Sulla pubblicità dei lavori:
Rotta Alessia , Presidente ... 3
Audizione del Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sulla partecipazione dell'Italia alla 26
a
Sessione della Conferenza delle Parti (COP26) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC) e sugli esiti dei negoziati
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento)
:
Rotta Alessia , Presidente ... 3
Cingolani Roberto , Ministro della transizione ecologica ... 4
Rotta Alessia , Presidente ... 13
Fregolent Silvia (IV) ... 14
Rotta Alessia , Presidente ... 15
Nugnes Paola ... 15
Muroni Rossella (Misto-MAIE-PSI-FE) ... 15
L'Abbate Patty ... 16
Patassini Tullio (LEGA) ... 17
Ferrazzi Andrea ... 18
Rotta Alessia , Presidente ... 19
Gallone Maria Alessandra ... 19
Cingolani Roberto , Ministro della transizione ecologica ... 20
Braga Chiara (PD) ... 27
Garavini Laura ... 28
Lucchini Elena (LEGA) ... 29
Rotta Alessia , Presidente ... 30
Moronese Vilma , presidente della 13a Commissione del Senato della Repubblica ... 30
Buccarella Maurizio ... 30
Quarto Ruggiero ... 31
Rotta Alessia , Presidente ... 31
Cingolani Roberto , Ministro della transizione ecologica ... 31
Rotta Alessia , Presidente ... 34
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DELLA VIII COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
ALESSIA ROTTA
La seduta comincia alle 10.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Audizione del Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sulla partecipazione dell'Italia alla 26a Sessione della Conferenza delle Parti (COP26) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC) e sugli esiti dei negoziati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, dinanzi alle Commissioni VIII Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati e 13a Territorio, ambiente, beni ambientali del Senato, del Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sulla partecipazione dell'Italia alla 26a Sessione della Conferenza delle Parti (COP26) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC) e sugli esiti dei negoziati.
Ringrazio il Ministro per aver sollecitamente risposto all'invito delle Commissioni e saluto la presidente Moronese, i senatori e i deputati presenti e collegati da remoto.
Ricordo preliminarmente che la COP26 tenutasi a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre scorsi si è svolta sotto la co-presidenza del Regno Unito e dell'Italia, e la delegazione governativa – come di consueto – è stata integrata da una delegazione di deputati e senatori della Repubblica, in qualità di osservatori. In quell'occasione si è altresì riunita anche l'Unione interparlamentare che ha dato seguito all'iniziativa di carattere parlamentare – la «preCOP26 di Roma» dello scorso 8 e 9 ottobre.
Entrambi gli eventi hanno prodotto documenti finali di grande rilievo su temi estremamente impegnativi legati alla lotta all'emergenza climatica. Gli Stati e i loro Parlamenti sono chiamati a fornire un contributo comune per realizzare azioni concertate ed incisive a livello mondiale. Allo stesso tempo gli accordi sottoscritti, nonché gli impegni e le scelte negoziali assunti in quella sede da ciascun Paese, investono in modo cruciale pressoché l'intero spettro delle politiche pubbliche nazionali e sovranazionali.
Sulla base di tali considerazioni auspico che l'odierna audizione, concordata nell'incontro tra la delegazione parlamentare e il Ministro a Glasgow proprio durante la fase più calda dei negoziati, costituisca il primo di una serie di appuntamenti periodici in cui sviluppare un dialogo istituzionale sulle scelte strategiche che dovranno accompagnare l'attuazione dei suddetti impegni. Ciò al fine di consentire un confronto di ampio respiro su temi che rivestono un'importanza epocale e che come tali sono percepiti dall'opinione pubblica, soprattutto dalle giovani generazioni.
Prima di cedere la parola al Ministro, comunico che per un ordinato svolgimento del dibattito, le presidenze hanno convenuto di assegnare un tempo di 10 minuti a ciascun gruppo, suddiviso tra le due Commissioni, invitando quindi i colleghi a contenerePag. 4 i propri interventi in un massimo di 5 minuti. Ulteriori interventi saranno ammessi se compatibili con i tempi da riservare alla replica del Ministro.
Invito quindi i colleghi a comunicare le richieste di intervento alla presidenza. Do subito la parola al Ministro Cingolani per lo svolgimento della sua relazione.
ROBERTO CINGOLANI, Ministro della transizione ecologica. Grazie presidente. Vi ringrazio per questa opportunità. Io ho organizzato un documento suddiviso in tre parti. La prima è un'analisi abbastanza generale e più qualitativa degli esiti del lavoro fatto alla COP, di circa quattro pagine e mezzo. Poi vi è una descrizione puntuale degli esiti del negoziato che è leggermente più tecnica e sono solo due pagine. Infine, a livello di appendice, vi è una pagina e mezza che riguarda altri accordi accessori che sono stati siglati al di fuori della COP, ma nel medesimo periodo.
Come ricorderete, questo è stato un anno, dal punto di vista internazionale, abbastanza impegnativo per il Paese, perché con la presidenza del G20 l'Italia nel settore energia e ambiente, che per la prima volta è stato riunificato nel G20, ha cominciato un percorso a luglio a Napoli che poi è continuato negli appuntamenti pre Cop, nello Youth for Climate, l'evento dei giovani attivisti internazionali a Milano e che, infine, si è concluso con la nostra co-organizzazione, la nostra co-partnership per la COP26 di Glasgow che oggi è l'oggetto della nostra discussione.
Si è parlato molto degli accordi raggiunti a Glasgow. Probabilmente non è particolarmente utile speculare sul fatto che sia stato un successo o meno, ma è fuori dubbio che sia stato un momento importante per la comunità internazionale, in quanto si è potuto discutere dei problemi e delle soluzioni per affrontare il cambiamento climatico, facendo leva sul percorso politico e diplomatico che è stato disegnato dall'Italia in qualità di presidente del G20.
È chiaro che il G20 rappresenta le economie più grandi, ovvero circa 4,8 miliardi di persone che producono oltre l'80 per cento dei gas climalteranti e quindi ha un impatto enorme su questi temi. La COP26 quest'anno era aperta a 197 Stati sui circa 208 Stati del pianeta. Sono rappresentati nel mondo della COP altri 3 miliardi di abitanti del pianeta che danno un contributo piccolissimo ai gas climalteranti, ma nello stesso tempo sono quelli che pagano il prezzo più alto di tutti gli eventi estremi che discendono dal cambiamento climatico.
È importante sottolineare che cosa sia la COP e non fraintendere il suo spirito e la sua missione. La COP è in grado di offrire alla comunità internazionale una risposta globale alle questioni della crisi climatica. È un processo multilaterale intergovernativo e ha tutti i limiti e tutti gli aspetti positivi che sono associati alla sua natura così gigantesca. Il suo scopo primario è quello di mettere allo stesso tavolo molti Paesi, quest'anno 197, con priorità e richieste molto diverse, creando lo spazio adatto per favorire l'accordo sulle soluzioni incrementali.
In questo senso penso che si possa affermare che la COP26 abbia raggiunto dei risultati buoni. Il patto sul clima di Glasgow delinea il processo per accelerare l'ambizione sulla mitigazione, l'adattamento, le perdite, i danni e la finanza per il clima. Questi erano i punti fondamentali: mitigare gli effetti del cambiamento climatico, adattarsi al cambiamento climatico, trattare il loss and damage, le perdite e i danni, che sono soprattutto un problema dei Paesi più vulnerabili e portare avanti i discorsi sulla green finance, la finanza per il clima.
Nel corso della Conferenza abbiamo completato i negoziati sul Libro delle Regole di Parigi con decisioni che sono state adottate da tutti i Paesi presenti e che regolano i mercati del carbonio, i tempi, la presentazione e l'aggiornamento dei contributi volontari nazionali per la riduzione delle emissioni, i cosiddetti NDC (nationally determined contribution) e il regime della trasparenza per monitorare, verificare e riportare i processi ottenuti nelle azioni climatiche.
Questo è uno sviluppo di regole che sarebbe stato impensabile solo due anni fa. Da un certo punto di vista è un aspetto estremamente positivo di quanto verificatosi a Glasgow e da un altro punto di vista, Pag. 5come vedremo nel prosieguo di questa discussione, è stato ritenuto insoddisfacente soprattutto dai Paesi più vulnerabili, che in questo momento vedono alzarsi il conto degli eventi estremi connessi al cambiamento climatico.
La COP ha risposto, dopo diversi anni di forte dibattito, all'appello della scienza, riconoscendo il valore della richiesta del rapporto dell'IPCC (Intergovernmental panel on climate change) di colmare il divario esistente tra le emissioni attuali e le riduzioni necessarie per mantenere la temperatura media globale a 1,5 gradi in più rispetto al livello preindustriale. A tale scopo ha istituito un programma di lavoro per aumentare l'ambizione della mitigazione che sarà soggetto di valutazione nella COP27.
Specificatamente si è deciso di sollecitare i Paesi che non li hanno comunicati a presentare i Nationally Determined Contribution con un orizzonte temporale al 2030 congiuntamente a strategie di lungo termine prima della COP27 ed è stato deciso di chiedere a tutti i Paesi di rafforzare gli NDC al 2030 come passo necessario per allinearsi con l'obiettivo di temperatura dell'Accordo di Parigi entro la fine del 2022.
Giusto per ricordare, nel 2015 l'Accordo di Parigi aveva sancito massimo due gradi di riscaldamento globale nella seconda metà del secolo. Questo non era particolarmente ben accetto e ben digerito soprattutto dalle grandi economie dell'Est come la Cina e l'India, che hanno popolazioni molto grandi e trasformazioni energetiche, industriali ed ecologiche molto complesse da portare avanti.
A luglio durante il G20 vi è stata una lunga discussione relativamente al fatto che bisognasse aumentare l'ambizione. In quel momento fu un ottimo risultato il fatto che i grandi Paesi seduti al tavolo avessero riconosciuto che questo fosse un oggetto di discussione. Poi vi è stato il rapporto dell'IPCC che ha dimostrato che siamo in ritardo rispetto alla tabella di marcia, accelerando il senso di urgenza e soprattutto il bisogno di una sfida più ambiziosa di tenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi e non a 2 per la seconda metà del secolo.
Di questo aspetto dobbiamo essere particolarmente contenti, perché effettivamente è legato al lavoro svolto durante la preparazione della ministeriale di Napoli che abbiamo presieduto. È grazie proprio a quel lavoro di negoziazione e di dialogo costruttivo che abbiamo portato avanti a Napoli sia a livello tecnico che a livello politico che, dopo anni di controversie nell'ambito di UNFCCC delle Nazioni Unite, è stato possibile il definitivo riconoscimento del famoso rapporto IPCC sull'1,5 gradi e del messaggio che questo porta.
Attraverso il dialogo del G20 abbiamo raccolto il sostegno di Paesi quali Russia, Arabia Saudita, Cina e India intorno alla narrativa «1.5 within reach», cioè tenere come target 1,5 gradi di riscaldamento e non più 2 e della necessità di accelerare le azioni sul clima, adottando un linguaggio che oggi ritroviamo nel Patto per il clima di Glasgow.
Sapete meglio di me che nel senso comune questi 1,5 gradi possono sembrare molto poco, ma in realtà, siccome si tratta di temperature medie su tutto il pianeta, questi 1,5 gradi invece di 2 potrebbero voler dire, in certe zone nevralgiche, diminuzioni di temperatura molto più sostanziali, anche di qualche grado. È una sfida molto importante che però richiede grosse accelerazioni sul piano della trasformazione.
Inoltre, abbiamo concordato l'operatività dell'obiettivo globale sull'adattamento, stabilendo un processo chiaro per l'azione sull'adattamento e affrontando parallelamente le esigenze critiche relative al finanziamento dell'adattamento per i Paesi in via di sviluppo, esortando i donatori a raddoppiare la finanza per l'adattamento entro il 2025 rispetto ai livelli del 2019.
L'Italia tradizionalmente ha sempre fatto molta attenzione a bilanciare interventi su adattamento – per la loro natura ricadenti più nella sfera del grant da finanza pubblica, cioè soldi dati ai Paesi vulnerabili – con quelli sulla mitigazione che sono oggetto di investimenti di finanza privata, raggiungendo già una media di finanziamento di progetti che si attesta sul 50 per cento del totale dell'erogato.Pag. 6
Dobbiamo considerare che qualsiasi accelerazione potremmo imprimere oggi all'azione di riduzione delle emissioni non sarà comunque sufficiente a evitare taluni effetti del cambiamento climatico che in economie già deboli, quali quelle dei Paesi più poveri e più vulnerabili, potranno avere un impatto importante. Occorre continuare su questa strada e, se è possibile, intensificare l'azione globale.
In Scozia siamo riusciti anche a discutere costruttivamente la questione della perdita e dei danni – loss and damage – derivanti dal cambiamento climatico, un tema molto caro ai Paesi più vulnerabili, in particolare alle piccole isole che stanno subendo prevalentemente l'innalzamento del livello dei mari, rischiando di sparire in pochi decenni sotto il mare.
Oltre a rendere operativa la rete di Santiago, che fornirà assistenza tecnica ai Paesi più colpiti per gestire al meglio le perdite ai danni del clima, abbiamo lanciato un processo che si dovrà chiudere entro il 2023 per discutere le modalità con cui affrontare il finanziamento delle attività relative a perdite e danni.
Questo è un tema molto delicato, che comprende considerazioni importanti ed elementi politici quali responsabilità e pesi dei Paesi nella causa del cambiamento climatico. Occorrerà proseguire sulla strada di un dialogo costruttivo, guardando a soluzioni concrete che probabilmente trascenderanno i confini del processo UNFCCC.
Per quanto riguarda la finanza per il clima, abbiamo concordato un processo di negoziazione per definire l'obiettivo finanziario post 2025, fermo restando l'impegno dei donatori a raggiungere l'obiettivo dei 100 miliardi di dollari all'anno il prima possibile – al 2023 al più tardi – e il resto della comunità internazionale a valutarne i progressi nell'ambito dell'agenda finanziaria di lungo termine fino al 2027.
Qui vorrei fare una mia considerazione. I 100 miliardi per i Paesi vulnerabili dovevano essere raccolti a partire dal 2015, quindi diciamo chiaramente che siamo in ritardo di sei anni come Paesi avanzati.
Altrettanto sapete che, siccome si tratta di 20 Stati del G20 e 197 alla COP – non voglio semplificare il calcolo –, si tratta di almeno un centinaio di Paesi del mondo e anche di più che sono vulnerabili e quindi stiamo parlando in media di un miliardo per Paese e certamente non si fanno rivoluzioni come quelle necessarie alla mitigazione del danno e delle perdite con cifre di questo genere. Questi 100 miliardi devono servire come leva per fundraising, per una forte attrazione di capitali da parte dei privati, filantropi e così via.
Tutto sommato il fatto di non aver raggiunto i 100 miliardi è doppiamente negativo: ha un po' minato la credibilità dei Paesi più avanzati, poiché credo che quest'anno si sia arrivati molto vicini ai 100, ma non ancora, promettendo per l'ennesima volta di arrivarci due anni dopo; nello stesso tempo ha ritardato questa capacità di fare fundraising che, invece, è assolutamente necessaria. Come sapete, in ambito internazionale si parla in maniera generica di trillion-based, mille miliardi l'anno. Infatti, il trillion è la dimensione degli interventi che sarebbero necessari per livellare o abbattere in maniera importante le diseguaglianze globali. Siamo sotto e nemmeno riusciamo ad avere 100 miliardi.
Devo dire che questo è stato un oggetto di discussione molto forte e i Paesi vulnerabili non hanno risparmiato critiche importanti. Come sapete, il Presidente del Consiglio al leader summit di Roma si è impegnato a triplicare la finanza italiana per il clima, portandola da una media attuale di circa 500 milioni di dollari l'anno a 1,8 milioni annuali a partire dal 2022 per i prossimi sei anni.
Invito il Parlamento ad appoggiare con forza la norma inserita nella legge di bilancio, perché qui c'è una un mix di grant e di prestiti a interesse zero a dieci anni che dovrebbero aiutare il raggiungimento del 100 miliardi, ma anche potenziare il nostro ruolo nella cooperazione internazionale.
Faccio notare per assoluta trasparenza che, se andiamo a fare il calcolo in millesimali rispetto alla dimensione e al peso del nostro Paese, noi dovremmo arrivare a una cifra superiore che credo essere di circa 3 miliardi – adesso non so esattamente il Pag. 7numero –, quindi dopo cinque o sei anni che siamo rimasti fermi a circa 500 milioni di dollari l'anno, c'è stata questa impennata quest'anno proprio perché avevamo questo ruolo anche di leadership a livello internazionale, ma non dobbiamo fermarci qua, dobbiamo tendere ad aumentare questa cifra per arrivare a quanto dovuto. Anche noi dobbiamo contribuire ai 100 miliardi come tutti gli altri Paesi avanzati.
Oltre a questi temi essenziali per il funzionamento dell'architettura di Parigi, a Glasgow per la prima volta la COP ha anche riconosciuto la necessità di agire sui combustibili fossili. Anche se il testo è stato indebolito come parte degli interventi dell'ultimo minuto, come voi tutti sapete, il documento concordato invia comunque un chiaro segnale sulla volontà comune di accelerare la transizione energetica in questo decennio, in linea con quanto noi abbiamo negoziato nel contesto della Presidenza G20.
Noi siamo stati i pionieri nel sancire formalmente come affrontare la sfida del cambiamento climatico e sappiamo che questo non può prescindere dal riconoscimento che determinate scelte energetiche hanno in questo contesto. Questo è stato anche riconosciuto da una decisione formale del processo UNFCCC.
Permettetemi anche qui una nota più personale. La prima settimana è stata una settimana high level con i grandi capi di Stato e i grandi investitori che hanno fatto gli scenari. La seconda settimana e gli ultimi quattro giorni sono stati i giorni delle trattative notturne sui singoli dettagli. In particolare vorrei dare un'interpretazione forse un po' semplice, ma che credo descriva in maniera appropriata quello che è successo.
Da un certo punto di vista il fatto che la Cina, la Russia, l'Arabia Saudita, il Brasile, l'India, Paesi che hanno un'economia fortemente legata ai fossili, abbiano riconosciuto che bisogna avere un'ambizione a mantenere 1,5 gradi non è un risultato marginale, bensì è un risultato vincolante che li impegna. Tuttavia, d'altro canto, quello che ci è stato detto molto chiaramente è che avrebbero riconosciuto questa accelerazione e questa maggiore ambizione, però avrebbero preteso di raggiungere il target di 1,5 con il loro programma e non con il nostro, perché le condizioni di partenza sono diverse.
Se non avessimo concordato l'1,5 e non ci fosse stata una risoluzione unanime, si sarebbe in qualche modo rotto il meccanismo della COP. A questo punto dal giorno dopo molti di questi Paesi si sarebbero sentiti liberi di fare una politica totalmente autonoma e questo secondo noi, dal punto di vista anche della produzione di gas climalteranti, sarebbe stato veramente un disastro, perché non avremmo avuto più nessun ombrello sotto cui operare tutti nella direzione comune dei 2 gradi o dell'1,5 adesso.
D'altro canto con la dimensione dell'economia che hanno, con il numero di persone che hanno – si parla di 3 miliardi abbondanti – con la lunghezza e la complessità del processo di distacco dal fossile verso il rinnovabile e altre forme, loro non riescono a seguire il percorso che noi – l'Europa emette solo l'8 per cento di CO2, pur avendo un'economia molto avanzata – siamo in grado di seguire sia pure con molto sforzo.
Il punto fondamentale qui è monitorare attentamente di anno in anno come proseguono le cose. Ecco perché è importante l'operazione fatta sui Nationally Determined Contribution, perché noi dobbiamo essere sicuri che la metrica e le comunicazioni siano corrette e che poi a target, quando dovremo arrivare a 1,5, ci si arrivi, lasciando al momento una certa flessibilità sul fatto che si possa consumare di più all'inizio e meno dopo, oppure procedere costantemente con una diminuzione lineare. Queste sono cose che vengono lasciate alle future COP e al meccanismo di controllo.
Non dimentichiamoci che tutti gli impegni lanciati nei primi due giorni della Conferenza nel corso del segmento dei Capi di Stato e di Governo su temi cruciali per affrontare il cambiamento climatico come le foreste, la conclusione dei finanziamenti pubblici internazionali sui combustibili fossili, la riduzione delle emissioni di metano Pag. 8e la mobilizzazione dei finanziamenti privati a sostegno della transizione climatica, sono anche questi risultati da mettere nel carniere sia pure di altissimo livello, ma poi vanno implementati.
Dopo l'importante lavoro svolto quest'anno, culminato a Glasgow con la COP26, la grande sfida è tradurre questi impegni in politiche e misure reali e facilmente contabilizzabili, da incorporare in nuovi e più ambiziosi NDC che dovranno essere presentati entro il 2022.
In questo senso l'adozione a Glasgow del cosiddetto «sistema di trasparenza» nell'ambito dell'Accordo di Parigi – un sistema per condividere le informazioni utilizzando formati e tabelle comuni per tutti i Paesi – è molto importante per garantire una contabilità più trasparente coerente e comparabile sui progressi effettuati da ciascun Paese nella riduzione delle emissioni e su come collettivamente ci stiamo avvicinando all'obiettivo stabilito a Parigi.
Nella medesima prospettiva non possiamo che accogliere con favore anche il recente annuncio del Segretario generale delle Nazioni Unite di voler stabilire un gruppo di esperti di livello internazionale che avrà il compito di sviluppare standard credibili per garantire che tutte le iniziative lanciate recentemente, soprattutto nel settore privato, siano all'altezza della sfida epocale che dobbiamo affrontare.
Sono convinto che abbiamo creato una base ottima e solida su cui costruire la credibilità dei nostri sforzi presenti e futuri nella lotta contro il clima, come richiesto a gran voce dalle giovani generazioni.
Su questo punto lasciatemi, infine, sottolineare gli importanti risultati ottenuti nell'accrescere il coinvolgimento dei giovani nella lotta al cambiamento climatico. Come tutti sapete, l'Italia si è impegnata particolarmente sin dal 2019 su questi aspetti e ne ha fatto una priorità chiave del partenariato con il Regno Unito per ospitare la COP26.
Non è necessario ricordare il grande impatto che ha avuto – non solo in Italia ma a livello internazionale – lo Youth for climate che abbiamo organizzato a ridosso della pre Cop a Milano nel settembre scorso, dove 400 giovani da tutto il pianeta hanno avuto l'occasione di lavorare e costruire idee concrete per accelerare la lotta al cambiamento climatico e proporla ai Ministri presenti alla pre Cop.
A Glasgow, grazie al nostro impegno e al continuo sostegno dei giovani delegati dello Youth for climate presenti, abbiamo riconosciuto l'urgente necessità di coinvolgere i giovani nei processi decisionali relativi alla lotta al cambiamento climatico a livello multilaterale, nazionale e locale, riconoscendo di fatto anche l'opportunità di una loro rappresentanza diretta al tavolo inclusa come parte attiva nelle delegazioni nazionali che partecipano ai negoziati.
Inoltre, siamo riusciti a concordare una piattaforma annuale che servirà come momento di incontro e confronto tra i giovani rappresentanti governativi in vista delle COP e come Italia la sosterremo, con le future presidenze della COP, in questo impegno.
Il nostro impegno si è inoltre tradotto nel lancio di una nuova iniziativa italiana da realizzare con le Nazioni Unite per offrire formazione ai giovani di tutto il mondo, al fine di acquisire quella capacità necessaria a garantire un loro ruolo incisivo nei diversi forum dove vengono discusse le soluzioni per affrontare i mutamenti del clima.
Siamo orgogliosi dei risultati raggiunti, ma altresì consapevoli dell'enorme lavoro che deve essere portato avanti anche con riferimento al contributo dei giovani. È per questo che il Ministero continuerà a lavorare nel solco tracciato dallo Youth for climate per accrescere la partecipazione dei giovani in tutti i forum internazionali che affrontano le sfide del clima, garantendo a questo scopo formazione, opportunità di incontro, dibattito e supporto per l'individuazione di nuove idee e soluzioni volte ad accelerare l'azione sul clima nelle diverse regioni del pianeta.
Da quest'anno organizzeremo lo Youth for climate ogni anno prima delle COP. Stiamo costruendo un accordo con le Nazioni Unite perché, come capite, questa non può essere qualcosa che noi facciamo privatamente con i giovani. Faremo un accordo con le Nazioni Unite e, una volta che Pag. 9le Nazioni Unite avranno stabilito – stiamo già lavorando su questo – qual è il format migliore, lo seguiremo. Probabilmente per l'anno prossimo lo faremo in Italia, perché comunque i tempi sono abbastanza stretti, però questa è la classica cosa che potrebbe essere itinerante e vedremo come svilupparla.
Aggiungo una nota ancora e poi passo alla lista degli esiti negoziali punto per punto in modo da darne un'informazione completa. È stato anche importante dal punto di vista delle operazioni italiane che sia partita, con una presentazione ufficiale in COP26, un'iniziativa che è quella del Global Energy Allianz, un'iniziativa filantropica in cui l'Italia ha fatto un po' da ispiratore inizialmente, poiché è stata il primo Paese che ha partecipato, sia pur in maniera simbolica finanziariamente, ma adesso a questa iniziativa stanno partecipando tanti altri Stati.
Questa è un'iniziativa per la costituzione di un fondo assolutamente filantropico di 10 miliardi per portare le comunità energetica nei Paesi vulnerabili e il fondo è stato costituito in tre mesi, da quando abbiamo discusso questa idea, della Fondazione Rockefeller, dalla Fondazione Ikea e dall'Earth Fund di Jeff Bezos. Questo fondo di 10 miliardi avrà un board che stabilirà le azioni più mirate e più concrete per portare energia nei Paesi dove l'energy divide è assolutamente insostenibile.
Questa è un po' l'idea dei famosi 100 miliardi. I 100 miliardi, se moltiplicate questa iniziativa per un numero molto grande, devono diventare leva per fare fundraising da parte di fondi di investimento privati, grandi fondazioni e filantropi, in modo da riuscire ad accelerare questo processo di abbattimento delle disuguaglianze globali senza il quale – è emerso molto chiaramente in COP – la sfida al cambiamento climatico rimane monca.
Noi non possiamo pensare che il cambiamento climatico sia una grande sfida di 20 Paesi che fanno l'80 per cento dei green house gas, perché purtroppo i 4,8 miliardi di abitanti di questi venti Paesi convivono con altri 3 miliardi di abitanti che sono distribuiti su centinaia di altri Paesi che pagano le conseguenze del cambiamento climatico senza avere la responsabilità di averlo creato.
È evidente che c'è un problema sociale globale che si unisce a un problema di natura ambientale e climatica che ha proporzioni storiche.
Quanto agli esiti negoziali, i punti nell'agenda COP erano la mitigazione, l'adattamento, la finanza, perdite e danni e poi il libro delle regole di Parigi.
Per quanto riguarda la mitigazione, i Paesi hanno concordato una serie di misure tra cui dialoghi di alto livello, rapporti e nuovi impegni per i contributi stabiliti dai Paesi, gli NDC, al 2030 e accelerare la riduzione delle emissioni nel 2020.
Il testo riconosce che gli impatti a 1,5 gradi sono inferiori a quelli a 2 gradi, riconosce la necessità di ridurre le emissioni del 45 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010 e che questo richiede un'azione accelerata in questo decennio. Inoltre, il testo stabilisce un programma di lavoro per aumentare l'ambizione e l'implementazione, chiedendo agli organi sussidiari di lavorare su un progetto di decisione da adottare alla COP27. Abbiamo circa un anno per preparare questo schema.
Il testo sollecita i Paesi che non l'hanno fatto a comunicare gli NDC al 2030, ambiziose strategie a lungo termine prima della COP27. Da questo punto di vista è piuttosto impegnativo, perché entro la prossima COP tutti dovranno dire qual è il target al 2030. Questo fa parte anche di quel discorso che vi dicevo: se siamo tutti d'accordo sull'1,5, chi ha detto che va bene l'1,5 ma non con il phase out e il phase down del carbone, dovrà dire come al 2030 la cosa viene implementata con numeri che devono essere riconoscibili, perché ci sarà una metrica. In realtà è più vincolante di quanto non potesse sembrare da una prima lettura. Il lavoro è stato fatto con una certa attenzione.
Il testo chiede ai Paesi di rafforzare gli NDC 2030 presentati per allinearsi con l'obiettivo di temperatura dell'Accordo di Parigi entro la fine del 2022, incarica il segretario UNFCCC di preparare i rapporti annuali di sintesi di tutti i National DeterminedPag. 10 Contribution e un rapporto di sintesi sulle strategie a lungo termine entro la COP27. Quindi il lavoro che ci aspetta quest'anno è particolarmente lungo.
Inoltre, il testo convoca riunioni ministeriali annuali sull'ambizione pre-2030 a partire dalla COP27. Questa è la mitigazione.
Per quanto riguarda l'adattamento, i Paesi hanno concordato di lavorare al fine di rendere operativo l'obiettivo globale sull'adattamento, stabilendo un chiaro processo per l'azione sull'adattamento e affrontando il livello di finanziamenti per l'adattamento.
Il testo stabilisce il programma di lavoro biennale Glasgow-Sharm el-Sheikh, che sarà la sede della prossima COP, sull'obiettivo globale di adattamento supportato da quattro workshop all'anno, chiede ai Paesi che non l'hanno ancora fatto di presentare comunicazioni sull'adattamento prima della COP27. Infine, il testo esorta i Paesi sviluppati almeno a raddoppiare la messa a disposizione collettiva di finanziamenti per l'adattamento ai Paesi in via di sviluppo da livelli del 2019 entro il 2025 – quindi abbiamo qualche anno per raddoppiare i finanziamenti messi a disposizione – nel contesto del raggiungimento dell'equilibrio fra mitigazione e adattamento. Questo è un problema che è sempre rimasto, perché si tendeva a privilegiare la mitigazione, ma in realtà l'adattamento è una cosa su cui si investiva un po' di meno e l'adattamento è altrettanto importante, perché alcuni Paesi con infrastrutture molto più vulnerabili non riescono ad adattarsi e pagano un prezzo enorme in termini di vite umane, di danni economici e infrastrutturali.
Il terzo obiettivo è la finanza. I Paesi hanno concordato l'inizio e le caratteristiche del processo che sarà usato per negoziare l'obiettivo finanziario post-2025 e che considererà il raggiungimento dell'obiettivo dei 100 miliardi di dollari l'anno nell'ambito dell'agenda finanziaria a lungo termine. Per me questo – è una mia opinione personale – è il punto più debole di tutta l'intera operazione, perché i 100 miliardi onestamente andavano raggiunti. Tutti sappiamo che c'è stato il COVID-19 di mezzo, però stiamo parlando di circa l'80 per cento del GDP (gross domestic product) del pianeta. Il numero è a cinque cifre, quindi secondo me 100 miliardi si dovevano fare. Penso che la COP26 abbia drammaticamente riportato questo punto all'attenzione e oggettivamente questo richiederà più sforzo.
Sui 100 miliardi di dollari la decisione nota con profonda «preoccupazione» l'obiettivo di 100 miliardi di dollari non raggiunto. Tuttavia, non delinea un processo forte per affrontare queste carenze prima del 2025, in quanto si limita a sollecitare i Paesi sviluppati a fornire pienamente i 100 miliardi di dollari con urgenza e fino al 2025. Personalmente reputo che questo sia forse il punto più debole di tutta la conclusione.
Sull'agenda finanziaria a lungo termine, essa si estende fino al 2027 con il Comitato permanente per le finanze, incaricato di preparare un rapporto prima della COP27, sui progressi verso il raggiungimento dei 100 miliardi di dollari; vengono stabiliti i dialoghi ministeriali biennali di alto livello sulla finanza per il clima nel 2022, nel 2024 e nel 2026 e un dialogo ministeriale di alto livello alla COP27.
Essendo stato lì per tutto il periodo, probabilmente questo era l'argomento che i Paesi vulnerabili ci rinfacciavano e che un po' minava la credibilità.
Adesso continuerò a leggervi i risultati, però, sempre nello spirito con cui abbiamo fatto tutte le audizioni, credo che dire in maniera molto trasparente e dare una interpretazione veritiera possa essere utile a voi, che poi come Parlamento decidete, per capire.
Alla fine i risultati non sono stati male, però quella sensazione di scarsa credibilità veniva un po' dal fatto che i Paesi vulnerabili hanno detto: «Sì, ma dopo sei anni questi 100 miliardi non sono usciti fuori. Come facciamo a credere che poi sia solo una questione di regole, di modelli e di formule finanziarie?».
Io credo di poter dire in maniera molto obiettiva che quelle regole sono fondamentali, le metriche di misura sono fondamentali, ma è tutto importantissimo, perché se Pag. 11non hai le metriche e non puoi stabilire i Nationally Determined Contribution diventa tutto un po' aleatorio. Sarebbe stato onestamente perfetto se noi fossimo arrivati a 100 miliardi, perché avremmo potuto dire: «seppur con ritardo, i 100 miliardi li abbiamo» e credo ci siamo arrivati molto vicini, il numero era proprio prossimo. A mio parere quello ci avrebbe dato una robustezza superiore nelle conclusioni.
Sono abbastanza certo che, dopo aver constatato un po' lo sconcerto dei Paesi ricchi che per un pelo non sono arrivati ai 100 miliardi, questo probabilmente riusciremo a risolverlo già nella prossima COP. Tutto il resto degli accordi di cui vi sto parlando a mio parere era veramente necessario, sennò si rimaneva in un ambito completamente aleatorio.
Ritorno al testo. Sul nuovo obiettivo finanziario collettivo e quantificato per il post-2025, il testo stabilisce un programma di lavoro ad hoc 2022-2024 con consultazione dei gruppi regionali, dialoghi di esperti tecnici e dialoghi ministeriali di alto livello ogni anno.
Una chiosa a questo proposito. Nella prima settimana forse le aspettative sono cresciute molto, perché c'è stato il mondo finanziario che ha fatto dichiarazioni importanti. C'è stato chi ha parlato di 130 trillion, di 130 mila miliardi che erano disponibili in linea di principio per questa grande trasformazione planetaria. Semplificando, questi 130 trillion era tutto quello che c'era nei caveau o nei portafogli dei grandi gruppi di investimento o nelle banche. Se sommiamo i risparmi di tutti quanti, questi potrebbero essere utilizzati per fare una cosa bellissima, però da lì a dire esattamente quale fosse la strategia, c'è di mezzo tutta la costruzione di queste regole e di avere un piano che in questo momento non sembra esserci.
In questo contesto sentir parlare di 130 trillion potenziali e poi vedere che non si raggiungono i 100 billion, i 100 miliardi, rispetto alla prima settimana che è quella di impostazione e poi di negoziato e operativa, oggettivamente ha creato un po' di miscomfort, un po' di distanza fra Paesi con livelli economici diversi.
Credo di poter dire che forse questo sia stato l'unico motivo di dispiacere per la credibilità e le grandi aspettative. Il primo e il secondo giorno vengono a dirti cose pazzesche e poi dopo, quando si va a vedere in cassa, abbiamo fatto 98 miliardi invece di 100. Devo condividere con voi la verità di quello che è successo e credo che questo sia stato un punto abbastanza debole.
Devo anche dire che su questo l'Italia è stata prudentissima, anzi l'invito del Primo Ministro Draghi è stato: «dobbiamo fare di più». Lui è stato uno di quelli che ha dato l'accelerazione più forte alla finanza etica, al fatto che bisogna aiutare e ridurre le disuguaglianze globali, tanto che sull'onda dell'entusiasmo è stato detto: «noi potenzialmente arriviamo a 130 trillion», poi però siamo rimasti dove eravamo pochi anni prima.
Vado al quarto punto, ovvero perdite e danni. I Paesi hanno concordato l'operatività della rete di Santiago sulle perdite e i danni e le caratteristiche per un ulteriore dialogo su perdite e danni. Il testo stabilisce i dialoghi di Glasgow per discutere gli accordi per il finanziamento delle attività relative a perdite e danni che si svolgeranno durante il primo periodo di sessione degli organi sussidiari, che si concluderà alla sua sessantesima sessione del 2023. Inoltre, il testo stabilisce le funzioni della rete di Santiago sulle perdite da anni e viene stabilito che sarà finanziata dai Paesi su base volontaria.
Anche sul volontariato speriamo di essere tutti volenterosi. La rete di Santiago, dove non c'è la Protezione civile, è l'unica possibilità di aiutare i Paesi vulnerabili che hanno subito grossi danni. È comunque importante che si sia aperto il discorso sull'operatività della rete di Santiago, che altrimenti rimaneva su carta.
Infine, sulla trasparenza le parti hanno adottato tabelle e formati tabellari comuni per i rapporti sui dati, accettando di presentare le informazioni utilizzando per tutti, senza differenziazione tra Paesi sviluppati e non sviluppati, gli stessi formati e tabelle, rendendo il sistema più trasparente, coerente e comparabile. Questo è un punto Pag. 12molto importante. I Paesi presenteranno i loro primi rapporti biennali sulla trasparenza entro la fine del 2024.
Sulle tempistiche comuni per i Nationally Determined Contribution, i Paesi hanno concordato una lunghezza degli NDC, comune per tutti, pari a cinque anni, quindi di presentare gli obiettivi del 2035 nel 2025. Questo permette un aggiornamento più frequente degli NDC rendendoli conformi al ciclo dell'ambizione previsto dall'accordo quinquennale. Tuttavia, a onor del vero, il testo incoraggia a fare questa cosa, non è vincolante, ma è già un punto di partenza avere la reportistica quinquennale.
Sui mercati del carbone è stata adottata la decisione che definisce i principali nodi negoziali quali l'utilizzo dei crediti pre-2020 per il raggiungimento degli obiettivi dei primi NDC che sono relativi a dopo il 2020, ovvero i permessi di certificati di riduzione delle emissioni generate da progetti di meccanismi di sviluppo pulito nel periodo precedente all'Accordo di Parigi e ad oggi non utilizzati. L'opzione del compromesso adottata prevede l'utilizzo dei crediti derivanti da progetti registrati dall'UNFCCC dal 2013 esclusivamente per il raggiungimento degli obiettivi dei primi Nationally Determined Contribution. Ciò che non è stato speso e che abbiamo accumulato da prima, lo utilizziamo almeno per raggiungere i primi NDC.
Sul contributo al Fondo per l'adattamento, questa è la distribuzione dei proventi derivati dai meccanismi di mercato, gli shared proceeds. I Paesi in via di sviluppo chiedevano che una percentuale dei proventi derivati dai crediti di riduzione, gli shared proceeds previsti dall'Accordo di Parigi solo per il meccanismo di mercato progettuale – l'articolo 6.4, fossero estesi anche all'articolo 6.3.
Sono delle technicalities, però sono metodi per spostare alcune finanze di cassa reali su attività più cogenti. Le modalità e procedure adottate riconoscono come obbligatorio tale contributo solo per l'articolo 6.4, ma nella percentuale maggiore del 5 per cento. Questo vale per i vecchi meccanismi del Protocollo di Kyoto, per cui la percentuale era al 2 per cento, mentre per l'articolo 6.2 tale contributo è volontario. Queste sono cose un po' tecniche, però sono questioni finanziarie.
Per il contributo alla mitigazione globale è prevista una cancellazione obbligatoria del 2 per cento dei crediti derivanti da progetti di riduzione delle emissioni dell'articolo 6.4, che è stata richiesta dai Paesi più vulnerabili. È una piccola forma di cancellazione di una parte del debito.
La doppia contabilizzazione è un aspetto fondamentale. La doppia contabilizzazione della riduzione tra un Paese ospitante un progetto e un Paese compratore viene evitata attraverso il corrisponding adjustment anche per i meccanismi di mercato dell'articolo 6.4 che il Brasile voleva escludere. Il corresponding adjustment si applica anche alle riduzioni delle emissioni utilizzate dal sistema CORSIA (Carbon Offsetting and Reduction Scheme for International Aviation) per l'aviazione aerea.
Concludo dicendovi che, a latere di questa lunga negoziazione e di questo lungo lavoro, l'Italia è stata anche firmataria di una serie di accordi bilaterali o multilaterali. Vorrei chiarire che, secondo l'aggiornamento al 12 dicembre alle ore 11, sono undici accordi perlopiù bilaterali a cui aderiscono più Paesi. Sono iniziative lanciate da alcuni Paesi, non sono realmente legally binding, nel senso che non sono conclusioni della COP, però sono accordi che il Paese stabilisce e firma con altri Paesi anche per dimostrare che su certe direzioni c'è una convergenza.
Tra le iniziative vi sono: l'International Aviation Climate Ambition Coalition con l'obiettivo di raggiungere nel lungo periodo net zero anche per tutto ciò che vola, sostanzialmente; clydebank declaration for green shipping corridors, quindi navigazione verde e rotte marittime a zero emissioni; Breakthrough Agenda lanciata al Word Leader Summit, che prevede che i Paesi si impegnino a lavorare insieme nel prossimo decennio per accelerare lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie pulite e soluzioni sostenibili per raggiungere gli Accordi di Parigi; Co-Chair conclusions of education and environment Ministers Summit COP26 sull'education a livello globale; supporting Pag. 13the conditions for a just transition internationally, un accordo fra più Paesi sulla crescita verde con la transizione giusta per facilitare i Paesi più deboli, partendo dalla dichiarazione della Slesia in Polonia fatta a suo tempo; Global Coal Clean Power Transmission Statement sulla transizione dal carbone e l'energia pulita, in cui i Paesi firmatari riconoscono che la produzione di energia da carbone è la principale causa dell'aumento della temperatura globale e si impegnano ad aumentare la produzione di energia pulita; lo Statement on International Public Support for the Clean Energy Transition, che è una cosa simile sull'abbandono dei fossili; la Green Grid Initiative, ovvero reti interconnesse attraverso anche investimenti sull'energia solare, eolica, l'immagazzinamento e lo stoccaggio per avere una rete globale; Forest Agricultural in Commodity Traid che crea un processo che incentiva lo sviluppo agricolo sostenibile delle foreste e degli altri ecosistemi; Glasgow Leaders' Declaration on Forests and Land Use sull'uso delle terre e sulle foreste; infine, la cosiddetta «BOGA» (Beyond Oil and Gas Alliance) che punta al completo phase out dei carburanti fossili da raggiungere in un periodo stabilito.
Tenete conto che tutti questi impegni non sono vincolanti, ma sono manifestazioni di interesse. In alcuni casi queste sono lettere che sono proposte da un Governo. Per esempio, BOGA era proposto dalla Danimarca e dalla Costa Rica. Noi abbiamo firmato, perché siamo d'accordo, anzi stiamo già facendo questa cosa, però non abbiamo firmato come primi firmatari, ma come friends, ovvero come osservatori positivi, perché chi aderiva a questo accordo aderiva alle leggi del Paese proponente. Noi non potevamo essere sotto le leggi della Danimarca.
Sono tutte ottime intenzioni, però è stata fatta un po' di confusione, perché sembrava che BOGA fosse l'obiettivo, ma era una delle tante bilaterali a cui volentieri si partecipa, però abbiamo delle regole europee da seguire.
In generale questo dimostra che c'è stato un certo movimento. Vi ho dato gli esiti fondamentali, un po' di considerazioni generali e invierò i tre documenti perché siano agli atti della Commissione. Grazie, presidente.
PRESIDENTE. Grazie Ministro. Mi permetta una considerazione prima di cedere la parola ai numerosi deputati e senatori che hanno chiesto di intervenire. In qualità di relatrice per il Parlamento italiano e di capo delegazione a Glasgow, ho alcune considerazioni.
Credo anch'io che dobbiamo riconsiderare il tema delle ombre e delle luci con le quali è stata discussa la COP26 che è assurta alle cronache internazionali e ha fatto assurgere per la prima volta il tema con questa grande enfasi, urgenza e importanza inedita. Bisogna considerare tutto in questi giudizi che forse non spettano neanche completamente a noi, ma di cui ognuno può farsi un'idea.
Io credo che il tema importante sia questo: l'urgenza, che deriva dalla scienza, dai dati scientifici dell'IPCC, di questa coscienza – finalmente collettiva e inevitabile – forse non si è tradotta in altrettanta urgenza non quanto alle singole decisioni, ma nelle politiche governative per quanto riguarda l'Italia e in tutte le politiche che si attuano. Credo che dobbiamo tener conto di questa urgenza.
Io penso – questa è una mia considerazione personale – che le rivendicazioni dei giovani e le rivendicazioni dei Paesi cosiddetti a «low income» che hanno manifestato così pervicacemente le loro ragioni, oggi sono pacifiche, ma del domani non c'è certezza. Credo che questa dovrebbe essere presa come considerazione e gliela porgo, Ministro, perché si faccia poi interprete di questo nelle sedi corrette e, quindi, anche nell'ONU, perché io credo che questo sia un tema di cui tenere conto.
Alcune altre brevissime considerazioni. Il tema della misurazione della trasparenza e dell'accountability che è direttamente connesso ad un altro tema che lei ha sollevato, cioè quello della fiducia da recuperare per portare avanti qualsiasi tipo di politica, io credo che debba innervare la nostra politica in ambito di politiche climatiche anche nel nostro Paese.Pag. 14
Noi siamo certi che vi è una piena trasparenza e disponibilità di dati da parte dell'Italia sugli NDC e sulle misurazioni, ma io credo che questa debba diventare una metrica condivisa anche con la popolazione che si deve rendere conto, perché deve essere parte attiva di questo processo che riguarda tutti, poiché non riguarda solo i decisori politici o la controparte, ovvero l'impresa, ma anche tutti i cittadini.
Ho altre due considerazioni, o meglio due domande al Ministro. Le specialità che ho visto esser state riconosciute a livello internazionale, il fatto che siamo a trent'anni della legge sui parchi in Italia, il tema del capturing e il tema delle aree protette, quanto possono aiutarci? Che cosa pensa di fare in questo senso per il raggiungimento degli obiettivi?
Credo che un altro aspetto molto interessante sia quello – ci è stato riconosciuto con le tante domande da parte delle delegazioni che noi abbiamo incontrato – dell'istituto del 110 per cento, cioè di misure che l'Italia ha preso e che forse sono anche abbastanza inedite quantomeno nel panorama europeo. Quanta attenzione e considerazione ha suscitato?
L'ultima considerazione è questa. Fino ad ora è stato fatto un grande lavoro da parte dell'Italia come co-chief, co-organizzatore e da parte dell'Europa per portare dei risultati che prima non erano scontati. Il Ministro diceva segnatamente l'1,5 per cento, ma penso anche al lavoro sulla task force, che, sottolineo, sono tutte made in Italy.
Occorre passare dalla diplomazia e dalla geopolitica climatica ad altre azioni come il Carbon boarder adjustment, cioè sul passaggio sui consumi e su quanto questo sia importante in futuro, e su questo le volevo chiedere Ministro cosa pensa, anche perché ci apprestiamo a trattare l'altro tema che è quello di fit for 55 che attiene esattamente a queste misure.
Cedo quindi la parola ai colleghi. Com'è noto, sono fallibile, quindi mi richiamerete all'ordine se sbaglio, ma cerco di alternare i gruppi politici di Camera e Senato. Ha chiesto di intervenire la deputata Fregolent. Prego.
SILVIA FREGOLENT. Grazie presidente. Grazie, signor Ministro, della sua relazione puntuale. Ho soltanto dei piccoli flash. Sicuramente c'era molta aspettativa per questo importante evento e, come tutti i grandi eventi, ci sono luci e ombre. Già il fatto di aver indicato una strada ben precisa penso che sia la principale luce. Le ombre saranno come i vari Stati declineranno e come stanno declinando questi importanti passi avanti. Sono importanti, perché ormai di transizione ecologica se ne parla a tutti i livelli.
Mi è capitato di recente di far parte di un tavolo politico dove si parlava di transizione ecologica e al mio tavolo c'erano le aziende del lusso. Quando un'azienda del lusso – non faccio nomi e cognomi per rispetto di quell'azienda, perché era un'iniziativa del mio partito e non voglio metterla nei guai – parla di economia circolare vuol dire che ormai questo tema è entrato nel cuore e nelle menti delle persone.
Arrivo alle mie osservazioni. Per rendere veramente efficace tutto questo occorre una certezza normativa internazionale e nazionale. Invece, talvolta io vedo raggiungere un +1 in Unione Europea, con livelli che vengono aggiornati di volta in volta e che, seppur positivi in quanto sono ambiziosi, rendono a chi deve fare poi determinate scelte da un punto di vista economico – le aziende in primo luogo – difficile aggiornare in continuazione, ma questo anche per l'Italia. Noi oggi grazie a lei abbiamo un PNRR che dice una determinata cosa ma, per esempio, nella legge di stabilità già questa traduzione è parziale, perché ovviamente le risorse erano quelle che erano.
La mia domanda consiste in due elementi. Come dare una certezza normativa ai vari stakeholder che poi devono applicare queste norme? Lei ha detto giustamente che c'è il pubblico, ma c'è il privato e dal privato ci aspettiamo molto.
A proposito di energia, lei più volte pare che abbia detto – le notizie che stanno arrivando in queste ore lo confermano – che è probabile che l'Europa individuerà nel gas e nel nucleare le energie green per la transizione ecologica. Volevo sapere se Pag. 15ha notizie a questo proposito. Oggi l'Huffington Post dà una notizia secondo la quale parrebbe che l'Unione europea vada verso questa direzione. Se si va in questa direzione, l'Italia cosa deciderà di fare? Grazie.
PAOLA NUGNES (intervento da remoto). Innanzitutto grazie a tutti e buongiorno Ministro. Trovo sempre molto accattivanti i suoi interventi che hanno una posizione di verità o almeno questa è la percezione che ne danno e non è una cosa da poco.
Tuttavia, devo dire che io sono molto preoccupata di una generale posizione – che ho visto anche alla conferenza di Glasgow, alla quale ho partecipato con la delegazione parlamentare – di una sorta di negazionismo del problema. Come abbiamo visto con il COVID-19, c'è questa percezione di una generale sottovalutazione del problema, che non può che farci preoccupare, così come la disparità del rapporto dell'IPCC che ci dice chiarissimamente che noi, qualunque cosa faremo, non riusciremo ad essere sotto 1,5 gradi, perché già certamente saranno raggiunti 1,7 gradi.
Inoltre, l'esaltazione di un accordo, nel quale non si sono ancora stabilite le modalità – perché sicuramente non era possibile farlo in quella sede – per essere al di sotto di 1,5 gradi, mi sembra una posizione poco realistica.
Detto questo lei ha messo molto chiaramente in evidenza quelli che a tutti noi erano apparsi i grossi problemi che Glasgow ha lasciato insoluti, sicuramente quelli del Fondo.
Sul Fondo io ho qualcosa in più da dire non solo sui sei anni di ritardo – quindi una data che va sempre spostandosi verso un futuro a venire per questo Fondo che dovrebbe essere leva per quelli che lei chiama i «finanziamenti filantropi» che dovranno venire dal privato –, ma soprattutto sul fatto che c'è una negazione, poiché non viene riconosciuto né il rapporto di causa effetto dei Paesi più ricchi che, come lei dice giustamente, sono i responsabili, né le perdite e i danni che i Paesi più fragili stanno subendo.
Il fatto che su questa nota il Fondo dia soltanto una possibilità di contribuire volontariamente senza porsi alcun obiettivo credo che sia il dato più grave, che personalmente lego anche con quello che è il patto dell'Europa per l'asilo.
Ho la sensazione che, dato che non riusciremo a raggiungere il mitigamento e che potremo risolvere l'adattamento e la resilienza solo per una certa parte del pianeta, stiamo puntando a creare muri virtuali e fattuali, o anche reali come gli idranti, i fili spinati o i gruppi armati che fermano quelli che sono gli immigrati già climatici alle frontiere o nei Paesi limitrofi da cui scappano, purché non arrivino dove i nostri Paesi più ricchi e fortunati possono trovare soluzioni tecnologiche a quello che è un cambiamento climatico oramai inderogabile e senza soluzione. Questa è la mia preoccupazione. Come giustamente diceva in maniera molto garbata la collega un attimo fa, adesso questi Paesi si pongono chiaramente e giustamente in una posizione di richiesta molto sostanziale e con molto pathos e sono molto preoccupati dal fatto che loro, pur essendo responsabili in minima parte, sono quelli che subiscono la maggior parte delle conseguenze. Questa reazione potrebbe tradursi nel tempo in una richiesta molto più violenta.
PRESIDENTE. Senatrice Nugnes, la avverto che sta finendo il tempo a sua disposizione, se per favore può avviarsi alle conclusioni...
PAOLA NUGNES (intervento da remoto). Se ho ancora un po' di tempo, vorrei anche fare una richiesta sulla questione del gas e del nucleare. Noi sappiamo benissimo che il gas, benché sia meno inquinante, è sicuramente dieci volte più climalterante di altre sostanze, anche degli idrocarburi. Per questo motivo mi chiedo se davvero si possa pensare di fare una transizione energetica attraverso il gas.
Inoltre, sappiamo anche che le scelte, per quanto riguarda il nucleare, lasciano aperte per il futuro delle porte importanti che non hanno soluzione. Grazie.
ROSSELLA MURONI. Grazie, presidente. Grazie, Ministro, per la disponibilità Pag. 16e per essere venuto a riferire al Parlamento.
Abbiamo voluto fortemente questa audizione perché pensiamo sia importante tenere un collegamento aperto e fattivo anche rispetto all'obiettivo della transizione ecologica e quindi tutti i luoghi preposti perché poi questa diventi realtà.
Brevemente – e anche brutalmente – credo che la COP26 doveva fare di più, proprio per quello che diceva la presidente Rotta, ovvero l'urgenza che noi abbiamo rispetto alle sfide del mutamento climatico.
Ministro, io ho letto una sua intervista – ne ho lette molte di sue interviste – in cui critica il meccanismo della COP26, anzi lo analizza in modo puntuale. Devo dire che io sono abbastanza d'accordo con lei, nel senso che è difficile che in 14 giorni i Paesi si incontrino e magicamente si mettano d'accordo. Credo che sia fondamentale riflettere su due temi: che cosa succede da una COP all'altra e quali sono gli strumenti per dar seguito a questo lavoro complicatissimo, come lei ci ha raccontato, di diplomazia climatica che poi magari si concretizza in quattro giorni subito dopo grandi annunci.
La mia prima domanda è: a che punto siamo con l'individuazione per l'inviato del clima? Perché penso che sia stato un errore arrivare a questi appuntamenti senza dotarsi di una figura che, dal mio punto di vista, assicura una continuità diplomatica, di relazioni e di ragionamento da un appuntamento all'altro.
L'altro tema che le pongo è quello della tassonomia che le colleghe le hanno già ricordato, anche se da due punti di vista diversi. Io capisco le sue interviste e la passione per la tecnologia, però, siccome il suo non è un ruolo di divulgatore scientifico ma di Ministro della Repubblica, nel momento in cui fa una dichiarazione in cui apre al nucleare, capisce bene che la reazione non può che ricordarle che in questo Paese è stata sancita l'uscita dal nucleare da ben due referendum.
Sul gas, naturalmente il gas è un'energia di transizione, ma vede, Ministro, quello che io vorrei capire è qual è la roadmap che noi ci diamo, perché fermo restando che dobbiamo uscire dalle opinioni personali, dobbiamo darci degli strumenti di programmazione in questo Paese. Io non le chiedo di dare retta agli ambientalisti, ma immagino che lei abbia letto l'intervista dell'amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, uscita l'altro giorno sul Corriere. Io sto alle parole di Starace: perché dobbiamo continuare a essere legati a questa follia che ci rende comunque dipendenti dall'estero?
A proposito di questo ne approfitto per ringraziarla e per farle i complimenti per il decreto che è arrivato in Consiglio dei Ministri che finalmente ha sbloccato l'iter su alcuni impianti eolici che erano fermi per motivi burocratici da anni ed è esattamente quello che dobbiamo fare. Vorrei più azioni e più interviste su questo fronte piuttosto che una confusione che secondo me induce solo alla polemica.
A proposito di questo e di programmazione, le chiedo informazioni sull'aggiornamento del PNIEC, perché se lei non ci dice quando viene aggiornato il PNIEC, che obiettivi si dà e quali sono i tempi... io vorrei uscire dall'opinione ed entrare nella programmazione.
Le chiedo un giudizio sulla legge di bilancio. Non l'ho letta tutta, però temo che non sia proprio adeguata a dar seguito agli impegni che il Governo ha preso sulla transizione ecologica, anzi ce n'è ben poca di transizione ecologica in questa legge.
Infine, Ministro, le chiedo scusa, ma approfitto di questo palcoscenico. Lo pongo a lei, ma è una domanda che faccio al Governo italiano, che riguarda la COP27 in Egitto. Per l'Italia partecipare in Egitto a una COP in cui Zaki è in galera e Regeni è un morto innocente senza colpevoli per il suo omicidio deve essere assolutamente un punto dirimente da porre all'Egitto. La ringrazio.
PATTY L'ABBATE (intervento da remoto). Io devo ringraziare il Ministro, a nome di tutti i membri del Movimento 5 Stelle della Commissione Ambiente, prima di tutto per il coinvolgimento dei giovani, per la formazione, il supporto e per quello che ci ha appena detto, perché a nostro avviso i giovani sono la pietra angolare per Pag. 17una vera transizione ecologica; poi per la lotta alla povertà energetica di cui ci ha parlato e quindi alla disuguaglianza globale; quindi per l'Alleanza del Mediterraneo che valorizza i Paesi del Sud e l'Italia in primis.
Quello che invece le chiediamo è questo: gli impegni non sono vincolanti. Io non parlo dell'Italia, perché sono convinta che l'Italia stia facendo il massimo e ce lo state dimostrando come Ministero della transizione ecologica. Quello che le chiedo, perché è giusto che io lo faccia in questa sede, è la seguente cosa: è chiaro che il cambiamento climatico non è una cosa solo dell'Italia; noi possiamo essere bravissimi, ma a livello mondiale dobbiamo fare di più. Come facciamo a fare di più? Come facciamo a rendere questi impegni – che adesso non sono vincolanti – più vincolanti, più controllati? C'è bisogno di una struttura sovranazionale? C'è bisogno appunto di cambiare delle regole?
A parte questo, parliamo del modello economico, poiché quello europeo è quello più considerato, che viene copiato dagli altri Paesi in via di sviluppo. Vogliamo utilizzare dei modelli macroeconomici che possano integrare e internalizzare la natura, ovvero la biocapacità mondiale e utilizzare anche degli indicatori, fare contabilità ambientale e il life cycle assessment? Sembrano cose che ci sono, la scienza le porta avanti, però la scienza deve essere – ecco perché mi rivolgo a lei – ancora più ascoltata dalla politica.
Inoltre, non abbiamo tempo e il poco tempo che abbiamo, quindi, deve essere utilizzato per poter far sì che anche i cittadini possano procedere verso questa transizione ecologica e dar loro strumenti – come l'etichetta ambientale e la carbon footprint – affinché anche loro possano acquistare dei prodotti ecosostenibili. Grazie.
TULLIO PATASSINI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Io ringrazio il Ministro per l'ampia e corposa relazione sulla conferenza di Glasgow, perché, com'è emerso, vanno visti i risultati positivi che sono stati raggiunti e Glasgow, grazie anche a tutta la preparazione che la diplomazia italiana ha fatto con la COP20 e con lo Youth For Climate di Milano.
Non è stato assolutamente un luogo in cui tutti facevano finta di non vedere – questo a dovere delle cronache e anche a dovere di una giusta relazione documentale – anzi è stato esattamente il contrario, ovvero un luogo in cui tutti si sono resi conto del problema e in cui tutti i Paesi a vario titolo hanno valutato e deciso di intervenire per combattere i cambiamenti climatici.
Non è stato assolutamente un momento di negazionismo, bensì un momento di grande diplomazia in cui l'Italia ha rivestito un ruolo importante, come lei ha evidenziato, che abbiamo anche potuto anche vedere di persona.
Su questo vorrei rilanciare e fare una domanda su un argomento, sull'idea, che tutti i Paesi hanno condiviso, di arrivare a un sistema di valutazione unitario, perché partendo da un dato univoco e universalmente riconoscibile, possiamo aiutare i Paesi più deboli in questo percorso verso una nuova modalità di energia e dall'altra parte valutare i target che ogni Paese responsabilmente si dà. Un conto infatti è darsi il target al 2100 e un conto è darsi il target al 2050. Un sistema di trasparenza e di monitoraggio diventa strategico e fondamentale. Su questo vorrei chiedere a lei, Ministro, se dopo la COP sono già avviati o sono in corso di valutazione un percorso di monitoraggio e una soluzione condivisa.
Condividiamo l'altro aspetto fondamentale che è quello di 1,5 gradi di cambiamento climatico. Non tutti si sono resi conto che 1,5 gradi rappresentano un obiettivo assolutamente ambizioso e pertinente.
Sulla questione di come sostenere i Paesi più deboli nel loss and damage, volevo chiedere solo un chiarimento per capire se è previsto ancora oggi che, al di là dei 100 miliardi, ai quali tutti auspichiamo di arrivare, lo stesso supporto può avvenire sia in modo finanziario, con contributi diretti ai Paesi per attività di lotta al cambiamento climatico, o se questo può avvenire, come abbiamo visto in alcuni articoli di stampa, indirettamente tramite il supporto che lo Stato italiano dà a proprie iniziative in quei Pag. 18Paesi sia direttamente sia tramite aziende italiane, siano esse pubbliche o private. Questo diventa infatti un punto discriminante. Spesso infatti facciamo tanti interventi di cooperazione internazionale climatica, quindi facciamo sì che siano ricompresi nel contributo dei 100 miliardi, che possono chiaramente non essere sufficienti, ma certamente sono un buon inizio per questo percorso.
Positiva è l'azione sul progressivo abbandono dei combustibili fossili, in particolare il carbone. Su questo va fatto un ragionamento europeo e non solo nazionale. Noi siamo tra quelli che si sono posti gli obiettivi più ambiziosi anche all'interno del panorama europeo. Una preoccupazione è che non vorremmo darci un obiettivo troppo ambizioso che poi diventi difficile raggiungere anche per il mix energetico che il nostro Paese ha.
Su questo vorremmo sentire da lei se vi sono ulteriori proposte di accelerazione su target ancora più ambiziosi o se gli obiettivi che noi reputiamo molto ambiziosi rispetto al panorama europeo e nazionale siano già sufficienti per arrivare al 2030 e poi al 2050.
Da ultimo le chiederei un ulteriore accenno su come continuare la positiva esperienza dello Youth For Climate che è nata da un'idea tutta italiana.
Apprezziamo molto l'auspicio da lei espresso che l'Italia diventi in qualche modo capofila anche per le COP successive nell'organizzazione, nella strutturazione e anche nell'accompagnamento delle politiche dei giovani a favore per il clima, perché le giovani generazioni, se sono adeguatamente e positivamente coinvolte, sicuramente sono da stimolo e da esempio anche per noi, come lei ha sempre dichiarato in modo non polemico non barricadiero ma in maniera assolutamente costruttiva, con proposte serie e concrete che siano poi anche concretamente applicabili. Grazie, presidente. Concludo con questo e ringrazio.
ANDREA FERRAZZI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Grazie, Ministro. Io resto sul punto all'ordine del giorno e ho tre questioni molto semplici.
Lo ha già detto il Ministro e alcuni colleghi e colleghe lo hanno ribadito: ritengo di voler approfondire la questione della verificabilità della trasparenza degli impegni assunti, poiché credo sia una delle questioni assolutamente centrale, perché la volontarietà di alcuni accordi che già nel tempo non sono stati rispettati da parte dei Paesi membri e poi anche una parte degli accordi sottoscritti al di là degli accordi bilaterali di Glasgow, ma quelli formalmente sottoscritti dai 197 Paesi che hanno siglato l'accordo finale, pongono questa domanda di fondo. C'è un problema di trasparenza della raccolta di dati, di modelli comuni di elaborazione, di rendicontazione di quanto viene deciso e poi soprattutto di quanto viene operato a livello nazionale governativo. Se manca questo, salta tutto e rimangono solamente delle enunciazioni di sistema generali, ma senza la possibilità di verificare veramente la questione. Vorrei due parole in più dal Ministro su questa questione.
La seconda questione è la seguente. Ministro, qual è la sua impressione sul rapporto tra vincolo e sanzione? Quello che a mio avviso è mancato a Glasgow – mi rendo conto non essere una cosa semplicissima – è proprio questo.
Io ho fatto parte della delegazione che ha partecipato a Glasgow e la mia impressione è che c'è stato un salto di qualità notevole. Infatti, questa COP26 rispetto ad altre è stata molto seria e ci si è resi conto in maniera forte che la questione non è più eludibile.
La stessa reazione da parte di alcuni Paesi, a volte ostativa e poi recuperata nella trattativa – mi riferisco, per esempio, all'accordo bilaterale Stati Uniti-Cina a partire dalla metà della seconda settimana – la inserisco all'interno di questa consapevolezza: non si scherza più. Alcuni Paesi hanno preso molto seriamente questa questione e si sono un po' ritratti.
Come riusciamo a far sì che questi impegni siano vincolanti? Quali sanzioni possiamo comminare ai Paesi che non rispettano quanto è stato stabilito? Perché ritengo che questa sia una delle questioni centrali.Pag. 19
L'ultima domanda è questa. Uno degli aspetti assolutamente positivi nei risultati finali è quella che entro il 2022 i Paesi devono preparare il Piano nazionale per l'energia e il clima, il nostro PNIEC. Sappiamo che durante l'Accordo di Parigi del 2015 c'erano pochissimi Paesi che lo avevano già fatto, nel corso degli ultimi anni alcuni lo hanno fatto e il vincolo del 2022 è la cosa fondamentale.
Mi unisco alla domanda che l'onorevole Muroni ha fatto prima: la revisione del nostro PNIEC, visto che c'è l'impegno del 2022, a che punto è? Perché quello diventa assolutamente essenziale. Collegato a questo, per il Fit For 55 quali sono le scansioni temporali che ci stiamo dando? Perché è del tutto evidente che questi due strumenti saranno gli strumenti fondamentali affinché gli impegni assunti dal nostro Governo diventino davvero impegni con dei risultati concreti. Grazie.
PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire anche la senatrice Gallone che poi ha un impegno, quindi la facciamo parlare subito. Poi facciamo rispondere il Ministro e successivamente farò intervenire gli altri colleghi che ne hanno fatto richiesta.
MARIA ALESSANDRA GALLONE (intervento da remoto). Ringrazio la presidente Moronese per la sua gentilezza e per aver interceduto per me, e la presidente Rotta per aver consentito il mio intervento in anticipo. Saluto il Ministro e lo ringrazio.
Ministro, lei ha ovviamente introdotto tutta una serie di tematiche importantissime che, anche rispetto ai risultati della COP26, secondo me sono molto più pregnanti. Avevo letto, già prima della sua relazione, quanto dichiarato sulla serietà della COP26 e sul fatto che fosse stato un incontro molto importante che la aveva lasciata alquanto insoddisfatto sulla parte finanziaria, come confermatoci oggi.
Nello stesso tempo, però, sono abbastanza fiera e orgogliosa che l'Italia faccia la propria parte. Quello che mi lascia perplessa, come sempre, è la preoccupazione della non reciprocità delle regole. Hanno ragione i colleghi Ferrazzi e L'Abbate a chiedere come sia possibile realizzare un sistema omogeneo di interventi che garantiscano di fatto che tutti i Paesi della terra contribuiscano in maniera effettiva ed efficace. Quindi, al di là del tema delle sanzioni, che sappiamo bene essere relativo, ci vuole un'ulteriore capacità di penetrazione e sensibilizzazione che deve essere svolta a 360°. Senza reciprocità delle regole diventa tutto realmente ed estremamente difficile.
Mi soffermo anch'io sull'importanza dei temi trattati, a partire dal fatto che se noi vogliamo garantire effettivamente una transizione sostenibile a livello ambientale le dico Ministro – e su questo sono in disaccordo con la collega Muroni – ben venga che si vada avanti con le tematiche tecnologiche. Soltanto l'innovazione e la tecnologia potranno garantire il sistema della transizione e della sostenibilità dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale. Noi abbiamo il dovere di garantire le due questioni in contemporanea, ovvero tutelare l'ambiente e garantire un sistema di benessere a cui siamo abituati e anzi estendere questo benessere anche ai Paesi meno sviluppati.
Per questo ci vogliono – e qui chiedo al Ministro quali iniziative si vogliano mettere in campo al di là della legge sul clima che andrà realizzata e all'aggiornamento del PNIEC di cui si parlava prima – rispetto a forme efficaci di rivoluzione nel campo della formazione, rispetto alla creazione delle nuove professionalità e al raggiungimento degli obiettivi per i giovani. Chiedo se su questo c'è una interlocuzione con il Ministro dell'istruzione o con il Ministro dell'università e della ricerca.
Quali incentivi quindi ci sono a sostegno, a latere – chi va a realizzare l'innovazione sono le grandi imprese, le attività produttive e le grandi associazioni – e se c'è un accordo pubblico-privato per lavorare insieme verso la realizzazione degli obiettivi.
La legge quadro sul clima prevede la creazione di un organismo consultivo indipendente: qual è l'iter che si vuole dare a questi la procedura?Pag. 20
Ritengo infine che l'apertura rispetto all'innovazione e alla ricerca debba anche guardare ai nuovi sistemi sull'energia. Noi rischiamo ormai i black out perché sappiamo bene di non avere un'autonomia e un'indipendenza energetica che ci potrà consentire di andare avanti all'infinito, scontando una dipendenza dagli altri Paesi. Quindi occorre guardare senza pregiudizio, in un momento in cui siamo in piena ricerca, anche all'apertura al nucleare – è vero che ci sono due referendum contro il nucleare, ma di vecchia generazione e ora siamo nel 2021. Non ritengo assolutamente sintomo e sinonimo di apertura e di sguardo verso il futuro, invece, precludere preventivamente la ricerca che come al solito in Italia è molto avanti, con il rischio di andare a svendere il nostro know how e non averne i benefici. Grazie.
ROBERTO CINGOLANI, Ministro della transizione ecologica. Grazie a tutti. Provo a dare delle risposte nella stessa sequenza delle domande.
La presidente Rotta ha accennato alla questione dei trent'anni della legge sui parchi come punto di partenza per una trasformazione che dobbiamo fare, perché sapete che al 2030 dobbiamo arrivare ad avere una percentuale del 30 per cento di aree protette, quindi aumentarla.
Ho cominciato a interessarmi del problema perché abbiamo i vincoli di scadenza del rinnovo dei presidenti – sono entrato un po' in questa dinamica politica abbastanza complessa – e poi perché adesso mi sto interessando con alcune regioni di ampliare alcune aree protette.
Credo che anche dal punto di vista strategico per il nostro Paese e non solo come MITE, ma anche come Ministero del turismo, Ministero del lavoro sia molto importante avere una strategia e rivedere forse anche l'intero impianto sulle aree protette e sui parchi.
Attualmente con il team tecnico sto sia lavorando sull'identificazione di alcune aree su cui ci sono richieste di ampliamento – sia marine che di terra –, sia facendo un rapido benchmark a livello europeo di come si comportano i nostri cugini e fratelli europei in questa materia, per capire se possono esserci delle idee di sviluppo anche a livello di inquadramento innovativo.
Secondo me, per come funziona adesso, ci sono margini di miglioramento. Questo lavoro è appena iniziato e a breve cercherò di capire in che direzione si possa andare.
Un'altra cosa molto importante che sollevava la presidente riguardava l'efficientamento, l'istituto dell'ecobonus 110 per cento. Devo dire che qui siamo leader a livello europeo, non tanto per la formula in sé – 110 piuttosto che 108, 109 o 111 –, ma proprio per l'idea di fare un massiccio investimento su un patrimonio immobiliare complesso come quello l'italiano, antico, di pregio e con aree densamente popolate su grandi zone urbanizzate.
Tenete conto che ormai è chiaro in tutto il mondo che una buona parte della battaglia al cambiamento climatico attraverso la decarbonizzazione non passa solo attraverso il cambiamento del meccanismo di produzione primario dell'energia – via il carbone, via il gas, avanti le rinnovabili e tutto ciò che produce a greenhouse gas zero –, ma soprattutto attraverso la diminuzione del consumo, perché è chiaro che il modo migliore di non produrre CO2 è di non aver bisogno di energia, ma poi viene l'eccesso opposto, ovvero che, se spengo tutto, diventa perfettamente verde, però dopo devo far funzionare la società.
L'efficientamento da noi ha un ruolo importante. Nel solo PNRR stiamo parlando di un investimento intorno a 16 o 17 miliardi. Ricordo a tutti che le perdite energetiche per inefficienza producono, in una nazione come l'Italia, intorno al 20 o 22 per cento della CO2. È chiaro che questa è veramente una low hanging fruit, una di quelle cose da fare per prime in modo da efficientare.
Poi mi chiedeva del carbon boarder adjustment in generale e qual è l'atteggiamento, qual è la posizione. È ovvio che noi qui abbiamo da un lato il principio che chi inquina paga – questa è una logica abbastanza normale – e dall'altro abbiamo anche un po' il libero mercato, nel senso che noi stiamo facendo delle grandi operazioni per rendere i nostri prodotti verdi, a bassissima impronta di carbonio e questo ha Pag. 21dei costi enormi per la nostra industria, per la nostra forza lavoro e per la nostra trasformazione delle infrastrutture.
Prendiamo il caso dell'acciaio: è chiaro che è una cosa complicatissima e ad altissimo costo. Altri Paesi non considerano necessario l'abbattimento della carbon fingerprint dei loro prodotti e possono produrre lo stesso prodotto a un prezzo più basso. Il risultato fondamentale è che noi abbiamo un prodotto verde che costa diverse volte di più dell'equivalente prodotto non verde. Il consumatore, quando va a comprare l'automobile che può esser fatta con acciaio verde o un acciaio non verde, dice: «A parità di auto quella fatta con l'acciaio non verde mi costa di meno». Dobbiamo stare attenti perché questa sensibilità che c'è in Europa e in Italia, c'è molto di meno in altri Paesi.
Ricordo una discussione che abbiamo avuto con John Kerry, nella quale io sostenevo che è importante avere questi aggiustamenti e lui mi ha detto: No, attenzione, perché se esageriamo – lui si riferiva a un grande Paese che in questo momento nel mirino – rischiamo che vengano meno alle trattative su tutti i tavoli, si portino dietro il G77 – che è l'Unione di 77 Stati che in qualche modo gravitano nel centro di massa dell'Est – e a quel punto, invece di ottenere una normalizzazione, abbiamo ottenuto una frattura, che è ancora peggio.
Questo è anche quello che vi dicevo sulla COP26. Una forma di compromesso, per quanto per certi versi un po' dolorosa, pur di avere l'1,5 approvato, era necessaria onde evitare che si spaccasse completamente un fronte, perché poi dopo aver litigato non c'è più una regola globale, ma purtroppo viviamo tutti nella stessa casa e non possiamo cambiarla.
Mi rendo conto che la mia non è una risposta, ma vi è un problema di profonda complicazione geopolitica, anche un po' antropologica, economica e di forza lavoro. Alla base di tutto c'è che dobbiamo vivere in una casa che non deve andare in fiamme. Questo è fuori di dubbio.
Vi è grande lavoro di politica, di diplomazia e di tecnologia che nel frattempo deve cercare di ridurre l'impronta di carbonio.
Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Fregolent sulla certezza normativa internazionale e come darla, questa è una domanda che è stata ripetuta anche da più colleghi. Da un lato la semplificazione non è una parola solo italiana, ne parlavano anche gli altri Stati, perché non è che dalle altre parti sia proprio più semplice fare le cose, ma noi siamo anche esperti a parlar male di noi stessi. Poi vi è la trasparenza. Non voglio anticipare troppo, ma casomai lo faccio una volta anche per gli altri. Se non sbaglio, l'onorevole Ferrazzi mi chiedeva come facciamo trasparenza.
Sulle conclusioni che vi ho letto, sulla mitigazione, vi è il sollecito a comunicare i Nationally Determined Contribution al 2030 prima della COP27, che sarebbe come dire: «Non venire alla prossima COP, se non mi ha detto cosa vuoi fare», che ha a che fare con le strategie. Il segretariato della UNFCCC deve preparare rapporti annuali di sintesi degli NDC e devono andare a verificare anche la credibilità. Inoltre, si convocano riunioni ministeriali annuali sull'ambizione pre-2030.
Sull'agenda finanziaria di lungo termine si estende sino al 2027 il Comitato permanente per la finanza incaricato di preparare il rapporto prima delle COP sui progressi verso il raggiungimento dei 100 miliardi; vengono stabiliti i dialoghi ministeriali biennali di alto livello per la finanza sul clima; si stabilisce un programma di lavoro ad hoc dal 2022 al 2024 con consultazioni dei gruppi regionali, dialoghi di esperti tecnici e dialoghi ministeriali. Su perdite e danni si stabiliscono i dialoghi di Glasgow per discutere gli accordi per il finanziamento delle attività relative a perdite e danni. Si stabiliscono le funzioni della rete di Santiago e poi vi sono tutte le questioni che riguardano le tempistiche comuni e le regole di trasparenza.
Per essere chiaro, sono una montagna di riunioni, però sta diventando cogente e urgente il fatto che non possiamo continuare a dire ciascuno un suo numero, una sua metrica con tempi diversi e così via. Per questo motivo credo che, se veramente Pag. 22vogliamo valutare un passo avanti fatto da questa COP, possiamo dire che sulle questioni di trasparenza dell'informazione, metodologia dell'utilizzo delle finanze, verifica dei contributi e dei numeri dati forse è la prima volta che c'è stato tanto sforzo.
Onestamente adesso è su carta, quindi l'implementazione che è uscita nelle domande di molti di voi è cruciale. Noi adesso – anticipo una risposta che do a qualcun altro – abbiamo già scambiato delle lettere e tutta una serie di incontri in video, in cui stiamo preparando la pre Cop, dove a differenza delle precedenti COP, in cui si discuteva: «Facciamo cinque o facciamo due?» – in maniera ancora un po' filosofica –, qui si dovrà discutere nei gruppi di lavoro, delle regole di finanza e di trasparenza che dovrebbero rendere il telaio della finanza green un po'più misurabile. Adesso la credibilità si conquista con le azioni, quindi sulla carta, ma al momento questa potrebbe essere la risposta.
Sempre l'onorevole Fregolent mi chiedeva della tassonomia, che aleggia. In questo momento la ricostruzione è che, come sapete meglio di me, la Germania non vuole il nucleare, ma ha molto bisogno del gas. D'altro canto – bisogna essere anche abbastanza onesti – credo che prima l'onorevole Ferrazzi parlasse di sanzioni, su chi le fa. Qui è molto interessante e anticipo all'onorevole Ferrazzi una parte della risposta, perché è pertinente. Noi abbiamo visto come in un certo momento USA e Cina hanno dato un'accelerazione al loro rapporto bilaterale, che è stata una fortuna per certi versi, perché ha sbloccato alcune cose. Tuttavia, avete anche visto che una settimana dopo la chiusura della COP il Governo americano ha deciso di aumentare l'estrazione e hanno messo anche in discussione il grande finanziamento.
La stessa Germania, come sapete meglio di me, ha un cuore verde, però di carbone ne usa tanto e fatica a liberarsene e la Polonia, che ha avuto più incentivi di tutti i Paesi d'Europa, continua a fare energia a carbone ed è quella che in questo momento paga l'energia meno di tutti.
Quando sono andato alla ministeriale una settimana fa a Bruxelles con i miei colleghi, ho presentato la mappa dicendo: «L'Italia, in questo momento – con il prezzo del giorno prima – paga un megawattora 270 euro, mentre altri Paesi pagano 120». Non sono gli Stati Uniti d'Europa questi, perché se uno va negli Stati Uniti d'America, più o meno la corrente da Stato a Stato la paga grosso modo in modo paragonabile. Quindi c'è qualcosa che non funziona.
Credo che l'onorevole Ferrazzi un po' dicesse questo: «Se io dico una cosa e poi ne faccio un'altra, chi mi dà la sanzione?» Il problema è che la sanzione di solito la dà lo Stato, la Polizia, ma siccome qui ci sono tutti i Paesi del mondo che stanno parlando, noi non abbiamo un'autorità centrale che possa sanzionare. Qui bisogna fare un percorso di trasparenza e di cultura e purtroppo dobbiamo farlo da noi. La Commissione europea può dare una sanzione a noi europei, ma a livello di COP26, se uno dice una cosa e ne fa un'altra, poi un po' difficile stabilire come fare le sanzioni.
Questo è un problema che non può che risolversi con un frame regolatorio chiaro. Il lavoro che dovremo fare sulla trasparenza, sulle regole economiche dei prossimi mesi e anni è un lavoro estremamente impegnativo.
Torno alla tassonomia, perché non voglio assolutamente eludere la domanda. La Germania non può fare a meno del gas al momento, la Francia ha un impegno sul nucleare, avendo più del 50 per cento dell'energia elettrica prodotta in quel modo.
Che succederà? Io penso ragionevolmente che la tassonomia dica semplicemente cosa produce green house gas, quanto è verde e quello che non può essere finanziato. Se non è in tassonomia, non può essere finanziato. Se sei in tassonomia, non è detto che sia finanziato, ma è solo detto che non sei green perché, come ha detto la Commissaria Kadri Simson, gli Stati saranno assolutamente autonomi e liberi di scegliere il loro energy mix. Non confondiamo ciò che è proibito da ciò che è obbligatorio. La tassonomia non obbliga, proibisce, è una cosa completamente diversa. Io ti dico che non puoi fare una certa Pag. 23cosa, il resto, se vuoi la fai, se vuoi non la fai. È molto diverso l'approccio.
Gli Stati saranno liberi di fare il loro energy mix e rimane un'autonomia dello Stato purché con le regole della tassonomia che ci dice che tutte le tecnologie devono essere green. Su quanto siano più o meno green, la Commissaria nell'ultima ministeriale è stata chiarissima, poiché ha detto che la tassonomia verrà aggiornata ogni anno, perché per fortuna c'è una consapevolezza tecnologica, perché – ripeto una battuta che ho fatto alla ministeriale – se nel 1990 ci avessero detto per il 2020: «fate a 30 anni un piano del digitale», noi con il telefono con i fili avremo fatto uno schifo. Oggi nel 2020 ci dicono di fare un programma sulle energie al 2050 ed è ovvio che il nostro equivalente del telefono con i fili nel 2050 non ci sarà, quindi speriamo che ci sia più crescita, ma poi su questo ci ritorno.
Io penso che avremmo libertà dell'energy mix e avremo una tabella sinottica che ci dirà quanto sono verdi le varie tecnologie. Se una tecnologia non è lì, non la si può fare, ma non che noi la possiamo finanziare. Quello non lo dice nessuno.
Vado alla senatrice Nugnes. Mi è piaciuto molto il suo accenno al negazionismo. Non voglio essere così esagerato, però forse, stando dentro la COP a Glasgow, io non ho percepito negazionismo, ma ho certamente percepito la discrasia, la differenza: l'IPCC ci dice: «andate verso 2,7 gradi» che è un evento catastrofico e dall'altra parte forse vi è stata un po' di aspettativa eccessiva, quindi un po' di over selling del risultato.
Credo di averlo anche espresso io personalmente raccontandovi, pur essendo stato lì dentro, che io sono uscito di lì esausto dicendo: «di più, anche volendo, non si poteva fare», siamo riusciti a tenere tutti insieme, però poi da un certo punto di vista dicevo: «ma in fondo cosa abbiamo fatto?» Forse non è negazionismo, ma il senso della discrasia ce l'ho anch'io.
Rispondo quindi alla senatrice Nugnes: la curva con cui ognuno farà le sue scelte energetiche per contribuire a 1,5 sarà diversa, non seguiranno il nostro modello. La verità è che Cina e India ci hanno detto: «noi produrremo più CO2 per un certo periodo» e ci hanno anche detto: «voi attaccatevi al tram» e poi «noi però dopo decelereremo più in fretta di voi.».
In questo momento dai dati delle Nazioni Unite noi abbiamo un budget di anidride carbonica totale per il pianeta di 600 miliardi di tonnellate in circa 20 anni d'anni e loro dicono: «Spetta quasi tutto a noi, perché voi il vostro budget l'avete finito».
Io ho tutti i dati della CO2pro capite, la CO2 per Paese e addirittura della CO2 per megawattora prodotto da ogni Paese. Tanto per dirvi, gli Stati Uniti producono 4,7 miliardi di tonnellate di CO2 in totale, la Cina 10,6. Quindi la Cina produce più del doppio gli Stati Uniti. Se andate a vedere il pro capite la Cina produce 7,4 tonnellate a testa e gli Stati Uniti 14 tonnellate a testa. La Cina dice: «voi producete di meno perché siete di meno, però il pro capite è troppo alto, perché avete troppi condizionatori, troppo tutto. Noi produciamo di più perché siamo tanti, ma il nostro pro capite è più basso». Questo è un po' l'elemento della discussione. È un po' difficile dire chi abbia ragione, perché tutto sommato l'argomento regge.
L'India parla di occupazione dello spazio del carbonio e ha detto: «avete prodotto l'infinito, ci avete messo nel gas serra e adesso si riscalda tutto e ora ci dite: “Voi non sviluppatevi, perché abbiamo già sporcato tutto quanto noi.”». Questo è l'argomento ed oggettivamente è complesso da discutere.
Il fatto che siamo tutti d'accordo sull'1,5 ci deve aiutare, con un po' di ottimismo, a pensare che poi, se i meccanismi di misura di trasparenza che abbiamo detto – la metrica che viene affidata a IPCC e alle Nazioni Unite – saranno ragionevolmente ben fatti, allora noi potremmo seguire nel corso di 15 o 20 anni questo percorso e speriamo che vada nel senso giusto.
Tutto quello che stiamo dicendo è fatto a invarianza tecnologica, con le tecnologie di oggi. Io penso che questo sia un punto molto importante, perché ci sono due tre cose che potrebbero uscire e che potrebbero accelerare il processo, ma speriamo Pag. 24che escano se continueremo a studiare a investire.
Sempre la senatrice Nugnes parlava dei 100 miliardi, di chi è responsabile e di chi subisce i danni. I responsabili cercano di raggranellare 100 miliardi da dare a chi subisce preferenzialmente il danno. Senatrice Nugnes, io – l'ho detto anche alla COP – sono il primo ad aver sollevato in un ambiente internazionale di quella dimensione il fatto che il G20 ha 4,8 miliardi di abitanti, circa l'80 per cento del GDP e circa 80 per cento del greenhouse gas prodotto. Gli altri 3 miliardi di abitanti si spartiscono le briciole e pagano più danni di noi, perché hanno meno infrastrutture, un miliardo di persone non hanno accesso all'elettricità, un paio di miliardi non hanno accesso ai carburanti puliti per cucinare. Io me ne rendo perfettamente conto e credo se ne rendano conto tutti anche a livello internazionale, però devo dire che la soluzione di questo problema non è immediata, non è dietro l'angolo e francamente questo è il motivo della mia delusione.
Io pensavo che in vista di questi numeri, questi 100 miliardi si raggiungessero sull'onda anche di un entusiasmo emozionale che ci doveva essere almeno quest'anno con tutto quello che abbiamo visto, e invece non c'è stato.
Qui non ho la risposta, se non condividere il disappunto. Dopodiché sulla questione dei gas che sono più inquinanti e delle altre tecnologie, la mia risposta che approfondirò adesso rispondendo all'onorevole Muroni è questa: sino al 2030 sappiamo esattamente cosa fare. Si può fare di meglio, ma sappiamo esattamente cosa fare. Credo che l'elettrificazione attraverso un potenziamento sostanziale delle rinnovabili sia l'unica strada, non c'è un piano B. Spero di essere chiaro e lapidario su questo: non abbiamo altro e quello dobbiamo fare.
Passo alla risposta all'onorevole Muroni, chiarirò quello che può essere il mio pensiero. Intanto volevo ringraziare l'onorevole Muroni perché lei mi ha ringraziato per la partecipazione, ma io sono molto contento di poter parlare con voi, perché spero di evitare misunderstanding che vengono più da quello che viene detto dalla stampa che da quello che dico e per questo sono contentissimo di potervi parlare. In secondo luogo sono contento di essere qui perché questa è una fase evolutiva molto veloce.
Mi avete tutti parlato di PNIEC. Il PNIEC era pronto. Lo aggiorniamo alla COP 26 e lo dobbiamo aggiornare alla Fit for 55. Questa è una tela di Penelope che va finita. Noi abbiamo lavorato per aggiornarlo ai dati del PNRR, è aggiornato, ma intanto esce la COP26 che cambia l'asticella e nello stesso momento stiamo discutendo Fit for 55. Facciamo una riflessione: lo possiamo tirar fuori subito e ogni tre mesi lo dobbiamo aggiornare. Questo deve essere chiaro.
Non è un caso che abbiamo fatto il piano della transizione ecologica che invece è molto più ampio, i cui allegati tecnici possono diventare PNIEC, PITESAI, eccetera, però questa è una decisione che può esser presa. I documenti sono tutti i documenti operativi di lavoro e i dati e le circostanze cambiano continuamente.
Vado subito alle osservazioni e alle domande dell'onorevole Muroni. Alla COP26 si poteva fare di più? Certo. Sul discorso del modello, la mia considerazione sul modello COP26 è che quando tu metti intorno al tavolo Paesi che hanno un reddito pro capite da 100 dollari e Paesi che hanno un reddito pro capite da 150 mila dollari – penso ai piccoli Paesi ricchi – è ovvio che il punto di mezzo è troppo lontano da entrambi e non può soddisfare nessuno. Questa è un po' la fotografia della COP. Alla fine forse un po' l'errore è avere grandi aspettative su quello che la COP possa fare operativamente, se non piccoli passi avanti che costruiscono negli anni un discorso.
Cosa è cambiato rispetto a prima? Che non ce li abbiamo gli anni. Prima ci potevamo permettere di dire «sì, poi l'anno prossimo vediamo». Un anno o due anni fa non c'erano gli uragani in Sicilia, ma ora ci sono, quindi è ovvio che quello che prima era il normale passo della diplomazia o della politica internazionale adesso, con questi cambiamenti così rapidi, appare del tutto inadeguato.Pag. 25
Io me ne rendo perfettamente conto e mi rendo altrettanto conto che non è proprio facilissimo cambiare il format, però una riflessione su questo va fatta e va fatta secondo me molto in fretta ed è una delle cose che io ho messo in agenda per le pre COP e ne ho parlato con il presidente della COP26, Alok Sharma, proprio pochi giorni fa.
Cosa succede fra una COP e l'altra? Abbiamo stabilito quattro workshop all'anno, i dialoghi di Glasgow, tutte le pre COP nuove: è quella la sede per vedere se riusciamo a cambiare qualcosa. Detto francamente, non mi aspetto cambiamenti epocali, però questa discussione è nuova. L'anno scorso la COP era il top, mentre quest'anno ci siamo messi un po' in discussione.
Sulla diplomazia climatica, il climate envoy ci sta, ma ho letto anche tante cose un po' strane sui giornali. La verità è che sia io che Di Maio – i due Ministri interessati – siamo stati sotterrati di roba nel periodo in cui si doveva fare anche questa cosa. Adesso la persona è stata identificata, quindi a brevissimo ci sarà.
Il climate envoy c'è nei Paesi che non hanno un Ministero della transizione ecologica, dell'ambiente. Basta vedere John Kerry negli Stati Uniti, dove non c'è l'equivalente. Inoltre, sicuramente adesso comincia a essere molto utile la parte diplomatica proprio per quello che abbiamo detto sinora, però adesso in questa fase – io sono qui da nove mesi ed è stato un caso – dal G20 in poi di diplomazia ce n'era zero, bisognava proprio andare un po' più sulle technicality.
È con grande felicità che adesso si rafforza il team dove ti viene un diplomatico professional che porterà avanti nel tempo questa cosa, mentre noi stiamo facendo una roadmap, però posso garantire – Di Maio può sicuramente confermare – che non abbiamo avuto nemmeno un secondo di screzio, come si è letto. C'era da far tutto, compresa la COP, e quindi la cosa è andata un po' così, però a breve vedrete.
Vado invece sui punti importanti. Sulla taxonomy vorrei sgombrare il campo da un misunderstanding. Io non faccio il divulgatore e non faccio più lo scienziato, ma faccio il Ministro e so perfettamente che quello che dico ha un peso. Proprio perché quello che dico ha un peso, io ho detto delle cose e ho ripetuto sempre le stesse.
Io ho detto che in questo momento, sino al 2030, non si discute quello che dobbiamo fare. Nel frattempo stanno succedendo delle cose. Noi non le vogliamo fare? Non c'è nessun problema, le possiamo guardare. Tra le cose che stanno succedendo ci sono investimenti nello sviluppo di reattori di tipo modulare e sulla fusione, dove c'è un'accelerazione. Vogliamo decidere di non guardarle? Io non ho nessun problema, non sarò Ministro quando ci sarà da prendere questa decisione. Faccio solo notare che noi adesso stiamo investendo e stiamo facendo una rivoluzione per trasformare in rinnovabile l'energia elettrica, raddoppiando quella che abbiamo. Il problema è che il consumo di energia totale del Paese è dieci volte l'elettrico. L'elettricità in totale è circa un terzo della nostra primaria. Noi adesso la porteremo da 30 a 70 per cento e dovremmo fare lo sforzo molto più grande.
Mi ha parlato dell'intervista di Francesco Starace che io ho letto. Starace è una persona con cui ho rapporti da ben prima di adesso, lo conosco benissimo e ne ho grande stima personale. È un manager e tecnico assolutamente bravissimo, però vorrei che fosse chiaro che, ad esempio, l'area dei tetti disponibili in Italia è dieci volte inferiore a quella che servirebbe. Gli accumulatori non ci sono e lo dice anche lui. Noi stiamo guardando in prospettiva, come stava guardando Francesco.
Sino al 2030 possiamo archiviare e dire che siamo tutti d'accordo? Sto sbloccando gli impianti e sto facendo tutto il possibile. Il mio obiettivo condiviso con tutti e la strategia di cui mi si chiedeva è il 72 per cento di elettricità rinnovabile al 2030, non negoziabile, perché sennò non ha senso fare tutti i passaggi all'elettrificazione della mobilità completa o all'elettrificazione della manifattura. Su questo siamo d'accordo.
Sul dopo dobbiamo portare qualche numero. Io personalmente – tanto non ci sarò e non influirò – ho qualche dubbio che un Paese che oggi vale circa 1.800 terawattora all'anno, 300 di elettricità, vuoto per pieno, Pag. 26e tutto il resto alla primaria – i dati pubblici sono di Our World in Data – e che ovviamente come tutti i grandi Paesi continuerà a crescere, ce la faccia. Supponiamo anche che noi fra le perdite e l'efficientamento rimaniamo là, comunque un migliaio di terawattora in più li dovremmo fare. A tecnologia vigente oggi li potresti fare solo con il solare e l'eolico, ma mancano gli accumulatori. Probabilmente fra un po' potrebbe esserci qualcos'altro.
Gli energy mix li decidono gli Stati e i Parlamenti. Io non ho mai detto: «mettiamo la centrale nucleare contro il referendum.». Non l'ho mai detto per due motivi. Il primo e il più fondamentale e che oggi non si può fare, perché non ci sono né i reattori modulari né quelli a fusione e io personalmente non farei un «prima e seconda generazione». Non l'ho detto perché non si può fare.
Il secondo motivo è che c'è il referendum che ho votato anch'io a suo tempo, ma dico che comunque il referendum ha vietato delle tecnologie 30 e 10 anni fa, ma forse di fronte a nuove tecnologie su cui altri, che ci stanno facendo ricerca, ci dovessero dire che sono buone, potrebbe valere la pena farsi qualche domanda?
Vi dico solo di supporre che in 25 anni si acceleri sulla fusione o che gli small modular reactors che Bill Gates sta finanziando – nel 2024 ne dovrebbe mettere uno in Romania che dovrebbe avere tutta una serie di caratteristiche molto buone – siano confermati, il Parlamento che è sovrano vorrà riflettere? Eventualmente può rifare un referendum.
Io sono technology neutral e il mio punto è un Paese colto, un Paese preparato che vuole studiare, che è una potenza mondiale economica, tecnologica e sociale deve studiare tutto. Lo dico non perché sono un divulgatore o perché sono un ex scienziato, bensì perché noi solo se studiamo l'innovazione troviamo qualcosa.
Chiudo questo argomento dicendo di immaginare quelle tecnologie che oggi si chiamano «carbon capture», che catalizzano l'aria – hai una macchina che dall'aria prende la CO2 e la trasforma in ghiaia, carbonato di calcio, che sono prototipi e fanno 4 milioni di tonnellate all'anno – e di immaginare che questa tecnologia, come i cellulari, fra 10 anni diventa massiva. A quel punto potresti addirittura dire: «brucio tanto gas quanta CO2 riesco ad estrarre direttamente dall'aria» e non è la carbon capture brutta che metti nelle miniere. Prende la CO2 nell'aria e la trasforma in pietra. Sono esempi, ma sto solo cercando di far capire che ci sono degli scenari che dobbiamo seguire. La taxonomy si può fare, va bene, se poi decidiamo di non usarla, non la usiamo. Io sono molto sono molto neutro su questa cosa.
Sulla COP27 in Egitto non posso che essere d'accordo. I miei colleghi e anche altri ministri possono testimoniare che ho detto: «facciamoci qualche domanda, perché noi andiamo lì, facciamo finta di nulla e questa cosa a me pesa moltissimo». Se io dovessi essere ancora Ministro in quel momento, per me questo sarà un grosso problema, lo farò presente. Sono assolutamente d'accordo.
L'onorevole L'Abbate mi chiedeva come facciamo a rendere vincolanti tutti questi impegni. Serve una struttura vincolante. In COP26 è stato fatto un grosso lavoro sul Paris Rulebook, cioè il pacchetto di regole dell'Accordo di Parigi che sono quelle che troverete nel secondo documento: trasparenza, tempistiche comuni per gli NDC, mercati del carbonio, utilizzo dei crediti, contributo al Fondo per l'adattamento e doppia contabilizzazione. Mi sembrano dei buoni passi avanti.
Onestamente devo dire che ha ragione l'onorevole Ferrazzi quando mi dice: «Se uno poi sgarra, chi fa le sanzioni?». Io non ho una risposta e credo che sia molto serio avere un meccanismo che verifica ed eventualmente sanziona. Il passo avanti rispetto al passato è che sul Paris Rulebook abbiamo una serie di regole che almeno, se uno vuole sanzionare, sa rispetto a quale impianto regolatorio.
Sono assolutamente d'accordo con l'onorevole L'Abbate quando dice che noi dovremmo avere dei QR code, degli indicatori di biocapacità di tutti i nostri prodotti, perché sarebbe molto importante generalizzare l'utilizzo di tecnologie che stabiliscanoPag. 27 la carbon fingerprint, tutto quello che viene prodotto, smerciato e scambiato. Credo che questa sia una di quelle cose che dovrebbe essere messa in discussione a breve nella pre Cop e nelle prossime COP.
Rispondo all'onorevole Patassini, anche se in parte ho già risposto a diverse cose. Sul mix energetico gli ho risposto, ma credo che l'unica domanda rimasta inevasa sia quella dello Youth for Climate. Noi abbiamo deciso, unilateralmente, comunicando con le Nazioni Unite, che nell'ambito dell'attività di internazionalizzazione del Ministero vorremmo organizzare uno Youth for Climate Forever, periodicamente ogni anno in modo da agganciarlo alle COP. Il motivo è semplicissimo: sotto l'egida delle Nazioni Unite – non certo sotto l'egida dell'Italia – creare un forum organizzato che consenta agli attivisti di avere tutti gli strumenti per poter negoziare e proporre qualcosa. Esattamente come si fa per gli adulti, avere un forum organizzato che loro autogestiscono.
Mi rimane l'onorevole Gallone che chiede se siamo sicuri che i Nationally Determined Contribution funzionino. No, nel senso che ora noi speriamo che il meccanismo di controllo che verrà messo in atto a partire dalla pre COP27 sui Nationally Determined Contribution sia un meccanismo quantitativamente serio e soprattutto gestibile, perché capite che quando si dichiara un certo abbattimento di CO2 o un certo investimento, poi andarlo ad attaccare sul bilancio di un Paese di cui non si ha la possibilità di vedere i numeri, è un po' complicato. Qui bisognerà capire come intervenire. Questo è tutto lavoro da fare a partire da adesso fino alla COP27. Ci dobbiamo lavorare e la risposta è non lo so.
CHIARA BRAGA (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio anch'io il Ministro per averci dato un inquadramento molto preciso e anche onesto delle luci e ombre che hanno accompagnato la COP26. Mi sembra molto importante che lei abbia sottolineato in maniera condivisibile i punti di accordo importante che sono stati raggiunti e anche ovviamente quelli di maggiore e di minore soddisfazione.
Io condivido la sua lettura sulla partita della finanza per il clima e sul ritardo con cui si sta arrivando ad ottemperare ad un impegno che ricordiamo è datato 2015.
Aggiungo un elemento di preoccupazione, che lei in qualche modo ha toccato, sulla partita del meccanismo perdite/danni. Credo che questo sia uno dei punti che ha reso tutto più complicato e ha motivato anche la reazione di insoddisfazione profonda dei Paesi più vulnerabili, perché soprattutto su questo secondo punto le economie più avanzate hanno dimostrato una chiusura incomprensibile rispetto alla necessità di implementare rapidamente gli impegni sul sostegno alla riparazione dei danni già provocati dai cambiamenti climatici.
Mi auguro che il processo negoziale – che, come lei ha ben detto, non si interrompe assolutamente a Glasgow, ma anzi continua e deve vedere un investimento ancora maggiore nelle fasi che non sono solo preparatorie ma di costruzione delle decisioni e dell'implementazione degli accordi e degli impegni presi – possa dedicare la giusta attenzione anche su questo tema, su questo aspetto.
Volevo chiederle per brevità alcune cose. Una riguarda come noi daremo corso a quello che ci siamo impegnati a fare a livello europeo e anche nell'accordo di Glasgow relativamente al tema del progressivo abbandono dei combustibili fossili. Io penso che sarebbe importante avere un'indicazione un po' più cogente e precisa di tempistica e di impegni sul tema della riduzione dei SAD, perché nella legge di bilancio certamente ci sono alcune cose molto positive – come quella della finanza per il clima, su cui le confermo il pieno sostegno del Partito Democratico a incrementare, per raggiungere l'obiettivo dei tre miliardi su cui sappiamo di dover ottemperare come necessità primaria – ma sulla questione della riduzione dei SAD confesso che, a parte le dichiarazioni di principio, forse è opportuno avere un'indicazione più precisa su come si vuole intervenire anche sulla tempistica di un progressivo superamento, riduzione e azzeramento dei SAD.Pag. 28
Dell'altra questione, il tema della tassonomia che è entrata nel dibattito di oggi, ne ha parlato lei diffusamente ed è stata già ripresa anche da vari colleghi, quindi non voglio rubare troppo tempo, ma faccio solo una considerazione. Io penso che lei giustamente ha ricordato di cosa si sta discutendo, ovvero di alcune regole sulla possibilità di considerare o non considerare come finanziabili degli investimenti in alcune fonti europee. La posizione dell'Italia non è ininfluente sulle scelte che matureranno a livello europeo.
Tuttavia, credo che la chiarezza con cui lei ci ha spiegato il fatto che la decisione del mix energetico e delle strategie energetiche spetti agli Stati membri – ce l'ha spiegato oggi, ma lo fa quotidianamente anche con le sue dichiarazioni – debba essere trasferita o quantomeno fatta propria anche dal dibattito politico, perché sicuramente ci sono delle forzature nell'interpretazione di alcune posizioni e una semplificazione che non aiuta un dibattito che io credo, come giustamente lei ha detto, spetti ai Paesi membri, agli Stati e al Parlamento che non può essere uno spettatore indifferente di questa discussione sulle scelte.
Non è oggi la sede e l'occasione per poter fare questo dibattito e questa discussione, ma mi auguro che questo possa avvenire, perché noi dobbiamo essere capaci anche di maneggiare con la giusta cura e il giusto equilibrio le decisioni che si stanno assumendo a livello europeo ed evitare forzature – lo dico alle parti politiche e non a lei, Ministro – e interpretazioni semplicistiche sul fatto che una scelta sulla tassonomia porti automaticamente nel nostro Paese ad alcune decisioni, ma non è così, perché lei giustamente ha detto che questa discussione verrà fatta in sede degli Stati membri e coinvolgerà anche il Parlamento. Questa è una richiesta e un auspicio su cui mi sento di chiederle un impegno in questa occasione. Grazie.
LAURA GARAVINI (intervento da remoto). Grazie, presidente Rotta. Grazie, Ministro Cingolani, per l'esaustiva disamina che ha fatto oggi e soprattutto per il lavoro portato avanti proprio per la realizzazione della COP26 insieme alla Gran Bretagna oltre che per i risultati a cui l'Italia ha contribuito.
Credo che anche il risultato già conseguito in sede di G20, come premessa alla COP26 proprio per perseguire poi l'obiettivo del contenimento della temperatura a 1,5 gradi, sia stato molto eclatante, sia stato ben visibile e credo che sia un ottimo punto di partenza.
Cionondimeno è chiaro che, come lei stesso ben diceva e come tutti i contributi di stamattina dei colleghi hanno ribadito, adesso la partita si gioca nel conquistare credibilità, nella misura in cui come sistema Paese riusciamo a concretizzare quegli obiettivi e quegli impegni che la stessa Italia ha contribuito a conseguire e ha sottoscritto.
Faccio mie le considerazioni innanzitutto della collega Fregolent e poi di una serie di colleghi che si sono susseguiti nel chiedere anche quale scaletta, quale tempistica e quali provvedimenti il Governo intenda mettere in campo, perché sia gli obiettivi specifici della COP26, sia quelli già in via preliminare del Fit For 55, sia quelli che in qualche modo l'Italia ha contribuito a sottoscrivere a livello bilaterale o multilaterale con diversi Paesi sono tutti obiettivi che molto puntualmente è opportuno raggiungere. Quindi le chiedo qual è la scaletta anche normativa che il Governo intende mettere in campo per conseguirli.
Nello specifico volevo chiederle una cosa, perché dall'enunciazione che ci ha dato degli undici accordi che siamo andati a sottoscrivere, ho avuto la sensazione che non fosse considerato l'accordo per la riduzione delle emissioni di metano, di perdite di metano, che invece presumo abbiamo a nostra volta sottoscritto, ma vorrei chiederle conferma in merito.
Soprattutto, dato che non mi risulta che l'Italia abbia ancora aderito all'IMEO (International Methane Emissions Observatory), le chiedo se abbiamo intenzione anche lì di dare adempimento oppure no.
Mi sento di spezzare una lancia a mia volta, dato che invece ci sono stati interventi che andavano in una direzione opposta, rispetto alle necessità di tenere conto anche già in fase di programmazione del Pag. 29ruolo che le tecnologie digitali possono dare alla riduzione di emissioni. Ci sono studi che stimano una riduzione fattibile dell'1,5 per cento delle emissioni laddove si ricorresse a tecnologie digitali.
Su questo credo che vada posta una grande attenzione e già in occasione del nostro incontro a Glasgow avevo avuto modo di ribadirlo, ma credo che oggi, anche alla luce, ad esempio, dell'intervento della collega Muroni, sia il caso di sostenere nelle enunciazioni da lei portate avanti in più occasioni la necessità proprio di una grande attenzione anche a quello che è l'apporto che le nuove tecnologie possono dare.
In questo senso volevo chiederle: dato che credo che la partita si giochi proprio tantissimo rispetto a quello che è l'evolversi della ricerca in merito, ritiene che gli investimenti previsti adesso in legge di bilancio e attraverso poi l'implementazione del PNRR siano sufficienti e vadano nella direzione giusta o ritiene invece che ci sia bisogno di ulteriori investimenti? Da questo punto di vista il Parlamento può in qualche modo contribuire a fare sì che invece ci sia un'adeguata messa a disposizione di risorse? Grazie tante.
ELENA LUCCHINI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Saluto e ringrazio il Ministro per la sua relazione. Facendo un po' il resoconto di quanto lei ha detto della COP26 e soprattutto degli esiti che ne sono conseguiti, dobbiamo dare atto che uno dei traguardi più importanti da raggiungere era quello di far conoscere la necessità di prevedere entro un 1,5 gradi invece che 2 rispetto agli Accordi di Parigi l'aumento della temperatura globale, con la graduale riduzione del carbone. L'intesa è stata raggiunta e l'obiettivo di fatto è stato centrato. Si è concordato poi di raddoppiare i fondi internazionali per le variazioni di adattamenti soprattutto per quei Paesi più vulnerabili che sono soggetti anche a degli impatti dovuti ai cambiamenti e le conseguenze derivate dai cambiamenti climatici.
Possiamo dire che è stato assunto un forte impegno attraverso le diverse posizioni finanziarie di raggiungere nel più breve tempo possibile la famosa quota di 100 miliardi di dollari per supportare i Paesi più fragili.
È vero che siamo, come abbiamo detto e ripetuto – l'ha ribadito anche oggi il Ministro – in ritardo sulla tabella di marcia, ma credo che sia stata una presa di coscienza e con l'impegno di tutti, secondo l'OCSE, dovremo arrivarci entro il prossimo 2023.
Sono stati raggiunti dei traguardi, dei risultati importanti, che dimostrano che un passo avanti è stato fatto. È chiaro che non si può stravolgere tutta la situazione e mettere la parola fine ai problemi ambientali nell'arco di due settimane. I risultati si conquistano un passo alla volta e poco alla volta e spesso, come è accaduto anche nell'ultima COP26, con una certa diplomazia e trovando compromessi, per poi remare tutti nella stessa direzione.
Quello che sappiamo sicuramente però è che serve meno ideologia, perché pensare di poter fare tutto subito chiaramente non è fattibile e non è in alcun modo realizzabile. Serve pragmatismo, gradualità e sarebbe un interlocutore che sia il più possibile credibile e che ci rappresenti al meglio come Paese Italia anche all'estero e che oggi finalmente abbiamo nella sua persona, Ministro.
La dimostrazione l'abbiamo avuta con il fatto che per la prima volta l'Italia ha avuto un ruolo centrale in quelle che sono le tematiche di politica a livello europeo e a livello internazionale.
Di domande ne sono state fatte sono molte, quindi io non mi ripeto, ma ho una questione tecnica. Un'occasione importante della quale oggi noi disponiamo e che non deve in alcun modo essere dissipata è quella dei fondi del PNRR anche e soprattutto in tema di transizione ecologica sempre ricollegandoci alla COP26.
A tal proposito colgo l'occasione per chiedere al Ministro se è al corrente quando sarà operativa la nuova Commissione PNIEC-PNRR che avrà un ruolo strategico sulla valutazione dei progetti, perché la data del 25 settembre era il termine ultimo per la presentazione delle candidature, ma volevo capire quando sarà pronta la squadra.
PRESIDENTE. Passiamo ora alla presidente Vilma Moronese, che saluto e ringrazio, che vuole fare anche lei un saluto prima di andarsene.
VILMA MORONESE, presidente della 13a Commissione del Senato della Repubblica, (intervento da remoto). Saluto e ringrazio velocemente il Ministro, purtroppo devo andare via. Ringrazio anche te, collega presidente, e chiederei al Ministro se fosse possibile successivamente avere la sua relazione in modo da distribuirla.
MAURIZIO BUCCARELLA (intervento da remoto). Grazie presidente. Grazie Ministro, un saluto a tutti i colleghi. Sarò molto veloce, perché mi rendo conto che l'orario è ben avanzato.
Io penso di condividere con voi la consapevolezza che viviamo un momento tanto sfidante quanto a suo modo anche entusiasmante. Io sono uno di quelli che non ha mai frainteso le comunicazioni o le interviste del Ministro Cingolani e quindi è facile cadere nella strumentalizzazione. Anche io sono molto curioso e cerco di approfondire tutti gli aspetti soprattutto tecnologici che possono darci una risposta virtuosa per la grande sfida.
Anche io avevo notato e apprezzato moltissimo l'intervista del presidente Starace, ricollegandomi a quello che ha già detto la collega Muroni, su cui già il Ministro si è espresso. La via evidentemente è quella dell'elettrificazione, del potenziamento delle fonti rinnovabili e anche del potenziamento dei sistemi di accumulo, perché quella è la strada, in attesa che eventuali sviluppi tecnologici possano darci nel futuro più o meno prossimo soluzioni alternative all'eolico, al fotovoltaico e al geotermico.
Mi torna alla mente un argomento al quale io sono particolarmente attaccato e che mi è caro, ovvero quello dell'idrogeno verde. Signor Ministro, lei sa benissimo che, leggendo anche l'ultima rassegna stampa quotidiana e collegandomi a un elemento che lei ci ha riferito sulla COP26, a fronte dei 100 miliardi che gli Stati con difficoltà riescono a raggranellare, mi sembra di aver capito che ci sono 130 mila miliardi di dollari pronti a essere investiti dalla finanza privata.
Io volevo invitarvi a una considerazione. La problematica della tassonomia è vera e inciderà nelle decisioni della spesa dei decisori pubblici, però inizio a pensare che forse la vera risposta è che i grandi investimenti privati, senza l'appoggio finanziario degli Stati e delle organizzazioni degli Stati, già stiano indicando la direzione.
Dalla rassegna stampa di ieri solamente per l'idrogeno verde vedo in Cile 10 gigawatt di elettrolizzatori fatti dalla società francese Total Eren, poiché il Cile vuole raggiungere 25 gigawatt al 2030, ma l'Unione Europea parla di 40 gigawatt nel 2030 e 6 al 2024. In Spagna Acciona e una società statunitense investono due miliardi per progetti congiunti nella rete dell'idrogeno verde fra Spagna e Portogallo. Abbiamo letto tutti la notizia che una società svedese, l'H2 Green Steel insieme a Iberdrola sta sperimentando – e sarà operativa nel 2025 o nel 2026 – l'installazione di un gigawatt di idrogeno verde per i procedimenti di siderurgia relativa alla riduzione diretta del ferro con la produzione dei previsti 2,5 milioni di tonnellate minimo.
Bloomberg stima 270 miliardi di dollari di investimenti del 2050 per l'acciaio verde. Abbiamo letto nei giorni scorsi che Snam ed ENI sono interessate a un progetto congiunto di collegamento con l'Algeria, dove l'idrogeno verde avrà una sua parte.
Infine, ho letto dieci minuti fa che l'Unione europea scommette che il prezzo dell'idrogeno verde scenderà a 1,80 euro al 2030.
Se la tassonomia è una questione dirimente su come spendere i soldi pubblici, a me sembra di poter intravedere che i grandi fondi d'investimento stiano già scommettendo in quella direzione e l'idrogeno verde sarà uno dei protagonisti, ma magari non sarà l'unico.
In tema di accumulo ho letto – da non tecnico mi entusiasmo quando leggo queste cose – che i sistemi di accumulo che utilizzano fluidi utilizzano l'energia termica che si può conservare per giorni per poter immagazzinare quella rinnovabile che non può essere messa in rete e può essere Pag. 31riutilizzata e per produrre energia elettrica.
Ci sono sistemi innovativi del volt energetico e di volt gravitazionale con queste enormi gru che tirano su blocchi da 35 tonnellate e poi li fanno scendere, simulando dei sistemi di accumulo di tipo idroelettrico, potendo così accumulare energia elettrica anche nei momenti in cui l'eolico o il fotovoltaico non sono produttivi.
Trovo tutto questo sfidante e credo che il Ministro abbia la capacità, con il suo curriculum personale da scienziato, di far fronte a queste sfide e credo che non perderà occasione di approfondire insieme a noi tutte queste soluzioni tecnologiche che ci potranno accompagnare nel più breve tempo possibile all'abbandono dalle fonti fossili.
Evidentemente avremo il gas ancora per qualche anno, ma ribadisco quello che abbiamo detto di recente e che abbiamo scritto anche in un parere della Commissione Ambiente al Senato relativamente all'atto del Governo 297 sul piano della transizione ecologica. Grazie mille.
RUGGIERO QUARTO (intervento da remoto). Grazie. L'Italia è un Paese particolarmente interessato al problema dell'adattamento al cambiamento climatico e della mitigazione, poiché da un punto di vista di cambiamento climatico nello scenario globale si trova al centro del Mediterraneo, dove è in atto un cambiamento con fenomeni di tropicalizzazione climatica. Infatti, basta pensare agli ultimi uragani che ci sono stati e agli addirittura 12 tornado in 24 ore in Sicilia.
L'Italia già di per sé è un Paese particolarmente fragile da un punto di vista geologico sia a terra che a mare: il 41 per cento dei comuni sono colpiti dal dissesto idrogeologico e tante città a livello del mare sono a pericolo di sommersione, come Venezia ma non solo. Occorrerà realizzare interventi strategici per la tutela dell'ambiente e del territorio.
Tuttavia, per la corretta pianificazione e progettazione è necessaria un'approfondita conoscenza. La base della conoscenza è la cartografia geologica che non è una mera carta colorata, ma è una banca dati rilevati a 10 mila, stoccati in database a 25 mila e stampati a 50 mila. Per tale carta l'Italia è paurosamente indietro rispetto a tutti gli altri Paesi europei che hanno già terminato questa cartografica secondo uno standard più o meno omogeneo in tutta Europa e sono già al secondo, al quarto o al settimo aggiornamento. Invece, in Italia addirittura mancano territori estremamente pericolosi come quasi l'intera Calabria e tutta la Sicilia.
Nell'ultima audizione che c'è stata nelle Commissioni riunite, lei, Ministro, alla domanda «Cosa intende fare il Ministro per il completamento della cartografia geologica?» ha risposto in modo secco: «Sarà finanziata», ma in realtà in legge di bilancio non c'è.
Chiedo ancora cosa intende fare realmente per la previsione, la mitigazione e la prevenzione dei rischi naturali che sono sicuramente amplificati dal cambiamento climatico. Grazie.
PRESIDENTE. Ricordo che l'audizione del Ministro Cingolani, che ha risposto a tutte le domande, ha ad oggetto la COP 26 e gli esiti della Conferenza. Do quindi la parola al Ministro per la replica agli ultimi interventi svoltisi. Prego Ministro.
ROBERTO CINGOLANI, Ministro della transizione ecologica. Grazie presidente, le domande adesso sono meno perché abbiamo già discusso diverse cose prima.
Onorevole Braga, sulla taxonomy do la mia totale disponibilità a venire a riferire non appena avremo fatto gli iter europei. A dicembre c'è un'altra ministeriale e vediamo se escono fuori i comunicati e i documenti finali. Sin da ora do a tutto il Parlamento la mia disponibilità a venire a presentare e discutere tutto quello che avrò in mano.
Per quanto riguarda i sussidi ambientalmente dannosi, i SAD, questa è una cosa molto importante. In questa legge finanziaria ho proposto – ne ho parlato con il Ministro delle finanze – un emendamento per eliminarne un piccolo numero che può essere tolto subito senza causare impatto sociale e particolare per accelerare un segnale importante che spero sia possibile.Pag. 32
A livello di pianificazione, il CITE, il Comitato interministeriale della transizione ecologica, ha già organizzato i tavoli di lavoro e stiamo analizzando le 750 pagine – è un dossier di questo spessore – con tutti i SAD che cubano all'incirca 20 miliardi, rappresentando un impianto molto importante. La tempistica è ovviamente sancita dagli impegni europei perché noi dovremmo portare le nostre proposte alla Commissione europea e al Parlamento europeo nella seconda metà del 2022, dopo che saranno state valutate dal nostro Parlamento.
L'operazione che stiamo cercando di fare è la trasformazione di un sussidio ambientalmente dannoso in qualcosa che non sia ambientalmente dannoso, ma che in qualche modo non implichi un danno a categorie particolarmente delicate, come possono essere i trasportatori, i tassisti o l'agricoltura. Stiamo studiando misure di redistribuzione.
Non voglio e non posso anticipare nulla, però per dare un'idea, un meccanismo potrebbe essere che se si toglie un SAD che abbassa il costo del carburante per una particolare categoria, casomai quello stesso risparmio viene trasformato in un abbattimento dei costi del lavoro, in modo tale che l'impresa che possa essere toccata dall'abbattimento del SAD, a conto economico rimanga sostanzialmente intonsa, magari risparmiando sul costo del lavoro e pagando di più la benzina. Stiamo lavorando in questi termini. Il gruppo del CITE sta facendo questo e l'agenda sarà quella dettata dall'Europa.
Occorre tenere conto del fatto che noi faremo una proposta per la quale non è che dal primo gennaio 2023 i SAD scompaiono, ma sarà una proposta con un gradiente e ci sarà un'uscita, un phase out progressivo, che verrà studiato in modo da non creare danno sociale.
La senatrice Garavini chiedeva quali provvedimenti si mettono in campo. Per quel che riguarda l'implementazione delle conclusioni di COP26, queste sono sostanzialmente conformi a quanto stiamo facendo nel PNRR, nel «decreto semplificazioni» e con gli aggiornamenti dei vari piani.
Sulla Fit for 55, che è un lavoro in corso che detta l'agenda anche per i SAD nella seconda metà del 2022, ci stiamo lavorando, sempre nell'ambito del CITE, in modo che tutti i ministeri coinvolti abbiano una proposta comune da portare alla vostra attenzione. Anche questa nella seconda metà del 2022 dovrebbe andare per la chiusura dei lavori Fit for 55. È la stessa storia dei SAD, esattamente la stessa questione.
Per quanto riguarda il metano, ho fatto una verifica al volo con il nostro team. Il methane pledge, l'impegno sul metano, è stato concordato dal nostro Primo Ministro con gli Stati Uniti – un'iniziativa tra America ed Europa – a settembre. Era antecedente alla COP26 e non è oggetto di una firma, ma è un accordo ampio, di alto livello, che non è stato portato in COP26, perché è stata una cosa già discussa a settembre.
Mi chiedeva anche del ruolo del digitale che è fondamentale, perché il digitale ottimizza qualunque processo manifatturiero, abbassa l'impronta idrica, l'impronta energetica e l'impronta di carbonio. Inoltre, tutto sommato è una delle migliori conseguenze dell'industria 4.0 che non solo aumenta la produzione, ma abbassa l'impronta ecologica. Per questo motivo personalmente non posso che ritenere che questo sia un eccellente strumento per rendere qualunque processo più sostenibile.
Infine, mi chiedeva se ci fosse bisogno di ulteriori investimenti. Le dico francamente che c'è un'infinità di cose da fare e, com'è noto, i finanziamenti non bastano mai. Tuttavia, dico anche che con un po' di realismo noi siamo talmente impegnati a fare questa trasformazione partita dal PNRR, che già riuscire a spendere molto bene e puntualmente i soldi del PNRR secondo me è un grosso impegno.
Allo stato attuale forse anche la disponibilità di troppi ulteriori fondi potrebbe non essere gestibile con le strutture e la capacità di spesa pur non piccola che ha uno Stato grande come l'Italia.Pag. 33
Credo che sia molto importante far partire bene il PNRR, impostare bene la spesa e casomai, dal prossimo anno, avendo la strategia già in funzione, potenziare i settori che sono rimasti un po' meno curati e meno forti rispetto a quelli privilegiati dal PNRR.
Per quanto riguarda l'onorevole Lucchini, posso confermare che la Commissione PNIEC adesso è costituita e, come sapete, noi abbiamo fatto tutti i lavori entro la deadlline. Sapete che sono circa 40 esperti selezionati e, fatta la selezione – 30 o 31 sono stati già selezionati, ma stiamo selezionando gli ultimi dieci –, ma abbiamo dovuto attendere un po' per l'autorizzazione della Corte dei Conti che doveva dare un benestare affinché questi esperti potessero essere cooptati. L'ok è arrivato e a questo punto diciamo abbiamo 20 ok già arrivati, 10 o 11 undici – vado a memoria – che sono attesi in questi giorni, ma può darsi che siano arrivati negli ultimi giorni. Ad ogni modo i primi 30 esperti sono selezionati in place e al più presto vi è la designazione del presidente che dovrebbe consentirci di partire, ma anche per il presidente bisogna aspettare l'autorizzazione della Corte dei conti. Purtroppo questi sono tempi fuori dal processo, che non dipendono da noi, però ormai la Commissione c'è.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Buccarella, io sono molto sensibile al tema dell'idrogeno. Ricordo che noi abbiamo 3,2 miliardi sulla strategia idrogeno. Il nostro obiettivo è con il PNRR di mettere 5 gigawatt di produzione equivalente, quindi di accumulo basato sul vettore idrogeno, che non è un numero piccolo. Se pensate che dobbiamo mettere ogni anno 8 gigawatt per i prossimi anni per arrivare al nostro target, questo è quasi l'equivalente di un anno di rinnovabili.
Tenete anche conto che per realismo, se anche adesso ci regalassero l'idrogeno in quantità infinita, noi non avremmo le stazioni, i treni, gli autobus, le automobili e le reti di distribuzione. La nostra strategia idrogeno è basata sul fatto che vogliamo far partire una supply chain, ovvero fare l'equivalente della giga factory per le batterie anche per gli idrolizzatori, altrimenti come al solito andiamo a comprare tecnologie all'esterno.
Tra l'altro in tutto quello che noi facciamo è chiaro che noi non dobbiamo andare a comprare roba fuori, perché se noi diamo i soldi all'estero, a noi rimane la manutenzione e l'ammortamento, che non è una grande strategia. Sul solare, sulle batterie, sugli accumulatori e sugli idrolizzatori noi stiamo cercando di creare queste giga factory. Non è facilissimo, perché non devono essere aiuti di Stato alle imprese, ma dobbiamo fare un po' di public private partnership e dobbiamo studiare bene gli incentivi. Stiamo cominciando con le batterie automotive, che sono la cosa più urgente, ma lo faremo anche per gli idrolizzatori in modo da creare una compagnia italiana che possa produrre la tecnologia abilitante ad avere quel vettore.
Abbiamo in programma di fare quaranta stazioni di servizio, perché a livello europeo, se un camionista a idrogeno viene dalla Germania e vuole arrivare a Reggio Calabria, ogni 250 chilometri andata e ritorno dove poter fare rifornimento. Queste stazioni sono previste con pompe a 700 bar e 350 bar che vanno bene sia per i camion che per le automobili con tecnologia attuale e medio-futura.
Abbiamo un piano su treni e autobus, soprattutto laddove non c'è elettrificazione e poi c'è un miliardo che, come sapete, è stato destinato ai settori hard to abate in particolare l'acciaio. Vi è anche la nota questione Ilva che deve essere assolutamente aiutata a fare la transizione nei tempi compatibili e con tutto quello che ne consegue e che c'è alle spalle; questo è un contributo.
Chiudo dicendo che immagino che come tanti altri elettori, l'idrogeno sarà in tassonomia, ma sarei molto meravigliato se non lo fosse. Secondo me quello che succederà in futuro e anche in Italia è che i Paesi più forti saranno quelli che riuscivano ad avere l'energy mix più intelligente e più ampio. La diversificazione sull'energy mix del futuro è importante.
È chiaro che in un Paese lungo e stretto come l'Italia che ha solo un confine con Pag. 34altri Paesi per avere l'interconnessione e che peraltro dal punto di vista dell'irraggiamento solare corrisponde al Texas per il petrolio negli Stati Uniti – non dimentichiamoci che siamo il Paese più irraggiato, perché se la luce fosse petrolio, noi saremmo il Texas in Europa –, da quel punto di vista ci dobbiamo giocare tutte le carte del nostro energy mix, dominando le tecnologie che ci consentono di non dover comprare all'estero tutto quanto. Anche su sul fotovoltaico faremo un investimento sulle giga factory.
Sicuramente si può fare di più sull'idrogeno, però teniamo conto che rischiamo di avere più offerta che domanda. Forse già questo impegno non piccolo sull'idrogeno ci consente nel frattempo di far crescere l'offerta, a partire dalle automobili che per adesso sono tre modelli molto costosi in Italia e, se qualcuno le compra, sostanzialmente non può fare il pieno. Mi fermerei qui, presidente, credo aver risposto a tutto.
PRESIDENTE. Grazie al Ministro Cingolani per il tempo che ci ha dedicato, per l'esaustività e la disponibilità non solo a tornare, ma a fornirci informazioni, mentre si procederà in questo processo nel quale stiamo. Saluto tutti i senatori e i deputati e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.10.