Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2329 BRESCIA, RECANTE «MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 MARZO 1957, N. 361, E AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 20 DICEMBRE 1993, N. 533, IN MATERIA DI SOPPRESSIONE DEI COLLEGI UNINOMINALI E DI SOGLIE DI ACCESSO ALLA RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA. DELEGA AL GOVERNO PER LA DETERMINAZIONE DEI COLLEGI ELETTORALI PLURINOMINALI»
Audizione del professor Massimo Villone, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II».
Brescia Giuseppe , Presidente ... 2
Villone Massimo , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II» ... 2
Brescia Giuseppe , Presidente ... 5
Audizione del professor Alessandro Sterpa, Professore di diritto pubblico presso l'Università degli studi della Tuscia:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 5
Sterpa Alessandro , Professore di diritto pubblico presso l'Università degli studi della Tuscia ... 5
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7
Fornaro Federico (LeU) ... 7
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA
La seduta comincia alle 13.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del professor Massimo Villone, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II».
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Massimo Villone, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II». Saluto il professor Villone e lo ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
Essendo egli stato indicato tra i soggetti da audire, in qualità di esperto della materia, anche sulla proposta di legge costituzionale C. 2238 Fornaro, recante «Modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica», gli chiedo cortesemente di svolgere la relazione su entrambe le tematiche e di contenere il suo intervento in circa quindici minuti.
MASSIMO VILLONE, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II». Grazie, presidente. Io vedo queste due proposte di legge come due proposte che, per una parte, prendono atto finalmente, magari con qualche ritardo, di quella che è la realtà del nostro sistema politico oggi, e, per l'altra, sono necessitate per la scelta, che è stata fatta, del taglio dei parlamentari. Sono proposte che, in qualche modo, accompagnano quella scelta, riducendone alcuni impatti palesemente negativi. Voglio lasciare a verbale, perché sia chiaro, che personalmente considero quella scelta sbagliata (presiedo uno dei molti comitati per il «no»), quindi su questo non sono equidistante.
Per quanto concerne la proposta C. 2329 Brescia, vedo essenzialmente in essa due punti focali. Il primo rappresenta quella che definirei la parte durevole della proposta, vale a dire il passaggio al sistema proporzionale. Si tratta di un passaggio di assoluto rilievo e sappiamo bene che sia in politica sia in dottrina ci sono due «chiese», sulla scelta del sistema elettorale: la «chiesa» del proporzionale e quella del maggioritario. Io da una ventina d'anni appartengo alla prima e, come è normale che accada, ci sono molti altri che invece si iscrivono con uguale fermezza alla seconda. Ricordo un articolo di D'Alimonte sul Sole 24 Ore dell'11 gennaio 2020, poco dopo la presentazione della proposta di legge del presidente Brescia. D'Alimonte si intende di sistema elettorale, ovviamente, ed era un articolo di duro attacco alla proposta. Il giornale lo intitolò: «Il proporzionale Pag. 3 del Brescianellum pietra tombale sui governi stabili». Ricordo anche le valutazioni negative di personaggi di rilievo, come Prodi e Veltroni. Ci sono dei fan del maggioritario che non demordono. . Io credo, invece, che la proposta Brescia favorisca assai opportunamente questa scelta, perché non si può sostenere un'opzione maggioritaria quando il sistema non è più bipolare, come credo sia ormai vero per il nostro sistema e per un tempo non breve. Ritengo che ci sia un solo scenario in cui il sistema maggioritario – comunque configurato: di collegio, o con premi di maggioranza – funzioni in modo ottimale, vale a dire quando ci sono due schieramenti che assorbono gran parte del voto del corpo elettorale, e che sono sostanzialmente equivalenti. Questo è lo scenario che ha reso il sistema britannico l'archetipo che è stato per molto tempo per una parte della nostra dottrina, la quale si è illusa che fosse questo sistema elettorale a generare il bipolarismo. In Gran Bretagna tories e labour, per un tempo lungo, hanno assorbito tra l'80 e il 90 per cento del voto del corpo elettorale. Storicamente è accaduto questo. Il modello britannico ha cominciato a mostrare qualche crepa – che noi al di fuori non vedevamo, ma in Gran Bretagna se ne discuteva da tempo – quando questa realtà politica non è stata più vera, quando hanno cominciato a emergere soggetti politici che, pur avendo una consistente percentuale del voto popolare, prendevano una manciata di rappresentanti alla Camera dei Comuni. Poi negli ultimi anni abbiamo visto non voglio dire il collasso, ma il disgregarsi di quella che sembrava una certezza. Da noi è accaduto fondamentalmente questo: storicamente abbiamo avuto due partiti, la DC e il PCI, che hanno assorbito tra il 70 e l'80 per cento dei voti. Tuttavia uno di questi due partiti gli inglesi avrebbero detto che non era fit for government, non era ammesso al Governo, essendone escluso dalla nota conventio ad excludendum. Quindi il nostro sistema non poteva funzionare all'inglese, proprio per la diversa realtà politica. Quando questo assetto è venuto meno, con la caduta del muro di Berlino, e si è avuto l'ingresso nell'area del Governo del maggiore partito della sinistra del tempo, si è avuta l'illusione che il sistema elettorale potesse generare un bipolarismo all'inglese. Questo è quel che è successo all'inizio degli anni Novanta. La scelta maggioritaria fu fatta nell'idea che così noi avremmo avuto un sistema all'inglese, con l'alternanza e tutte quelle belle cose di cui si parlava sempre. Solo che non ha funzionato. In realtà nel sistema britannico il bipolarismo non era un prodotto del sistema elettorale, ma uno spontaneo conformarsi della società. Nemmeno da noi il sistema elettorale ha creato il bipolarismo, anzi, ha ulteriormente frammentato il panorama politico, per dare alla fine un risultato non coerente con le aspettative di chi invece continuava a dire che la scelta del maggioritario ci avrebbe dato governabilità. Non abbiamo mai avuto governabilità. In più di vent'anni di maggioritario questa governabilità non c'è mai stata, basta guardare proprio la storia quotidiana della Repubblica per rendersene conto. Ed è chiaro che in un sistema che non è bipolare, che non tende a essere bipolare, ma che si sta assestando, nel bene e nel male, su un assetto tripolare, il maggioritario non va bene. Non è più il piccolo vantaggio che consente a uno schieramento che è quasi equivalente all'altro di ottenere un margine numerico per governare, ma diventa una lotteria, perché significa prendere una minoranza, trasformarla in una fasulla maggioranza che non esiste nella realtà del Paese e quindi distruggere la rappresentatività. Al tempo stesso, la governabilità sarà comunque debole, perché si avrà un Governo che non rappresenta il Paese, anzi, ha contro di sé la prevalente parte del Paese. Questa è l'Italia che abbiamo prodotto, l'Italia che è cresciuta nelle disuguaglianze, l'Italia dove si sono approfondite le fratture, le faglie territoriali, sociali e via dicendo.
Oltre alla Gran Bretagna, anche altri sistemi – Francia, Spagna – tradizionalmente presi ad esempio per il maggioritario e la governabilità sono andati in crisi. Pochi giorni fa Macron ha perso la maggioranza assoluta che aveva nell'Assemblea nazionale perché gli si sta sfaldando in mano l'assemblaggio che ha messo insieme per vincere la partita elettorale. In Spagna Sánchez cerca affannosamente di tenere la zattera del suo Governo a galla. Non ho idea se ce la farà o Pag. 4meno, ma certo ha problemi, perché anche lì le fratture sono tali che il sistema elettorale non le cancella, anzi, nel suo caso le esalta, perché è un sistema che premia il localismo (e se c'è un problema di localismo, lo troviamo proprio in Spagna).
Quindi, credo che quella compiuta con la proposta di legge C. 2329 sia una scelta felice. Da parte mia spero vivamente che si riesca a mantenere questa scelta, non so poi se l'esito sarà in questo senso oppure no. Questa è la parte che io vedo durevole e proiettata verso il futuro. Invece, vedo un'altra parte sulla quale bisognerà ancora riflettere e suppongo che vi siano lavori in corso, ed è la parte delle liste. Per come l'ho letta io, siamo ancora alle liste bloccate. Non so se ho letto male, ma mi pare di capire, dalla ricostruzione che ho fatto di questa proposta, che l'esito è quello del voto alla lista, senza alcuna scelta del rappresentante. Ma se è così, se l'esito è quello di avere la totalità dei parlamentari scelti a lista bloccata, bisogna dire che l'incostituzionalità è certa, perché la Corte si è già pronunciata in tal senso con la sentenza n. 1 del 2014. Quindi, bisognerà necessariamente fare un passo avanti. Mi rendo conto che le preferenze sono un boccone indigesto. Non vedo come si possa evitare un meccanismo come il voto di preferenza, di cui conosciamo tutti i rischi, anche degenerativi di sistema, per così dire. Però se non c' è la scelta del parlamentare vedo rischi peggiori. Porto anche la mia esperienza diretta: sono stato parlamentare per quattro legislature, tre con il «Mattarellum» e una con il «Porcellum», e la differenza tra i due sistemi elettorali era devastante proprio nel rapporto col territorio, con il corpo elettorale. L'ho vissuta in modo personale e immediato. Se non si ritrova questo collegamento, credo che nessun sistema elettorale potrà andare lontano e, soprattutto, potrà contribuire a rafforzare l'istituzione Parlamento.
Comunque, condivido la scelta del proporzionale, rimanendo però consapevoli che la scelta del proporzionale da sola non assorbe tutto il profilo della rappresentatività, non è da sola la risposta conclusiva. Qui entra in gioco il problema del taglio dei parlamentari, perché le due proposte effettivamente sono interconnesse. C'è un problema che viene citato anche nella relazione alla proposta C. 2238 Fornaro, quando si fa riferimento alla possibilità di collegi da un milione di abitanti. Effettivamente, un collegio da un milione di abitanti è un problema evidente, ma non c'è solo questo: dobbiamo capire che se non si scinde il Senato dalla base regionale, non usciamo da questa vicenda, perché avremmo nove regioni che eleggono da uno a cinque senatori, per cui qualunque sistema elettorale, anche il sistema elettorale proporzionale, in regioni piccole e medio-piccole avrà un solo esito possibile: che in Senato arrivano due, forse tre forze politiche. Questo è inevitabile, perché è chiaro che anche se vi sono tre seggi, i due soggetti politici maggiori prevarranno, in quanto il primo e il terzo seggio andranno al partito A e il secondo al partito B. Se vi sono quattro seggi, probabilmente toccherà a B e poi un'altra volta ad A. Con cinque seggi cominciamo ad avere probabilmente tre forze politiche rappresentate, ma non credo sia probabile averne quattro. Ciò significa che se tutto rimanesse secondo quelli che sono i sondaggi che oggi vediamo, in Senato avremmo soltanto due soggetti politici potenzialmente in grado di essere veramente nazionali: già il terzo e il quarto non lo sarebbero più, perché assenti in alcune regioni, pur essendo soggetti politici importanti. Se le cose rimangono come sono, come le vediamo il lunedì da Mentana, significa che in regioni con quattro o cinque senatori forze politiche come il Movimento 5 Stelle e Fratelli d'Italia – parliamo di forze politiche intorno al 15-16 per cento – non sarebbero rappresentate in regioni anche consistenti, in cui solo una o l'altra otterrebbero seggi perché sarebbero rappresentate soltanto la prima, la seconda e la terza forza politica, non la quarta. Ciò vuol dire che i soggetti politici veramente nazionali in Senato rimangono due, nella migliore delle ipotesi, e che tutti gli altri soggetti politici sono una sommatoria di partiti regionali o locali. Questo è devastante per il sistema politico nel suo insieme. Già abbiamo un Governo nazionale debole, ma è tale perché il sistema politico sul quale si fonda è debole e frammentato. Perché Boccia punta tutto sulla concertazione in Conferenza Stato-regioni e non usa i poteri sostitutivi che pure il Pag. 5Governo formalmente avrebbe? Perché evidentemente non ritiene di avere il peso politico e la forza per farlo. Ma questo perché? Perché i partiti che stanno a Roma sono fondati su una sommatoria di partiti locali e regionali. Questa rischia di diventare la caratteristica di fondo del sistema. Questo – più che il collegio di un milione di abitanti, che sarebbe un problema, ma si potrebbe affrontare – può essere un problema che potrebbe portare questo Paese su un'orbita pericolosa, perché noi siamo già oggi un Paese malato di frammentazione, un Paese che tende a essere frantumato su questioni sulle quali invece dovrebbe essere unito. Se introduciamo un elemento di disgregazione ulteriore, credo che rischiamo come sistema Paese. Per tali motivi la proposta C. 2328 Fornaro mi sembra importante, soprattutto per questa parte. Poi si vedrà la delega al Governo, la riflessione ovviamente deve continuare. Ma se noi pensiamo – come anche io, che pure, non essendo d'accordo, mi preparo a contrastarlo – che l'esito del referendum sia a favore del taglio del numero dei parlamentari, quello di ridefinire la base per il Senato scindendola dall'attuale formula della base regionale è un profilo che diventa essenziale.
Quindi, si tratta di due proposte che, a mio avviso, pur richiedendo un completamento perché il punto delle liste bloccate, a meno che io non abbia letto male, va corretto, per un verso prendono atto dell'attuale conformazione del nostro sistema politico-istituzionale e, per un altro, sono necessitate dalle scelte che probabilmente ci troveremo ad affrontare.
PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di intervenire, ringrazio il professor Villone per la sua relazione e dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione del professor Alessandro Sterpa, Professore di diritto pubblico presso l'Università degli studi della Tuscia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Alessandro Sterpa, professore di diritto pubblico presso l'Università degli studi della Tuscia.
Essendo egli stato indicato tra i soggetti da audire, in qualità di esperto della materia, anche sulla proposta di legge costituzionale C. 2238 Fornaro, recante «Modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica», gli chiedo cortesemente di svolgere la relazione su entrambe le tematiche e di contenere il suo intervento in circa quindici minuti.
ALESSANDRO STERPA, Professore di diritto pubblico presso l'Università degli studi della Tuscia. Grazie presidente, e grazie alla Commissione per questa opportunità, che interpreto non nel senso di enunciare dei desiderata sulle formule elettorali, quanto piuttosto, se lei è d'accordo, di concentrarmi su due aspetti dell'articolato a mio avviso degni di attenzione. Mi riferisco, in particolare, per quanto riguarda la proposta di legge C. 2239, alla lettera e-bis), introdotta nell'articolo 83, comma 1, del testo unico sull'elezione della Camera dei deputati di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, inerente a quella che è stata definita come la quota di rappresentanza di diritto di tribuna. Premetto di ragionare su queste previsioni nella misura in cui credo che un istituto così importante necessiti di un panorama normativo ben preciso. Faccio riferimento, in particolare, all'idea di valutare di introdurre un tetto di seggi dedicati a questa funzione, nella misura in cui un diritto di tribuna – riconosciuto con un divisore, peraltro arricchito di due unità, del quoziente Pag. 6 elettorale circoscrizionale – potrebbe aprire anche a scenari nei quali alle forze politiche più piccole converrebbe meno coalizzarsi per superare una soglia di sbarramento del cinque per cento e più tentare delle incursioni territoriali, finalizzate a ottenere una rappresentanza, considerato anche il fatto che la riduzione del numero dei parlamentari ha un'incidenza per i soggetti con i consensi più bassi della classifica elettorale particolarmente relativa. Mi permetto, dunque, sommessamente, di suggerire di riflettere su un tetto ragionevole, cioè di assegnare una quota massima di seggi in entrambe le Camere alla rappresentanza di questo diritto di tribuna. Il numero, ovviamente, andrebbe fissato con una scelta politica, ma tenendo sicuramente in conto un bilanciamento ragionevole fra le esigenze di tutelare le minoranze e la «capacità dell'organo» di avere una rappresentatività non troppo distorta, oltre che una rappresentanza, anche di chi invece ha ottenuto più consensi. È evidente che non mettendo un limite a quanti soggetti accedono al diritto di tribuna, può accadere che vengano di molto erose le rappresentatività degli altri gruppi, in particolari di quelli medio-piccoli.
Il secondo aspetto che mi permetto di sottolineare riguarda le condizioni per cui possa scattare questo istituto, perché attualmente è previsto che debba essere raggiunto il quoziente, intendendo ovviamente il quoziente elettorale circoscrizionale (anche se non è specificato nel testo), nell'ambito di almeno due regioni. Ora, c'è una regione, la Lombardia, che ha quattro circoscrizioni elettorali. Quindi in teoria la norma, applicata in questo caso, potrebbe portare al fatto che una lista, che ottiene il quoziente nelle quattro circoscrizioni nella regione Lombardia, non avrebbe accesso al diritto di tribuna. A mio avviso questa implicazione andrebbe giustificata, considerato anche il fatto che parliamo di un territorio regionale di circa dieci milioni di abitanti. Se da un lato è evidente che l'introduzione della previsione concernente l'ambito delle due regioni si giustifica con l'esigenza di non frammentare ancora di più, mi chiedo: l'elemento regionale è davvero dirimente per scegliere chi accede a questo diritto di tribuna? Mi spiego meglio. È talmente differenziato il tessuto regionale, che probabilmente legare questo diritto di tribuna al conseguimento del quoziente in due regioni distinte non si aggancia ad alcun tema di rappresentatività territoriale. Probabilmente bisogna valutare se davanti al rischio di «discriminare», per così dire, l'elettorato lombardo, sia ragionevole mantenere questo elemento interregionale.
Mi permetto, a questo punto, di ragionare complessivamente su detto diritto di tribuna, concludendo su questo argomento. Si valuti, mi permetto, se introdurre un tetto ragionevole di numero di seggi dedicati, senza permettere un eccessivo ampliamento di questa quota, perché comunque l'incidenza può essere importante e potrebbe far scattare quelle che io chiamerei non tanto «liste civetta», ma quelle che definirei «liste farfalla»: tutti potrebbero tendere a presentare liste, perché su un determinato territorio riescono a «colorare» la competizione, per così dire, con una presenza di questo tipo.
Venendo alla proposta di legge costituzionale C. 2328 Fornaro, in essa intravedo un aspetto degno di riflessione, quello relativo al superamento della base regionale, che avviene formalmente modificando unicamente il primo comma dell'articolo 57 della Costituzione. In realtà il primo comma dialoga soprattutto con i commi successivi dell'articolo 57, in particolare quelli che garantiscono un numero minimo di senatori alle regioni, quindi il secondo comma, ma anche il terzo comma, che disciplina la ripartizione dei seggi «tra le regioni». Il secondo e il terzo comma sono molto legati al primo, ma vivono la condizione peculiare di essere in corso di modifica, perché sono quelli interessati dalla legge costituzionale, che non ha ancora definitivamente concluso il suo iter, relativa al numero dei parlamentari. Se mantengo in Costituzione, e così accadrebbe, l'idea di una rappresentanza minima delle regioni o, per meglio dire, di un'espressione regionale dei senatori – sappiamo che i senatori non rappresentano le regioni, ma la Nazione – devo trovare un criterio che collega il senatore alla regione. Questo criterio non può essere Pag. 7null'altro che il fatto che quel senatore è eletto su quel territorio. Quindi, la circoscrizione che si va a innovare col primo comma comunque sarebbe una circoscrizione su base regionale o subregionale, perché se fosse ultraregionale non potrei imputare l'eletto a quel territorio. Dunque, perseverare con il secondo e il terzo comma così scritti, fermo restando il riferimento del primo comma alla base circoscrizionale anziché regionale, consentendo anche un recupero nazionale, potrebbe non eliminare il problema che per imputare il senatore alla regione devo trovare un criterio, che non può certo essere la residenza del senatore, ma sarà sicuramente il territorio in cui è stato eletto, che deve coincidere totalmente e con la regione o una sua parte, ma certamente non può essere ultraregionale. Credo che su questo sia importante ragionare su un'interpretazione conforme del potenziale nuovo terzo comma, come modificato dalla legge costituzionale che sarà sottoposta a referendum ex articolo 138, nel senso che quella ripartizione dei seggi va interpretata come la ripartizione delle candidature, cioè degli strumenti preparatori (anche interni alla circoscrizione), non dell'elemento di proclamazione, che invece potrebbe essere lasciato, come prevede la legge, a un collegio unico, di fatto nazionale, su cui si stabilisce un quoziente che poi viene ripartito, e se la regione non esprime un senatore, gli ultimi senatori potenzialmente proclamati in altre regioni perderebbero il posto a vantaggio di quelle che devono avere un numero minimo di senatori. Alternativamente, si dovrebbe modificare il terzo comma, con la difficoltà, che non sfugge a nessuno, di dover inseguire una norma attualmente vigente nel suo testo originario, potenzialmente modificata a breve dall'intervento della legge costituzionale dopo il referendum, e quindi di dover trovare un meccanismo per abrogare o modificare il terzo comma, a prescindere dal contenuto che andrà ad assumere. Ricordiamoci che la modifica che la legge costituzionale introduce al quarto comma dell'articolo 57 è relativa alla «previa applicazione della disposizione di cui al precedente comma», dunque in realtà si tratta di una previsione che non è decisiva nel quadro dell'esegesi. Si tratta di un aspetto importante, perché non bisogna correre il rischio che una, a mio avviso corretta, modifica del primo comma, che supera una storicità ormai passata di quella previsione in realtà mai realizzata, non sia in qualche modo attenuata o crei conflittualità nell'applicazione concreta rispetto alle altre previsioni che, ripeto, secondo me vanno lette come preparatorie del momento elettorale e legate all'atto di predisposizione delle liste.
Chiudo con un'ultima veloce riflessione, relativa al diritto di tribuna. La presenza del quoziente in due regioni è prevista per la Camera, ma non per il Senato. Quindi, questo forse conferma che anche per la Camera la scelta è stata pensata come elemento di freno per la nascita di eccessive «liste farfalla» ma non ha un aggancio territoriale. Quell'elemento che compare per la Camera, e forse stona un po' a livello istituzionale con quanto invece riguarda il Senato, dove l'elemento territoriale viene decontestualizzato dall'aspetto regionale sia nella legge elettorale sia nella riforma costituzionale relativa al Senato.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Sterpa per la sua relazione e do la parola ai colleghi che intendano intervenire.
FEDERICO FORNARO. Credo che le osservazioni che sono state fatte, anche prima dal professor Villone, ma in particolare adesso dal professor Sterpa, rispetto alla questione di come «si parlano» il primo comma e gli altri commi dell'articolo 57 della Costituzione, evidenzino un dato oggettivo, che deriva esattamente dalle problematiche che il professor Sterpa ha sottolineato. Si è dovuto lavorare, nella stesura di questa proposta di legge costituzionale, in una situazione un po' anomala, perché la parte successiva è oggetto di un'altra riforma che è sub iudice, cioè dipende dal referendum confermativo. Quindi è del tutto evidente che qualora si andasse, a questo punto visti anche i noti accadimenti, ad approvare la proposta a valle del risultato del referendum, sarebbe Pag. 8possibile introdurre modifiche per rendere coerente il primo comma con quelli successivi.
Per quel che riguarda il tema, che lei ha posto, di come riuscire a tenere fermo il numero di eletti per regione, questo è possibile – ovviamente è demandato poi alla legge elettorale – perché accorpando più regioni si può avere una circoscrizione. La circoscrizione può, come ha, per esempio, nel sistema elettorale vigente, dei collegi plurinominali, oppure c'è la possibilità di salvaguardare, nell'attribuzione successiva dei seggi, con un algoritmo, di fatto, un doppio vincolo, quello di attribuire i seggi alle liste in rapporto ai voti ottenuti, fermo restando che comunque alla fine X senatori devono essere eletti nella regione A e Y nella regione B. C' è una legge regionale che, ad esempio, raggiunge questo obiettivo, ed è quella della Basilicata, peraltro con delle deformazioni non banali, però, tecnicamente, è possibile conseguire l'obiettivo attraverso la legge elettorale. La vera ratio della norma, come ha colto il professor Villone nel suo intervento, è quella però di avere, attraverso la circoscrizione, il recupero dei resti a livello nazionale. Questo è il punto che consentirebbe – e qui c'è anche una critica, ovviamente – il superamento di un modello che arriva dalla Costituente, perché la legge elettorale del 1948 è stata approvata dall'Assemblea costituente e non prevedeva il recupero dei resti nazionali per il Senato. Oggi, con l'esperienza di più di settant'anni, possiamo dire che questo in realtà ha determinato più problemi che effetti positivi, nel senso che anche i modelli che avevano un forte premio di maggioranza – per quanto criticato, e censurato, a mio avviso giustamente, dalla Corte costituzionale come nel caso del «Porcellum» – con questo limite non hanno consentito una governabilità, o comunque un'uniformità di maggioranza tra Camera e Senato. Quindi, da questo punto di vista, credo che la strada sia giusta.
Ringrazio entrambi gli auditi, che hanno sostanzialmente colto il senso, il significato e la prospettiva con cui ci siamo mossi in questa proposta di legge. Ovviamente poi la legge elettorale risente inevitabilmente di questa scelta, quindi la scelta proporzionale aiuta, come ha ricordato il professor Villone, avendo in questo caso a monte il taglio del numero dei parlamentari, se il referendum confermativo andrà in una certa direzione: il sistema proporzionale non risolve tutti i problemi, come non li risolve neppure la base regionale, però riduce di molto gli effetti di deformazione della rappresentanza nelle regioni più piccole.
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.45.