziare la formazione professionale e tecnica dei detenuti (compresa l'alfabetizzazione linguistica) sia presso gli istituti penitenziari sia presso gli enti di formazione, al fine di assicurare l'attività lavorativa dei detenuti per un loro reinserimento socio-lavorativo.
9/2355/50. Soumahoro.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge all'esame dell'Assemblea prevede, agli articoli 35 e 36, misure lavorative in favore dei detenuti;
è importante il reinserimento sociale dei detenuti anche e soprattutto con riguardo all'articolo 27 della Costituzione che dispone che le pene devono mirare alla rieducazione ed al reinserimento sociale dei detenuti nella società. Questo ultimo principio è fondamentale per garantire un approccio umano e costruttivo alla detenzione;
la scarsa qualità della vita all'interno delle strutture penitenziarie costituisce un ostacolo significativo per il reinserimento dei detenuti nella società;
il tema della formazione e del lavoro in carcere non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche un investimento per il futuro del Paese,
impegna il Governo
a proseguire nella elaborazione di misure nel solco individuato dall'articolo 34 del decreto-legge.
9/2355/50. (Testo modificato nel corso della seduta)Soumahoro.
La Camera,
premesso che:
nelle carceri italiane è presente un'alta percentuale di detenuti in custodia cautelare;
dal 1992 ad oggi si sono registrati oltre 30 mila casi di ingiusta detenzione di fronte ai quali lo Stato ha pagato a titolo di riparazione la somma di oltre 874 milioni di euro;
l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale prevede una prognosi di reiterazione del reato che solo la misura del carcere o dei domiciliari può scongiurare;
tale esigenza cautelare deve tuttavia conciliarsi con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che assume maggior forza laddove ci si trovi ad operare la prognosi su un soggetto che non ha riportato precedenti condanne a pena detentiva;
in altre parole, qualcuno la cui responsabilità non è ancora stata accertata, che sia dunque sospetto ma goda della presunzione di non colpevolezza e non abbia subito precedenti condanne a pena detentiva, subisce una misura cautelare sulla previsione che possa reiterare un reato non ancora accertato;
un sospetto basato su un sospetto: sospetto di reiterazione del reato nei confronti di chi è solo sospettato di aver commesso quel reato, ma non è ancora stato dichiarato colpevole – anzi è presunto innocente – né lo è stato in passato;
occorre un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza, che consentano il sacrificio della libertà personale con custodia cautelare per pericolo di reiterazione nei confronti di chi non ha riportato precedenti condanne a pena detentiva solo in caso di reati di grave allarme sociale e di reati che compromettano la sicurezza pubblica o privata o l'incolumità delle persone,
impegna il Governo
nell'ambito degli interventi contenuti nel titolo V volti, anche indirettamente, a ridurre la consistenza della popolazione carceraria, e tenuto conto degli effetti che l'applicazione delle misure di custodia cautelare può produrre sull'aumento di tale popolazione, a predisporre o comunque a favorire un intervento normativo finalizzato ad una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare, con particolare riferimento alle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale, finalizzato ad un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza, disponendo il sacrificio della libertà personale attraverso la custodia cautelare per pericolo di reiterazione nei confronti di chi non abbia riportato precedenti condanne a pena detentiva, solo per reati di grave allarme sociale e per reati che mettono a rischio la sicurezza pubblica o privata o l'incolumità delle persone.
9/2355/51. Enrico Costa.
La Camera,
premesso che:
nelle carceri italiane è presente un'alta percentuale di detenuti in custodia cautelare;
dal 1992 ad oggi si sono registrati oltre 30 mila casi di ingiusta detenzione di fronte ai quali lo Stato ha pagato a titolo di riparazione la somma di oltre 874 milioni di euro;
l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale prevede una prognosi di reiterazione del reato che solo la misura del carcere o dei domiciliari può scongiurare;
tale esigenza cautelare deve tuttavia conciliarsi con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che assume maggior forza laddove ci si trovi ad operare la prognosi su un soggetto che non ha riportato precedenti condanne a pena detentiva;
in altre parole, qualcuno la cui responsabilità non è ancora stata accertata, che sia dunque sospetto ma goda della presunzione di non colpevolezza e non abbia subito precedenti condanne a pena detentiva, subisce una misura cautelare sulla previsione che possa reiterare un reato non ancora accertato,
impegna il Governo
nell'ambito degli interventi contenuti nel Titolo V, a predisporre o comunque a favorire un intervento normativo finalizzato ad una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare, con particolare riferimento alle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, finalizzato ad un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza, tenendo nella giusta considerazione lo stato di incensuratezza dell'indagato.
9/2355/51. (Testo modificato nel corso della seduta)Enrico Costa.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in conversione reca disposizioni in materia di sospensione della pena per le detenute madri;
l'articolo 15, nel modificare la disciplina del rinvio dell'esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore a un anno, rendendolo facoltativo e non più obbligatorio, prevede che le medesime scontino la pena, qualora non venga disposto il rinvio, presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. La nuova disposizione, inoltre, introduce nel codice di procedura penale un nuovo articolo che tratta il tema della custodia cautelare in carcere: nello specifico la si prevede nei confronti delle detenute in istituti a custodia attenuata per detenute madri che evadano, tentino di evadere o commettano atti che compromettono l'ordine e la sicurezza;
la materia dell'applicazione delle misure cautelari custodiali in carcere, disposte sulla base del rischio di reiterazione di reati della medesima specie costituisce l'esigenza cautelare più diffusa nel procedimento di applicazione delle medesime e, al contempo, la più difficile da confutare per l'intrinseca natura prognostica della relativa deliberazione: la misura custodiale in carcere costituisce la più incisiva forma di coercizione della libertà personale e viene disposta nei confronti di persone che, per il nostro ordinamento sono, fino alla sentenza definitiva, presunte innocenti;
l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale prevede una prognosi di reiterazione del reato che solo la misura del carcere o dei domiciliari può scongiurare;
il fondamentale principio di proporzionalità impone di mantenere un equilibrio tra la reazione dello Stato a un crimine e la gravità del reato. Esso è ribadito dall'articolo 275 del codice di procedura penale in materia di misure cautelari. La custodia cautelare in carcere è la misura più afflittiva e, pertanto, deve essere applicata solo quando le altre misure non siano idonee a garantire le esigenze cautelari. Tale condizione di equilibrio può essere maggiormente garantita tramite una nuova valutazione da parte del giudice circa la persistenza del rischio di reiterazione del reato, decorso un congruo lasso di tempo, ovvero 60 giorni;
un congruo bilanciamento con le esigenze di sicurezza impone l'esclusione da tale meccanismo dei reati di maggiore allarme sociale,
impegna il Governo
ad accompagnare le misure recate dal provvedimento in esame richiamate in premessa, con iniziative legislative finalizzate ad una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare, con particolare riferimento alle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale tramite meccanismi di controllo giurisdizionale circa la persistenza di tale esigenza cautelare successivi all'applicazione della misura, con esclusione dei reati di grave allarme sociale e dei reati che mettono a rischio la sicurezza pubblica o privata o l'incolumità delle persone, così garantendo un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza.
9/2355/52. Calderone.
La Camera,
premesso che:
nelle carceri italiane è presente un'alta percentuale di detenuti in custodia cautelare;
dal 1992 ad oggi si sono registrati oltre 30 mila casi di ingiusta detenzione di fronte ai quali lo Stato ha pagato a titolo di riparazione la somma di oltre 874 milioni di euro;
l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale prevede una prognosi di reiterazione del reato che solo la misura del carcere o dei domiciliari può scongiurare;
tale esigenza cautelare deve tuttavia conciliarsi con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che assume maggior forza laddove ci si trovi ad operare la prognosi su un soggetto che non ha riportato precedenti condanne a pena detentiva;
in altre parole, qualcuno la cui responsabilità non è ancora stata accertata, che sia dunque sospetto ma goda della presunzione di non colpevolezza e non abbia subito precedenti condanne a pena detentiva, subisce una misura cautelare sulla previsione che possa reiterare un reato non ancora accertato,
impegna il Governo
nell'ambito degli interventi contenuti nel Titolo V, a predisporre o comunque a favorire un intervento normativo finalizzato ad una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare, con particolare riferimento alle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, finalizzato ad un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza, tenendo nella giusta considerazione lo stato di incensuratezza dell'indagato.
9/2355/52. (Testo modificato nel corso della seduta)Calderone.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in conversione reca numerose modifiche al codice penale, quali l'articolo 10 che prevede norme volte a contrastare l'occupazione abusiva di immobili, introducendo il reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (o delle relative pertinenze), l'articolo 11 che introduce una nuova circostanza aggravante comune e ulteriori modifiche al codice penale volte a rendere più incisiva la repressione del fenomeno delle truffe nei confronti delle persone anziane, ovvero l'articolo 12 che, modifica il terzo comma dell'articolo 635 del codice penale al fine di prevedere un inasprimento delle pene per il delitto di danneggiamento in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico qualora il fatto sia commesso con violenza alla persona o minaccia;
in tema di rapina, la sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;
in forza del principio di ragionevolezza, essendo rapina ed estorsione reati con elementi simili, ma distinti per l'oggetto del reato, la condotta e la cooperazione della vittima, il disposto della Consulta pare applicabile anche al limitrofo delitto di estorsione (articolo 629 del codice penale),
impegna il Governo
ad accompagnare le misure recate dal provvedimento in esame richiamate in premessa, predisponendo o comunque favorendo un intervento normativo finalizzato ad una rimodulazione dei delitti di cui agli articoli 628 e 629 volto ad introdurre la riduzione della pena non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
9/2355/53. Arruzzolo, Calderone.
La Camera,
premesso che:
nelle carceri italiane è presente un'alta percentuale di detenuti in custodia cautelare;
dal 1992 ad oggi si sono registrati oltre 30 mila casi di ingiusta detenzione di fronte ai quali lo Stato ha pagato a titolo di riparazione la somma di oltre 874 milioni di euro;
l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale prevede una prognosi di reiterazione del reato che solo la misura del carcere o dei domiciliari può scongiurare;
tale esigenza cautelare deve tuttavia conciliarsi con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che assume maggior forza laddove ci si trovi ad operare la prognosi su un soggetto che non ha riportato precedenti condanne a pena detentiva;
in altre parole, qualcuno la cui responsabilità non è ancora stata accertata, che sia dunque sospetto ma goda della presunzione di non colpevolezza e non abbia subito precedenti condanne a pena detentiva, subisce una misura cautelare sulla previsione che possa reiterare un reato non ancora accertato,
impegna il Governo
nell'ambito degli interventi contenuti nel Titolo V, a predisporre o comunque a favorire un intervento normativo finalizzato ad una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare, con particolare riferimento alle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, finalizzato ad un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza, tenendo nella giusta considerazione lo stato di incensuratezza dell'indagato.
9/2355/53. (Testo modificato nel corso della seduta)Arruzzolo, Calderone.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge all'esame dell'Assemblea reca: «Conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario» (2355);
il provvedimento in molte delle sue norme si pone in evidente contrasto con una serie di principi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario. A denunciarlo, oltre numerose organizzazioni che si occupano di diritto, come Amnesty International Italia, Antigone, Asgi ed altre, è stata anche l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), in un suo documento di analisi di questo provvedimento, affermando che la maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto;
l'articolo 18, prevede una forte restrizione all'uso della cannabis light, equiparandola a quella non light, eppure le differenze tra cannabis indica e cannabis sativa riguardano diversi aspetti: l'origine, la posizione geografica, il tempo di fioritura, i princìpi attivi, gli effetti psicofisici e gli utilizzi;
con canapa legale si intende la varietà sativa, relativamente alla quale la legge 2 dicembre 2016, n. 242, permette la libera coltivazione di canapa con contenuti di THC inferiori allo 0,2 per cento. I maggiori impieghi della canapa legale in Italia sono nel settore degli alimenti (nella produzione di semi, olio, farina, biscotti, condimenti) tessuti, carte, cosmetici, materiali edili, sportivi, accessori di moda ma anche aromaterapici come l'impiego dell'olio essenziale. La situazione settoriale è in forte mutamento, anche in risposta alle richieste dei consumatori che sembrano riconoscere le peculiarità dei prodotti ottenuti da questa coltura;
il decreto 27 giugno 2024 (Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 157 del 6 luglio 2024), classificando il CBD tra le sostanze stupefacenti in Tabella B, ne ostacola la libera vendita nel mercato europeo;
tali misure sollevano problemi di compatibilità con la normativa dell'Unione europea, nonché con la giurisprudenza CGUE (C-663/18), che vieta di impedire la vendita di CBD legale senza evidenze di rischio per la salute pubblica. Porre un divieto alla vendita di prodotti contenenti cannabidiolo è in contrasto con la normativa comunitaria che considera il CBD un prodotto legale se derivato dalla cannabis sativa con un contenuto di THC inferiore allo 0,2 per cento: le suddette misure non sono state notificate al sistema TRIS, malgrado il loro impatto sul mercato interno e sulla libera circolazione delle merci;
la canapa sativa è tra le piante più conosciute e diffuse nel mondo, cresce senza l'utilizzo di pesticidi e concimi chimici, non necessita di costante manutenzione e irrigazione e si presta benissimo ai cambiamenti climatici in atto;
l'Italia per un lungo arco di tempo è stata la seconda produttrice del mondo: dalla produzione tessile (vestiti, carte e tessuti tradizionali ricamati), a materiali di costruzione di bioedilizia (mattoni, vele e corde per la navigazione) cosmetici, sostanze alimentari, prodotti oleosi e molto altro ancora;
gli effetti della cannabis sativa vengono chiamati «effetti high – effetti alti», le sue qualità si esprimono al massimo grado sugli effetti psico-fisici che offre: riesce efficacemente a ridurre gli stati infiammatori regolando diversi apparati tra cui il sistema nervoso centrale, contrasta l'ansia e la depressione, insonnia, mal di testa e cefalee;
il Governo, come dimostrano le disposizioni contenute nell'articolo 18, fa, ad avviso dei firmatari, deliberatamente confusione tra canapa sativa e canapa indica: continua la contrapposizione politica e ideologica che ha impedito finora un approccio scientifico al tema del consumo delle droghe leggere;
le politiche antidroga hanno da sempre privilegiato una legislazione orientata alla repressione penalistica del fenomeno, ponendo in secondo piano l'aspetto preventivo, nonostante la presenza di esempi virtuosi che, sia in Europa che nel resto del mondo, dimostrano, anche ai più scettici, come politiche antiproibizionistiche alla fine raggiungano obiettivi migliori sia in termini di riduzione del consumo di sostanze stupefacenti e di commissione di reati, sia sotto il profilo del contrasto dei fenomeni criminali nazionali e internazionali;
basterebbe ricordare la recente decisione della Commissione sugli stupefacenti istituita dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (CND) che, su raccomandazione dell'Organizzazione mondiale della sanità, e con il voto favorevole anche dell'Italia, ha rimosso la cannabis dalla tabella IV – allegata alla Convenzione unica sugli stupefacenti fatta a New York il 30 marzo 1961, ratificata ai sensi della legge 5 giugno 1974, n. 41 –;
attualmente il consumo e la detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti non hanno rilevanza penale grazie all'esito del referendum del 1993, mentre la detenzione per uso personale può essere oggetto di sanzione amministrativa ai sensi dell'articolo 75 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Il referendum abrogativo del 18 aprile 1993 vide un'ampia partecipazione, con il 77 per cento degli aventi diritto che parteciparono al voto, il 55,3 per cento dei quali – oltre 19 milioni di cittadini – si espresse contro la repressione penale del consumo. Viceversa è ancora sanzionata penalmente la coltivazione di piante dalle quali possano estrarsi sostanze stupefacenti e ciò, con riferimento alla cannabis, ha comportato e comporta il rischio che anche nei casi di coltivazione domestica effettuata con finalità di autoconsumo, anche terapeutico, possa essere instaurato un procedimento penale, con tutte le conseguenze del caso;
riteniamo che sia giunto il momento che anche il legislatore intervenga per adeguare la normativa alle istanze sociali, rimaste parzialmente disattese dal 1993 a oggi, volte a escludere finalmente la criminalizzazione di una condotta che non viene ritenuta illecita dalla maggioranza dei cittadini e che difetta degli elementi costitutivi del fatto tipico: se la condotta non è idonea a ledere la salute pubblica, la coltivazione domestica di poche piante di cannabis non può essere considerata reato. Questo anche al fine di interrompere il rapporto tra il consumatore e la fonte di approvvigionamento illecita e sottrarre alle organizzazioni criminali ingenti fonti di guadagno, come più volte evidenziato dalla stessa Direzione nazionale antimafia, consentendo così agli investigatori di concentrare le risorse disponibili di uomini e mezzi sul contrasto delle vere attività criminali legate allo spaccio, nazionale e internazionale, di sostanze stupefacenti come il fentanyl e altre droghe sintetiche;
l'uso terapeutico dei principi attivi contenuti nella cannabis è rivolto al trattamento del dolore cronico, anche associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; può inoltre essere impiegato nel dolore legato a malattie reumatologiche, per il controllo di nausea e vomito incoercibili dopo chemioterapie e radioterapia, oltre che per altre malattie croniche ovvero per stimolare l'appetito e contrastare l'anoressia; talune indicazioni sono finalizzate nella patologia oculare del glaucoma; oppure, ancora, l'uso terapeutico può essere d'ausilio nelle forme più gravi di sindrome di Gilles de la Tourette, caratterizzata da tic multipli e movimenti (soprattutto del volto) spesso incontrollabili;
nel 2021, presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, si è insediato per la prima volta il Tavolo nazionale di filiera della canapa, con il preciso obiettivo di avviare e garantire il confronto fra tutti gli attori del comparto, al fine di implementare il quadro normativo di un settore che negli ultimi anni ha fatto registrare un significativo aumento delle superfici coltivate. Tale Tavolo non si è però mai più riunito;
con l'equiparazione della cannabis light alla cannabis indica con elevati livelli di THC si cancella una filiera tutta italiana produttiva e in salute; si chiudono, in altre parole, 3.000 aziende agricole e 15 mila lavoratori del settore resteranno senza un impiego;
infine, la canapa, a livello di diritto dell'Unione europea, è qualificata da decenni come «prodotto agricolo» e come «pianta industriale» ai sensi del Reg. UE n. 220/2015, senza alcuna distinzione normativa tra le parti della pianta, e il divieto di commercializzazione delle sue infiorescenze rischierebbe di costituire una violazione degli articoli 34 e 36 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), ossia della libera circolazione dei prodotti tra uno Stato membro e l'altro,
impegna il Governo:
a valutare gli effetti applicativi del provvedimento in esame, al fine di reintrodurre nel primo provvedimento utile la libera coltivazione della pianta della canapa con contenuti di THC inferiori allo 0,2 per cento e la commercializzazione di essa e dei suoi derivati, riattivando i lavori del Tavolo nazionale di filiera della canapa, al fine di fare i dovuti e necessari approfondimenti sulla materia e portare avanti l'approvazione di un vero e proprio piano di settore;
ad intervenire con il primo provvedimento utile affinché l'uso, la produzione e la diffusione della cannabis non sia intaccata anche nei suoi obiettivi terapeutici, rendendo il suo impiego accessibile a chi ne ha bisogno per motivi terapeutici e tutelando al contempo la salute pubblica con misure che siano in armonia con le evidenze scientifiche nazionali ed internazionali;
ad introdurre quantomeno, alla luce di quanto esposto in premessa in relazione ai danni economici alle numerose aziende della filiera, un differimento dell'entrata in vigore della disposizione introdotta con l'articolo 18 del provvedimento, al fine di poter far fronte agli investimenti già posti in essere dagli operatori del settore, prevedendo misure volte a tutelare e salvaguardare le 3.000 aziende agricole e 15 mila posti di lavoro che con la nuova normativa verrebbero meno;
a valutare gli effetti applicativi della normativa richiamata in premessa al fine di rivedere nel suo insieme le politiche proibizioniste che equiparano la cannabis light a quella cosiddetta «tradizionale» modificando le nuove misure introdotte con l'articolo 18 del provvedimento che proibiscono il commercio, la lavorazione e l'esportazione di foglie, infiorescenze, resine e di tutti i prodotti contenenti sostanze derivate dalla pianta di canapa sativa;
a trasmettere tempestivamente la notifica TRIS relativa alla norma di cui all'articolo 18 del provvedimento in esame alla Commissione europea, ai sensi della Direttiva 2015/1535, indicando i motivi che rendono necessario adottare la regolamentazione ivi contenuta, nonché i dati pertinenti relativi alle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), le conseguenze previste e l'analisi contenente l'indicazione delle evidenze dei rischi per la salute dei cittadini, al fine di evitare violazioni dei principi del diritto dell'Unione europea e del mercato interno.
9/2355/54. Zanella, Dori, Zaratti, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge all'esame dell'aula reca: «Conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario» (2355);
il provvedimento in molte delle sue norme si pone in evidente contrasto con una serie di principi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario. A denunciarlo, oltre numerose organizzazioni che si occupano di diritto, come Amnesty International Italia, Antigone, Asgi ed altre, è stata anche l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), in un suo documento di analisi di questo provvedimento, affermando che la maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto;
ad avviso dei firmatari, questo disegno di legge, affetto da ipertrofia panpenalistica, mostra con chiarezza, come molti altri provvedimenti prima di questo, le ossessioni, le ristrettezze di vedute e i diktat ideologici e propagandistici che sottendono le politiche di questo Esecutivo e lo rendono incapace di governare la realtà dei fatti. Come al solito, si risponde al disagio e alle disuguaglianze economiche e sociali con la repressione, aumentando sanzioni e pene in una logica unicamente repressiva e securitaria, con norme che si pongono in evidente contrasto con una serie di principi costituzionali nel campo del diritto penale, del diritto sociale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
interessante è stato notare che il termine sicurezza compare nel testo ben 48 volte, con una reiterazione ossessiva di un concetto declinato esclusivamente in termini di proibizioni e punizioni, privo di ogni azione di prevenzione, assolutamente inefficace a realizzare quella sicurezza sociale, ambientale, lavorativa e umana, finalizzata a garantire benessere e uguaglianza di condizioni a cittadine e cittadini del nostro Paese;
nell'insieme del provvedimento ci troviamo di fronte a un complesso di misure che danno luogo a un'idea di giustizia e sicurezza che i firmatari ritengono non solo inefficace, ma proprio sbagliata. Infatti, è inefficace qualunque azione di giustizia e sicurezza che si affidi esclusivamente al carcere, in particolare al carcere così com'è oggi nella sua realtà. Sappiamo bene che le carceri italiane scoppiano, che il tasso di affollamento è del 130,6 per cento e che sono detenute circa 14.000 persone in più rispetto ai posti regolamentari; sappiamo bene che oltre 60.000 persone affollano i nostri istituti penitenziari, al caldo insopportabile d'estate, al freddo in inverno; spesso senza acqua, circondate da cimici, blatte e topi; spesso in condizioni psicologiche e psichiatriche del tutto incompatibili con la permanenza dietro le sbarre. Sappiamo bene che 17,4 detenuti su 100 commettono atti di autolesionismo e che il numero di suicidi è arrivato a quota 88 nel 2024;
sappiamo bene che gli agenti della Polizia penitenziaria lavorano in condizioni drammatiche e non di rado sono soggetti a atti estremi come il suicidio. Sappiamo bene che il diritto alla salute, a partire da quella psichica, non è affatto garantita, posto che le carceri si stanno trasformando in nuovi manicomi. Ma, nonostante questo, nulla si fa per rendere le carceri meno disumane;
la tesi che le donne incinte o, soprattutto, con bambini piccoli, possano trovare maggiore conforto chiuse in prigione ci fa riflettere sulla vostra reale idea di carcere, sulla tutela dei minori e sulle politiche di inclusione;
nonostante ciò gli articoli 26 e 27 del provvedimento mirano, nelle intenzioni del Governo, a rafforzare l'ordine pubblico e la sicurezza negli istituti penitenziari e nei centri di permanenza temporanea, le conseguenze invece saranno l'ingestibilità di strutture già piegate dal sovraffollamento;
il nuovo impegno che si riserva alle condizioni di vita all'interno delle carceri è l'introduzione del delitto di rivolta carceraria: un'arma di ricatto che richiama il regolamento fascista del 1931 e che, violando l'esercizio di un diritto fondamentale, mira a ottenere silenzio e disciplina, senza far nulla per prevenire e per risolvere le principali problematiche delle carceri o dei CPR: ad esempio, spazi di dimensioni e qualità adeguata; aumento dell'organico della Polizia penitenziaria; tutela della salute dei detenuti, a partire dalle condizioni igieniche. Niente di tutto questo è contenuto nel provvedimento in esame;
se poi chi osa manifestare il proprio dissenso per le condizioni della propria detenzione è straniero e si trova malauguratamente all'interno di un CPR, allora, ad avviso dei firmatari, dal «meschino» si passa proprio al «sadico»: piuttosto che abolire questi brutali lager e cercare di trovare una soluzione al fenomeno migratorio, prospettando una vita degna per chi spesso fugge da fame e miseria, si introducono nuovi reati, con le pene abnormi, per chi, anche con la resistenza passiva, promuova una rivolta in un CPR. E questo, nonostante la situazione nei centri italiani di permanenza per i rimpatri sia stata più volte dichiarata in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e chiunque ne abbia visitato non abbia potuto altro che constatare la brutalità di questi luoghi;
la situazione di disagio all'interno degli istituti penitenziari è allarmante, come testimonia il libro bianco sulle droghe promosso tra gli altri dal Forum Droghe, Associazione Antigone e Associazione Luca Coscioni, secondo cui il 40,7 per cento delle persone che entrano in carcere è tossicodipendente;
l'introduzione di queste nuove pene rappresenta, ad avviso dei firmatari, in maniera plastica, la voglia di alimentare odio e razzismo: due sentimenti che contrastano con qualsiasi logica di sicurezza ma, anzi, rendono insicuro ogni ambiente in cui si ritrovino, oltre a rappresentare la massima contravvenzione ai doveri di solidarietà previsti dall'articolo 2 della nostra Costituzione;
l'articolo 26 prevede, anzitutto, la modifica dell'articolo 415 del codice penale che come noto contempla, nell'ambito dei delitti contro l'ordine pubblico, la fattispecie di istigazione a disubbidire alle leggi. A tale disposizione viene ora aggiunto un comma che prevede «la pena è aumentata se il fatto è commesso all'interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni dirette a persone detenute»;
l'articolo 27 introduce una disciplina similare all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per coloro che realizzino all'interno di uno dei centri per migranti, «mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all'esecuzione degli ordini impartiti ovvero mediante tentativi di evasione, commessi in tre o più persone riunite, promuove, organizza o dirige una rivolta»;
stiamo assistendo a una criminalizzazione di qualsiasi tipo di dissenso che arriva a punire anche quelle che in carcere o nei CPR sono, molto spesso, semplici manifestazioni di insofferenza e non rivolte. Non ha alcuna funzione rieducativa condannare fino ad altri 5 anni di reclusione ad esempio, un detenuto, che batte sulle sbarre per richiamare l'attenzione, sulle sue condizioni di carcerazione o la resistenza passiva, che può essere anche il semplice sciopero della fame; di fatto qualsiasi atto di disobbedienza o di critica anche di modesto valore quali, ad esempio, la mancata pulizia della cella, la mancata assunzione del pasto o di medicinali, se realizzata contemporaneamente da tre o più persone potrà essere qualificata come rivolta e, quindi, punita ai sensi dell'articolo 415-bis del codice penale senza che sia possibile predeterminare quali siano le condotte che effettivamente sono idonee a recare offesa al bene giuridico dell'ordine pubblico;
paradossalmente, se un detenuto rimane seduto sul proprio letto, rifiutandosi di obbedire ad un ordine, rischia ulteriori cinque anni di reclusione, dimenticandoci che la resistenza passiva è stata sdoganata dal Mahatma Gandhi, il quale ha dimostrato come in tal modo si possa arrivare a cambiare il mondo;
queste norme si prestano a fungere da pericoloso strumento di gestione arbitraria dell'ordine pubblico in contesti dove le relazioni di forza sono necessariamente a senso unico;
nella vita carceraria di tutti i giorni, queste norme saranno un'arma di ricatto per indurre alla disciplina e al silenzio i detenuti che non avranno la possibilità di dissentire, protestare ovvero opporsi a qualsiasi ordine carcerario, si rischia di produrre l'annichilimento dei detenuti che saranno così definitivamente esclusi da qualsiasi dimensione di vita autonoma e responsabile: è la trasformazione del detenuto e del clandestino, in una persona docile che deve solo obbedire. Si impone un ritorno al passato, quando i detenuti dovevano camminare in carcere a testa bassa e lungo i muri; questi nuovi reati sono in contrasto con un modello di carcere basato sulla responsabilità e sull'autonomia: le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle detenute e i provvedimenti non detentivi per le autrici di reati, cosiddette «Regole di Mandela», alla Regola 5, in particolare stabiliscono che «Il regime carcerario deve sforzarsi di ridurre al minimo le differenze tra la vita carceraria e la vita privata»;
infine, nel provvedimento nemmeno una parola sulle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) che rappresentano un elemento essenziale del sistema di esecuzione delle misure di sicurezza finalizzate al recupero dei soggetti che necessitano di un trattamento psichiatrico;
attualmente, il numero di REMS attive non risulta sufficiente a far fronte alle esigenze del territorio nazionale, e si è osservato un notevole aumento della domanda di posti nelle strutture esistenti creando lunghe liste d'attesa che pregiudicano sia la cura dei pazienti sia la sicurezza degli internati e del loro custodi;
l'efficace funzionamento delle REMS dipende in larga misura dalla disponibilità di personale adeguatamente qualificato, sia sanitario sia di sicurezza, capace di garantire cure appropriate e il mantenimento dell'ordine e della sicurezza nelle strutture,
impegna il Governo:
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento alle norme penali che coinvolgono persone private della libertà e sotto la custodia dello Stato e alla resistenza passiva, sotto il profilo dell'efficacia, della congruità e della logicità, così da garantire con precisione l'applicazione del principio di proporzionalità delle pene applicabili sulla base di una corretta distinzione tra comportamenti violenti e non;
a presentare al Parlamento una relazione che espliciti le motivazioni sottese alla decisione di aumentare e implementare i centri di permanenza e rimpatrio, in deroga alle leggi, alla luce delle recenti dichiarazioni, di autorevoli membri del Governo circa la diminuzione degli sbarchi e l'assenza di una situazione di emergenza;
ad accompagnare le misure recate dal Capo V con ulteriori iniziative volte a:
garantire, anzitutto, la sicurezza di spazi di vivibilità interna sia per i detenuti che per il personale dell'amministrazione penitenziaria, rendendo più umane le condizioni detentive, garantendo efficacemente l'accesso ai trattamenti sanitari e la comunicazione telefonica con l'esterno, e aprendo tali strutture al controllo della società civile;
garantire ai detenuti e agli internati, quando non ostino ragioni di sicurezza o di opportunità, visite con le persone autorizzate ai colloqui al fine di poter avere anche relazioni affettive intime, senza il controllo a vista o da remoto da parte del personale di custodia;
garantire e implementare la funzionalità e l'organizzazione degli uffici e delle strutture di esecuzione penale esterna e per la messa alla prova, aumentando il personale e portando a termine i concorsi già banditi, anche per l'abbattimento della recidiva e per la piena attuazione dei principi costituzionali, quale quello di cui all'articolo 27 della Costituzione;
incrementare il ricorso alle misure alternative al carcere per adulti, e a riportare al centro, potenziandolo, il sistema della probation minorile e delle misure alternative al carcere, potenziando gli uffici di servizio sociale per minorenni, i centri di prima accoglienza, le case e i centri di comunità, i centri diurni polifunzionali, nonché stanziando le necessarie ed adeguate risorse finanziarie ed organizzative per garantire il diritto all'accesso ad un'adeguata istruzione di ogni ordine e grado e formazione, che fornisca le basi per un accesso a tutti i gradi, ivi compresa la formazione universitaria, per i detenuti e gli internati di tutti gli istituti destinati all'esecuzione della pena;
incrementare ed adeguare gli organici e le risorse destinate al compenso per lavoro straordinario del personale della polizia penitenziaria, nonché a prevedere, al fine di assicurare il funzionamento omogeneo degli istituti penitenziari sull'intero territorio nazionale, che ogni istituto abbia garantito il proprio dirigente in via esclusiva, anche al fine di prevenire, nel contesto carcerario, fenomeni derivanti dalla condizione di marginalità sociale dei detenuti;
prevedere il reclutamento di non meno di 500 nuovi magistrati, eventualmente anche tramite lo scorrimento di graduatorie in corso di validità all'entrata in vigore della legge in esame da destinare in particolare alla magistratura di sorveglianza, nonché a potenziare e a studiare forme di stabilizzazione per l'ufficio del processo penale presso i tribunali di sorveglianza;
valutare l'opportunità di prevedere, nel primo provvedimento utile, la realizzazione di nuove REMS, nonché l'incremento del personale sanitario e della polizia penitenziaria al fine di colmare le carenze strutturali attuali, migliorare la qualità delle cure e garantire la sicurezza delle strutture;
al fine di rafforzare le funzioni terapeutico riabilitative e socio-riabilitative in favore di soggetti affetti da patologie psichiatriche, prevedere, con il primo provvedimento utile, lo stanziamento di ulteriori risorse per implementare la capienza e il numero delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, così da scongiurare il rischio che i soggetti che, necessitando di supporto psichiatrico, siano invece destinati a scontare la pena all'interno di non idonei istituti penitenziari, compiano gesti estremi, mettendo in pericolo altresì l'incolumità del personale penitenziario;
avviare un piano straordinario di assunzioni destinato a risolvere definitivamente l'atavica carenza di personale di Polizia penitenziaria, nonché delle altre figure operanti all'interno degli istituti penitenziari, quali educatori, personale amministrativo e personale sanitario.
9/2355/55. Zaratti, Dori, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge all'esame dell'Assemblea reca: «Conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario» (2355);
il provvedimento, ad avviso dei sottoscrittori, in molte delle sue norme si pone in evidente contrasto con una serie di princìpi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario. A denunciarlo, oltre numerose organizzazioni che si occupano di diritto, come Amnesty International Italia, Antigone, Asgi ed altre, è stata anche l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), in un suo documento di analisi di questo provvedimento, affermando che: «La maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i princìpi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto»;
le norme contenute in questo provvedimento all'esame dell'Assemblea sono, in gran parte, in contraddizione con il dettato costituzionale e con la normativa europea. Se da una parte l'effetto propagandistico di queste norme sarà politicamente efficace, l'applicazione concreta delle nuove fattispecie di reato e delle altre modifiche sarà di certo affaticata dai numerosi ricorsi che si possono già prevedere alla Consulta. Certo è che la Corte costituzionale valuterà queste disposizioni anche alla stregua del contesto politico sociale attuale, non più secondo le parole della Carta ma seguendo la cosiddetta «Costituzione vivente», ossia il testo della Costituzione coordinato con il complesso delle norme giuridiche dell'ordinamento complessivamente inteso;
in nome di una indefinita, quanto pericolosa, idea della «certezza della pena» si prevedono norme che mascherano, ad avviso dei firmatari, intenti discriminatori, come quella che prevede il carcere per le donne in stato di gravidanza, norma dall'evidente contenuto simbolico, finalizzata a reprimere un particolare gruppo sociale, connotato sul piano culturale e razziale, ossia le donne rom. Si rischia così di assecondare le pulsioni razziste già presenti nella società, perché parliamo di una decina di persone in tutta Italia. Non è questa sicurezza ma disumanità contro le donne e contro i bambini;
prive di ogni giustificazione politico criminale sono le disposizioni contenute nell'articolo 15 che rendono obbligatorio, e non più facoltativo, il rinvio dell'esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore ad un anno, disponendo che le medesime scontino la pena, qualora non venga posto il rinvio, presso un istituto carcerario. Inoltre, è previsto che l'esecuzione non sia rinviabile ove sussista il rischio, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti; a parte la necessità di coordinare tale disposizione con l'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, per comprendere se possa essere disposta la detenzione domiciliare per le detenute madri, la modifica normativa, a parere dei sottoscrittori, si pone in tendenziale contrasto col principio costituzionale secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (articolo 27, terzo comma, della Costituzione);
certamente disumana è la pena carceraria inflitta alla detenuta madre di un bambino in tenerissima età, sia pur in presenza di un rischio «di eccezionale rilevanza» (ma non altrimenti specificato) di commissione di ulteriori delitti;
la civiltà di un ordinamento si valuta dal modo nel quale vengono trattate le persone più deboli – i detenuti, i migranti, i poveri, i vagabondi e tutte le persone vulnerabili – e dalla misura nella quale viene salvaguardata la loro dignità di persone che non si acquista per meriti e non si perde per demeriti;
le statistiche sulle detenute madri elaborate dal Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria confermano, poi, che il numero di detenute madri – al momento nove in tutto il territorio nazionale – non è tale da giustificare una modifica in peius del regime di cui agli articoli 146 e 147 del codice penale;
tra l'altro, gli ICAM allo stato sono solo 5 in tutta Italia e, per la loro natura ancora sperimentale nonché per l'inadeguatezza dei locali e del personale addetto, hanno caratteristiche assolutamente incompatibili con il benessere dei bambini e delle loro madri: sono carceri a tutti gli effetti;
l'interesse superiore del minore è, in tutta evidenza, di vivere fuori dal carcere e non è necessaria una valutazione individuale per stabilirlo. Dal primo al terzo anno di vita del bambino, la decisione di differire o meno la pena viene invece lasciata alla valutazione del giudice;
il nuovo articolo 15 elimina il rinvio obbligatorio della pena creando così un vulnus intollerabile dal sistema giuridico, socio-sanitario e pedagogico per il minore;
nel caso di una donna incinta, la nuova disposizione sarebbe in netto contrasto con quanto previsto dalle regole penitenziarie europee, secondo le quali le detenute devono essere autorizzate a partorire fuori dal carcere (regola 34.3 delle Regole delle Nazioni Unite relative al trattamento delle donne detenute e alle misure non detentive per le donne autrici di reato, altrimenti conosciute come «Regole di Bangkok»), in quanto è impossibile prevedere quando avverrà il parto. La Regola 64 afferma chiaramente che «Le pene non detentive per le donne incinte e per le donne con figli a carico devono essere preferite laddove possibile» e viene richiamato l'interesse superiore del bambino rispetto all'esercizio del potere punitivo che può essere eseguito anche con modalità differenti; occorrerebbe piuttosto dare piena attuazione nell'ordinamento italiano della regola 64 delle Regole delle Nazioni Unite relative al trattamento delle donne detenute e alle misure non detentive per le donne autrici di reati (Regole di Bangkok), fatte proprie dall'Assemblea generale dell'ONU nella sua sessione del luglio 2010, secondo la quale «Le pene non privative della libertà devono essere privilegiate, quando ciò sia possibile e indicato, per le donne incinte e per le donne con bambini, in luogo di pene privative della libertà previste in caso di reati gravi o violenti o quando la donna rappresenta ancora un pericolo e dopo aver considerato l'interesse superiore del bambino o dei bambini, restando inteso che devono essere trovate soluzioni appropriate per la presa in carico di questi ultimi.»;
la norma in questione è solo una norma propagandistica, che non tiene conto delle statistiche e della realtà effettiva e fa parte di un pacchetto di misure repressive che ignorano le conseguenze per la salute dei bambini e delle donne. La nuova disposizione è pensata, nonché pubblicamente raccontata, come norma anti-rom, partendo dal pregiudizio che le donne rom sono tutte dedite al furto e che scelgono la maternità per sottrarsi alla carcerazione. In realtà i numeri delle donne rom in carcere sono così bassi, poche decine, da scardinare ogni pregiudizio;
l'inasprimento della disciplina del differimento dell'esecuzione della pena costituisce un effetto indiretto della pena che va ad incidere sul minore: si passa, infatti, per le madri con prole sino ad un anno dal regime di rinvio obbligatorio al regime di rinvio facoltativo. Tutto dipenderà da come i giudici eserciteranno il potere discrezionale, ma l'effetto della riforma potrebbe tradursi in un pregiudizio per il minore;
pregiudizio che non viene meno per il solo fatto che, laddove il rinvio non sia disposto, la pena detentiva vada scontata negli ICAM (obbligatoriamente con prole di età inferiore ad un anno; solo facoltativamente in caso di prole in età compresa tra uno e tre anni);
le nuove norme appaiono di dubbia legittimità costituzionale con riguardo all'articolo 31 della Costituzione che prescrive di tutelare la gravidanza, la maternità e i minori;
con tale intervento, il rinvio della pena per donne incinte e madri di prole fino a un anno, si allineano le condizioni tra le madri di figli di età maggiore o minore di un anno attraverso la scelta carcerocentrica, seppure presso gli ICAM dei quali è notoria la carenza (solamente 5, con distribuzione territoriale assai disomogenea). Con la inevitabile conseguenza che si apre alle donne in attesa e ai bambini la porta del carcere, nonostante siano note le condizioni drammatiche nelle quali versano gli istituti del nostro Paese, non solo in termini di sovraffollamento, ma anche di carenza di organici e di personale sanitario e psichiatrico, con conseguenze evidentemente negative in termini di tutela della salute e dell'integrità fisica e psichica di madri e minori, che dovrebbero essere oggetto di specifica tutela costituzionale. In particolare, si colpiscono, introducendo nuovi reati e inasprendo le pene, tutti quei comportamenti che nascono e si determinano in ambienti di povertà, di disagio, di marginalità, di degrado sociale che, per essere affrontati, avrebbero bisogno di politiche per l'inclusione e non di sanzioni penali. Tutte queste norme hanno anche l'effetto di aumentare il sovraffollamento degli istituti di pena, che già versano in situazioni di inaccettabile criticità. In particolare, si denuncia la presenza, come dato mai raggiunto, di più di 500 minori costretti nelle carceri minorili. Quanto sopra è inaccettabile sia per la condizione di detenute e detenuti sia per quella del personale impiegato negli istituti;
si elimina l'obbligo di rinvio dell'esecuzione della pena per le donne in gravidanza e per le madri di bambini fino a tre anni, con l'obbligatorietà della reclusione per le madri con bambini di età superiore a tre anni;
è evidente che nessun bambino debba varcare la soglia del carcere (ICAM compresi) e, per questo, non sia più rinviabile l'istituzione di case-famiglia, già previste per legge e mai istituite, per le madri con bambini;
è indegno di una democrazia che gli infanti crescano tra le mura del carcere; di contro, sono di fatto ignorate le case-famiglia protette previste dalla legge 21 aprile 2011, n. 62;
con la legge 27 dicembre 2019, n. 160, articolo 1, commi 322 e 323, per la prima volta è stata incentivata la rete delle case famiglia e di altre strutture residenziali territoriali, finanziando il sistema dell'accoglienza con un fondo di 1,5 milioni di euro per tre anni, da ripartire tra le regioni;
con l'istituzione del suddetto fondo si è inteso promuovere l'esperienza delle strutture di accoglienza esterne come luoghi più idonei alla corretta socializzazione dei minori, in quanto, rispetto agli istituti a custodia attenuata (ICAM), sono veri appartamenti in cui la madre può stare con il bambino attualmente in Italia sono attive solo due case famiglie protette (a Roma e Milano);
le case famiglie protette sono gestite da associazioni che si finanziano principalmente con donazioni e raccolte fondi, in quanto il finanziamento pubblico per il loro funzionamento è stato limitato nel tempo, limitatamente alla ripartizione tra le regioni delle risorse 2023 del Fondo istituito dall'articolo 1, comma 322, legge 30 dicembre 2020, n. 178;
nonostante si tratti di strutture estranee al circuito penitenziario, la realizzazione delle case famiglia risulta d'interesse prioritario, in quanto consente a madri svantaggiate, sprovviste di riferimenti alloggiativi e materiali, l'accesso a misure alternative extra detentive; la collocazione delle madri e dei minori all'interno degli ICAM deve rappresentare un'ipotesi ultima e residuale, posti gli effetti negativi che detti ambienti – per quanto «protetti» – recano sulla crescita dei minori; occorre adottare interventi legislativi volti a migliorare la condizione delle detenute madri così da renderle attivamente partecipi nell'educazione e nella crescita della prole consentendo così per i minori uno sviluppo adeguato e senza alcun tipo di limitazioni a causa della condizione detentiva della madre,
impegna il Governo:
a stipulare, con gli enti locali e con gli enti del Terzo settore, ulteriori convenzioni volte a potenziare e implementare il modello funzionante delle case-famiglia;
ferme restando le prerogative parlamentari, a valutare gli effetti applicativi della disposizione del provvedimento richiamata in premessa, riconsiderandone la compatibilità con il dettato costituzionale di cui agli articoli 27 e 31 nonché con i princìpi generali dell'ordinamento giuridico nazionale, comunitario e internazionale;
a incrementare per ciascuno degli anni 2025, 2026 e 2027 il Fondo per le case famiglia protette, al fine di contribuire alla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori nonché al fine di incrementare l'accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case-famiglia;
a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare, con la massima urgenza e comunque nel primo provvedimento utile, le opportune iniziative normative volte a tutelare le detenute in stato di gravidanza o madri di bambini di età inferiore ai tre anni, prevedendo in ogni caso la sospensione della pena detentiva per le donne incinta o madri di prole di età inferiore ad un anno, ovvero la detenzione esclusivamente presso istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM) o case famiglia protette per le madri di prole di età inferiore a tre anni, bilanciando le esigenze di giustizia e sicurezza con il diritto alla maternità e la tutela dell'interesse supremo del minore, al fine di garantire il rispetto del principio per cui la detenzione deve essere l'extrema ratio per le detenute madri;
ad assicurare un accurato e tempestivo monitoraggio sull'applicazione delle nuove norme, al fine di scongiurare che dall'attuazione delle misure in esse contenute possa derivare la violazione delle norme internazionali sui diritti dell'infanzia, come la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché i princìpi della nostra Costituzione;
a stanziare adeguate risorse finanziarie, nonché a prevedere, per le case-famiglia protette di cui alla legge 21 aprile 2011, n. 62, l'obbligo per il Ministro della giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee e ad assicurare la presenza in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.
9/2355/56. Ghirra, Dori, Zaratti, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge all'esame dell'Assemblea reca: «Conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario» (2355);
il provvedimento, ad avviso dei firmatari, in molte delle sue norme si pone in evidente contrasto con una serie di princìpi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario. A denunciarlo, oltre numerose organizzazioni che si occupano di diritto, come Amnesty International Italia, Antigone, Asgi e altre, è stata anche l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), in un suo documento di analisi di questo provvedimento, affermando che: «La maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto»;
l'articolo 13, reca disposizioni finalizzate ad estendere l'ambito di applicazione della misura di prevenzione del divieto d'accesso alle aree urbane (cosiddetto «DASPO urbano»);
viene introdotta, inoltre, l'osservanza del divieto di accesso, disposto in caso di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree e nelle pertinenze dei trasporti pubblici, come ulteriore condizione al rispetto della quale può essere subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena;
la suddetta disposizione estende, infine, l'ambito di applicazione dell'arresto in flagranza differita anche al reato di cui all'articolo 583-quater del codice penale; inoltre, intervenendo sul comma 2 dell'articolo 10 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, si prevede anche che il divieto di accesso possa essere disposto dal questore anche nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nei cinque anni precedenti, per uno dei delitti contro la persona o contro il patrimonio previsti dal libro secondo, titoli XII e XIII del codice penale, qualora questi siano commessi in aree indicate dall'articolo 9, comma 1, del medesimo decreto-legge (ovvero le aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze);
la denuncia, a differenza della querela ex articolo 336 del codice di procedura penale, non è un atto di impulso del procedimento penale né una condizione di procedibilità, bensì è un atto idoneo alla mera comunicazione di un fatto illecito da parte della vittima stessa o di chi ha assistito al reato o ne ha avuto notizia all'autorità giudiziaria o di polizia; appare agli scriventi che l'estensione dell'applicazione del cosiddetto «DASPO urbano» anche ai soggetti destinatari di una semplice denuncia possa risultare abnorme e determinare effetti pregiudizievoli di diritti costituzionalmente garanti;
di contro, nonostante i vari appelli della comunità scientifica ed educativa, nulla si fa per combattere l'hate speech (discorso d'odio), la violenza o le minacce online che rappresentano fenomeni in crescita in Italia, con impatti significativi su donne, adolescenti e altri gruppi vulnerabili, che si diffondono principalmente attraverso social network, forum e piattaforme di messaggistica;
secondo il dossier della Polizia postale, nei primi dieci mesi del 2023: le denunce per minacce online contro le donne sono aumentate del 24 per cento, passando da 347 nel 2022 a 371 nel 2023; le molestie online hanno registrato 377 casi, con un incremento del 10 per cento rispetto all'anno precedente;
i principali strumenti utilizzati per queste minacce sono i social network (50 per cento) e le app di messaggistica (31 per cento);
lo studio ESPAD Italia 2024 del Consiglio nazionale delle ricerche ha rilevato che: oltre 1 milione di studenti tra i 15 e i 19 anni (47 per cento) ha subito episodi di cyberbullismo nel 2024. Circa 800.000 studenti (32 per cento) hanno ammesso di aver praticato cyberbullismo, con una percentuale leggermente superiore tra i ragazzi (35 per cento) rispetto alle ragazze (29 per cento);
inoltre, nel 2023, la Polizia di Stato ha registrato: 3.444 denunce per aggressioni online ai danni di minorenni, con un aumento significativo dei casi di sextortion. Si registra anche un incremento dei casi di revenge porn, passati da 1.800 nel 2023 a 2.300 nel 2024;
l'aumento di hate speech e violenza online evidenzia la necessità di: strumenti normativi specifici, come il Daspo digitale, per limitare l'accesso alle piattaforme da parte di soggetti recidivi, poiché i reati online possono causare danni psicologici gravi, specie tra i minori;
gli Stati Uniti hanno appena adottato, con legge federale il «Take It Down Act», rendendo reati i deepfake porno non consensuali, pertanto chi pubblica contenuti intimi, reali o generati con l'intelligenza artificiale, senza il consenso della persona ritratta, può finire in carcere fino a tre anni e la vittima può segnalarlo e farlo rimuovere in tempi certi;
purtroppo in Europa tutto questo non esiste. L'AI Act chiede solo di scrivere che l'immagine è artificiale. Nessuna rimozione automatica. Nessuna protezione penale. Nessun obbligo di intervento in 48 ore. Ogni Stato fa come crede, e la vittima resta in balia di regole vaghe e tempi infiniti;
nel frattempo le piattaforme crescono, le deepfake si moltiplicano, e chi finisce in mezzo a un abuso digitale resta solo senza nessuna tutela,
impegna il Governo:
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a impedire agli autori dei cosiddetti «reati hate speech, deepfake», violenza e minacce online di reiterare comportamenti offensivi, limitando il loro accesso a piattaforme e contatti con le vittime disponendo, di concerto con le autorità indipendenti, il Daspo digitale con opportune sanzioni amministrative al fine di colmare un vuoto normativo e rendere effettiva la tutela dei diritti fondamentali anche nel mondo digitale;
a specificare, col primo provvedimento utile, la corretta individuazione dell'atto procedurale da cui far discendere l'eventuale applicazione del Daspo urbano, a monitorare gli effetti di tale disposizione estensiva, al fine di verificare che il necessario bilanciamento tra i diritti e gli interessi di rilievo costituzionale in gioco sia rispettato e non sia piuttosto compromessa in modo irragionevole e sproporzionato la libertà di movimento dei cittadini attinti da una semplice denuncia.
9/2355/57. Borrelli, Dori, Zaratti, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge all'esame dell'Assemblea reca: «Conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario» (2355);
il provvedimento, ad avviso dei firmatari, in molte delle sue norme si pone in evidente contrasto con una serie di prìncipi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario. A denunciarlo, oltre numerose organizzazioni che si occupano di diritto, come Amnesty International Italia, Antigone, Asgi ed altre, è stata anche l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), in un suo documento di analisi di questo provvedimento, affermando che: «La maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto»;
il disegno di legge in esame interviene con numerose e varie disposizioni in materia penale di sicurezza pubblica e di ordinamento penitenziario. Una sorta di treno sul quale caricare un gran numero di norme poco omogenee tra loro, molte delle quali introdotte in sede referente. Si passa, per fare solo qualche esempio, dalla previsione sulla non obbligatorietà del rinvio della pena per le donne incinte e per le madri di bambini fino a un anno di età, all'aggravante nel caso di reato commesso sui vagoni ferroviari o della metropolitana o nelle immediate vicinanze. Dal nuovo delitto di rivolta penitenziaria, che varrà anche per i migranti reclusi nei CPR e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo – dimenticando che il diritto di manifestare è un diritto fondamentale sancito dalla nostra Costituzione – per passare al divieto della cannabis light, ossia delle infiorescenze di canapa a basso contenuto di THC, contro qualunque buon senso e con danni enormi a migliaia di aziende e lavoratori che hanno dato vita a una importante filiera italiana;
purtroppo, sempre più frequentemente e in tutto il Paese si segnalano marcette nere, iniziative nostalgiche e manifestazioni neofasciste che inneggiano al ventennio e rivendicano con orgoglio quel passato nefasto;
nel 2025, l'Italia ha registrato un aumento di iniziative legate a movimenti neofascisti e nostalgici del ventennio, suscitando preoccupazioni tra istituzioni e società civile come: durante la partita Roma-Monza allo Stadio Olimpico, è stato esposto uno striscione con una citazione della canzone «Er cammerata» della band di estrema destra «Innato senso di allegria», nota per l'album «Quando c'era lui», che richiama esplicitamente la figura di Benito Mussolini. In precedenza, durante Parma-Roma, sono stati segnalati adesivi con la stella di David accanto allo stemma della S.S. Lazio e la scritta «peggior nemico», in chiave antisemita;
il 7 gennaio, presso la sede di Acca Larentia a Roma, si è svolta una commemorazione con la partecipazione di simpatizzanti che hanno effettuato il saluto romano. La presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, ha sollecitato il Governo a rafforzare le norme contro il neofascismo, sottolineando la gravità di tali gesti;
movimenti giovanili di destra, come Azione Studentesca e Blocco Studentesco, hanno intensificato la loro presenza nelle scuole italiane, spesso mascherandosi da associazioni apolitiche. Utilizzano simboli come croci celtiche e saluti romani, promuovendo ideologie neofasciste e creando tensioni all'interno degli istituti scolastici;
gruppi come CasaPound e Lealtà e Azione sono attivi in diverse città italiane, organizzando iniziative sociali nelle periferie, come distribuzione di pacchi alimentari e ronde per la sicurezza. Tuttavia, queste attività sono spesso accompagnate da retoriche xenofobe e discriminazioni verso immigrati e minoranze;
la crescente visibilità di movimenti neofascisti in Italia nel 2025 evidenzia la necessità di un impegno continuo da parte delle istituzioni e della società civile per contrastare tali ideologie e promuovere i valori democratici;
un primo importante passo sarebbe quello di modificare l'articolo 5 della legge Scelba, legge 20 giugno 1952, n. 645, al fine di considerare il saluto fascista, noto anche come saluto romano, sempre – senza se e senza ma – una manifestazione usuale del disciolto partito fascista; si ricorda che con la sentenza n. 16153, depositata il 17 aprile 2024, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «la condotta, tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto “saluto romano” integra il delitto previsto dall'articolo 5 legge 20 giugno 1952, n. 645»;
la Cassazione però ha aggiunto un «se»: è reato solo «ove, avuto riguardo alle circostanze del caso, sia idonea ad attingere il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista»; in questo modo di fatto, la Cassazione ha ridotto notevolmente l'ambito di sanzionabilità del reato;
lo scorso giovedì 22 maggio, il Ministro dell'interno rispondendo, al Senato, ad un question-time in Assemblea del gruppo AVS ha affermato che: «in presenza di fatti riconducibili all'apologia del fascismo le Forze di polizia sapientemente documentano, identificano e procedono a deferire all'autorità giudiziaria coloro che pongono in essere condotte penalmente rilevanti in base al quadro normativo vigente in materia. Questo è sempre accaduto con tutti i Governi, anche precedenti, ed è successo anche in relazione agli episodi segnalati dagli onorevoli interroganti. Inoltre, la Polizia postale e delle comunicazioni svolge una costante attività di monitoraggio su internet per individuare l'eventuale presenza di contenuti inneggianti al fascismo, forme di discriminazione razziale, xenofobia e altre configurazioni di intolleranza e incitamento all'odio. Di recente, è particolarmente impegnativo fronteggiare rigurgiti di antisemitismo mimetizzati da critiche al Governo israeliano. Quanto alle iniziative da porre in essere da parte del Governo per lo scioglimento di organizzazioni di carattere eversivo, ricordo che la particolare complessità dei presupposti previsti dalla normativa vigente è confermata dalla limitata casistica applicativa sinora registrata»;
solo un intervento legislativo può sottrarre all'interpretazione la punibilità penale del saluto romano,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative legislative al fine di considerare il saluto fascista, noto anche come saluto romano, anche qualora espresso al di fuori di pubbliche riunioni, sempre come una manifestazione usuale del disciolto partito fascista sempre punita penalmente ai sensi dell'articolo 5 della legge Scelba.
9/2355/58. Dori, Zaratti, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento, ad avviso dei firmatari, in molte delle sue norme si pone in evidente contrasto con una serie di principi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario. A denunciarlo, oltre numerose organizzazioni che si occupano di diritto, come Amnesty International Italia, Antigone, Asgi ed altre, è stata anche l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), in un suo documento di analisi di questo provvedimento, affermando che: «La maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto»;
le norme contenute in questo provvedimento in esame sono, in gran parte, in contraddizione con il dettato costituzionale e con la normativa europea. Se da una parte l'effetto propagandistico di queste norme sarà politicamente efficace, l'applicazione concreta delle nuove fattispecie di reato e delle altre modifiche sarà di certo affaticata dai numerosi ricorsi che si possono già prevedere alla Consulta. Certo è che la Corte costituzionale valuterà queste leggi anche alla stregua del contesto politico sociale attuale, non più secondo le parole della Carta ma seguendo la cosiddetta «Costituzione vivente», ossia il testo della Costituzione coordinato con il complesso delle norme giuridiche dell'ordinamento complessivamente inteso;
l'articolo 10, inserisce nel codice penale l'articolo 634-bis, disponendo che: «Chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, è punito con la reclusione da due a sette anni»;
l'articolo in esame interviene in materia di occupazione arbitraria di immobili, da un lato introducendo una nuova ed ulteriore fattispecie di reato nel codice penale, dall'altro prevedendo una specifica procedura per la reintegrazione nel possesso dell'immobile occupato;
in particolare, il comma 1, dell'articolo 10, introduce l'articolo 634-bis del codice penale, rubricato «Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui». Un delitto perseguibile a querela della persona offesa (o d'ufficio se commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità) volto a punire le condotte di quei soggetti che, mediante violenza o minaccia, occupano o detengono senza titolo un immobile o pertinenza, destinato a domicilio altrui, ma aggiunge «ovvero impediscono il rientro nel medesimo immobile da parte del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente»;
la disposizione recata dall'introduzione dell'articolo 634-bis del codice penale rischia di ampliare a dismisura gli interventi repressivi estendendoli anche agli sfrattati, questo perché a seguito di una sentenza esecutiva di sfratto lo sfrattato inizia a pagare un affitto con la dicitura «indennità occupazione senza titolo», ed è a tutti gli effetti un occupante senza titolo che, se non rilascia l'alloggio nei termini stabiliti dal giudice, a tutti gli effetti è persona senza titolo a restare nell'unità immobiliare;
giova ricordare che in Italia sono emesse ogni anno mediamente circa 40.000 sentenze di sfratto nella stragrande maggioranza dei casi motivate da morosità incolpevole e sono circa 20/25.000 le azioni di rilascio che ogni anno avvengono con l'ausilio della forza pubblica;
come è del tutto evidente si rischia di ampliare l'intervento verso decine di migliaia di famiglie che nulla hanno a che vedere con una occupazione arbitraria in particolare a seguito di minacce o violenza ed esula da quello che è l'intento, almeno apparente o la motivazione per il quale il Governo e maggioranza intendono intervenire sulle occupazioni che sottraggono l'immobile al proprietario in maniera abusiva o senza titolo;
con l'articolo 10 si introduce una procedura d'urgenza per il rilascio dell'immobile e la reintegrazione nel possesso conferendo ampio potere alle forze di polizia;
proseguendo in questa direzione, il Governo intende non solo introdurre un nuovo reato, ma aumentare ancora la pena da 2 a 7 anni di reclusione, anche per chi coopera nell'occupazione, così escludendo la possibilità di applicare le sanzioni sostitutive della pena per questi ultimi;
inoltre, gli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno ricevuto la denuncia possono ordinare l'immediato rilascio dell'immobile e procedere alla reintegrazione del denunciante nel possesso dell'immobile oggetto della denuncia;
per come è strutturato, il nuovo articolo 634-bis configura un reato permanente e pertanto ogni condotta di intromissione o di cooperazione nell'occupazione si traduce in un concorso nel reato; l'articolo 634-bis del codice penale è procedibile per querela, ma, andando ad implementare le fattispecie di cui all'articolo 639-bis del codice penale, diventa procedibile d'ufficio, quando si tratta di edifici pubblici, come nel caso dell'edificio di proprietà pubblica – che prima dell'occupazione ospitava gli uffici del Ministero dell'istruzione –, occupato dal 17 dicembre 2003 dal movimento neofascista CasaPound;
inoltre, il provvedimento interviene duramente con un approccio securitario immotivato nell'ampliare le fattispecie di reato a un codice penale già ricco, tutta una sezione è dedicata a intervenire pesantemente nella repressione di diverse forme di dissenso;
l'articolo 19 novella l'articolo 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, introducendo l'illecito penale, in luogo dell'illecito amministrativo attualmente previsto, con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro, nel caso di un blocco stradale o ferroviario effettuato con i propri corpi. Si prevede la reclusione da 6 mesi a 2 anni se il fatto è commesso da più persone riunite; in tal modo si incriminano indirettamente anche forme di protesta che, per quanto possano risultare moleste – come quello promosso con il blocco stradale degli eco-attivisti, punito anche quando esercitato solo con il proprio corpo –, sono sempre forme di espressione di dissenso che andrebbero affrontate sul piano del dialogo più che su quella della incriminazione. Gli eco-attivisti appaiono come gli specifici destinatari della proposta, che ha dunque una evidente finalità repressiva e criminalizzante del dissenso politico;
il riferimento al «proprio corpo» ai fini della realizzazione del fatto, tuttavia, implica che un blocco stradale compiuto con modalità differenti, ossia servendosi di strumenti di ostacolo alla circolazione (ad esempio, cassonetti, materiale di intralcio, eccetera) non integrerebbe la «nuova» fattispecie di reato;
il reato così definito potrebbe, per giunta, applicarsi non solo ai casi di blocco, ma anche nei casi di mero impedimento o semplice turbativa della circolazione;
la norma è non solo sbagliata nel merito e ambigua nella formulazione ma rischia di aumentare la discrezionalità nel sanzionare le forme di protesta o dissenso. Così facendo, a nostro parere, è evidente che questa norma ostacolerà le occasioni di libero e democratico dissenso;
si compie questa scelta nonostante giuristi, esperti, studiosi in materia di sicurezza e le principali organizzazioni della società civile, continuino a evidenziare, fornendo dati precisi, che all'inasprimento delle pene non corrisponda mai una reale diminuzione dei reati;
a tal proposito, si rappresenta che la disciplina sul blocco stradale, introdotta nel 1948 dal Ministro Scelba, è stata ampiamente contestata e ha visto diverse amnistie per studenti e lavoratori condannati nel corso degli anni, per poi giungere alla depenalizzazione nel 1999. Il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, ha poi riattualizzato il reato, prevedendo una pena da 2 a 12 anni di reclusione, specialmente in caso di concorso di persone, e adesso l'articolo 11 del provvedimento in esame rischia di inasprire ulteriormente la disciplina, riconducendo nuovamente la fattispecie nella branca del diritto penale; in tal senso, ci preme dunque ricordare la definizione di diritto di riunione pacifica fornita dall'ONU che «comprende il diritto di tenere riunioni, sit-in, scioperi, raduni, eventi o proteste, sia offline che online. Serve come veicolo per l'esercizio di molti altri diritti garantiti dal diritto internazionale, con i quali è intrinsecamente legato e che costituiscono la base per partecipare a proteste pacifiche. In particolare, si tratta dei diritti alla libertà di espressione e di partecipazione alla gestione degli affari pubblici»;
infine, l'articolo 21, prevede che le forze di polizia possano essere dotate di dispositivi di videosorveglianza indossabili idonei a registrare l'attività operativa e il suo svolgimento. Si tratta di una facoltà, non di un obbligo generalizzato;
il comma 2 rende possibile l'utilizzo della videosorveglianza nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale;
con riferimento a tali dispositivi di videosorveglianza il Garante per la protezione dei dati personali, con i provvedimenti n. 290 e n. 291 del 22 luglio 2021, aveva avuto modo di fornire parere favorevole alle valutazioni di impatto sulla protezione dei dati personali relativamente all'utilizzo di tali dispositivi presentate, rispettivamente, dal Dipartimento della pubblica sicurezza e dal Comando generale dell'Arma dei Carabinieri;
l'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 2018, n. 15 (Regolamento a norma dell'articolo 57 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante l'individuazione delle modalità di attuazione dei principi del Codice in materia di protezione dei dati personali relativamente al trattamento dei dati effettuato, per le finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia) già prevede che l'utilizzo di sistemi di ripresa fotografica, video e audio «per le finalità di polizia di cui all'articolo 325, è consentito ove necessario per documentare una specifica attività preventiva o repressiva di fatti di reato, situazioni dalle quali possano derivare minacce per l'ordine e la sicurezza pubblica o un pericolo per la vita e l'incolumità dell'operatore, o specifiche attività poste in essere durante il servizio»;
il Garante aveva, inoltre, ritenuto ragionevole il periodo di sei mesi di conservazione dei dati, prospettato nelle valutazioni di impatto presentate, e ritenuto rispettato il principio di privacy by default (protezione per impostazione predefinita), essendo stata prevista la loro cancellazione automatica trascorso tale termine; la norma fa riferimento ai luoghi e agli ambienti in cui vengono «trattenute» le persone sottoposte a restrizione della libertà personale. Nella fattispecie indicata dalla disposizione in commento potrebbero quindi rientrare anche le misure cosiddette «precautelari», ossia quelle limitative della libertà personale aventi natura anticipatoria e strumentale di una misura cautelare, come per esempio l'arresto in flagranza ex articoli 380 e seguenti del codice di procedura penale, nonché il fermo ex articolo 384 del codice di procedura penale; sicuramente applicabile la norma anche al trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza per i rimpatri (CPR), tant'è che il secondo comma stabilisce che i sistemi di videosorveglianza «possono» essere utilizzati nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale,
impegna il Governo:
a chiarire, anche con apposita norma di interpretazione autentica, che gli effetti e le azioni recate dall'articolo 10 del decreto-legge in esame, in materia di occupazione arbitraria di unità immobiliari, non si applicano ai soggetti e/o ai nuclei famigliari che occupano senza titolo una unità immobiliare a seguito di sentenza esecutiva di sfratto ed eventualmente oltre i termini fissati dal giudice nella stessa, per i quali resta in vigore la procedura di azione di rilascio con intervento dell'ufficiale giudiziario ma escludendo ogni azione penale;
nell'ambito delle proprie competenze, a verificare che sia data attuazione alle nuove norme, anche per lo sgombero dell'immobile abusivamente occupato da CasaPound, anche allo scopo di recuperare tutti i canoni di locazione così come stabiliti dalla sentenza;
a garantire a chiunque il diritto di tenere riunioni, sit-in, scioperi, raduni, eventi o proteste secondo i principi definiti dall'ONU e garantiti dal diritto internazionale, con particolare riguardo ed attenzione qualora trattasi dei diritti alla libertà di espressione e di partecipazione alla gestione degli affari pubblici;
ad adottare tutti i provvedimenti necessari affinché il personale delle Forze dell'ordine durante le operazioni di cui all'articolo 21, commi 1 e 2 sia dotato di videocamere sempre attive e che le immagini siano conservate in apposito server per almeno sei mesi.
9/2355/59. Bonelli, Dori, Zaratti, Zanella, Fratoianni, Borrelli, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Orfini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del suddetto decreto-legge modifica la legge 2 dicembre 2016, n. 242, recante disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, introducendo un nuovo comma all'articolo 2 della medesima legge;
tale disposizione vieta l'importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, l'invio, la spedizione, la consegna e la trasformazione delle infiorescenze di canapa, nonché dei derivati quali oli, resine ed estratti, a eccezione delle attività florovivaistiche professionali;
la nuova disciplina determina un cambiamento radicale del quadro normativo vigente, con l'effetto pratico di equiparare prodotti derivati da canapa industriale a prodotti stupefacenti, pur in presenza di tenori di THC inferiori ai limiti fissati dalla normativa nazionale ed europea;
esperti giuridici e associazioni di categoria hanno sollevato perplessità in merito alla compatibilità costituzionale della disposizione, segnalando possibili violazioni degli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione;
risulterebbe altresì non effettuata la notifica preventiva alla Commissione europea, come prescritto dalla direttiva (UE) 2015/1535 in materia di regole tecniche, con il conseguente rischio di inapplicabilità della norma secondo giurisprudenza consolidata;
la norma non prevede alcun regime transitorio né misure di accompagnamento economico, generando incertezza giuridica e imponendo agli operatori agricoli e industriali uno stop improvviso delle attività, con potenziali conseguenze in termini di responsabilità penali, fiscali e amministrative;
migliaia di imprese della filiera della canapa, che rappresenta un comparto da circa 2 miliardi di euro e 22.000 addetti, si trovano improvvisamente impossibilitate a proseguire l'attività, pur avendo sostenuto anticipi fiscali, versamenti contributivi, e in molti casi beneficiato di finanziamenti pubblici per progetti oggi compromessi,
impegna il Governo:
a prevedere, con urgenza, l'introduzione di un regime transitorio che consenta lo smaltimento delle scorte di magazzino, la definizione di modalità di regolarizzazione delle produzioni già effettuate e la salvaguardia dei contributi pubblici ricevuti per attività ora interdette, al fine di evitare l'insorgere di responsabilità penali, fiscali o amministrative a carico degli operatori;
ad adottare misure volte a tutelare gli operatori agricoli e industriali del comparto canapicolo rispetto agli obblighi fiscali e contributivi già assunti per l'anno 2025, nonché a individuare strumenti di ristoro economico straordinario a favore delle imprese danneggiate dalla repentina interruzione delle attività.
9/2355/60. Gadda, Fornaro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 26 del decreto introduce l'articolo 415-bis del codice penale, recante il delitto di «rivolta all'interno di un istituto penitenziario», punendo anche forme di resistenza passiva poste in essere dai detenuti, con pene che possono arrivare fino a venti anni di reclusione;
tale previsione si inserisce in un quadro normativo che tende a reprimere condotte non violente poste in essere in contesti di protesta collettiva, assimilando condotte pur prive di violenza attiva o responsabilità causale diretta in eventi gravi (quali decessi o lesioni) alle condotte di partecipazione violenta a una sommossa;
l'introduzione di una pena di tale severità nei confronti di soggetti che manifestano in forma passiva – cioè senza azioni violente – pone rilevanti dubbi di compatibilità con i princìpi costituzionali di proporzionalità e finalità rieducativa della pena di cui all'articolo 27 della Costituzione;
la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che l'intervento repressivo dello Stato attraverso la pena deve sempre rispettare il principio di proporzione tra fatto e sanzione e non può essere volto a finalità esclusivamente afflittive;
tale norma, in combinato disposto con l'articolo 34 del medesimo decreto, che estende al nuovo reato il regime dei reati ostativi, comporta un ulteriore aggravamento delle condizioni dei detenuti, escludendoli dall'accesso ai benefici penitenziari e rendendo di fatto ineffettivo il principio di progressività del trattamento e la funzione rieducativa della pena,
impegna il Governo:
a rivedere, in coerenza con i princìpi costituzionali, la disciplina introdotta dall'articolo 415-bis del codice penale, affinché la fattispecie di «rivolta in istituto penitenziario» non ricomprenda forme di mera resistenza passiva prive di carattere violento o lesivo, in modo da evitare una compressione sproporzionata dei diritti fondamentali dei detenuti e da non attribuire al sistema penale una finalità meramente punitiva;
a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 34 al fine di riesaminare la collocazione del delitto di cui all'articolo 415-bis tra i reati ostativi di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, al fine di garantire l'accesso ai benefici penitenziari nei casi in cui la condotta del condannato non abbia concretamente messo in pericolo beni giuridici fondamentali o causato eventi lesivi.
9/2355/61. Faraone.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del decreto in esame interviene in materia di esecuzione penale e di misure cautelari applicabili alle donne incinte e alle madri di prole di età inferiore a tre anni, modificando in particolare gli articoli 146 e 147 del codice penale e alcune disposizioni del codice di procedura penale;
la riforma introdotta dall'articolo 15 comporta un significativo arretramento delle tutele attualmente previste, trasformando da obbligatorio a facoltativo il rinvio dell'esecuzione della pena per le donne incinte e per le madri di figli minori di un anno, con conseguente ampliamento del potere discrezionale del giudice, anche in situazioni che richiederebbero una protezione rafforzata della maternità e dell'infanzia;
una simile modifica, in assenza di un contestuale e concreto potenziamento delle misure alternative alla detenzione – tra cui, in primis, il rafforzamento della rete delle case famiglia protette – rischia di determinare effetti negativi sia per le detenute che per i minori coinvolti, con potenziali profili di incostituzionalità sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali e del principio di umanità della pena,
impegna il Governo:
a valutare gli effetti applicativi della norma del decreto-legge in esame richiamata in premessa al fine di rivederla nel senso di mantenere il carattere obbligatorio del rinvio dell'esecuzione della pena per le donne incinte e per le madri di figli minori di un anno, salvaguardando in tal modo le garanzie già previste dall'ordinamento e il superiore interesse del minore;
ad adottare interventi normativi volti a incrementare per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 il Fondo per le case-famiglia protette, al fine di sostenere forme di accoglienza extrapenitenziaria più adeguate alla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori e di favorire l'accesso a misure alternative alla detenzione per genitori con figli al seguito.
9/2355/62. Gruppioni, Gadda.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 36 del decreto-legge in esame modifica l'articolo 47, comma 4, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di apprendistato professionalizzante, consentendo l'attivazione di contratti di apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, anche nei confronti di soggetti detenuti o internati che siano stati ammessi a misure alternative alla detenzione, nonché nei confronti di detenuti assegnati al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21, della legge 26 luglio 1975, n. 354;
nonostante il rilevante impulso normativo volto a valorizzare il lavoro e la formazione professionale come strumenti fondamentali per la rieducazione e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale, in linea con l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, non risulta attualmente previsto alcun fondo dedicato in modo specifico al sostegno delle attività lavorative e formative rivolte a minori e giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali, inclusi i soggetti ristretti presso gli istituti penali per minorenni;
l'assenza di un finanziamento strutturato rischia di vanificare le potenzialità applicative della misura contenuta all'articolo 36, in particolare nel segmento minorile, dove il lavoro assume una valenza fortemente educativa e rieducativa, e dove il coinvolgimento in percorsi professionalizzanti costituisce uno degli strumenti più efficaci di prevenzione della recidiva e contrasto alla marginalità sociale;
gli istituti penali per minorenni, disciplinati dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, prevedono la costruzione di progetti individualizzati che includano attività lavorative, ma in assenza di risorse dedicate tali progetti restano spesso privi di concreta attuazione o dipendenti esclusivamente da iniziative locali o finanziamenti occasionali,
impegna il Governo:
a istituire, anche in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36 del presente decreto-legge, un fondo specifico e strutturale destinato al finanziamento di programmi di apprendistato, formazione professionale e lavoro retribuito per i minori e i giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali, con particolare riferimento agli istituti penali per minorenni e alle comunità ministeriali;
a prevedere che tale fondo sia utilizzabile, anche mediante convenzioni con enti di formazione accreditati, imprese sociali, cooperative e soggetti del Terzo settore, per la realizzazione di percorsi lavorativi interni ed esterni agli istituti, garantendo la copertura dei costi per attrezzature, tutoraggio, borse lavoro e contributi previdenziali.
9/2355/63. Giachetti.
La Camera
impegna il Governo
nei limiti di finanza pubblica:
a istituire, anche in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36 del presente decreto-legge, un fondo specifico e strutturale destinato al finanziamento di programmi di apprendistato, formazione professionale e lavoro retribuito per i minori e i giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali, con particolare riferimento agli istituti penali per minorenni e alle comunità ministeriali;
a prevedere che tale fondo sia utilizzabile, anche mediante convenzioni con enti di formazione accreditati, imprese sociali, cooperative e soggetti del Terzo settore, per la realizzazione di percorsi lavorativi interni ed esterni agli istituti, garantendo la copertura dei costi per attrezzature, tutoraggio, borse lavoro e contributi previdenziali.
9/2355/63. (Testo modificato nel corso della seduta)Giachetti.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 11 del decreto-legge in esame mira a rafforzare la repressione delle truffe, in particolare nei confronti degli anziani, introducendo nuove aggravanti e inasprendo le pene. In particolare viene inserita una nuova circostanza aggravante all'articolo 61 del codice penale, applicabile ai reati contro la vita, l'incolumità pubblica o individuale, la libertà personale e il patrimonio quando commessi nelle aree interne o adiacenti a infrastrutture ferroviarie oppure a bordo dei treni o convogli passeggeri;
l'intento di rafforzare la tutela delle potenziali vittime di reati in contesti di particolare vulnerabilità, come gli spazi pubblici affollati, appare condivisibile, ma l'inserimento di una specifica aggravante per il solo fatto che il reato sia commesso in ambito ferroviario rischia di introdurre un criterio irragionevolmente discriminatorio e geograficamente arbitrario, non supportato da una proporzione oggettiva tra luogo e offensività del fatto;
l'ampliamento eccessivo delle aggravanti comuni previste all'articolo 61 del codice penale può condurre a una sproporzionata e disomogenea distribuzione delle pene, svuotando di significato la funzione selettiva e razionalizzante della norma aggravante stessa;
il codice penale e la giurisprudenza prevedono già strumenti sanzionatori e interpretativi adeguati per tener conto delle modalità e delle circostanze del fatto, comprese quelle che rendano più difficile la difesa della vittima o che aggravino le conseguenze del reato;
un'estensione eccessiva delle aggravanti legate al luogo rischia di generare incertezza applicativa, incidendo negativamente sul principio di determinatezza della fattispecie penale e sulla coerenza sistematica del codice,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa al fine di sopprimere la previsione della nuova circostanza aggravante di cui all'articolo 11 del decreto-legge in esame, che modifica l'articolo 61 del codice penale introducendo un'aggravante per i reati commessi in ambito ferroviario, ritenendo tale disposizione non necessaria né proporzionata rispetto alle finalità dichiarate e potenzialmente lesiva dei principi di razionalità, proporzionalità e determinatezza dell'ordinamento penale.
9/2355/64. Bonifazi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 22 del decreto-legge in esame interviene sulla disciplina della tutela legale a favore del personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, introducendo previsioni in merito all'anticipazione delle spese legali per procedimenti connessi a fatti di servizio;
la norma estende il diritto a richiedere l'anticipazione, fino a un massimo di 10.000 euro per fase processuale, al coniuge, al convivente di fatto e ai figli del dipendente deceduto;
il testo, tuttavia, non menziona espressamente le parti dell'unione civile, facendo genericamente riferimento al «coniuge», sostenendo che esso ricomprenda anche l'unito civilmente in forza dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76;
sebbene la normativa vigente equipari, ai fini giuridici, il coniuge e la parte dell'unione civile in molteplici ambiti del diritto, l'assenza di un'esplicita menzione nell'articolo 22 potrebbe generare incertezze applicative e disparità di trattamento tra soggetti che si trovano in situazioni analoghe;
appare opportuno evitare qualsiasi ambiguità interpretativa in una materia delicata come l'assistenza legale a seguito di decesso per fatti di servizio, assicurando piena parità di trattamento tra il coniuge e la parte dell'unione civile, nel rispetto del principio costituzionale di uguaglianza e delle disposizioni contenute nella legge n. 76 del 2016,
impegna il Governo
a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, un'esplicita integrazione normativa dell'articolo 22 del decreto-legge in esame, al fine di includere in modo chiaro e inequivocabile le parti dell'unione civile tra i soggetti legittimati a richiedere l'anticipazione delle spese legali nei casi di decesso del dipendente, evitando margini interpretativi o incertezze applicative che possano pregiudicare il pieno accesso ai diritti riconosciuti.
9/2355/65. Boschi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 22 del decreto-legge in esame interviene sulla disciplina della tutela legale a favore del personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, introducendo previsioni in merito all'anticipazione delle spese legali per procedimenti connessi a fatti di servizio;
la norma estende il diritto a richiedere l'anticipazione, fino a un massimo di 10.000 euro per fase processuale, al coniuge, al convivente di fatto e ai figli del dipendente deceduto;
il testo, tuttavia, non menziona espressamente le parti dell'unione civile, facendo genericamente riferimento al «coniuge», sostenendo che esso ricomprenda anche l'unito civilmente in forza dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76;
sebbene la normativa vigente equipari, ai fini giuridici, il coniuge e la parte dell'unione civile in molteplici ambiti del diritto, l'assenza di un'esplicita menzione nell'articolo 22 potrebbe generare incertezze applicative e disparità di trattamento tra soggetti che si trovano in situazioni analoghe;
appare opportuno evitare qualsiasi ambiguità interpretativa in una materia delicata come l'assistenza legale a seguito di decesso per fatti di servizio, assicurando piena parità di trattamento tra il coniuge e la parte dell'unione civile, nel rispetto del principio costituzionale di uguaglianza e delle disposizioni contenute nella legge n. 76 del 2016,
impegna il Governo
a dare applicazione all'articolo 22 del decreto in esame, secondo quanto precisato in relazione illustrativa con specificato riferimento all'articolo 1, comma 20, della legge n. 76 del 2016, fine di includere in modo chiaro e inequivocabile le parti dell'unione civile tra i soggetti legittimati a richiedere l'anticipazione delle spese legali nei casi di decesso del dipendente, evitando margini interpretativi o incertezze applicative che possano pregiudicare il pieno accesso ai diritti riconosciuti.
9/2355/65. (Testo modificato nel corso della seduta)Boschi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 31 del decreto-legge in esame reca modifiche alla legge 3 agosto 2007, n. 124, in materia di informazione per la sicurezza, finalizzate a rendere permanenti alcune disposizioni precedentemente introdotte in via transitoria dal decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7 (cosiddetto «decreto antiterrorismo»), nonché a potenziare le prerogative operative degli organismi di intelligence nazionale;
in particolare, la norma amplia l'ambito delle garanzie funzionali di cui all'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, includendo tra le condotte scriminabili ulteriori fattispecie di reato, tra cui l'organizzazione e la direzione di associazioni con finalità di terrorismo internazionale o di eversione dell'ordine democratico;
sempre all'articolo 31 si introducono altresì disposizioni che consentono agli appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza di deporre in sede testimoniale sotto copertura, utilizzando generalità fittizie, nonché di comunicare riservatamente la propria identità all'autorità giudiziaria procedente nei casi di reati commessi nell'ambito delle attività istituzionali;
tali modifiche fanno emergere il rischio di un indebito ampliamento dell'area dell'impunità sostanziale, nonché per la compressione delle prerogative di controllo parlamentare e giurisdizionale;
in particolare, la formulazione attuale rischia di determinare un'eccessiva latitudine interpretativa nell'applicazione delle cause di giustificazione in favore degli operatori dell'intelligence, senza adeguati presidi di legalità e sindacabilità esterna, in potenziale contrasto con il principio di responsabilità individuale sancito dall'articolo 27 della Costituzione e con il principio di effettività del controllo parlamentare previsto dall'articolo 30 della legge 3 agosto 2007, n. 124,
impegna il Governo:
a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, l'introduzione di clausole di salvaguardia e limiti oggettivi più stringenti per l'applicazione delle scriminanti previste dall'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, onde evitare che le medesime si traducano in un sostanziale esonero da responsabilità penale in assenza di adeguati criteri di necessità, proporzionalità e controllo soprattutto in relazione alle condotte strumentali ad organizzazioni terroristico-eversive;
a garantire, nel rispetto del principio di legalità e del giusto processo, la tracciabilità istituzionale delle condotte giustificate da finalità di sicurezza nazionale, favorendo la trasparenza e l'effettività del sindacato giurisdizionale.
9/2355/66. Del Barba.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del provvedimento in esame apporta novelle alla disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.) di cui alla legge 2 dicembre 2016, n. 242. Tra le modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Un'unica deroga è prevista per il settore del florovivaismo professionale;
si prevede che, in tali ipotesi, si applichino le sanzioni previste al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
tale misura affossa completamente il settore della canapa industriale: non solo mette a rischio migliaia di posti di lavoro ma va contro una filiera capace di essere sostenibile e di generare sviluppo economico in molte aree del Paese. La canapa, infatti, è una coltura sostenibile che contribuisce alla bonifica dei terreni, riduce l'uso di pesticidi e può sostituire materiali inquinanti in numerose applicazioni industriali. È un elemento chiave per l'economia circolare, poiché ogni parte della pianta può essere utilizzata, riducendo al minimo gli sprechi e valorizzando le risorse naturali. Inoltre, il settore offre opportunità di lavoro e crescita economica in numerose regioni italiane, specialmente in aree rurali che soffrono di spopolamento e disoccupazione. Senza contare che le infiorescenze di canapa industriale sono utilizzate per la commercializzazione di prodotti che aiutano migliaia di persone a migliorare la propria qualità della vita;
il settore della canapa industriale è uno dei più prosperi a livello mondiale, con un «Made in Italy» riconosciuto per la sua elevata qualità. Tuttavia, questo sviluppo è ostacolato da proposte normative come quella in oggetto che, oltre a svantaggiare imprese italiane a favore di imprese di altri Paesi membri, vìola anche diverse normative comunitarie tra cui la libera circolazione delle merci e la libera concorrenza ed è incompatibile con la Politica agricola comune dell'Unione europea;
secondo quanto riportato nel dossier di documentazione predisposto per l'esame dell'A.C. 1660 riguardo alle attività economiche interessate da questo settore, il fatturato annuo sarebbe quantificato «in 500 milioni di euro, il numero di addetti in circa 10.000 lavoratori stabili e il numero di imprese attive in circa 3.000. Il numero di addetti nelle imprese attive nel codice ATECO riconducibile al commercio al dettaglio di prodotti derivati dall'infiorescenza di canapa, secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, è aumentato di 14.266 unità tra il 2016 e il 2022. L'aumento più consistente si è registrato nel biennio 2016-2018 successivo all'entrata in vigore della legge n. 232 del 2016 (+9.502 addetti). Il numero di imprese attive ha seguito un andamento analogo, registrando un incremento complessivo di 3.245 unità nel medesimo biennio. Nel 2022, ultimo anno disponibile, le imprese attive nel settore sono state 6.687»;
alla luce di tali numeri è chiaro che verrà limitato – se non, infine, del tutto soppresso – un settore che contribuisce significativamente all'economia del Paese. Migliaia di lavoratori, imprenditori e investitori si trovano di fronte a un destino incerto e loro avverso: l'introduzione di queste restrizioni metterebbe a rischio immediato la gran parte di queste realtà lavorative causando un aumento della disoccupazione e una significativa perdita di competenze specializzate nel settore;
le conseguenze devastanti in termini occupazionali, di fatturato e di investimenti bruciati necessitano la previsione di tutele e garanzie;
peraltro, la stessa coltura della canapa può costituire un utile strumento per il contrasto al cambiamento climatico, in particolare nei progetti di sequestro e compensazione della CO2, attraverso sistemi riconosciuti a livello europeo e internazionale di carbon farming e generazione di crediti di carbonio (carbon credit). Tale finalità ambientale si inserisce nel quadro degli obiettivi strategici nazionali in materia di transizione ecologica, economia circolare e sostenibilità agricola,
impegna il Governo:
a predisporre, con la massima priorità e comunque nel primo provvedimento utile, l'adozione di misure di ristoro economico a favore di tutti gli attori dell'intera filiera agroindustriale della canapa prevedendo, in particolare, l'attivazione di ammortizzatori e la disposizione di risarcimenti che coprano non solo le aziende che vedranno sospesa la propria attività, ma anche i lavoratori dipendenti, gli imprenditori e gli investitori;
a prevedere, nell'ambito dell'attuazione delle disposizioni contenute nell'articolo 18, forme di deroga o specifiche disposizioni applicative che consentano la coltivazione della canapa a fini ambientali e di sequestro di carbonio, nell'ambito di progetti di certificazione volontaria riconosciuti da enti accreditati a livello nazionale o internazionale.
9/2355/67. Benzoni, Pastorella.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del provvedimento in esame modifica gli articoli 146 e 147 del codice penale rendendo facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio dell'esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore ad un anno e disponendo che le medesime scontino la pena, qualora non venga disposto il rinvio, presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Inoltre, è previsto che l'esecuzione non sia rinviabile ove sussista il rischio, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti;
tale articolo stravolge radicalmente un principio che, il 30 maggio 2022, nell'ambito della discussione presso la Camera dei deputati della proposta di legge Siani finalizzata ad evitare il carcere a bambini e bambine, ha visto il sostegno anche dei partiti di Forza Italia e Lega;
in particolare si sarebbe trattato di un intervento legislativo volto a tutelare le madri e i loro figli nel riconoscimento di un principio fondamentale di umanità che il nostro ordinamento ha, fino ad oggi, tutelato: il diritto di ogni bambino a non crescere dietro le sbarre di in carcere;
l'articolo 15 della provvedimento in esame realizza, invero, un passo indietro rispetto ai progressi in ambito di diritti umani e protezione delle donne in stato di gravidanza: le supposte colpe delle madri andranno, pertanto, a ricadere anche sui figli, i quali saranno defraudati del diritto – di tutti e di tutte – a nascere e crescere in libertà. Il contenuto di tale disposizione calpesta, quindi, il principio di eguaglianza, disprezza i diritti fondamentali dell'individuo e i princìpi contenuti nella Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
nessun bambino e nessuna bambina dovrebbe stare in carcere: il carcere non è un luogo in cui la relazione madre-bambino può essere serena, tantomeno può essere il luogo ove una donna può portare avanti, in condizioni di sicurezza e dignità, la propria gravidanza, partorire e far crescere un figlio,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare, con la massima urgenza e comunque nel primo provvedimento utile, le opportune iniziative normative volte a tutelare le detenute in stato di gravidanza o madri di bambini di età inferiore ai tre anni, prevedendo in ogni caso la sospensione della pena detentiva per le donne incinta o madri di prole di età inferiore ad un anno, ovvero la detenzione esclusivamente presso istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM) o case-famiglia protette per le madri di prole di età inferiore a tre anni, bilanciando le esigenze di giustizia e sicurezza con il diritto alla maternità e la tutela dell'interesse supremo del minore, al fine di garantire il rispetto del principio per cui la detenzione deve essere l'extrema ratio per le detenute madri.
9/2355/68. Bonetti, Pastorella, Ruffino.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca diverse disposizioni in materia di istituti penitenziari, prevedendo, tra le altre cose, norme sui benefici ai detenuti, sull'attività lavorativa e professionalizzante per gli stessi, nonché creando un nuovo reato di «Rivolta all'interno di un istituto penitenziario»;
il Capo V reca norme sull'ordinamento penitenziario;
le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (cosiddette «REMS») sono previste dalla legge 81 del 2014 per accogliere le persone affette da disturbi mentali, autrici di reati, a cui viene applicata dalla magistratura la misura di sicurezza detentiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l'assegnazione a casa di cura e custodia;
le REMS hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente il 31 marzo 2015, anche se l'internamento nelle nuove strutture ha carattere transitorio ed eccezionale in quanto applicabile «solo nei casi in cui sono acquisiti elementi dai quali risulti che è la sola misura idonea ad assicurare cure adeguate ed a fare fronte alla pericolosità sociale dell'infermo o seminfermo di mente»;
buona parte delle comunità terapeutiche che ospitano pazienti con disturbi da uso di sostanze lamentano da tempo una carenza di fondi e risorse umane tale da non disporre degli strumenti necessari per il recupero dei pazienti,
impegna il Governo
ad integrare le misure recate dal Capo V del provvedimento in esame provvedendo, con la massima urgenza e comunque nel primo provvedimento utile, ad adottare le iniziative necessarie volte allo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie ai fini del potenziamento delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza.
9/2355/69. Onori, Benzoni, Pastorella.
La Camera
impegna il Governo
a proseguire nell'opera di confronto con il Ministero della salute per migliorare il servizio nei confronti dei soggetti affetti da problematiche psichiatriche in esecuzione penale.
9/2355/69. (Testo modificato nel corso della seduta)Onori, Benzoni, Pastorella.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca diverse disposizioni in materia di istituti penitenziari, prevedendo, tra le altre cose, norme sui benefici ai detenuti, sull'attività lavorativa e professionalizzante per gli stessi, nonché creando un nuovo reato di «Rivolta all'interno di un istituto penitenziario»;
il Capo V reca norme sull'ordinamento penitenziario;
l'articolo 32 della Costituzione dispone: «La Repubblica tutela il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
com'è noto, però, il sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani, tristi protagonisti di numeri sempre più drammatici legati ai suicidi dei detenuti, comporta anche gravi difficoltà in termini di salute, sia fisica che psicologica, nonché di condizioni di vita degenerate per carenze trattamentali, igieniche e sanitarie;
nella maggior parte degli istituti penitenziari manca un presidio sanitario adeguato e l'altissima percentuale di dipendenze, non solo da stupefacenti ma anche da psicofarmaci, rende la situazione estremamente problematica e prioritaria;
le diagnosi psichiatriche sono tantissime, ma gli psichiatri in alcuni casi ci sono solo una volta a settimana e cambiano continuamente, questo non garantisce la continuità terapeutica,
impegna il Governo
ad integrare le misure recate dal Capo V del provvedimento in esame provvedendo, già a partire dalla prossima legge di bilancio, a stanziare maggiori risorse economiche e a reperire un adeguato numero di personale medico specializzato al fine di garantire la tutela della salute negli istituti penitenziari.
9/2355/70. D'Alessio, Benzoni, Pastorella, Ruffino.
La Camera,
premesso che:
gli articoli 26 e 27 del provvedimento in esame intervengono in materia di sicurezza negli istituti penitenziari e nelle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti, introducendo nuove fattispecie di reato per chi organizza rivolte o si oppone con le proprie azioni alle indicazioni e agli ordini impartiti dal personale in servizio;
le fattispecie introdotte, così come indicato dal testo, prevedono l'introduzione di pene gravissime anche per chi si macchi di «atti di resistenza anche passiva agli ordini impartiti» andando, di fatto, a punire qualunque forma di dissenso e protesta pacifica all'interno degli istituti penitenziari e delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti;
poiché le condizioni di vita per chi è recluso negli istituti penitenziari e nelle strutture di trattenimento e accoglienza per migranti sono inumane, le proteste e le manifestazioni di difficoltà in queste strutture sono in costante aumento e risultano essere uno dei pochi modi a disposizione dei reclusi di manifestare il proprio disagio, il cui drammatico culmine raggiunge sempre più spesso il suicidio;
la situazione di disagio all'interno degli istituti penitenziari è allarmante, come testimonia il libro bianco sulle droghe promosso tra gli altri dal Forum Droghe, Associazione Antigone e Associazione Luca Coscioni, secondo cui il 40,7 per cento delle persone che entrano in carcere è tossicodipendente;
non meno rilevanti sono i problemi di comunicazione con una popolazione carceraria che, secondo i dati forniti da Antigone, a marzo 2024 era per il 31,3 per cento di origine straniera; dato che si estende al 100 per cento quando si guarda alle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti;
secondo l'articolo 27 della Costituzione italiana «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
come testimoniato anche durante le audizioni relative al provvedimento in oggetto dai soggetti auditi, gli articoli 26 e 27, data la loro formulazione e l'evidente sproporzione della pena introdotta, presentano possibili limiti di incostituzionalità,
impegna il Governo
ad adottare iniziative volte a definire il perimetro della cosiddetta «resistenza passiva», al fine di evitare che alle persone detenute negli istituti penitenziari e nelle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti sia preclusa la libertà di espressione e di protesta pacifica.
9/2355/71. Pastorella.
La Camera,
premesso che:
la situazione delle carceri italiane è caratterizzata da una grave carenza di personale, che riguarda sia gli agenti di polizia penitenziaria, che gli educatori e il personale addetto alla sorveglianza;
il Capo V reca norme sull'ordinamento penitenziario;
attualmente, il numero di personale penitenziario previsto è nettamente insufficiente rispetto al numero di detenuti. Secondo i dati riportati nelle schede trasparenza del Ministero aggiornate al 2024, manca il 16 per cento delle unità previste in pianta organica e il rapporto detenuti-agente attuale è pari ad 1,96 detenuti per ogni agente, a fronte di una previsione di 1,5. Tra le regioni italiane, poi, questo rapporto varia fra l'1,2 e il 2,5 detenuti per ogni agente e suggerisce una distribuzione disomogenea del personale sul territorio;
le carenze di personale determinano difficoltà nella gestione degli istituti penitenziari: gli agenti di polizia penitenziaria sono spesso costretti a turni di lavoro massacranti, in condizioni di stress elevato, con conseguenze negative sulla loro salute e sulla capacità di garantire la sicurezza e l'ordine all'interno degli istituti;
tale situazione, inevitabilmente, compromette le attività di rieducazione e reinserimento sociale dei detenuti, rendendo più difficile il percorso di recupero e di riabilitazione degli stessi a cui la pena è finalizzata;
inoltre, la carenza di personale comporta un'ulteriore difficoltà nella gestione delle rivolte carcerarie e delle situazioni di emergenza, delineandosi spesso situazioni che rappresentano rischi elevati sia per i detenuti che per gli agenti. Le cronache recenti hanno, di fatto, riportato numerosi episodi di violenza e tensione all'interno delle carceri, spesso imputabili alla mancanza di un numero adeguato di personale di sorveglianza,
impegna il Governo
ad integrare le misure recate dal Capo V del provvedimento in esame provvedendo a predisporre ulteriori piani di assunzione straordinaria, rispetto a quelli già previsti dal decreto-legge n. 92 del 2004, al fine di aumentare il numero di agenti di Polizia penitenziaria, di educatori e del personale addetto alla sorveglianza, in modo tale da raggiungere un rapporto detenuti-agente conforme agli standard internazionali e da garantire la sicurezza all'interno delle carceri, migliorare le condizioni lavorative degli agenti e creare le condizioni per migliorare l'offerta di attività di rieducazione e reinserimento sociale dei detenuti, nonché per l'attivazione di percorsi di sostegno alla genitorialità per le madri detenute.
9/2355/72. Ruffino, Pastorella.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in conversione reca numerose modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, quali l'articolo 10;
l'articolo 10, prevede norme volte a contrastare l'occupazione abusiva di immobili, introducendo il reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (o delle relative pertinenze) e una procedura d'urgenza per il rilascio dell'immobile e la conseguente reintegrazione nel possesso;
l'istituto dell'inammissibilità del ricorso nel giudizio di cassazione è uno strumento utilizzato nell'ottica del controllo dei flussi, atteso che i ricorsi inammissibili rappresentano oltre il 50 per cento delle sopravvenienze che nel solo settore penale sono costituite da circa 50.000 ricorsi l'anno, tuttavia istanza di efficienza del procedimento penale non può prevalere sul fondamentale rispetto dei diritti processuali e sostanziali dell'imputato;
nell'interpretazione dell'articolo 610 del codice di procedura penale, nei casi in cui i motivi di ricorso siano inammissibili, il costante orientamento della Corte di cassazione (si veda, ex multis, la sentenza della Cassazione, terza sezione penale, n. 42942 del 18 ottobre 2019) sacrifica la dovuta pronuncia di estinzione del reato per prescrizione per la mancata formazione di un valido rapporto di impugnazione. In tali casi la Cassazione non si pronuncia e la prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza della corte d'appello rimane priva di effetti;
il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'articolo 129 del codice di procedura penale impone che qualora nel giudizio di cassazione ricorra una causa estintiva del reato, questa debba essere dichiarata con privilegio rispetto alla declaratoria, processuale, di inammissibilità. Questa è una disposizione che opera con carattere di pregiudizialità nel corso dell'intero iter processuale e risponde alla funzione di favorire l'imputato innocente, prevedendo l'obbligo dell'immediata declaratoria di cause di non punibilità in ogni stato e grado del processo e a quella di agevolare in ogni caso l'esito del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato. Tale disposizione costituisce, dunque, un precipitato del principio di legalità;
pertanto, pare necessario prevedere meccanismi che consentano che ove nel giudizio di cassazione ricorra una causa estintiva del reato (prescrizione), questa debba essere dichiarata con privilegio rispetto alla declaratoria, processuale, di inammissibilità,
impegna il Governo
ad accompagnare gli interventi recati dal provvedimento in esame con ulteriori iniziative volte a predisporre o comunque a favorire un intervento normativo finalizzato a una rimodulazione degli articoli 610 e 615 del codice di procedura penale, volto a prevedere che eventuali cause estintive del reato siano dichiarate preliminarmente rispetto alle altre cause di inammissibilità.
9/2355/73. Cannizzaro, Calderone.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in conversione reca numerose modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, quali l'articolo 10;
l'articolo 10, prevede norme volte a contrastare l'occupazione abusiva di immobili, introducendo il reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (o delle relative pertinenze) e una procedura d'urgenza per il rilascio dell'immobile e la conseguente reintegrazione nel possesso;
l'istituto dell'inammissibilità del ricorso nel giudizio di cassazione è uno strumento utilizzato nell'ottica del controllo dei flussi, atteso che i ricorsi inammissibili rappresentano oltre il 50 per cento delle sopravvenienze che nel solo settore penale sono costituite da circa 50.000 ricorsi l'anno, tuttavia istanza di efficienza del procedimento penale non può prevalere sul fondamentale rispetto dei diritti processuali e sostanziali dell'imputato;
nell'interpretazione dell'articolo 610 del codice di procedura penale, nei casi in cui i motivi di ricorso siano inammissibili, il costante orientamento della Corte di cassazione (si veda, ex multis, la sentenza della Cassazione, terza sezione penale, n. 42942 del 18 ottobre 2019) sacrifica la dovuta pronuncia di estinzione del reato per prescrizione per la mancata formazione di un valido rapporto di impugnazione. In tali casi la Cassazione non si pronuncia e la prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza della corte d'appello rimane priva di effetti;
il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'articolo 129 del codice di procedura penale impone che qualora nel giudizio di cassazione ricorra una causa estintiva del reato, questa debba essere dichiarata con privilegio rispetto alla declaratoria, processuale, di inammissibilità. Questa è una disposizione che opera con carattere di pregiudizialità nel corso dell'intero iter processuale e risponde alla funzione di favorire l'imputato innocente, prevedendo l'obbligo dell'immediata declaratoria di cause di non punibilità in ogni stato e grado del processo e a quella di agevolare in ogni caso l'esito del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato. Tale disposizione costituisce, dunque, un precipitato del principio di legalità;
pertanto, pare necessario prevedere meccanismi che consentano che ove nel giudizio di cassazione ricorra una causa estintiva del reato (prescrizione), questa debba essere dichiarata con privilegio rispetto alla declaratoria, processuale, di inammissibilità,
impegna il Governo
a istituire un tavolo tecnico volto allo studio dei rapporti normativi tra cause estintive del reato e cause di inammissibilità dell'impugnazione.
9/2355/73. (Testo modificato nel corso della seduta)Cannizzaro, Calderone.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il provvedimento in esame riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e, ad avviso dei firmatari, pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
l'articolo 18 del decreto in esame prevede il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati;
l'infiorescenza della canapa rappresenta una parte fondamentale del valore aggiunto della pianta, e vietarne la raccolta e l'essiccazione rischia di far crollare un intero settore dove sono impegnati tanti giovani agricoltori, una delle filiere di eccellenza del made in Italy agroindustriale, che già oggi vale 500 milioni di euro di fatturato annuo e conta più di 10 mila posti di lavoro in tutta Italia, vantando un enorme potenziale produttivo tra cosmesi, erboristeria, bioedilizia, florovivaismo, tessile;
le stime del mercato europeo di prodotti a base di canapa si aggira per il 2024 intorno a un valore di 2,2 miliardi di euro, e l'Italia con le attuali capacità agricole potrebbe giocare un ruolo di primo piano nella produzione e rifornimento di prodotti a base di canapa. Ad oggi, grazie all'eccellenza delle aziende operanti sul territorio nazionale e della qualità dei prodotti agricoli, oltre il 70 per cento della produzione viene esportato all'estero;
nonostante alcune aree agricole marginali, in regioni come Abruzzo, Marche, Molise, Liguria, Calabria, Campania, stanno avendo nuova vita proprio grazie alle coltivazioni di canapa non si sono volute ascoltare le richieste di un intero comparto che ora rischia letteralmente di sparire,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di riconsiderare sin dal primo provvedimento utile, la soluzione individuata dal presente provvedimento per quanto concerne il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa anche al fine di tutelare migliaia di lavoratori e l'intera filiera agroindustriale del settore della canapa.
9/2355/74. Vaccari, Forattini, Marino, Romeo, Andrea Rossi, Guerra, De Maria.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il provvedimento in esame riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del firmatario, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento, ad avviso del firmatario, il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso del firmatario, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
l'articolo 10 reca disposizioni finalizzate a contrastare l'occupazione abusiva di immobili, introducendo, nel codice penale, il reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui e, nel codice di procedura penale, una procedura d'urgenza per il rilascio dell'immobile e la reintegrazione nel possesso dello stesso;
il fenomeno delle occupazioni abusive ed illegali degli immobili del patrimonio abitativo pubblico e privato è da considerarsi come un tema centrale per garantire la sicurezza pubblica nelle città e Roma, Capitale d'Italia, è tra i primi posti per numero di occupanti ed edifici occupati;
in generale, questo Governo ha dimostrato un totale disinteresse per le soluzioni pratiche, anche parziali, che possono invertire una china pericolosa che è in atto in molte periferie e in molte aree interne e si ritiene, anzi, per certi aspetti, che si voglia alimentare, invece di risolvere, una condizione di disagio e di instabilità per trarne consenso;
lo Stato ha il dovere di tutelare il patrimonio pubblico e privato ma, prima ancora, vi è la dignità delle persone, che non possono essere lasciate per strada;
si ritiene, comunque, che le occupazioni abusive vadano contrastate, quando non chiaramente collegate a situazioni di emergenza e di necessità, sia se riguardano il patrimonio pubblico, sia quello privato;
non riguarda certamente situazioni di emergenza e necessità il caso dell'immobile dell'ex sede del Ministero dell'istruzione, di proprietà del Demanio, occupato illegalmente da oltre venti anni, a Roma, da CasaPound;
l'edificio di via Napoleone III è stato infatti occupato arbitrariamente da CasaPound nel 2003, insieme alla nascita del movimento dei «fascisti del terzo millennio», ed è nella lista degli sgomberi stilata dalla Prefettura di Roma,
impegna il Governo
ad adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, per l'esecuzione dei necessari interventi per lo sgombero dell'immobile occupato a Roma da CasaPound.
9/2355/75. De Maria, Fornaro.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso dei firmatari, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento, ad avviso dei firmatari, il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso dei firmatari, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
i fenomeni di degrado urbano e marginalizzazione sociale rappresentano un terreno fertile per l'insorgenza di problematiche legate alla sicurezza pubblica, alla microcriminalità e al disagio giovanile;
le politiche di rigenerazione urbana, attraverso interventi di riqualificazione degli spazi pubblici, recupero del patrimonio edilizio esistente, inclusione sociale e valorizzazione dei contesti urbani, si sono dimostrate uno strumento efficace per prevenire fenomeni di insicurezza e per rafforzare la coesione sociale nei territori;
numerosi enti locali, in particolare nelle aree metropolitane e nei comuni con fragilità economico-sociali, hanno elaborato e messo in atto strategie di rigenerazione urbana che integrano le dimensioni ambientali, sociali ed economiche, in linea con gli obiettivi della transizione ecologica e della giustizia territoriale;
la legge di bilancio per l'anno 2025 ha disposto significativi tagli ai trasferimenti ordinari e/o ai fondi destinati agli enti locali, riducendo la capacità di questi ultimi di sostenere programmi di rigenerazione urbana, di manutenzione straordinaria e di sicurezza urbana integrata;
secondo uno studio ANCE sono 14 i programmi di spesa degli enti locali che hanno subito drastici tagli in settori strategici, che richiedono una programmazione pluriennale, come la messa in sicurezza di edifici e territori, la viabilità, la rigenerazione urbana, l'efficientamento energetico, la progettazione e lo sviluppo infrastrutturale;
il Capo II del provvedimento in esame reca disposizioni in materia di sicurezza urbana,
impegna il Governo
ad adottare le iniziative, anche normative, volte a integrare le misure previste dal Capo II, con ulteriori interventi volti a garantire il ripristino delle risorse tagliate agli enti locali, al fine di garantire adeguati organici e la realizzazione di politiche di rigenerazione urbana e di prevenzione del disagio sociale in particolare nei quartieri che presentano maggiori criticità, e di garantire un reale rafforzamento della sicurezza urbana nonché, entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a renderne un'informativa adeguata alle Camere.
9/2355/76. Gianassi.
La Camera,
premesso che:
il Capo III del decreto-legge in via di conversione prevede «Misure in materia di tutela del personale delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché degli organismi di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 124»;
la tutela del personale riguarda anche la tempestiva copertura dei posti vacanti, in particolare per quanto concerne la Polizia di Stato, impegnata in compiti tanto complessi e delicati e che richiedono personale numericamente adeguato;
al riguardo il documento «La Pianificazione strategica del personale della Polizia di Stato» – Allegato 4, pubblicato dal Ministero dell'interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, rileva che «alla data del 31 dicembre 2024 le carenze organiche complessive della Polizia di Stato ammontavano a 11.340 unità, pari al 10 per cento della dotazione organica prevista dalla legge, risultante dalla differenza tra una dotazione organica pari a 109.271 unità e una forza effettiva pari a 97.931 unità»;
una situazione particolarmente difficile riguarda il ruolo degli ispettori, che – ai sensi del comma 3 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 335/1982 – «svolgono compiti di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria, con particolare riguardo all'attività investigativa»;
rispetto a questa figura il citato documento del Dipartimento della pubblica sicurezza segnala che, a fronte di una previsione di 23.586 unità, la forza effettiva è pari a sole 14.982 unità, con una scopertura di 8.604;
a tal riguardo, si ricorda che il 4 aprile 2024 è stato bandito, con decreto del Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza, un concorso interno per titoli ed esami per 411 posti da Vice Ispettore della Polizia di Stato;
alle prove concorsuali hanno partecipato oltre 20.000 candidati e sono risultati idonei, ma non vincitori, 3.008 concorrenti. La relativa graduatoria, con validità biennale, è stata approvata l'8 maggio 2025, come risulta dal Bollettino Ufficiale del personale del Ministero dell'interno – Supplemento straordinario n. 1/22;
si tratta di personale che potrebbe immediatamente essere disponibile per rafforzare l'azione degli Ispettori,
impegna il Governo
a procedere nei tempi più rapidi possibili allo scorrimento integrale della graduatoria di merito degli idonei al concorso interno per titoli ed esami per 411 posti da Vice Ispettore della Polizia di Stato sopra ricordata, nonché di tutti i concorsi per esami della Polizia di Stato.
9/2355/77. Gribaudo, Casu, Penza, Carmina, Benzoni.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati, giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso del presentatore, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
i fenomeni di degrado urbano e marginalizzazione sociale rappresentano un terreno fertile per l'insorgenza di problematiche legate alla sicurezza pubblica, alla microcriminalità e al disagio giovanile;
le politiche di rigenerazione urbana, attraverso interventi di riqualificazione degli spazi pubblici, recupero del patrimonio edilizio esistente, inclusione sociale e valorizzazione dei contesti urbani, si sono dimostrate uno strumento efficace per prevenire fenomeni di insicurezza e per rafforzare la coesione sociale nei territori;
numerosi enti locali, in particolare nelle aree metropolitane e nei comuni con fragilità economico-sociali, hanno elaborato e messo in atto strategie di rigenerazione urbana che integrano le dimensioni ambientali, sociali ed economiche, in linea con gli obiettivi della transizione ecologica e della giustizia territoriale;
la legge di bilancio per l'anno 2025 ha disposto significativi tagli ai trasferimenti ordinari e/o ai fondi destinati agli enti locali, riducendo la capacità di questi ultimi di sostenere programmi di rigenerazione urbana, di manutenzione straordinaria e di sicurezza urbana integrata;
secondo uno studio ANCE sono 14 i programmi di spesa degli enti locali che hanno subito drastici tagli in settori strategici, che richiedono una programmazione pluriennale, come la messa in sicurezza di edifici e territori, la viabilità, la rigenerazione urbana, l'efficientamento energetico, la progettazione e lo sviluppo infrastrutturale,
impegna il Governo
entro 3 mesi dalla conversione in legge del presente decreto a rendere un'informativa adeguata alle Camere in merito all'applicazione delle nuove norme, con particolare riferimento ai nuovi reati introdotti dal decreto in esame, al fine di valutare l'effettivo incremento del livello di sicurezza urbana e di efficacia degli interventi efficaci sul disagio sociale, anche impegnandosi a garantire il ripristino delle risorse tagliate agli enti locali, in particolare per la realizzazione di politiche di rigenerazione urbana e di prevenzione del disagio sociale in particolare nei quartieri che presentano maggiori criticità.
9/2355/78. Morassut.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del presentatore, per sottrarre al Parlamento il potere a esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
il provvedimento prevede tra le altre norme che rischiano di comprimere in modo del tutto inaccettabile libertà fondamentali tutelate dalla nostra Carta costituzionale, quali il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero, a circolare liberamente, oltre a retrocedere nel livello di civiltà giuridica addirittura a prima del Codice Rocco prevedendo il carcere per le donne in gravidanza e più carcere per i bambini, anche per quelli piccolissimi, contiene inoltre l'equiparazione della cannabis light alla cannabis tradizionale e quindi il suo divieto; un intervento che va nella linea già tracciata dal decreto del Ministero della salute che aveva inserito le «composizioni per uso orale di cannabidiolo» tra le sostanze stupefacenti, decreto arrivato a inizio luglio dopo la sospensiva del Tar Lazio del 5 ottobre 2023 di un precedente decreto analogo e, ancora una volta, sospeso dal Tar del Lazio l'11 settembre 2024;
la legislazione italiana attuale, che risale al 2016, consente la coltivazione di canapa per scopi industriali, purché il contenuto di Thc – la sostanza psicoattiva della presente nella pianta – non superi lo 0,2 per cento; la nuova normativa, proibisce il commercio, la lavorazione e l'esportazione di foglie, infiorescenze, resine e di tutti i prodotti contenenti sostanze derivate dalla pianta di canapa colpendo così diversi ambiti, dalla cosmesi all'erboristeria, dagli integratori alimentari al florovivaismo;
inoltre, i negozi specializzati nella vendita di prodotti a base di cannabis light, con la nuova normativa, saranno costretti a chiudere così come le tabaccherie, che attualmente offrono alcuni di questi prodotti, non potrebbero più includerli nel loro assortimento;
anche il Forum Droghe, l'associazione per la riforma delle politiche sulle droghe, ha pubblicato sul proprio sito un appello di 27 esperti di politiche sulle droghe, attivisti e Ong internazionali che chiedono all'Italia di fermare il provvedimento che vuole vietare la cosiddetta «cannabis light»;
l'appello sottolinea come la nuova normativa «produrrebbe il paradossale effetto giuridico di punire con le sanzioni penali e amministrative previste per le sostanze psicotrope anche chi produce o utilizza infiorescenze prive di effetti psicoattivi», una palese violazione dei princìpi di proporzionalità, ragionevolezza e offensività del diritto penale e un «insulto al buon senso e alla scienza»;
la nuova normativa, oltre che mettere «fuori legge oltre 13 mila lavoratori – per lo più giovani – impiegati nel settore» impedirebbe agli agricoltori «di avere un reddito dall'intera pianta» mettendo così «in difficoltà anche le altre filiere produttive della canapa: alimentare, tessile, bioedilizia, energetica»;
per gli esperti internazionali che hanno sottoscritto l'appello «il provvedimento rischierebbe di consegnare i consumatori di “cannabis light” alle narcomafie». «Le esperienze normative – sottolineano – dimostrano che è meglio regolamentare un mercato piuttosto che mantenerlo – o renderlo – illegale. L'illegalità non fa altro che causare ulteriori danni: non garantisce la qualità delle sostanze e avvicina i consumatori all'ambiente criminale»;
le convenzioni internazionali, escludono esplicitamente la canapa industriale – dalla quale si ricava la cannabis light, dal regime di controllo globale sulle droghe. Lo stesso testo unico sugli stupefacenti italiano indica che le coltivazioni provenienti dalle sementi approvate dall'Unione europea non sono vietate;
con l'equiparazione della cannabis light alla cannabis con elevati livelli di Thc si cancella una filiera tutta italiana produttiva e in salute; si chiudono, in altre parole, 3.000 aziende agricole e 15 mila lavoratori del settore resteranno senza un impiego,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 18, al fine di adottare le iniziative normative volte a rivedere le nuove norme introdotte anche al fine di rivalutare nel loro insieme le politiche proibizioniste che equiparano la cannabis light a quella cosiddetta «tradizionale» modificando le nuove misure introdotte con l'articolo 18 del provvedimento che proibiscono il commercio, la lavorazione e l'esportazione di foglie, infiorescenze, resine e di tutti i prodotti contenenti sostanze derivate dalla pianta di canapa, nonché a riferirne al Parlamento entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, nonché a prevedere misure volte a tutelare la filiera produttiva italiana in tale settore salvaguardando le 3.000 aziende agricole e 15 mila posti di lavoro che con la nuova normativa vengono meno.
9/2355/79. Furfaro.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso della firmataria, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro novanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, al rispetto delle garanzie delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, alla prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, al rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati nelle regioni dell'Italia centrale.
9/2355/80. Manzi.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione e pone il Parlamento tutto, ad avviso del firmatario, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi le quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, al rispetto delle garanzie delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, alla prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, al rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli nelle regioni del Sud Italia.
9/2355/81. Porta.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso della firmataria, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro novanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, della prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, al rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda conto renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati nelle regioni del Sud Italia e nelle isole.
9/2355/82. Iacono.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, alla prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, al rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati nelle regioni del Nord Ovest del Paese.
9/2355/83. Peluffo.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, alla prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, al rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Liguria.
9/2355/84. Pandolfo.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Toscana.
9/2355/85. Fossi.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte a uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere a esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga a ogni disposizione di legge a eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Calabria.
9/2355/86. Stumpo.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso della firmataria, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre, ad avviso della presentatrice, al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alla Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Sicilia.
9/2355/87. Marino.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del firmatario, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati Sardegna.
9/2355/88. Lai.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere entro 60 giorni dalla conversione del decreto-legge in esame una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Emilia-Romagna.
9/2355/89. Merola, Fratoianni.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Abruzzo.
9/2355/90. D'Alfonso.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Piemonte.
9/2355/91. Fassino.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del presentatore, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Valle d'Aosta.
9/2355/92. Di Sanzo.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso della firmataria, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Lombardia.
9/2355/93. Evi.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso della firmataria, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Veneto e nel Trentino-Alto Adige.
9/2355/94. Filippin.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte a uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso della presentatrice, per sottrarre al Parlamento il potere a esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga a ogni disposizione di legge a eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione dettagliata che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, di prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di rafforzamento della sicurezza urbana, e che renda inoltre conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Friuli-Venezia Giulia.
9/2355/95. Romeo.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso della firmataria, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei Cpr peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei Cpr sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un Cpr e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione del decreto-legge in esame, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Umbria.
9/2355/96. Ascani.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del firmatario, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati nelle Marche.
9/2355/97. Curti.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del presentatore, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati nel Lazio.
9/2355/98. Mancini.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del firmatario, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Molise.
9/2355/99. Laus.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del presentatore, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Campania.
9/2355/100. Graziano.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del presentatore, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione del decreto-legge in esame, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Puglia.
9/2355/101. Stefanazzi.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso del presentatore, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del firmatario, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 hanno rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i Centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 60 giorni dalla conversione, che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché in merito alla loro distribuzione sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quelli eventualmente collocati in Basilicata.
9/2355/102. Amendola.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte a uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso dei firmatari, per sottrarre al Parlamento il potere a esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
il decreto interviene su materie sensibili e non è destinato a produrre un miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese, poiché non contiene misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, non vi sono investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né risorse per il personale, non vi è traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza, invece, al contrario, gli interventi sono determinati, ad avviso dei firmatari, da una ossessione panpenalista rivolta soprattutto a un utilizzo esclusivamente ideologico del diritto penale sul presupposto irrealizzabile che con la previsione di qualche nuovo reato o qualche nuova circostanza aggravante le condizioni di sicurezza del Paese potrebbero migliorare, laddove l'unico effetto pratico che deriva dal provvedimento è la costruzione di un modello penalistico contraddittorio e irrazionale rispetto alla coerenza sistematica che è invece richiesta all'ordinamento;
a fronte, dunque, della creazione di nuovi reati e di annunci securitari, nessuna risorsa viene ripristinata per il personale, in particolare per quello del settore della giustizia, che da quando si è insediato questo Governo ha solo subito tagli pesanti;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, a parere dei sottoscrittori, una violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino a oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda: bisogna stare in allarme anche alla luce dell'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a rendere un'informativa adeguata alle Camere sulle conseguenze dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, nell'ambito delle sue proprie prerogative a garantire e implementare la funzionalità e l'organizzazione degli uffici e delle strutture di esecuzione penale esterna e per la messa alla prova, aumentando il personale e portando a termine i concorsi già banditi, anche per l'abbattimento della recidiva e per la piena attuazione dei princìpi costituzionali, quale quello di cui all'articolo 27 della Costituzione, a incrementare il ricorso alle misure alternative al carcere per adulti, e a riportare al centro, potenziandolo, il sistema della probation minorile e delle misure alternative al carcere, potenziando gli uffici di servizio sociale per minorenni, i centri di prima accoglienza, le case e i centri di comunità, i centri diurni polifunzionali, nonché a provvedere al reclutamento, anche tramite procedure straordinarie, per garantire e implementare la funzionalità e l'organizzazione degli uffici e delle strutture di esecuzione penale esterna e per la messa alla prova, anche al fine di favorire il decremento della popolazione penitenziaria, dei funzionari della professionalità giuridico pedagogica, di servizio sociale e mediatore culturale a psicologi.
9/2355/103. Malavasi, Serracchiani, Gianassi, Di Biase, Lacarra, Scarpa.
La Camera,
premesso che:
il Capo III del decreto-legge in via di conversione prevede «Misure in materia di tutela del personale delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché degli organismi di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 124»;
la tutela del personale riguarda anche la tempestiva copertura dei posti vacanti, in particolare per quanto concerne la Polizia di Stato, impegnata – come noto – in numerose attività: tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, polizia giudiziaria e amministrativa, controllo delle frontiere e dell'immigrazione, contrasto alla criminalità informatica, tutela delle persone, sicurezza stradale, e altro ancora;
questo semplice elenco evidenzia la necessità che compiti tanto complessi e delicati siano svolti da personale numericamente adeguato;
al riguardo, il documento «La Pianificazione strategica del personale della Polizia di Stato» – Allegato 4, pubblicato dal Ministero dell'interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, rileva che «alla data del 31 dicembre 2024 le carenze organiche complessive della Polizia di Stato ammontavano a 11.340 unità, pari al 10 per cento della dotazione organica prevista dalla legge, risultante dalla differenza tra una dotazione organica pari a 109.271 unità e una forza effettiva pari a 97.931 unità»;
tale carenza non è stata colmata, nonostante i provvedimenti adottati negli ultimi anni: l'articolo 17-bis del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2022, n. 79, ha introdotto il comma 961-bis nell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234, incrementando la dotazione organica per complessive 609 unità, mentre l'articolo 15, comma 1, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2023, n. 74, ha disposto un ulteriore potenziamento degli organici per ulteriori 548 unità;
inoltre, come indicato nel suddetto documento, si stima che circa 4.000 unità cesseranno dal servizio per limiti di età nel 2025, con numeri analoghi attesi per il 2026 e il 2027;
per quanto riguarda la distribuzione per fasce d'età, al 31 dicembre 2024 il 34,9 per cento del personale aveva un'età compresa tra i 45 e i 55 anni, mentre il 20,8 per cento superava i 55 anni: insieme, queste due fasce più anziane rappresentano il 55,7 per cento del totale in servizio;
questi dati ufficiali rendono incomprensibile l'ostinata volontà del Governo Meloni di non accogliere gli emendamenti e gli ordini presentati più volte dal Gruppo del Partito Democratico in merito alla necessità di utilizzare, anche prorogandole, le graduatorie dei concorsi per Allievi agenti della Polizia di Stato svolti negli ultimi anni. Al contrario, il Governo ha lasciato scadere tali graduatorie in modo – a giudizio del presentatore – irresponsabile;
una situazione particolarmente difficile riguarda il ruolo degli ispettori, che – ai sensi del comma 3 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982 – «svolgono compiti di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria, con particolare riguardo all'attività investigativa»;
rispetto a questa figura il documento del Dipartimento della Pubblica Sicurezza segnala che, a fronte di una previsione di 23.586 unità, la forza effettiva è pari a sole 14.982 unità, con una scopertura di 8.604;
a tal riguardo, si ricorda che il 4 aprile 2024 è stato bandito, con decreto del Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza, un concorso interno per titoli ed esami per 411 posti da Vice Ispettore della Polizia di Stato;
alle prove concorsuali hanno partecipato oltre 20.000 candidati e sono risultati idonei, ma non vincitori, 3.008 concorrenti. La relativa graduatoria, con validità biennale, è stata approvata l'8 maggio 2025, come risulta dal Bollettino Ufficiale del personale del Ministero dell'interno – Supplemento straordinario n. 1/22,
impegna il Governo
a rispondere con urgenza ed efficacia alla grave carenza di personale nella Polizia di Stato, come evidenziato in premessa, procedendo nel più breve tempo possibile allo scorrimento integrale di tutte le graduatorie dei concorsi per la Polizia di Stato e, ove necessario, alla proroga della validità delle stesse, fino alla completa copertura della dotazione organica prevista.
9/2355/104. Casu, Gribaudo, Carmina, Penza, Serracchiani.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso dei sottoscrittori, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso dei presentatori, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
il Capo I del decreto in esame reca Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché in materia di beni sequestrati e confiscati e di controlli di polizia e, in particolare, l'articolo 3 reca modifiche al codice antimafia in materia di documentazione antimafia;
vi sono questioni, quali ad esempio l'azione di contrasto alle mafie e la legalità sulle quali non può esistere una spaccatura tra maggioranza e opposizione, rispetto alle quali sarebbe, invece, doverosa una certa trasversalità e una visione comune, rispetto alla cultura della legalità, alla lotta alle mafie e alla corruzione,
impegna il Governo
nell'ambito delle sue proprie prerogative, a garantire la piena efficacia delle attività finalizzate alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento e nell'esecuzione dei contratti pubblici e di quelli privati che fruiscono di contribuzione pubblica, aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, connessi agli interventi per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, applicando le rigorose regole ordinarie previste dalla legislazione in vigore per le opere strategiche di interesse nazionale relative ai controlli antimafia, nonché assicurando la piena e completa applicazione del Codice antimafia.
9/2355/105. Braga, Bonafè, Gianassi, Simiani, Serracchiani, Mauri, Di Biase, Cuperlo, Lacarra, Fornaro, Scarpa, Curti, Evi, Ferrari, Provenzano, Barbagallo, Iacono, Marino, Tucci.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto, ad avviso della presentatrice, di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso della presentatrice, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario; vi sono questioni, quali ad esempio l'azione di contrasto alle mafie e la legalità sulle quali non può esistere una spaccatura tra maggioranza e opposizione, rispetto alle quali sarebbe, invece, doverosa una certa trasversalità e una visione comune, rispetto alla cultura della legalità, alla lotta alle mafie e alla corruzione;
l'articolo 31, in primo luogo, rende permanenti le disposizioni introdotte, in via transitoria, dal decreto-legge n. 7 del 2015 (e, per effetto di successive proroghe, vigenti fino al 30 giugno 2025), per il potenziamento dell'attività dei servizi di informazione per la sicurezza, in materia di: estensione delle condotte di reato scriminabili, che possono compiere gli operatori dei servizi di informazione per finalità istituzionali su autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri, a ulteriori fattispecie concernenti reati associativi per finalità di terrorismo; attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza con funzioni di polizia di prevenzione a personale militare impiegato nella tutela delle strutture e del personale degli organismi di informazione per la sicurezza; tutela processuale in favore degli operatori degli organismi di informazione per la sicurezza, attraverso l'utilizzo di identità di copertura negli atti dei procedimenti penali e nelle deposizioni; possibilità di condurre colloqui con detenuti e internati, per finalità di acquisizione informativa per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale. Inoltre, vengono introdotte nuove disposizioni, sempre riguardanti l'attività informativa, concernenti: la previsione di ulteriori condotte di reato per finalità informative, scriminabili, concernenti la direzione o l'organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico e la detenzione di materiale con finalità di terrorismo (reato quest'ultimo introdotto dall'articolo 1 del provvedimento), la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti; la possibilità di richiedere informazioni e analisi finanziarie alla Guardia di finanza e alla DIA per il contrasto al terrorismo internazionale,
impegna il Governo
a presentare alle Camere entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto, una relazione in merito all'impatto delle nuove norme anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, nonché ad adottare iniziative normative con una specifica relazione al Parlamento, che non sia limitata al COPASIR come già previsto dalla normativa vigente, in merito all'applicazione dell'articolo 31 citato in premessa, fatti salvi i dettagli che dovranno rimanere segreti, volta a mettere in evidenza il verificato rapporto tra minaccia alla sicurezza nazionale, autorizzazione ad operare come agente infiltrati e provocatori anche in ruoli organizzativi o direttivi delle associazioni terroristiche o eversive e l'effettiva cessazione della minaccia in conseguenza dell'operazione.
9/2355/106. Boldrini.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il provvedimento in esame riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso della firmataria il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso della firmataria la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulla libertà di stampa durante lo svolgimento delle manifestazioni pubbliche.
9/2355/107. De Micheli.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso della firmataria, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso della firmataria, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulla libertà di associazione.
9/2355/108. Quartapelle Procopio.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati, giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso della firmataria, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulla libertà di riunione.
9/2355/109. Bakkali.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso della firmataria, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso della firmataria, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulla libertà e la segretezza della comunicazione.
9/2355/110. Madia.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati, giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso del firmatario, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso del firmatario, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulla libertà di circolazione e soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale.
9/2355/111. Mauri.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso della firmataria, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso della firmataria la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sul diritto di professare liberamente la propria fede religiosa.
9/2355/112. Prestipino.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'aula l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso del firmatario, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso del firmatario, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulla libertà personale.
9/2355/113. Carè.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso del firmatario, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere a esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso del firmatario la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino a oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sul diritto di manifestazione del pensiero.
9/2355/114. Gnassi.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso della firmataria, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso della firmataria, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
9/2355/115. Roggiani.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso del firmatario, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso del firmatario, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione dettagliata al Parlamento sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sul diritto inviolabile alla difesa.
9/2355/116. Berruto.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso del firmatario per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso del presentatore, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
particolarmente grave è la disposizione dell'articolo 14 che introduce il reato del blocco stradale attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo, con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, se il fatto è commesso da più persone riunite, e che viola quel diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente e senz'armi, anche in luogo aperto al pubblico, e senza preavviso, ovvero in luogo pubblico, con preavviso alle autorità che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, così come sancito dall'articolo 17 della nostra Costituzione,
impegna il Governo
entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto a rendere un'informativa adeguata alle Camere sulle conseguenze dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie.
9/2355/117. Fornaro.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso dei firmatari, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso dei presentatori, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione alle Camere sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento alle norme penali che coinvolgono persone private della libertà e sotto la custodia dello Stato e alla resistenza passiva, sotto il profilo dell'efficacia, della congruità e della logicità.
9/2355/118. Cuperlo, Gianassi, Bonafè, Serracchiani, Mauri, Lacarra, Fornaro, Scarpa.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso dei firmatari, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso dei presentatori la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
particolarmente gravi sotto il profilo della legittimità costituzionale appaiono infatti gli interventi sulla materia penale e penitenziaria, a fronte di una crisi del sistema senza precedenti, e che il decreto «emergenza carceri» del Governo non ha, purtroppo, né risolto ma neanche scalfito;
le modifiche proposte al codice penale e al codice di procedura penale sembrano ignorare che – per le condizioni di fatto e di diritto in cui si scontano le pene nel nostro Paese – il trattenimento in carcere si traduce molto spesso in trattamenti contrari al senso di umanità, trattamenti incapaci di tendere a quella rieducazione del condannato, in aperta violazione di quanto stabilito dall'articolo 27 della nostra Costituzione al punto che pare paradossale che, da un lato, il Governo adotti un decreto-legge per contenere il sovraffollamento carcerario e dichiari che sono necessari ulteriori interventi in tal senso e, dall'altro, con il provvedimento in esame utilizzi ancora, senza garantire maggiore livello di sicurezza nel Paese, la leva penale per incrementare la popolazione carceraria senza introdurre mezzi e risorse per il trattamento del detenuto che in ossequio ai principi costituzionali deve essere orientato al recupero,
impegna il Governo
in linea con l'asserita finalità di ridurre il sovraffollamento carcerario, nell'ambito delle sue proprie prerogative, a garantire e implementare la funzionalità e l'organizzazione degli uffici e delle strutture di esecuzione penale esterna e per la messa alla prova, aumentando il personale e portando a termine i concorsi già banditi, anche per l'abbattimento della recidiva e per la piena attuazione dei principi costituzionali, quale quello di cui all'articolo 27 della Costituzione, ad incrementare il ricorso alle misure alternative al carcere per adulti, e a riportare al centro, potenziandolo, il sistema della probation minorile e delle misure alternative al carcere, potenziando gli uffici di servizio sociale per minorenni, i centri di prima accoglienza, le case e i centri di comunità, i centri diurni polifunzionali, nonché stanziando le necessarie ed adeguate risorse finanziarie ed organizzative per garantire il diritto all'accesso ad un'adeguata istruzione di ogni ordine e grado e formazione, che fornisca le basi per un accesso a tutti i gradi, ivi compresa la formazione universitaria, per i detenuti e gli internati di tutti gli istituti destinati all'esecuzione della pena.
9/2355/119. Orfini, Manzi, Serracchiani, Gianassi, Di Biase, Lacarra, Scarpa.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso dei firmatari, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente grave e del tutto irragionevole è poi la nuova circostanza aggravante comune introdotta dall'articolo 11 che consiste nell'aver commesso il fatto nelle aree interne o nelle immediate adiacenze delle infrastrutture ferroviarie o all'interno dei convogli adibiti al trasporto passeggeri;
tale aggravante determina conseguenze assolutamente illogiche, per cui un reato di furto in un centro commerciale è punito, ad esempio con una pena più grave se il centro commerciale si trova all'interno di una stazione o nel caso della truffa agli anziani, se essa è compiuta all'interno di un giardino o di un parco pubblico sarà punita in modo più lieve che se fatta all'interno di una stazione ferroviaria,
impegna il Governo
a presentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione alle Camere sull'attuazione delle norme penali ivi contenute, con particolare riferimento all'aggravante di cui in premessa, sotto il profilo dell'efficacia, della congruità e della logicità della norma introdotta.
9/2355/120. Bonafè.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea il disegno di legge A.C. 2355, volto alla conversione in legge del decreto-legge n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio, vittime dell'usura e ordinamento penitenziario;
tale decreto ha incorporato le disposizioni contenute nel disegno di legge A.S. 1236, in discussione parlamentare da circa quattordici mesi e, dopo l'approvazione alla Camera fermo al Senato dal mese di ottobre 2024;
la scelta di adottare un decreto-legge per introdurre norme già oggetto di un disegno di legge in corso di esame parlamentare solleva preoccupazioni riguardo al rispetto dell'articolo 70 della Costituzione, che attribuisce al Parlamento tutto la funzione legislativa, e pone interrogativi sulla sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza previsti dall'articolo 77 della Costituzione;
nel merito, il decreto introduce almeno 14 nuove fattispecie di reato e 9 aggravanti, contribuendo a un incremento complessivo di 417 anni di pene detentive nel sistema penale italiano;
tale approccio rischia di compromettere le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione e di sovraccaricare ulteriormente il sistema carcerario, già afflitto da problemi di sovraffollamento e carenze strutturali. L'introduzione di nuove fattispecie di reato e l'inasprimento delle pene non sono accompagnati da un adeguato investimento in misure alternative alla detenzione, che potrebbero contribuire in modo più efficace al percorso di reinserimento dei condannati;
particolare preoccupazione suscita l'introduzione del reato di «rivolta all'interno di un istituto penitenziario» e la sua estensione ai CPR, agli hotspot e ai centri di accoglienza per migranti, che punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque partecipi a una rivolta mediante atti di violenza, minaccia o resistenza, anche passiva, all'esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, commessi da tre o più persone riunite. La criminalizzazione della resistenza passiva, che include comportamenti non violenti come il rifiuto di obbedire agli ordini o lo sciopero della fame, rappresenta un pericoloso precedente che potrebbe limitare il diritto fondamentale alla protesta pacifica che spesso rappresenta l'unico mezzo per denunciare violazioni dei diritti umani nei luoghi di privazione della libertà personale,
impegna il Governo:
a non insistere nella conversione del decreto-legge n. 48 del 2025 e a proseguire l'esame delle disposizioni in esso contenute attraverso il normale iter parlamentare, garantendo un adeguato confronto democratico e il rispetto delle prerogative del Parlamento;
a riconsiderare l'introduzione del reato di resistenza passiva, valutando le implicazioni costituzionali e i potenziali effetti repressivi su forme di protesta pacifica, sia all'interno degli istituti penitenziari che nei CPR e negli altri centri di accoglienza e a promuovere un approccio che privilegi la prevenzione, il rispetto dei diritti fondamentali ed il percorso di reinserimento sociale previsto dalla costituzione implementando il sistema di misure alternative alla pena ed evitando il ricorso eccessivo alla sanzione penale come strumento di controllo sociale.
9/2355/121. Ciani.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte a uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso della firmataria, per sottrarre al Parlamento il potere a esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso della presentatrice, la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino a oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
particolarmente gravi sono le disposizioni sulla sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti che introducono una semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento in deroga a ogni disposizione di legge a eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; inoltre, modifica il testo unico immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
la deroga alle norme così come descritta in combinato disposto con l'inasprimento delle pene e della modalità di repressione del dissenso previste dal decreto-legge non tengono in debita considerazione i risultati delle ispezioni effettuate in questi luoghi i quali hanno palesato condizioni di degrado non conformi agli standard internazionali e alle norme sui diritti umani. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori e sono purtroppo testimoniate non solo dai molteplici casi di suicidio registrati ma anche da inquietanti fatti di cronaca in cui i migranti «perdono la vita» in situazioni poco chiare;
sul tema dei CPR peraltro il Governo è già intervenuto estendendo a diciotto mesi il periodo di detenzione massima, di fatto peggiorando le condizioni di vita all'interno di questi centri senza dare prova di efficacia dal punto di vista dei rimpatri. Di fatto la presenza dei CPR sul territorio italiano è divenuto lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 ha rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023;
tali strutture mostrano tutta la loro inadeguatezza anche dal punto di vista dei costi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all'anno, mentre quello di un posto di 21 mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. Tutto questo a fronte di servizi molto scarsi: sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica;
va ricordato che i centri di permanenza per il rimpatrio nascono come strutture destinate al trattenimento amministrativo delle persone migranti (e non come centri di detenzione) con l'obiettivo di gestire il loro rimpatrio in conformità agli accordi vigenti con gli Stati di origine e in assenza di reati penali commessi dalle persone trattenute. Alla luce di quanto esposto, nonostante il Governo continui a presentare i CPR come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri i dati dicono l'esatto contrario,
impegna il Governo
a presentare alle Camere una relazione entro 30 giorni dalla conversione che renda conto dei numeri degli sbarchi, nonché delle motivazioni che hanno condotto alla realizzazione e alla localizzazione dei nuovi centri, nonché alla loro distribuzione sul territorio nazionale, alla loro gestione con particolare riferimento a quelli collocati nelle regioni del Nord Est.
9/2355/122. Scarpa.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, ad avviso dei firmatari, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
il decreto interviene su materie sensibili e non è destinato a produrre un miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese, poiché non contiene misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, non vi sono investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né risorse per il personale, non vi è traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza, invece, al contrario, gli interventi sono determinati, ad avviso dei firmatari, da una ossessione Panpenalista rivolta soprattutto ad un utilizzo esclusivamente ideologico del diritto penale sul presupposto irrealizzabile che con la previsione di qualche nuovo reato o qualche nuova circostanza aggravante le condizioni di sicurezza del Paese potrebbero migliorare, laddove l'unico effetto pratico che deriva dal provvedimento è la costruzione di un modello penalistico contraddittorio e irrazionale rispetto alla coerenza sistematica che è invece richiesta all'ordinamento;
a fronte, dunque, della creazione di nuovi reati e di annunci securitari, nessuna risorsa viene ripristinata per il personale, in particolare per quello del settore della giustizia, che da quando si è insediato questo Governo ha solo subito tagli pesanti;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina, ad avviso dei presentatori, violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda: bisogna stare in allarme anche alla luce dell'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
nel sistema dell'esecuzione penale è in grave crisi e questo rischio di collasso del sistema, oltre a rendere impossibile l'attuazione del dettato costituzionale di cui all'articolo 27 della Costituzione, a rendere del tutto inadeguate le condizioni di chi nel carcere lavora in condizioni si carenza di organico, mette a serio rischio, anche in termini di prevenzione della recidiva, la sicurezza della collettività,
impegna il Governo
entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a rendere un'informativa adeguata alle Camere sulle conseguenze dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, al reale impatto delle nuove norme in termini di effettiva sicurezza del Paese nonché, nell'ambito delle sue proprie prerogative, a prevedere il reclutamento di non meno di 500 nuovi magistrati, eventualmente anche tramite lo scorrimento di graduatorie in corso di validità all'entrata in vigore della legge in esame da destinare in particolare alla magistratura di sorveglianza, nonché a potenziare e a studiare forme di stabilizzazione per l'ufficio del processo penale presso i tribunali di sorveglianza, ad incrementare ed adeguare gli organici e le risorse destinate al compenso per lavoro straordinario del personale della polizia penitenziaria, a potenziare delle strutture a sostegno dell'esecuzione penale esterna, alla ridefinizione progettuale delle colonie penali, degli istituti a sicurezza attenuata, delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, delle strutture di detenzione femminile e delle strutture e comunità per detenute madri, nonché ad adottare le necessarie misure, sia finanziarie sia organizzative, necessarie al fine di realizzare nuove residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (R.E.M.S.) di cui al decreto-legge 31 marzo 2014. n. 52, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2014, n. 81, a garantire e implementare la funzionalità e l'organizzazione degli uffici e delle strutture di esecuzione penale esterna e per la messa alla prova, aumentando il personale e portando a termine i concorsi già banditi, potenziando e rideterminando gli organici dei funzionari della professionalità giuridico-pedagogica, di servizio sociale e mediatore culturale, a ristorare i tagli effettuati alla giustizia riparativa ed effettuare ulteriori stanziamenti ed investimenti, investimenti nonché a stanziare adeguate risorse per consentire il pagamento dei professionisti psicologi e criminologi esperti di cui all'articolo 80 della legge 26 luglio. 1975, n. 354, le cui prestazioni sono aumentate a seguito delle richieste provenienti dagli istituti penitenziari per far fronte alle esigenze relative alla riduzione del rischio suicidario.
9/2355/123. Serracchiani, Gianassi, Di Biase, Scarpa, Lacarra.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati, e, giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e ad avviso dei firmatari, pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere, per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente grave, e con chiari impatti su alcune libertà fondamentali tutelate nella prima parte della nostra Costituzione, è la disposizione sul cosiddetto «blocco stradale», introdotta dall'articolo 14, che trasforma in un illecito penale che prevede la reclusione fino a un mese, ovvero la multa fino a 300 euro, quella che fino ad oggi costituiva una mera sanzione amministrativa, così come desta preoccupazione la previsione di una nuova aggravante ad effetto speciale con la quale si prevede che la pena possa diventare da sei mesi a due anni di reclusione se il blocco stradale o ferroviario, attuato «con il proprio corpo» è commesso da più persone riunite;
grandi dubbi sussistono anche con riferimento alla tassatività della condotta criminalizzata, avendo alcuni professori auditi evidenziato come, dalla lettura della norma, il blocco sembrerebbe dover avvenire «con il proprio corpo», cioè dei manifestanti. Se ciò è vero, sembrerebbe evidente la volontà del Legislatore di comprimere alcune specifiche modalità del diritto di sciopero e di riunione che potrebbero determinare, ad esempio, il blocco del traffico, anche quale conseguenza non voluta da parte dei manifestanti;
si è dunque in presenza, ad avviso della firmataria del presente atto di indirizzo, di una fattispecie altamente lesiva di alcuni diritti fondamentali e che pare principalmente finalizzata a reprimere e criminalizzare il dissenso politico;
dal dato testuale della norma sembrerebbe poi che un eventuale blocco stradale compiuto con modalità differenti, ossia servendosi di strumenti di ostacolo alla circolazione (ad esempio, cassonetti, materiale di intralcio, ed altro) non integrerebbe la «nuova» fattispecie di reato, così come emendata dal Legislatore;
a parere della sottoscrivente destano grandissima preoccupazione gli effetti che tale norma potrebbe determinare soprattutto sulle manifestazioni studentesche, e in particolare sulle possibili gravi conseguenze per i minori di età,
impegna il Governo
ad adottare nel primo provvedimento utile, misure atte a garantire che in ogni caso tale norma non si traduca in una qualunque limitazione delle libertà fondamentali garantite dalla nostra Costituzione con particolare riferimento alla criminalizzazione di qualunque forma di dissenso.
9/2355/124. Ghio.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso del firmatario, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
si tratta inoltre di un provvedimento privo delle risorse finanziarie da destinare al personale e alle dotazioni strumentali ed organizzative,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate dal Governo e dalla maggioranza con il decreto in esame, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, alla prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché al rafforzamento della sicurezza urbana.
9/2355/125. De Luca, Borrelli.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso del firmatario, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente grave, e con chiari impatti su alcune libertà fondamentali tutelate nella prima parte della nostra Costituzione, è la disposizione sul cosiddetto «blocco stradale», introdotta dall'articolo 14, che trasforma in un illecito penale che prevede la reclusione fino a un mese, ovvero la multa fino a 300 euro, quella che fino ad oggi costituiva una mera sanzione amministrativa, così come desta preoccupazione la previsione di una nuova aggravante ad effetto speciale con la quale si prevede che la pena possa diventare da sei mesi a due anni di reclusione se il blocco stradale o ferroviario, attuato «con il proprio corpo», è commesso da più persone riunite;
grandi dubbi sussistono anche con riferimento alla tassatività della condotta criminalizzata, avendo alcuni professori auditi evidenziato come, dalla lettura della norma, il blocco sembrerebbe dover avvenire «con il proprio corpo», cioè dei manifestanti. Se ciò è vero, sembrerebbe evidente la volontà del Legislatore di comprimere alcune specifiche modalità del diritto di sciopero e di riunione che potrebbero determinare, ad esempio, il blocco del traffico, anche quale conseguenza non voluta da parte dei manifestanti;
si è dunque in presenza, ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo, di una fattispecie altamente lesiva di alcuni diritti fondamentali e che pare principalmente finalizzata a reprimere e criminalizzare il dissenso politico;
dal dato testuale della norma sembrerebbe poi che un eventuale blocco stradale compiuto con modalità differenti, ossia servendosi di strumenti di ostacolo alla circolazione (ad esempio, cassonetti, materiale di intralcio, ed altro) non integrerebbe la «nuova» fattispecie di reato, così come emendata dal Legislatore;
a parere della sottoscrivente destano grandissima preoccupazione gli effetti che tale norma potrebbe determinare soprattutto sulle manifestazioni studentesche, e in particolare sulle possibili gravi conseguenze per i minori di età,
impegna il Governo
ad adottare nel primo provvedimento utile, misure atte a garantire che in ogni caso tale norma non si traduca in una qualunque limitazione delle libertà fondamentali garantite dalla nostra Costituzione con particolare riferimento alla criminalizzazione di ogni forma di dissenso e alla limitazione della manifestazione del pensiero così come tutelata dall'articolo 21 della nostra Costituzione.
9/2355/126. Scotto.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso dei firmatari, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefìci in termini di sicurezza;
con il disegno di legge si prevedeva l'abolizione dell'obbligo – presente nel codice firmato dal guardasigilli fascista Alfredo Rocco – di rinviare l'esecuzione della pena nel caso di donna incinta o con figli di età inferiore a un anno di vita. Da obbligatorio, il rinvio diveniva facoltativo, ovvero soggetto alla decisione del giudice che caso per caso doveva valutare il rischio che la donna tornasse a commettere reati, e il decreto in esame ha lasciato su questo punto le cose sostanzialmente immutate;
la donna in gravidanza o appena divenuta madre, una volta condannata, potrà iniziare da subito a scontare la propria pena, e se il bambino ha meno di un anno di età, la donna dovrà andare obbligatoriamente in un Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri), mentre se il bambino ha tra un anno e tre anni di età, potrà andare in un Icam oppure, se le ragioni di sicurezza lo richiedono, in un carcere ordinario. Una cosa analoga accade in fase cautelare: fino a un anno c'è l'obbligo dell'Icam, dopo dipende da ragioni di sicurezza: per la prima volta in assoluto si apre alla possibilità che il bambino venga separato da sua madre. Il decreto prevede infatti che la donna che non si comporti a dovere (compromette l'ordine o la sicurezza dell'istituto, definizioni di cui il decreto è pieno – sufficientemente vaghe da permettere qualsiasi arbitrio) mentre è sottoposta alla custodia cautelare in un Icam possa venire trasferita in un carcere ordinario senza suo figlio. Per lui o per lei verranno allertati i servizi sociali; la norma del 1975 che permetteva alla madre detenuta di portare con sé il bambino era intesa dal legislatore come una norma di garanzia nei suoi confronti: era lei, e solo lei, a dover effettuare la scelta, a dover stabilire se far dormire suo figlio per un periodo in stanza con sé costituisse – purtroppo – in quella specifica circostanza il male minore;
adesso si apre di fatto la strada all'istituzionalizzazione del minore: alla luce delle novelle dunque, la custodia in carcere può essere disposta, al ricorrere delle circostanze indicate da nuovo articolo 276-bis del codice di procedura penale, anche nei confronti di donne incinte o madri di figli di età inferiore ad 1 anno; dunque come «filosofia» dell'intervento si preferisce l'istituzionalizzazione di donne e bambini anche rispetto al ricorso agli arresti domiciliari o a pene alternative;
il decreto prevede infatti che la donna che non si comporti a dovere – compromettendo l'ordine o la sicurezza dell'istituto, definizioni vaghe, come sottolineato anche dal Servizio Studi, che potrebbero lasciare margine ad interpretazioni arbitrarie, permettendo, ad esempio, che una la donna detenuta – mentre è sottoposta alla custodia cautelare in un Icam – possa venire trasferita in un carcere ordinario senza suo figlio;
nel caso di una donna incinta, la nuova disposizione sarebbe inoltre in netto contrasto con quanto previsto dalle Regole penitenziarie europee, secondo le quali le detenute devono essere autorizzate a partorire fuori dal carcere (Regola 34.3 delle Regole delle Nazioni Unite relative al trattamento delle donne detenute e alle misure non detentive per le donne autrici di reato, altrimenti conosciute come «Regole di Bangkok»), in quanto è impossibile prevedere quando avverrà il parto; la Regola 64 delle cosiddette «Regole di Bangkok» afferma infatti chiaramente che «Le pene non detentive per le donne incinte e per le donne con figli a carico devono essere preferite laddove possibile» e viene richiamato l'interesse superiore del bambino rispetto all'esercizio del potere punitivo che può essere eseguito anche con modalità differenti,
impegna il Governo:
ad adottare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, un accurato e tempestivo monitoraggio sull'applicazione delle nuove norme, ed eventualmente ad abrogarle, laddove dalla loro attuazione derivi la violazione delle norme internazionali sui diritti dell'infanzia – Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e delle donne detenute – Regole di Bangkok Nazioni Unite donne detenute e donne autrici di reato in misura non detentiva – nonché dei princìpi sanciti dalla nostra Costituzione, e a riferirne trimestralmente al Parlamento;
ad adottare, inoltre, ogni provvedimento atto a scongiurare l'ingresso e la permanenza dei bambini in carcere e di donne in stato di gravidanza, a prevedere, per le case-famiglia protette di cui alla legge 21 aprile 2011, n. 62, l'obbligo per il Ministro della giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee e ad assicurare la presenza in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, stanziando adeguate risorse.
9/2355/127. Di Biase, Serracchiani, Bonafè, Gianassi, Lacarra, Cuperlo, Scarpa, Mauri, Fornaro.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
il provvedimento reca norme in materia di forze di polizia e di polizia locale e, al Capo II, interviene in materia di sicurezza urbana;
in particolare, il decreto ha introdotto ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti;
a fronte della creazione di nuovi reati e di annunci securitari, nessuna risorsa tuttavia è stata ripristinata per il personale del comparto sicurezza, che al contrario avrebbe richiesto risorse importanti;
la città di Reggio Emilia, in particolare, ha conosciuto una significativa crescita economica e demografica negli ultimi decenni, diventando un punto di riferimento per coesione sociale, innovazione e qualità dei servizi pubblici;
la crescita demografica, anche grazie ai flussi migratori, è un fenomeno che richiede politiche pubbliche in grado di governarne gli effetti, affinché non si creino marginalità o insicurezze;
consapevole di questa sfida, il comune di Reggio Emilia ha svolto un ruolo proattivo nel promuovere investimenti in riqualificazione urbana e nel miglioramento della qualità della vita nei quartieri, agendo con responsabilità per prevenire il degrado e promuovere la sicurezza percepita dai cittadini;
da ultimo, raccogliendo la preoccupazione di una parte della cittadinanza rispetto ad alcune situazioni di criticità, l'amministrazione comunale ha anche chiesto, tramite l'operazione Strade sicure, la presenza dell'esercito in aree sensibili come la stazione storica, quale segnale di attenzione e deterrenza;
tuttavia, la sicurezza e l'ordine pubblico sono competenze primarie dello Stato, da esercitarsi tramite le forze di polizia, nonché strumenti ordinari di controllo del territorio;
preoccupa, in questo senso, il fatto che l'organico delle forze dell'ordine presenti nel territorio comunale di Reggio Emilia risulti attualmente sottodimensionato rispetto alle esigenze di una città dinamica e in trasformazione;
in tal modo, si genera un pericoloso scivolamento di responsabilità, per cui la gestione della sicurezza pubblica ricade impropriamente sui comuni, che sono istituzionalmente orientati a funzioni di prossimità, promozione sociale e governo urbano, e non al presidio dell'ordine pubblico,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di riservare una particolare attenzione alla città di Reggio Emilia nell'ambito delle prossime misure di rafforzamento degli organici delle forze di polizia, al fine di garantire un presidio del territorio adeguato e continuativo, all'altezza delle aspettative della comunità locale.
9/2355/128. Andrea Rossi.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati, giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso dei firmatari, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
il decreto interviene su materie sensibili e non è destinato a produrre un miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese, poiché non contiene misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, non vi sono investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né risorse per il personale, non vi è traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza, invece, al contrario, gli interventi sono determinati da una ossessione Panpenalista rivolta soprattutto ad un utilizzo esclusivamente ideologico del diritto penale sul presupposto irrealizzabile che con la previsione di qualche nuovo reato o qualche nuova circostanza aggravante le condizioni di sicurezza del Paese potrebbero migliorare, laddove l'unico effetto pratico che deriva dal provvedimento è la costruzione di un modello penalistico contraddittorio e irrazionale rispetto alla coerenza sistematica che è invece richiesta all'ordinamento;
a fronte, dunque, della creazione di nuovi reati e di annunci securitari, nessuna risorsa viene ripristinata per il personale, in particolare per quello del settore della giustizia, che da quando si è insediato questo Governo ha solo subito tagli pesanti;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda: bisogna stare in allarme anche alla luce dell'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 151 disciplina compiutamente l'ufficio per il processo, prevedendo all'articolo 1 la costituzione, presso i tribunali ordinari e presso i tribunali di sorveglianza e le corti di appello e gli uffici della Suprema Corte di cassazione, di una o più strutture organizzative denominate «ufficio per il processo civile» e una o più strutture denominate «ufficio per il processo penale», queste ultime anche presso la procura generale della Corte di cassazione, prevedendo che gli stessi debbano garantire la ragionevole durata del processo attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi e un più efficiente impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione,
impegna il Governo
entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a rendere un'informativa adeguata alle Camere sulle conseguenze dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, nonché, nell'ambito delle sue proprie prerogative, a prevedere il reclutamento di non meno di 500 nuovi magistrati, eventualmente anche tramite lo scorrimento di graduatorie in corso di validità all'entrata in vigore della legge in esame da destinare in particolare alla magistratura di sorveglianza, nonché a potenziare e a studiare forme di stabilizzazione per l'ufficio del processo penale presso i tribunali di sorveglianza.
9/2355/129. Lacarra, Gianassi, Serracchiani, Di Biase, Scarpa.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso dei firmatari, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
il decreto interviene su materie sensibili e non è destinato a produrre un miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese, poiché non contiene misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, non vi sono investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né risorse per il personale, non vi è traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza, invece, al contrario, gli interventi sono determinati da una ossessione, ad avviso dei firmatari, panpenalista rivolta soprattutto ad un utilizzo esclusivamente ideologico del diritto penale sul presupposto irrealizzabile che con la previsione di qualche nuovo reato o qualche nuova circostanza aggravante le condizioni di sicurezza del Paese potrebbero migliorare, laddove l'unico effetto pratico che deriva dal provvedimento è la costruzione di un modello penalistico contraddittorio e irrazionale rispetto alla coerenza sistematica che è invece richiesta all'ordinamento;
a fronte, dunque, della creazione di nuovi reati e di annunci securitari, nessuna risorsa viene ripristinata per il personale, in particolare per quello del settore della giustizia, che da quando si è insediato questo Governo ha solo subito tagli pesanti;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda: bisogna stare in allarme anche alla luce dell'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario,
impegna il Governo:
entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a rendere un'informativa adeguata alle Camere sulle conseguenze dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie;
a provvedere, nell'ambito delle sue proprie prerogative ad incrementare ed adeguare gli organici e le risorse destinate al compenso per lavoro straordinario del personale della polizia penitenziaria;
a prevedere, al fine di assicurare il funzionamento omogeneo degli istituti penitenziari sull'intero territorio nazionale, che ogni istituto abbia garantito il proprio dirigente in via esclusiva, anche al fine di prevenire, nel contesto carcerario, fenomeni derivanti dalla condizione di marginalità sociale dei detenuti;
a prevedere che il Ministero della giustizia – Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente e in deroga alla vigente dotazione organica, possa assumere con contratto di lavoro a tempo indeterminato almeno 90 nuovi dirigenti di istituto penitenziario, di livello dirigenziale non generale.
9/2355/130. Forattini, Serracchiani, Gianassi, Bonafè, Mauri, Di Biase, Cuperlo, Scarpa, Lacarra, Fornaro.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso delle firmatarie, il Parlamento tutto di fronte a uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere a esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
il decreto interviene su materie sensibili e non è destinato a produrre un miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese, poiché non contiene misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, non vi sono investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né risorse per il personale, non vi è traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza, invece, al contrario, gli interventi sono determinati da una ossessione, ad avviso delle firmatarie, panpenalista rivolta soprattutto a un utilizzo esclusivamente ideologico del diritto penale sul presupposto irrealizzabile che con la previsione di qualche nuovo reato o qualche nuova circostanza aggravante le condizioni di sicurezza del Paese potrebbero migliorare, laddove l'unico effetto pratico che deriva dal provvedimento è la costruzione di un modello penalistico contraddittorio e irrazionale rispetto alla coerenza sistematica che è invece richiesta all'ordinamento;
a fronte, dunque, della creazione di nuovi reati e di annunci securitari, nessuna risorsa viene ripristinata per il personale, in particolare per quello del settore della giustizia, che da quando si è insediato questo Governo ha solo subito tagli pesanti;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino a oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda: bisogna stare in allarme anche alla luce dell'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario;
il decreto in esame, senza garantire maggiore livello di sicurezza nel Paese, fa ricorso alla leva penale per incrementare la popolazione carceraria senza introdurre mezzi e risorse per il trattamento del detenuto che in ossequio ai princìpi costituzionali deve essere orientato al recupero, recupero in cui, a esempio, il lavoro di pubblica utilità riveste un ruolo importantissimo;
dalla Relazione del Ministro della giustizia al Parlamento del 2024 sull'esecuzione penale esterna, che adesso è estesa, oltre che alla messa alla prova, alle pene sostitutive della detenzione, emerge che le nuove pene sostitutive stanno dando ottima prova, in particolare il lavoro di pubblica utilità sostitutivo della detenzione fino a 3 anni; dalla relazione si evince l'esigenza di correzione di una criticità legata alla necessità di estensione del Fondo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 312 e finalizzato a reintegrare l'onere conseguente alla copertura degli obblighi assicurativi contro le malattie e gli infortuni, a favore dei soggetti condannati al LPU sostitutivo di pena detentiva breve di cui all'articolo 56-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689,
impegna il Governo
entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a rendere un'informativa adeguata alle Camere sulle conseguenze dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, nonché, nell'ambito delle sue proprie prerogative, al fine di affrontare il forte incremento di richieste di accesso al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, a intervenire con urgenza al fine di estendere il Fondo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 312 e finalizzato a reintegrare l'onere conseguente alla copertura degli obblighi assicurativi contro le malattie e gli infortuni, anche a favore dei soggetti condannati al LPU sostitutivo di pena detentiva breve di cui all'articolo 56-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, valutando l'opportunità di procedere con modifiche all'articolo 1, comma 312, della legge 28 dicembre 2015.
9/2355/131. Guerra, Serracchiani.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
si tratta inoltre di un provvedimento privo delle risorse finanziarie da destinare al personale e alle dotazioni strumentali ed organizzative,
impegna il Governo
a presentare alle Camere, entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, una relazione che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate dal Governo con il decreto in esame, in relazione all'effettivo calo dei reati, alla reale efficacia in termini di prevenzione e contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di aumento del livello di sicurezza urbana, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, nonché a provvedere, nell'ambito delle sue proprie prerogative, ad incrementare ed adeguare gli organici e le risorse destinate al compenso per lavoro straordinario del personale della polizia penitenziaria per il funzionamento omogeneo del trattamento negli istituti penitenziari sull'intero territorio nazionale, prevedendo che ogni istituto abbia garantito il proprio direttore in via esclusiva.
9/2355/132. Toni Ricciardi.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
particolarmente grave, e con chiari impatti su alcune libertà fondamentali tutelate nella prima parte della nostra Costituzione, è la disposizione sul cosiddetto «blocco stradale», introdotta dall'articolo 14, che trasforma in un illecito penale che prevede la reclusione fino a un mese, ovvero la multa fino a 300 euro, quella che fino ad oggi costituiva una mera sanzione amministrativa, così come desta preoccupazione la previsione di una nuova aggravante ad effetto speciale con la quale si prevede che la pena possa diventare da sei mesi a due anni di reclusione se il blocco stradale o ferroviario, attuato «con il proprio corpo», è commesso da più persone riunite;
aver introdotto ulteriori regole per lo svolgimento di cortei e mobilitazioni ha significato, di fatto, disegnare un nuovo perimetro dell'esercizio della libertà di riunione ex articolo 17 della Costituzione, a partire da ciò che non è consentito fare, fissando cioè confini più stretti e circoscrivendo ancora di più i limiti;
le manifestazioni in movimento, come fenomeno di partecipazione collettiva, costituiscono un'alternativa all'espressione del pensiero in forma atomizzato, e permettono di porre all'attenzione dell'opinione pubblica rivendicazioni e tematiche che, quasi ignorate dai mass media, rischierebbero di essere in qualche modo svalutate nell'ambito delle disposizioni introdotte dal decreto in esame viene attribuita rilevanza penale anche al blocco stradale o ferroviario effettuato con il proprio corpo, in precedenza considerato solo illecito amministrativo (punibile con sanzione da 1.000 a 4.000 euro). Pertanto tale illecito è ora punito con la reclusione fino a 1 mese o la multa fino a 300 euro e, qualora il fatto sia commesso da più persone riunite, con la reclusione da 6 mesi a 2 anni,
impegna il Governo
entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, a presentare alle Camere una relazione che riporti dati in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate dal Governo e dalla maggioranza con il decreto in esame, al rispetto delle garanzie delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, all'effettivo calo dei reati e della criminalità, alla prevenzione e al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, di sicurezza urbana, nonché all'impatto dei nuovi reati, con particolare riferimento alle fattispecie contenute nell'articolo 14 del decreto in esame.
9/2355/133. Sarracino.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
con il disegno di legge si prevedeva l'abolizione dell'obbligo – presente nel codice firmato dal guardasigilli fascista Alfredo Rocco – di rinviare l'esecuzione della pena nel caso di donna incinta o con figli di età inferiore a un anno di vita. Da obbligatorio, il rinvio diveniva facoltativo, ovvero soggetto alla decisione del giudice che caso per caso doveva valutare il rischio che la donna tornasse a commettere reati, e il decreto in esame ha lasciato su questo punto le cose sostanzialmente immutate;
considerato inoltre che l'articolo 14 del provvedimento in esame trasforma in un illecito penale che prevede la reclusione fino a un mese, ovvero la multa fino a 300 euro, quella che fino ad oggi costituiva una mera sanzione amministrativa, così come la previsione di una nuova aggravante ad effetto speciale con la quale si prevede che la pena possa diventare da sei mesi a due anni di reclusione se il blocco stradale o ferroviario, attuato «con il proprio corpo», è commesso da più persone riunite,
impegna il Governo
entro tre mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a rendere un'informativa adeguata alle Camere sulle conseguenze dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, con particolare riferimento alle donne detenute, ai bambini in carcere e alle donne in stato di gravidanza di cui all'articolo 15 del decreto in parola nonché all'impatto della disposizione sul cosiddetto «blocco stradale», introdotta dall'articolo 14.
9/2355/134. Ferrari.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso dei firmatari, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario; vi sono questioni, quali ad esempio l'azione di contrasto alle mafie e la legalità sulle quali non può esistere una spaccatura tra maggioranza e opposizione, rispetto alle quali sarebbe, invece, doverosa una certa trasversalità e una visione comune, rispetto alla cultura della legalità, alla lotta alle mafie e alla corruzione;
il Capo I del decreto in esame reca Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché in materia di beni sequestrati e confiscati e di controlli di polizia;
in particolare l'articolo 3 reca modifiche al codice antimafia in materia di documentazione antimafia riferita ai contratti di rete e di non applicabilità da parte del prefetto dei divieti di contrattare e di ottenere concessioni o erogazioni qualora dall'applicazione di tali divieti derivi il venir meno dei mezzi di sostentamento per l'interessato e la sua famiglia;
l'articolo 33 istituisce un albo di esperti che affianchino gli operatori economici vittime di usura ai fini del reinserimento nel circuito economico legale, stabilendo altresì le norme fondamentali che disciplinano compiti, incompatibilità e decadenza, durata dell'incarico e compenso dei suddetti esperti, inserendo un nuovo articolo che disciplina la figura dell'esperto chiamato a sostegno del soggetto vittima di usura che ha beneficiato dell'erogazione del mutuo previsto dall'articolo 1428 della medesima legge n. 108 per il suo reinserimento nell'ambito dell'economia legale,
impegna il Governo
entro sei mesi dalla conversione in legge del presente decreto a rendere un'informativa adeguata e dettagliata alle Camere in merito all'impatto e alle conseguenze delle nuove norme e dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulla libertà di associazione e sulla libera manifestazione del pensiero, nonché in merito alle misure di cui agli articoli 3 e 33, nonché, nell'ambito delle sue proprie prerogative ad adottare misure volte a rendere strutturale e incrementare il finanziamento destinato al Fondo per legalità e disposizioni per la tutela degli amministratori locali vittime di atti intimidatori, a stanziare adeguate risorse per gli oneri relativi alle commissioni straordinarie nominate per la gestione degli enti locali, nei cui confronti è stato disposto lo scioglimento conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, per le prefetture per i controlli antimafia per i piccoli cantieri, per le finalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 agosto 2010, n. 150, per il funzionamento dell'Agenzia nazionale beni confiscati al fine di accelerare il processo di potenziamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata nonché per garantire all'Agenzia una sempre adeguata dotazione di personale e strumentale, e per le spese di funzionamento e di personale della Direzione investigativa antimafia (DIA).
9/2355/135. Provenzano, Serracchiani, Barbagallo.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto riproduce le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati, giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge – che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione – in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone, ad avviso dei firmatari, il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano – anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali – che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario; vi sono questioni, quali ad esempio l'azione di contrasto alle mafie e la legalità sulle quali non può esistere una spaccatura tra maggioranza e opposizione, rispetto alle quali sarebbe, invece, doverosa una certa trasversalità e una visione comune, rispetto alla cultura della legalità, alla lotta alle mafie e alla corruzione;
il Capo I del decreto in esame reca Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché in materia di beni sequestrati e confiscati e di controlli di polizia;
in particolare l'articolo 3 reca modifiche al codice antimafia in materia di documentazione antimafia riferita ai contratti di rete e di non applicabilità da parte del prefetto dei divieti di contrattare e di ottenere concessioni o erogazioni qualora dall'applicazione di tali divieti derivi il venir meno dei mezzi di sostentamento per l'interessato e la sua famiglia;
l'articolo 33 istituisce un albo di esperti che affianchino gli operatori economici vittime di usura ai fini del reinserimento nel circuito economico legale, stabilendo altresì le norme fondamentali che disciplinano compiti, incompatibilità e decadenza, durata dell'incarico e compenso dei suddetti esperti, inserendo un nuovo articolo che disciplina la figura dell'esperto chiamato a sostegno del soggetto vittima di usura che ha beneficiato dell'erogazione del mutuo previsto dall'articolo 1428 della medesima legge n. 108 per il suo reinserimento nell'ambito dell'economia legale,
impegna il Governo
entro 12 mesi dalla conversione in legge del presente decreto, a rendere un'informativa adeguata alle Camere in particolare riferimento all'applicazione delle norme di cui all'articolo 3 e all'articolo 33, nonché, nell'ambito delle sue proprie prerogative a rendere strutturale e incrementare il finanziamento destinato al Fondo per legalità e disposizioni per la tutela degli amministratori locali vittime di atti intimidatori, a stanziare adeguate risorse per gli oneri relativi alle commissioni straordinarie nominate per la gestione degli enti locali, nei cui confronti è stato disposto lo scioglimento conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, per le prefetture per i controlli antimafia per i piccoli cantieri, per le finalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 agosto 2010, n. 150, per il funzionamento dell'Agenzia nazionale beni confiscati al fine di accelerare il processo di potenziamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, per promuovere, snellire e velocizzare le procedure di assegnazione per assicurare un migliore monitoraggio dell'utilizzo dei beni destinati, garantire l'efficienza della gestione successiva alla gestione e la garanzia occupazionale delle aziende sottoposte a sequestro per le quali sia stata riconosciuta una adeguata capacità economica, per garantire all'Agenzia una sempre adeguata dotazione di personale e strumentale, a rafforzare il Fondo per la gestione dei beni confiscati, per sostenere i comuni e per tutti gli enti e i soggetti che il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 indica come soggetti ed enti destinatari di tali beni, per le spese di funzionamento e di personale della Direzione investigativa antimafia (DIA).
9/2355/136. Barbagallo, Serracchiani, Provenzano.
La Camera,
premesso che:
è all'esame dell'Assemblea l'A.C. 2355 per la conversione in legge del decreto n. 48 del 2025, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
come è noto il decreto ha recepito le disposizioni contenute nell'A.S. 1236, il controverso disegno di legge sulla sicurezza che si trovava all'esame del Parlamento da quasi quattordici mesi, e che dopo la prima approvazione presso la Camera dei deputati giaceva al Senato dal mese di ottobre del 2024;
la decisione di far confluire un delicatissimo disegno di legge che tocca peraltro diversi diritti e libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione in un decreto-legge desta enorme preoccupazione, e pone il Parlamento tutto di fronte ad uno strappo costituzionale di gravità inaudita operato da questo Governo, soprattutto alla luce delle norme molto delicate, e al tempo stesso estremamente eterogenee, contenute nel decreto stesso;
un decreto-legge, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, con ben quattordici nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti, sostitutivo di una legge in itinere per sottrarre al Parlamento il potere ad esso costituzionalmente conferito dall'articolo 70; uno sfregio, in questa misura, senza precedenti;
nonostante alcuni miglioramenti su norme particolarmente problematiche, il provvedimento continua a presentare profili gravissimi anche nel merito, con una chiara tendenza a reprimere il dissenso e a criminalizzare comportamenti legati all'esercizio di libertà fondamentali, come la partecipazione a manifestazioni pubbliche;
il combinato disposto di tutte queste norme finisce per configurare un quadro repressivo fondato sull'autorità, che non garantisce più alcune libertà, e che, peraltro, non produrrà nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese non contenendo misure preventive efficaci rispetto alla commissione di atti criminali, né investimenti finalizzati a prevenire la criminalità, né ravvisandosi traccia di interventi di rigenerazione e recupero urbano anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali che pure produrrebbero enormi benefici in termini di sicurezza;
oltre a determinare un fallimento nelle politiche di sicurezza il provvedimento in esame determina la violazione dei diritti dei cittadini, cancellazione di prerogative sino ad oggi riconosciute nell'esercizio dei diritti costituzionali e uno squilibrio evidente nei rapporti tra cittadino e pubblica autorità che rende il primo clamorosamente debole dinanzi alla seconda e che richiede di valutare l'enorme impatto che esse determineranno nel nostro ordinamento con riferimento a taluni diritti fondamentali, nonché per le limitazioni che esse esplicheranno su talune libertà, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell'immigrazione e del diritto penitenziario; vi sono questioni, quali ad esempio l'azione di contrasto alle mafie e la legalità sulle quali non può esistere una spaccatura tra maggioranza e opposizione, rispetto alle quali sarebbe, invece, doverosa una certa trasversalità e una visione comune, rispetto alla cultura della legalità, alla lotta alle mafie e alla corruzione;
il Capo I del decreto in esame reca Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché in materia di beni sequestrati e confiscati e di controlli di polizia;
in particolare l'articolo 3 reca modifiche al codice antimafia in materia di documentazione antimafia riferita ai contratti di rete e di non applicabilità da parte del prefetto dei divieti di contrattare e di ottenere concessioni o erogazioni qualora dall'applicazione di tali divieti derivi il venir meno dei mezzi di sostentamento per l'interessato e la sua famiglia;
l'articolo 33 istituisce un albo di esperti che affianchino gli operatori economici vittime di usura ai fini del reinserimento nel circuito economico legale, stabilendo altresì le norme fondamentali che disciplinano compiti, incompatibilità e decadenza, durata dell'incarico e compenso dei suddetti esperti, inserendo un nuovo articolo che disciplina la figura dell'esperto chiamato a sostegno del soggetto vittima di usura che ha beneficiato dell'erogazione del mutuo previsto dall'articolo 1428 della medesima legge n. 108 per il suo reinserimento nell'ambito dell'economia legale,
impegna il Governo
entro 90 giorni dalla conversione dalla conversione in legge del presente decreto a rendere un'informativa adeguata e dettagliata alle Camere in merito all'impatto e alle conseguenze delle nuove norme e dei nuovi reati introdotti, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, con particolare riferimento a quelle norme penali che potrebbero incidere sulle libertà costituzionali, quali quella di riunione e di associazione e di libera manifestazione del pensiero, anche al fine di riconsiderare la valenza e le conseguenze delle nuove fattispecie, nonché in merito a alle misure di cui agli articoli 3 e 33, nonché, nell'ambito delle sue proprie prerogative ad adottare misure volte a rendere strutturale e incrementare il finanziamento destinato al Fondo per legalità e disposizioni per la tutela degli amministratori locali vittime di atti intimidatori, al funzionamento dell'Agenzia nazionale beni confiscati al fine di accelerare il processo di potenziamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata nonché per garantire all'Agenzia una sempre adeguata dotazione di personale e strumentale, anche al fine di garantire un'equa ed omogenea distribuzione delle risorse su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alle Regioni del sud.
9/2355/137. Ubaldo Pagano.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento all'esame dell'Assemblea reca disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
il Governo ha posto particolare attenzione al tema dell'occupazione arbitraria di immobili introducendo, da un lato una nuova fattispecie di reato, dall'altro una procedura specifica per la reintegrazione nel possesso dell'immobile illegalmente occupato;
in particolare è stato introdotto l'articolo 634-bis del codice penale volto a rafforzare la tutela del patrimonio immobiliare attraverso strumenti più efficaci e diretti a punire le condotte dei soggetti che, mediante violenza o minaccia, occupano o detengono senza titolo un immobile o pertinenza, destinato a domicilio altrui, ovvero impediscono il rientro nel medesimo immobile da parte del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente;
è stato, altresì, introdotto l'articolo 321-bis del codice di procedura penale che disciplina una procedura semplificata per la reintegrazione nel possesso di immobili arbitrariamente occupati limitandone l'applicazione alle sole condotte previste dall'articolo 634-bis del codice penale ed ai soli casi in cui l'immobile costituisca l'unica abitazione effettiva del denunciante;
tale misura che rappresenta un importante passo nella lotta all'occupazione abusiva che il Governo sta portando avanti, tuttavia, nella sua attuale formulazione, rischierebbe di determinare, ad avviso della scrivente, disparità di trattamento tra soggetti in condizioni sostanzialmente analoghe, ma con situazioni abitative differenti,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di assumere ogni opportuna iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, al fine di estendere l'ambito di applicazione dell'articolo 321-bis del codice di procedura penale a tutte le ipotesi di occupazione arbitraria di immobili previste dal codice penale, comprese quelle di cui all'articolo 633 del codice penale, e di rimuovere le limitazioni soggettive che subordinano l'accesso alla procedura semplificata alla condizione che l'immobile occupato sia l'unica abitazione effettiva del denunciante in modo da assicurare un'applicazione generalizzata dell'istituto e rafforzare maggiormente la tutela del patrimonio immobiliare.
9/2355/138. Gardini, Marchetto Aliprandi, Molinari, Iezzi, Bagnai, Bruzzone, Coin, Furgiuele, Cavandoli, Andreuzza, Angelucci, Barabotti, Benvenuto, Bergamini, Billi, Bisa, Bof, Bordonali, Bossi, Candiani, Caparvi, Carloni, Carrà, Cattoi, Cecchetti, Centemero, Comaroli, Crippa, Dara, De Bertoldi, Di Mattina, Lorenzo Fontana, Formentini, Frassini, Giaccone, Giagoni, Giglio Vigna, Gusmeroli, Latini, Lazzarini, Loizzo, Maccanti, Marchetti, Matone, Miele, Montemagni, Morrone, Nisini, Ottaviani, Panizzut, Pierro, Pizzimenti, Pretto, Ravetto, Sasso, Stefani, Sudano, Toccalini, Ziello, Zinzi, Zoffili, Morgante, Caretta, Ciaburro, Almici.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento all'esame dell'Assemblea reca disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
nello specifico, mira ad intervenire in modo puntuale e concreto in materia di legalità e di sicurezza dei cittadini;
l'articolo 19 al comma 1, lettera a), prevede un aumento delle pene, fino alla metà, previste per i reati di cui all'articolo 336 del codice penale commi 1 e 3, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza;
a fronte dell'aumento degli episodi di violenza ai danni di soggetti incaricati di servizio pubblico quali tassisti, conducenti di autobus e autisti NCC, si ritiene opportuno che venga estesa anche a loro la portata del su citato articolo 19, comma 1, lettera a),
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di estendere anche in favore dei soggetti incaricati di servizi pubblici quali tassisti e autisti NCC (noleggio con conducente) la pena più severa di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a), del provvedimento in discussione;
a valutare l'opportunità di prevedere, con il primo provvedimento utile, misure finalizzate ad una maggior tutela della sicurezza, anche personale, dei conducenti di autobus nell'esercizio delle loro funzioni.
9/2355/139. Maiorano, Padovani, Caretta, Ciaburro, Almici.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento all'esame dell'Assemblea reca disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
nello specifico, mira ad intervenire in modo puntuale e concreto in materia di legalità e di sicurezza dei cittadini, garantendo un ampliamento delle dotazioni in favore delle Forze dell'ordine;
l'articolo 21 al comma 1 consente alle Forze di polizia di utilizzare dispositivi di videosorveglianza indossabili nei servizi di mantenimento dell'ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno;
l'articolo 5 della legge n. 65 del 1986 («Legge-quadro sull'ordinamento della Polizia Municipale») prevede che il personale appartenente al Corpo della Polizia municipale possa essere chiamato a svolgere anche funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza;
si ritiene opportuno, pertanto, che anche il personale delle Forze di polizia locale possa essere dotato di dispositivi di videosorveglianza indossabili, idonei a registrare l'attività operativa e il suo svolgimento, al fine di tutelare i cittadini e lo stesso personale operante in ogni situazione che coinvolga la sicurezza e l'incolumità delle persone,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, di estendere anche in favore delle Forze di polizia locale la dotazione di dispositivi di videosorveglianza indossabili di cui all'articolo 21, comma 1, del provvedimento in esame.
9/2355/140. Padovani, Caretta, Ciaburro, Almici.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, dispone la conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario;
nello specifico l'articolo 10 del disegno di legge in discussione introduce il nuovo reato di «Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui»;
il comma 3 dell'articolo 634-bis del codice penale prevede la condizione di non punibilità dell'occupante che collabori all'accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all'ordine di rilascio dell'immobile;
pur condividendo le ragioni, anche pratiche, che possono giustificare un trattamento di favore nei confronti dell'occupante che collabora, la condizione di non punibilità rischia però di vanificare l'effetto deterrente della nuova disposizione di legge. Infatti, chi si propone di occupare arbitrariamente un bene immobile altrui potrebbe addirittura essere incentivato ad attuare il proprio disegno criminoso, ritenendo che, nel peggiore delle ipotesi, non rischierebbe di subire alcuna sanzione attraverso un successivo comportamento collaborativo;
per premiare chi ottempera volontariamente all'ordine di rilascio appare più opportuno prevedere soltanto la riduzione della pena. L'occupazione arbitraria merita infatti di essere punita in ogni caso,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, nell'ambito di un provvedimento successivo, di prevedere una diminuzione della pena in luogo dell'esclusione della sua applicazione nei confronti dell'occupante abusivo che ottemperi volontariamente alla liberazione dell'immobile.
9/2355/141. Pellicini, Caretta, Ciaburro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 11, del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, introduce una nuova circostanza aggravante per i reati non colposi commessi all'interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie, delle metropolitane o all'interno dei convogli adibiti al trasporto passeggeri, al fine di rafforzare la tutela della sicurezza in luoghi a elevata frequentazione e particolare esposizione al rischio criminale;
l'articolo 13 del medesimo decreto-legge interviene sul divieto di accesso a specifiche aree e pertinenze delle infrastrutture di trasporto pubblico, ne estende il perimetro applicativo e ne collega la violazione a specifiche condizioni per la concessione della sospensione condizionale della pena, prevedendo altresì l'estensione dell'arresto in flagranza differita a reati commessi in occasione di manifestazioni;
le stazioni ferroviarie, i capolinea, i nodi intermodali e le principali infrastrutture del trasporto collettivo rappresentano, soprattutto nei grandi centri urbani, luoghi sensibili sotto il profilo dell'ordine pubblico e della sicurezza, anche in chiave di prevenzione del terrorismo, della microcriminalità e del degrado urbano;
l'adozione di strumenti tecnologici avanzati, unita a un'adeguata formazione del personale e a una strategia integrata tra livelli di governo, rappresenta una condizione essenziale per dare piena attuazione alle misure introdotte dal decreto,
impegna il Governo:
in linea con le finalità perseguite dalle disposizioni richiamate in premessa, a valutare l'opportunità di adottare, d'intesa con le regioni, gli enti locali e i gestori dei servizi di trasporto pubblico, un piano nazionale per il rafforzamento della sicurezza nelle infrastrutture del trasporto urbano e intermodale, con particolare riferimento alle stazioni ferroviarie, metropolitane, capolinea e relative pertinenze;
a prevedere, nell'ambito del suddetto piano, l'impiego prioritario di sistemi di videosorveglianza intelligente, strumenti predittivi e interoperabili di monitoraggio, in grado di supportare efficacemente l'attività delle forze di polizia e del personale di vigilanza;
a promuovere specifici percorsi di formazione integrata per il personale pubblico e privato addetto alla sicurezza in tali ambiti, volti a garantire una risposta efficace alle situazioni di rischio e una gestione qualificata dei flussi e degli spazi;
a considerare l'introduzione di meccanismi premiali nei criteri di assegnazione di risorse dei fondi statali e ministeriali destinati agli enti locali e ai gestori che adottino misure avanzate e innovative di tutela della sicurezza nelle suddette aree.
9/2355/142. Polo, Caretta, Ciaburro, Almici.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 11, del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, introduce una nuova circostanza aggravante per i reati non colposi commessi all'interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie, delle metropolitane o all'interno dei convogli adibiti al trasporto passeggeri, al fine di rafforzare la tutela della sicurezza in luoghi a elevata frequentazione e particolare esposizione al rischio criminale;
l'articolo 13 del medesimo decreto-legge interviene sul divieto di accesso a specifiche aree e pertinenze delle infrastrutture di trasporto pubblico, ne estende il perimetro applicativo e ne collega la violazione a specifiche condizioni per la concessione della sospensione condizionale della pena, prevedendo altresì l'estensione dell'arresto in flagranza differita a reati commessi in occasione di manifestazioni;
le stazioni ferroviarie, i capolinea, i nodi intermodali e le principali infrastrutture del trasporto collettivo rappresentano, soprattutto nei grandi centri urbani, luoghi sensibili sotto il profilo dell'ordine pubblico e della sicurezza, anche in chiave di prevenzione del terrorismo, della microcriminalità e del degrado urbano;
l'adozione di strumenti tecnologici avanzati, unita a un'adeguata formazione del personale e a una strategia integrata tra livelli di governo, rappresenta una condizione essenziale per dare piena attuazione alle misure introdotte dal decreto,
impegna il Governo:
in linea con le finalità perseguite dalle disposizioni richiamate in premessa, a valutare l'opportunità di adottare, d'intesa con le regioni, gli enti locali e i gestori dei servizi di trasporto pubblico, un piano nazionale per il rafforzamento della sicurezza nelle infrastrutture del trasporto urbano e intermodale, con particolare riferimento alle stazioni ferroviarie, metropolitane, capolinea e relative pertinenze;
a valutare, nell'ambito del suddetto Piano, la possibilità tecnica e l'operatività di impiego, nel rispetto della normativa europea e nazionale, di sistemi tecnologici, anche integrati con componenti di intelligenza artificiale, in grado di supportare efficacemente l'attività delle forze di polizia e del personale di vigilanza;
a promuovere specifici percorsi di formazione integrata per il personale pubblico e privato addetto alla sicurezza in tali ambiti, volti a garantire una risposta efficace alle situazioni di rischio e una gestione qualificata dei flussi e degli spazi;
a considerare l'introduzione di meccanismi premiali nei criteri di assegnazione di risorse dei fondi statali e ministeriali destinati agli enti locali e ai gestori che adottino misure avanzate e innovative di tutela della sicurezza nelle suddette aree.
9/2355/142. (Testo modificato nel corso della seduta)Polo, Caretta, Ciaburro, Almici.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, reca «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»; l'articolo 20 del provvedimento apporta modifiche all'articolo 583-quater del codice penale in materia di lesioni personali ai danni di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio, al fine di potenziare gli strumenti di tutela dei pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni;
in particolare, il comma 1, lettera a), estende l'ambito di applicazione della disposizione – che nella versione originaria prevedeva un regime sanzionatorio speciale per le sole lesioni personali gravi o gravissime cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive – e che ora comprende nella fattispecie di reato tutte le condotte di lesioni, cagionate in danno di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria «nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni»;
la novella introduce, pertanto una specifica sanzione anche per le lesioni lievi o lievissime compiute in danno di un operatore della sicurezza (agente o ufficiale di polizia giudiziaria o pubblica sicurezza), in analogia a quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 583-quater per gli esercenti una professione sanitaria e garantendo, quindi, l'omogeneità di trattamento rispetto agli stessi;
per effetto della modifica in esame, e del combinato disposto tra l'articolo 583-quater del codice penale e il comma 1-bis dell'articolo 6-quinquies della legge 401 del 1989 (introdotto con l'articolo 13, comma 1, lettera c) del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, in materia di ordine e sicurezza pubblica, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2019, n. 77), il quale prevede l'applicazione delle sanzioni previste dallo stesso articolo 583-quater anche nel caso in cui il fatto sia commesso nei confronti di un arbitro o altro soggetto preposto alla regolarità tecnica delle manifestazioni sportive, tale nuovo regime sanzionatorio penale si applica anche per le lesioni, di qualsiasi entità, commesse contro un direttore di gara;
a fronte del fatto che l'ordinamento sportivo non può essere dotato degli strumenti per la repressione di simili condotte, in quanto commesse da soggetti non tesserati, l'ordinamento statale si è infatti dotato di un impianto normativo penale speciale – legge 401 del 1989 e successive modifiche – finalizzato al contrasto alla violenza in occasione delle manifestazioni sportive e alla tutela della correttezza del relativo svolgimento, attraverso il quale sono state introdotte fattispecie di reato specifiche e strumenti sanzionatori atipici come il DASPO;
ciò premesso, uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento penale, ovvero quello della riserva codicistica in materia penale di cui all'articolo 3-bis del codice penale, introdotto con la riforma penale del 2017, prevede che le nuove disposizioni che prevedono reati possano essere introdotte nell'ordinamento penale solo se modificano il codice penale o attraverso leggi che disciplinano in modo organico la materia;
tale principio ha lo scopo principale scopo è quello di garantire la certezza del diritto e di evitare, salvo eccezioni, che la creazione di nuovi reati sia affidata a leggi diverse dal codice penale, rafforzandone la centralità come principale fonte di diritto penale e assicurando che le norme incriminatrici siano definite in modo chiaro e organico;
come per la disciplina a tutela del personale sanitario – di cui al terzo comma dell'articolo 583-quater del codice penale, valutazioni di politica criminale suggeriscono l'opportunità che il legislatore, avendo già esteso la disciplina sanzionatoria ad hoc dello stesso 583-quater anche al caso delle violenze commesse nei confronti di arbitri e direttori di gara, proceda al relativo riordino trasferendo il contenuto dispositivo del predetto comma 1-bis dell'articolo 6-quinquies della legge 401 del 1989 (che determina tale estensione) all'interno dello stesso codice, regolando in modo organico la materia e rafforzando quel principio di certezza del diritto che la predetta riserva di codice penale tende a garantire;
l'emendamento 20.20, presentato nel corso dell'iter di conversione del provvedimento, mirava a tale scopo e prevedeva l'inserimento di un comma aggiuntivo all'articolo 583-quater, di contenuto identico al predetto comma 1-bis, del quale si disponeva la soppressione,
impegna il Governo
ad intervenire ulteriormente sulle disposizioni recate dall'articolo 20 come previsto dall'emendamento citato nelle premesse, prevedendo, nel primo provvedimento utile, che la disciplina di cui al comma 1-bis dell'articolo 6-quinquies della legge 401 del 1989, già vigente e che dispone l'applicazione del regime sanzionatorio previsto dall'articolo 583-quater del codice penale anche al caso in cui il fatto sia commesso nei confronti di un arbitro o altro soggetto preposto alla regolarità tecnica delle manifestazioni sportive, sia trasferita all'interno dello stesso codice penale, come comma aggiuntivo all'articolo 583-quater, in analogia con le scelte di politica criminale effettuate per la tutela del personale sanitario e in applicazione del principio di riserva di codice di cui all'articolo 3-bis del codice penale.
9/2355/143. Roscani, Molinari, Iezzi, Bagnai, Bruzzone, Coin, Furgiuele, Cavandoli, Andreuzza, Angelucci, Barabotti, Benvenuto, Bergamini, Billi, Bisa, Bof, Bordonali, Bossi, Candiani, Caparvi, Carloni, Carrà, Cattoi, Cecchetti, Centemero, Comaroli, Crippa, Dara, De Bertoldi, Di Mattina, Lorenzo Fontana, Formentini, Frassini, Giaccone, Giagoni, Giglio Vigna, Gusmeroli, Latini, Lazzarini, Loizzo, Maccanti, Marchetti, Matone, Miele, Montemagni, Morrone, Nisini, Ottaviani, Panizzut, Pierro, Pizzimenti, Pretto, Ravetto, Sasso, Stefani, Sudano, Toccalini, Ziello, Zinzi, Zoffili.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, reca «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»; l'articolo 20 del provvedimento apporta modifiche all'articolo 583-quater del codice penale in materia di lesioni personali ai danni di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio, al fine di potenziare gli strumenti di tutela dei pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni;
in particolare, il comma 1, lettera a), estende l'ambito di applicazione della disposizione – che nella versione originaria prevedeva un regime sanzionatorio speciale per le sole lesioni personali gravi o gravissime cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive – e che ora comprende nella fattispecie di reato tutte le condotte di lesioni, cagionate in danno di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria «nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni»;
la novella introduce, pertanto una specifica sanzione anche per le lesioni lievi o lievissime compiute in danno di un operatore della sicurezza (agente o ufficiale di polizia giudiziaria o pubblica sicurezza), in analogia a quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 583-quater per gli esercenti una professione sanitaria e garantendo, quindi, l'omogeneità di trattamento rispetto agli stessi;
per effetto della modifica in esame, e del combinato disposto tra l'articolo 583-quater del codice penale e il comma 1-bis dell'articolo 6-quinquies della legge 401 del 1989 (introdotto con l'articolo 13, comma 1, lettera c) del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, in materia di ordine e sicurezza pubblica, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2019, n. 77), il quale prevede l'applicazione delle sanzioni previste dallo stesso articolo 583-quater anche nel caso in cui il fatto sia commesso nei confronti di un arbitro o altro soggetto preposto alla regolarità tecnica delle manifestazioni sportive, tale nuovo regime sanzionatorio penale si applica anche per le lesioni, di qualsiasi entità, commesse contro un direttore di gara;
a fronte del fatto che l'ordinamento sportivo non può essere dotato degli strumenti per la repressione di simili condotte, in quanto commesse da soggetti non tesserati, l'ordinamento statale si è infatti dotato di un impianto normativo penale speciale – legge 401 del 1989 e successive modifiche – finalizzato al contrasto alla violenza in occasione delle manifestazioni sportive e alla tutela della correttezza del relativo svolgimento, attraverso il quale sono state introdotte fattispecie di reato specifiche e strumenti sanzionatori atipici come il DASPO;
ciò premesso, uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento penale, ovvero quello della riserva codicistica in materia penale di cui all'articolo 3-bis del codice penale, introdotto con la riforma penale del 2017, prevede che le nuove disposizioni che prevedono reati possano essere introdotte nell'ordinamento penale solo se modificano il codice penale o attraverso leggi che disciplinano in modo organico la materia;
tale principio ha lo scopo principale scopo è quello di garantire la certezza del diritto e di evitare, salvo eccezioni, che la creazione di nuovi reati sia affidata a leggi diverse dal codice penale, rafforzandone la centralità come principale fonte di diritto penale e assicurando che le norme incriminatrici siano definite in modo chiaro e organico;
come per la disciplina a tutela del personale sanitario – di cui al terzo comma dell'articolo 583-quater del codice penale, valutazioni di politica criminale suggeriscono l'opportunità che il legislatore, avendo già esteso la disciplina sanzionatoria ad hoc dello stesso 583-quater anche al caso delle violenze commesse nei confronti di arbitri e direttori di gara, proceda al relativo riordino trasferendo il contenuto dispositivo del predetto comma 1-bis dell'articolo 6-quinquies della legge 401 del 1989 (che determina tale estensione) all'interno dello stesso codice, regolando in modo organico la materia e rafforzando quel principio di certezza del diritto che la predetta riserva di codice penale tende a garantire;
l'emendamento 20.20, presentato nel corso dell'iter di conversione del provvedimento, mirava a tale scopo e prevedeva l'inserimento di un comma aggiuntivo all'articolo 583-quater, di contenuto identico al predetto comma 1-bis, del quale si disponeva la soppressione,
impegna il Governo
in linea con gli impegni già assunti, a disporre, nel primo provvedimento utile, che la disciplina di cui al comma 1-bis dell'articolo 6-quinquies della legge 401 del 1989, già vigente e che dispone l'applicazione del regime sanzionatorio previsto dall'articolo 583-quater del codice penale anche al caso in cui il fatto sia commesso nei confronti di un arbitro o altro soggetto preposto alla regolarità tecnica delle manifestazioni sportive, sia trasferita all'interno dello stesso codice penale, come comma aggiuntivo all'articolo 583-quater, in analogia con le scelte di politica criminale effettuate per la tutela del personale sanitario e in applicazione del principio di riserva di codice di cui all'articolo 3-bis del codice penale.
9/2355/143. (Testo modificato nel corso della seduta)Roscani, Molinari, Iezzi, Bagnai, Bruzzone, Coin, Furgiuele, Cavandoli, Andreuzza, Angelucci, Barabotti, Benvenuto, Bergamini, Billi, Bisa, Bof, Bordonali, Bossi, Candiani, Caparvi, Carloni, Carrà, Cattoi, Cecchetti, Centemero, Comaroli, Crippa, Dara, De Bertoldi, Di Mattina, Lorenzo Fontana, Formentini, Frassini, Giaccone, Giagoni, Giglio Vigna, Gusmeroli, Latini, Lazzarini, Loizzo, Maccanti, Marchetti, Matone, Miele, Montemagni, Morrone, Nisini, Ottaviani, Panizzut, Pierro, Pizzimenti, Pretto, Ravetto, Sasso, Stefani, Sudano, Toccalini, Ziello, Zinzi, Zoffili.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame prevede:
al Capo I «Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché in materia di beni sequestrati e confiscati e di controllo di polizia»;
al Capo II «Disposizioni in materia di sicurezza urbana»;
al Capo III «Misure in materia di tutela del personale delle forze di polizia e delle forze armate»;
la possibilità di fare ricorso alle Forze armate per far fronte a talune gravi emergenze di ordine pubblico sul territorio nazionale è stata contemplata per la prima volta nel corso della XI legislatura (1992-1994);
nelle successive legislature in diverse occasioni e attraverso specifici provvedimenti legislativi, si è nuovamente disposto l'invio di contingenti di personale militare da affiancare alle forze dell'ordine nell'ambito di operazioni di sicurezza e di controllo del territorio e di prevenzione dei delitti di criminalità organizzata;
attualmente l'operazione «Strade Sicure», operativa dal 2008, rappresenta la più capillare e longeva operazione delle Forze armate sul territorio nazionale, al fianco delle Forze dell'ordine, in funzione anti criminalità e terrorismo in numerose città italiane;
ultimamente la legge di Bilancio 2025 ha previsto la proroga dell'operazione «Strade Sicure» fino al 31 dicembre 2027, con un contingente di personale militare di 6.800 unità. Questa operazione, che coinvolge le Forze armate per la sicurezza nelle città e nelle stazioni, ha un costo annuo di circa 240 milioni di euro. Il personale è destinato ai soli servizi di vigilanza di siti e obiettivi sensibili;
per quanto concerne il controllo e la sicurezza delle principali infrastrutture ferroviarie del paese, l'articolo 9 del decreto-legge n. 133 del 2023 ha incrementato il contingente di personale delle Forze armate dell'operazione «Strade Sicure» di 400 unità dal 1° ottobre al 31 dicembre 2023;
la legge di Bilancio per il 2024 (legge numero 213 del 2023, articolo 1, comma 344) ha prorogato per il 2024 l'impiego di un contingente di personale delle Forze armate per la finalità specifica di rafforzare i dispositivi di controllo e sicurezza delle principali infrastrutture ferroviarie del Paese. Tale contingente è fissato a 800 unità (con un incremento di 400 unità rispetto al contingente precedentemente impiegato);
la mobilità di personale tra amministrazioni appartenenti a comparti diversi (cosiddetta mobilità «intercompartimentale») è regolata dalle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 47, della legge n. 311 del 2004, che riporta testualmente: «In vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l'anno precedente»;
la legge n. 244 del 2007 (legge Finanziaria 2008) ha poi introdotto alcune novità in tema di assegnazioni temporanee e di mobilità del personale per incentivare l'istituto della mobilità quale strumento per conseguire una più efficiente distribuzione organizzativa delle risorse umane nell'ambito della pubblica amministrazione globalmente intesa, con significativi riflessi sul contenimento della spesa pubblica, nonché sull'effettività del diritto al lavoro quale diritto costituzionalmente garantito;
ulteriori modifiche alla disciplina sulla mobilità «intercompartimentale» sono state poi apportate dal decreto-legge n. 95 del 2012;
in relazione a quanto espresso appare opportuno – proprio per le finalità dell'operazione Strade Sicure che necessita continue proroghe anche in virtù del difficile contesto internazionale e per contrastare criminalità e terrorismo – di utilizzare a tal fine la mobilità «intercompartimentale» tra esercito e Forze dell'ordine di cui al decreto legislativo n. 95 del 2017,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, in un'ottica complessiva di presidio e controllo del territorio, di procedere all'assunzione di personale specializzato nelle Forze dell'ordine, al fine di sostituire gradualmente il personale delle Forze armate attualmente impiegato nell'ambito dell'Operazione «Strade Sicure» o, in alternativa, a considerare la possibilità di incentivare l'utilizzo dello strumento della mobilità «intercompartimentale» tra l'Esercito e le Forze dell'ordine, come previsto dal decreto legislativo n. 95 del 2017, assicurando comunque il pieno mantenimento dell'efficienza operativa e della capacità funzionale dei singoli Corpi delle Forze armate.
9/2355/144. Simiani.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 29 del provvedimento estende l'applicabilità delle pene previste dagli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione per i capitani delle navi, italiane o straniere, che non obbediscano all'intimazione di fermo di unità del naviglio della Guardia di finanza o che commettano atti di resistenza contro di esse, al naviglio della Guardia di finanza impiegato in attività istituzionali (comma 1). Prevede, inoltre, la reclusione fino a 2 anni per il comandante della nave straniera che non obbedisca all'ordine di una nave da guerra nazionale nei casi consentiti dalle norme internazionali di visita e ispezione delle carte e dei documenti di bordo e la reclusione da tre a dieci anni per il comandante o l'ufficiale della nave straniera per gli atti compiuti contro una nave da guerra nazionale (comma 2);
in sostanza, ad avviso dei firmatari, questa è l'ennesima norma «anti-Ong». Una norma eccessiva e mirata a ostacolare ulteriormente le operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo, rafforzando una politica di criminalizzazione della solidarietà. Aumentare le sanzioni per chi compie atti di resistenza in mare, finalizzati al salvataggio di vite umane, mette in discussione i principi fondamentali del diritto internazionale marittimo e del soccorso in mare, che impongono di assistere chiunque si trovi in pericolo;
secondo l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), almeno 8.938 persone hanno perso la vita lungo le rotte migratorie nel 2024: il numero più alto mai registrato in un solo anno. Con riferimento al Mar Mediterraneo, nel 2024 le morti documentate sono state 2.452, un numero che dimostra la necessità urgente di sistemi adeguati di ricerca e soccorso, così come di percorsi migratori sicuri e regolari come alternativa a questi viaggi rischiosi;
la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) stabilisce il dovere fondamentale di dare assistenza a chiunque si trovi in pericolo o in emergenza in mare. Ai sensi di questa convenzione «ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa». Inoltre, ogni Stato costiero deve promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima (UNCLOS, Articolo 98);
come ha osservato l'OSCE, «Le nuove sanzioni detentive proposte, applicabili al capitano di navi nazionali in caso di disobbedienza agli ordini di fermo della Guardia di finanza o in caso di atti di resistenza, ed estensione delle sanzioni penali ai capitani di navi straniere per disobbedienza agli ordini di navi da guerra nazionali, rischiano anche di impattare ulteriormente e indebitamente sul lavoro delle organizzazioni umanitarie che conducono operazioni di ricerca e soccorso di migranti in mare.». Ed è proprio questa la volontà politica di queste norme;
del resto proprio in materia di contrasto dell'immigrazione «illegale» si sono sperimentati da anni accordi bilaterali o multilaterali che hanno svuotato tanto il diritto di asilo che gli obblighi di soccorso imposti agli Stati dalle Convenzioni internazionali. La cosiddetta «difesa dei confini» è diventata più importante della salvaguardia della vita. Perché sotto questo profilo non esiste più, ad avviso dei firmatari, il principio di uguaglianza tra gli esseri umani. Non ci sono più persone, ma numeri da conteggiare per dimostrare la (presunta) efficacia delle politiche contro l'immigrazione illegale, spesso l'unica via di fuga che rimane per chi cerca protezione e per chi scappa da guerra e fame,
impegna il Governo
a riconsiderare, nell'ambito delle proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione delle disposizioni di cui all'articolo 29 del decreto-legge in esame, nonché ad adottare ogni iniziativa utile al fine di garantire il pieno rispetto e la piena attuazione del diritto internazionale e nazionale, in materia di salvataggio marittimo, trattamento e sicurezza della vita delle persone in mare e, quindi, l'aderenza dell'Italia ad ogni obbligo internazionale sul salvataggio in mare.
9/2355/145. Fratoianni, Dori, Zaratti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento interviene su diversi profili ritenuti particolarmente critici onde garantire una maggiore sicurezza, tanto per contenere e arginare forme di criminalità internazionali e terroristiche (Capo I), quanto in una dimensione più locale, al fine di reprimere quelle forme di criminalità maggiormente diffuse e allarmanti (Capo II dedicato alla sicurezza urbana), quanto ancora in una prospettiva di maggior tutela (e sicurezza) delle forze dell'ordine (Capo III). A completare il nuovo assetto proposto si aggiungono, poi, il Capo IV – volto a stabilire un controllo sui mutui concessi e un concreto aiuto gestionale nel riavvio delle attività economiche a favore delle vittime del reato di usura – e il Capo V – dedicato a diversi interventi in materia di ordinamento penitenziario a completamento di quanto disposto dagli altri Capi del progetto nonché in una prospettiva di valorizzazione del lavoro;
considerata la necessità, nell'ambito della commissione di reati sessuali, oltre che di assicurare un'adeguata pena per chi commette tali efferati delitti, anche di contribuire a prevenire il rischio di recidiva;
la mancanza di adeguate misure di prevenzione nell'ambito della disciplina penale vigente per questi reati è confermata dalle sempre più frequenti notizie di cronaca relative ad aggressioni e violenze a sfondo sessuale, ancor più gravi quando sono in danno di minori, e nella maggior parte dei casi da parte di recidivi;
sarebbe auspicabile l'introduzione nel nostro ordinamento del trattamento farmacologico di blocco androgenico totale su base volontaria per coloro che commettono reati sessuali. La castrazione chimica è un intervento volto ad interferire con la funzionalità sessuale grazie all'uso di opportuni farmaci antiandrogeni;
trattamenti farmacologici vengono, altresì, regolarmente utilizzati in diversi Paesi, sia nell'Unione europea che negli Stati Uniti d'America e in Canada. La privazione androgenica risulta efficace dopo sei mesi dal suo inizio e cessa i suoi effetti sei mesi dopo la sua sospensione;
il trattamento farmacologico di blocco androgenico totale su base volontaria, previa valutazione da parte del giudice della pericolosità sociale e della personalità del reo, nonché dei suoi rapporti con la vittima del reato può rappresentare una misura deterrente per i condannati per i reati in materia sessuale,
impegna il Governo
a istituire quanto prima una commissione o un tavolo tecnico con lo scopo di valutare, nel rispetto dei princìpi costituzionali e sovranazionali, in caso di reati di violenza sessuale o di altri gravi reati determinati da motivazioni sessuali, la possibilità per il condannato di aderire, con il suo consenso, a percorsi di assistenza sanitaria, di natura sia psichiatrica sia farmacologica, anche con eventuale trattamento di blocco androgenico mediante terapie con effetto temporaneo e reversibile, diretti ad escludere il rischio di recidiva.
9/2355/146. Iezzi.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento interviene su diversi profili ritenuti particolarmente critici onde garantire una maggiore sicurezza, tanto per contenere e arginare forme di criminalità internazionali e terroristiche (Capo I), quanto in una dimensione più locale, al fine di reprimere quelle forme di criminalità maggiormente diffuse e allarmanti (Capo II dedicato alla sicurezza urbana), quanto ancora in una prospettiva di maggior tutela (e sicurezza) delle forze dell'ordine (Capo III). A completare il nuovo assetto proposto si aggiungono, poi, il Capo IV – volto a stabilire un controllo sui mutui concessi e un concreto aiuto gestionale nel riavvio delle attività economiche a favore delle vittime del reato di usura – e il Capo V – dedicato a diversi interventi in materia di ordinamento penitenziario a completamento di quanto disposto dagli altri Capi del progetto nonché in una prospettiva di valorizzazione del lavoro;
considerata la necessità, nell'ambito della commissione di reati sessuali, oltre che di assicurare un'adeguata pena per chi commette tali efferati delitti, anche di contribuire a prevenire il rischio di recidiva;
la mancanza di adeguate misure di prevenzione nell'ambito della disciplina penale vigente per questi reati è confermata dalle sempre più frequenti notizie di cronaca relative ad aggressioni e violenze a sfondo sessuale, ancor più gravi quando sono in danno di minori, e nella maggior parte dei casi da parte di recidivi;
sarebbe auspicabile l'introduzione nel nostro ordinamento del trattamento farmacologico di blocco androgenico totale su base volontaria per coloro che commettono reati sessuali. La castrazione chimica è un intervento volto ad interferire con la funzionalità sessuale grazie all'uso di opportuni farmaci antiandrogeni;
trattamenti farmacologici vengono, altresì, regolarmente utilizzati in diversi Paesi, sia nell'Unione europea che negli Stati Uniti d'America e in Canada. La privazione androgenica risulta efficace dopo sei mesi dal suo inizio e cessa i suoi effetti sei mesi dopo la sua sospensione;
il trattamento farmacologico di blocco androgenico totale su base volontaria, previa valutazione da parte del giudice della pericolosità sociale e della personalità del reo, nonché dei suoi rapporti con la vittima del reato può rappresentare una misura deterrente per i condannati per i reati in materia sessuale,
impegna il Governo
conformemente agli impegni già assunti, a istituire quanto prima una commissione o un tavolo tecnico con lo scopo di valutare, nel rispetto dei princìpi costituzionali e sovranazionali, in caso di reati di violenza sessuale o di altri gravi reati determinati da motivazioni sessuali, la possibilità per il condannato di aderire, con il suo consenso, a percorsi di assistenza sanitaria, di natura sia psichiatrica sia farmacologica, anche con eventuale trattamento di blocco androgenico mediante terapie con effetto temporaneo e reversibile, diretti ad escludere il rischio di recidiva.
9/2355/146. (Testo modificato nel corso della seduta)Iezzi.
La Camera,
premesso che:
la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) attraverso la propria vasta giurisprudenza, ha più volte affermato la necessità che le indagini relative a reati commessi da agenti dello Stato siano effettive e indipendenti;
l'articolo 2, comma 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, laddove recita che: «Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge», dispone di fatto un obbligo positivo di protezione della vita da parte dello Stato attraverso l'adozione di misure atte alla sua salvaguardia, anche in relazione all'effettività delle indagini e all'accertamento di eventuali responsabilità, obbligo riconosciuto nella giurisprudenza della Corte attraverso principi che si rinvengono ai successivi articoli 3, che vieta trattamenti inumani o degradanti e 13 che garantisce che ogni persona i cui diritti e le cui libertà siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali;
la CEDU ha quindi chiarito in diverse occasioni (vedi le sentenze: CEDU, 15 maggio 2007, Ramsahai e altri c. Paesi Bassi (GC), ric. 52391/99, § 325; CEDU, 4 maggio 2001, McKerr c. Regno Unito, ric. n. 28883/95, § 128; CEDU, 4 maggio 2001, Hugh Jordan c. Regno Unito, ric. n. 24746/94, § 120; CEDU, 24 aprile 2003, Akta¿ c. Turchia, ric. n. 24351/94, § 301) che la natura e il livello dell'esame del caso devono rispondere al criterio di «effettività dell'indagine» e che, tra gli altri requisiti, perché questa sia considerata effettiva è fondamentale che chi ne è responsabile e coloro che effettuano le investigazioni siano indipendenti dagli indagati, ossia privi di legami gerarchici o istituzionali con questi ultimi;
l'introduzione di norme che assicurino la terzietà delle indagini che investono agenti o ufficiali di polizia giudiziaria, che nel nostro Paese si muoverebbero, tra l'altro, nel solco dell'articolo 3 della Costituzione che impone il principio di eguaglianza davanti alla legge e vieta ogni disparità di trattamento, corrisponderebbe anche ai principi dettati dalla direttiva (UE) 2012/29/UE, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, sottolineando l'importanza dell'imparzialità dell'indagine quale presupposto per una tutela piena e sostanziale delle persone offese dal reato, esigenza a maggior ragione giustificata nei casi in cui l'indagato sia un pubblico ufficiale;
in tal senso è chiaramente necessario provvedere affinché anche gli appartenenti alle forze di polizia siano sottoposti a indagini con le stesse garanzie di terzietà e imparzialità previste per ogni altro cittadino, evitando che la condizione di prossimità tra indagato e organo inquirente possa incidere negativamente sulla qualità, la credibilità e l'indipendenza dell'attività di accertamento;
sono numerosi i casi di cronaca in cui le indagini condotte da personale appartenente allo stesso corpo dell'indagato hanno sollevato dubbi circa l'effettività dell'accertamento come gli omicidi di Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi, nei quali le difficoltà e le opacità dell'indagine hanno messo in luce le criticità derivanti dalla mancanza di un meccanismo strutturale di discontinuità tra indagato e l'organo preposto alle indagini, o i tanti episodi verificatisi durante le manifestazioni di piazza, come ad esempio i fatti avvenuti nel 2001 nella scuola Diaz in occasione del vertice dei G8 di Genova, che hanno evidenziato quanto sia necessaria una separazione funzionale e operativa nelle attività investigative tra indagato e corpo di appartenenza che svolge le indagini;
numerosi studi sociologici hanno altresì corroborato quanto sia forte il rischio di corporativismo, di autoreferenzialità, di resistenze al cambiamento che si può sviluppare in particolare nei contesti organizzativi fortemente gerarchizzati. Di fronte a notizie di reato l'affidamento delle indagini a soggetti appartenenti allo stesso corpo dell'indagato può generare una forma di lealtà implicita che, pur in assenza di dolo, compromette non solo l'esito delle stesse ma anche la percezione di imparzialità delle indagini e, di conseguenza, l'efficacia e la credibilità dell'azione penale;
le Forze di polizia detengono un ruolo fondamentale nella gestione dell'ordine pubblico e nella tutela dei cittadini e delle cittadine, una funzione, questa, che porta con sé un alto grado di complessità e che implica la necessità di dotarsi di adeguati strumenti per la tutela di questi ultimi da eventuali abusi di diritto che potrebbero verificarsi;
nel corso degli ultimi decenni, episodi legati alla gestione dell'ordine pubblico hanno riportato con forza nel dibattito questioni connesse alla condotta delle Forze di polizia e alla tutela dei diritti. In particolare fu eclatante il clamore suscitato da episodi di violenza e abusi poi accertati anche giudizialmente durante il vertice del G8 di Genova del luglio 2001, allorquando l'utilizzo di codici identificativi e di strumenti comunque atti alla identificazione degli agenti avrebbe facilitato le indagini tese a verificare un coinvolgimento personale, individuando in modo trasparente e sicuro i responsabili degli abusi in divisa;
anche più recentemente si sono verificati casi in cui sarebbe stato di fondamentale importanza poter risalire ad una ricostruzione oggettiva dei fatti e agli effettivi responsabili di condotte da parte delle Forze di polizia censurabili, come ad esempio rispetto a quanto accaduto nel gennaio del 2022 a seguito delle cariche della polizia contro gli studenti scesi in piazza in solidarietà del diciottenne Lorenzo Parelli, morto a causa di un incidente nella fabbrica dove stava svolgendo il suo stage;
potrebbero annoverarsi ulteriori casi in cui sia risultato particolarmente difficile, se non impossibile, risalire all'identificazione dei poliziotti impegnati in azioni di ordine pubblico, basti pensare alle vicende dei sopra richiamati Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, alla brutale repressione da parte di agenti della polizia penitenziaria avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e agli episodi di tortura avvenuti nella caserma di Piacenza, entrambi avvenuti nel 2020;
risulta pertanto evidente oltre che improcrastinabile anche la necessità di intervenire per introdurre una normativa in linea con gli standard internazionali, che preveda l'utilizzo di codici identificativi alfanumerici ben visibili sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico e che stabilisca che l'inosservanza di detto obbligo venga sanzionata. Tra l'altro, una normativa nazionale che vada in questa direzione, darebbe seguito anche alla richiesta del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 con la quale si esortano gli Stati membri a garantire che il personale di polizia sia dotato di un numero identificativo e dimostrerebbe, a livello internazionale, l'impegno dell'Italia nella prevenzione dalle violazioni dei diritti umani;
l'articolo 21, comma 1 del provvedimento consente alle Forze di polizia di utilizzare dispositivi di videosorveglianza indossabili idonei a registrare l'attività operativa e il suo svolgimento nei servizi di mantenimento dell'ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno. La disposizione prevede pertanto il ricorso alla cosiddetta bodycam ma non come dotazione obbligatoria, lasciando la loro implementazione alla discrezionalità dell'agente,
impegna il Governo:
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a trasformare la facoltà di cui all'articolo 21 del provvedimento in obbligo da parte degli agenti di indossare i previsti dispositivi di videosorveglianza idonei a registrare l'attività operativa nei servizi di mantenimento dell'ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili;
ad introdurre, attraverso il prossimo provvedimento utile, una modifica al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Codice di procedura penale) volta a promuovere maggiore trasparenza, imparzialità e conformità ai principi costituzionali ed europei del nostro sistema di indagini attraverso l'introduzione di un meccanismo automatico di discontinuità tra corpo di appartenenza dell'indagato e l'organo incaricato delle indagini che preveda che laddove il soggetto sottoposto alle indagini sia un appartenente alla polizia giudiziaria, il pubblico ministero debba avvalersi, per lo svolgimento delle indagini e per l'esecuzione degli atti delegati, di agenti o ufficiali di un corpo di polizia diverso da quello di appartenenza dell'indagato;
ad introdurre nel nostro sistema giuridico una normativa che attribuisca al personale di polizia impegnato in azioni di ordine pubblico un codice identificativo alfanumerico da applicare sul casco, sulla divisa e sul corpetto protettivo.
9/2355/147. Grimaldi, Dori, Zaratti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Fratoianni, Ghirra, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
nella «gragnola» di inasprimenti securitari e sanzionatori che costituiscono il provvedimento spiccano due forme di repressione del dissenso e del diritto di libera manifestazione, attraverso la previsione di cui all'articolo 14 che prevede che sia punito a titolo di illecito penale, in luogo del vigente illecito amministrativo, il blocco stradale o ferroviario attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo e quella di cui agli articoli 26 e 27 volti a reprimere gli episodi di dissenso e rivolta (anche passiva) negli istituti penitenziari e nei centri di trattenimento per i migranti, rappresentano il più grande attacco alla libertà di protesta mai sferrato nella storia repubblicana del nostro Paese;
nello specifico l'articolo 14, nel prevedere la trasformazione del blocco stradale o ferroviario da illecito amministrativo ad illecito penale punibile con una multa fino a 300 euro o un mese di reclusione, elevabile fino a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite, è espressione della deriva autoritaria e securitaria del Governo e del suo ricorso allo strumento penale come mezzo di controllo sociale, poiché attraverso la criminalizzazione del dissenso e del conflitto avrà l'effetto di reprimere anche tutte le altre forme di manifestazione di chi lotta per i propri diritti, come per esempio i picchettaggi dei lavoratori, mettendo in discussione lo stato di diritto attraverso una lesione al diritto fondamentale di manifestare costituzionalmente riconosciuto, con l'effetto collaterale di produrre un sovraffollamento carcerario ingestibile;
la suddetta disposizione andando deliberatamente a colpire l'area della manifestazione del dissenso (che va dagli attivisti, agli studenti ed ai lavoratori) e le sue modalità; di espressione rappresenta un attacco diretto al diritto di sciopero sancito dall'articolo 40 della Costituzione. Con la sua previsione, criminalizzando forme di protesta, come ad esempio i blocchi stradali e i picchettaggi davanti agli stabilimenti produttivi, si tenta di colpire le lavoratrici e i lavoratori che lottano per la difesa dei loro diritti e per condizioni di lavoro sicure e dignitose, si inserisce in un disegno più ampio ed autoritario che mira a ridurre lo spazio democratico e delegittimare chi sceglie di opporsi pacificamente a decisioni inique, tentativo, peraltro, confermato dallo stesso Ministro dell'interno che lo scorso 25 settembre 2024 nel corso del question-time ha confermato di aver previsto la disposizione nel segno di fornire agli agenti impegnati nei picchettaggi fuori dagli stabilimenti ogni ulteriore possibile strumento di deterrenza;
il picchettaggio è una forma di manifestazione tendenzialmente legittima salvo nei casi in cui si verifichino violenze o minacce contro chi non vuole aderire allo sciopero, circostanze nelle quali i reati contestati vanno dalla violenza privata alla resistenza al pubblico ufficiale sul presupposto che nessuno può ledere il diritto all'autodeterminazione altrui. Il provvedimento, di contro, trasformando in reato ciò che prima equivaleva ad illecito amministrativo finisce con il punire anche chi non compromette le volontà degli altri;
negando il dissenso e reprimendo forme di manifestazione pacifica si spinge chiunque si trovi in una situazione di svantaggio a non sentirsi più legato da alcun patto sociale, con il rischio di conseguenze gravi per la convivenza democratica;
con la previsione di cui all'articolo 26 si aggiunge al codice penale l'articolo 415-bis che disciplina il caso di rivolta all'interno degli istituti penitenziari equiparando a tale condotta (atti di resistenza) anche tutte le condotte di resistenza passiva che impediscono il compimento degli atti dell'ufficio o del servizio necessari alla gestione dell'ordine e della sicurezza, punibili, se commesse in gruppi da tre o più individui con la reclusione da due a otto anni per coloro che la organizzano, e da uno a cinque anni per chi ne partecipa, compresa di aggravanti che includono il possesso di armi oppure la lesione di altri. Nella sostanza si inserisce una nuova aggravante speciale ad efficacia comune per il delitto di istigazione a disobbedire alle leggi già disciplinato dal vigente articolo 415 del codice penale;
il successivo articolo 27 estende l'applicazione della fattispecie di «resistenza passiva» alle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti, dove è punito con la reclusione da uno a sei anni per i promotori, e da uno a quattro anni per i partecipanti, con il paradosso che i CPR vengono equiparati agli istituti penitenziari senza però che a questi centri di detenzione amministrativa vengano estese le garanzie costituzionalmente previste per i luoghi di privazione della libertà personale;
la resistenza passiva è un atto di non collaborazione, commessa da coloro che si rifiutano di agire, non obbedendo a comandi impartiti da pubblici ufficiali, una condotta che già riceveva tutela prima delle modifiche apportate col provvedimento all'esame dell'Assemblea a mezzo dell'articolo 337 del codice penale che considera la resistenza a un pubblico ufficiale un reato, anche se ne condanna solo le minacce o l'uso di violenza;
di più: la resistenza passiva trova già una sua speciale modulazione in ambito penitenziario, laddove l'articolo 41 dell'ordinamento penitenziario individua le condizioni per l'esercizio della facoltà d'impiego della forza fisica, stabilendo che «non è consentito l'impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non sia indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva all'esecuzione degli ordini impartiti». Rebus sic stantibus l'innovazione legislativa apportata dal provvedimento viene ad assumere il significato di una tutela speciale dell'ordine e sicurezza carceraria che si pone come un bene prevalente e maggiore rispetto all'ordinario buon andamento ed efficacia dell'azione amministrativa. È pertanto lecito ritenere che le ragioni sostanziali che stanno alla base dell'esigenza di tutela privilegiata dell'ordine e sicurezza in carcere rispondono solo ed esclusivamente ad una visione securitaria del Governo per il quale, secondo un pregiudizio ideologico, l'istituto penitenziario rappresenta un naturale focolaio di potenziale violenza;
reagire al potenziale violento del carcere con l'inasprimento della violenza istituzionale della repressione penale significa alimentare quel circuito e, soprattutto, precludersi deliberatamente l'unica strada dotata di qualche possibile efficacia, che è quella di agire sulle cause di quel potenziale di violenza e cioè sulle condizioni della vita carceraria;
pertanto con i suddetti due articoli si introducono nell'ordinamento giuridico nuove fattispecie di reato per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita. Inoltre, incriminare la resistenza passiva nelle carceri e nei CPR, e dunque la resistenza non violenta e la semplice manifestazione del dissenso, produce effetti criminogeni, con il rischio concreto che lo stato di detenzione diventi il presupposto per l'irrogazione di nuove e ulteriori condanne;
a fronte di ciò, non vengono previste misure per fronteggiare la drammatica situazione degli istituti penitenziari italiani (nei quali con 62.153 detenuti su una capienza effettiva di circa 47.000 mila posti, il sovraffollamento carcerario è superiore al 132 per cento) o per potenziare gli strumenti a disposizione della magistratura di sorveglianza, aumentando le dotazioni anche per il finanziamento di strutture alternative. Di fronte ad un diffuso e grave disagio carcerario, che affonda le sue radici nel sovraffollamento e più in generale nelle condizioni deteriori di vita carceraria e che può indubbiamente essere all'origine di episodi di protese più o meno violente all'interno degli istituti, si reagisce non tanto sulle cause originarie quanto sul piano repressivo, elevando l'ordine e sicurezza carceraria a valore preminente dell'istituzione penitenziaria, in barba a tutti i tentativi di umanizzazione degli istituti penitenziari in attuazione del precetto costituzionale e convenzionale che vieta pene inumane e degradanti;
nel bilanciamento dei valori, ordine e sicurezza sembrano prevalere nel provvedimento in quanto vengono concepiti come quelli connotativi del carcere quale luogo di rigore correzionale fisico e morale, cui possono essere sotto ordinati sia quello della finalità della pena che quello dei diritti individuali: una concezione del carcere lontana anni luce da quella delineata dalla Costituzione e anche da quella affiorante dal vigente ordinamento penitenziario,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a:
ripristinare, con riferimento alla condotta di cui all'articolo 14 del medesimo, la sua originaria natura di illecito amministrativo;
abrogare le previsioni di cui agli articoli 26 e 27 del provvedimento.
9/2355/148. Mari, Dori, Zaratti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
il Governo Meloni, nel suo impeto securitario e criminogeno, con la previsione di cui all'articolo 18 del provvedimento, che inserisce la cosiddetta «Cannabis light» tra le sostanze psicotrope, vieta nel nostro Paese, con un colpo di spugna, l'importazione, la cessione, la lavorazione, la commercializzazione e la spedizione delle infiorescenze della Cannabis sativa anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, divieto esteso ai prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati;
l'articolo prevede inoltre che per le suddette condotte si applichino le disposizioni penali e sanzionatorie amministrative di cui al Titolo VIII del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990;
il Governo pertanto imprime una netta inversione di rotta sull'uso e la commercializzazione della canapa industriale. Le modifiche, infatti, riguardano in particolare la legge 2 dicembre 2016, n. 242, che fino ad oggi regolava la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa in Italia, mirando a limitare fortemente l'uso delle infiorescenze, anche nei casi in cui derivino da varietà legali. In tal modo la filiera viene ricondotta esclusivamente al suo impiego industriale o agricolo per i semi, escludendo in modo esplicito ogni forma di commercio o consumo delle infiorescenze, chiudendo così il mercato dei cosiddetti «cannabis light shop»;
il medesimo articolo consente la produzione di infiorescenze contenenti cannabidiolo (CBD) solo se destinate al «florovivaismo professionale» vietandone ogni altro uso, dal commercio alla lavorazione alla detenzione, con il rischio, più che concreto, di annientare un comparto costituito da quindicimila lavoratori (che nei momenti di picco arrivano a trentamila) impiegati in tremila aziende e distruggere una filiera con un volume di affari che vale oltre cinquecento milioni di euro annui e il 90 per cento di export. Inoltre, considerato l'indotto generato dalla filiera in un modello aperto l'impatto complessivo sull'economia nazionale ammonta ad almeno 1,94 miliardi di euro a fronte di un gettito fiscale di almeno 364 milioni di euro;
secondo il Governo, la cosiddetta «cannabis light» può provocare alterazioni dello stato psicofisico che mettono a rischio la sicurezza e l'incolumità pubblica e la sicurezza stradale, una teoria totalmente priva di basi scientifiche ma sufficiente per mettere in ginocchio ed impattare enormemente su un'intera filiera che ha visto espandere il suo mercato perfino in Francia, Spagna, Germania e Danimarca grazie alla legge n. 242 del 2016 che ne ha promosso l'utilizzo anche nei settori alimentare, tessile, cosmetico e bioedilizo: insomma un ecosistema fatto anche di centinaia di start-up, nella maggior parte dei casi gestito da giovani under 35;
si tratta di un settore che ha smentito qualsiasi statistica sotto diversi fronti, battendo molti record: quello del recupero di borghi abbandonati, quello di giovani ritornati all'agricoltura e quello della creazione di nuovi posti di lavoro, anche grazie al clima ed alle competenze che fanno dell'Italia uno dei migliori luoghi al mondo per coltivare la canapa sativa. La filiera della canapa, inoltre, rappresenta un modello di sostenibilità ambientale e di imprenditoria giovanile, con prodotti di eccellenza che al 60 per cento vengono esportati nei mercati esteri, favorendo la crescita di figure professionali innovative e altamente specializzate: insomma proteggere questo settore significa, soprattutto, investire nel futuro dell'agricoltura italiana;
da tempo la destra al governo ha inserito la cannabis light nella sua battaglia contro le droghe, definendola un incentivo al consumo di stupefacenti ed equiparando i rivenditori ufficiali a spacciatori. Come sottolineano diversi esperti, nonché la stessa Corte di cassazione, si tratta di un atteggiamento tutt'altro che scientifico essendo di fatto assente all'interno della sostanza la componente psicoattiva, mentre a dominare è il cannabidiolo (CBD), principio attivo che crea rilassatezza e per questo usato anche per scopi terapeutici. L'inserimento da parte del governo della cannabis light nel registro delle tabelle degli stupefacenti e le infiorescenze, alla stregua di oli e resine derivati, li colloca automaticamente al di fuori della legge;
la pericolosità della cannabis light è ampiamente smentita anche a livello internazionale. Già nel 2017 l'Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto di declassare di pericolosità la cannabis, mentre un regolamento europeo in vigore dal 2023 ha innalzato allo 0,3 per cento la percentuale consentita di tetraidrocannabinolo (THC), affermando l'assoluta non pericolosità della sostanza che, a differenza della nicotina, non induce dipendenza ma anzi viene classificata, insieme a piante come il luppolo e la vite, tra le specie officinali. C'è inoltre un aspetto che ha, invece, a che fare con la concorrenza europea. Nel 2020 la Corte di giustizia dell'Ue, esprimendosi su un divieto posto dalla Francia contro un'azienda della Repubblica Ceca che vendeva sigarette elettroniche a base di CBD, ha stabilito che: «uno Stato membro non può vietare la commercializzazione di CBD legalmente prodotto in un altro Stato membro se estratto dalla pianta intera di cannabis sativa» poiché costituirebbe, hanno concluso i giudici di Lussemburgo, «una restrizione inutile alla libera circolazione delle merci perché la sostanza non rappresenta una minaccia per la salute umana», un pronunciamento che ha già aperto la strada a numerosi contenziosi;
il paradosso di questo decreto, quale conseguenza diretta anche del suddetto pronunciamento, è che il CBD non smetterà di circolare in Italia ma piuttosto continuerà ad essere importato ed il consumatore italiano continuerà ad acquistarlo, anche se da rivenditori esteri. D'altra parte l'Italia non può sottrarsi agli obblighi dell'Unione europea: il principio del mutuo riconoscimento ammette che se in altri Paesi si producono determinati prodotti, questi poi legittimamente possono entrare senza ostacoli anche nel territorio interno;
una sorte differente è, invece, toccata agli imprenditori italiani non solo esposti agli effetti della concorrenza sleale degli altri Paesi UE, ma anche costretti immediatamente a chiudere i battenti delle loro aziende senza possibilità di delocalizzare, in forza di un divieto diventato operativo il 12 aprile 2025, ossia dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;
con riferimento agli immediati effetti penali scaturenti dall'entrata in vigore del provvedimento, agli esercizi commerciali che continuano la vendita di cannabis light può essere contestato lo spaccio: infatti, stante le ingenti quantità contenute nelle bustine con il fiore ricco di cannabidiolo, per i proprietari si possono aprire le porte del carcere già con le misure cautelari ben prima del processo, mentre per le oltre 1.600 imprese agricole verrà contestata, in presenza dell'inflorescenza, la produzione di stupefacenti,
impegna il Governo:
ad adoperarsi affinché venga convocato il Tavolo istituzionale di filiera presso il Ministero dell'agricoltura per favorire un confronto con tutte le associazioni di settore, a partire da quelle che rappresentano gli agricoltori, in mondo da garantire una regolamentazione della Cannabis sativa che sia ragionevole e in linea con le normative europee e gli interessi economici del Paese;
a stanziare congrue risorse atte a sostenere economicamente tutte le aziende ed il personale dell'intera filiera della cannabis light interessati dagli effetti fortemente pregiudizievoli derivanti dalle previsioni dell'articolo 18 del provvedimento.
9/2355/149. Piccolotti, Dori, Zaratti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari.
La Camera,
premesso che:
in sede di conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario»;
il capo I del provvedimento in esame reca disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo;
dopo il terribile attacco terroristico del 7 ottobre compiuto dall'organizzazione terroristica Hamas con altri movimenti alleati della galassia terroristica islamista, come il Jihad islamico palestinese, i focolai di antisemitismo già presenti in tutta Europa (documentati per l'Italia dal CDEC e dall'Eurispes) si sono estesi e propagati sotto la veste di antisionismo, di odio contro lo Stato ebraico e il suo diritto ad esistere e difendersi;
la moltiplicazione di episodi antisemiti si è in parte fondata – analogamente a quanto purtroppo ancora succede per l'Olocausto – sul negazionismo delle violenze, soprattutto contro le donne e i bambini, perpetrate il 7 ottobre e su un radicale rifiuto di Israele, che ripropone, proiettandolo sulla dimensione statutale, pregiudizi antisemiti ancora troppo diffusi;
la Repubblica italiana, in attuazione dell'articolo 3 della Costituzione, non ammette alcuna forma di antisemitismo, favorisce azioni volte a reprimerne qualunque espressione e ostacola la diffusione del pensiero antisemita nel nostro Paese;
per antisemitismo si intende, «una certa percezione degli Ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree o non ebree, i loro beni, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto», come definito nell'assemblea plenaria tenutasi a Bucarest il 26 maggio 2016 dall'Alleanza Internazionale per la memoria dell'Olocausto (IHRA), la cui definizione è stata riconosciuta nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 1° giugno 2017;
è riconducibile all'antisemitismo anche l'antisionismo, inteso come negazione del diritto ad esistere dello Stato ebraico, dal momento che Israele è un'emanazione del popolo ebraico;
le istituzioni della Repubblica collaborano per mettere in atto tutte le azioni utili per individuare possibili interventi per la prevenzione di qualunque atto antisemita e per contrastarne qualunque manifestazione, considerando tali atti una minaccia non solo verso una parte dei cittadini, ma anche contro la convivenza sociale, la stabilità e la sicurezza;
il continuo aggiornamento professionale dedicato al personale delle Forze di polizia prevede anche corsi sul fenomeno dell'antisemitismo come crimine d'odio, quale forma specifica di delinquenza avente peculiari motivazioni sociali e psicologiche;
si ritiene particolarmente importante, in questo momento storico, puntare sulla formazione relativa alla natura antisemita di un reato, che si configura quando l'obiettivo dell'atto criminale, che siano persone o proprietà – edifici, scuole, luoghi di culto o cimiteri – sono scelti perché sono o sono percepiti come ebrei, ebraici o legati agli ebrei,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di utilizzare, nei corsi contro l'antisemitismo previsti per il personale delle Forze di polizia nell'ambito del programma obbligatorio di formazione e aggiornamento, la definizione di antisemitismo, così come adottata dall'Alleanza Internazionale per la memoria dell'Olocausto (IHRA) il 26 maggio 2016 e riconosciuta nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 1° giugno 2017.
9/2355/150. Formentini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9 del provvedimento in esame interviene sulle ipotesi di revoca della cittadinanza italiana in caso di condanna definitiva per i reati di terrorismo ed eversione ed altri gravi reati, stabilendo che non si può procedere alla revoca ove l'interessato non possieda un'altra cittadinanza ovvero non ne possa acquisire altra. Al contempo, si prevede l'estensione da tre a dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna il termine per poter adottare il provvedimento di revoca;
in materia di cittadinanza, dai dati del Ministero dell'istruzione e del merito riferiti all'anno scolastico 2022/2023 emerge come, negli istituti scolastici pubblici, al primo anno della scuola primaria (elementari), era straniero circa uno studente su sette (14,7 per cento); al primo anno della secondaria inferiore (medie), uno su otto (13,1 per cento); al primo anno della secondaria superiore, uno su nove (11,5 per cento). Questi studenti stranieri mediamente in due casi su tre erano nati in Italia; in tre casi su quattro se si considera la sola scuola primaria;
con l'attuale trend di crescita, nel giro di qualche anno quattro studenti stranieri su cinque tra quanti entreranno nella scuola primaria saranno nati in Italia e, come tutti i nati in Italia, saranno in possesso delle competenze linguistiche di base in lingua italiana;
il principio dello ius scholae è stato considerato da molti un fattore e una garanzia sufficiente di integrazione culturale e civile per giovani che sono anagraficamente stranieri, ma che hanno passato tutta o la gran parte della propria vita in Italia;
anche il consenso dell'opinione pubblica sulla ragionevolezza di un riconoscimento della cittadinanza italiana ai minori stranieri nati e formatisi in Italia si è andato affermando sulla necessità di abbreviare i termini per l'acquisto della cittadinanza dei nati in Italia da genitori stranieri, che oggi possono richiederla solo a diciotto anni quando abbiano risieduto legalmente senza interruzioni sul territorio nazionale fino al raggiungimento della maggiore età;
lo ius scholae, prevedendo il riconoscimento della cittadinanza dopo dieci anni di studio e l'assolvimento dell'obbligo scolastico in Italia, segnerebbe perciò un deciso passo avanti sul piano dei diritti dei minori stranieri nati in Italia e della loro piena integrazione,
impegna il Governo
a prevedere l'implementazione, nel primo provvedimento utile, delle misure atte a garantire che il minore straniero nato in Italia e che abbia frequentato regolarmente nel territorio nazionale per almeno dieci anni il sistema educativo di istruzione e formazione, concludendo positivamente il primo ciclo e i primi due anni del secondo ciclo nelle scuole secondarie di secondo grado o, in alternativa, nei percorsi triennali e quadriennali di istruzione e formazione professionale di competenza regionale, acquisti la cittadinanza italiana.
9/2355/151. Richetti, Pastorella.
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
Intendimenti del Governo in ordine al Memorandum d'intesa con Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa, in vista della prossima scadenza – 3-01979
BONELLI, FRATOIANNI, ZANELLA, BORRELLI, DORI, GHIRRA, GRIMALDI, MARI, PICCOLOTTI e ZARATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il 16 giugno 2003 viene firmato a Parigi il Memorandum d'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa, ratificato con legge 17 maggio 2005, n. 94, ed entrato in vigore l'8 giugno 2005;
l'articolo 2 individua un ampio elenco di settori di cooperazione: industrie per la difesa; politica degli approvvigionamenti di competenza dei Ministeri della difesa; importazione, esportazione e transito di materiali d'armamento; operazioni umanitarie; organizzazione delle forze armate, struttura e materiali di reparti militari, gestione del personale; formazione e addestramento del personale militare; questioni ambientali e controllo dell'inquinamento causato dalle strutture militari; scienza, storia e sport militari. La relazione illustrativa indica, fra i settori della cooperazione, anche l'informatica e la ricerca e sviluppo in campo militare;
sulla base dell'articolo 9, la vigenza del Memorandum è stabilita in 5 anni, automaticamente prorogati per periodi aggiuntivi di 5 anni, salvo recesso di una Parte;
oggi più che mai questa proroga non può essere interpretata come una semplice formalità e richiederebbe una discussione parlamentare. Continuare questa cooperazione con Israele equivale per gli interroganti a rendersi complici di bombardamenti su ospedali, scuole, campi profughi a Gaza;
nelle ultime settimane la campagna militare israeliana a Gaza sta conoscendo una sanguinosa recrudescenza, mentre gli aiuti umanitari per i civili della Striscia vengono sistematicamente bloccati da quasi tre mesi dall'esercito dello Stato ebraico (Idf) e, quando riescono a entrare, rischiano di venire attaccati;
nell'Unione europea esiste finalmente una forte maggioranza a favore della revisione dell'articolo 2 dell'accordo di associazione con Israele, maggioranza di cui, però, non fa parte l'Italia che, invece, ha approvato nelle Commissioni difesa di Camera e Senato l'acquisto di sistemi ad alta tecnologia prodotti dalla Elta systems ltd, società israeliana controllata dalla Israel aerospace industries;
non si può restare immobili di fronte al disegno di sterminio del popolo palestinese, di fronte ai crimini di guerra e contro l'umanità perpetrati da Netanyahu a Gaza e in Cisgiordania;
collaborare militarmente con chi commette crimini di guerra rende ad avviso degli interroganti il Governo complice del massacro del popolo palestinese –:
se il Governo non ritenga di non rinnovare il Memorandum d'intesa con Israele entro la scadenza dell'8 giugno 2025, decidendo, così, di interrompere un accordo di cooperazione con un governo che sta commettendo una vera e propria pulizia etnica del popolo palestinese.
(3-01979)
Elementi e iniziative di competenza in relazione alla nomina del nuovo presidente del Consiglio nazionale delle ricerche e chiarimenti in merito all'ipotesi di commissariamento dell'ente – 3-01980
MANZI, TONI RICCIARDI, ORFINI, BERRUTO, IACONO, GHIO, FERRARI, CASU e FORNARO. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il mandato del presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, Maria Chiara Carrozza, prorogato, al termine dei quattro anni, di ulteriori 45 giorni, risulta oggi scaduto;
non risulta, inoltre, alcuna sostituzione, da parte del Ministero competente, dei nuovi membri del consiglio di amministrazione, le cui nomine risultano scadute, che, se in carica, avrebbero potuto salvaguardare l'autonomia dell'ente, nominando, in questi mesi, un vicepresidente esecutivo;
come è noto, il Consiglio nazionale delle ricerche è il più importante e grande ente di ricerca pubblico del Paese e gode, per ragioni strettamente collegate al funzionamento basilare della scienza, di un'autonomia riconosciuta, come per tutte le organizzazioni pubbliche produttrici di nuova conoscenza, dall'articolo 33 della Costituzione: (...) «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento (...)»;
attraverso l'autonomia scientifica, il Consiglio nazionale delle ricerche individua i programmi di ricerca, i settori e le tematiche su cui investire. Definisce, su base scientifica, il giusto equilibrio tra ricerche fondamentali e applicate, in modo da soddisfare al meglio gli indirizzi scientifici autonomamente individuati;
la nomina di un commissario ministeriale, misura assolutamente straordinaria, dovrebbe derivare da un caso di grave irregolarità: amministrativa-gestionale; violazione di legge o dello statuto dell'ente; incapacità di funzionamento del Consiglio nazionale delle ricerche, motivi di interesse nazionale o di tutela dell'interesse pubblico;
il resoconto del Consiglio nazionale delle ricerche degli ultimi quattro anni presenta, come attestato dall'approvazione con parere positivo da parte dei revisori dei conti del rendiconto del 2024, un bilancio solido, con addirittura un avanzo di gestione da investire sulla missione stessa dell'ente;
un eventuale commissariamento del Consiglio nazionale delle ricerche violerebbe, senza ragioni apparentemente legittime, una norma costituzionale e quei principi di tutela dei saperi e della conoscenza fondamentali per l'intero Paese e sarebbe un danno pesante tanto per i progetti avviati, quanto per il personale con le competenze maturate in queste attività –:
se il Ministro interrogato non intenda chiarire quali siano le motivazioni della mancata procedura concorsuale per la nomina di un nuovo presidente del Consiglio nazionale delle ricerche e smentire le voci dell'eventuale commissariamento dell'ente, nel rispetto dei principi costituzionali sull'autonomia della scienza e a tutela dei progetti di ricerca avviati e del personale impegnato in tali attività.
(3-01980)
Chiarimenti in merito alla mancata nomina delle figure apicali del Consiglio nazionale delle ricerche e iniziative di competenza volte a salvaguardare l'autonomia dell'ente – 3-01981
BENZONI, GRIPPO, BONETTI, D'ALESSIO e SOTTANELLI. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
in data 13 aprile 2025 è terminato il mandato di presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) affidato alla professoressa Maria Chiara Carrozza, mandato che è stato prorogato ex lege per 45 giorni, fino al 28 maggio 2025;
il 9 febbraio 2025 e il 18 febbraio 2025 sono terminati i mandati come membri del consiglio di amministrazione del Consiglio nazionale delle ricerche per i due consiglieri di nomina governativa e il mandato del consigliere nominato dalla Conferenza Stato-regioni è terminato il 27 maggio 2025; pertanto, dal 29 maggio 2025 sarà in carica solo uno dei cinque membri del consiglio di amministrazione del Consiglio nazionale delle ricerche;
il consiglio di amministrazione del Consiglio nazionale delle ricerche non si riunisce dal 21 marzo 2025 e non può esercitare le sue funzioni finché non verranno nominati il presidente e i membri del consiglio di amministrazione designati dal Governo e dalla Conferenza Stato-regioni. Per tale ragione non possono essere adottati provvedimenti, atti e delibere che sarebbero, invece, necessari al buon funzionamento del Consiglio, come, a titolo meramente esemplificativo, l'approvazione del rendiconto generale per l'esercizio finanziario 2024, necessario per consentire ai ricercatori l'utilizzo di larga parte dei fondi destinati alla ricerca;
tale situazione comporta, per il Consiglio nazionale delle ricerche, un concreto ed imminente rischio di compromettere il completamento dei progetti con finanziamenti esterni (in particolare di quelli finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza), il futuro del personale di ricerca precario reclutato nell'ambito di questi progetti e la sua credibilità nei rapporti con le istituzioni pubbliche e private, nazionali, sovranazionali e internazionali;
la possibilità di un imminente commissariamento ministeriale del Consiglio nazionale delle ricerche desta, dunque, forti preoccupazioni all'interno della comunità scientifica, poiché potrebbe comprometterne l'autonomia, un principio fondamentale sancito dalla Costituzione per garantire la libertà della ricerca scientifica. L'autonomia del Consiglio nazionale delle ricerche si manifesta su vari livelli: scientifico, organizzativo e finanziario. Attraverso l'autonomia scientifica, il Consiglio nazionale delle ricerche è in grado di determinare i programmi di ricerca, i settori e le tematiche su cui investire, definendo un equilibrio tra ricerche fondamentali e applicate –:
per quali motivi non abbia proceduto a nominare per tempo, e per quanto di competenza, le figure apicali del Consiglio nazionale delle ricerche e se non intenda, nell'ottica di scongiurare un commissariamento ministeriale che ne pregiudicherebbe l'autonomia, procedere con la massima celerità in tal senso.
(3-01981)
Chiarimenti in ordine al finanziamento delle iniziative previste dal Piano nazionale complementare in materia di università e ricerca – 3-01982
LOIZZO, MOLINARI, ANDREUZZA, ANGELUCCI, BAGNAI, BARABOTTI, BENVENUTO, DAVIDE BERGAMINI, BILLI, BISA, BOF, BORDONALI, BOSSI, BRUZZONE, CANDIANI, CAPARVI, CARLONI, CARRÀ, CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, COIN, COMAROLI, CRIPPA, DARA, DE BERTOLDI, DI MATTINA, FORMENTINI, FRASSINI, FURGIUELE, GIACCONE, GIAGONI, GIGLIO VIGNA, IEZZI, LATINI, LAZZARINI, MACCANTI, MARCHETTI, MATONE, MIELE, MONTEMAGNI, MORRONE, NISINI, OTTAVIANI, PANIZZUT, PIERRO, PIZZIMENTI, PRETTO, RAVETTO, SASSO, STEFANI, SUDANO, TOCCALINI, ZIELLO, ZINZI e ZOFFILI. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2024, n. 143, recante «Misure urgenti di carattere fiscale, proroghe di termini normativi ed interventi di carattere economico», all'articolo 8 dispone l'accantonamento e l'indisponibilità di 70 milioni di euro sullo stanziamento del Piano nazionale complementare al Piano nazionale di ripresa e resilienza di titolarità del Ministero dell'università e della ricerca;
la legge di «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027» prevede un'ulteriore riduzione delle quote disponibili, in termini di competenza e cassa, riducendo, di fatto, in modo importante il finanziamento disponibile per la realizzazione delle iniziative finanziate a valere sull'avviso Piano nazionale complementare a titolarità del Ministero dell'università e della ricerca;
seppure il Ministero dell'università e della ricerca, a recupero parziale dei menzionati abbattimenti, abbia proposto un innalzamento della disponibilità, in termini di competenza e cassa di un'ulteriore somma complessiva di 40.000.000,00 di euro per l'annualità 2025, è lecita la preoccupazione che detti tagli impattino talmente tanto sulle azioni previste dal Piano nazionale complementare da compromettere quasi del tutto la realizzazione e la fattibilità delle iniziative stesse;
i finanziamenti già annunciati per il cofinanziamento alle attività dei centri nazionali e dei partenariati estesi, nonché delle iniziative del Piano nazionale complementare, ove confermati, dovrebbero essere destinati a garantire il consolidamento nel tempo e la sostenibilità economico-finanziaria dei progetti al termine del periodo di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza –:
se il Ministro interrogato ritenga che tutte le iniziative già previste dal Piano nazionale complementare possano essere comunque finanziate ovvero attraverso quali misure intenda garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
(3-01982)
Iniziative di competenza in relazione al secondo ciclo dei percorsi di formazione iniziale per docenti, con particolare riferimento all'avvio dei percorsi abilitanti e alla loro attivazione in modo uniforme sul territorio nazionale – 3-01983
CASO, AMATO e ORRICO. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il 24 febbraio 2025 sono stati pubblicati i decreti ministeriali n. 156 e n. 148, indispensabili per avviare il secondo ciclo dei percorsi di formazione iniziale per docenti;
tali decreti, analogamente a quanto avvenuto per il primo ciclo, sono stati emanati con un ritardo significativo rispetto al cronoprogramma originariamente previsto, il quale indicava l'inizio del secondo ciclo a gennaio 2025 affinché la formazione si concludesse entro giugno 2025 per permettere ai vincitori del primo concorso del Piano nazionale di ripresa e resilienza di abilitarsi tempestivamente, consentendo la trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato e l'avvio dell'anno di prova;
gli stessi decreti contenevano soltanto una parte dei posti autorizzati, in quanto non si era ancora conclusa la procedura di accreditamento dei nuovi percorsi proposti per l'anno accademico 2024/2025 e, di conseguenza, l'allegato A non riportava l'intera offerta formativa, generando una distribuzione non omogenea dei posti sul territorio nazionale che ha costretto molti aspiranti docenti a dover scegliere se attendere la pubblicazione di ulteriori decreti oppure presentare domanda in atenei distanti dal proprio luogo di residenza, con conseguenti impatti logistici ed economici, soprattutto in relazione alla frequenza fuori sede;
successivamente, sono stati emanati i decreti ministeriali n. 270 del 19 marzo 2025 e n. 367 del 18 aprile 2025, i quali hanno autorizzato gli ulteriori posti mancanti. Tuttavia, per alcune classi di concorso, i percorsi non sono ancora partiti, in quanto si è in attesa della pubblicazione delle linee guida operative da parte del Ministero dell'università e della ricerca per poter predisporre i bandi e ciò comporta un grave rischio per molti vincitori di concorso che non si sono ancora abilitati, in quanto se non riuscissero ad abilitarsi in tempo, rischierebbero la risoluzione del contratto;
oltre ai costi massimi di iscrizione a carico dei partecipanti pari a 2.500 e 2.000 euro fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2023 senza la previsione di adeguate agevolazioni economiche per le fasce più deboli, sono pervenute segnalazioni circa il prelievo di contributi obbligatori non rimborsabili per la presentazione della sola domanda di iscrizione, come, ad esempio, i 100 euro richiesti dall'università telematica Pegaso per la valutazione dei titoli e la successiva formazione delle graduatorie –:
quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di risolvere le problematiche esposte, verificando le motivazioni dei ritardi nell'avvio dei percorsi abilitanti e facendo sì che gli stessi siano attivati in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
(3-01983)
Dati relativi alle dimore storiche che hanno usufruito del cosiddetto superbonus – 3-01984
BIGNAMI, ANTONIOZZI, GARDINI, MONTARULI, RUSPANDINI, TESTA, AMORESE, CONGEDO e MATERA. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto emerso da una recente inchiesta giornalistica, delle otto dimore di valore storico che hanno usufruito degli incentivi fiscali previsti dal cosiddetto superbonus, di cui all'articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020, soltanto una risulterebbe facilmente individuabile;
la normativa inizialmente escludeva gli immobili di pregio: il superbonus non si applicava, infatti, alle unità immobiliari appartenenti alle unità catastali A/1, A/8 e A/9, ovvero abitazioni signorili, ville e castelli, ma poi la misura si è allargata nello spazio e nel tempo, ma soprattutto nei costi, e uno di questi ampliamenti, opera dell'allora Ministro Franceschini, fu proprio l'estensione dell'incentivo fiscale agli edifici di categoria catastale A/9, a condizione che potessero essere aperti al pubblico;
sempre secondo l'articolo di stampa, al fine di poter usufruire delle detrazioni spettanti al 110 per cento era sufficiente inviare una semplice comunicazione alla soprintendenza da parte dei proprietari delle dimore storiche, aprendo peraltro al pubblico le strutture soltanto un giorno al mese per cinque anni;
secondo il report di Enea, che monitora gli interventi dell'incentivo fiscale, sono stati ristrutturati otto castelli in quattro regioni: Piemonte, Lombardia, Lazio e Basilicata per un costo complessivo di circa 1 milione di euro (135 mila euro cadauno), ma non si sa quali siano e dove si trovino di preciso;
tra le dimore storiche che avrebbero beneficiato del superbonus anche una dimora storica in Calabria, una regione in cui, però, secondo i dati dell'Enea non dovrebbe essercene nessuna. Un castello medievale di Gioiosa Ionica, da un paio di secoli di proprietà dei marchesi Pellicano-Barletta, che sarà visitabile soltanto a partire da gennaio 2026;
la mancanza di trasparenza in merito agli immobili che hanno beneficiato dell'incentivo fiscale del superbonus pari al 110 per cento rende impossibile conoscere l'elenco esatto delle dimore storiche che ne hanno usufruito e, a oggi, non si hanno informazioni precise in merito agli altri sette castelli ristrutturati, visto che i dati non coinciderebbero con il report mensile pubblicato dall'Enea –:
di quali informazioni disponga il Ministro interrogato per fare chiarezza su quanto esposto in premessa, con particolare riferimento al numero effettivo delle dimore storiche che hanno usufruito delle detrazioni di cui all'articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, e il relativo impatto sui conti pubblici.
(3-01984)
Iniziative volte a favorire ulteriormente la frequentazione di musei e parchi archeologici da parte delle nuove generazioni, in linea con il «Piano Olivetti per la cultura» – 3-01985
LUPI, CAVO, ALESSANDRO COLUCCI, PISANO, ROMANO, SEMENZATO, TIRELLI, BICCHIELLI, BRAMBILLA e CARFAGNA. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 9 della Costituzione della Repubblica italiana recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.»;
la cultura emerge quale patrimonio in grado di favorire l'educazione delle nuove generazioni, anche per coloro che si trovano in condizioni di svantaggio e di degrado sociale;
l'anno 2024 ha registrato il numero più alto di sempre di visitatori e introiti nei musei e parchi archeologici statali;
gli ingressi nei luoghi della cultura citati sono stati 60.850.091, con un incremento del 5,3 per cento rispetto ai 57.730.502 biglietti del 2023. Gli incassi percepiti hanno raggiunto un ammontare complessivo di 382.004.344 euro, con una crescita del 23 per cento rispetto ai 313.888.163 euro del 2023;
i risultati raggiunti costituiscono un segno di enorme valore delle potenzialità del patrimonio del Paese e della possibilità di valorizzarlo ulteriormente, a fronte dell'apprezzamento ricevuto dai cittadini e da visitatori provenienti da tutto il mondo;
l'articolo 1 del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2025, n. 16, recante «Piano Olivetti per la cultura», dispone di «favorire lo sviluppo della cultura come bene comune accessibile e integrato nella vita delle comunità, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale» –:
quali iniziative intenda assumere, in linea con il Piano Olivetti per la cultura, per favorire ulteriormente l'accesso e la frequentazione di musei e parchi archeologici da parte delle nuove generazioni, in particolare per i giovani che provengono da territori ad alto tasso di degrado sociale e povertà educativa.
(3-01985)
Recenti risultati in materia di semplificazione normativa, con particolare riferimento alla riduzione e al riordino della legislazione – 3-01986
DEBORAH BERGAMINI, PAOLO EMILIO RUSSO, BARELLI, NAZARIO PAGANO, ARRUZZOLO, BAGNASCO, BATTILOCCHIO, BATTISTONI, BELLOMO, BENIGNI, BOSCAINI, CALDERONE, CANNIZZARO, CAPPELLACCI, CAROPPO, CASASCO, CASTIGLIONE, CATTANEO, CORTELAZZO, ENRICO COSTA, D'ATTIS, DALLA CHIESA, DE MONTE, DE PALMA, FASCINA, GATTA, GENTILE, LOVECCHIO, MANGIALAVORI, MARROCCO, MAZZETTI, MULÈ, NEVI, ORSINI, PATRIARCA, PELLA, PITTALIS, POLIDORI, ROSSELLO, RUBANO, SACCANI JOTTI, SALA, SORTE, SQUERI, TASSINARI e TENERINI. — Al Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa — Per sapere – premesso che:
si considera la rilevanza che riveste a livello europeo la semplificazione normativa, come dimostrato dalla nomina da parte della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di un commissario per l'economia, la produttività, l'attuazione e la semplificazione;
si considera il «rapporto Draghi» sul futuro della competitività europea, che contiene numerosi riferimenti alla semplificazione normativa e mette in evidenza la grande incidenza della semplificazione normativa sulle potenzialità di crescita economica del continente europeo;
a livello nazionale nelle precedenti legislature le politiche di semplificazione non sono state affrontate con continuità, nonostante sia noto che il nostro Paese soffra da sempre di ipertrofia normativa;
si prende atto del rilievo che la XIX legislatura ha attribuito alla semplificazione normativa, sin dalle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha affidato una specifica delega al Ministro interrogato –:
quali siano gli ultimi risultati conseguiti in materia di semplificazione normativa, in particolare con riferimento alla riduzione e al riordino della legislazione.
(3-01986)
Intendimenti del Governo in merito alla riforma della legge elettorale – 3-01987
BOSCHI, BONIFAZI, DEL BARBA, FARAONE, GADDA, GIACHETTI e GRUPPIONI. — Al Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa. — Per sapere – premesso che:
la legge elettorale attualmente in vigore, nota come «Rosatellum», introdotta con la legge 3 novembre 2017, n. 165, prevede un sistema elettorale misto, con il 37 per cento dei seggi assegnati mediante sistema maggioritario in collegi uninominali, il 61 per cento mediante sistema proporzionale in collegi plurinominali e il restante 2 per cento agli italiani all'estero;
la stessa legge prevede liste bloccate nella quota proporzionale, in cui l'elettore non può esprimere preferenze, e una soglia di sbarramento pari al 3 per cento per le liste e al 10 per cento per le coalizioni (purché almeno una lista superi il 3 per cento);
nel corso di una recente seduta di interrogazioni a risposta immediata in Assemblea presso il Senato della Repubblica, la Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato l'intenzione del Governo di procedere a una riforma della legge elettorale;
da notizie di stampa recenti risulterebbe che il Governo stia valutando l'introduzione di una nuova legge elettorale di impianto proporzionale, che preveda l'attribuzione di un premio di maggioranza pari al 55 per cento dei seggi alla lista o coalizione che superi la soglia del 42 per cento dei voti su base nazionale;
la proposta in discussione prevedrebbe anche l'eliminazione dei collegi uninominali attualmente previsti nella quota maggioritaria del «Rosatellum», con il conseguente passaggio a un sistema proporzionale per l'assegnazione dei seggi;
tra gli elementi oggetto di valutazione vi sarebbe, inoltre, l'introduzione dell'indicazione del nome del candidato Presidente del Consiglio dei ministri sulla scheda elettorale;
l'uso della questione di fiducia da parte dell'attuale Governo risulta essere particolarmente frequente, con un'incidenza pari al 45 per cento delle leggi approvate, e in passato l'attuale maggioranza ha aspramente criticato l'apposizione della fiducia su leggi elettorali, definendola un «vulnus democratico» –:
se, nell'ambito dell'annunciata riforma della legge elettorale, il Governo intenda presentare un disegno di legge che elimini integralmente le liste bloccate, prevedendo in tutte le circoscrizioni l'espressione del voto di preferenza da parte degli elettori, con il conseguente superamento della figura del capolista designato, modifichi l'attuale soglia di sbarramento al 3 per cento per l'accesso delle liste alla ripartizione dei seggi, introduca l'indicazione del nome del candidato a Presidente del Consiglio dei ministri sulla scheda elettorale e se non ritenga necessario approvare l'eventuale disegno di legge in modo ordinario senza l'apposizione della fiducia, in coerenza con le posizioni espresse in passato dalle attuali forze di maggioranza.
(3-01987)