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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Martedì 11 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Corda Emanuela , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL PROCESSO DI ATTUAZIONE DEL «REGIONALISMO DIFFERENZIATO» AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE

Seguito dell'audizione di rappresentanti della SOSE Spa.
Corda Emanuela , Presidente ... 3 
Atella Vincenzo , amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa ... 3 
Stradiotto Marco , responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa ... 7 
Atella Vincenzo , amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa ... 7 
Stradiotto Marco , responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa ... 8 
Gariglio Davide (PD)  ... 9 
Stradiotto Marco , responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa ... 9 
Atella Vincenzo , amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa ... 9 
Stradiotto Marco , responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa ... 9 
Atella Vincenzo , amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa ... 10 
Stradiotto Marco , responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa ... 10 
Corda Emanuela , Presidente ... 11 
Rivolta Erica  ... 11 
Granato Bianca Laura  ... 11 
Gariglio Davide (PD)  ... 12 
Corda Emanuela , Presidente ... 12 
Atella Vincenzo , amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa ... 12 
Stradiotto Marco , responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa ... 12 
Atella Vincenzo , amministratore delegato e direttore generale della SOSE spa ... 12 
Stradiotto Marco , responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa ... 13 
Corda Emanuela , Presidente ... 16 

(La seduta, sospesa alle 12.15 è ripresa alle 12.30) ... 16 

Audizione della Ministra per il Sud, Barbara Lezzi:
Corda Emanuela , Presidente ... 16 
Lezzi Barbara , Ministra per il Sud ... 16 
Corda Emanuela , Presidente ... 19 
Rivolta Erica  ... 19 
Granato Bianca Laura  ... 19 
Gariglio Davide (PD)  ... 20 
Toffanin Roberta  ... 21 
Corda Emanuela , Presidente ... 22 
Rivolta Erica  ... 22 
Corda Emanuela , Presidente ... 22 
Lezzi Barbara , Ministra per il Sud ... 22 
Corda Emanuela , Presidente ... 24 
Granato Bianca Laura  ... 24 
Corda Emanuela , Presidente ... 24 

Allegato 1: Slides illustrative della relazione dei rappresentanti di SOSE SpA ... 25 

Allegato 2: Memoria depositata dai rappresentanti di SOSE SpA ... 68

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
EMANUELA CORDA

  La seduta comincia alle 11.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-TV della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione di rappresentanti della SOSE Spa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul processo di attuazione del regionalismo differenziato, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, il seguito dell'audizione di rappresentanti della SOSE Spa.
  Ringrazio sentitamente i rappresentanti della SOSE Spa per la presenza e cedo loro la parola per lo svolgimento della relazione.

  VINCENZO ATELLA, amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa. Buongiorno a tutti. Riprendiamo la velocissima presentazione svolta nella seduta del 30 maggio scorso, del lavoro svolto sui fabbisogni standard.
  La volta scorsa non avevo detto nulla sulla nostra società. Siamo una società partecipata dal Ministero dell'economia e dalla Banca d'Italia, costituita nel 1998, operativa, in realtà, dal 1999. Quest'anno celebriamo il ventennale. La nostra sede è a Roma e siamo circa 160 persone. Molte di queste persone sono statistici ed economisti che lavorano sui dati su cui tra poco vi relazionerò. È un gruppo di persone con un mix di capacità e conoscenze molto variegato, che ci consente di gestire diversi argomenti e di sviluppare metodologie innovative.
  Lavoriamo su una serie di argomenti che qui potete vedere (vedi Allegato 1 – slide 4). A parte la finanza pubblica, sulla quale siamo qui oggi a relazionare, gestiamo un servizio di valutazione delle performance delle medie e piccole imprese. Lavoriamo per conto dell'Agenzia delle entrate sulla fiscalità e abbiamo sviluppato gli indici sintetici di affidabilità (ISA), di cui in questi giorni si parla sui giornali, perché il loro utilizzo partirà in tempi brevissimi. Offriamo servizi di supporto all'Agenzia delle entrate, al Dipartimento delle finanze e, da ultimo, abbiamo costituito un centro studi, con l'idea di lavorare sempre meglio con analisi sempre più attente e aggiornate su ciò che facciamo.
  Per quanto concerne il sistema delle nostre relazioni, per la fiscalità ci occupiamo dell'amministrazione finanziaria (Ministero dell'economia, Agenzia delle entrate e SOGEI). Siamo un ente terzo che si colloca tra l'Agenzia delle entrate, le associazioni di categoria e gli ordini professionali. Gli ISA sono stati costruiti facendo lavorare queste due parti in collaborazione, grazie al nostro contributo. Ovviamente collaboriamo con l'ISTAT, con le università e i centri di ricerca. Per la finanza pubblica facciamo più o meno la stessa cosa, occupandoci dall'altro lato, principalmente di comuni, province, città metropolitane e regioni. Inoltre, ovviamente intratteniamo relazioni con il Dipartimento delle finanze, il Ministero dell'interno, la Ragioneria generale dello Stato e non ultima la Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Pag. 4
  Cerchiamo sempre di fare tutto al massimo delle competenze disponibili al momento dato. A tale fine abbiamo istituito un comitato scientifico i cui componenti sono professionisti di livello internazionale. Alcuni insegnano anche all'estero, come il professor Gavazza all'LSE (London school of economics), il professor Paradisi all'Harvard University e il professor Ben Lockwood a Warwick, e altri se ne stanno aggiungendo (altri tre entro l'inizio dell'estate), proprio per cercare di migliorare sempre di più le metodologie che proponiamo.
  Tengo molto a questa premessa proprio per far capire che i risultati che portiamo sono l'insieme di una serie di pensieri e attività di livello scientifico che vengono discusse anzitutto in ambito accademico e in ambito istituzionale, quindi ciò che noi proponiamo è sostanzialmente il meglio del settore.
  Passiamo ora alla presentazione dei risultati, ai quali immagino siate ancora più interessati. Cosa facciamo con riferimento alla finanza pubblica? Stimiamo i fabbisogni standard per province, città metropolitane, comuni e regioni a statuto ordinario, monitoriamo la spesa delle province e delle città metropolitane e aiutiamo nella ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni effettivamente erogate nelle regioni a statuto ordinario. Questi sono i tre principali comparti di attività nell'ambito della finanza pubblica che SOSE spa svolge.
  Per poter ottenere tutto questo ovviamente coltiviamo una fitta rete di rapporti con i comuni delle regioni a statuto ordinario e della Sicilia, che è la prima regione a statuto speciale sulla quale abbiamo iniziato a lavorare. Si tratta, nello specifico, di 83 province, 186 comunità montane, 323 unioni di comuni delle regioni a statuto speciale (oltre ad altri 52 in Sicilia) e quindici regioni. Immaginare di dovere in qualche modo avere rapporti con ognuno di questi singoli enti fa comprendere la mole di lavoro che c'è dietro questi dati, perché è da questi soggetti che raccogliamo i dati.
  Ovviamente, oltre alle informazioni che otteniamo attraverso questionari rivolti a questi soggetti, abbiamo accesso a fonti istituzionali che sono consultate regolarmente, tra cui l'Istituto nazionale di statistica e il Ministero dell'interno per quanto riguarda i certificati consuntivi dei comuni, il Dipartimento delle finanze, la Protezione civile, l'INPS e tutte le altre che vedete elencate nella slide n. 10.
  Lavoriamo su tutte le funzioni fondamentali esclusa la sanità: funzioni generali, viabilità e territorio, polizia locale, rifiuti, istruzione pubblica, tutta la parte dell'assistenza sociale e gli asili nido. Con riferimento alle province ci occupiamo di funzioni generali, istruzione pubblica, territorio e ambiente. Per ognuna di queste funzioni abbiamo dati su fabbisogni standard, spesa storica, peso delle determinanti (quindi possiamo dire cosa esattamente determina la spesa storica e, quindi, i fabbisogni), indicatori di gestione e livelli quantitativi delle prestazioni che vengono realmente erogate dai singoli enti.
  Ciò detto, cosa sono i fabbisogni standard? È importante a questo punto definirlo. Il fabbisogno standard stima in maniera statistica il fabbisogno finanziario di un ente in base alle caratteristiche territoriali, agli aspetti sociodemografici della popolazione residente e alle caratteristiche strutturali dell'offerta dei servizi.
  A cosa servono i fabbisogni standard? Sono numerosi gli usi che si possono fare dei fabbisogni standard. Anzitutto questi parametri consentono di procedere a un'equa distribuzione delle risorse, quindi sostanzialmente non prendere due comuni al di fuori del contesto in cui operano e assegnare delle risorse, ma prendere due comuni, valutare esattamente in che condizioni sono e quali condizioni oggettive possono limitare le loro attività e, quindi, sulla base di questi controlli effettuati, determinare l'equa distribuzione delle risorse.
  Dopodiché, si può valutare se le risorse stanziate sono sufficienti a garantire l'erogazione delle funzioni assegnate. Questo è un punto fondamentale: monitorare il livello delle prestazioni effettivamente erogate, perché un conto è dire che si ha bisogno di qualcosa, altro conto è poi verificare che questa cosa sia effettivamente erogata; stabilire le risorse necessarie per Pag. 5garantire i servizi in modo uniforme e poi fornire ovviamente al decisore politico tutti gli elementi necessari per valutare quali servizi debbano essere obbligatori e quali no. Infine, evidentemente, grazie a tutte queste analisi è possibile confrontare gli enti e individuare le best practice.
  I fabbisogni standard svolgono dunque tanti ruoli importanti, che vanno dal momento dello studio e della definizione del fabbisogno standard all'effettivo monitoraggio della spesa e dell'effettiva erogazione delle prestazioni.
  Poc'anzi dicevo che per quanto riguarda i fabbisogni standard bisogna in qualche modo cercare di prendere due enti (immaginiamo due comuni) e cercare di valutarli sulla base delle loro caratteristiche oggettive. Solo quando queste caratteristiche sono state prese in considerazione potremo dire esattamente quanto è necessario attribuire in termini di finanziamenti a un comune rispetto a un altro.
  Quelle che vedete sono solo alcune delle variabili da prendere in considerazione (vedi slide n. 13). Noi ne prendiamo in considerazione circa 70, queste sono le principali, che più incidono sulla determinazione dei fabbisogni standard. Ovviamente ne illustrerò solamente alcune. La prima è il numero di abitanti. È chiaro che un comune con un maggiore numero di abitanti avrà un maggiore fabbisogno, ma anche l'età degli abitanti (se giovani o anziani) cambierà la situazione. Se un comune è un comune montano, un comune di pianura oppure un comune in riva al mare, ovviamente le esigenze cambiano. Il numero di immobili è un altro dato da tenere in considerazione. La superficie del comune e la densità abitativa hanno molta importanza soprattutto sulla parte dei trasporti pubblici. Anche i chilometri di strade comunali che insistono sul singolo comune determinano in qualche modo la manutenzione di queste strade e, quindi, la disponibilità di risorse necessarie per potervi fare fronte.
  Ce ne sono molte altre e ognuna di queste variabili ha un suo peso nelle regressioni multivariate che facciamo. Dovete immaginare che ognuna di queste variabili agisca come peso e contrappeso che aggiusta in qualche modo il fabbisogno standard dei comuni.
  Quali sono i vantaggi di tutto questo? Ovviamente c'è una maggiore conoscenza del territorio e, quindi, è possibile conoscere nel dettaglio cosa si spende e, rispetto a questo, quali sono i servizi offerti a livello locale. Si può dare maggiore supporto per le informazioni, ma questo vale sia a livello centrale che a livello locale, perché chiaramente noi siamo in grado di dare degli indicatori di performance per ogni singolo ente e questo può essere importante per il singolo ente, ma può essere importante soprattutto a livello centrale.
  Ovviamente tutto questo, essendo basato su dati oggettivi raccolti secondo criteri di natura scientifica all'avanguardia, consente una maggiore trasparenza, perché permette finalmente di capire chi fa cosa e in che modo.
  Come possono essere utilizzati? La prima cosa è il sistema di perequazione. Si possono usare per fare una valutazione della sostenibilità finanziaria di un ente. Ci permettono di calcolare, come vedremo tra poco, costi standard e livello ottimale dei servizi e, infine, un altro aspetto importante è che ci consentono anche di valutare il gap infrastrutturale che alcuni di questi enti possono presentare rispetto ad altri e, quindi, pianificare eventuali decisioni di investimento. Anche in questo caso tale dato assume rilevanza a livello locale, ma anche a livello centrale.
  In termini di risultati, vi mostrerò due slides relativamente ai risultati ottenuti con il calcolo dei fabbisogni standard sui comuni e poi passeremo direttamente alle regioni, che sono il tema dell'audizione.
  Il grafico mostrato nella slide n. 17 è particolarmente importante e interessante, perché sostanzialmente mette a confronto la spesa storica e la spesa standard di tutti i comuni delle regioni a statuto ordinario in Italia, divisi per livello di abitanti. Abbiamo alcuni comuni con una popolazione inferiore a 500 abitanti e altri che, invece, superano i 100.000 abitanti. Per ognuno di questi aggregati in termini di popolazione nel grafico potete visualizzare in blu la Pag. 6spesa storica e in verde la spesa standard (euro per abitante).
  Qual è l'informazione interessante che emerge? Anzitutto non c'è uno standard nazionale, non c'è un costo per abitante nazionale, che è rappresentato dalla linea rossa, perché, se adottassimo quel criterio, avremmo comuni che ci guadagnano e comuni che ci rimettono.
  L'altra cosa fondamentale che questo grafico mostra è che c'è una forma a «U», come potete vedere, dovuta al fatto che i piccoli comuni sostanzialmente hanno costi per abitante più elevati, perché godono meno delle economie di scala, quindi hanno costi fissi che devono essere ripartiti su un numero minore di abitanti. Dall'altro lato, nei comuni con oltre 100.000 abitanti, ma anche quelli tra 60.000 e 99.000 abitanti, la spesa comincia a risalire, semplicemente perché in questo caso c'è una maggiore complessità di servizi che deve essere offerta. In un piccolo comune il trasporto pubblico non ha ragione di esistere, mentre in un grande comune il trasporto pubblico è fondamentale e, quindi, può avere una grande incidenza sulla spesa.
  Questo grafico mostra che già a livello locale vi sono grandi differenze e ciò possiamo valutarlo perché abbiamo calcolato una serie di fattori che consentono di vedere che i comuni hanno caratteristiche differenti e, quindi, spese differenti. In questo grafico viene mostrata anche la differenza tra la spesa storica e la spesa standard.
  Il grafico mostrato nella slide n. 18 è invece semplicemente l'aggregato per regione delle due informazioni di spesa storica e di spesa standard. Vorrei invece soffermarmi sul grafico mostrato nella slide n. 19. Mentre il grafico precedente distingueva i comuni per popolazione, questo mostra i dati riferiti agli stessi comuni ma aggregati per regione. Anche stavolta la barra scura rappresenta la spesa storica, mentre la linea verde rappresenta la spesa standard.
  In questo caso potete osservare che, ad esempio, in termini di spesa standard le regioni del Sud dovrebbero avere una spesa standard maggiore di quella che la spesa storica racconta, quindi da questo punto di vista si può sfatare anche una sorta di mito secondo cui nelle regioni del Sud si spende in maniera incondizionata senza nessuna ragione. Poi, però, ci sono molti altri elementi da tenere in considerazione, di cui in parte abbiamo già parlato in una precedente audizione.
  Passiamo adesso alle regioni. Le metodologie utilizzate sono le stesse, solo che invece di concentrarci sui singoli comuni, ci si concentra sulla regione. Come accennato molto velocemente già nella precedente audizione, la tabella mostrata nella slide n. 21 è fondamentale. È la prima volta che in Italia si vede una cosa del genere, perché siamo riusciti a fare un raccordo complessivo della spesa storica per funzione e per soggetto finanziatore. Si tratta di una tabella a doppia entrata, che ci racconta sostanzialmente le funzioni fondamentali nelle quali si spende, quali sono i finanziamenti che si ricevono e da parte di chi.
  La prima colonna mostra sostanzialmente la spesa storica a livello aggregato sempre nelle regioni a statuto ordinario in Italia e poi, sulle colonne successive, potete vedere i dati della spesa finanziata da regione, province, comuni, da ricavi nel caso ci sia la cosiddetta «out of pocket», che chiaramente vale solamente in alcuni settori, dal Sistema sanitario nazionale e dal Fondo nazionale dei trasporti.
  Poiché stiamo parlando delle regioni, si tratta della spesa complessiva per tutti gli enti di quella regione, compresa la regione stessa.
  Abbiamo detto che non è nostro compito interessarci della parte relativa alla sanità, ma qui dentro abbiamo inserito il Sistema sanitario nazionale, per dare completezza di tutti i flussi finanziari che coinvolgono le regioni e gli enti all'interno delle regioni stesse. Si tratta di un quadro di sintesi molto importante che fino a oggi non era mai stato fatto e che consente di far capire meglio da dove vengono i fondi e dove vengono destinati. Nelle slides n. 22 e 23 troverete le stesse informazioni in termini grafici. Sapete che a livello regionale il Sistema sanitario nazionale è la voce di spesa che impegna la maggior parte dei Pag. 7finanziamenti. Nella slide n. 23 potete visualizzare la stessa informazione vista però per funzione. Mentre nella slide precedente i dati erano aggregati per finanziatore in questo caso sono aggregati per funzione. Infatti, prima parlavamo di Sistema sanitario nazionale e qui parliamo di sanità, proprio perché il Sistema sanitario nazionale finanzia la sanità e, quindi, questa è la voce di spesa della sanità all'interno delle regioni. Non è null'altro che la tabella di prima vista una volta per riga e una volta per colonna e riportata in maniera grafica.
  Nella slide n. 24 sono mostrate le stesse informazioni calcolate euro per abitante, ovvero la spesa storica di riferimento per soggetto finanziatore e regione. In Piemonte la regione finanzia per 255,37 euro ad abitante, le province e i comuni per 57 e così via. Sommando tutto si arriva a 3.035. Appare evidente che il principale soggetto finanziatore in questo caso è di nuovo il Sistema sanitario nazionale, che la fa da padrone nella parte di finanza locale.
  Nella slide n. 25 sono invece riportati gli stessi dati della tabella ma in forma grafica. Anche in questo caso il Sistema sanitario nazionale ha un ruolo preponderante, ma sono gli stessi dati, sempre in termini di euro per abitante, e viene mostrata la spesa per le funzioni. Potete vedere che in Piemonte di quei 3.035 euro ad abitante che vengono spesi, 336 euro ad abitante sono spesi per affari generali, 41 per orientamento e formazione professionale e così via tutte le altre fonti che potete vedere. Anche in questo caso la sanità la fa da padrone, perché chiaramente è la spesa maggiore che va a favore dei cittadini nelle varie regioni.
  Sto dando nuovamente le stesse informazioni, prima a livello aggregato regionale e poi per abitante, viste dall'ottica del finanziatore o dall'ottica dell'utilizzatore, quindi della funzione di spesa fatta. Anche in questo caso abbiamo il grafico che riporta le stesse informazioni di prima.
  Veniamo alla spesa storica delle regioni per funzione (vedi slide n. 29). Ignoriamo la prima colonna, che è una banale ripetizione. Qui potete semplicemente vedere l'aggregato per le varie voci. In questo caso non c'è più la sanità, l'abbiamo tolta, quindi qui stiamo parlando unicamente della spesa storica delle regioni per funzioni.

  MARCO STRADIOTTO, responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa. La tabella mostrata nella slide n. 21 non contiene errori ma è solo di difficile lettura, la spesa di sola competenza delle regioni potete vederla nella seconda colonna ed è pari a 11,6 miliardi. Nella prima colonna trovate due cifre diverse rispetto alla seconda: la spesa per il TPL e la spesa per il settore sociale. La cifra riportata nella prima colonna alla voce TPL comprende la spesa delle regioni sommata al Fondo nazionale trasporti, all'entrata da biglietti e alla spesa dei comuni. Mentre, per quanto riguarda il settore sociale nella prima colonna vedete la cifra che comprende la parte finanziata dalle regioni, dal Servizio sanitario nazionale e dai comuni. Per il servizio di TPL e per il settore sociale è stato necessario rappresentare anche la spesa in aggregato in quanto in quei due servizi c'è molta commistione. In alcune regioni li svolge il comune, in altre direttamente la regione, quindi nella prima colonna trovate il dato complessivo di 28,1 miliardi. Forse avremmo dovuto modificare la tabella, eliminando la prima colonna e lasciando solo la seconda, per evitare di creare confusione, tra l'altro i dati riportati nella prima colonna sono già riportati nella tabella precedente.

  VINCENZO ATELLA, amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa. Nel grafico riportato nella slide n. 22 sono riportate le stesse informazioni in termini grafici. Nella tabella della slide n. 24, invece, è visualizzata la spesa totale delle regioni nelle diverse funzioni, quindi riprendiamo quegli aggregati che qui sono esposti, sempre euro per abitante, nelle diverse funzioni. Ovviamente potete vedere che ci sono situazioni che presentano, a livello regionale, molta variabilità ed eterogeneità. L'ultima parte della presentazione, che sarà a cura del dottor Stradiotto, mette a confronto le spese con il livello dei servizi nelle diverse regioni a statuto speciale. A questo punto confrontiamo sostanzialmente Pag. 8 la spesa con la quantità di servizi che viene offerta, quindi il rapporto tra questi due elementi dovrebbe dare un indicatore di performance o di efficienza della regione.

  MARCO STRADIOTTO, responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa. A partire da questa parte della presentazione, come diceva correttamente il professor Atella, abbiamo analizzato, non solo la spesa, ma anche il livello di servizi, perché se si spende poco o tanto, però poi non si sa che livello di servizi si offre, non si riesce a capire se quella spesa, tanta o poca, sia «positiva o negativa».
  Abbiamo, quindi, determinato i livelli dei servizi con degli indicatori da noi elaborati, che tengono conto del lavoro fatto sui comuni e che abbiamo poi riproposto per tutte le funzioni svolte dalle regioni.
  Mi sono anche reso conto che alcune sigle che utilizziamo possono non risultare comprensibili: dove leggete «CM» si intende «città metropolitane» e non «comunità montane».
  Per quanto riguarda le regioni, di fatto, abbiamo analizzato quattro servizi. Siamo partiti con gli affari generali (vedi slide n. 30). Come vedete, la linea verde è il livello dei servizi, l'istogramma blu è invece la spesa. Come vedete, vi sono molte differenze tra regione e regione. Ovviamente è normale che il Molise, che è una regione molto piccola e, quindi soffre sicuramente le diseconomie di scala, sia tra le regioni che spendono di più per abitante e abbia un livello di servizi simile ad altre regioni, come è altrettanto verosimile che la Lombardia abbia una spesa per quanto riguarda gli affari generali molto più bassa rispetto alle altre regioni, però, come vedete, ha un livello dei servizi molto alto. Questi sono gli effetti delle economie e diseconomie di scala.
  Il grafico della slide n. 32 ci mostra la diversa spesa per abitante delle diverse regioni – stiamo parlando solo della regione, lo ripeto – e dei relativi servizi. Nel valutare i servizi, per quanto riguarda gli affari generali, abbiamo valutato anche i servizi svolti ed erogati in ambito sanitario. Infatti sebbene non ci sia stato affidato il compito di analizzare i fabbisogni standard relativi alla sanità abbiamo ritenuto di valutare anche i servizi svolti in tale ambito perché le regioni impiegano gran parte del proprio tempo – pensiamo ai consigli regionali e a tutta la parte burocratica – a seguire la parte sanitaria, e dunque abbiamo ritenuto di valutare tali attività solo come indicatore ai fini dei calcoli per gli affari generali e non per il calcolo del fabbisogno sanitario.
  Poiché dobbiamo ancora arrivare alla determinazione del fabbisogno standard, valuteremo, confrontandoci ovviamente con il CINSEDO (Centro interregionale di studi e documentazione), che è l'interlocutore che il decreto-legge n. 50 del 2017 ci ha affidato come partner per arrivare a una proposta condivisa in Commissione tecnica per i fabbisogni standard. In seguito anche la Commissione tecnica per il fabbisogno standard valuterà se questo tipo di indicatore può andar bene. Questo è il primo indicatore che ci permette di avere un confronto fra il livello dei servizi e la spesa per abitante.
  La slide successiva, invece, (vedi slide n. 36) mostra il confronto tra la spesa e il livello dei servizi offerti per abitante nella funzione istruzione. Stiamo parlando, di fatto, di orientamento e formazione professionale, non di istruzione, perché in tutto quello che avete visto oggi quando si parla di istruzione si intendono tutte le attività di supporto all'istruzione: i comuni che forniscono i locali e il riscaldamento per le scuole, il trasporto pubblico e i pasti, lo stesso vale per le province e le città metropolitane, ma non c'è la spesa che passa attraverso i provveditorati per gli insegnanti. Quella è un'altra cosa. Dunque è importante l'autonomia asimmetrica, di cui questa Commissione dovrà sicuramente discutere.
  In questo caso stiamo parlando dell'orientamento e della formazione professionale. Degli indicatori che abbiamo costruito questo è il più debole, perché le informazioni a nostra disposizione non sono sufficientemente robuste e, conseguentemente, come vedete, anche il grafico risulta un po’ anomalo, nel senso che risulterebbe Pag. 9un alto livello di servizi in regioni che spendono oggettivamente poco.
  È anche vero che in questo aspetto spesso la spesa deve aumentare e ha meno efficacia in termini di effetti sull'occupazione nelle regioni che hanno già un alto indice di occupazione rispetto a quelle con minore occupazione. È un dettaglio, tuttavia riteniamo che questo indicatore non sia ancora sufficientemente robusto.

  DAVIDE GARIGLIO. Scusate l'interruzione. Vorrei solo capire, per comprendere anche queste differenze, quali sono gli indicatori sulla cui base è formata la linea verde.

  MARCO STRADIOTTO, responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa. Per ogni servizio gli indicatori vengono calcolati in modo diverso. Sulla slide precedente vengono pesati tutti i servizi svolti in tutte le funzioni dalle regioni, compresa la sanità, viene loro attribuito un peso rispetto alla spesa e sugli affari generali abbiamo calcolato questo indicatore di riferimento.

  VINCENZO ATELLA, amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa. Mandiamo questionari ad hoc a ogni singolo comune, provincia eccetera, dai quali rileviamo queste informazioni che poi entrano a far parte dell'indicatore dei servizi offerti, quindi non sono informazioni disponibili, ma siamo noi che le chiediamo espressamente per la costruzione di questi indicatori.

  MARCO STRADIOTTO, responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa. Nel caso dell'orientamento professionale – mi collego a quello che ha detto l'amministratore delegato – i questionari non ci hanno dato questa risposta, quindi abbiamo trovato, da fonte istituzionale, il livello dei servizi nell'ambito dell'orientamento professionale nelle varie regioni e da lì abbiamo ricavato un indicatore che determina quanto una regione svolge su quel tipo di servizio.
  È risultato, ad esempio, che l'Abruzzo sembrerebbe offrire più servizi nell'ambito dell'orientamento professionale rispetto ad altre regioni, pur avendo una spesa molto bassa. È per questo che ho detto che non siamo assolutamente certi di questo risultato e che stiamo cercando di ottenere altri indicatori per poter fornire un risultato più robusto.
  Sulle altre funzioni, invece, abbiamo un risultato oggettivamente più robusto. Nel caso della spesa della regione per quanto riguarda il trasporto pubblico locale (vedi slide n. 37), valutiamo i passeggeri trasportati e i chilometri percorsi. Ci riferiamo ai chilometri equivalenti, il che vuol dire che abbiamo fatto tutto equivalente a chilometri su gomma. Abbiamo valutato ovviamente che il chilometro su ferro vale molto di più e che la navigazione vale molto di più sulla base del costo chilometro e, quindi, abbiamo individuato questo indicatore composito.
  In questo caso, vediamo che ci sono regioni che non stanziano risorse per il TPL (trasporto pubblico locale), ossia si limitano a trasferire alle aziende o agli enti locali solamente quello che percepiscono dal Fondo nazionale trasporti, mentre ci sono altre regioni che integrano in modo consistente tali finanziamento, probabilmente facendo uno sforzo fiscale in più, perché hanno risorse disponibili e decidono di destinarle al trasporto pubblico locale.
  Nella tabella successiva (vedi slide n. 38) vediamo ancora dati riferiti al trasporto pubblico locale, ma in questo caso nella spesa non abbiamo calcolato solo la spesa della regione ma anche la spesa dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle aziende di trasporto, in modo da avere più chiara la situazione del TPL nel territorio di quella regione. In quel caso ovviamente abbiamo proporzionato l'indicatore alla spesa maggiore. In questo caso vediamo che rispetto la situazione è diversa rispetto alla precedente. È normale che il Lazio e la Lombardia, che hanno due grandi città che sul TPL spendono molto, che sono Roma e Milano, abbiano questo tipo di situazione. Vediamo che invece dalla slidePag. 10precedente risultava che alcune regioni obiettivamente non spendono, mentre messe insieme con i comuni, le città metropolitane e le agenzie del trasporto viene fuori questo tipo di situazione.
  Abbiamo voluto tenere distinti i dati e fare questo tipo di analisi, proprio perché sul TPL sarà necessario avere il quadro complessivo per poi decidere quale scelta fare nel momento in cui dovrà essere determinato un fabbisogno standard.
  È da tenere conto che sul TPL, di fatto, il fabbisogno standard è già calcolato dall'Osservatorio nazionale trasporti – hanno dato degli indicatori, ma poi non si sa se vengano applicati o meno – quando vanno a ripartire il Fondo nazionale trasporti, che sappiamo essere normalmente una trattativa fra regioni che porta a una lunga maratona quando si arriva a quel tipo di ripartizione.
  Per quanto riguarda i servizi nell'ambito sociale abbiamo fatto la stessa scelta del TPL, ossia valutare cosa spende la regione di bilancio proprio, mentre la slide successiva (vedi slide n. 39) mostra cosa spendono gli enti di quella regione per la funzione sociale.
  Anche in questo caso vediamo il livello dei servizi. Se andiamo ad analizzare la spesa della regione, vedremo che ci sono alcune regioni che stanziano poche risorse per i servizi sociali e altre che ne stanziano significativamente di più. In questo grafico, dunque, la spesa totale è rappresentata dall'istogramma blu, la linea verde rappresenta il totale degli utenti, mentre la linea azzurra il totale degli utenti equivalenti, ossia abbiamo considerato, tra le diverse prestazioni sociali, quelle che più costose e quelle meno costose e abbiamo attribuito loro un valore.
  La slide successiva (vedi slide n. 40) mostra sempre i servizi offerti euro per abitante nella funzione sociale. Possiamo vedere che nell'istogramma compare anche un azzurro chiaro, che rappresenta quella parte dei servizi sociali posta a carico del Servizio sanitario nazionale. Vediamo che una regione come il Veneto, con riferimento al Servizio sanitario nazionale, riesce a portare risorse che vanno a finanziare i servizi sociali, una parte molto cospicua, che era giusto ovviamente che fosse evidenziata. Non sono di fatto soldi veri del bilancio della regione, perché arrivano dal Servizio sanitario nazionale, però questa è una scelta di quella regione. In questo caso vedete quali sono le varie situazioni e anche in questo caso gli indicatori relativi alla parte degli utenti, in termini di numero di utenti, e la parte dell'indicatore che tiene conto di quali servizi beneficiano questi utenti.

  VINCENZO ATELLA, amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa. Vorrei aggiungere una cosa su questo grafico e in particolare sul Veneto. Ovviamente alcune di queste scelte dipendono anche da come il servizio sanitario regionale è organizzato sul territorio. Probabilmente nel caso del Veneto la continuità assistenziale o altro hanno consentito questa soluzione. Era importante fare questo accenno, perché altrimenti non si sarebbe stato possibile spiegare quel picco.

  MARCO STRADIOTTO, responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa. Il lavoro su cui saremo impegnati nei prossimi mesi è da una parte la stima dei fabbisogni standard per le regioni, individuando i servizi da valutare che sono «finanziati» con uno sforzo fiscale o con altre fonti che non siano i fondi oggetto della perequazione e, dall'altra, stabilire quale sia il livello di servizio da garantire su tutto il territorio nazionale. Sono questi i due temi su cui siamo impegnati, ovviamente in collaborazione con la Commissione tecnica per i fabbisogni standard, in modo tale da poter confrontare, nel giro di qualche mese – come abbiamo fatto per i comuni –, sia la spesa storica che la spesa standard. Non abbiamo infatti ancora avuto modo di calcolare la spesa standard, perché stiamo attendendo la decisione su questi aspetti e, come sapete, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard per alcuni mesi non ha avuto il presidente. Il presidente è arrivato da poco, abbiamo iniziato a lavorare in queste settimane e penso che nel corso dei prossimi mesi possiamo arrivare a questo tipo di decisione. Pag. 11
  La cosa importante relativamente alle regioni e al livello dei servizi è relativa ai livelli essenziali delle prestazioni. C'è un lavoro che come SOSE noi abbiamo consegnato (ci era stato incaricato dal decreto legislativo n. 68 del 2011) che prevedeva la ricognizione dei livelli delle prestazioni effettivamente erogate nelle diverse regioni a statuto ordinario e dei relativi costi.
  Quel lavoro, consegnato due anni fa, diventa, secondo noi, l'elemento fondamentale a disposizione del decisore politico per capire quale sia la situazione differenziata nei territori, ma per capire anche quali siano i costi, perché, se non sono definiti i costi standard di riferimento sarà difficile calcolare i LEP (livelli essenziali delle prestazioni), soprattutto in una situazione di spesa contingentata. Ci troviamo, infatti, in una situazione di spesa pubblica contingentata. Se l'obiettivo è l'uniformità, si riesce a determinarla nel momento in cui avremo i costi standard, i costi di riferimento e la spesa standardizzata.
  Gli elementi ci sono. Ovviamente a quel punto il decisore politico potrà decidere il livello di servizio da garantire in tutto il territorio nazionale e se abbassare il livello dove è troppo alto, perché non ci sono le risorse – questa è un'ipotesi – o, viceversa, innalzarlo nei territori dove il livello è più basso, ovviamente reperendo e assegnando le risorse necessarie perché questo avvenga.
  Questo è il motivo per cui diciamo che fabbisogni standard e livelli essenziali delle prestazioni sono un po’ le due facce della stessa medaglia, cioè sono due questioni che vanno a braccetto e che insieme possono essere determinate. Non possono essere determinati i LEP senza la definizione dei costi e dei fabbisogni standard come, viceversa, per far bene i fabbisogni standard sarebbe necessario, soprattutto nei servizi che non sono uniformi, avere dal decisore politico il livello a cui ci si deve attenere per poter determinare il fabbisogno.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ERICA RIVOLTA. Effettivamente ci rendiamo conto che la mole di dati è veramente immensa e trovare il metodo per gli indicatori, per ottimizzare i risultati e la veridicità della situazione, è davvero complesso.
  Gli istogrammi che abbiamo visto sono tutti da approfondire, perché ci sono degli apparenti risultati che sembrano non tornare, non solo rispetto ai luoghi comuni, ma anche rispetto al livello di servizi realmente offerti, quindi dovremo fare ulteriori approfondimenti, proprio per cercare di capire quale sia la soluzione ottimale.
  Ad esempio, sull'orientamento e l'istruzione, a mio avviso, sarebbe interessante vedere i risultati. È stato individuato un fabbisogno standard, ma poi qual è il risultato? Stiamo comparando regioni con realtà territoriali e densità di abitanti a volte molto diverse tra loro. Penso, ad esempio, al Molise. Sappiamo che è una regione con due province, ma con una popolazione di 350.000 abitanti che è ancora diminuita – io la conosco bene perché ho sposato un molisano – e con problemi enormi a causa di una grave decrescita della fascia da zero a sei anni di età e, viceversa, con un indice di vecchiaia davvero molto alto. È una regione assai difficile, proprio per la complessità del sistema viario eccetera, ci sono dunque, in alcuni settori, livelli di spesa molto alti, però poi qual è effettivamente il livello erogato? Spesso e volentieri, ahimè, è molto basso.
  È uno studio davvero molto complesso, nel quale noi come legislatori dovremo fare molto insieme a voi. Vi ringrazio perché il lavoro che avete fatto e che state facendo da anni è davvero prezioso e molto approfondito. Dovremo fare considerazioni molto approfondite, per individuare un livello medio che possa garantire l'equità tra i cittadini, visto che questo era uno degli obiettivi, ma con tutte quelle azioni che possono essere anche di stimolo per l'ottimizzazione dell'utilizzo delle risorse. Questo attiene, a mio avviso, a un profilo politico-culturale, se posso permettermi.

  BIANCA LAURA GRANATO. Vorrei sapere se esistono strumenti per calcolare i fabbisogni standard anno per anno, perché Pag. 12con le esigenze di messa a bilancio da parte degli enti dei fondi per tutti i vari comparti e quelle dello Stato per distribuire queste risorse sinceramente mi sembra un obiettivo un po’ ambizioso. Non so se avete già in mente gli strumenti per poterlo raggiungere, perché mi pare di capire che senza questi strumenti non si può determinare un fabbisogno standard in maniera equa, oggettiva e costituzionalmente valida.

  DAVIDE GARIGLIO. Vi ringrazio, anzitutto, per questa ingente mole di dati. Come sempre, l'istogramma per chi non è di professione un lettore di numeri deve essere esaminato con molta attenzione, perché ti passano davanti e ci vuole un grande ragionamento per comprenderlo.
  Vorrei chiedervi se poteste aiutarmi a comprendere meglio, alla luce della vostra esperienza tecnica, il percorso sulla base del quale un Parlamento ben ordinato e un Governo ben ordinato in legge di bilancio potrebbero assegnare ai vari livelli di governo le risorse necessarie per assolvere adeguatamente alle proprie funzioni.
  Immaginiamo che ci sia un solo livello di governo, il livello di governo regionale, per semplificare la situazione. Prendo il caso del trasporto pubblico locale, di cui ho avuto occasione di occuparmi in passato, su cui l'Osservatorio nazionale del TPL ha già fatto un lavoro. Per quanto di mia conoscenza, nel settore del trasporto pubblico locale si è fatto un lavoro per definire i costi standard. Il costo standard di un chilometro di un autobus che viaggia in una città metropolitana è ovviamente diverso dal costo standard di un chilometro di servizio fatto in un territorio montano oppure di un chilometro fatto in autostrada sulla Torino-Milano, dove le velocità sono maggiori. I costi standard in questo caso sono stati individuati, si è capito quanto dovrebbe costare un certo tipo di servizio, in base ai chilometri effettuati nei diversi contesti.
  I livelli essenziali delle prestazioni non sono stati individuati. Il Fondo nazionale trasporti viene ripartito sulla base dei criteri che sono stati definiti tra lo Stato e le regioni. Tuttavia, non si fa il ragionamento «vediamo quanto serve per dare un minimo comune diritto alla mobilità ai cittadini lombardi, ai pugliesi e ai siciliani». Si dice: «Okay, vediamo qual è la spesa storica, vediamo quali sono le entrate da ricavi tariffari e vediamo qual è l'evasione». Tuttavia, nonostante la definizione dei costi standard, non si è arrivati in quel settore a un sistema che consenta di dire: «Definisco il fabbisogno di mobilità dei cittadini di un territorio, sulla base delle caratteristiche sociali, demografiche e geografiche del territorio stesso, sulla base di questo so quanti servizi devo offrire, so quanto costa ciascun servizio sulla base dei costi standard e, quindi, definisco le risorse».
  Vorrei chiedervi se poteste aiutarci a capire, dal punto di vista concettuale, quali sarebbero i passaggi per arrivare a una definizione corretta di come ripartire le risorse su una certa funzione tra lo Stato e il primo livello di governo territoriale subordinato.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e do la parola agli auditi per la replica.

  VINCENZO ATELLA, amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa. Inizio io a dare qualche risposta. Relativamente al fatto che non è assolutamente facile trovare questi indicatori, noi quotidianamente lo verifichiamo, però direi che non è impossibile.
  Prima che SOSE iniziasse questo lavoro non c'era assolutamente nulla. Da quanti anni ormai? Sono cinque o sei anni?

  MARCO STRADIOTTO, responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa. Dal 2010.

  VINCENZO ATELLA, amministratore delegato e direttore generale della SOSE spa. Anche di più. Da allora pian piano abbiamo messo insieme una mole incredibile di informazioni. Peraltro, tutti questi dati sono disponibili su OpenCivitas, quindi abbiamo fatto anche un grosso lavoro di pubblicizzazione e di trasparenza. A volte questa trasparenza viene anche utilizzata in maniera – permettetemi – impropria, Pag. 13nel prendere queste informazioni e usarle non sempre in maniera conforme.
  È un lavoro che è stato fatto e che può tranquillamente proseguire. Richiede ovviamente una serie di sforzi e soprattutto continuità, ma non è impossibile, si può fare. I risultati che abbiamo prodotto fino a oggi lo testimoniano.
  Come aveva detto prima il dottor Stradiotto, sull'istruzione sappiamo che non abbiamo ancora raggiunto l’optimum in termini di dati raccolti, ma ci stiamo impegnando in tal senso.
  Per quanto concerne la possibilità di monitorare questo processo negli anni, lo stiamo già facendo. Abbiamo i dati disponibili per tre anni e fintanto che SOSE riceverà l'incarico di svolgere questo lavoro queste attività verranno proseguite. Dopodiché, si tratterà di capire se, una volta che saremo arrivati al calcolo dei fabbisogni standard, i fabbisogni standard debbano essere rivisti anno per anno, in termini biennali o in termini triennali. Noi potremmo raccontare il nostro punto di vista e indicare quale potrebbe essere, a nostro avviso, la migliore soluzione, ma riteniamo che questa scelta non sia rimessa a noi. Si tratta di decisioni che devono essere prese dal legislatore che deve stabilire ad esempio ogni quanto tempo è necessario aggiornare i fabbisogni standard. Non siamo noi a poter decidere. Noi potremmo piuttosto dare indicazioni, sulla base delle esperienze fatte, circa il tipo di aggiornamento che potrebbe risultare utile.
  Noi potremmo procedere ad aggiornamenti anche annuali una volta sviluppata la metodologia e ottenute le informazioni necessarie. Il vero problema è capire se sia necessario procedere a questo aggiornamento ogni anno, ogni due anni, ogni tre anni o quale sia la finestra temporale ottimale, anche perché stiamo parlando di fenomeni che sono più strutturali che congiunturali, dunque non vi sono grossi cambiamenti ogni mese od ogni sei mesi.
  Con riferimento all'ultima osservazione sulla mancanza di informazioni per definire il fabbisogno standard nel trasporto pubblico vorrei aggiungere che in ambito sanitario ci troviamo esattamente nelle stesse condizioni forse da ancora più tempo. Se non erro c'è un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2011 che definiva i criteri per l'allocazione del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale in accordo con i fabbisogni sanitari, ma è da allora che continuiamo ad andare avanti con allocazioni calcolate più o meno sul costo storico. Questo non accade solamente nel trasporto pubblico. Se guardiamo i fondi allocati per sanità e trasporto pubblico, si comprende che la sanità ha molte più risorse, anche dove ce ne sarebbe ulteriore e maggiore necessità, che continuano a essere allocate su base storica.

  MARCO STRADIOTTO, responsabile analisi della finanza pubblica della SOSE Spa. Rispetto alla richiesta dell'onorevole Gariglio la domanda sul TPL è utile per spiegare meglio ciò che forse non sono riuscito a spiegare prima. Anzitutto stiamo parlando di enti locali e territoriali, enti autonomi, dove tra l'altro le risorse assegnate sono normalmente senza vincoli di destinazione, fatte salve quelle del Servizio sanitario nazionale e quelle del Fondo nazionale trasporti.
  Pertanto, anche in questo caso potrebbe darsi che venga stabilito uno standard di servizio e poi non è detto che quel servizio sia effettivamente erogato, però si può togliere l'alibi a quell'amministrazione, che non può dire che non eroga il servizio perché non ha ottenuto le risorse, ma a quel punto apparirebbe evidente la scelta politica di cui quell'amministratore locale o regionale risponderà ai propri elettori e cittadini.
  Con riferimento al trasporto pubblico locale segnalo, tra l'altro, che l'esperienza vissuta in questi anni, e che ancora stiamo vivendo, in Italia, in applicazione dei fabbisogni standard è che la nostra metodologia nella determinazione dei fabbisogni standard è stata valutata come una best practice a livello europeo, tant'è che siamo stati assegnatari da parte dell'Unione europea di un progetto per la determinazione dei fabbisogni standard in Lituania.
  Posso garantire che in tutti i Paesi la situazione è sempre la stessa, ossia ci sono enti locali con più risorse, con condizioni di Pag. 14finanziamento o comunque risorse proprie molto più alte di altri e con differenziazioni dei servizi.
  Un anno fa siamo stati interessati anche dalle autorità polacche. La loro riforma costituzionale degli enti locali e del finanziamento degli enti locali era stata bocciata dalla Corte costituzionale perché toglieva troppo ai ricchi. In quel caso era stata la regione di Varsavia a fare ricorso, perché, se i meccanismi di standardizzazione operano come una livella - che è un po’ ciò che abbiamo tentato di dimostrare all'inizio, quando abbiamo mostrato la curva a «U» -, si rischia di fare disastri. I costi medi non sempre sono la soluzione, anzi noi per semplicità abbiamo riportato i costi per abitante per avere un punto di riferimento, ma i costi per abitante sono un numero devastante. È facile raccontarli, però poi quando si scende nei dettagli ci si rende conto che le situazioni sono molto diversificate.
  Non eludo la domanda e arrivo alla questione relativa al TPL. Nel TPL è molto difficile immaginare una standardizzazione del servizio, perché abbiamo situazioni molto diversificate. Pensiamo a Roma con 2,8 milioni di abitanti e a Moncenisio o Pedesina con 32-36 abitanti. Questi sono gli estremi sui comuni.
  È chiaro che nell'ambito del trasporto pubblico locale, mentre ha senso parlare di trasporto urbano a Roma, a Milano e nelle grandi città, non ha senso parlarne a Pedesina e a Moncenisio, però ha senso parlare di trasporto extraurbano, ossia quello che collega il comune con il capoluogo, col comune vicino eccetera. Sono situazioni diverse. Nella scelta del livello appare chiaro che, in casi come questo, non potrà esserci un livello uguale per tutto il territorio nazionale e per tutti i comuni, perché le città evidentemente avranno fabbisogni diversi che derivano molto anche dalla densità abitativa, e nel TPL si tratta di un dettaglio non trascurabile. Credo che il legislatore dovrà decidere, non tanto sui passeggeri trasportati - che pure è una questione importante per il trasporto urbano, ma sul fatto di quanta rete è possibile garantire nei diversi territori. Ovviamente in questo caso stiamo parlando di rete extraurbana, ossia che tutti i cittadini che non hanno un'auto propria possano con sufficiente facilità raggiungere – poi vediamo con che cadenza – il capoluogo della propria provincia o il capoluogo di regione.
  Sono dettagli importanti che il decisore politico dovrà determinare come livello minimo da garantire per quanto riguarda il TPL, ovviamente considerando che quando si arriva nella grande città, quando si parla di trasporto urbano, stiamo parlando di un'altra cosa, cioè di un servizio aggiuntivo che ovviamente deve essere garantito nelle grandi città, ma che probabilmente non si riuscirà mai a garantire nei piccoli paesi, perché è inimmaginabile che ci sia un autobus che all'interno del paese collega i quartieri se il comune ha 30 abitanti, ammesso che ci siano i quartieri.
  Pensiamo allo scuolabus. Non c'entra niente col TPL, ma quando valutiamo il fabbisogno standard della scuola è chiaro che, se lo scuolabus è in un comune di montagna, può essere che per riempirsi debba fare 50 chilometri, mentre in un grande comune di pianura con dieci chilometri fa tutto il servizio. Questo non è un dettaglio da poco ed è importante che il fabbisogno standard tenga conto di questi elementi.
  È chiaro che è molto più semplice stabilire – faccio un esempio – il livello dei servizi per quanto riguarda l'asilo nido, che è uno dei temi su cui spesso si dibatte. In quel caso servirebbe una scelta del decisore politico, perché oggi quel servizio, al di là delle norme dello zero-sei anni, non rientra più nei servizi sociali, ma nei servizi educativi, come è giusto che sia, però ai fini del bilancio dei comuni è ancora considerato nei servizi sociali ed è ancora considerato un servizio a domanda individuale e a risposta discrezionale. Ciò vuol dire che se oggi un sindaco non eroga il servizio di asilo nido nessuno può lamentarsi; o meglio, può lamentarsi ma non può impugnare la scelta.
  Non è un dettaglio da poco ed è importante che in quel senso il decisore politico possa, in prospettiva, definire degli elementi per determinare un fabbisogno standardPag. 15 omogeneo in quei servizi dove esistono queste peculiarità. Non sono numerosissimi i casi, perché ad esempio su 35 miliardi di spesa storica la spesa eventualmente interessata a un livello essenziale dei servizi è pari circa a un miliardo. La stragrande maggioranza del fabbisogno standard che stimiamo è già considerato a livello uniforme. Questo aspetto ricade su circa un miliardo e mezzo di spesa.
  Faccio l'esempio del pasto per i bambini, che in gran parte viene finanziato dal buono pasto. È chiaro che il comune non fornisce il buono pasto se non esiste il tempo pieno o il tempo prolungato, ma in quel caso il tempo pieno o il tempo prolungato non è il comune a sceglierlo, ma il Ministero dell'istruzione. Normalmente, se in un comune ci sono tante classi a tempo pieno e tante classi a tempo prolungato, il comune provvede agli ambienti per la mensa e a fornire i pasti necessari affinché i bimbi che si fermano anche il pomeriggio possano restare a scuola e possano continuare nel pomeriggio. Anche questi aspetti non sono indifferenti e in questo caso dipendono da scelte che non hanno a che fare con le autonomie locali, ma con il Ministero dell'istruzione.
  Per rispondere alla domanda posta dall'onorevole Granato, per i comuni i fabbisogni standard sono determinati annualmente e ciò per una precisa scelta stabilita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ha approvato i fabbisogni la prima volta. Al fine di incentivare i comuni a erogare maggiori servizi in ambito scolastico e sociale (considerato che finché non è definito un livello essenziale delle prestazioni, sui servizi a domanda individuale viene assegnato più fabbisogno a chi eroga più servizi) quando venne approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si decise di aggiornare ogni anno i fabbisogni standard , così, se un comune migliora la sua prestazione se ne terrà conto nella definizione dei fabbisogni standard per l'anno successivo.
  In ogni caso i fabbisogni standard dei comuni stanno producendo effetti economici, nel senso che in parte (non siamo ancora al 100 per cento ma solo al 45 per cento di applicazione del meccanismo perequativo) incidono sulla determinazione del Fondo di solidarietà comunale. Ad esempio, il Parlamento per il 2019 ha deciso la cristallizzazione del Fondo di solidarietà comunale come l'anno precedente (cioè analogamente a quanto fatto nel 2018), ma, se fossero stati applicati i fabbisogni standard nuovi, approvati nel settembre dello scorso anno, perché solitamente i fabbisogni standard dei comuni si approvano sempre alla fine dell'estate o all'inizio dell'autunno, alcuni comuni avrebbero ottenuto un trasferimento di risorse un po’ maggiore o un po’ minore, a seconda delle situazioni.
  Stiamo parlando a risorse determinate, quindi considerato che la coperta è la stessa, se in un comune aumenta il fabbisogno mentre la sua capacità fiscale è rimasta inalterata, ovviamente prenderà qualche euro in più, viceversa, se succede il contrario, prenderà qualche euro in meno.
  Il meccanismo anche sulle regioni dovrà prevedere quello che dice la legge n. 42, ossia che, stimati i fabbisogni standard in euro necessari per svolgere le funzioni fondamentali a un livello uniforme, la capacità fiscale standard di ogni ente dovrà finanziarli, e, qualora non sia sufficiente, questa somma sarà rimpinguata da un Fondo di perequazione, che ovviamente aiuterà le regioni o l'ente che hanno più fabbisogni e che hanno poca capacità fiscale, e, viceversa, preleverà qualcosa da chi ha più capacità fiscale e meno fabbisogno.
  Ovviamente si tratta di un aspetto importante ed è chiaro che, a risorse inalterate, potrebbe creare qualche difficoltà soprattutto quando viene avviata l'applicazione dei fabbisogni standard e, in presenza di situazioni di spesa storica sbilanciata - quello che qualcuno, tempo fa, chiamava «l'albero storto» - è chiaro che raddrizzare l'albero storto con risorse limitate non è semplice, tanto che a volte gli enti considerano la perequazione, quando subiscono una decurtazione, non sono disposti ad accettare una diminuzione perché in precedenza hanno ricevuto di più, ma lo considerano come un taglio.
  È vero che nell'attuale situazione di finanza pubblica può essere giusta anche Pag. 16questa interpretazione, ma non è propriamente corretta.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati 1 e 2).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 12.15 è ripresa alle 12.30.

Audizione della Ministra per il Sud,
Barbara Lezzi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, l'audizione della Ministra per il Sud, Barbara Lezzi.
  Ringrazio la Ministra Lezzi per la sua presenza e le lascio immediatamente la parola per lo svolgimento della relazione.

  BARBARA LEZZI, Ministra per il Sud. La ringrazio molto, presidente, e saluto gli onorevoli colleghi.
  Vorrei anzitutto ribadire che l'articolo 119 della Costituzione fissa il principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali sulla base delle funzioni pubbliche loro attribuite. Tale autonomia di entrata e di spesa è limitata dal rispetto dell'equilibrio di bilancio e dal concorso al rispetto dei vincoli dell'ordinamento dell'Unione europea.
  Questo significa che, sulla base della giurisprudenza della Corte Costituzionale, il rapporto tra lo Stato e le regioni risulta oggi guidato dal principio del coordinamento per obiettivi, nel rispetto del criterio di proporzionalità e ragionevolezza, di cui all'articolo 3 della Costituzione. Del resto, dall'applicazione dell'articolo 116 della Costituzione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, né un aumento della pressione fiscale.
  Un rilievo particolare assume, in tale contesto, l'articolo 119, che ho già citato, per quanto riguarda il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite, senza dimenticare i riferimenti all'obbligo di solidarietà con i territori con minore capacità fiscale per abitante.
  In questo quadro, orientato alla piena autonomia regionale in materia finanziaria, si prevede un intervento dello Stato mediante il meccanismo di previsione del Fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, e con la destinazione da parte dello Stato di interventi speciali e risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni in favore di determinati comuni, province, Città metropolitane e regioni.
  Come Ministro, in considerazione dell'importanza di questo tema, sto lavorando da diversi mesi per rispondere alle condivisibili richieste di alcune regioni del Paese, nell'assoluto rispetto del principio di solidarietà, che tutte le regioni devono osservare.
  Sul tema del regionalismo differenziato, attore essenziale è proprio il Parlamento. È infatti necessario, una volta condivisi e validati finanziariamente i testi all'interno del Governo, aprire un confronto nel merito delle proposte, attivando quindi un'azione parlamentare che assicuri il ruolo centrale di indirizzo delle Camere nei confronti sia dell'Esecutivo statale che dei governi regionali coinvolti nelle intese da sottoscrivere. Le richieste di autonomia previste nel contratto di Governo devono, infatti, essere accolte, senza però che questo rappresenti uno strumento per favorire alcune regioni a discapito di altre. Il completamento del loro iter non dovrà in alcun modo comportare un surplus fiscale trattenuto dal Nord.
  Uno strumento importante per realizzare l'obiettivo sono i fabbisogni standard che – come ricordato davanti a questa Commissione dall'amministratore delegato e direttore generale della SOSE Spa – Pag. 17stimano statisticamente il fabbisogno finanziario di un ente in base alle caratteristiche territoriali e agli aspetti sociodemografici della popolazione residente, alle caratteristiche strutturali dell'offerta dei servizi, e servono per determinare un'equa distribuzione delle risorse, per valutare se le risorse stanziate sono sufficienti a garantire l'erogazione delle funzioni e dei servizi. I fabbisogni standard servono anche a monitorare il livello delle prestazioni effettivamente erogate e stabiliscono le risorse necessarie a garantire i servizi in modo uniforme, forniscono una serie di elementi per valutare quali servizi devono essere obbligatori e quali non obbligatori.
  Quanto precede può farci riflettere su un aspetto importante della materia istruzione, sulla quale si è dibattuto proprio in termini di riconoscimento di autonomia differenziata. Sul punto, come ricordava il direttore generale di SOSE Spa, l'indicatore sviluppato è critico, dal momento che mancano molte informazioni in termini di servizi offerti e dunque lo stesso indicatore non è scientificamente e metodologicamente il più corretto per la carenza di informazioni in tale ambito.
  Al tema di merito sull'istruzione va aggiunto quanto stabilito nel contratto di Governo al punto 22, laddove è stato scritto che il legame dei docenti con il loro territorio non può essere declinato in chiave semplicemente autonomistica o regionalistica nelle parti in cui ciò si traduce in una mera duplicazione di procedure e competenze, che rischiano di inficiare il buon andamento del sistema scolastico.
  In questo senso è opportuno mantenere una prospettiva grandangolare, dal momento che con tali forme di differenziazione si verrebbe a creare non solo un vulnus difficilmente sanabile, ma si creerebbe un precedente che potrebbe influire in modo determinante sul sistema nazionale di istruzione in relazione a talune possibili derive a carattere localistico.
  Ci troviamo quindi in una fase di transizione significativa. Nel prossimo triennio è previsto un turnover importante, anche per via dell'entrata in vigore di "Quota 100" e dei pensionamenti stimati, che rischia di avere un impatto negativo se associato alla duplicazione di ruoli, reclutamento e mobilità del personale scolastico.
  Un'altra perplessità importante che nutro concerne l'attuale mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, i cosiddetti LEP, definiti solo in parte in ambito sanitario, con l'inevitabile conseguenza dell'assenza di un riferimento per la definizione del giusto livello di risorse per ciascun ente.
  È allo Stato che spetta definirli e quindi garantirli su tutto il territorio nazionale, in quanto ad essi sono associati i fabbisogni standard, necessari ad assicurare tali prestazioni. È vero, infatti, che i fabbisogni standard e i livelli essenziali delle prestazioni sono due facce della stessa medaglia: se le risorse sono limitate, da qualche parte bisogna dire cosa è riconoscibile a livello di servizi offerti e cosa non lo è, e questo proprio perché le risorse sono limitate.
  Come ricordava infatti la collega Stefani, mentre la determinazione della spesa storica può essere operazione agevole, il passaggio alla determinazione dei fabbisogni standard comporta un lavoro di analisi e di valutazione materia per materia, che non potrà riguardare la sola regione richiedente l'autonomia differenziata, ma deve riguardare la spesa dello Stato, proiettata su tutti i territori regionali, relativamente ad ogni competenza trasferita o trasferibile; i fabbisogni standard devono cioè essere individuati non su una singola regione, ma su tutte.
  Ciò evidenzia in particolare che, a seguito della mancata definizione dei LEP, unitamente alla carenza di risorse finanziarie, diventano complesse le scelte per il progressivo abbandono del criterio della spesa storica in favore del criterio dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard. Il problema fondamentale in materia di livelli essenziali rimane quello della loro definizione e del loro aggiornamento: un passaggio fondamentale affinché i diritti sociali non rimangano sulla carta ma siano effettivamente esigibili.
  Inoltre, l'esigenza di una chiara definizione dei livelli essenziali è tanto più urgente se si considera che la legge n. 42 del Pag. 182009, la legge delega sul federalismo fiscale, agli articoli 7, 8 e 9 delinea un sistema basato sulla distinzione fondamentale tra spese essenziali, ossia quelle destinate a finanziare i livelli essenziali delle prestazioni, e spese cosiddette «libere». Per le prime è previsto il finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, mentre per le seconde non è previsto il finanziamento integrale.
  Oggi, ancora più di ieri, quindi, i livelli essenziali diventano la misura dell'uguaglianza e rappresentano la chiave di volta per garantire che il processo dell'autonomia differenziata, cui pare sotteso il federalismo fiscale, sia davvero finalizzato a perseguire obiettivi di efficienza, nella garanzia di un elevato grado di uguaglianza nel godimento dei diritti fondamentali, e non aggravi, invece, situazioni di disuguaglianza, di fatto già presenti fra le diverse aree del territorio.
  Per quanto concerne il tema degli effetti finanziari dell'eventuale definizione delle intese, ai sensi del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, il Ministro Tria, durante una sua audizione presso la Commissione per il federalismo fiscale, ha segnalato che in alcuni casi le richieste regionali non sono del tutto coerenti con i princìpi costituzionali e che, pertanto, vista la tassatività del disposto costituzionale, non possono essere oggetto di attribuzione.
  In particolare, tra le norme costituzionali che non possono essere derogate deve ricomprendersi l'articolo 117, secondo comma, lettera e), che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato. Ad oggi, purtroppo, prima di completare il lavoro con le valutazioni economico-finanziarie di cui parlavo, non siamo in grado di definire quanto costa l'autonomia. Le bozze sinora in circolazione, che ho avuto possibilità di leggere, illustrano infatti soltanto un quadro generale di intenti, mentre solo successivamente all'entrata in vigore delle leggi di approvazione delle intese, e quindi dei singoli decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, si renderà concretamente operativo il complesso disegno di autonomia differenziata.
  Nello specifico, le perplessità che abbiamo sono soprattutto dovute all'impossibilità di esprimere una valutazione più generale degli impatti sulla finanza pubblica. A ciò si aggiunge la considerazione circa l'approccio da tenere con riferimento all'insieme delle richieste che provengono dalle regioni.
  I contenuti dell'autonomia differenziata, come ricordato dal professor Celotto, non possono infatti estendersi a tutte le materie dell'articolo 117, terzo comma, per così dire, in blocco, dal momento che il risultato cui si giungerebbe condurrebbe a una distorsione degli ambiti di riparto tra Stato e regioni, difficilmente compatibile con la stessa Costituzione, sia in relazione alle potestà statali, sia in relazione ad altre regioni a statuto ordinario.
  In un'ottica di tutela degli interessi della comunità e quale autorità politica per la coesione, lavoro a misure omogenee per tutto il territorio nazionale e, come ho già ribadito in altre sedi, non posso che avere cura di partecipare attivamente all'azione del Governo, per fare in modo che le misure adottate e le iniziative future assicurino al Sud le risposte di cui ha bisogno, per colmare quel gap con il Nord, cresciuto a dismisura negli ultimi 25 anni, e quindi per non generare un ulteriore ampliamento del divario, nonché cittadini di serie A e di serie B.
  In una logica di necessaria complementarietà e sinergia all'interno di uno sviluppo dei processi di crescita attesi, l'articolo 119 della Costituzione opera nella convinzione che uno stretto legame tra decisioni di spesa e di prelievo contribuisca a migliorare l'utilizzo delle risorse e a rendere la spesa più rispondente alle preferenze dei cittadini.
  Purtroppo il nostro Paese ha diversi gradi di sviluppo ed è inevitabile immaginare che in qualche regione sia più utile, o venga ritenuto dai cittadini più utile, ridurre la pressione fiscale, perché questa serve allo sviluppo economico, e in altre può essere ritenuto utile aumentare la pressione fiscale per finanziare investimenti pubblici necessari allo sviluppo economico. Questa dovrebbe essere la nostra linea di Pag. 19azione: raccogliere le richieste dei singoli territori e stimarne il fabbisogno, per consentire loro di operare nelle diverse condizioni, al fine di scongiurare la cristallizzazione delle disuguaglianze esistenti tra le regioni, in particolare con quelle del Sud. Nessuno deve uscirne penalizzato.
  Occorre essere responsabili e arrivare a una pre-intesa che sia già chiara e comprensibile ai cittadini, con il successivo passaggio alle Camere. Continuo, infatti, a ritenere che una riforma di questa importanza dovrebbe essere portata all'attenzione del Parlamento. Sostenere che una tale intesa possa portare vantaggi per tutti significa non avere alcun timore di sottoporre il testo sull'autonomia al Parlamento e di farlo emendare a tutti i gruppi politici che rappresentano l'intero territorio e che quindi sono in grado di soppesare meglio l'interesse nazionale. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministra.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ERICA RIVOLTA. Grazie, presidente, ringrazio la Ministra per la presenza. Vorrei fare qualche osservazione, che è già stata svolta nel corso delle audizioni di altri Ministri e di altri esperti costituzionalisti.
  Parto dalla fine del suo intervento, cioè dal discorso dell'emendabilità. Durante l'ultima audizione della Ministra Stefani è emersa la volontà da parte del suo Ministero di sottoporre al Parlamento la bozza dei contratti con le regioni (chiamiamoli così) per consentire alle Camere di esprimersi con atti d'indirizzo. Si potrebbe pensare, quindi, alla presentazione e discussione di mozioni contenenti indirizzi da parte nostra, perché le due parti sono le regioni, da un lato, e il Governo, dall'altra. Anche leggendo gli atti conclusivi della scorsa legislatura era stato confermato più volte questo aspetto della non emendabilità, però tutti vogliamo poter esprimere il nostro indirizzo come parlamentari attraverso delle mozioni.
  Mi sembra, Ministra, che da parte sua ci sia una grossa preoccupazione rispetto alla possibilità che questo processo di autonomia, a partire dalle tre regioni che ne hanno già fatto richiesta e che sono a un livello avanzato, possa creare cittadini di serie A e di serie B. Dal mio punto di vista, invece, in base a tutta la documentazione che abbiamo letto, compresa la relazione svolta dal sottosegretario Giorgetti nella Commissione bicamerale per il federalismo fiscale, questo progresso porta a un miglioramento; la volontà non è creare eccellenze che lascino indietro alcune regioni, ma alzare il livello di chi è rimasto indietro (non mi soffermo in questo momento ad analizzarne i motivi). Deve esserci la volontà di chi, per una pluralità di ragioni, è rimasto indietro, di raggiungere quei livelli ottimali, cioè di aumentare la produttività, di alzare l'asticella.
  Come ho ribadito anche durante altre audizioni, il presidente Zaia ha sintetizzato un concetto importante: ci sono regioni dove ci vuole meno Stato e altre dove ci vuole più Stato. Dal mio punto di vista, laddove ci vuole più Stato, l'intervento statale deve tradursi in maggiore efficienza, deve imprimere una velocità diversa. Ci sono zone d'Italia che un tempo erano considerate svantaggiate (erano altri anni, ma penso alla così detta Terza Italia, quindi alla zona delle Marche), caratterizzate da certi livelli di produttività, di ricchezza e di artigianato, nelle quali è stato possibile, invece, assistere a un notevole sviluppo.
  La maggior parte dei nostri territori ha queste potenzialità, e, come abbiamo ascoltato prima nell'audizione dei rappresentanti della SOSE, quando tra qualche mese avremo a disposizione l'analisi e l'approfondimento dei fabbisogni e della spesa standard, occorrerà decidere in quali settori imprimere finalmente un'accelerazione. Lo ripeto: nessuno vuole lasciare indietro nessuno, perché siamo un unico Paese, però è giusto che chi può migliorare ulteriormente possa farlo e che funga da traino, proprio per un senso di giustizia e di responsabilità, per le zone più svantaggiate.

  BIANCA LAURA GRANATO. Ringrazio la Ministra per la sua esaustiva relazione. Pag. 20
  Vorrei chiederle se il Governo ha fatto una riflessione circa la possibilità di dare al Parlamento l'opportunità di definire in una legge quadro i requisiti, materia per materia, in base ai quali concedere o meno l'autonomia, e quindi stabilire cosa concedere a chi ed eventualmente anche i casi in cui revocare tale autonomia, che è un altro tassello mancante della nostra Costituzione. Come è noto, infatti, per il principio di sussidiarietà verticale, laddove non vi siano dei livelli essenziali di prestazioni adeguati lo Stato dovrebbe intervenire in qualche modo.
  Potrebbe quindi essere utile pensare a una legge quadro, lasciando al Parlamento la definizione delle modalità con cui applicare appunto il dettato costituzionale in merito alle autonomie, in modo da garantire a chi ha dato prova di efficienza e di competenza, assolvendo alle proprie funzioni in maniera eccellente, la possibilità di avere più autonomia in determinate materie e, invece, a chi non ha dato tale prova prevedere la possibilità di recedere eventualmente da quell'opportunità, forse conferita improvvidamente.

  DAVIDE GARIGLIO. Grazie, presidente, buongiorno Ministra. Intervengo dopo aver ascoltato due voci di maggioranza; del resto vi sono solo due esponenti dei Gruppi di minoranza presenti in quest'aula.
  Signora Ministra, abbiamo la sensazione di perdere tempo, di fare come Commissione un lavoro utile, perché è utile conoscere queste cose, ma che non porterà ad alcun risultato, perché siamo veramente allibiti nel prendere atto che, ad ormai un anno dall'entrata in carica di questo Governo, non sia stato fatto alcun sostanziale passo in avanti.
  Ribadisco che qui i predecessori non vi hanno lasciato a un livello zero: c'è un accordo preliminare sottoscritto il 28 febbraio 2018, in limine mortis, dal vecchio Governo, che con le prime tre regioni che hanno avviato la procedura (Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna) aveva già stabilito dei paletti procedurali, tra cui anche un termine decennale, sulla cui base si sarebbe dovuto rinegoziare l'accordo. C'erano quindi le condizioni per andare avanti speditamente nel lavoro fatto.
  Mi pare di capire, sentendo parlare lei molto francamente – e di questo la ringrazio – che invece si sia sostanzialmente molto indietro in questo processo che dovrebbe portare alla negoziazione tra il Governo nazionale e i governi regionali, e quindi alla trasmissione di un output normativo (perdoni il termine improprio) al Parlamento.
  Mi chiedo quanto tempo pensate di metterci, visto che ora evocate continuamente il contratto di Governo, che poi non è altro che il programma di Governo di tutti i Governi di coalizione che si sono succeduti. Avete un accordo su un programma elettorale che prevedeva che questo punto venisse sviluppato, ci sono delle pre-intese stipulate con alcune regioni, ci sono altre regioni, tra cui la mia, il Piemonte, che hanno avviato più tardi questo percorso, ma che sono addivenute ad una definizione piuttosto chiara dei punti su cui chiedono l'autonomia, ma non ci sembra che vi sia alcun passo avanti.
  Lei oggi ha anche usato – mi consenta, signora Ministra – un'espressione un po’ politica, dicendo «non ritengo che si possa rivendicare l'attuazione del federalismo differenziato sul totale delle materie su cui è stato richiesto». Tuttavia, non credo che sia questo il problema; sarà un problema di ogni singola regione valutare ciò che ritiene di chiedere sulla base delle proprie esigenze.
  Il presidente della regione Emilia-Romagna è venuto in audizione la scorsa settimana e ci ha spiegato come abbia ritenuto di intervenire su una serie più ristretta di materie, richiedendo le materie utili per l'autonomia della propria regione; la stessa scelta è stata fatta dal Piemonte, accetto a livello logico che una regione possa invece orientarsi verso una materia diversa.
  Le chiedo, signora Ministra, pur augurandovi una lunga vita, quanto tempo pensate di impiegare per non trovarvi anche voi a sottoscrivere una pre-intesa in limine mortis? Riusciremo in questa legislatura a dire che questa nostra Commissione ha Pag. 21prodotto qualche lavoro? Credo che in questo non vi aiutino gli esponenti del partito, vostro partner di Governo, e specialmente i governatori delle regioni che predicano di residuo fiscale, perché non fanno altro che creare una nebulosa attorno a queste materie quando la vicenda del residuo fiscale è al di fuori del discorso delle pre-intese.
  È chiaro che se si vende alle popolazioni del Nord che il 90 per cento delle tasse pagate da lombardi e veneti rimarranno ai lombardi e ai veneti, questo crea a livello politico sul resto del territorio una situazione non facilmente gestibile (lo riconosco), ma questo è un problema che avete all'interno della vostra coalizione e che dovreste risolvere dal punto di vista degli equilibri di Governo.
  L'altra questione, signora Ministra, che – lo dico con franchezza – considero inaccettabile è che lei venga qui senza avere ancora chiaro il vostro intendimento circa le modalità con le quali consultare le Camere. È chiaro che spetta ai Presidenti di Camera e di Senato definire la modalità con cui attuare il passaggio parlamentare richiesto dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ma voi siete la maggioranza parlamentare. Qui si pone un tema: l'intesa è emendabile oppure no?
  Capisco che se andiamo a emendare un'intesa, un atto negoziale stipulato tra due Governi, Governo nazionale e governo regionale, bisognerebbe ripartire da capo; quindi capisco i colleghi e chi nel Governo pone questo problema e dice di non poter consentire che sia modificata, perché ciò significherebbe ripartire da zero, però è necessario un orientamento. I vostri Gruppi parlamentari devono avere un orientamento circa la modalità con cui far esprimere il Parlamento per avere un mandato.
  Voi andate a trattare e vendete qualcosa che non è vostro, ma qualcosa che è nostro, ossia del Parlamento, perché andate a cedere ai governi regionali un pezzo di sovranità legislativa propria del Parlamento, ma allora il Parlamento deve esprimersi! Decidete che strada volete percorrere. Volete percorrere, come è stato detto, la strada di una legge quadro che disciplini le modalità di attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione? Volete percorrere la strada di mozioni parlamentari impegnative che vi diano un mandato? Ma dovete farlo, perché qui, oggi, signora Ministra, lei ci ha dato la chiara estrinsecazione dell'immagine di un Governo che non decide, che non sa come decidere, perché è un Governo bipolare nel senso psichiatrico del termine, perché ha due posizioni diverse su un tema importante.
  Mi soffermo su un ultimo tema: i LEP, ossia i livelli essenziali delle prestazioni. È una questione che sta a voi a definire. È stato fatto un lavoro dalla SOSE, che ci è stato illustrato nella precedente audizione conclusa poc'anzi, che fotografa le prestazioni erogate regione per regione, e la SOSE ci ha detto chiaramente che decidere di livellare verso l'alto o verso il basso è una scelta politica perché significa togliere a qualcuno e dare ad altri, però è una scelta che siete chiamati a fare.
  Signora Ministra, come membro del Governo ci dia, per cortesia, indicazione di quale sia l'intendimento dell'Esecutivo circa le modalità con cui andare avanti, perché sono passati dodici mesi e nessun passo avanti concreto è stato fatto in questo percorso.
  Non siamo pregiudizialmente contrari, siamo favorevoli, abbiamo introdotto noi questa riforma della Costituzione, abbiamo prodotto noi, come partito di maggioranza relativa dei Governi nella scorsa legislatura, gli accordi preliminari, siamo disposti ad andare avanti, ma vogliamo farlo con chiarezza e nel rispetto della coesione, dell'equilibrio territoriale, della solidarietà tra cittadini, del diritto di tutti i cittadini italiani ad avere lo stesso livello di erogazione dei servizi. La ringrazio.

  ROBERTA TOFFANIN. Ringrazio la Ministra per essere qui in audizione. È un'importante occasione di confronto perché vediamo che sul tema dell'autonomia si è creata un’impasse. Spesso si ripercorrono i dettami della Costituzione, ma poi siamo sempre punto a capo, in una situazione legata proprio a una volontà politica di queste due parti del Governo che devono decidere la strada da percorrere. Noi siamo Pag. 22aperti al dialogo, purché però si percorra una strada, perché se, da un lato, vediamo l'impossibilità – come ce la rappresentate voi – di estendere l'autonomia ad alcune regioni che l'hanno richiesta attraverso forme referendarie o attraverso forme diverse, ma altrettanto legittime, come l'Emilia-Romagna, dall'altro lato, vediamo che il Governo si appresta con molta facilità, attraverso il cosiddetto decreto Calabria, ad accentuare forme più centraliste a livello statale.
  Da un lato, quindi, il Governo manifesta la volontà di non concedere l'autonomia; dall'altro lato, però, vi è una presa di posizione importante da parte dell'Esecutivo in relazione a competenze che spettano alle regioni e che, invece, vengono portate adesso a livello statale. Quindi da una parte sostenete che la Costituzione non prevede l'autonomia, come ci state rappresentando in queste audizioni, dall'altra parte, però, prevedete una forma statalista laddove la Costituzione, invece, non la prevede.
  Non c'è la volontà di differenziare il Nord e il Sud, come ha spiegato bene la collega intervenuta in precedenza. Creare delle agevolazioni, come ha affermato il presidente Zaia, per le regioni che sanno gestire le proprie competenze a livello regionale e di mettere invece più Stato laddove serve, significa dare omogeneità a queste regioni e fare in modo che le regioni che sanno gestire le proprie competenze possano fungere da traino e da volano per le regioni che hanno difficoltà.
  Lei, Ministra, non vuole concedere la ZES (Zona economica speciale) a Porto Marghera e alle zone del Polesine, ma esistono anche al Sud e noi non vogliamo creare differenze tra Nord e Sud; cerchiamo di far ripartire l'economia e di valorizzare territori e province in difficoltà, ma non per creare differenze tra Nord e Sud, è soltanto una possibilità concessa a dei territori per poter fare da volano e creare una situazione economica che sia buona non soltanto a livello regionale, ma ampliabile anche a livello nazionale.

  PRESIDENTE. Do la parola alla collega Rivolta che ha chiesto di intervenire nuovamente.

  ERICA RIVOLTA. Grazie, presidente, vorrei soffermarmi su un ulteriore dato, tenuto conto anche di quanto affermato dal collega Gariglio. Durante la sua audizione la Ministra Stefani ha dato alcuni numeri significativi che stanno a significare quanto lavoro preparatorio abbia svolto nei mesi passati: la Ministra ha parlato di cento incontri svolti con i vari Ministri per approfondire le singole questioni.
  Mi sembra, quindi, collega Gariglio, che durante l'ultima audizione la Ministra Stefani ci abbia dato conto della grande mole di lavoro svolto nonché della sua complessità, perché in alcuni casi è stata trovata la quadra, in altri casi, invece, c'è ancora molto da fare poiché il tema è assai complesso. Il Governo, però, e in particolare la Ministra che ha la delega per le autonomie stanno lavorando. Lo dico per amore di verità e di cronaca.

  PRESIDENTE. Do la parola alla Ministra per la replica.

  BARBARA LEZZI, Ministra per il Sud. Le risposte da dare sono poche. L'onorevole Toffanin ha parlato delle ZES, però la questione è indiscutibile, e invito anche l'onorevole Granato a considerare ciò che sto per dire. Voi parlate del fatto che non ci sia la volontà di creare ulteriori disparità; l'onorevole Granato ha, tra l'altro, formulato una frase che, a mio avviso, è umiliante nei confronti delle zone più svantaggiate, ma comunque è padrona e libera di esprimere la sua opinione, quanto lo sono io nel dirvi che esiste – esiste eccome! – la volontà di rinascita e di una nuova politica che dedichi anche alle regioni del Mezzogiorno un'attenzione diversa.
  L'onorevole Granato diceva che se non c'è a questo punto la volontà di riemergere da parte di chi è in una situazione di svantaggio, alziamo le mani. Tale volontà, invece, esiste; non devo essere sicuramente io ad invitarvi a leggere soltanto un po’ di dati e un po’ di numeri, secondo i quali, in realtà, alle regioni del Mezzogiorno è stato corrisposto meno negli ultimi anni.
  A proposito di questo, sottolineo che era stato costituito anche un Fondo per lo Pag. 23Sviluppo e la Coesione, di cui l'80 per cento deve essere destinato alle regioni del Centrosud e il 20 per cento alle regioni del Nord. Da questo Fondo sono state attinte le risorse per il credito d'imposta per istituire le Zone economiche speciali, ma in questa programmazione, come in tutte quelle precedenti, i parametri dell'80 e del 20 per cento sono stati sempre e comunque non rispettati.
  Io, in qualità di Ministro e di Autorità politica delegata alla coesione tento di ripristinare quella che a mio avviso è una questione di equità. Quindi non ho detto «no» alla Zona economica speciale a Padova, ma ho solamente chiesto alla regione Veneto di utilizzare, qualora lo volesse – ma non me ne ha fatto richiesta – la zona logistica semplificata, che prevede tutte le semplificazioni che hanno le zone economiche speciali, di rinunciare per qualche mese al credito d'imposta, per cercare di reperire nuove risorse da affidare a quei territori che legittimamente lo chiedano, senza però scalfire quelle destinate ad altre regioni.
  Per amore di verità, quindi, dire che io non voglio istituire la ZES è estremamente sleale, perché ci sono delle motivazioni a monte, che mi sembrano più che sacrosante.
  Per quanto riguarda i tempi e le modalità dell'attuazione del «regionalismo differenziato», nel mio intervento, onorevole Gariglio, ho detto che, a mio avviso, ci vuole il coraggio di chiedere l'emendabilità, perché io ho chiesto l'emendabilità. È vero che si tratta di un'intesa a due, cioè del Presidente del Consiglio dei ministri e della regione interessata, ma è un'autonomia che potrebbe impattare anche sulle altre regioni. Se è vero quanto viene palesato in tutte le interviste, sui media e nelle audizioni, ossia che si tratta di un'occasione per tutte le regioni, non vedo il motivo di avere timore di renderlo emendabile, come ho detto nel mio intervento, ma probabilmente le è sfuggito.
  Detto questo, è chiaro che sono i Presidenti delle Camere che dovranno decidere il percorso, il Governo non può dire come fare, ma sia da parte mia che da parte di altri Ministri c'è comunque la volontà di fare intervenire il Parlamento. Adesso resta ai Presidenti delle Camere stabilire se intervenire con una mozione vincolante o non vincolante oppure con l'emendabilità. Io non credo ci siano grosse differenze, l'importante è che ci sia da parte sia delle regioni e del Presidente del Consiglio dei ministri la volontà di mediare e trovare una sintesi anche, e soprattutto, con il Parlamento, che rappresenta l'intero territorio nazionale e che credo sia l'organo maggiormente deputato a fare sintesi su questa questione.
  Nel mio intervento ho citato il professor Celotto e non dico che non si possono presentare le richieste tutte insieme, perché io non vado contro quello che è previsto dalla Costituzione. Dico soltanto che il tempo impiegato nel portare avanti una riforma di questo tipo, dal momento che si richiedono molte materie, comporta anche una complessità di non poco conto. Questo è il punto.
  In questo momento non posso dire quanto costi l'autonomia anche per una ragione ben precisa. La Ministra Stefani ha fatto un grandissimo lavoro con i Ministri e con i Presidenti di regione, ma di questo lavoro ho visto soltanto le bozze a febbraio; in Consiglio dei ministri non è stato portato il testo finale, quello che recepisce anche le osservazioni del Ministro Tria, di cui vi ho parlato prima. Credo che attraverso una lettura attenta e puntuale del recepimento delle osservazioni che sono arrivate dal Ministero dell'economia e delle finanze si possa fare almeno una stima di eventuali costi, a scapito eventualmente di altre regioni, che mi auguro proprio che non ci siano, però adesso sto parlando sulla base di buone intenzioni e non ho visto il testo base.
  Per quanto mi riguarda sono pronta, anche nella riunione del Consiglio dei ministri che si terrà oggi alle 15.30, se la Ministra Stefani vorrà presentare il testo base nell'ambito delle questioni varie ed eventuali (essendo sempre possibile farlo) a recepirlo, qualora avessimo anche la risposta da parte dei Presidenti delle Camere, e ad avviare tutto il percorso. Ritengo, infatti, Pag. 24doveroso rispettare la volontà dei cittadini di vedersi riconosciuta maggiore autonomia e io sono pronta a farlo. L'importante è che ci sia un testo coerente con la Costituzione, coerente – lo dico sottolineando un aspetto politico – con il contratto di Governo, che prevede maggiore coesione tra i diversi territori e un'azione di governo tesa a colmare il gap infrastrutturale, economico, di sviluppo, culturale (inteso in termini di spesa in beni culturali) formazione, istruzione, università, che c'è tra alcune regioni.
  Questo a mio avviso si può fare tranquillamente, in maniera molto serena, quindi io sono prontissima. È chiaro che ho dei timori, perché dalle prime bozze in realtà sembravano esserci, come dichiarato anche dal Ministro Tria, costi a scapito delle altre regioni.
  Rivolgendomi all'onorevole Granato, osservo che non abbiamo preso in considerazione l'idea di una legge quadro, perché, dal momento che le richieste di autonomia sono già pervenute, ci sembra giusto poter dare risposte a queste tre regioni (per adesso sono tre, poi magari aumenteranno). Probabilmente sarebbe stata un'ottima idea, nel momento in cui è stata prevista l'autonomia, prevedere anche una legge quadro che potesse sveltire e snellire le procedure di concessione di autonomia. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Granato per una breve replica.

  BIANCA LAURA GRANATO. Intervengo solo per precisare che non volevo mortificare nessuna compagine regionale. Io sono calabrese e, purtroppo, in Calabria stiamo vivendo il dramma della sanità, per cui mi domandavo se fosse opportuno dare tutto a chiunque lo richiedesse, perché domani ad esempio, il nostro Governatore potrebbe alzarsi e chiedere un incremento di autonomia in relazione a materie che ha già dimostrato di non essere tanto in grado di gestire.
  Lei sa bene che in molte regioni un'ampia percentuale di cittadini vive in uno stato di perenne bisogno e che purtroppo il voto non è libero come dovrebbe essere; quindi, purtroppo, spesso queste regioni si trovano Governatori non all'altezza di gestire i servizi. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio la Ministra Lezzi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.15.

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ALLEGATO 1

Slides illustrative della relazione svolta dai rappresentanti di SOSE SpA.

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ALLEGATO 2

Memoria depositata dai rappresentanti di SOSE SpA.

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