Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 2
Audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro, sulle linee programmatiche
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati)
:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 2
Fraccaro Riccardo (M5S) , Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta ... 2
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8
Migliore Gennaro (PD) ... 9
Brescia Giuseppe , Presidente ... 9
Parrini Dario ... 9
Brescia Giuseppe , Presidente ... 9
Iezzi Igor Giancarlo (LEGA) ... 9
Brescia Giuseppe , Presidente ... 9
De Petris Loredana ... 9
Migliore Gennaro (PD) ... 11
Brescia Giuseppe , Presidente ... 12
Perilli Gianluca ... 12
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13
Fraccaro Riccardo (M5S) , Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta ... 13
Brescia Giuseppe , Presidente ... 16
Parrini Dario ... 16
Brescia Giuseppe , Presidente ... 16
Parrini Dario ... 16
Brescia Giuseppe , Presidente ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA I COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
GIUSEPPE BRESCIA
La seduta comincia alle 13.45.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web tv della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro, sulle linee programmatiche.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro, sulle linee programmatiche.
Ci hanno raggiunto i colleghi del Senato. Saluto il presidente Borghesi, che è qui al mio fianco, e, ovviamente, il Ministro Fraccaro.
Avverto che, come già anticipato in seno agli Uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni, il Ministro dovrà recarsi alle 14,50 al Senato per indifferibili impegni parlamentari. Pertanto, qualora il tempo a disposizione delle Commissioni non risultasse sufficiente a completare nella seduta odierna l'audizione, se ne programmerà il seguito in altra data.
Il Ministro ci ha fatto sapere che il suo intervento dovrebbe durare intorno ai 25 minuti, quindi credo che avremo l'opportunità di fare almeno un primo giro di domande; il Ministro, in ogni caso, si potrà riservare di fornire le risposte in un eventuale seguito dell'audizione.
Do la parola al Ministro Fraccaro per lo svolgimento della sua relazione.
RICCARDO FRACCARO, Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. Grazie, signori presidenti, colleghi deputati e senatori. L'audizione sulle linee programmatiche costituisce per me una prima importante occasione di confronto con le Commissioni affari costituzionali delle due Camere sulle materie che rientrano nelle mie deleghe, relative ai rapporti con il Parlamento e alle riforme istituzionali, con particolare riferimento alla democrazia diretta.
Dirò innanzitutto che gli obiettivi di rinnovamento dei meccanismi istituzionali che è mio compito delineare in questa sede sono obiettivi di legislatura, che sarà indispensabile raggiungere per portare a compimento l'istanza di cambiamento che è emersa con chiarezza dalle urne. La volontà popolare, che si è espressa con il voto democratico, ha sancito chiaramente il passaggio verso la Terza Repubblica, nella quale è essenziale riconoscere la centralità dei cittadini sul piano delle forme di partecipazione alla vita politica.
L'auspicio del Governo è quello di aprire un confronto politico sulle proposte di intervento in tali ambiti, che verranno sottoposte all'esame delle Camere nell'ottica di un dialogo costruttivo, ferma restando la volontà di incrementare quanto più possibile il processo decisionale in Parlamento.
Premetto alcune considerazioni metodologiche.
Il metodo nuovo che intendiamo utilizzare, come evidenziato nel contratto di governo, si fonda su un approccio pragmatico, Pag. 3 che punta alla realizzazione di «alcuni interventi limitati, puntuali, omogenei, attraverso la presentazione di iniziative legislative costituzionali distinte ed autonome».
In sostanza, intendiamo superare l'orizzonte delle «grandi riforme», che ha contraddistinto i tentativi di riforma degli ultimi decenni, i quali, anche quando sono giunti all'approvazione delle Camere, sono stati poi respinti dal voto popolare nei referendum costituzionali.
Le modifiche che proporremo, invece, dovranno essere puntuali e raggruppate in argomenti unitari, soprattutto per l'eventualità che al procedimento di revisione costituzionale possa seguire un referendum popolare. Se un progetto di riforma costituzionale può culminare con un referendum popolare, infatti, riforme complessive che fanno confluire in un unico testo questioni differenti darebbero luogo a quesiti referendari che costringono i cittadini a scegliere se «prendere o lasciare» un intero «pacchetto». Viceversa, proprio perché le proposte di riforma che ci accingiamo a presentare potranno sfociare in un referendum, occorre che ciascuna di esse contenga una modifica chiara e omogenea, costruita in modo che i cittadini possano effettivamente rispondere all'eventuale quesito referendario con un sì o con un no. Si tratta di un approccio coerente con l'obiettivo di potenziare ogni forma di consultazione referendaria prevista dall'ordinamento.
Peraltro, alcuni degli obiettivi richiamati nel contratto potranno essere più efficacemente e più rapidamente realizzati senza ricorrere a riforme della Carta costituzionale, bensì intervenendo sulla legislazione ordinaria ovvero sui regolamenti parlamentari, ovviamente nel rispetto dell'autonomia delle Camere. Tutte le volte che ciò sarà possibile è opportuno evitare di modificare la Costituzione, che rappresenta l'architrave su cui poggia la nostra comunità. Vogliamo mantenere intatti i princìpi ispiratori, con degli interventi di riforma atti a rafforzare le previsioni già contenute nella nostra Carta fondamentale.
L'obiettivo, in sostanza, è quello di consolidare il ruolo del Parlamento e dei cittadini all'interno dei processi decisionali, valorizzando l'essenza della nostra Costituzione. Il filo conduttore sarà quello della parsimonia: riforme istituzionali limitate, puntuali e omogenee, attraverso iniziative legislative costituzionali, distinte e autonome e solo se necessario.
Sempre sul piano del metodo, specialmente per quanto riguarda gli interventi sulla disciplina di rango costituzionale, ritengo che sia indispensabile e particolarmente prezioso un confronto ampio e approfondito con tutti i gruppi parlamentari, in primo luogo nella sede delle Commissioni affari costituzionali delle due Camere. Spero, quindi, che anche l'audizione di oggi possa fornire utili spunti di riflessione per meglio definire il contenuto dei provvedimenti che dovremo esaminare nei prossimi mesi.
Vengo, dunque, alle considerazioni di merito.
Penso che in quest'Aula possiamo tutti concordare sulle difficoltà che le istituzioni rappresentative in Italia, ma più in generale nelle democrazie moderne, incontrano nel rispondere ai bisogni e alle domande dei cittadini. Il senso di sfiducia nelle istituzioni rappresentative che si riscontra in tutto l'Occidente evidenzia i limiti della democrazia rappresentativa. Esso non si traduce solo in disaffezione alla politica, in disimpegno e in astensionismo alle elezioni, ma esprime anche una grande domanda di maggiore e migliore partecipazione e coinvolgimento da parte dei cittadini. La nostra convinzione profonda è proprio questa: per riconquistare la fiducia, le istituzioni devono a loro volta riconoscerla, distribuendo le responsabilità decisionali anche ai cittadini.
È in questo quadro che si iscrivono le scelte di fondo del Governo in materia di riforme istituzionali, in linea con quanto previsto dal contratto di governo. Occorre, quindi, potenziare e rendere effettivi gli strumenti di democrazia diretta, in modo da rendere più ampia ed effettiva la partecipazione dei cittadini alla vita politica e Pag. 4avvicinare l'Italia alle esperienze di altri Paesi avanzati.
Ricordo, infatti, che gli istituti di democrazia diretta rappresentano un pilastro insostituibile già in altre democrazie classiche, come quella svizzera e quella degli Stati Uniti d'America, dove in molti Stati sono stati accolti e applicati tali princìpi.
Anche in Italia il rafforzamento del ricorso a tali istituti può anticipare un circuito virtuoso.
La democrazia diretta, infatti, consente ai cittadini di partecipare direttamente alle scelte politiche del Paese e conferisce loro un maggiore potere di controllo sulle attività dei rappresentanti. In particolare, favorisce l'interesse e la conoscenza dei cittadini con riguardo alle tematiche politiche e sviluppa un comune e condiviso senso di responsabilità, consentendo loro di acquisire maggiore dimestichezza nei confronti dell'attività legislativa. Allo stesso tempo, la democrazia diretta induce i politici a una maggiore trasparenza e contribuisce all'efficienza delle istituzioni, aumentando la loro capacità di dare risposte alle domande che provengono dalla società, accrescendo l'equità nella gestione del potere politico.
La democrazia diretta, inoltre, fa da argine ad alcuni aspetti degenerativi della democrazia rappresentativa: tendenze spartitorie dei partiti; creazione di privilegi a favore dei governanti; incremento degli apparati burocratici; dipendenza dalle lobby. Non dimentico, infine, che gli studi più recenti dimostrano persino che la democrazia diretta contribuisce allo sviluppo della crescita economica e, addirittura, al tasso di felicità della popolazione. La qualità della vita, il cui miglioramento è l'obiettivo ultimo del Governo, è direttamente proporzionale alla presenza degli strumenti di democrazia diretta.
In questa prospettiva, una prima iniziativa dovrà riguardare l'introduzione del referendum propositivo, col quale vogliamo creare le condizioni per una vera partecipazione popolare ai processi decisionali a livello istituzionale.
A mio avviso, infatti, il referendum propositivo dovrà essere un importante strumento di partecipazione per i cittadini, consentendo loro di concorrere all'assunzione di decisioni politiche, anche influenzando le deliberazioni degli organi rappresentativi. In questa prospettiva, ritengo che la proposta di revisione costituzionale in materia potrebbe favorire il confronto tra i promotori del referendum e le Camere. In particolare, si dovrà valutare con attenzione l'introduzione di procedure volte a consentire un dialogo tra i promotori del referendum e i competenti organi parlamentari, anche attraverso lo svolgimento di audizioni. Il dialogo e la partecipazione effettiva a un iter legislativo in sede parlamentare potrebbero costituire, infatti, un momento fondamentale della nuova procedura referendaria.
In particolare, si potrebbe introdurre la possibilità per i promotori, all'esito di tale procedimento «partecipato», di ritirare la propria proposta in conseguenza dell'attività legislativa delle Camere, quando sia ritenuta idonea a soddisfare le esigenze sottese al quesito referendario. Nel caso contrario, si dovrebbe prevedere che gli elettori possano essere chiamati a scegliere tra la proposta dei promotori del referendum e una «controproposta» alternativa elaborata dal Parlamento. In sostanza, come nel modello svizzero, il centro del sistema non dovrà essere costituito soltanto dalla consultazione referendaria, ma anche dal processo di partecipazione popolare che esso attiva. Non a caso, nel contesto elvetico accade spesso che i referendum siano «bocciati» dalla popolazione perché durante il loro iter il Parlamento ha saputo venire incontro alle istanze dei cittadini mediante uno specifico intervento legislativo.
In ogni caso, l'attivazione del referendum propositivo, al di là del suo esito, accresce il senso civico dei cittadini, la loro responsabilità e la loro consapevolezza delle regole. Inoltre, la procedura referendaria rende possibile ai promotori di mettere al centro del dibattito pubblico tematiche che sarebbero viceversa trascurate, facendo crescere nuove sensibilità nella società, proprio con il dibattito stesso.
In secondo luogo, assume particolare rilievo la valorizzazione dell'iniziativa legislativa Pag. 5 popolare. Si tratta di strumenti indispensabili per garantire al popolo la possibilità di qualificarsi a tutti gli effetti come organo politico dello Stato, potendo sottoporre direttamente all'esame del Parlamento le proposte che si avvertono come necessarie per il benessere sociale. Nello specifico, per introdurre l'obbligatorietà della pronuncia delle Camere sui progetti di legge d'iniziativa popolare si potrebbe intervenire con una revisione dei regolamenti parlamentari, sul modello della recente modifica del Regolamento del Senato e delle proposte di modifica al Regolamento della Camera avanzate nel corso della XVII legislatura, in particolare dalle forze di opposizione. Tali modifiche non dovrebbero limitarsi a prevedere, però, l'obbligo di un voto finale del Parlamento, ma contemplare anche forme di istruttoria obbligatoria, in modo da consentire un procedimento legislativo effettivamente partecipato. In proposito, ricordo che sono stati presentati in Parlamento numerosi disegni di legge d'iniziativa popolare, in particolare al Senato, dove è stato introdotto l'obbligo di pronuncia. A essi occorre dedicare la necessaria attenzione.
In terzo luogo, misura fondamentale per garantire il diritto di partecipazione alla consultazione referendaria dei cittadini è l'abolizione del quorum nel referendum abrogativo, come raccomandato dallo stesso Consiglio d'Europa. Riteniamo che non debba essere previsto alcun quorum di partecipazione né per il referendum abrogativo né per il referendum propositivo. L'anomalia della previsione di un quorum, infatti, appare evidente dal confronto con le altre democrazie occidentali, nelle quali è previsto l'istituto referendario, ma senza quorum strutturale. Del resto, questa lettura è confermata anche dalle raccomandazioni contenute nel Codice di buona condotta in materia di referendum della Commissione di Venezia.
Il quorum rappresenta, infatti, l'ostacolo principale alla partecipazione: anziché premiare i cittadini attivi e responsabili che si recano alle urne, li penalizza. In un contesto politico e sociale in cui la disaffezione alla politica ha raggiunto livelli allarmanti, il quorum strutturale disincentiva la partecipazione e favorisce l'astensionismo, creando un danno grave alla democrazia. In presenza del quorum decide chi non partecipa o troppo spesso decide chi non partecipa, capovolgendo l'idea stessa di comunità. In sostanza, l'eliminazione del quorum è un passo indispensabile per favorire il concorso dei cittadini al processo democratico.
È essenziale, in quarto luogo, rimuovere gli ostacoli che derivano da alcuni adempimenti per la raccolta delle firme, che risultano farraginosi e ormai arcaici. Mi riferisco, ad esempio, alla vidimazione dei fogli e all'obbligo di allegare i certificati di iscrizione alle liste elettorali. Si potrebbe intervenire, oltre che in via amministrativa, come si sta facendo per ribadire l'esenzione dall'imposta di bollo per le iniziative di raccolta di firme per il referendum, con puntuali modifiche alla legge n. 352 del 1970, con il coinvolgimento naturalmente del Ministero dell'interno. In quest'ottica, si dovranno, altresì, prevedere forme di digitalizzazione dei procedimenti, inizialmente anche in via sperimentale.
Questi obiettivi dell'azione dell'Esecutivo sono tesi a consegnare ai cittadini più potere nelle decisioni pubbliche, introducendo nuovi strumenti di democrazia diretta e potenziando quelli già esistenti. Democrazia diretta e democrazia rappresentativa, tuttavia, non vanno considerate in un'ottica di contrapposizione, bensì di reciproco completamento. Del resto, se si aumenta il potere dei cittadini di decidere direttamente e di controllare con più efficacia le istituzioni rappresentative, queste sono spinte a considerare con più attenzione le istanze che provengono dalla società e ad assumere decisioni che siano maggiormente in sintonia con la volontà popolare. Più democrazia diretta, dunque, non equivale a meno democrazia rappresentativa. Anzi si può realizzare una democrazia integrale che coniughi le forme classiche della rappresentanza con l'introduzione di nuovi strumenti di partecipazione. Contestualmente allo sviluppo della democrazia diretta occorre rafforzare il Parlamento, che deve essere valorizzato in Pag. 6relazione alla sua capacità di far entrare la volontà dei cittadini all'interno delle istituzioni.
In questo quadro assume particolare rilievo il tema della riduzione del numero dei parlamentari, misura richiesta a gran voce dai cittadini. In Europa l'Italia è il Paese con il numero più alto di parlamentari direttamente eletti dal popolo, pari a 945. L'Italia è seguita dalla Germania con circa 700 parlamentari, dalla Gran Bretagna con circa 650 e poi dalla Francia con poco meno di 600. Con riferimento alla Francia, in particolare, è interessante notare come il Presidente Macron abbia recentemente proposto di ridurre di un terzo il numero di parlamentari.
La classifica dei Paesi con il maggior numero di parlamentari non cambia di molto neppure se si tiene conto anche delle Camere non elettive. In questo caso, il numero dei parlamentari italiani sarebbe comunque ai vertici, secondo solamente alla Gran Bretagna, che sconta per ragioni storiche peculiari la numerosità della Camera dei Lord.
Il contratto sottolinea che «occorre partire» da una «drastica riduzione» del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori. Tale riduzione determinerebbe, evidentemente, positive ricadute in termini di spesa per gli organi costituzionali, ma ovviamente la motivazione di questa riforma non può ricondursi semplicisticamente a una sola esigenza di risparmio. La riduzione del numero dei parlamentari, infatti, potrà determinare un miglioramento del processo decisionale delle Camere, che potranno operare con più efficienza e, dunque, essere più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini. Con questa proposta, il Parlamento si dimostrerà capace di autoriformarsi nell'interesse esclusivo dei cittadini.
Tale riforma implica la soluzione di alcuni problemi tecnici relativi agli impatti sulla legislazione elettorale. In particolare, si dovrà prevedere, nel testo di revisione costituzionale, un meccanismo transitorio che assicuri la possibilità di rinnovare le Camere in ogni momento.
A questo fine, si potrebbe procedere ad un mero adattamento della legge elettorale al numero ridotto dei parlamentari da eleggere, senza incidere in alcun modo sui contenuti della legislazione elettorale.
Sappiamo che la nostra recente legislazione elettorale è insoddisfacente sotto molteplici profili, ma la sua modifica è rimessa alla decisione del Parlamento, che potrà intervenire quando lo riterrà. Si tratta, infatti, di un tema estraneo al contratto di governo. Per tale motivo, non faremo proposte innovative in merito, ma ci limiteremo appunto a un mero adattamento tecnico.
Nello stesso tempo, è essenziale contrastare il fenomeno del cosiddetto «trasformismo». Non possiamo nasconderci che lo spettacolo messo in scena nelle scorse legislature non corrisponde alle aspettative popolari. Basti pensare che nel corso della XVII legislatura si sono registrati ben 566 passaggi di Gruppo: 313 alla Camera e 253 al Senato. Riteniamo fondamentale che il rispetto della volontà popolare passi anzitutto dalla coerenza politica, sgomberando il campo da ogni possibile atteggiamento opportunistico. A questo proposito, l'introduzione di forme di rafforzamento del mandato elettorale potrebbe essere realizzata efficacemente attraverso modifiche ai regolamenti parlamentari che scoraggino i «cambi di casacca».
In questo senso, utili indicazioni potranno essere tratte anche dalla riforma regolamentare approvata dal Senato sul finire della scorsa legislatura, rispetto alla quale potrebbero rivelarsi necessarie alcune modifiche migliorative.
Inoltre, nel quadro delle misure volte a rafforzare la legittimazione delle assemblee democratiche, si pone l'esigenza di riconsiderare la disciplina costituzionale che riserva alle Camere in via esclusiva il giudizio sui titoli di ammissione dei rispettivi componenti, nonché sulle cause di ineleggibilità e incompatibilità per i parlamentari.
Si tratta di un sistema che ha precise radici storiche volte a preservare l'autonomia delle Camere. Agli albori dello Stato liberale tale sistema era finalizzato a proteggere le prerogative del Parlamento di Pag. 7fronte ai giudici che dipendevano dalla Corona. Nel contesto della nostra Costituzione, che garantisce l'autonomia e l'indipendenza del potere giudiziario, tale istituto risulta oggi anacronistico e potenzialmente suscettibile di entrare in conflitto con lo stesso principio democratico. Poiché il giudizio delle Camere è definitivo, non esiste a tutela dei cittadini elettori e dei candidati la possibilità di adire un giudice terzo.
Molti ordinamenti hanno nel tempo adottato soluzioni alternative, prevedendo sistemi o interamente giurisdizionali o di natura mista, in cui si ammette che avverso le pronunce parlamentari possa essere adito un soggetto esterno.
La debolezza dell'attuale sistema emerge anche con riferimento alla tempistica dell'attività di verifica dei poteri. In particolare, il termine per l'espletamento del controllo sui titoli di ammissione da parte delle Giunte è di diciotto mesi. Tuttavia, la prassi ne ha dimostrato l'estrema flessibilità, con effetti negativi sulla certezza della regolarità della composizione delle Camere.
Per colmare il vulnus arrecato al princìpio di rappresentanza e al principio di tutela giurisdizionale dei diritti, è opportuno, perciò, avviare una riforma che introduca forme di sindacato esterno rispetto alle decisioni assunte dalle Camere. In questo senso, appare interessante il modello seguito dalla Repubblica federale tedesca, che, pur conservando alle Camere la titolarità delle decisioni in materia, ammette, tuttavia, la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale. Per quanto riguarda i tempi della decisione, ferma restando l'autonomia delle Camere di agire nei termini vigenti, potrebbe ipotizzarsi l'introduzione nella normativa costituzionale di un termine ragionevole oltrepassato il quale sia possibile ricorrere direttamente alla Corte costituzionale.
Inoltre, nel «contratto» è prevista la soppressione del CNEL (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro), che nelle intenzioni dei costituenti avrebbe dovuto svolgere funzioni di partecipazione politica delle forze sociali, mediante il riconoscimento in particolare di un potere, invero modesto, di iniziativa legislativa in materia economico-sociale. In realtà, il CNEL è risultato inefficace rispetto a tale obiettivo, che sarà meglio realizzato sia dai nuovi istituti di democrazia diretta sia dalla valorizzazione del ruolo del Parlamento. La sua abolizione risponde alla volontà di innovare le istituzioni, nell'ottica di una maggiore semplificazione e di un coinvolgimento più diretto dei cittadini. Democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono entrambe in grado di dare pienamente voce alle istanze delle forze sociali, consentendo loro di tutelare a livello istituzionale i propri interessi.
Infine, come prevede il contratto, collaborando con i ministri competenti, è utile operare per la riaffermazione del principio per cui i vincoli derivanti al Parlamento italiano in relazione all'ordinamento europeo sono validi in quanto rientrino nelle competenze dell'Unione europea e non siano in contrasto con i princìpi e le libertà fondamentali protetti dalla Costituzione italiana, in linea con quanto già affermato in sede giurisprudenziale. In questa prospettiva, si può sfruttare l'esigenza di una specifica «manutenzione costituzionale» del primo comma dell'articolo 117 della Costituzione, che ancora fa riferimento all'espressione ormai superata di «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario».
È importante sottolineare che al centro del nostro programma c'è l'obiettivo di avvicinare le decisioni politiche ai cittadini. In questa prospettiva, l'impegno per incentivare gli strumenti di democrazia diretta anche a livello regionale e locale è parte integrante del programma delineato dal contratto, che punta a un nuovo trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni e agli enti territoriali e all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Il Governo intende attuare il cambiamento anche nel rapporto con gli enti locali, realtà fondamentali del Paese che per troppi anni sono state penalizzate da politiche miopi. I livelli locali di governo vanno valorizzati e sostenuti con misure adeguate, che possano promuovere soprattutto un coinvolgimento più immediato dei cittadini. In tale contesto, particolare rilievo Pag. 8 assume l'attuazione, con legge dello Stato, delle disposizioni costituzionali di Roma capitale (articolo 114 della Costituzione), che da anni attende di essere completata. Ovviamente su questi temi, che ho citato per offrire il quadro d'insieme delle riforme, vi è una competenza specifica della Ministra per gli affari regionali e le autonomie e il ruolo del Ministro dell'interno, ai quali daremo tutto il nostro supporto e la nostra collaborazione.
Un ultimo impegno che mi è molto caro è quello di migliorare la qualità delle leggi. Meno leggi e più qualità significa un Parlamento che lavora meglio, risponde alla grande domanda di semplificazione che viene dai cittadini e dalle imprese e accresce la fiducia nelle istituzioni. Al Paese serve un'opera di disboscamento normativo seria e radicale, perché la proliferazione di leggi ha prodotto un sistema burocratico che soffoca le energie migliori della società.
In particolare, l'attuazione degli obiettivi di fondo del contratto tesi a semplificare la vita dei cittadini e delle istituzioni, diminuendo drasticamente il numero delle norme ed effettuando un «tagliando delle leggi» (codificazione e provvedimenti cosiddetti taglia leggi), impone di operare a 360 gradi sulla semplificazione e sulla qualità delle leggi, attraverso, in primo luogo, un'azione fortemente coordinata dell'intero Governo e la responsabilizzazione dei ministri competenti per materia, e, in secondo luogo, con un'intensa collaborazione tra Governo e Parlamento, che valorizzi al massimo l'apporto delle Commissioni parlamentari competenti. Infine la consultazione pubblica, anche attraverso strumenti telematici, può divenire un fattore vincente di una nuova qualità delle leggi, coinvolgendo i cittadini e le imprese in tutte le fasi del «ciclo della regolazione». Va considerato, inoltre, che, anche quando si fanno, le consultazioni spesso sono poco visibili e difficili da trovare. Intendo lavorare, in raccordo con i ministri interessati, alla creazione di un portale unico delle consultazioni del Governo, per informare i cittadini sul loro diritto di prendere parte alle decisioni del Governo, stimolare la loro partecipazione, aggregare in un unico sito l'elenco di tutte le opportunità di partecipazione in corso e renderle immediatamente accessibili e ricercabili, e mettere a disposizione delle amministrazioni un software open-source per realizzare le consultazioni. Penso, quindi, a una piattaforma pubblica che possa dare voce ai cittadini, convogliando e invogliando le consultazioni come strumento di ascolto e successiva attuazione della volontà popolare.
Naturalmente gli esiti delle attività di consultazione devono essere messi a disposizione delle competenti Commissioni parlamentari. Ascoltare i cittadini, le imprese e tutti i soggetti interessati, infatti, è indispensabile per migliorare la qualità delle leggi.
In conclusione, sulla base delle linee che ho fin qui tracciato, si delinea con chiarezza il disegno del programma del Governo del cambiamento in materia istituzionale: dare più potere ai cittadini, avvicinare le decisioni ai cittadini, semplificare la vita dei cittadini.
PRESIDENTE. La ringrazio, Ministro Fraccaro. Prima di passare la parola ai colleghi svolgo soltanto talune brevissime considerazioni, una su quest'ultima parte relativa all'eventuale sperimentazione sul lato della digitalizzazione. Sarebbe veramente interessante se questa potesse avvenire sfruttando l'utilizzo della tecnologia blockchain, che darebbe la possibilità di avere un processo molto sicuro, oltre che pubblico e non manipolabile. Penso anche alle votazioni. Ci sono esempi in tanti Paesi, come la Lettonia, che ha digitalizzato gran parte della pubblica amministrazione. Sarebbe interessante se l'Italia avviasse questo tipo di processi.
Per quanto mi riguarda, per il lavoro di questa Commissione, io mi sono già impegnato, sin dal momento in cui sono stato eletto presidente, per la calendarizzazione delle proposte d'iniziativa popolare e, quindi, ribadisco questo mio impegno e lo porterò sicuramente a termine, anche per facilitare gli obiettivi che questo Governo vuole raggiungere.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Migliore.
GENNARO MIGLIORE. Chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori, solo per comprendere bene, in modo tale da poter regolare i nostri interventi. Poiché ritengo che sia indispensabile aggiornarci, penso – questa è la nostra valutazione – che si possa fare un giro di domande con risposta, non un giro di domande in attesa di una risposta che poi venisse dopo. Quindi, eventualmente, ci dica qual è il contingentamento per le domande, in modo tale che abbiamo subito anche le risposte alle domande che poniamo oggi.
PRESIDENTE. Collega Migliore, noi abbiamo mezz'ora di tempo. In realtà, come ho già detto in premessa, pensavo si potessero raccogliere tutte le domande, per poi dare la possibilità al Ministro in un secondo momento di fornire le risposte; però, se abbiamo tempo tutti di intervenire, se gli interventi sono tali e tanti da dare la possibilità poi al Ministro di avere il tempo di dare una risposta, possiamo già oggi completare questa prima parte dell'audizione.
DARIO PARRINI. Io condivido ovviamente la valutazione fatta dal collega Migliore; dal momento che stiamo svolgendo l'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, cerchiamo di fare una cosa diretta, non indiretta. Credo che sia opportuno che lei, presidente, ci dica quanto tempo abbiamo a disposizione per le domande e per le risposte, visto che ci sarà un seguito dell'audizione.
PRESIDENTE. Cerco di chiarire ulteriormente il mio pensiero: al momento noi abbiamo tre iscritti a parlare. Se fossero soltanto questi tre iscritti, il Ministro ha tutto il tempo di fornire anche le risposte. Se tutti decidono di intervenire diventa più difficile, e poi la qualità del dibattito si svilisce di conseguenza.
In ogni modo, per ora procediamo così: visto che ci sono soltanto tre iscritti, facciamo le tre domande e poi il Ministro darà le risposte.
IGOR GIANCARLO IEZZI. Vorrei esprimere una mia opinione sull'intervento del Ministro senza fare domande precise o specifiche. Poi magari mi vengono in mente.
Vorrei capire se è sicuro che ci sarà un secondo giro, allora posso anche fare a meno di intervenire per lasciare spazio alle domande, in modo da dare anche subito spazio alle risposte, altrimenti mi organizzo diversamente.
PRESIDENTE. Come ho già detto in premessa, il secondo giro ci sarà, perché vogliamo che la qualità del dibattito sia la più alta possibile; quindi vogliamo permettere anche al Ministro di fare ulteriori approfondimenti e fornire risposte più esaurienti in un secondo momento.
Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
LOREDANA DE PETRIS. La relazione del Ministro contiene molte questioni. Visto anche il tempo e visto che sono questioni anche molto complesse e delicate, molte delle quali tra l'altro hanno fatto parte di una lunghissima discussione anche in tutta la scorsa legislatura, durante il dibattito che ha accompagnato le riforme costituzionali di allora, cercherò di andare un po’ per punti, sinteticamente.
È evidente che la crisi della democrazia rappresentativa – lo dico al Ministro – dipende anche dal fatto che in tutti questi anni è stata coinvolta seriamente la credibilità delle istituzioni democratiche, il rapporto di fiducia tra i cittadini e tutte le istituzioni e conseguentemente anche la democrazia rappresentativa.
Sugli strumenti di democrazia diretta, su cui siamo, come è noto, ampiamente d'accordo, io pongo tre questioni.
Sulle leggi di iniziativa popolare, al Senato – come lei ha ricordato, si può anche agire benissimo attraverso le modifiche dei regolamenti, perché il regolamento del Senato si può a mio avviso anche ulteriormente migliorare, al fine di dare certezza – è stato introdotto l'obbligo di esame di tali proposte di legge, che prima non era previsto. Ovviamente, al di là dei regolamenti, sarebbe importante intervenire però anche con altre modifiche. Pag. 10
Io condivido l'approccio, Ministro, di procedere con interventi molto limitati e omogenei, perché sono quelli su cui i cittadini eventualmente possono avere – così come noi parlamentari, nell'ambito della nostra discussione – più capacità di discernimento quando si tocca la Carta costituzionale. Tra l'altro, vorrei ricordare che anche questo argomento è emerso nel nostro dibattito, anche grazie al contributo di moltissimi costituzionalisti, che hanno sempre invitato a non fare grandi disegni, ma a fare interventi puntuali e omogenei.
Quanto alla questione dei referendum, a mio avviso il referendum propositivo, che è uno strumento importante, potrebbe essere strettamente collegato – chiedo al Ministro che cosa ne pensa – alle leggi d'iniziativa popolare. In che senso? Se entro un certo arco di tempo, nonostante la previsione dei regolamenti, il Parlamento non esamina o fa finta di esaminare – cioè si giunge all'esame dell'Assemblea, ma si fa tornare il provvedimento nei cassetti – credo si possa prevedere uno stretto collegamento con le proposte di legge d'iniziativa popolare, che in un certo senso sono sempre state forme di referendum propositivo, cioè di proposizione, di partecipazione in prima persona dei cittadini alla costruzione del processo legislativo. Chiedo, quindi, che cosa pensa il Ministro di questo.
L'altra questione riguarda l'abolizione del quorum. È evidente che, quando il quorum è stato introdotto dai padri e dalle madri costituenti, aveva certamente un senso. Stiamo parlando di una partecipazione altissima sia al primo referendum tra Repubblica e Monarchia sia alle elezioni, e fino a qualche anno fa l'Italia era un Paese in cui comunque la partecipazione alle elezioni, ma anche agli stessi referendum, era molto alta. Col tempo, così come è andato avanti un processo che ha riguardato la credibilità delle istituzioni, si è ridotta sempre più la partecipazione.
Il problema del quorum è che col tempo esso è diventato uno strumento di agitazione per far fallire il referendum. Da molte forze politiche, ma non solo da forze politiche, è stato utilizzato – richiamo ad esempio il caso della legge n. 40 del 2004 – per non affrontare, per non far decidere i cittadini, per non assumersi fino in fondo responsabilità. L'astensione è stata utilizzata, e quindi il quorum, di fatto, per far fallire i referendum. Abbiamo avuto l'ultimo caso con il referendum sulle trivelle. Sappiamo, non devo aggiungere altro.
Credo che sia assolutamente giusto lavorare sulla questione del quorum, su cui ci possono essere – lo dico volgarmente – due variabili: l'abolizione totale, su cui magari ci può essere dello scetticismo; oppure si può prevedere per il quorum il 50 per cento +1 rispetto, per esempio, all'ultima percentuale di affluenza alle elezioni, soluzione che può essere un modo per «calibrare».
Arrivo all'ultima questione, ancor più delicata, che riguarda la proposta di riduzione del numero dei parlamentari.
Anche qui, il dibattito è vecchio, ognuno di noi ha le sue opinioni. Sono state depositate delle proposte di legge di riduzione, una a mia firma nella scorsa legislatura, anche molto drastica, ma qui arriva la mia domanda. Sono un po’ sconcertata, Ministro, dalle sue affermazioni. Una riduzione del numero dei parlamentari, a mio avviso, deve determinare l'introduzione di una legge elettorale caratterizzata da un sistema proporzionale puro, perché si pone un problema di rappresentanza vera delle minoranze.
Nel Rosatellum attuale – facevo prima una battuta al mio collega – al Senato valgo 280.000 voti, lui ne vale 30.000, non che ne valga come peso, ma nel senso delle storture che questa legge ha prodotto. Andate a vedere proprio i numeri relativi al livello di rappresentanza
È evidente che, quando si opera, a mio avviso, con una riduzione del numero dei parlamentari, si deve tener presente che non ci si può mantenere il Rosatellum attuale, limitandosi a proporre una mera modifica tecnica. Poiché lei mi pare abbia parlato, essendo questo tema estraneo al contratto di governo, dell'intenzione di mantenere «in eterno» il Rosatellum, con qualche aggiustamento tecnico, ovviamente io le chiedo di spiegare bene esattamente come volete agire su questo versante. Torno a Pag. 11ripetere che quella riduzione deve portare, a mio avviso, ad un sistema elettorale proporzionale puro.
GENNARO MIGLIORE. Ci sono molti spunti e anche alcune dimenticanze nell'intervento del Ministro. Vorrei innanzitutto fare una riflessione su quello che è accaduto oggi, essendo il Ministro titolare anche dell'incarico per i rapporti con il Parlamento.
Abbiamo assistito a una situazione nella quale, più che di democrazia diretta, si è manifestata una volontà del Governo di ignorare completamente il Parlamento. Desidero segnalare, attraverso di lei, al Presidente del Consiglio che il Ministro Bonafede, al quale più volte è stato richiesto di intervenire per chiarire gli argomenti di cui stavamo parlando, non solo non si è presentato, e avrebbe potuto tranquillamente fin dall'inizio delegare il sottosegretario competente, ma è intervenuto nel merito via Facebook, fornendo una risposta attraverso quello che non credo che sia uno degli strumenti che lei immagina come espressione della democrazia diretta. Le voglio segnalare, nella sua qualità di Ministro per i rapporti con il Parlamento, che si tratta di un vulnus che abbiamo trovato molto pesante e che ovviamente non abbiamo mancato di segnalare anche durante il dibattito.
Per quanto concerne gli argomenti da lei trattati, ci riserviamo di svolgere un ulteriore approfondimento nel corso del seguito dell'audizione, anche perché la sua delega la porta inevitabilmente a essere a stretto contatto con il Parlamento e con questa Commissione.
Innanzitutto, però, lei ha detto che c'è un percorso di legislatura, ma vorremmo sapere quali sono i tempi e le cadenze con cui il Governo intenderà presentare queste proposte e se, come a me sembrerebbe anche del tutto naturale, ci possano essere su determinati argomenti proposte di iniziativa parlamentare. È infatti abbastanza singolare che, soprattutto per le materie riguardanti le competenze specifiche del Parlamento, sia il Governo ad annunciare le proposte di revisione. Capisco se lei parla a nome della sua forza politica. Lo capisco meno dal punto di vista del Governo.
Peraltro, è proprio stato il suo Gruppo, nel corso della precedente legislatura, a contestare il fatto che le riforme costituzionali fossero proposte anche dalla sede governativa, e quindi non, in autonomia, dalla sede parlamentare. Dunque, non avendo alcuna obiezione, vorrei però comunque capire dal punto di vista del principio come si evolve questo tipo di tempistica.
Inoltre, su alcuni punti ritengo necessario un approfondimento specifico. Non riesco a comprendere, per esempio, quale possa essere, visto che c'è stato un ampio riferimento al modello svizzero, questa sorta di competenza concorrente tra leggi approvate dal Parlamento e referendum proposti su singole materie.
L'idea che vi possa essere una specie di bilanciamento, per quanto mi riguarda, non aiuta né il procedimento legislativo né la partecipazione diretta. Peraltro, la inviterei, visto che non siamo nella sede di un dibattito politico, a non utilizzare l'espressione «Terza Repubblica», o, eventualmente, a precisare che cosa intende con tale espressione. Per quanto mi riguarda, non esiste la Terza Repubblica in ragione di un risultato elettorale. Esistono dei vincitori, esistono degli sconfitti, ma non è che si cambiano le istituzioni della Repubblica sulla base di una volontà soggettiva.
In questo senso, in relazione all'individuazione di alcuni, che sicuramente saranno interessanti anche per noi, strumenti di maggiore partecipazione dei cittadini, riteniamo che questi vadano regolati nell'ambito delle prerogative costituzionali, che peraltro fin dall'articolo 1 attribuiscono certamente la sovranità al popolo, ma nei limiti stabiliti dalla Costituzione stessa.
Il punto è che, in merito alla nostra intenzione di rafforzare gli strumenti di partecipazione, alcuni dei quali certamente possono essere utili, come quello del portale unico – lei faceva riferimento all'Estonia, non alla Lettonia, è l'Estonia che ha fatto una serie di innovazioni dal punto di vista tecnologico molto interessanti – sul piano della modifica delle prerogative di questo Parlamento e dell'Istituzione che deve legiferare penso che si debba avere la Pag. 12cautela e la profondità del ragionamento che non affidi semplicemente a dichiarazioni di principio quest'esigenza.
PRESIDENTE. Se ho detto Lettonia, è stato un mero errore.
GIANLUCA PERILLI. Ringrazio il Ministro Fraccaro per aver illustrato queste linee programmatiche in tema di democrazia diretta.
È evidente che, a fronte di un'illustrazione, sia dovere di ognuno, e anche diritto, esprimere un giudizio, e poi anche porre qualche domanda.
Mi sono occupato e mi occupo di questi temi, e ritengo che le linee programmatiche siano molto avanzate. Torno su un'espressione che è stata utilizzata prima, sulla quale vi è stato a mio avviso un equivoco: quando si parla di Terza Repubblica, si intende un cambiamento, si segna il cambiamento. Si chiama Governo del cambiamento. E mi sembra che su questo tema non ci siano né vincitori né vinti, e anzi la democrazia diretta, se la vogliamo vedere sotto quest'aspetto, serve proprio a valorizzare tutte le possibilità che possano consentire a coloro i quali in una determinata tornata elettorale hanno perso le elezioni di recuperare, qualora lo ritengano.
Lo giudico un progetto di valore. Uso proprio il termine «progetto» perché guarda a tanti aspetti, ma non in una maniera drammatica e di impatto. L'obiettivo di coniugare democrazia rappresentativa e diretta è molto maturo. Eliminare i leader, tra l'altro in un concetto, quello di democrazia, che non ammette generalmente declinazioni rispetto alla sua stessa essenza – sono puramente scientifiche o anche giuridiche, perché servono per poter avanzare dei modelli – è molto maturo.
In tema di democrazia partecipativa, ad esempio, non si può fare a meno della democrazia rappresentativa, ma è giusto potenziarne i valori, gli aspetti sicuramente significativi ed eliminarne i difetti, le famose derive che sono state individuate, perché ci sono. Evidentemente, possiamo anche non tornare alla visione di Rousseau, che era radicale dicendo che esiste solo la democrazia diretta perché la volontà è unica e o si rappresenta quella o gli altri invece non rappresentano, ma si possono declinare in maniera tale da poter effettivamente riportare, come è stato dimostrato, la volontà popolare.
Mi sembra che si tocchino tutti gli aspetti, che vanno dalla valorizzazione dell'iniziativa legislativa popolare al referendum propositivo, che deve distinguersi da quello già previsto dagli statuti regionali, che non ha la stessa ampiezza e l'efficacia che qui si delinea. È stato affrontato il tema di come scoraggiare il trasformismo. C'è anche il tema della maturità nell'utilizzazione degli strumenti, ovvero alcune modifiche sono, come si dice, a Costituzione invariata, si utilizza la legislazione ordinaria, altre volte i regolamenti. Si ha l'impressione che chi ha pensato negli anni questi strumenti, attraverso la voce del Ministro Fraccaro, e lui stesso, abbiano tenuto presente il contesto e le modalità con cui queste modifiche devono essere apportate, venendo da una stagione, da una precedente legislatura, in cui si è stravolta la Costituzione senza preoccuparsi degli effetti di tali interventi e degli strumenti utilizzati. Questo per me è segno di maturità.
Allo stesso modo, non trovo sconcertante, ad esempio, come il Ministro ha indicato, che laddove si vada a ridurre il numero dei parlamentari per una maggiore efficienza, lo si faccia facendo riferimento a una modifica della legge elettorale mirata e delimitata.
Ministro Fraccaro, intendo richiamare l'attenzione solo su due aspetti, integrativi di queste linee programmatiche.
Il primo riguarda la questione del referendum, ovvero non solo la questione dell'abolizione del quorum e gli interventi volti a potenziare l'istituto, ad esempio in materia di agevolazione della raccolta delle firme, ma anche quelli volti a dare attuazione all'esito della consultazione.
Abbiamo assistito al fatto che è stato superato con la legislazione ordinaria il cosiddetto «vincolo referendario». L'esempio è il referendum del 2011 in materia di privatizzazione di servizi pubblici locali, in riferimento al quale una sentenza della Pag. 13Corte costituzionale, la n. 199 del 2012, ha richiamato il legislatore al dovere e all'obbligo di non stravolgere l'esito referendario laddove abbia deciso alcunché di segnatamente importante per le istituzioni.
Questo è un tema importante. Rafforzare l'esito referendario e far sì che esso sia mantenuto e che non sia contraddetto dalla successiva legislazione, è una preoccupazione che non riguarda lo strumento in sé e neanche la sua efficacia.
L'istituto referendario, come altri istituti, ad esempio la legge d'iniziativa popolare, possiamo dire che siano episodici, sostanzialmente legati a determinate iniziative, che possono svilupparsi attorno a determinati temi.
Un tema, sul quale intendo soffermarmi e che si ricollega alla parte dell'intervento del Ministro relativa all'esigenza di avvicinare i cittadini alle decisioni pubbliche e politiche, è quello della democrazia partecipativa: introdurre una consultazione permanente in fase di istruttoria che consenta ai cittadini di essere coinvolti nei procedimenti – siano essi legislativi, amministrativi, relativi a deliberazioni su grandi opere – nel percorso che porta alla decisione pubblica.
In questo modo, gli interessi vengono contrapposti con grande consapevolezza e vengono condivise le dovute informazioni, affinché i cittadini possano seguire l'istruttoria ed, eventualmente, mostrare gli elementi di disaccordo con quella decisione, che comunque dovrà essere assunta, nell'esercizio della discrezionalità amministrativa. Se, però, ci si discosterà dalla decisione, dall'opinione delle persone coinvolte e dei cittadini, ci sarà comunque un obbligo di motivazione, in maniera tale che a regime questo modo di coinvolgimento sia il segnale di una continuità nello scambio di informazioni tra cittadini e organismi pubblici e non venga deciso dall'alto alcunché.
Segnalo, quindi, l'esigenza di queste integrazioni alle linee programmatiche.
PRESIDENTE. Siccome ci rimangono soltanto otto minuti, darei la parola al Ministro Fraccaro per un primo giro di risposte, poi riprendiamo nella prossima seduta con gli interventi dei colleghi Ceccanti, Zanda, Magi e Invernizzi, che si sono già iscritti a parlare.
RICCARDO FRACCARO, Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. Cercherò di dare delle risposte brevi e puntuali.
In merito al blockchain digitale ritengo che il digitale non sia un fine, ma sia un possibile mezzo, uno strumento. Come tutti gli strumenti, può essere utilizzato bene o male, è un'opportunità. Sicuramente, il mondo del digitale oggi amplia enormemente le possibilità di partecipazione e di coinvolgimento.
È un mondo per lo più ancora inesplorato, e applicare il digitale in maniera immediata, radicale, totale, totalizzante, al mondo della partecipazione, oggi sarebbe, a mio avviso, un errore, proprio perché quello della partecipazione e della democrazia è un tema estremamente delicato e va affrontato non solo con una consapevolezza degli effetti dello strumento, ma anche con una cultura di base, una conoscenza di base dello strumento, una capacità di utilizzare lo strumento. Oggi, in Italia, il digital divide è molto ampio, e applicare questi strumenti significa andare verso un campo inesplorato. Pensiamo solo al numero di firme necessarie: probabilmente, potrebbe cambiare notevolmente, e ancora non ci sono dei dati per quantificare il cambiamento che ciò richiederebbe. Va però considerato anche il quantitativo di persone che taglieremmo fuori dal sistema applicando il digitale tout court.
È, però, il futuro, quindi sarebbe poco lungimirante da parte del Governo e delle istituzioni non iniziare questo percorso. Perciò l'indicazione che viene dal Governo, e che posso dare al Parlamento, è quella di iniziare una sperimentazione, partendo magari da quelle forme di partecipazione non vincolanti, iniziando a rendere sempre più pregnante quest'uso senza grossi impegni iniziali e permettendo ai cittadini di iniziare a maneggiare con più consapevolezza questo strumento.
Il nostro gap rispetto ad altri Paesi nell'utilizzo degli strumenti di partecipazione diretta e indiretta è talmente ampio ed è tanto Pag. 14il lavoro da colmare, che abbiamo molto da fare prima di arrivare a una digitalizzazione del sistema di partecipazione. Ovviamente, però, sarebbe imprudente non iniziare la sperimentazione di questo sistema.
Apprezzo molto l'intervento della senatrice De Petris. Mi fa piacere sapere che ci sono forze politiche oggi all'opposizione che comunque mi sembra di capire possano portare un valido contributo per l'elaborazione di queste riforme.
Mi fa piacere sapere che è condivisa anche l'intenzione, su cui ci siamo confrontati nella scorsa legislatura, di fare interventi puntuali.
Quanto alle osservazioni sul referendum propositivo, in particolare sulla possibilità di collegarlo con l'iniziativa legislativa popolare, ci sono vari modi per ipotizzare una connessione, per esempio nella raccolta delle firme. È possibile che si inizi un iter di raccolta delle firme per arrivare a quello che potrebbe essere lo strumento più efficace, cioè il referendum propositivo, perché è un uno strumento vincolante, ma se le firme raccolte non sono sufficienti permettere la trasformazione di quello che doveva essere un referendum propositivo in una legge di iniziativa popolare potrebbe essere un incentivo.
Tra l'altro, il referendum propositivo all'estero non c'è. Non si chiama referendum propositivo. Si parla di iniziativa, proprio perché ciò che conta non è tanto l'esito (il referendum è l'esito), ma il percorso: all'estero non si chiama referendum perché il referendum è ciò che si fa alla fine del percorso.
Quello che inviterei tutti a fare nell'approfondire l'eventuale modifica costituzionale è proprio concentrarsi su quale idea di percorso abbiamo. La democrazia è metodo. Se il metodo è trasparente, partecipato, tale che, anziché favorire le decisioni «di pancia», favorisce una decisione consapevole – sono problemi della democrazia sia diretta sia rappresentativa – potremmo portare qualcosa di positivo al Paese.
Relativamente al quorum, tendenzialmente si richiede per il quorum una percentuale certa. Anche a livello internazionale, se leggiamo i lavori, la dottrina, la giurisprudenza, il quorum tende a essere più efficace se è previsto un quantum preciso. Quando si prevede un quorum legato alle ultime elezioni, si determinano delle modifiche costanti e sostanzialmente indeterminabili. Potremmo avere, pensando a un quorum legato al 50 per cento dell'ultima elezione, che chi ha raccolto le firme l'anno prima si trova il quorum del 40 per cento, mentre chi le ha raccolte l'anno dopo si trova il quorum magari del 30 per cento o del 20 per cento. Non trovo nemmeno molto ragionevole – ma approfondiremo tutte le possibili prospettive che vorrete delineare, tutti i suggerimenti ragionevoli – legare la partecipazione a un'elezione per i rappresentanti del popolo a una votazione che riguarda una singola materia, che dovrebbe prescindere tra l'altro dalla preferenza politica dell'elettore. Peraltro, se, come mi auguro, la partecipazione è ampia, poi si ripresenta lo stesso problema: il quorum sale e diventa un disincentivo alla partecipazione e può essere utilizzato dal Governo o da chi ha il potere in quel momento. Ovviamente, se i cittadini propongono un referendum, è perché chi li rappresenta in quel momento non sta affrontando quella materia, o non la sta affrontando in maniera adeguata. A quel punto, il quorum diventa lo strumento per chi ha il potere per far «decadere» o rendere inutile quel referendum. Ne abbiamo visti tanti di esempi – non li vorrei citare – in questi anni!
Quando si parla di democrazia diretta, emergono delle preoccupazioni serie, ma che riguardano la democrazia in generale. Quando si tratta della democrazia rappresentativa le stesse preoccupazioni non vengono enunciate. Non vengono fatte emergere dai rappresentanti del popolo quando riguarda loro stessi, ma solo quando riguarda la partecipazione diretta dei cittadini.
In relazione al quorum, per esempio, nessuno si preoccupa del fatto che il quorum non c'è alle elezioni politiche. Abbiamo già avuto elezioni a livello regionale nelle quali si è recato a votare meno del 50 per cento della popolazione e si è eletto un Consiglio che deve decidere per cinque anni su una enorme quantità di materie, non su una singola Pag. 15 materia. Quelle persone elette con meno del 50 per cento dei voti degli aventi diritto governano per il 100 per cento dei cittadini, e non si solleva il problema.
La problematica si solleva quando si chiede il referendum, ma, se togliamo il quorum, responsabilizziamo i cittadini, e i cittadini poi vanno a votare, come alle elezioni politiche, perché sanno che altrimenti decide qualcun altro per loro.
Quanto al tema della riduzione del numero dei parlamentari e della legge elettorale, comprendo come si tratti di un tema estremamente delicato. Mi permetto di offrirvi uno spunto puramente personale.
La legge elettorale – anche quando ero fuori dalle istituzioni e non ero in Parlamento – l'ho sempre percepita come uno dei più grandi conflitti di interesse. I parlamentari decidono di fatto come farsi rieleggere, e infatti la legge elettorale è un elemento estremamente particolare. Tra l'altro, il Codice di buona condotta in materia elettorale elaborato dalla Commissione di Venezia consiglia di non approvare la legge elettorale in prossimità delle elezioni, cosa che invece avviene quasi sistematicamente.
In Italia poi abbiamo anche creato una prassi per cui si fa la legge elettorale che magari è incostituzionale, non c'è il tempo per sottoporla alla Corte costituzionale, quindi i parlamentari sono eletti con una legge incostituzionale, la Corte si esprime sull'incostituzionalità, ma ormai il principio di continuità fa sì che quei parlamentari rimangano in carica. Si sta creando un circuito non certamente virtuoso.
Quello che voglio dire è questo: non che non si debba fare una legge elettorale, ma che il Governo ha degli obiettivi di riforma, ad esempio la riduzione del numero dei parlamentari. Però questo non significa, anche per la centralità del Parlamento, che il Parlamento, se trova una maggioranza e un accordo politico, non possa affrontare la riforma elettorale.
Certo, il Governo in questo momento, se vuole garantire la centralità del Parlamento, non può fare altro che intervenire in maniera semplicemente pragmatica, applicando meccanicamente le conseguenze della riduzione del numero dei parlamentari all'attuale legge elettorale, che secondo il mio punto di vista presenta delle enormi problematicità.
Per quanto riguarda le osservazioni del collega Migliore sugli eventi dell'Aula, non credo che sia questa la sede per trattarne, ma ovviamente ho recepito le sue osservazioni.
Quanto ai tempi, che forse era la vera domanda, si parla di centralità del Parlamento, di garantire – anche lei l'ha sottolineato – che il Governo non sia «invadente» rispetto alle forme costituzionalmente previste, e se io dettassi dei tempi in questo momento sarei invadente rispetto all'autonomia del Parlamento. Non mi sottraggo, però, nemmeno a valutare la situazione. Auspico che il dibattito possa iniziare su questi temi già dopo la pausa estiva. Mi sembra che le Commissioni siano cariche di provvedimenti, che tra l'altro abbiamo ereditato dal Governo precedente, dalla legislatura precedente. Mi auguro che si possa partire subito dopo la pausa estiva nell'analizzare i testi. Poi saranno le Commissioni e l'Aula a dettare, credo, i tempi molto meglio del Governo.
Quanto al modello svizzero, sono state manifestate alcune perplessità su come integrare la proposta dal «basso» e la proposta del Parlamento.
Un po’ mi sorprende la domanda. Il tema è molto semplice. Ritorno alla necessità di puntare al procedimento.
Nel modello svizzero c'è un elemento che ho sempre pensato molto costruttivo: nel momento in cui sono i cittadini a proporre una legge, un testo normativo, la maggioranza – poi possiamo approfondire le modalità, possiamo fare delle analisi – può sottoporre a referendum anche una sua controproposta, in modo che i cittadini possono scegliere tra la proposta del Parlamento, spinto a intervenire proprio dall'iniziativa dal «basso», e la proposta dei cittadini.
Nella prassi ormai consolidata in Svizzera e negli altri Paesi spesso i cittadini scelgono quella parlamentare, perché magari è più approfondita, però i cittadini hanno costretto il Governo e il Parlamento a dibattere sul tema e a prendere posizione, su un argomento che magari in quel Pag. 16momento non volevano affrontare per dinamiche interne (in Italia abbiamo molti esempi di questo tipo negli ultimi venti o trent'anni).
Quanto alla democrazia partecipativa, la partecipazione dei cittadini o delle organizzazioni rappresentative in realtà è prevista anche nelle leggi italiane. Quando andiamo a vedere le regole che disciplinano come si dovrebbe scrivere una legge, già l'attenzione si concentra sul coinvolgimento e l'ascolto di tutti i soggetti interessati, i cosiddetti stakeholder. Certo, sulle modalità possiamo lavorare intensamente. La piattaforma per la consultazione va in questa direzione. Sono disponibilissimo, come Governo, a raccogliere tutti i suggerimenti che provengono dai singoli parlamentari e dalle singole forze politiche in tal senso.
La democrazia partecipativa è estremamente importante; ciò che, però, manca oggi in Italia sono, sì, alcuni strumenti di democrazia partecipativa, ma anche il loro completamento con quella diretta. Qual è la differenza?
La democrazia diretta a un certo punto pone un vincolo al rappresentante. Abbiamo già tanti strumenti di democrazia partecipativa. Di fatto, la legge di iniziativa popolare è uno strumento di partecipazione dal basso, perché porta un'iniziativa, un'istanza in Parlamento. Il problema è che, se i rappresentanti del popolo non hanno poi un vincolo a rispondere, com'è avvenuto in questi anni, si crea frustrazione. Noi possiamo anche creare nuovi strumenti di democrazia partecipativa, ma se poi chi deve rappresentare quei cittadini li fa partecipare e non li ascolta, come è successo in questi anni, aumenta la disaffezione.
Il nostro obiettivo è dare anche degli strumenti vincolanti. Tra l'altro, non è una rivoluzione italiana. Avviene già in molti Paesi occidentali. Il referendum propositivo, che si chiama in altro modo, esiste quasi nella metà degli Stati Uniti d'America. Non è un'innovazione di questo Governo. Semplicemente, abbiamo cercato di individuare le migliori pratiche a livello internazionale.
Nel chiedere scusa alle Commissioni faccio presente di non potermi trattenere oltre, in quanto debbo recarmi al Senato.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Fraccaro per questa prima parte dell'audizione. Seguirà, ovviamente, un secondo appuntamento in cui potremo approfondire i temi in discussione.
Chiede di intervenire l'onorevole Parrini, al quale, anche se non c'è più il Ministro, do la parola.
DARIO PARRINI. Glielo potrà riferire. Intervengo sull'ordine dei lavori.
Non so se c'è già una nuova data fissata per il seguito dell'audizione. Penso di interpretare il pensiero di tutti dicendo che sarebbe opportuno che fosse una data ravvicinata, altrimenti si perde il senso d'insieme.
PRESIDENTE. D'accordo, ci adopereremo in tal senso.
DARIO PARRINI. Confido in lei.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro per l'esauriente relazione svolta e rinvio il seguito dell'audizione a una seduta che sarà definita d'intesa con il Presidente della 1a Commissione del Senato.
La seduta termina alle 14.55.