XVIII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 34 di lunedì 30 luglio 2018
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI
La seduta comincia alle 12.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ANNA RITA TATEO , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 24 luglio 2018.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Bitonci, Bonafede, Brescia, Buffagni, Carfagna, Castelli, Cirielli, Colucci, Cominardi, D'Incà, D'Uva, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Fraccaro, Galli, Gallo, Gava, Gelmini, Giachetti, Grande, Grillo, Guerini, Guidesi, Lollobrigida, Lorefice, Manzato, Molteni, Morelli, Morrone, Pastorino, Picchi, Rampelli, Rixi, Ruocco, Carlo Sibilia, Tofalo, Vacca, Valente, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente cinquantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.
PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 26 luglio 2018, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla III Commissione (Affari esteri):
S. 624 - "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 luglio 2018, n. 84, recante disposizioni urgenti per la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell'interno libici" (1004) - Parere delle Commissioni I, IV, V, VI, IX (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XIV.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
Modifica nella composizione di un gruppo parlamentare.
PRESIDENTE. Comunico che i deputati Aurelia Bubisutti e Luca Toccalini, proclamati il 25 luglio 2018, hanno dichiarato, con due distinte lettere pervenute in data 26 luglio 2018, di aderire al gruppo Lega-Salvini Premier.
Assegnazione a Commissione in sede legislativa di proposte di legge ai fini dell'abbinamento ai sensi dell'articolo 77 del Regolamento.
PRESIDENTE. Nella seduta del 25 luglio 2018 sono state assegnate alla IX Commissione (Trasporti), in sede legislativa, le proposte di legge n. 651 e n. 655, recanti norme in materia di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi.
Per consentire alla stessa Commissione di procedere all'abbinamento richiesto dall'articolo 77 del Regolamento sono quindi ad essa assegnate in sede legislativa anche le seguenti proposte di legge, che vertono su materia identica a quella delle predette proposte:
Bergamini ed altri: "Modifica all'articolo 172 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'obbligo di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi" (646) - Parere delle Commissioni I, II, XII e XIV;
De Lorenzis ed altri: "Modifica all'articolo 172 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'obbligo di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi" (656) - Parere delle Commissioni I, II, V, XII e XIV;
Murelli ed altri: "Modifiche all'articolo 172 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e altre disposizioni per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi" (722) - Parere delle Commissioni I, II(ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, XII e XIV;
Gebhard: "Modifica all'articolo 172 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'obbligo di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi" (732) - Parere delle Commissioni I, II, XII e XIV;
Pizzetti ed altri: "Modifica all'articolo 172 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'obbligo di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono dei bambini trasportati nei veicoli" (997) - Parere delle Commissioni I, II, XII e XIV.
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese (A.C. 924-A) (ore 12,06).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 924-A: Conversione in legge del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
Ricordo che nella seduta del 25 luglio sono state respinte le questioni pregiudiziali Serracchiani ed altri n. 1 e Gelmini ed altri n. 2.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 924-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia-Berlusconi Presidente, Fratelli d'Italia, MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni VI (Finanze) e XI (Lavoro) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la XI Commissione (Lavoro), deputato Davide Tripiedi.
DAVIDE TRIPIEDI, Relatore per la maggioranza per la XI Commissione. Grazie Presidente, il mio intervento sarà un intervento prevalentemente di natura tecnica per portare all'attenzione dell'Aula il nuovo perimetro del “decreto dignità”, così come riformulato nel passaggio in Commissione. Tuttavia, vorrei fare alcune premesse: abbiamo lavorato bene e abbiamo predisposto un testo addirittura migliore rispetto alla versione uscita dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento è stato potenziato nei suoi capitoli, ma quello che non cambia è lo spirito, il cuore di questo decreto, che rimane immutato: la dignità, che il decreto porta nel nome, e se mi permette, signor Presidente, la dignità di questa maggioranza di aver voluto trattare in Parlamento, come prima misura, un intervento pensato per chi in questi anni ha sofferto di più la devastante crisi, prima finanziaria e poi economica e sociale, che ci ha colpito, per rimediare alle politiche scellerate di questi anni, a cominciare da quelle sul lavoro.
Con questa legge si pone un limite all'abuso sui contratti a tempo determinato: un primo dato che voglio ricordare, anche per respingere al mittente le critiche su quanti non considerano questa una battaglia di priorità. Nell'ultimo anno il 90 per cento dei nuovi contratti in Italia sono a termine: una forma di precarietà inaccettabile a cui è necessario rimediare, non solo per restituire stabilità e fiducia ai lavoratori, ma anche per agire direttamente sulla vita economica del Paese, perché un alto livello di precarietà non può che incidere negativamente sulla propensione ai consumi.
Allo stesso modo, il provvedimento ha lo scopo di aiutare i giovani: in un Paese in cui vi è una disoccupazione giovanile che supera il 30 per cento, è inconcepibile non attribuire una scala di priorità massima a questa emergenza. Nel “decreto dignità”, che stiamo andando a discutere, è stato inserito un intervento mirato per affrontare di petto il problema. Sarà più conveniente per le aziende assumere stabilmente a tempo indeterminato, per le persone che hanno meno di 35 anni.
Sappiamo bene, Presidente, che si tratta solo di un primo passaggio. Abbiamo chiaro in testa come la maggioranza ha l'orizzonte per compiere un grande lavoro e come prima mossa di questa legislatura stiamo cercando di agire per il bene del Paese, per restituire qualità della vita alla nostra comunità. Questo è un primo tassello, ma è un tassello importantissimo.
Procediamo, dunque, con convinzione, nonostante da più parti siano arrivati attacchi, anche scomposti, in questi giorni. Vedete, il paradosso è tutto qui: vogliamo approvare al più presto una legge che sconfigge la paura degli italiani e che ridia loro la dignità, paura di non avere più soldi, paura della burocrazia di questo Stato, paura di non avere più un lavoro, paura di non potersi scegliere il proprio futuro. Eppure siamo costretti ad osservare il proliferare di campagne strumentali, che diffondono e alimentano nuove paure proprio su questo provvedimento, paure infondate, profezie negative che tradiscono solo il timore di un cambiamento vero e reale, che abbiamo incardinato e che non è più rimandabile. Noi andiamo avanti, sappiamo che ne abbiamo piena consapevolezza e stiamo andando verso la direzione giusta.
Venendo al merito del provvedimento, si osserva fin da subito che il Capo I reca le misure per il contrasto al precariato, in particolare l'articolo 1 modifica la disciplina del contratto a tempo determinato, recato dal decreto legislativo n. 81 del 2015, introducendo le causali, e limita l'utilizzo dei contratti a tempo determinato.
L'articolo 1-bis introduce, invece, importanti incentivi all'occupazione giovanile, per favorire la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, soprattutto per contrastare la disoccupazione giovanile e per agevolare le assunzioni stabili.
L'articolo 2, invece, introduce modifiche riguardanti la somministrazione a tempo determinato. Sappiamo che c'è stato un abuso e per questo abbiamo messo un limite.
L'articolo 2-bis introduce disposizioni in materia di prestazioni occasionali, i cosiddetti nuovi “PrestO”.
Inoltre, con l'articolo 3 aumentiamo le indennità di licenziamento a tempo indeterminato e anche quella per l'offerta di conciliazione, oltre ad incrementare la contribuzione del contratto a tempo determinato in funzione disincentivante, in occasione di ciascun rinnovo.
Prevediamo anche, con l'articolo 3-bis, il rafforzamento delle facoltà assunzionali in capo alle regioni a favore dei Centri per l'impiego.
E infine, per ciò che riguarda il Capo I, all'articolo 4 e 4-bis introduciamo disposizioni per assicurare la continuità didattica nell'interesse degli alunni e dei docenti in possesso di diploma magistrale, conseguito negli anni 2001 e 2002, per la copertura di posti di docenti della scuola per l'infanzia e della scuola primaria, per la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato nel personale della scuola.
Nel capo II, invece, laddove si introducono misure per il contrasto alla delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali, con gli articoli 5 e 6 proponiamo un limite alle delocalizzazioni delle imprese beneficiarie di fondi pubblici. Presidente, mi faccia fare un inciso su questi due articoli che, sostanzialmente, io dedico a tutti quei lavoratori che hanno subito questa violenza da parte delle imprese che delocalizzano, nonostante abbiano ricevuto i finanziamenti pubblici, e li dedico, in particolare, ai lavoratori della K-Flex con cui ho fatto una battaglia, proprio davanti ai cancelli della fabbrica; li voglio dedicare proprio a Massimo, ad Antonio, a Patrizia, a Rossella, a Mohammed, a Carmine, a Natale, a Raffaella, a Lena, a tutti questi lavoratori che non si sono piegati e che spero abbiano apprezzato il nostro lavoro. Soprattutto, non vogliamo che succedono altri casi come questi ad altri lavoratori; quindi, il mio ringraziamento va a loro e il mio abbraccio forte va, veramente, a tutti questi lavoratori che mi hanno dato emozione e voglia di andare avanti, soprattutto, per incidere positivamente su questo provvedimento.
Presidente, io lascerei agli atti gli articoli tecnici sulla norma previgente, sulle norme che stiamo andando a esporre con questo decreto; mi faccia concludere, però, con questa frase, con questo inciso: il decreto dignità sarà presto legge dello Stato, una legge che nasce dall'ascolto più sincero delle esigenze dei cittadini, una legge attesa dai precari, innanzitutto, ma anche dalle aziende sane che vogliono investire nel capitale umano per far crescere i loro dipendenti, in una dinamica di ricerca della produttività, il vero tallone d'Achille della nostra economia; un provvedimento atteso da quei lavoratori italiani licenziati dalle multinazionali che arraffano e scappano, perché ciò non si ripeta più; infine, si tratta di un provvedimento atteso dalle famiglie di tutti coloro che rimangono invischiati nel gioco d'azzardo e che trasformano, spesso, questa dipendenza in un dramma sociale.
Siamo onorati di aver portato in Aula questo testo; lavoreremo per approvarlo in uno spirito di collaborazione leale con le altre forze politiche, ma diciamo “no” all'ostruzionismo, all'ostruzionismo di chi vuole portare in questa Assemblea le pretese e le richieste delle lobby; non lo accetteremo, andremo avanti perché ce lo chiede il Paese e ce lo chiedono migliaia di precari che hanno subito questa violenza da parte di aziende poco corrette e, voglio ricordare: le aziende non sono tutte così! La maggior parte delle aziende, in Italia, sono aziende oneste che non si lamentano di questo provvedimento, ma che vogliono, assolutamente, valorizzare il valore umano (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Grazie, collega; ovviamente è autorizzato al deposito del testo.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione finanze, deputato Giulio Centemero.
GIULIO CENTEMERO, Relatore per la maggioranza per la VI Commissione. Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, oltre alle misure in materia di lavoro e impresa già descritte dal relatore per la Commissione lavoro, l'onorevole Tripiedi, il decreto contiene misure volte a semplificare gli strumenti di accertamento e controllo tributario, oggi previsti per professionisti e imprese, così da diminuire gli aggravi introdotti negli ultimi anni.
Come Lega, incontriamo spesso, sia in Italia che all'estero, tanti attori della nostra economia, tali attori, pur essendo di diversa estrazione, additano come primo aspetto più deleterio rispetto all'operare in Italia il così detto red tape, ovvero, la burocrazia, e questo ancora prima della pressione fiscale e delle lungaggini della giustizia.
In altra sede, signora Presidente, intavolerei dei dialoghi con voi, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, partendo, per esempio, dal pensiero di Max Weber; in questa sede, tuttavia, mi preme sottolineare come il presente decreto sia il primo passo di una rivoluzione culturale che proseguirà con la flat tax, la pace fiscale e le autonomie regionali. Tali autonomie, che, per esempio, già all'articolo 3-bis poc'anzi illustrato, si vedono riconosciute il giusto ruolo di volano per l'occupazione e, quindi, per l'economia, in base ai corretti principi di accountability territoriale e sussidiarietà.
Principio la mia disamina dall'articolo 7 che subordina l'applicazione dell'iper ammortamento fiscale alla condizione che il processo di trasformazione tecnologica e digitale dell'impresa su cui si fonda l'agevolazione riguardi strutture produttive situate nel territorio nazionale, ivi incluse le stabili organizzazioni dei soggetti non residenti; se nel periodo di fruizione del beneficio - che consiste nella maggiorazione del costo ai fini fiscali, dunque, in un aumento dell'ammontare deducibile dal reddito - i beni agevolati, anziché gli investimenti, a seguito della modifica intervenuta in sede referente, vengono ceduti a titolo oneroso o destinati a strutture produttive situate all'estero, anche se appartenenti alla stessa impresa, si procede al recupero dell'iper ammortamento; nel caso di investimenti sostitutivi, la revoca dell'agevolazione non si applica, anche in caso di delocalizzazione.
L'articolo 8 non modificato esclude dal credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo taluni costi di acquisto, anche in licenza d'uso, di beni immateriali connessi ad operazioni infragruppo. Si tratta, in particolare, di spese relative a competenze tecniche e privative industriali. La disposizione trova applicazione a decorrere dal periodo di imposta in corso al 14 luglio 2018, data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.
L'articolo 9, modificato in sede referente, facendo salve le restrizioni già introdotte dal legislatore, vieta qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi e scommesse, nonché al gioco d'azzardo, come precisato durante l'esame in Commissione, comunque effettuata e su qualsiasi mezzo. Si introduce la locuzione “disturbo da gioco d'azzardo” in luogo di “ludopatia”; anche le parole hanno un peso. Per i contratti di pubblicità in corso al 14 luglio 2018, data di entrata in vigore del decreto-legge, si prevede che continui ad applicarsi la normativa previgente, fino alla loro scadenza, e, comunque, per non oltre un anno dalla medesima data. La disposizione, a partire dal 1° gennaio 2019, estende il divieto di pubblicizzare giochi e scommesse anche alle sponsorizzazioni.
La violazione dei divieti comporta la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma pari al 5 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e, in ogni caso, non inferiore a 50 mila euro per ogni violazione. Viene innalzata, infine, la misura del prelievo erariale unico, il così detto PREU, sugli apparecchi idonei per il gioco lecito, per provvedere agli oneri derivanti dall'articolo.
Il nuovo comma 1-bis, introdotto in sede referente, specifica che nelle leggi e negli altri atti normativi, nonché negli atti e nelle comunicazioni comunque effettuate su qualunque mezzo, i disturbi correlati a giochi o scommesse con vincite di denaro sono definiti “DGA”, disturbi da gioco d'azzardo.
Il nuovo comma 1-ter, anch'esso introdotto in sede referente, modifica la disciplina prevista dall'articolo 7, comma 4-bis, del richiamato decreto Balduzzi, circa l'obbligo per i giochi con vincite in denaro di riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato. La nuova norma prevede che per le lotterie istantanee indette dal 1° gennaio 2019 o ristampate da tale data, i premi uguali o inferiori al costo della giocata non sono ricompresi nelle indicazioni della probabilità di vincita. La modifica riduce, pertanto, la percentuale della probabilità di vincita che viene comunicata al pubblico.
Nel corso dell'esame in sede referente la misura del Preu sugli apparecchi idonei per il gioco lecito è stata rimodulata, a copertura delle norme che prevedono la decontribuzione per gli anni 2019 e 2020 per l'assunzione di giovani a tempo indeterminato con contratto a tutele crescenti. Si affida al Governo il compito di proporre una riforma complessiva in materia di giochi pubblici in modo da assicurare l'eliminazione dei rischi connessi al disturbo del gioco d'azzardo e contrastare i giochi illegali e le frodi a danno dell'Erario.
L'articolo 9-bis, introdotto durante l'esame in sede referente, prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro della salute, effettui il monitoraggio dell'offerta di gioco e riferisca annualmente al Parlamento. Detto monitoraggio è effettuato anche attraverso l'utilizzo di una banca dati che tenga conto dell'andamento del volume di gioco e della sua distribuzione nel territorio, considerando in particolare le aree più soggette a rischio di concentrazione di giocatori affetti da disturbo di gioco d'azzardo. Il MEF e il Ministro della salute devono riferire annualmente al Parlamento su risultati del monitoraggio.
L'articolo 9-ter, introdotto anch'esso in sede referente, dispone che l'accesso degli apparecchi da intrattenimento per il gioco lecito (si fa riferimento, per esempio, alle slot machine e ai videolottery) sia consentito esclusivamente mediante l'utilizzo della tessera sanitaria, al fine di impedire l'accesso ai giochi da parte dei minori. Si prevede che siano rimossi dagli esercizi, dal primo gennaio 2020, gli apparecchi privi di meccanismi idonei ad impedire l'accesso ai minori. La violazione di tale norma è punita con una sanzione amministrativa i 10.000 euro per ciascun apparecchio.
L'articolo 9-quater, introdotto in sede referente, istituisce il logo no-slot presso il MISE e consente ai comuni di prevedere per i pubblici esercizi e i circoli privati che eliminano o che si impegnano a non installare gli apparecchi da intrattenimento per il gioco lecito (videolottery e slot machine), il rilascio e il diritto d'uso del logo identificativo no-slot, demandando le condizioni per il rilascio del logo, nonché della relativa revoca con decreto ministeriale. L'articolo 10 reca disposizioni finalizzate a modificare l'istituto dell'accertamento sintetico del reddito complessivo, il cosiddetto redditometro, introducendo il parere dell'Istat e delle associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori. Contestualmente viene abrogato il decreto ministeriale contenente gli elementi necessari per effettuare l'accertamento, che cessa di avere efficacia a decorrere dall'anno di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. Sono fatti salvi gli inviti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento degli altri atti previsti dal citato articolo 38, comma settimo, per gli anni d'imposta fino al 31 dicembre 2015. In ogni caso, l'articolo non si applica agli atti già notificati e non si fa luogo al rimborso delle somme già pagate.
L'articolo 11, modificato in sede referente, reca disposizioni sulla trasmissione dei dati delle fatture emesse e ricevute, meglio noto come spesometro, da parte dei soggetti passivi IVA. Esso stabilisce che la comunicazione dei dati relativi al terzo trimestre 2018 non debba essere effettuata entro il mese di novembre 2018, bensì entro il ventotto febbraio 2019. Qualora si opti per la trasmissione con cadenza semestrale, i termini temporali sono fissati al 30 settembre per il primo semestre e al 28 febbraio dell'anno successivo per il secondo semestre. Con le modifiche in sede referente viene eliminato lo spesometro per tutti i produttori agricoli assoggettati a regime Iva agevolato. Si esonerano dall'obbligo di annotazione delle fatture nei registri Iva i soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute, ai sensi delle disposizioni in tema di fatturazione elettronica.
L'articolo 11-bis, anch'esso introdotto durante l'esame in sede referente, rinvia al primo gennaio 2019 la decorrenza dell'obbligo previsto dalla legge di bilancio 2018 della fatturazione elettronica per la vendita di carburante a soggetti IVA presso gli impianti stradali di distribuzione, in modo da uniformarlo a quanto previsto dalla normativa vigente sulla fatturazione elettronica tra privati.
L'articolo riproduce il contenuto del decreto-legge n. 79 del 2018 il cui disegno di legge di conversione è stato approvato dal Senato senza modifiche rispetto al testo originario.
L'articolo 12 prevede l'abolizione del meccanismo della scissione dei pagamenti, il così detto split-payment, per le prestazioni di servizi rese alle pubbliche amministrazioni, i cui compensi sono assoggettati a ritenuta alla fonte (in sostanza, i compensi dei professionisti, cui lo split- payment talvolta poteva creare difficoltà di liquidità e gestione del cash flow).
L'articolo 12-bis, introdotto in sede referente, estende anche al 2018 le norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore dell'impresa e di titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente, con riferimento ai carichi affidati agli agenti della riscossione entro il 31 dicembre 2017.
L'articolo 13 sopprime le previsioni introdotte dalla legge di bilancio 2018, in base alle quali le attività sportive dilettantistiche potevano essere esercitate anche da società sportive dilettantistiche con scopo di lucro e abroga le agevolazioni fiscali a favore delle stesse introdotte dalla medesima legge; inoltre istituisce un nuovo fondo destinato a interventi in favore delle società sportive dilettantistiche, in cui confluiscono le risorse rinvenienti dalla suddetta soppressione; infine ripristina la normativa in materia di uso e gestione di impianti sportivi vigente prima delle novità introdotte dalla stessa legge di bilancio 2018.
L'articolo 14 - e qui ci avviamo a conclusione della disamina - modificato durante l'esame in sede referente, al comma 1 l'incremento della dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica e, al comma 2, la quantificazione e la copertura degli oneri recati dagli articoli 1 e 3 del decreto-legge in esame.
Il comma 3 dispone che l'INPS provveda a monitoraggio trimestrale delle maggiori spese e minori entrati derivanti dagli articoli 1, 2 e 3.
Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, nei lavori delle Commissioni congiunte Lavoro e Finanze, l'apporto di minoranza e maggioranza sono stati fondamentali e vorrei, da relatore, ringraziare tutti i colleghi che, con innumerevoli scambi di opinioni, hanno saputo e sapranno, anche nel corso dei prossimi giorni, arricchire il testo e - perché no - arricchire anche me.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza per la Commissione finanze, deputata Silvia Fregolent. Prego.
SILVIA FREGOLENT, Relatrice di minoranza per la VI Commissione. Grazie signora Presidente, illustri componenti del Governo, gentili onorevoli. Alla presentazione del decreto dignità il Ministro Di Maio aveva presentato questo importante provvedimento sostenendo che riguardava quattro grandi temi urgenti per il Paese e che questo provvedimento li avrebbe in parte risolti: precarietà del mondo del lavoro, delocalizzazioni, semplificazioni, la lotta al gioco d'azzardo. Ebbene, se questi erano gli intenti, debbo dire che questo decreto ha fallito miseramente. La mia collega Serracchiani parlerà in particolare del problema sul lavoro, mentre io faccio soltanto un breve accenno.
La precarietà. Abbiamo sentito per giorni una diatriba tra l'onorevole Di Maio e il presidente dell'INPS, tra chi aveva chiesto di dare un parere - quante volte e quante volte reiterato – ma, sul punto e sul merito, non abbiamo mai avuto il piacere di avere una contro proposta, o meglio dei contro numeri: gli ottomila posti di lavoro persi rimangono e rimangono soprattutto nei vostri documenti.
Ciò rimane nel parere votato dalla Commissione bilancio, rimane nei pareri dell'ufficio studi, rimane su tutta la documentazione che noi abbiamo avuto in questi giorni a portata di mano e che ci ha portato ad esaminare il provvedimento.
Rimane nelle richieste delle parti sociali di Confindustria, di rete Imprese Italia, di Assolavoro.
Rimane nelle richieste preoccupate dei sindacati dei lavoratori, CGIL, CISL, UIL e UGL. Rimane nella richiesta del presidente della regione Veneto, Zaia, che chiede di rivisitare il provvedimento, che rischia di danneggiare le imprese del Veneto. E rimane nelle seicento richieste fatte dagli imprenditori veneti. Se questa non è una richiesta corale di modificare il decreto, che cos'è? Io capisco che si abbiano delle convinzioni ed è giusto portarle avanti, ma quando quelle convinzioni vengono poi superate dai fatti o vengono rese più difficili, forse bisognerebbe fermarsi, ascoltare e modificare. È quello che abbiamo cercato di fare in Commissione per molti giorni, ma non c'è stato dato grande spazio. Abbiamo fatto delle modifiche, ma, devo dire la verità, non nel senso che noi speravamo.
Delocalizzazioni: si dice che è ingiusto che le grandi multinazionali vengano nel nostro Paese, prendano i soldi dello Stato italiano, degli italiani, e poi se ne vadano e vadano a produrre all'estero beffando così lo Stato italiano. Se quello era l'intento bisognava che rimanessero le norme così come sono. Già oggi, se dopo tre anni dal ricevimento degli investimenti qualcuno prende i soldi e scappa - così riusciamo a far capire di che cosa stiamo parlando -, deve restituire per intero le somme che ha ricevuto. L'abbiamo fatto nella precedente legislatura, l'hanno fatto Calenda e Bellanova per la K-Flex che, nonostante avesse avuto la richiesta del Governo di rimanere nel nostro Paese, non volendo farlo e andando in Polonia, ha dovuto restituire 1.800.000 euro che aveva ricevuto dallo Stato italiano. Perché, invece, le norme che sono inserite in questo provvedimento sono altamente pericolose? Perché queste norme prevedono che l'impresa debba restituire dalle due alle quattro volte l'importo ricevuto. E allora cosa succede? Che non essendo un'isola, ma vivendo a contatto con l'Europa e con altri Paesi, in questa fase di crisi generalizzata - che abbiamo vissuto di più in un pezzo d'Europa, forse nella parte mediterranea dell'Europa si è sentita di più, ma l'hanno sentita tutti i Paesi - abbiamo Stati, nazioni, come per esempio la Francia, ma non solo, che fanno norme attrattive per gli imprenditori e noi rispondiamo con norme punitive per gli imprenditori. Risultato: nessuno vorrà più venire a investire in Italia. Il combinato disposto delle norme sul mercato del lavoro e delle norme sulle delocalizzazioni faranno sì che il nostro Paese non sarà più attraente.
Non solo: per anni ci siamo riempiti la bocca di quanto le nostre imprese fossero troppo piccole, fossero fragili, non riuscissero a reggere la concorrenza rispetto agli altri Paesi stranieri, di come bisognasse sostenerle. Ebbene, è arrivato un provvedimento che, per carità, come tutti i provvedimenti devono essere migliorati - Industria 4.0 - che ha reso più attraenti gli investimenti, li ha resi più robusti. Ebbene, in questo provvedimento diciamo che un'azienda italiana, che non vuole delocalizzare, che rimane nella produzione in Italia, ma che decide di aprire uno stabilimento all'estero, viene ugualmente punita. Quindi, noi creiamo un mostro che non permette alle nostre aziende di poter aprire all'estero e di potersi espandere.
Allora, ricapitolando quanto abbiamo detto: mortifichiamo il mercato del lavoro, la possibilità per gli imprenditori di continuare a procedere col mercato del lavoro; non siamo attraenti per l'estero; non siamo attraenti per le nostre imprese italiane.
Terzo punto, la semplificazione. La semplificazione è uno dei cavalli di battaglia di cui tutti i Governi quando entrano in carica si riempiono la bocca, ma perché? Perché questo Stato è troppo pesante, è fatto di enti che fanno la stessa cosa, comuni, città metropolitane, province, regioni e Stato. Spesso un imprenditore deve sopportare e deve superare una quantità di richieste fino ad arrivare alla fine per poter aprire un'azienda cosa che, invece, avviene in maniera molto più semplice negli altri Paesi. L'imprenditore chiede a gran voce di essergli consentito di poter fare impresa e quindi di avere uno Stato più semplice. Ora mi verrebbe da dire che il 4 dicembre 2016 avevamo una possibilità per farlo, ma facciamo finta di niente e andiamo oltre. Allora, cosa avviene per le semplificazioni? Sarebbe opportuno che non si creassero troppi problemi per quanto riguarda una imprenditore che abbia voglia di fare impresa e che abbia coraggio di fare impresa in questo Paese.
Ebbene, non soltanto non gli rendiamo la vita facile, ma gliela complichiamo attraverso le causali – di cui poi la mia collega Serracchiani dirà in maniera più approfondita - messe per legge e non per concertazione collettiva, come abbiamo chiesto noi del PD e tutte le opposizioni, creiamo uno strumento per cui saranno molto felici gli avvocati e i giudici che vedranno riempire i tribunali di cause. Ma non solo: voi mi dite, vabbè ma questo è un piccolo balzello che un imprenditore deve pagare, ma noi abbiamo reso felici le partite IVA, abbiamo tolto il redditometro, abbiamo tolto lo spesometro, abbiamo reso quelle partite IVA che in questi anni hanno subito la pressione fiscale finalmente libere. A parte che abbiamo fatto un protocollo non poco tempo fa tra Agenzia delle entrate e MEF e abbiamo reso più fruibile la possibilità per il cittadino di poter dialogare con l'Agenzia delle entrate, di non vederla come un mostro, ma di essere compartecipe per quanto riguarda il pagamento delle tasse. Ma nella vostra relazione, parere bilancio: al riguardo si assicura che l'amministrazione finanziaria, avvalendosi del supporto tecnico dell'Agenzia delle entrate, con l'interlocuzione collaborativa degli altri soggetti interessati alla procedura, predisporrà in tempi brevi il decreto ministeriale in oggetto al fine di garantire continuità ed efficacia allo strumento del redditometro. Quindi, non superate il redditometro? È una notiziona. Questa grande rivoluzione avrebbe semplificato di più la vita alle partite IVA, per vostra dichiarazione; l'avete scritto voi, l'avete votato voi, l'ha votato la maggioranza, l'opposizione non l'ha votato. È indicata qui nero su bianco. Allora, non avviene neanche la semplificazione, si va oltre.
Il gioco: allora, lo dico, Presidente, per suo tramite al Governo e glielo dico in maniera chiara, il PD non si farà intimorire nel presentare emendamenti dalla frase “chi presenta emendamenti è figlio delle lobby del mercato del gioco clandestino” perché noi non ci stiamo. Noi presentiamo emendamenti perché abbiamo bisogno e voglia di dare un contributo all'azione di questo Governo, che non è la nostra azione e non è il nostro Governo, per migliorare un provvedimento che danneggia, a nostro avviso, la produzione industriale di questo Paese, punto. Sul gioco d'azzardo, il collega della maggioranza prima indicava tutte le cose che sono state fatte. Ebbene, la tessera sanitaria per il gioco delle slot: emendamento a firma Ascani e Fregolent del Partito Democratico. Quindi, noi non ci facciamo dare lezioni da chi è favore delle lobby del gioco e chi non è a favore delle lobby del gioco. Abbiamo presentato la richiesta che ci fosse una banca dati tra comuni ed enti locali perché venisse indicata la quantità dei giocatori. C'è stata riformulata con una banca dati già in possesso dello Stato e dei Monopoli per non gravare sui costi del decreto. Abbiamo chiesto che venissero incentivati quei comuni e quelle regioni che hanno fatto provvedimenti restrittivi sapendo che ci hanno messo la faccia e che, avendo contro gli esercenti che hanno le slot, per loro sarà un pelino più complicato essere rieletti perché c'è una forte pressione perché loro cambino i loro provvedimenti. E anche questo ci è stato negato. Abbiamo chiesto più coraggio e più severità e abbiamo visto quasi tutti i nostri emendamenti essere bocciati. Abbiamo soltanto detto una cosa che ci preoccupava: il fatto che nella relazione tecnica, a pagina 18, sul provvedimento dello spot online venisse scritto nero su bianco che questo provvedimento avvantaggiava il gioco illegale a favore del gioco legale. E, quindi, abbiamo chiesto al Governo di pensarci bene prima di avvantaggiare l'uno rispetto all'altro posto che, però, sul gioco legale il PD ha presentato degli emendamenti restrittivi, restrittivissimi, anzi siamo stati addirittura criticati dai tabaccai per avere ecceduto in severità. Quindi, il fatto che noi siamo a favore delle lobby del gioco non ci tange.
Infine, abbiamo sentito che questo decreto è un decreto che rivoluzionerà il sistema di produrre nel nostro Paese e la legalità e che tutti quelli, come esempio Confindustria, che hanno osato dire qualcosa, sono subito stati tacciati del fatto: eh, già, voi avete i soldi delle lobby del gioco d'azzardo! Ebbene - lo dico a lei Presidente e per suo tramite al Governo - tutti i provvedimenti e tutti gli emendamenti che sono passati, dalla decontribuzione in avanti, sono stati coperti con le entrate del gioco. Quindi, voi stessi avete indicato con le vostre coperture che questo decreto non serve a ridurre l'utilizzo del gioco d'azzardo, ma anzi è, come dire, acqua fresca, posto che tutte le coperture sono state fatte utilizzando questa voce.
In conclusione, a me non stupisce che il MoVimento 5 Stelle abbia fatto un simile provvedimento. Io vengo da Torino e vedo, da tre anni a questa parte, come la mia città è in decadenza, in seguito alla guida del MoVimento 5 Stelle, come non si facciano più eventi, eventi culturali. Abbiamo fatto un dossier sulle olimpiadi alquanto ridicolo e il primo atto della sindaca Appendino fu andare via dall'osservatorio sulla TAV. Quindi, non mi stupisce.
Mi stupisce, invece, molto l'atteggiamento della Lega, perché la Lega, che amministra importanti regioni, regioni soprattutto del nord, dove si produce, dove quelle piccole e medie imprese esistono e chiedono rispetto, continua a difendere un provvedimento che andrà proprio contro la propria base elettorale. Io capisco che il Ministro Salvini parli solo di immigrazione per cercare di far dimenticare cos'è questo provvedimento, però chi ogni giorno, oltre a guardare il giornale, a leggere i tweet e vedere Facebook, si deve alzare, deve aprire una fabbrica e deve accendere i motori della produzione, sa chi gli è andato incontro e capisce chi invece, oggi, dopo aver promesso una flat tax, che non si capisce bene in che cosa consiste e quando arriverà - perché ci sono varie versioni a secondo di quale delle persone è del Governo che parla - oggi gli permette di assumere meno, li costringe di non investire all'estero e gli dà delle zavorre, che francamente, in un Paese così complicato, non avevano assolutamente bisogno di avere.
Quindi, non è tanto un appello accorato al MoVimento 5 Stelle, quanto alla Lega, di venire incontro a quei produttori, al presidente Zaia - quindi non stiamo parlando di Chiamparino, che può essere in odore di Pd e quindi inascoltato - ma a un vostro presidente, il presidente Zaia, che ha chiesto a gran voce che venisse modificato questo provvedimento. Bene, chiediamo di ascoltare almeno la vostra parte.
Capisco che questo è il Governo del cambiamento e, infatti, rispetto all'occupazione che abbiamo visto negli anni passati, finalmente vedremo la disoccupazione degli anni futuri. Complimenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza per la Commissione Lavoro, Renata Polverini.
RENATA POLVERINI , Relatrice di minoranza per la XI Commissione. Grazie Presidente, un ringraziamento al Governo e agli onorevoli colleghi che stamattina, insieme a noi, discutono di questo importante decreto, se non altro per il nome che porta, la dignità del lavoro e delle imprese, anche se tutti coloro che insieme a me hanno vissuto questi quindici giorni, nelle Commissioni riunite VI e XI, hanno visto che poco ha a che fare con la dignità, molto a che fare con la confusione, molto spesso anche regolamentare, troppo spesso con una incompetenza anche di materia. Mi permetta di dirlo, perché il lavoro delle opposizioni è stato un lavoro ancor più faticoso di quanto già non sia quello appunto di opporsi a un provvedimento che si ritiene ingiusto e iniquo, senza appunto il carattere di urgenza che pure il decreto dovrebbe prevedere con una confusione, in termini di materia, che ha fatto fatica anche il Comitato della legislazione a rivedere i requisiti che la Costituzione prevede.
Comunque, siccome sono relatrice per il gruppo di Forza Italia, intendo leggere una relazione che vada puntualmente nel merito delle questioni, che abbiamo trattato in questa lunghissima maratona presso le Commissioni.
Il provvedimento in esame, come sappiamo, è volto a convertire, quindi, il decreto-legge del 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
Si ravvisa in primo luogo che il decreto - lo abbiamo detto più volte sia in quest'Aula che in Commissione - è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale con ben undici giorni di ritardo rispetto alla sua adozione in Consiglio dei ministri, che come ricorderà il Ministro, che ringrazio comunque per la presenza, è stato appunto adottato nella seduta del 2 luglio.
Nel corso delle settimane intercorse tra quest'ultima data e quella del primo annuncio da parte del Ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali sono circolate numerose versioni differenti, molte delle quali recavano disposizioni via via escluse dal testo, mammano che ci si avvicinava alla fatidica data della pubblicazione.
Il decreto rappresenta, di fatto, il primo provvedimento complesso adottato dal nuovo Governo, come ci ricordava il relatore di maggioranza Davide Tripiedi, il cosiddetto Governo gialloverde, e costa all'origine di ben 14 articoli, compresi gli ultimi due, riguardanti le coperture finanziarie e la sua entrata in vigore.
Ai dodici articoli iniziali, recanti le disposizioni ordinamentali, se ne sono aggiunti, in sede di esame nelle Commissioni riunite VI e XI, ben altri dieci, molti dei quali volti a riequilibrare, anche se con scarso successo, l'estremo sbilanciamento verso un approccio esclusivamente sanzionatorio, repressivo, punitivo e illiberale, che rappresenta purtroppo il cuore di questo provvedimento. Mi faccia ringraziare anche, per il lavoro svolto, i presidenti delle Commissioni Ruocco e Giaccone.
Dal punto di vista formale, come già sollevato nella questione pregiudiziale di costituzionalità, che Forza Italia ha presentato, si rilevano numerose e differenti materie trattate, dalle misure che modificano la disciplina dei contratti di lavoro a termine, di somministrazione di lavoro e in materia di licenziamento illegittimo e contribuzioni addizionali per i contratti a termine, a quelle che impongono condizioni e limiti alla delocalizzazione delle imprese, arrivando alle misure che vietano la pubblicità su giochi e scommesse, innalzando la misura del prelievo erariale unico sulle vincite di apparecchi da gioco, fino a quelle finalizzate a garantire la continuità didattica e quelle che ridefiniscono il regime giuridico e fiscale dello sport dilettantistico, ridisegnando il periodo e i termini di alcuni adempimenti posti a carico dei contribuenti, redditometro spesometro e split-payment, a proposito di omogeneità del testo.
Insomma, a guardare il testo originario e, ancor più, quello licenziato dalle Commissioni, che reca inoltre disposizioni riguardanti modifiche alla disciplina delle prestazioni occasionali, misure volte a compensare le cartelle esattoriali in favore di imprese aventi credito nei confronti della pubblica amministrazione, nonché misure di proroga termini nell'elenco di temi affrontati, è evidente come il contenuto del decreto-legge si presenti disorganico ed eterogeneo, caratterizzandosi, altresì, per l'assenza dei presupposti di necessità ed urgenza, chiaramente sanciti dall'articolo 77 della Costituzione. Una sorta di decreto-omnibus o milleproroghe o manovra di bilancio: chiamiamola un po' come ci pare.
Si tratta di uno, l'ennesimo decreto-omnibus e non necessario, per il quale, di fatto, questa Camera è stata bloccata per circa due settimane. Anzi, ricordo che il primo rinvio in Aula di due giorni è stato chiesto giustamente dalle opposizioni, perché non si ravvisava tempo sufficiente per dibatterlo in Commissione. L'ultimo rinvio, per arrivare a oggi, c'è stato comunicato in Commissione, quindi è evidente che all'interno della maggioranza, come abbiamo visto più volte in Commissione, ci sono stati momenti di frizione - chiamiamoli così - attraverso i quali era difficile poi mantenere la tempistica.
Ciò nonostante, come rileva lo stesso Comitato per la legislazione, chiamato ad esprimersi ai sensi dell'articolo 96-bis comma 1 del Regolamento, le materie appaiono riconducibili alla finalità unitaria di tutelare soggetti caratterizzati da situazioni di fragilità lavorativa ed esistenziale.
Ed è il motivo per cui oggi il gruppo di Forza Italia ha chiesto di iscriversi nella discussione generale anche al collega Fatuzzo, perché non si capisce, visto che lui aveva presentato diversi emendamenti a loro favore, perché i pensionati non rientrerebbero tra coloro che hanno appunto situazioni di fragilità esistenziale.
Eppure, come sottolinea la stessa relazione tecnica che accompagna il decreto-legge, questi stessi soggetti, in virtù delle disposizioni contenute dal provvedimento, rischiano di diventare ancora più fragili. Più precisamente, 8 mila di loro - ce lo ha detto il presidente dell'INPS - non avranno più un posto di lavoro. Vale la pena inoltre sottolineare come nel preambolo del provvedimento non sia presente alcun riferimento all'articolo 13, relativo alle società sportive dilettantistiche, in considerazione del fatto che l'estensore e promotore principale del decreto, il Ministro Di Maio, pare essere particolarmente convinto dell'esistenza di manine che nottetempo aggiungono, spuntano, modificano i testi dagli stessi vagliati. La presenza di un articolo che non viene minimamente considerato nel preambolo potrebbe far pensare che, persino in questo caso, vi sia stata un'aggiunta in extremis scappata di mano, a dimostrazione della completa incertezza politico-istituzionale e procedurale in cui versa l'attuale compagine governativa.
E questo è uno degli aspetti che vorrei rimarcare in questa sede, perché da un MoVimento 5 Stelle sempre puntuale nel rispetto delle norme, delle leggi e dei regolamenti nella scorsa legislatura non ci saremmo aspettati un'ignoranza, nel senso letterale del termine, appunto di quanto la legge, le norme e i regolamenti impongono. L'importanza della lotta al precariato e della promozione di politiche volte a tutelare i lavoratori e gli imprenditori è talmente rilevante che non riteniamo possa essere affrontata con lo strumento della decretazione d'urgenza. Servono misure organiche, complessive, che non debbano sottostare alla tirannia della decretazione governativa, che non possono essere esaminate e discusse assoggettate alla minaccia del ricorso alla posizione della questione di fiducia. Anzi, mi piacerebbe sapere se c'è la volontà di ricorrere - e mi auguro di no - alla fiducia, perché noi vogliamo discutere nel merito i pochi - ribadisco pochi - emendamenti che pure le opposizioni hanno voluto ripresentare in Aula per migliorare, se possibile, questo brutto testo.
Con riferimento alle osservazioni pervenute dalle diverse Commissioni, si rileva quanto segue. Al Capo I, contrasto al precariato, l'osservazione espressa dalla XIII Commissione, in merito alla semplificazione del ricorso alle prestazioni occasionali di cui all'articolo 54-bis del decreto-legge n. 50 del 2017, si è tradotto nel mero allungamento della durata delle prestazioni (da tre a dieci giorni) e nell'introduzione di una serie di obblighi in capo al prestatore e non più all'utilizzatore, fermo restando l'ampliamento della categoria delle strutture ricettive alberghiere nel settore turismo. Intervento, quest'ultimo, che ha sostanzialmente lasciato fuori le imprese di ristorazione, ivi compresi i bar, che non rientrano nelle strutture ricettive, autorizzando di fatto la concorrenza sleale tra vicini di strutture anche nel medesimo litorale o lungo il medesimo percorso turistico montano.
Questa è una cosa serissima. Si è voluto ampliare uno strumento che già c'era, per quanto riguarda l'utilizzo dei cosiddetti voucher nel settore dell'agricoltura, e si è voluto guardare soltanto al turismo ricettivo, per quanto riguarda appunto il settore del turismo, il che significa veramente non soltanto porre le condizioni perché si possa abusare dello strumento, anche involontariamente - perché, come ci siamo detti, già le aziende si trovano quotidianamente tra mille rivoli delle norme per capire come ci si debba comportare correttamente -, ma addirittura si introduce, laddove un ristoratore è onesto e sarà onesto, un ulteriore elemento di concorrenza sleale in un settore come quello del turismo. Ma voi ve lo immaginate un ristorante che riceve una telefonata perché un pullman, magari dei pensionati del mio amico Fatuzzo, si sta fermando a Rimini e che non può utilizzare lo strumento del voucher perché non è integrato all'interno di una struttura alberghiera e quindi di ricezione, a meno che non consideriamo anche i ristoranti o le pizzerie tali. Questa è una cosa seria, che io mi auguro, nell'ambito della discussione in questa sede, possa essere modificata. Non creiamo ulteriori elementi - insisto - di concorrenza sleale tra gli stessi operatori.
All'articolo 5, al fine di rispettare il principio di chiarezza e semplicità della formulazione normativa, non è stata considerata la proposta di abrogazione esplicita dell'articolo 1, comma 60 e 61, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità del 2014), come proposto dal Comitato per la legislazione. Al medesimo articolo, inoltre, è stata disattesa l'osservazione espressa dalla V Commissione in merito alla definizione troppo generica gli aiuti di Stato, che sarebbe stato più opportuno definire al fine di evitare la piena incertezza da parte delle imprese. All'articolo 9, comma 3, non è stato considerato l'invito, espresso dalla I Commissione, per il coordinamento della previsione che individua l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'Agcom, quale soggetto competente a irrorare sanzioni ai sensi delle nuove disposizioni con le norme vigenti che vedono l'Agenzia delle dogane e dei monopoli quali autorità competente a irrorare sanzioni per la pubblicità nel gioco d'azzardo rivolta ai minori. All'articolo 13, comma 5, non è stato considerato l'invito espresso dalla I Commissione per l'introduzione di disposizioni che prevedono il coinvolgimento delle regioni nella ripartizione del neo istituito fondo in favore delle società sportive dilettantistiche, atteso che si tratta di una materia di legislazione concorrente ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
Insomma, diciamo ai colleghi delle altre Commissioni che potevano tranquillamente occuparsi d'altro, invece di esprimere i pareri che le Commissioni referenti e quindi il Governo hanno puntualmente disatteso. Lo dico perché è un fatto che, comunque, quasi la maggior parte delle indicazioni arrivati dalle altre Commissioni sono state beatamente ignorate, come del resto la gran parte del lavoro delle opposizioni, da questo Governo e da questa maggioranza.
Con riferimento alle disposizioni recanti il provvedimento, abbiamo all'articolo 1, così come agli articoli 2 e 3, sebbene le intenzioni dei promotori sarebbero volte al contrasto - dicono così - del precariato, esse appaiono, come la stessa relazione tecnica di accompagnamento al decreto sostiene e come confermato dal presidente INPS, Tito Boeri, in audizione presso le Commissioni riunite, comportare evidenti effetti restrittivi sull'occupazione, tanto che secondo lo stesso Boeri ha risposto, su mia reiterata domanda, che le stime di 8 mila posti di lavoro in meno anni sarebbero addirittura ottimistiche. Perché? Perché lui ha dato per scontato che dopo i primi dodici mesi ci sarà la causale per i secondi dodici mesi. Noi invece temiamo, purtroppo, che il lavoro il datore di lavoro, per non incorrere in un mero errore formale, mandi via il lavoratore e ricominci da capo, e quindi ci sarà una moltiplicazione di disoccupati. Mi è fatto obbligo in questa sede ricordare che, in risposta alla richiesta di chiarimento sollevata in sede consultiva in Commissione bilancio, il Governo ha provveduto a depositare una nota che conferma e anzi esplicita ancor più chiaramente i calcoli e le stime recate dalla richiamata relazione tecnica. Eppure, come accennato in precedenza, l'urgenza e la necessità di cui all'articolo 77 della Costituzione sarebbero giustificate dalla finalità di tutelare soggetti fragili. Il Ministro Di Maio è tanto attento alla loro fragilità da volerli espellere dal mercato del lavoro in forza di un decreto, nemmeno di un disegno di legge. Tempo determinato, somministrazione, indennità di licenziamento illegittimo, tutte misure modificate e introdotte dal cosiddetto JobsAct, al quale Lega - mi rivolgo agli amici della Lega in particolare - e MoVimento 5 Stelle avevano dichiarato guerra, e contro il quale hanno solo deciso di introdurre qualche piccola modifica, addirittura peggiorativa, per i lavoratori e per le imprese. Insomma, il cambiamento è ancora lì dall'arrivare.
Brevemente, l'articolo 1 introduce poi da 36 a 12 mesi la durata del tempo determinato acausale, prevedendo la possibilità di estenderlo a 24 mesi in presenza di causali che appaiono estremamente generiche e foriere della pratica di ricorsi e impugnazioni a cascata. Abbiamo parlato tanto di questo in Commissione: gli avvocati del lavoro possono stare tranquilli, perché nei prossimi anni avranno ben da lavorare. Non solo: le medesime causali chiudono di fatto ogni possibilità, in taluni settori produttivi e per talune realtà imprenditoriali, di ricorrere a contratti a termine di durata superiore a 12 messi.
Fortunatamente ma anche limitatamente le causali relative al tempo determinato non si applicano alle attività stagionali, i cui contratti a termine possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza di causali.
Rispetto alla versione esaminata dalle Commissioni VI e XI, all'articolo 1 sono state apportate modifiche ulteriormente peggiorative - pensavamo che fosse impossibile e invece così non è stato - e addirittura lesive a danno delle imprese, fatti salvo il dovuto e condiviso intervento volto a salvaguardare le collaborazioni del personale del Corpo del soccorso alpino e speleologico, di cui alla lettera d-ter dell'articolo 2, comma 2, del richiamato decreto legislativo, e la posticipazione dell'entrata in vigore delle disposizioni sul rinnovo e sulla proroga dei contratti già stipulati, inizialmente prevista dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, mentre ora è stata posticipata al 31 ottobre 2018.
Qui vale la pena di soffermarci, ricordando che, in merito a tale intervento, la maggioranza e il Governo si sono dimostrati completamente sordi alle proposte di buonsenso fatte pure da tutte le opposizioni e da Forza Italia, affinché il termine venisse indicato, come si fa di solito, non c'era nessun elemento innovativo, forse qui non serviva il Governo del cambiamento, serviva un Governo che continuasse, per esempio, in presenza di cambiamenti così sostanziali, ad arrivare ad una scadenza naturale che poteva essere quella del mese di dicembre. Ecco, allora, anche su questo io penso che si poteva fare e si doveva fare molto di più.
Abbiamo poi la somministrazione del lavoro, di cui a questo decreto, che, naturalmente, è andata al peggio: al numero di lavoratori assunti a tempo determinato in somministrazione, ora si applica un limite percentuale del 30 per cento contro il 20 che era stato proposto. Sulle prestazioni occasionali, anche qui, Forza Italia ha proposto una serie di modifiche, una riforma organica del lavoro accessorio, ma anche qui non si è voluto ascoltare nulla.
Non si è voluto ascoltare nulla nemmeno rispetto alla grande questione del bonus per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Ci teniamo a dire che quanto proposto dal Governo del cambiamento altro non è che la proroga di una norma già prevista dalla scorsa manovra di bilancio e ci teniamo a dire che gli emendamenti di buonsenso fatti da Forza Italia non sono stati minimamente presi in considerazione.
Voglio aggiungere soltanto una cosa sulla ludopatia, perché è passato un emendamento a prima firma del Partito Democratico…
PRESIDENTE. Concluda.
RENATA POLVERINI , Relatrice di minoranza per la XI Commissione. Sì, velocemente concludo, grazie Presidente …che abbiamo sottoscritto anche noi, lo voglio dire qui in Aula perché il nostro collega Roberto Novelli ne aveva fatto una grande battaglia e ci tengo a dire che il provvedimento strutturale, a prima firma Baldelli, poi sottoscritto da tutte le opposizioni, della compensazione crediti e tasse per le imprese è stato reso, invece, un provvedimento temporaneo perché sarà limitato ad un anno.
PRESIDENTE. Concluda.
RENATA POLVERINI , Relatrice di minoranza per la XI Commissione. Concludo semplicemente con una preghiera, Presidente: la pregherei nella giornata di domani di garantire che i presidenti delle Commissioni possano trovare luogo nel banco dei nove, perché oggi non hanno trovato una postazione libera e che possa essere assicurato a tutte le maggioranze ma anche a tutti i gruppi di opposizione che questa Aula mantenga, comunque, nei limiti delle norme e del Regolamento almeno la sua istituzionalità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Ovviamente la sua richiesta verrà trasmessa alla Presidenza.
Ha facoltà intervenire la relatrice di minoranza per la XI Commissione (Lavoro), deputata Debora Serracchiani.
DEBORA SERRACCHIANI, Relatrice di minoranza per la XI Commissione. Grazie, signora Presidente. La ringrazio, Ministro per la sua presenza, credo importante, grazie al Governo ed anche ad alcuni di voi con cui abbiamo avuto occasione di collaborare durante i giorni del lavoro della Commissione. Permettetemi di ringraziare anche i due presidenti delle Commissioni, il presidente Giaccone e la presidente Ruocco, perché credo davvero che l'impegno di tutti sia stato molto positivo, anche se in ruoli diversi e non sempre ovviamente con le stesse opinioni, ma questo fa parte del lavoro parlamentare.
Parto proprio dal lavoro parlamentare perché alcuni avvocati raccontano, tra le prime cose con cui spiegano il lavoro della pratica ai propri assistenti, che esistono in genere due verità: c'è la verità vera e c'è la verità processuale, che quasi mai coincidono.
Beh, io devo dire che, in questi miei giorni di esame del provvedimento nella Commissione lavoro, sono arrivata alla conclusione che esistono almeno due verità: allora, intanto alcune verità che sono state acquisite, lo ricordava la mia collega Silvia Fregolent e lo dico anch'io: intanto siamo arrivati alla conclusione che manina non v'è stata, la relazione è stata una relazione che fin dall'inizio conteneva quanto tutti poi abbiamo appreso, non soltanto dall'intervento del presidente Boeri, ma anche da quelle che sono state le indicazioni che ci sono fornite nei pareri delle varie Commissioni, a partire dalla già citata Commissione bilancio.
Si tratta di un provvedimento - questa è un'altra verità - che è profondamente cambiato rispetto a quella che era probabilmente l'idea del Ministro e a quello che poi è stato l'esame del Consiglio dei ministri e quello che è stato pubblicato è addirittura ora completamente, o molto diverso, anche grazie al lavoro della Commissione, lo ricordava la presidente Polverini. Si tratta di un provvedimento sul quale, in linea di principio, nessuno di noi può essere contrario; se chiedete a ognuno di questi parlamentari oggi presenti: siete contro il precariato? Siete contro le delocalizzazioni selvagge? Volete stabilizzare i rapporti di lavoro? Volete sistemare alcune regole incerte che riguardano la scuola? Volete combattere contro la ludopatia? Beh, tutti noi vi diremmo di sì, perché, in linea di principio, sono tutti principi che condividiamo. Quello sul quale ci stiamo dividendo e ci siamo divisi è il contenuto, il modo, la forma con cui si ritiene di poter dire di sì a questi principi fondamentali.
Noi pensiamo, ad esempio, il Partito Democratico pensa che, se vogliamo creare posti di lavoro, se vogliamo garantire stabilizzazione, dobbiamo far costare di meno il contratto a tempo indeterminato. Se invece facciamo costare di più soltanto il contratto a termine e non ci sono previsioni certe sul costo del lavoro, io credo oggettivamente che sia vero quello che dicono in molti e che già oggi ci dicono alcune imprese, e penso alla Nestlé di Benevento, ma penso a tanti altri casi che stanno emergendo all'onore della cronaca: noi così rischiamo di non creare occupazione, noi così rischiamo di creare disoccupazione.
Questo è un decreto che si occupa di lavoro, è vero, non di tutto il lavoro così come ci è stato raccontato nell'altra verità, quella del Ministro Di Maio, che avremmo dovuto trovare qualcosa sui raider, avremmo dovuto trovare qualcosa sulle cooperative spurie, avremmo dovuto trovare qualcosa sulla chiusura domenicale dei negozi, non c'è nulla di tutto questo che ci è stato raccontato, c'è altro. Ci sono, ad esempio, i contratti a termine: sui contratti a termine c'è la riduzione della durata, su questo non ci siamo divisi in Commissione, da 36 a 24 mesi; anche per il Partito Democratico è stata un'opinione che si era espressa già alla fine della scorsa legislatura. Ricordo soltanto che noi siamo intervenuti sui rapporti a termine prima ancora del Jobs Act perché siamo intervenuti in un momento di fortissima crisi occupazionale, economica e finanziaria, e in quel momento l'intervento più semplice è stato quello appunto di intervenire sui rapporti a termine, per poi fare un intervento più organico che si è chiamato successivamente Jobs Act.
Si è intervenuto, dunque, sulla durata dei contratti, da 36 a 24 mesi, ma si è intervenuto anche sulla reintroduzione delle causali. Lo dico alla Presidente e per il suo tramite al Governo: io penso che, se si interviene sulle causali, laddove si riduce anche il termine del contratto, lo si debba fare con grande chiarezza, invece sono causali molto generiche, sono causali che non aiutano a comprendere quali sono i limiti, i termini e il recinto entro il quale l'imprenditore e il lavoratore possono concludere un contratto a termine. Sono causali che, tra l'altro, vengono estese a tipologie contrattuali, penso alla somministrazione, che è di per sé, per sua natura, “acausale”, e che rischia - quello sì - di creare disoccupati: disoccupati tra i lavoratori e le lavoratrici che sono dipendenti delle agenzie di somministrazione e disoccupati tra coloro che, grazie al contratto di somministrazione, comunque avevano un rapporto di lavoro, un rapporto di lavoro che si dice flessibile, non precario, perché è una tipologia diversa.
Poi siamo d'accordo che tutti gli strumenti, se utilizzati male, sono degli strumenti abusati, ma vede, Presidente, e vedete, membri del Governo, è un po' come dire che un treno arriva sempre tardi e la soluzione non è sopprimerlo, la soluzione è trovare tutte le condizioni perché quel treno inizi ad essere puntuale.
Noi abbiamo l'impressione, invece, che sia stato un intervento piuttosto violento, d'urto, quello sulle causali del contratto a termine, di cui si è aumentato anche il costo: rinnovare un contratto a termine costerà di più, lo 0,5 per cento, e qui voglio ringraziare tutto il Partito Democratico e anche le altre opposizioni, poi si è estesa la firma ai componenti della Commissione lavoro e della Commissione finanze presenti fino a venerdì scorso nel corso dei lavori, beh sono veramente soddisfatta che la battaglia che abbiamo fatto fin dall'inizio ad evitare che il costo potesse gravare sulle famiglie italiane e che, quindi, venisse esentato dall'applicazione del decreto tutto il lavoro domestico, sia una vittoria che abbiamo portato a casa e di cui siamo molto soddisfatti. Perché, vedete, non esistono solo le lobby a cui spesso fate riferimento, a meno che di lobby non si parli quando si parla delle famiglie italiane, perché, purtroppo, sono molte le famiglie italiane e non tutte ricche o abitanti in chissà quali bei quartieri della capitale, come qualcuno dei colleghi ha voluto ricordare, che sono costrette a rivolgersi ad un assistente familiare o a rivolgersi a un collaboratore domestico o, comunque, ad avere un rapporto di lavoro domestico per sopperire a delle difficoltà, difficoltà che sono di tutti e di ogni giorno; ebbene, siamo molto contenti, molto soddisfatti che, almeno, in questa parte, il decreto sia stato migliorato; non ci è riuscito su tutto, ma almeno questo è un punto sul quale il Partito Democratico si è battuto dall'inizio e che rivendichiamo.
Quindi, come dicevo, si riduce la durata del contratto a termine, se ne aumenta il costo, si reintroducono le causali, si estende la normativa del contratto a termine anche alla somministrazione. Ebbene, tutto questo può ingenerare più lavoro? Probabilmente, no; ma non perché lo dice il Partito Democratico o lo dice il relatore di minoranza, ce lo dicono anche le imprese e lo vorrei dire al relatore di maggioranza, quando si dice che ci sono tante imprese oneste che nulla dicono rispetto a questo decreto, non vorrei che si intendesse che le imprese del nord est sono tutte disoneste, perché sono quelle che la voce l'hanno alzata, che hanno detto che non erano contente, che hanno chiesto delle modifiche, che hanno chiesto degli interventi profondi e a quella voce si è unita anche la voce di presidenti di regione che non certo fanno parte della mia forza politica, penso a Luca Zaia, penso a Massimiliano Fedriga; ebbene, voglio augurarmi che almeno quelle voci le si voglia sentire e che almeno quelle voci non le si considerino in quanto voci che disturbano, perché penso, invece, che abbiano sollevato una questione importante.
Anche qui, la verità dei lavori parlamentari è che sono stati presentati dalle opposizioni - perché ho sentito, anche oggi, la parola ostruzionismo - migliaia di emendamenti; non è vero, gli emendamenti che sono arrivati in Commissione erano 670, gli emendamenti che sono stati discussi ed esaminati 250 e tutti nel merito, perché tutte le opposizioni hanno avuto un enorme senso di responsabilità nel tentativo di discutere nel merito e nel tentativo di far migliorare un decreto che appariva scritto male fin dall'inizio e che aveva molte criticità.
E mi perdoni, lo dico alla Presidente e per suo tramite al Governo, io non riesco a capire quali sono i casi di straordinaria necessità ed urgenza, laddove proprio la disciplina più importante, a detta del Ministro del lavoro, e cioè quella sul termine, viene rinviata nella sua applicazione al 31 ottobre 2018. Non riesco a capire, quindi, perché ci siamo occupati di un decreto-legge, perché non l'abbiamo fatto con una iniziativa di legge diversa; non riesco a capire dov'è l'urgenza, perché se questa lotta alla precarietà la vogliamo soddisfare in questo modo, credo, intanto, che ci sia un allungamento dei termini che, probabilmente, non era previsto, visto com'era scritto all'inizio il decreto, ma, in secondo luogo, credo anche che questo intervento sul lavoro a termine tutto sia tranne che urgente, ma che sia anche piuttosto dannoso, visto quello che ricordavo finora.
Per quanto riguarda l'indennità di licenziamento, anche qui, sull'indennità di licenziamento illegittimo, rivendico quella che è stata una battaglia fatta dal Partito Democratico fin dall'inizio. Nella stesura del decreto non ci si era accorti, ad esempio, che l'indennità di licenziamento illegittimo veniva ampliata nel suo minimo e nel suo massimo 4 e 24 o 6 e 36, ma non ci si era avveduti che ciò non era stato fatto nel caso della conciliazione. Per fare un esempio pratico, oggi o, meglio, con le norme precedentemente in vigore prima del 14 luglio, un lavoratore avrebbe potuto auspicabilmente ricevere anche in conciliazione un massimo di 24 mensilità, se vi erano ovviamente le condizioni, con la promessa del Ministro Di Maio, 36. Di fatto, il datore di lavoro poteva staccare un assegno in sede di conciliazione di 18 mensilità, lo abbiamo fatto notare con forza, perché questa è diventata una delle battaglie del Partito Democratico e ringrazio il Governo e la maggioranza per aver compreso qual era il pericolo di fronte al quale ci stavamo dirigendo tutti allegramente.
Quindi, se oggi quell'indennità di licenziamento, anche in sede di conciliazione, è stata aumentata è un dato di fatto positivo, poi, però, c'è l'altra verità: oggi, anche l'indennità di conciliazione può arrivare fino al 50 per cento in più e, quindi, a 27 mensilità; bisogna, però, raccontare a un lavoratore che, siccome non si è intervenuti sui coefficienti fissi, sulla base dei quali si calcola l'indennità di licenziamento, cioè due mensilità per ogni anno di lavoro, il lavoratore potrà auspicabilmente prendere più di 24 mensilità dal tredicesimo anno di lavoro in poi, il che significa che gli stiamo promettendo 36 mensilità dal 2033. Io vorrei che venisse detto con chiarezza ai lavoratori, perché un conto è la verità e un conto è l'altra verità e, quindi, che questa emerga, emerga in tutta la sua chiarezza, perché se non si toccano quei coefficienti, allora semplicemente si sta dicendo che nel 2033 forse avrai 36 mensilità; bene diciamolo ai lavoratori e alle lavoratrici italiane.
Altra cosa importante e sulla quale ringrazio per aver capito quanto fosse importante, noi diciamo che questo decreto avrà degli effetti che, dal nostro punto di vista, saranno degli effetti molto probabilmente negativi, che non auspichiamo, sia chiaro e che non vogliamo, ma può darsi ci siano. Bene, quindi, e non per gentile concessione, che il Ministro venga qui a riferire annualmente su quello che è l'impatto del decreto rispetto a quelli che sono poi i risultati e le conseguenze sul lavoro e sul mercato del lavoro. Anche qui, però, con dati alla mano, perché dire genericamente, senza dire qual è la fonte, che nell'ultimo anno il 90 per cento dei contratti di lavoro sono stati a termine, a parte che non è vero, non tiene conto di un piccolo particolare, che nelle modifiche che sono state introdotte in precedenza sono sparite delle forme contrattuali come le collaborazioni coordinate e continuative, come le collaborazioni coordinate professionali, addirittura meno 60 per cento nell'ultimo anno, che, appunto, si sono trasformate in lavoro dipendente e che in alcuni casi sono diventati lavoro a termine, in altri casi lavoro a tempo indeterminato. Allora, se dobbiamo dire i numeri, diciamoli completi e diciamo che laddove c'erano delle forme contrattuali precarie, queste sono state sostituite da altre forme precarie, se le si vuole definire precarie, ma certamente più stabili, rispetto ad altre forme che erano addirittura definite “parasubordinate”, proprio perché non avevano quasi nulla a che fare con il lavoro dipendente.
Sui benefici occupazionali, io, Ministro, anzi, Presidente, per suo tramite al Governo chiedo: ma se lei ha capito, ad un certo punto, ed ha cambiato rotta - e io l'ho apprezzato - cioè ha capito che bisognava ridurre anche il costo del contratto a tempo indeterminato, allora mi chiedo perché avete detto di “no” a tutte le proposte fatte dal Partito Democratico e dalle opposizioni che tendevano proprio a ridurre il costo del lavoro a tempo indeterminato, 4 punti percentuali in quattro anni del costo del lavoro? Sono arrivata a leggere, in alcuni giornali, che la riduzione che sarebbe stata fatta con il decreto Di Maio era di 10 punti percentuali, nulla di più falso. L'unica norma che c'è è una norma, e lo dico perché la voglio leggere testualmente, che dice: esonero contributivo per favorire l'occupazione giovanile, le disposizioni in materia di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti, quindi, non solo non abbiamo modificato il Jobs Act, ma utilizziamo il Jobs Act, estendendo ai lavoratori e alle lavoratrici under 35, quindi, qualche anno in più rispetto agli under 30 dove già era prevista, per i prossimi due anni, la riduzione del 50 per cento dei contributi previdenziali per le assunzioni. Mi sembra poco, poco, poco e addirittura non sono sufficienti neppure i soldi che sono stati messi a copertura finanziaria di questa previsione. Quindi, io francamente credo che l'impegno che doveva essere principale era l'impegno a ridurre quel lavoro che piace di più, quel lavoro che vale di più e il lavoro che vale di più e che deve costare di meno è il lavoro a tempo indeterminato; in questo senso, nulla fa il decreto o laddove fa, fa molto poco, riprendendo, tra l'altro, previsioni che erano già state previste appunto dai Governi precedenti.
L'altra questione di cui voglio brevemente parlare è relativa al fatto che io credo che delle due verità ce ne debba essere una, alla fine dell'esame e del voto in Aula di questo decreto; intanto, e su questo siamo d'accordo, non è il decreto che crea lavoro, ma il decreto può creare molti problemi al lavoro, molti problemi ai lavoratori e alle lavoratrici, molti problemi alle imprese, e allora mi domando e chiedo: perché ad esempio laddove si trattava di indicare le causali non avete ascoltato la voce delle opposizioni?
Il Partito Democratico lo ha detto fin dall'inizio: perché modificare le fotografie già esistenti? L'80 per cento dei contratti collettivi nazionali non prevedono apposizioni di causali al lavoro a termine, ai contratti a termine: l'80 per cento dei contratti collettivi nazionali non lo prevedono! Ma allora perché reintrodurle con una norma di legge, perché farlo con norme così generiche? Creare lavoro, questo sì, ma c'è una categoria che lavorerà più degli altri, quella degli avvocati, perché se c'era un risultato che era stato ottenuto con la precedente disciplina era la riduzione drastica delle controversie di lavoro.
Ora, se si vuole dire agli italiani che la prospettiva del lavoro stabile è la causa di lavoro (perché adesso posso fare la causa di lavoro e quindi questo significa darmi una prospettiva di lavoro), ebbene, allora abbiamo un'opinione completamente diversa. Se noi siamo al di qua del tavolo, se siamo qui, se siamo opposizione è perché abbiamo un'idea profondamente diversa del lavoro e abbiamo un'idea profondamente diversa del Paese. Quella che è stata fatta finora è una verità, sì, ma di propaganda; poi la verità vera è quella che sconteremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni, rispetto a quali l'opposizione sarà molto dura – Ministro e Governo tutto – e sarà molto dura non tanto per opinioni diverse dal punto di vista politico, ma perché abbiamo un'idea completamente diversa di come si affrontano i bisogni del Paese.
Purtroppo, un conto è raccontarla quella verità, un conto è viverla quella verità e saranno molti i lavoratori a cui dovrete raccontare che, grazie a questo provvedimento, il lavoro lo hanno perso.
PRESIDENTE. Grazie. Ha facoltà di intervenire a nome del Governo il Ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Di Maio, prego.
LUIGI DI MAIO, Ministro dello Sviluppo economico, del Lavoro e delle politiche Sociali.
Grazie Presidente, grazie deputate e deputati. Vorrei innanzitutto esprimere una grande soddisfazione per il risultato che viene raggiunto oggi, perché il provvedimento che giunge in Aula, così come è stato descritto poco fa dai relatori, è frutto di un lavoro condiviso del Governo e delle Commissioni parlamentari. Quello che arriva qui oggi possiamo definirlo un decreto dignità 2.0, migliorato rispetto a quello approvato dal Consiglio dei ministri qualche settimana fa.
Vorrei cogliere prima di tutto l'occasione per ringraziare in questa sede il presidente della Commissione lavoro, Giaccone, la presidente della Commissione finanze, Ruocco finanze, i relatori Tripiedi e Centemero, i sottosegretari del Ministero dello sviluppo economico Crippa, Geraci, Galli e Cioffi, i sottosegretari al lavoro, Durigon, Cominardi, i sottosegretari all'economia Garavaglia e Castelli, Valente e Guidesi per i rapporti con il Parlamento, i membri di maggioranza e opposizione delle Commissioni, che hanno arricchito questo decreto, i rispettivi capigruppo, tutti gli staff e il personale della Camera.
Permettetemi, prima di tutto, di dire una cosa. Io ero presente al dibattito sulle pregiudiziali di costituzionalità a questo decreto, un dibattito che poi ha visto la bocciatura delle pregiudiziali. Nella maggior parte delle pregiudiziali, presentate legittimamente dall'opposizione in questa Aula, si poneva il tema del decreto omnibus. Un decreto che viene definito omnibus che, ricordo, oltre all'approvazione da parte del Consiglio dei ministri ha ricevuto una controfirma di garanzia costituzionale. Un decreto che però, allo stesso tempo, da coloro che lo definivano omnibus, in qualche modo si tenta di emendare con emendamenti che introducono altre materie, quindi, secondo coloro che lo definivano omnibus, in questo modo lo si rende ancora “più omnibus”. Questo è un tema che viene posto, magari tra di noi, ed è un discorso molto complesso, ma che sconta, però, il tema del perché in questo decreto non troviamo altre materie: perché altrimenti, ascoltando solo qualche punto citato prima, avremmo dovuto realizzare con un decreto molto del nostro contratto di governo, ma non era questo l'obiettivo! L'obiettivo era intervenire su delle specifiche emergenze sociali, emergenze sociali che non solo il Consiglio dei ministri evidentemente ha ritenuto tali (altrimenti il decreto approvato dal Consiglio dei ministri non sarebbe neanche arrivato qui in Aula o nelle Commissioni, avendo il bisogno di un altro vaglio). Questo provvedimento è nato sotto forma di decreto, come dicevo, perché ad avviso di questo Governo erano e sono urgenti le necessità e i bisogni dei cittadini che va a soddisfare. Urgente è la necessità di porre un freno al precariato dilagante. Negli ultimi anni i Governi che si sono succeduti sono andati in una direzione, secondo me, completamente opposta agitando il mito della flessibilità e lo spauracchio della rigidità.
L'unico risultato che è stato raggiunto è stato quello dell'azzeramento dei diritti dei lavoratori e del loro portafogli. Noi siamo convinti che tanti dei drammi che stanno vivendo gli italiani al di fuori di questo Palazzo, siano strettamente collegati alle diffuse condizioni di precarietà in cui vivono ormai milioni di persone: il calo delle nascite, il calo dei consumi, l'aumento allarmante dell'uso degli antidepressivi. Come si può mettere su famiglia e mettere al mondo un figlio quando il tuo orizzonte lavorativo è dodici mesi? Come si può accendere un mutuo per una casa quando non sai se il prossimo mese il tuo contratto sarà rinnovato? Come si può, in definitiva, vivere sereni sapendo che puoi essere licenziato da un giorno all'altro anche ingiustamente e con indennizzi pressoché ridicoli. Queste sono le domande che tante persone che ho incontrato in questi anni di attività istituzionale mi hanno posto e a cui, finalmente, iniziamo a dare una prima risposta con le misure che stiamo discutendo in quell'Aula.
Il Parlamento, a mio avviso, sarà chiamato a dire se è giusto che ci debba essere un limite all'abuso della reiterazione dei contratti a termine, così come suggerisce anche la direttiva europea 99/70, che condanna questa pratica e, per una volta, ascoltiamo l'Europa per un favore ai cittadini e non per un danno ai cittadini italiani. Sarà chiesto al Parlamento di decidere se è giusto o meno incentivare il contratto a tempo indeterminato rispetto a quello determinato in somministrazione. Il Parlamento deciderà se i lavoratori illecitamente licenziati abbiano diritto a un cospicuo indennizzo o meno: deciderete se i lavoratori debbano essere tutelati oppure no.
Eliminare i diritti di chi lavora, secondo certe teorie oggi in voga, a cui tanti si sono appassionati anche qui nel nostro Paese, sarebbe la panacea di tutti i mali per il trionfo della concorrenza della ricchezza e del libero mercato. Teorie, ma i fatti hanno dimostrato chiaramente che non è così. Questo Governo fa un'inversione a U su questo campo. Da oggi i diritti di chi lavora non si toccano più; saranno anzi protetti e aumenteranno perché siamo convinti che solo in questo modo si sentiranno persone libere e potranno dare il meglio per il bene della comunità. Quando parlo dei diritti di chi lavora non intendo solo i dipendenti. Mi riferisco, in generale, a chi si spacca la schiena ogni giorno per portare a casa il pane. All'interno di questa definizione considero anche tutti gli imprenditori italiani, in particolare quell'oltre 90 per cento di piccoli e piccolissimi imprenditori che, spesso, sono tutelati anche meno dei loro dipendenti e che lo Stato ha troppo spesso trattato come cittadini di serie B.
È chiaro che la domanda interna per i loro prodotti aumenterà nel momento in cui i loro dipendenti potranno avere la serenità per fare acquisti. Quindi, eliminare il precariato piuttosto che i diritti, a dispetto di ciò che gli è stato raccontato in questi anni, gioverà anche a loro. Ovviamente non è questa l'unica misura prevista per loro nel decreto dignità. La ricchezza più grande che abbiamo come impresa italiana è il nostro know out, la capacità di saper fare certe cose come nessun altro al mondo.
È chiaro che quando si lascia campo libero alle multinazionali di poter venire nel nostro Paese, di poter comprare le aziende per un tozzo di pane, di poter delocalizzare depredando proprio questo tesoro di conoscenze e competenze, non si sta facendo un buon servizio gli imprenditori italiani.
Quindi, anche a questa pratica selvaggia abbiamo dato una stretta, sancendo il fatto che chi viene aiutato dallo Stato con soldi pubblici non può delocalizzare, o meglio, può farlo ma restituendo, con gli interessi, quanto ha ricevuto se va in un altro Paese dell'UE e pagando anche delle sanzioni se delocalizza in altri Stati. La stretta alle delocalizzazioni selvagge è una protezione per gli imprenditori onesti e una dura sanzione per quelli che io definisco i “prenditori”.
Tuteliamo i diritti degli imprenditori anche quando eliminiamo la burocrazia inutile e cervellotica che sono costretti a subire. Il principio è semplice: gli imprenditori hanno il diritto di fare impresa; lasciamoli in pace facciamoglielo fare con il massimo comfort possibile.
Allora via lo spesometro, via il redditometro - almeno per iniziare - e via lo split payment per le partite IVA. Basta compilare scartoffie o dover sempre dimostrare di essere onesti. Per me gli imprenditori italiani sono onesti fino a prova contraria (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Anche questo significa restituire dignità alle persone e quest'Aula sarà chiamata a decidere, a mio avviso, se sancire questi principi sacrosanti o se è meglio lasciare tutto com'è. Anche se, non certo come importanza, abbiamo deciso di intervenire con fermezza per tamponare una piaga che sta infettando milioni di italiani: la piaga dell'azzardopatia. Ci sono ormai troppe famiglie che sono state distrutte a causa del gioco d'azzardo, tra slot online, slot sotto casa, la truffa semantica del gratta e vinci e i miliardi che vanno nelle casse di queste società anziché nelle tasche di commercianti e artigiani che sono diventati davvero troppi. Secondo una ricerca della Caritas di Roma, i primi contatti con il gioco d'azzardo, soprattutto tra gli adolescenti, arrivano per l'80 per cento dalla pubblicità in TV e per il 60 per cento da quella su Internet.
È chiaro che se un ragazzino vede il suo idolo calcistico che incentiva quel comportamento, penserà che è una cosa bella e lo imiterà. Questo non deve più accadere. Qualsiasi forma di pubblicità al gioco d'azzardo in Italia è morta e sepolta esattamente come è stato fatto per le sigarette. Questa norma, oltre alle dignità, decreta anche civiltà. Potremmo dirci orgogliosi di essere il primo Paese europeo a fare questa scelta di campo pioneristica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E personalmente mi batterò in sede di Unione europea per estendere questo impianto di legge anche agli altri Paesi europei. Ma l'Italia inizia a dare l'esempio e speriamo che possa esser seguito anche dagli altri Paesi. Ben venga l'emendamento che è stato proposto dalle opposizioni che ha formulato l'articolo 9-ter per quanto riguarda il codice fiscale da utilizzare per le slot. Ben venga tutto quello che ha migliorato questo decreto. Come ben venga anche l'intervento che è stato fatto su colf e badanti. Però dobbiamo dirci tutta la verità: che il 96 per cento dei contratti di lavoro domestico in Italia non sono a tempo determinato, ma sono contratti a tempo indeterminato. Voi direte: com'è possibile? Perché esiste una deroga per quel contratto per i lavori domestici. Quindi, resta il 4 per cento in questo settore di contratti a tempo determinato e dobbiamo dirci che questa norma non si rivolge neanche a quel 4 per cento, ma si rivolge a quella parte di questo 4 per cento che rinnova il contratto e, quindi, al secondo contratto, perché il primo è uguale. Qui nessuno sta dicendo che il primo contratto a tempo determinato ha le stesse norme della disciplina precedente; è dal secondo che intervengono le causali; è dal secondo che interviene l'aggravio. Quindi, noi stiamo parlando della percentuale di quel 4 per cento di lavori domestici che hanno il contratto a tempo determinato rinnovato. Io ho avuto modo di incontrare le associazioni che rappresentavano questo interesse, ne abbiamo discusso, ben venga l'emendamento delle opposizioni, ma in quella sede, né noi né loro, abbiamo avuto la capacità - poi saremo stati noi non intelligenti - di quantificare quale sia questa percentuale perché in realtà si rivolge a quel tipo di lavori domestici sostitutivi del domestico principale di casa. Questo è l'impatto che ha questa norma, ma ben venga se possiamo risolverla. Perché abbiamo detto sì a questo emendamento? Perché è chiaro che in una percentuale così piccola non ci possono essere abusi del contratto a tempo determinato.
L'obiettivo di questo decreto, quando lo abbiamo ideato e poi l'abbiamo approvato in Consiglio dei ministri, è fermare gli abusi. Se noi stiamo parlando di una percentuale così marginale nel lavoro domestico, è chiaro che non ci può essere un abuso, è una questione statistica, mentre in altri settori dove la stragrande maggioranza degli imprenditori agisce nella legalità e soprattutto con un rapporto che non è solo lavorativo con i propri dipendenti, ma a volte è un rapporto paterno, fraterno, beh, quando ci sono degli abusi, noi andiamo ad intervenire con questa norma. Le lobby del gioco d'azzardo che possono contare su fondi immensi si sono opposte, hanno fatto di tutto per evitare che si arrivasse con questa norma fin qui, ma devo dire che non ci sono riuscite. In passato, quando si toccavano questi temi, improvvisamente succedeva qualcosa nelle Commissioni che inceppava e bloccava tutto e si rimandava all'infinito l'argomento, cioè non si faceva mai. Non c'è stato nessuno spiraglio in questo decreto per gli interessi delle lobby, ma solo porte aperte per gli interessi dei cittadini. Questo è sintomo di forza e di compattezza e per questo ringrazio tutti i parlamentari della maggioranza per aver tenuto duro e mantenuto fede a quanto previsto dal contratto di Governo.
Perché, guardate, possiamo pensarla diversamente su tutto quello che c'è scritto in questo decreto, ma in questo decreto non c'è nessun interesse di partito, non ci sono commi nascosti che celano qualche vergogna, non ci sono favori a nessun “prenditore”, a nessun banchiere, a nessun amico, a nessun parente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Questo decreto non è nato dalle pressioni del Fondo monetario internazionale, della Banca centrale europea, della Commissione europea o di qualche Paese o ente straniero. Questo decreto non ha grandi sponsor tra i media nazionali e internazionali, anzi è stato terribilmente osteggiato, anche con la diffusione di informazioni false o non verificate che hanno terrorizzato la classe imprenditoriale italiana. Questo decreto nasce solo ed esclusivamente per realizzare quanto promesso in campagna elettorale e, quindi, ciò di cui secondo noi hanno bisogno gli italiani, né più e né meno. E questa per me è politica con la P maiuscola, quella che aspettavamo da tempo e che secondo noi non si faceva perché anziché gli interessi comuni dei cittadini se ne tutelavano altri. Ma questa prassi è finita. Quando questo decreto sarà definitivamente approvato - se sarà definitivamente approvato lo deciderà il Parlamento - potremmo dire che è il popolo che inizia di nuovo ad esercitare la sua sovranità come stabilisce la Costituzione. Sovranità è una bella parola, è nell'articolo 1 della Costituzione della Repubblica. Oggi posiamo la prima pietra di una nuova Italia che mette al centro il cittadino e i suoi diritti e questo è solo l'inizio. Grazie a tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - I deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle si alzano in piedi).
PRESIDENTE. È scritta a parlare la deputata Gloria Vizzini. Ne ha facoltà.
GLORIA VIZZINI (M5S). Grazie Presidente, grazie Ministro per essere qui durante la discussione generale. Gentili colleghi, nel mio intervento voglio sottolineare l'importanza di un emendamento che va a rifinire una forma contrattuale per i lavori saltuari e occasionali, i cosiddetti PrestO o voucher. Riteniamo necessario intervenire su questo strumento perché negli ultimi anni c'è stata molta confusione e si è reso indispensabile un intervento rapido che chiarisca finalmente se chi lavora saltuariamente abbia il diritto di chiamarsi lavoratore regolare. I voucher come forma di retribuzione e regolamentazione di rapporti di lavoro occasionali e discontinui sono nati nel 2003 con la legge Biagi e sono entrati in vigore nel 2008. Dobbiamo riconoscere a questo strumento un'importanza che alcune forze politiche gli hanno negato, trascinate da ideologie ormai legate ad un passato che speriamo di aver superato in questa nuova fase per il Paese. Ogni Governo che si rispetti deve necessariamente lottare contro l'evasione e il lavoro nero, tutti lo fanno a parole, ma molto spesso alle parole non seguono i fatti. In un sistema lavorativo sano è necessario prevedere la possibilità limitata di accedere a forme di contrattualizzazione per lavori saltuari ed occasionali. Il Governo Gentiloni nel 2017 ha abolito in un primo momento i voucher per evitare il referendum della CGIL, per reintrodurli subito dopo depotenziati e limitati con i PrestO e il libretto famiglia. Hanno vinto i sindacati ma hanno perso tutti i lavoratori o almeno hanno perso coloro che vedevano in questa modalità di retribuzione l'unica forma di regolarizzazione del proprio lavoro. È stata una vittoria di Pirro per la sinistra, si è tornati indietro di dieci anni nel lavoro sommerso, specie per alcuni settori. Il decreto dignità interviene per risolvere i problemi che si erano creati a causa di un'eccessiva rigidità dei PrestO. Nessuna liberalizzazione selvaggia e sfruttamento come fece il Governo Monti con la riforma Fornero o il Governo Renzi con il Jobs Act quando fu allargata indiscriminatamente a tutti la possibilità di pagare i propri dipendenti in questo modo.
Nel 2015, tra le società che si avvalevano dei voucher, c'era McDonald's, Chef Express, Juventus, Manpower, il leader delle agenzie interinali, ma anche la Scala di Milano, per citarne solo alcune. Nel 2016 furono venduti ben 134 milioni di voucher. Questo non accadrà più. Questo Governo non ha paura di prendersi le sue responsabilità e non ha intenzione di inseguire vittoria effimere, per inseguire questa o quell'ideologia.
L'emendamento proposto consentirà alle strutture ricettive e alle strutture alberghiere del settore turistico, che hanno fino a otto dipendenti, la possibilità di utilizzare i PrestO per dieci giorni dalla loro emissione e per un massimo di quattro ore continuative. La fruibilità dei buoni riguarderà anche le imprese agricole e gli enti locali. I nuovi PrestO, inoltre, saranno riservati a disoccupati, cassintegrati, pensionati e studenti sotto i 25 anni.
L'obiettivo è riportare dignità ai lavoratori e spingere sui contratti a tempo indeterminato, ma siamo consapevoli che, in settori come l'agricoltura e il turismo, i nuovi PrestO siano l'alternativa al nulla e a una desertificazione del lavoro regolare. Se ben utilizzati i nuovi PrestO consentono copertura contributiva e contro gli infortuni, per settori come quello del turismo e dell'agricoltura, in cui sono frequenti i picchi di attività e i lavori saltuari.
Sempre nell'ottica di vigilare sugli abusi, l'emendamento stabilisce che i lavoratori autocertifichino la loro condizione nella piattaforma dell'INPS, il cui accesso sarà peraltro facilitato. Per il settore agricolo dovranno autocertificare la non iscrizione nell'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli. Viene inoltre mantenuto il tetto annuo massimo di 5 mila euro di compenso per il prestatore.
È chiaro come questi paletti circoscrivano la possibilità di utilizzo dei nuovi PrestO a chi svolge realmente un'attività lavorativa saltuaria. Quello che ci proponiamo con questo emendamento è di coniugare tre elementi: l'importanza di una forma contrattuale per lavori occasionali e discontinui; le limitazioni a una maggiore tracciabilità per evitare gli abusi; la definizione delle categorie lavorative che possono farne uso.
Quest'ultimo punto, in particolare, è per evitare che ci siano multinazionali che si approfittano dei propri dipendenti. Per questo Governo, per questa maggioranza parlamentare, per il MoVimento 5 Stelle, i lavoratori sono persone che meritano rispetto è vanno messe al centro del processo di aziende e datori di lavoro. Restituiamo dignità agli italiani, che sono il fulcro attorno al quale ruota il nostro progetto di Governo. Non più le banche, non più gli industriali, non più le lobby e i poteri forti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rostan. Ne ha facoltà.
MICHELA ROSTAN (LEU). Grazie Presidente. Ministro, colleghi, il nome che si è deciso di dare a questo decreto lascia molte perplessità. Traspare la volontà di sostituire l'arte del governo con la retorica della comunicazione. Ma a volte è un boomerang, intitolare la dignità un provvedimento normativo e poi indirizzare tutto l'articolato verso la riduzione della dignità delle persone, a cominciare da questa chiara volontà manipolatoria di confusione intellettuale e disarmante. E, prima o poi i cittadini se ne accorgeranno.
A noi in quest'Aula tocca non solo il compito di fare l'opposizione e, quindi, di indicare i punti di debolezza delle proposte del Governo e proporre, a nostra volta, visioni e idee, al fine di fare vedere differenze e segnalare alternative. A noi tocca anche il compito di svelare questi bluff, di mettere cioè in guardia la pubblica opinione, rispetto alla manipolazione costante a cui si sottopone qualunque tema, piegato sempre a ragioni di propaganda e mai a ragioni di sostanza.
Altro che dignità, verrebbe da dire. Non c'è nulla in questo atto normativo che faccia avanzare lavoratori ed imprese, come si annuncia pomposamente nel titolo. Non ci sono misure sostanziali per combattere la precarietà, come si proclama a mezzo stampa, anzi si annuncia il ritorno dei voucher, su cui la CGIL aveva costruito una mobilitazione, raccogliendo milioni di firme. Non ci sono misure sostanziali e determinanti per aumentare l'occupazione. Questo sì sarebbe un tema della dignità. Non ci sono interventi per rilanciare investimenti, quindi lavoro e sviluppo.
E allora dov'è la dignità in questo provvedimento? E mi viene da dire, in chi lo propone, abusando di questo termine, giacché la dignità è tale a volte anche nel silenzio; di certo non lo è mai nel raggiro dialettico.
I temi economici del lavoro e del fisco sono l'ossatura di questo provvedimento, ne parleranno con più cura i miei colleghi nel corso della discussione in Aula. A me preme, invece, soffermarmi sul tema posto all'articolo 9 del decreto, quello del gioco d'azzardo. Me ne occupo da alcuni anni ed è una questione cruciale.
Questa materia va completamente riscritta. Il disturbo da gioco d'azzardo, come è stato opportunamente corretto con uno degli emendamenti approvati in Commissione - ed io stessa ne ho presentati diversi in questo senso - è una vera patologia sociale. Bene non chiamarla più “ludopatia”, perché qui il gioco, l'elemento ludico, non esiste, non c'entra nulla. Siamo di fronte ad un insidioso virus sociale, che si insinua nella vita delle persone e la fa esplodere. Il dramma delle famiglie dei malati è assoluto: soldi che spariscono in casa, strozzini che bussano alla porta, banche che premono, risparmi andati in fumo, l'unica casa familiare perduta, gente sfrattata, distrutta da se stessa.
Il livello di devastazione sociale del disturbo da gioco d'azzardo è pari alla tossicodipendenza, ma su slot machine e videolottery, cioè sugli apparecchi che distruggono la vita delle persone, lo Stato ritiene di fare cassa. Facciamo bene attenzione. Qui non è in discussione il diritto al gioco, non è in discussione il diritto al divertimento. Con l'azzardopatia il gioco e il divertimento non c'entrano nulla. Il disturbo da gioco d'azzardo è una spirale autodistruttiva, che configura patologie di carattere medico.
Lo Stato può promuovere il diritto al gioco, può sostenerlo, ma non può sostenere una patologia subdola e distruttiva come l'azzardo. Purtroppo, in questi anni le politiche hanno spinto sull'azzardo, per garantire allo Stato entrate facili e alle società guadagni importanti. Con un volume d'affari di 86 miliardi di euro l'anno, siamo di fatto diventati la più grande sala da gioco d'Europa e del mondo: 56 mila videolottery installate fanno impressione. Nella spirale dell'azzardopatia finiscono oltre un milione e mezzo di italiani l'anno. Le multinazionali del gioco che traggono profitto dalle debolezze dei giocatori si arricchiscono. Lo Stato incassa quasi 10 miliardi l'anno di introiti fiscali e la gente si rovina con una patologia che, tra l'altro, alimenta fenomeni criminali strettamente connessi, come l'usura, lo strozzinaggio e il riciclaggio di denaro sporco.
Di fronte a tutto questo era necessario, da parte del Governo, costruire un piano complessivo, che nel tempo, facendo gradualmente fronte alle mancate entrate fiscali, portasse alla cancellazione di slot machine e videolottery, un testo unico sul gioco d'azzardo, che intervenisse con decisione sulla materia, nella direzione della tutela dei cittadini, soprattutto di quelli più deboli.
Invece, in questo decreto dignità, ci si limita a vietare ogni forma di pubblicità, peraltro in modo differito nel tempo, molto parziale. In sostanza si dice: andate a rovinarvi la vita, fatelo pure, fate quello che vi pare, ma noi facciamo finta di non saperlo, togliamo anche la pubblicità, così il quadro dell'ipocrisia e dell'omertà è completo.
Mi sembra una misura da considerare nella migliore delle ipotesi blanda, insufficiente e inadeguata, rispetto all'enorme portata della questione. Inoltre, con lo stesso provvedimento, si aumentano le tasse, proprie su slot machine e videolottery. Aumentare il prelievo erariale unico spingerà i gestori a tentare di aumentare il volume di affari e porterà più giocatori nelle sale e non meno.
E lo Stato, da una parte, vieta la pubblicità e, dall'altra, pensa di continuare a fare cassa sulla pelle della gente, con una contraddizione stridente, un curioso paradosso che segna, secondo me, una certa confusione politica e anche culturale sul tema, di cui evidentemente non si ha adeguata conoscenza.
L'azzardo in Italia, anche per i volumi d'affari, è una partita ghiotta delle multinazionali, che controllano i concessionari, stritolano i gestori e strutturano una sorta di monopolio, speculando da due lati, quello dei giocatori, vere vittime sacrificali, ed anche quello dei gestori. Le multinazionali sono diventate al tempo stesso proprietari, produttori e gestori. In altre parole, nella lunga filiera del gioco, il danno non si scarica solo sul giocatore fragile, ma anche sul gestore piccolo, che diventa così socialmente ed economicamente debole.
E lo Stato cosa fa? Sta a guardare e conta le entrate, mentre nelle slot suonano le monetine della povera gente, povera gente davvero, perché è dimostrato che più sei indigente più si ha il rischio di cadere nell'inganno dell'azzardo. Un adolescente che vive in una famiglia povera ha sette porte in più una possibilità di diventare da grande giocatore d'azzardo di un adolescente che cresce in una famiglia benestante, lo ha dimostrato una ricerca scientifica di un team di ricerca padovano.
Lo stato di bisogno fa precipitare nell'illusione, e c'è chi lucra. Il “decreto dignità”, su un tema che con la dignità, il rispetto, l'umanità e la tutela delle persone ha molto a che fare, in che misura merita di usare questo termine con le norme annacquate ed inconsistenti che propone? Liberi e Uguali ha portato su questo articolo, in Commissione affari sociali, nelle altre Commissioni di competenza, e porterà anche in Aula, una serie di suoi emendamenti attraverso i quali aveva anche dato inizialmente la disponibilità per un'inversione di tendenza del provvedimento, che, però, ci dispiace dirlo, non è stata recepita, anzi ha trovato di fronte a sé un muro. Alcuni di questi emendamenti riferiti all'articolo 9 sono di fatto stati assorbiti dal testo, come la cancellazione del nome “ludopatia” per indicare invece la patologia dell'azzardo; l'uso della tessera sanitaria per accedere a slot e videolottery, in modo da essere certi di non aprire l'azzardo ai minori. Però ci sono altre proposte che sono in campo secondo noi importanti, anzi importantissime, rispetto alle quali vi chiediamo al riguardo un'attenta riflessione; una su tutte, quella sulle distanze: non vanno collocati, questi apparecchi infernali, in prossimità di luoghi sensibili. Mi riferisco a luoghi dove stazionano più frequentemente categorie che possiamo considerare a rischio, come scuole e case di cura, e non ci devono essere nei dintorni degli sportelli ATM, bancomat, per il prelievo del denaro, perché è evidente che mettere accanto alle slot un bancomat significa allungare una tentazione terribile per il malato di azzardo patia. È inammissibile che strutture imponenti, arredate ad hoc con luci ed atmosfera tipo casinò possano ancora essere presenti vicino a luoghi sensibili come le scuole. I minori, qui, nonostante il divieto, riescono ad entrarci. Allora, solo quando queste macchine infernali verranno messe al bando e sostituite con apparecchi a piccole vincite, veramente il gioco d'azzardo sarà debellato. Per cui, nessuna ipocrisia. Il capitolo delle distanze, certo, delle restrizioni, va naturalmente coordinato con le regioni e con i comuni, ma c'è la necessità di una linea guida nazionale che fissi i paletti e che esista. Dunque limitazioni di orari, limitazioni di distanze, misure che allontanino il giocatore, che lo scoraggino, che lo mettano in guardia rispetto ai pericoli. Non solo, quindi, divieto di pubblicità, ma anche pubblicità progresso, sensibilizzazione, lavoro culturale e preventivo. Bisogna spiegare che videolottery e slot machine non sono giochi, sono malattie. Certo è difficile per lo Stato spiegarlo, se poi ci guadagna 10 miliardi l'anno. Lo Stato stesso ha una forte dipendenza da questi giochi. Ma bisogna lentamente smantellare questa grande contraddizione, questo colossale business sulla pelle della gente, e chiudere anche questa grande ipocrisia, a cominciare dal fatto che si parla di dignità quando, con tutta evidenza, della dignità delle persone nel provvedimento si fatica a trovare traccia. Allora facciamo davvero un “decreto verità”, signor Presidente e signori del Governo, e diciamo le cose come stanno, una volta per tutte (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Covolo Silvia. Ne ha facoltà.
SILVIA COVOLO (LEGA). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, anziché soffermarmi sulle misure anti-precarizzazione in ambito lavorativo, intendo affrontare un'altra questione di fondamentale importanza per i professionisti e per il mondo datoriale del lavoro. Mi riferisco al Capo IV del provvedimento, recante misure in materia di semplificazione fiscale, aspetto cardine del contratto di Governo, che prevede la detassazione e la semplificazione fiscale per tutti i contribuenti, ponendo come obiettivo finale quello di pervenire alla cosiddetta flattax, in modo da rendere effettivo il principio di progressività che, ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione, ispira il nostro sistema tributario. Passo ora ad una disamina più tecnica e giuridica sulle principali innovazioni che abbiamo introdotto.
L'articolo 10 del “decreto dignità” prevede la sospensione dei controlli sugli anni d'imposta 2016 e seguenti, in attesa che lo strumento del redditometro venga rivisto. In particolare, l'articolo reca disposizioni finalizzate a modificare l'istituto dell'accertamento sintetico del reddito complessivo, il cosiddetto redditometro, introducendo il parere dell'ISTAT e delle associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori prima che il Ministero emani il nuovo decreto attuativo volto a individuare elementi indicativi di capacità contributiva. Viene contestualmente abrogato il decreto ministeriale attualmente contenente gli elementi necessari per effettuare l'accertamento. L'attuale metodo induttivo, delineato dall'articolo 38, comma 4 e 5, del DPR n. 600 del 1973, come modificato dal decreto-legge n. 78 del 2010, consente all'Agenzia delle entrate di operare un accertamento sintetico del reddito fondato sulla spesa e sul reddito presunto in base a coefficienti predeterminati. Tale sistema supera comunque il vaglio di costituzionalità, perché al contribuente è consentito di interloquire con l'amministrazione fiscale e di fornire la prova contraria, oltre che di prestare adesione all'avviso di accertamento. Con la nostra proposta di riforma sono comunque fatti salvi gli inviti a fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento, e in ogni caso la norma non trova applicazione per gli atti già notificati, né si procede al rimborso delle somme eventualmente già pagate.
L'articolo 11 concerne invece la trasmissione dei dati delle fatture emesse e ricevute, il cosiddetto spesometro, prorogando la scadenza per l'invio dei dati relativi al terzo trimestre 2018, fissandone la data al 28 febbraio del prossimo anno, ovvero del 30 settembre per il primo semestre e il 28 febbraio dell'anno successivo per il secondo semestre qualora si opti per la trasmissione con cadenza semestrale. In ottica di ulteriore semplificazione, grazie alle modifiche introdotte durante l'esame del testo nelle Commissioni di marito, viene eliminato lo spesometro per tutti i produttori agricoli assoggettati al regime IVA agevolato; si esamineranno inoltre dall'obbligo di annotazione delle fatture nei registri IVA i soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture in tema di fatturazione elettronica.
L'articolo 11-bis, introdotto sempre durante l'esame in sede referente, rinvia al 1° gennaio 2019 la decorrenza dell'obbligo di fatturazione elettronica per la vendita di carburanti soggetti a IVA presso gli impianti stradali di distribuzione, in modo da uniformare quanto previsto dalla normativa generale sulla fatturazione elettronica tra privati, sollevando i contribuenti da un gravoso adempimento e dando un lasso di tempo più ampio per l'adeguamento.
L'articolo 12 prevede l'abolizione del meccanismo della scissione dei pagamenti, cosiddetto splitpayment, per i compensi dei professionisti che abbiano reso prestazioni in favore della pubblica amministrazione.
Infine, l'articolo 12-bis, sempre introdotto durante l'esame del provvedimento in sede di merito, estende anche al 2018 le norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore di imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente con riferimento ai carichi affidati agli agenti di riscossione entro il 31 dicembre 2017. Si tratta a mio avviso di norme rilevanti, perché tentano di dare finalmente attuazione ai principi cardini dello statuto del contribuente (legge 27 luglio del 2000 n. 212) e in particolare al principio di cui all'articolo 10, che parla di collaborazione e buona fede nel rapporto tra fisco e contribuente.
Ricordo che, secondo la CGIA di Mestre, l'eccesso di burocrazia erariale comporta un costo medio annuo di 5 miliardi, che possono essere sicuramente impiegati più utilmente per dare servizi ai cittadini, che attualmente si sentono vessati dal sistema fiscale. Per accelerare il processo di semplificazione si era proposto un ulteriore emendamento - che ci proponiamo comunque di ripresentare - che prevedeva l'abrogazione degli obblighi di bollatura e vidimazione di libri e registri contabili per le società soggette a revisione legale. Ci proponiamo altresì di estendere il regime forfettario per professionisti e piccoli imprenditori, attualmente previsto soltanto per coloro che abbiano un fatturato compreso tra i 25 mila e i 50 mila euro. L'obiettivo è quello di arrivare ad un'aliquota fissa del 15 per cento e del 5 per cento per le startup, in modo da rendere più appetibile il mondo delle libere professioni.
Concludo con una mia considerazione generale su questa nostra prima riforma del lavoro e del sistema tributario. Siamo consapevoli, è inutile nasconderlo, delle perplessità di alcune imprese e di alcune categorie economiche che non hanno propriamente manifestato entusiasmo per questa nostra proposta di “flessicurezza”. Il disegno di legge però non è uscito intonso dal lavoro delle Commissioni parlamentari, anzi: anche grazie al contributo dei colleghi di opposizione, che in un'ottica democratica va sempre accolto positivamente, è stato fatto un lavoro minuzioso su ogni singolo emendamento, permettendoci di perfezionare al meglio il testo originario. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier e MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Zangrillo. Ne ha facoltà.
PAOLO ZANGRILLO (FI). Grazie, Presidente, colleghi e rappresentanti del Governo. Il cosiddetto decreto dignità recita nella sua intestazione: “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”. Si sono scomodate una strumentazione emergenziale, la decretazione, ed un richiamo perentorio ad un valore di prima grandezza, la dignità, per legiferare in materia di lavoro. Sulla scorta di un incipit così rilevante, le aspettative di tutti noi erano elevatissime: è indiscutibile infatti che per l'Italia di oggi il lavoro costituisce una priorità assoluta; lo è per i cittadini, che oggi soffrono un livello generale di disoccupazione ed in maniera più grave di disoccupazione giovanile, francamente inaccettabile e insostenibile per la seconda potenza industriale d'Europa, ma ancor di più il lavoro è una priorità per chi lo crea, le imprese, che, per continuare a credere nell'Italia e per coltivare il coraggio di investire sul nostro territorio, hanno necessità di un sistema Paese che funzioni, capace di promuovere politiche di sviluppo in un contesto infrastrutturale adeguato, in una cornice legislativa che favorisca l'incontro tra impresa e lavoro. Perché vede, Presidente - lo voglio sottolineare subito - in un'economia sana, capace di alimentare in modo virtuoso la sua crescita, impresa e lavoratori stanno dalla stessa parte, consapevoli che il successo dell'uno è garanzia di stabilità e di benessere per l'altro. Alla luce di tutto ciò, la lettura del “decreto dignità”, il primo atto legislativo del sedicente Governo del cambiamento, suscita profonda delusione, ma soprattutto getta un'ombra sinistra sulla capacità dell'Esecutivo in carica di comprendere le reali esigenze del Paese. Ci saremmo aspettati un provvedimento omogeneo, ispirato ad una lettura attenta e illuminata del contesto economico-sociale nel quale operiamo, finalizzato a favorire in maniera moderna l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, superando una volta per tutte schemi e modelli di contrapposizione sociale che ormai appartengono a chi non ha più nulla da proporre e rimane pervicacemente attaccato ad una visione di società ormai travolta dagli eventi.
Vede, signor Presidente, è francamente sorprendente che l'Esecutivo del cambiamento, che si compone di una parte politica che ha fatto della tecnologia e dell'uso spregiudicato della rete lo strumento principe per condurre le sue battaglie, non abbia compreso la portata e la profondità della rivoluzione industriale che il mondo sta vivendo, una rivoluzione destinata a travolgere schemi consolidati che hanno caratterizzato il nostro sistema educativo, i modelli produttivi e di business, l'innovazione, il sistema di relazioni industriali, tutte realtà che necessitano di un'urgente ripensamento e riposizionamento.
È dalla capacità di comprendere il contesto in cui viviamo, dalla capacità di adattarsi al cambiamento, adottando misure e soluzioni in grado di valorizzare il nuovo mondo, che alimentiamo la dignità di lavoratori e imprese. Il “decreto dignità” tragicamente va nella direzione opposta, o meglio non si capisce dove voglia parare. Abbiamo discusso in Commissione, e ci apprestiamo ad esaminare in Aula, un provvedimento legislativo in relazione al quale non si comprende il ricorso alla decretazione, con un contenuto normativo disorganico e disomogeneo, che va dalle misure di contrasto al precariato, alla ludopatia, a misure per il contrasto delle delocalizzazioni e a quelle in materia di semplificazione fiscale. Un decreto-legge che nel suo percorso di concepimento non ha avuto nulla di dignitoso, essendo venuto alla luce in spregio a quella pratica, quanto mai opportuna, soprattutto su materie così tecniche e delicate come quella del lavoro, che prevede un confronto preventivo con le categorie e le parti sociali impattate, tutto ciò a garanzia di un prodotto finale che non sia inficiato da becera autoreferenzialità. Non lo dico io, lo hanno sottolineato garbatamente, ma con fermezza, tutti i soggetti auditi durante i lavori in Commissione.
Il risultato di tanta superficialità e supponenza oggi è sotto gli occhi di tutti. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che ringrazio per la sua presenza in Aula, nel suo intervento di commento al disposto, si è premurato di precisare che non è compito o facoltà del legislatore creare lavoro e che il focus del decreto sta nella battaglia senza quartiere alla precarietà per garantire in prospettiva condizioni di lavoro stabili ai cittadini. L'assunto è inconfutabile. Chi di noi potrebbe trovare argomenti per dissentire dalla lotta al precariato? Chi di noi può affermare di non desiderare per i propri figli e per le nostre famiglie condizioni di lavoro che possano garantire una prospettiva stabile, idonea ad immaginare e costruire un progetto di vita? È di tutta evidenza che il tema è serio ed è per ciò che non può e non deve prestarsi a ricette semplificatorie o peggio a grossolane speculazioni di propaganda politica. Ha ragione il Ministro del lavoro quando afferma che non è nella facoltà del legislatore creare posti di lavoro, ma è altrettanto drammaticamente vero che un intervento normativo incapace di interpretare i reali fabbisogni del mondo produttivo può velocemente distruggere valore ed alimentare pulsioni recessive.
Il “decreto dignità”, così come è scritto, individua nella vigente disciplina del contratto a tempo determinato il principale indiziato della precarietà nei rapporti di lavoro e, confermando un'imbarazzante incapacità e inadeguatezza ad una lettura equilibrata e consapevole delle dinamiche contrattuali, propone una rozza equazione: contratti a tempo determinato meno accessibili e più costosi uguale più contratti a tempo indeterminato e quindi l'inizio della fine della precarietà.
Ora, sarebbe semplice per chi sta parlando richiamare e commentare le relazioni tecniche di chi istituzionalmente ha il compito di definire le ricadute del provvedimento - mi riferisco all'INPS, alla Ragioneria generale dello Stato, al Ministero dell'economia e delle finanze - : tutti indistintamente hanno riconosciuto che l'effetto più probabile del “decreto dignità” sarà un significativo incremento degli inoccupati. Non ci interessa alimentare la polemica; d'altronde l'imbarazzante querelle seguita alla pubblicazione di quei documenti si commenta da sé.
Il nostro impegno, le energie del gruppo politico di Forza Italia le spenderemo invece con coraggio e determinazione nel cercare di ribaltare la visione che emerge da questo “decreto dignità”, che, forte di un'intestazione efficace ad alimentare le pulsioni di piazza, è un'eccellente manifesto della decrescita, per noi infelice, capace in un sol tempo ad accrescere preoccupazioni ed ansie nella struttura produttiva del Paese e nelle nostre imprese e nutrire di aspettative irrealizzabili le nostre persone e le nostre famiglie.
Il nostro gruppo si appresta a continuare in Aula la dura e ostinata battaglia iniziata nei giorni scorsi in Commissione, per cercare di correggere la rotta e contenere gli effetti dannosi di questo obbrobrio legislativo.
Lo dobbiamo al nostro Paese, lo dobbiamo alle persone, ai tanti lavoratori ed alle centinaia di imprese e categorie che in questi giorni ci stanno sollecitando a far ragionare il Governo, a fermare questo scempio, a spostare il focus sulle reali priorità del mondo del lavoro: una politica di incentivi alla stabilizzazione dei contratti attraverso la decontribuzione per lavoratori e imprese; la riduzione del cuneo fiscale; la reintroduzione dei voucher senza distinzioni micragnose e insostenibili per rendere disponibile una strumentazione adatta alle prestazioni occasionali anche per combattere l'odioso ricorso al sommerso; una semplificazione fiscale intelligente, partendo dalla compensazione debiti/crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione; una prima proposta di flat tax per i giovani professionisti e per le partite IVA. Queste ed altre ancora saranno le nostre proposte al Governo per riformulare il cosiddetto decreto dignità. E lo ribadiamo con forza, non ci spaventa il sordo atteggiamento di chiusura tenuto dalla maggioranza in questi giorni in Commissione, non rinunciamo a ciò in cui crediamo, non vogliamo rinunciare alla dignità del confronto in Parlamento sul vero merito dei problemi.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO (ore 14,10)
PAOLO ZANGRILLO (FI). Signor Presidente, rivolgiamo per il suo tramite un accorato appello al Ministro del lavoro Luigi Di Maio, affinché presti la dovuta attenzione a ciò che sta facendo, trovi il tempo per studiare finalmente e mettere testa sul suo decreto, prestandosi ad un confronto serio e autentico con le opposizioni. Il tempo dalla propaganda è finito, molto presto anche la piazza pretenderà un riscontro reale alle tante parole spese, alle tante e troppe promesse urlate. Il Ministro del lavoro si mostri all'altezza, accetti il dialogo, apra un confronto reale alle istanze di chi non la pensa come lui. In fondo è anche un modo per evitare di sopportare in solitudine la grave responsabilità degli effetti nefasti di questo indegno decreto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare collega Tondo. Ne ha facoltà.
RENZO TONDO (MISTO-NCI-USEI). Grazie, Presidente. Io apprezzo molto il fatto che il Ministro sia in Aula. Lo apprezzo perché è un segno di attenzione e anche di convincimento rispetto ciò che sta facendo, anche se devo dire che il suo intervento di poco fa mi ha un po' fatto perdere qualche punto, nel senso, Ministro, che mi è sembrato un po' troppo dotato di sicumera, che certo, data la giovane età, gli appartiene ed è giusto che sia così, però maggiore attenzione secondo me ci vorrebbe perché un eccesso di sicurezza non fa mai bene. Io auspico che il dibattito che lei sta ascoltando non sia solo una partita di gioco delle carte, ma sia qualcosa di serio e che ci ascolti anche nelle proposte, non solo che sono state fatte in Commissione, ma che faremo anche in Aula.
Voglio fare una premessa, Ministro, io parlerò solo della parte precarizzazione, che è la più importante, almeno per noi, e voglio fare una premessa personale: io vengo dalla piccola e media impresa, quella che lei, alla riunione della Confartigianato, ha citato come storia della sua famiglia, di suo padre, eccetera. Innanzitutto, voglio spendere una parola per questa categoria dalla società, che è molto poco rappresentata qua dentro, e non perché i piccoli e medi imprenditori siano persone che hanno disinteresse per la vicenda pubblica, perché francamente hanno poco tempo per farlo, le piccole aziende ruotano attorno all'imprenditore, che molto spesso - come disse lei alla Confartigianato - è imprenditore, dipendente, collaboratore, tutto fare, ed è evidente che in un comune di 1000 abitanti, per fare un esempio, è molto più facile che il sindaco lo faccia il pensionato delle Poste, piuttosto che l'idraulico o il tabaccaio, che magari hanno in quella comunità anche un ruolo importante.
Lo dico perché questo segmento della società - lei che ha fatto il Vice Presidente della Camera avrà sicuramente avuto modo di approfondire anche questo dato sociologico - si sarà accorto che è molto poco presente rispetto a quelli che sono gli altri settori della società, le categorie più politiche, diciamo così, e quindi prendo un po' di tempo anche per tutelare questa categoria alla quale appartengo, essendo un imprenditore medio, di quelli che hanno sedici dipendenti e tre collaboratori familiari, quella parte della società che, salvo qualche eccezione come chi le parla, non ha potuto addentrarsi nel mondo della politica. E siccome quel modo lo conosco, essendo appunto il mio, ripeto, ho apprezzato il suo intervento alla Confartigianato, ma mi chiedo qual è il Di Maio col quale oggi noi ci confrontiamo: quello della Confartigianato, che dice al Presidente, dopo la sua relazione, di condividere tutto ciò che è stato detto, o quello di oggi, che ci dice alcune cose fortemente ideologiche?
Io non so se lei ha voluto rendere edotto suo padre, di cui ci ha parlato, anche del decreto dignità. Credo che, se lo avesse fatto, qualche perplessità in più le sarebbe venuta. Perché? Perché in concreto la piccola e media impresa, per poter investire in capitale umano, ha bisogno di forme di lavoro flessibile; per stare sul mercato in maniera competitiva, la piccola impresa, l'artigiano, il commerciante devono evitare, per quanto possibile, quelle forme contrattuali che scattano tra datore di lavoro e lavoratore e che impediscono alle aziende di avere un rapporto flessibile sul mercato. L'azienda non ha certezza di fatturato, ci possono essere aziende che, senza avere nessuna colpa, solo perché cambia qualcosa da qualche altra parte perdono un terzo o metà del fatturato dall'oggi all'indomani: come fanno a garantire i posti lavoro, se loro stessi non sanno che domani potrebbero non avere lo stesso fatturato di oggi?
Ecco, io credo che su questa parte - ho apprezzato molto il tema sulla ludopatia - il suo decreto sia antico e anche deludente, perché parte, mi dispiace dirlo perché la seguo sui giornali e sulla stampa e ritengo che lei abbia un imprinting post-ideologico, ma ritengo che, invece, questo imprinting di oggi di questo decreto sia fortemente ideologico. Perché vede, signor Ministro, l'alternativa possibile ad un contratto a tempo determinato non è un contratto a tempo indeterminato, l'alternativa un contratto a tempo determinato è l'assenza del contratto stesso, addirittura la terziarizzazione.
E inoltre credo che rendere più rigido e costoso il contratto di lavoro dipendente, soprattutto nel caso in cui si rende necessario risolverlo, avrà molti affetti sul ricorso a quel tipo di contratto. In realtà dobbiamo valutare l'opposto, dobbiamo essere nelle condizioni di avere più libertà di licenziare, perché più libertà di licenziare vuol dire anche più libertà di assumere. Se lei studia i Paesi più avanzati del nostro dal punto di vista della teoria del lavoro, si accorgerà che, laddove si può licenziare, si assume molto di più.
Il terzo tema che trovo assolutamente in controtendenza da parte del suo intervento è che sostanzialmente si evince dalle sue parole che il Governo ritiene la spesa per il personale una variabile indipendente dalla situazione economica. Questo è fuori dalla realtà, il costo del lavoro è per l'appunto un costo, lo Stato quando ha bisogno stampa soldi o aumenta le tasse e l'imprenditore non lo può fare; l'imprenditore deve sapere che il collaboratore che assume deve rendergli almeno quanto può incassare dal suo lavoro per questa assunzione, perché se no le cose non funzionano. E la certezza per un imprenditore di assumere rischi - l'imprenditore per definizione assume rischi, se no non lo sarebbe - deve essere, però, nell'ambito della ragionevolezza: più il rischio è alto e più l'imprenditore sarà portato ad esplorare tutte le alternative, a cominciare appunto dalla terziarizzazione. Se il rischio è di andare in causa o ritrovarsi un dipendente che non funziona, preferisce andare in una cooperativa e farlo assumere lì. Ecco, io credo che la certezza di poter porre fine a un rapporto di lavoro con costi ragionevoli consente all'imprenditore una soluzione che spesso, invece, non ci sarebbe.
C'è poi il tema - e mi avvio alla conclusione - delle causali: io credo che lei lo sappia, ma il tema delle causali è stato inserito anche su pressione dalla giurisprudenza dominante, che riteneva - giustamente, a mio avviso - che appesantire di troppo il sistema giurisprudenziale su temi di cause minori non faccia del bene a nessuno. Ecco, io credo che oggi introdurre di nuovo questo tema delle causali non faccia altro che appesantire ancora di più e arretrare la volontà dell'impresa rispetto alla soluzione che si può delineare.
In conclusione, mi limito a tre riflessioni di carattere politico: guardi, questo è un Paese che negli ultimi cinquant'anni ha prodotto pochissime multinazionali. Di queste, molte si sono trasferite all'estero e proprio all'estero hanno il loro posto di comando e posti di lavoro aggiuntivi. Seconda considerazione: in questo Paese abbiamo avuto il più forte partito comunista dell'occidente ed è sede del papato e del Vaticano, e nonostante tutto abbiamo il più alto costo del lavoro di tutta l'Europa e il più basso salario netto di tutta l'Europa. Terza considerazione: trovare un lavoro è difficile, trovarlo dopo averne perso uno è difficilissimo.
La situazione allora qual è? Conservare e, se possibile, aumentare i vincoli? No, io credo che sia togliere i vincoli e fare in modo che ce ne siano sempre di meno, in modo che le imprese possano creare ulteriori posti di lavoro. Io non so, Ministro, se, come dice lei, questo decreto dignità produrrà nuovi posti di lavoro o se, come dicono alcuni detrattori, ne farà perdere 8 mila. Una cosa però l'ha prodotta: il figlio di un mio caro amico aveva un contratto a termine come addetto per magazziniere di una piccola azienda, sembrava che tutto andasse per il meglio e nulla lasciava presagire che non sarebbe stato rinnovato.
La scorsa settimana, ha ricevuto la lettera che non avrebbe avuto il rinnovo, così, ora, potrà starsene dignitosamente a casa (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Noi con l'Italia-USEI e Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carla Cantone. Ne ha facoltà.
CARLA CANTONE (PD). Grazie, Presidente. Vedete, voi avete cominciato a discutere in modo un po' strano questo nostro modo di lavorare nelle Commissioni. Se dovessimo vedere, come in un film, i lavori delle Commissioni lavoro e finanze riunite, nei quindici giorni passati, se dovessimo rivedere tutto il film di quei giorni, io non saprei se definirlo un film thriller o un film comico, diciamo tutti e due insieme; il risultato è quasi un incubo per la fatica di far comprendere ai partiti del Governo, signor Ministro, che gli emendamenti che abbiamo presentato su tutti gli argomenti avevano un solo obiettivo e cioè quello di migliorare profondamente il vostro decreto-legge.
Certo, il vostro impegno è stato alto; lo riconosco; volevate cancellare - come ha detto il relatore, il vostro relatore, e ha usato proprio queste parole – “le scellerate politiche del Governo precedente”. Parole sciagurate, scellerate, che non dovrebbero rientrare in un democratico modello di espressione in un'Aula come questa. Infatti, è stato detto: noi volevamo cambiare tutto quello che di scellerato ha fatto il Governo precedente. Insisto, parole sciagurate da usare con molta attenzione in un'Aula come questa e in un confronto politico. Però, se è questo il linguaggio che usate, allora io mi adeguo; vedete, il vostro comportamento pietoso e - uso la parola che mi è stata suggerita dal vostro relatore - “scellerato” è stato nel respingere ogni emendamento del Partito Democratico e degli altri partiti, senza neppure rendervi conto che gli argomenti a sostegno degli emendamenti vi aiutavano a non fare errori patetici e grossolani, anche errori puramente tecnici, non ideologici, ma voi niente, duri, un muro, neppure davanti all'evidenza, quella più semplice, che avrebbe capito anche un neonato. Voi, piuttosto - uso un modo di dire molto soft, perché ho rispetto per quest'Aula - avete preferito tirarvi la zappa sui piedi e ci siamo capiti. Voi no, siete andati avanti; avete respinto tutto ciò che non era vostro, senza rendervi conto che votavate contro, anche, al vostro interesse; sì, al vostro interesse.
Cito solo pochi casi, ad esempio, il nostro emendamento, già ricordato, sul lavoro domestico; dopo esserci sgolati con educazione, avete compreso che, forse, avevamo ragione, che, forse, aumentare i costi alle famiglie per colf e badanti non era popolare e, allora, avete capitolato, siete tornati indietro. Ma che fatica! Eravate pronti ad aumentare il costo delle badanti a tante persone anziane che hanno la sola colpa di aver bisogno di una continua assistenza; è proprio un genio chi l'aveva pensato. E non valgono le motivazioni e gli argomenti che lei, signor Ministro, ha portato qui, non servono e non sono argomenti a sostegno.
Però, visto come è andato il lavoro in Commissione, visto che l'avete modificato, presumo, forse, che prima di accettare il nostro emendamento abbiate telefonato ai vostri nonni, forse lo avete fatto, e avete chiesto a loro; oppure se non avete trovato i vostri nonni, probabilmente, avete dovuto chiedere al Ministro Di Maio o a chi dà gli ordini, a chi vi dice di non toccare mai il testo in quanto sacro; avete fatto così, o i nonni o chi vi comanda? Sta di fatto che ci avete dato ragione, ma vi era stato probabilmente detto che non si deve modificare nulla, anche quando sono emendamenti a favore del Paese, anche quando sono, inequivocabilmente, di buon senso. Ma se l'ordine è: non si tocca nulla, è un miracolo che abbiate toccato la disposizione sulle badanti, forse avete davvero telefonato a casa, presumo.
Per voi, ligi al dovere e agli ordini ricevuti, niente da fare, nulla deve cambiare, neppure di fronte a temi come le proroghe dei contratti in essere. Abbiamo dovuto spiegarvi per ore e giorni, lo ricordava anche l'onorevole Polverini, tutto quello che non dovevate fare, abbiamo dovuto spiegarvi per ore che stavate sbagliando e, alla fine, avete concesso un misero mese, quasi inutile, come vi ha ricordato Debora Serracchiani, così creando, in questo modo, difficoltà enormi alle imprese, ma soprattutto a quei lavoratori, specialmente giovani donne e giovani uomini, che hanno l'angoscia di ritrovarsi senza un lavoro, né a tempo determinato né a tempo indeterminato. Questo è il capolavoro!
Poi avete fatto il capolavoro dei dodici mesi con automatismo, tirandovi dietro le ire di tanti imprenditori onesti o disonesti, tutti si sono arrabbiati, anche quelli che hanno sempre dimostrato consenso verso una parte del Governo. Eppure, per la Lega è acqua fresca, così aumenteranno i licenziamenti e lo sapete. Quando capirete i danni che state facendo, solo per dimostrare che cancellate il Jobs Act, sarà troppo tardi, che soddisfazione! La campagna elettorale è una cosa, la propaganda pure, ma governare è diverso, occorre senso di responsabilità e non un'imbarazzante superficialità, come avete dimostrato. Io vedo che il Ministro sorride, probabilmente lo faccio divertire, ma io non mi diverto per niente rispetto alle cose che avete fatto; lei è abituato a sorridere, ha un gran bel sorriso, vada pure avanti a sorridere, non mi preoccupo più di tanto.
Voi non vi siete ancora accorti di quello che state facendo, oppure la vostra sindrome di onnipotenza è tale che vi fa smarrire una verità molto semplice: avete raccontato sogni, fatto promesse e, al dunque, alla prima curva, state sbandando, state andando fuori strada, ma a farsi male è il Paese, chi lavora e chi è disoccupato, i giovani, molti ragazzi del Mezzogiorno e tanti cinquantenni che, disoccupati, non entrano più nel mercato del lavoro.
A proposito del problema delle delocalizzazioni bisognerebbe ragionare non su chi le ha fatte scappare, ma perché non c'è una politica industriale che il Governo precedente ha cercato di ripristinare. Quelli che non entrano più nel mercato del lavoro, perché voi con questo decreto umiliate chi ha un lavoro e chi lo cerca.
Con questo decreto, invece di produrre sviluppo, producete precarietà e insicurezza, producete angoscia anche agli anziani che non rinunciano ad aiutare i loro figli ma, invece, rinunciano a curarsi e a una vecchiaia serena, proprio per aiutare figli e nipoti. Per loro, un piccolo aumento per le badanti era un problema e non c'entra il lavoro indeterminato che hanno le badanti! Ma lo conoscete il mondo dagli anziani o no? Ma cosa dite?
Voi non avete pensato a nulla di tutto questo. Il vostro unico obiettivo era ed è cancellare tutto ciò che c'era prima di voi: bella soddisfazione, auguri!
Dimostrate una incompetente vendetta, perché bisogna essere anche competenti per fare le vendette giuste, ma se le fate sbagliate siete incompetenti anche nel fare il conte di Montecristo, con queste vendette, esercitando un potere che vi porterà sfortuna: in genere ci azzecco.
Peccato che in questo modo state rovinando tutto il mercato dal lavoro: altro che decreto dignità! Solo chi pensa di essere unto dal Signore, solo chi pensa di avere la verità in tasca, solo chi non conosce la parola dignità, quello che sta scritto nei vari vocabolari, anche quelli più moderni, può chiamare un decreto-legge come questo “decreto dignità”. Questo non è un decreto dignità: l'ho già detto l'altra volta ma, al contrario, senza dignità. È senza dignità perché crea angoscia a tutti i lavoratori, alle lavoratrici, a molte donne che sono le prime a pagare per queste regole che voi avete inserito nel decreto, tutti i lavoratori e lavoratrici a tempo determinato, perché hanno capito che perderanno il posto di lavoro. Noi stiamo ricevendo mail e telefonate ogni minuto da parte di persone preoccupate. È senza dignità perché questo decreto pone delle difficoltà fortissime alle imprese per assumere a tempo indeterminato, perché è a incentivi zero!
Ma a voi questa idea di incentivare per avere un lavoro stabile non vi è passata neanche per la testa, se non nel modo in cui l'avete scritto, che porterà a peggiorare la situazione. È senza dignità perché per tutto il combinato disposto si incentiva il lavoro nero e per come avete regolamentato le causali - ve l'ha spiegato l'onorevole Serracchiani - umiliate il ruolo della contrattazione fra le parti sociali e favorite il lavoro degli avvocati, i quali vi ringraziano, certamente, ma anche loro sanno che è un percorso che non facilita neppure la vertenzialità positiva.
Avete scambiato il significato della conciliazione e della mediazione con l'imposizione di regole burocratiche, che precarizzeranno il lavoro perché cancellano il diritto ad avere dei diritti, sia per le imprese, sia per i lavoratori e le lavoratrici. Potrei fare mille esempi, ma basta prendere il testo che vi siete votati in Commissione, nelle due Commissione, lavoro e finanze, guardare i contenuti degli emendamenti e ci si rende conto che l'elenco degli errori è lunghissimo: se lo ripassi, con comodo, per carità!
Ci sono contraddizioni profonde, errori elementari, bufale incredibili, eppure state sostenendo che finalmente tutto cambia in meglio: no, non è vero. Tutto cambia in peggio e lo sapete benissimo. Voi non solo non avete tenuto conto della volontà del Partito Democratico e degli altri partiti all'opposizione di collaborare per un decreto dignitoso; voi non avete neppure tenuto conto delle audizioni e degli incontri che avete fatto con tutte le rappresentanze sociali, dalle imprese ai sindacati, alle professioni (tutti quelli che avete incontrato) e neppure delle indicazioni e preoccupazioni dell'INPS sui dati tecnici, rispetto alla perdita di posti di lavoro. Vede, Boeri non vi ha esposto un problema di linea politica. Vi ha spiegato che 4.000 più 4.000 è uguale a 8.000, e che quello era il pericolo di posti di lavoro in meno e che la matematica non è di proprietà né dei 5 Stelle, né della Lega: è matematica e basta. Vede - mi rivolgo al Ministro perché credo che il Presidente dalla Camera di turno lo sappia - le do una notizia: Archimede è stato un grande matematico e le assicuro, Presidente, che non era iscritto al Partito Democratico, però ha dimostrato che la matematica non è un'opinione e voi lo sapete, ma la vostra prepotenza non ve lo fa ammettere.
A volte succedono delle cose strane, perfino dei miracoli. Avete incontrato Cgil, Cisl, UIL e Ugl, ma non avete ascoltato, eppure hanno esposto unitariamente le loro perplessità e preoccupazioni, tutti insieme. È qui che avete fatto il miracolo, glielo dico da ex sindacalista perché è difficile metterli tutti d'accordo in un colpo solo: voi ci siete riusciti! Avete unito il sindacato. Ci voleva questo decreto disoccupazione per unirli: complimenti, almeno una cosa buona - quasi quasi lo devo dire - l'avete fatta! Ma che ve ne importa a voi di quello che vi hanno detto? Tutti, dalle organizzazione sindacali alle imprese, agli esperti vi hanno detto che dovete dimostrare più capacità e coraggio e rispettare ciò che avete promesso, cioè rimettere al centro il lavoro e il suo valore, il lavoro come libertà. Solo così si può parlare di dignità. Rilanciare investimenti, creare sviluppo e occupazione, ma voi nulla: un muro di cemento, sordi ad ogni proposta!
Nei giorni scorsi, Ministro, davanti a Montecitorio c'erano i lavoratori e le lavoratrici agricole, che hanno manifestato - manifestavano - contro l'estensione dei voucher nel modo in cui voi pensavate, avete pensato, avete fatto. Vi hanno spiegato perché non va peggiorata la regola esistente. Voi, nel nome della democrazia diretta che predicate, siete andati a trovarli e alcuni dei deputati e degli onorevoli che sono seduti qui gli hanno detto: “sì, certo, avete proprio ragione, terremo conto”. Li avete quindi ascoltati e poi vi siete dimenticati delle loro argomentazioni. Vi informo - la informo - che domani torneranno a manifestare, sempre gli stessi, qui davanti a Montecitorio, più arrabbiati di prima. Io le consiglio di andarli a trovare, di provare a spiegare loro quello che ha spiegato a noi e consiglio anche ai deputati, che erano andati a dirgli che avevano ragione, di ritornare a trovarli, per coerenza. Magari riuscite a convincerli che avete fatto una grande cosa e che manifestano proprio per niente, che non ha senso: andateci, provateci ad andare. Anche per il turismo avete fatto un disastroso capolavoro, come già vi è stato spiegato.
Infine, signor Ministro, sono molto contenta che lei si sia fermato qui oggi con noi: che bello. Io ho sentito una relazione – una parte l'avevo già sentita l'altra volta ma è sempre meglio ripetere, per coerenza, prima che magari ci si sbagli – ma vede, se questo è il risultato, io considero – la pregherei di ascoltarmi - vergognose e spudorate le sue affermazioni.
Ministro Di Maio, lei ha affermato che il Partito Democratico è contro i diritti dei lavoratori e dei giovani: lei ha detto ciò con il sorriso sulle labbra - sono parole gravissime - utilizzando in modo subdolo un solo emendamento, o meglio una parte di un solo emendamento, anziché la proposta complessiva del Partito Democratico sulle indennità di licenziamento, come vi ha ben spiegato l'onorevole Serracchiani. È stata una pagina di vero squallore e siete dovuti comunque rientrare. Lo spieghi quando ritorna a fare qualche conferenza. Siete dovuti rientrare di fronte alla realtà concreta e complessiva della chiara proposta del Partito Democratico. Dovrebbe chiedere scusa per quello che lei ha insinuato e per le accuse che ha fatto al Partito Democratico su una cosa così grave e così importante priva di ogni fondamento. L'attacco è stato costruito su un castello di carta che è crollato subito, come poi ha visto, proprio perché si è trattato di un becero comportamento da propaganda sterile. Per il Partito Democratico la lotta al precariato e i diritti dei lavoratori sono sacrosanti; la riduzione del cuneo contributivo sul tempo determinato è indispensabile, così come incentivare la trasformazione da tempo determinato a lavoro stabile è fondamentale. Vanno aiutate e vanno incentivate tutte le imprese che stabilizzano il lavoro e va aiutata la negoziazione, se non la vuole chiamare contrattazione, ma le comunico che è la stessa cosa. Questi sono i diritti da salvaguardare, sono i diritti ai quali il Partito Democratico tiene molto. Vede, io lo so che a volte certi argomenti tirati fuori in questo modo come ho fatto io possono dare fastidio, però è meglio che ci diciamo la verità: lei è venuto e deve sentire tutto quello che noi pensiamo, quello che io penso, quello che abbiamo vissuto in questi quindici giorni. Voi con questo decreto state distruggendo diritti universali, se lo rilegga bene, come le è stato consigliato anche da altri interventi, e state distruggendo il senso solidaristico e di giustizia sociale del e nel lavoro, sia per le imprese che per i lavoratori. Non l'avete modificato in meglio, ma avete sono voluto una vendetta contro il Jobs Act e avete distrutto il mercato del lavoro in questo modo e di conseguenza anche delle famiglie. Chiudo con un appello: fermatevi, siete ancora in tempo, provate almeno a migliorarlo, non per noi, non per voi, ma ovviamente per il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tasso. Ne ha facoltà.
ANTONIO TASSO (MISTO-MAIE). Grazie Presidente. Signor Ministro, onorevole rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, il decreto-legge dignità di cui oggi stiamo dibattendo contiene misure di politica sociale che quantomeno si propongono di restituire la dignità a quei lavoratori che per troppi anni hanno dovuto combattere, spesso inutilmente, per il riconoscimento di un diritto garantito dalla nostra Costituzione: il diritto al lavoro, un lavoro stabile, una stabilità economica per quei lavoratori che vivono in uno stato continuo di insicurezza, senza più alcuna garanzia di tutela e certezza del posto di lavoro. È un decreto-legge finalizzato a contrastare il pensiero di quanti ormai credono che la precarietà sia l'unica forma di lavoro possibile e che intende fornire ai lavoratori subordinati uno strumento di tutela contro gli abusi. Una riforma resasi necessaria dal groviglio di norme del Jobs Act che ha innescato un pesante squilibrio tra forze e l'insufficienza e talvolta anche l'assenza di strumenti per tutelare il lavoro e finanche la dignità delle persone.
A mio avviso questo decreto non rappresenta il raggiungimento di un obiettivo, ma l'inizio di un lungo ed impegnativo percorso. Condivido l'intento di tutelare il lavoro subordinato, di contrastare l'abuso delle forme di contratto a tempo determinato e dei licenziamenti senza giusta causa, di contrastare il disturbo da gioco d'azzardo. Tuttavia, non posso esimermi da talune precisazioni e rilievi sul testo di legge.
Entrando nel merito del provvedimento, è fondamentale rilevare la necessità e l'importanza di una stretta sui contratti a termine. I primi tre articoli del testo di legge riguardano le misure di contrasto al precariato. Si parte dalla sostanziale quanto necessaria modifica del Jobs Act, peraltro al vaglio della Corte costituzionale per alcune sue parti, con una drastica riduzione della durata massima dei contratti a termine da 36 mesi a 12 mesi se stipulati senza causale e a 24 mesi se viene prevista da subito la causale. Fermo restando il limite di durata di 24 mesi, il numero delle proroghe possibili nei contratti a termine diminuisce da cinque a quattro; oltre, il contratto si intende a tempo indeterminato. Questa è una misura importante e accompagnata da altri elementi che sono espressione della lotta al precariato, quali l'aumento dell'aliquota contributiva di 0,5 punti percentuali in caso di rinnovo del contratto a termine e l'ampliamento dei termini per la tutela giurisdizionale, l'applicazione delle disposizioni previste per il contratto a termine anche per il contratto di somministrazione con alcune piccole differenze: l'aumento dell'indennità risarcitoria in caso di illegittimità del licenziamento fino a 36 mesi per le imprese dimensionate oltre le 15 unità e la previsione di causali puntualmente predeterminate che eviteranno così l'abuso di contratti di lavoro a termine. Ma nella sostanza, a mio sommesso avviso, andrebbero rafforzate le misure atte a favorire le assunzioni a tempo indeterminato in luogo delle assunzioni a termine. Come si farà ad assicurare l'assunzione a tempo indeterminato del lavoratore dopo la scadenza del termine di ventiquattro mesi senza che lo stesso venga sostituito da un altro lavoratore assunto sempre con lo stesso contratto a termine? Come si farà ad impedire davvero la invalsa abitudine delle sostituzioni continue del personale per evitare le assunzioni a tempo indeterminato? Sono queste domande che rimangono aperte.
Vi è inoltre la volontà del Governo di dare esecuzione alla sentenza n. 11 del 2017 emessa dal Consiglio di Stato che ha decretato la decadenza dei contratti di lavoro stipulati con quei docenti in possesso del solo diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001-2002 mediante la previsione di un concorso straordinario per risolvere il problema. Mi chiedo se sarà sufficiente e giusto, soprattutto nei confronti di quei docenti in possesso di tutti i titoli previsti dalla legge, indire un concorso per l'equiparazione delle carriere del corpo docenti.
Il capo 2 del decreto dignità è ancora incentrato sulla tutela del lavoro e dei livelli occupazionali del Paese affrontando il fenomeno della delocalizzazione delle imprese. Il testo in esame si preoccupa ancora una volta di garantire il livello occupazionale del Paese con particolare riferimento a quelle imprese che spesso dopo aver beneficiato dei contributi pubblici in conto capitale decidono di delocalizzare l'attività economica interessata o una sua parte in Stati esteri non appartenenti all'Unione europea. È evidente l'intento della norma di contrastare una volta per tutte gli insediamenti delle imprese finalizzati solo ed esclusivamente all'ottenimento dei contributi pubblici per poi trasferire l'attività all'estero creando naturalmente disoccupazione.
Tale intento di contrasto si concretizza prevedendola la decadenza del beneficio qualora ci sia la delocalizzazione dell'attività in Stati non appartenenti all'Unione europea entro cinque anni dalla data di conclusione dell'iniziativa agevolata, prevedendo una sanzione pecuniaria pari alla somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'aiuto fruito, maggiorata di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell'aiuto, maggiorato di 5 punti percentuali.
Viene, però, trascurato un aspetto a mio avviso importante: gli incentivi alle imprese ad investire sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato, sul nostro territorio, sui nostri prodotti, sul made in Italy.
Non dobbiamo dimenticare quelle imprese troppo spesso vessate dalla pesante e spesso insopportabile pressione fiscale e contributiva. Le nostre imprese e i nostri imprenditori devono sapere di poter tornare ad investire sulla mano d'opera italiana. Hanno bisogno di sapere che lo Stato è anche dalla loro parte e che li tutela.
Non è sufficiente prevedere, per esempio, una deroga all'applicazione del contributo addizionale, nell'ipotesi dei lavoratori assunti a termine, in sostituzione di lavoratori assenti o per lo svolgimento di attività stagionali, e la restituzione del contributo addizionale, eventualmente versato, in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato ovvero in caso di assunzione a tempo indeterminato, entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine.
Mi chiedo, pertanto, quali incentivi sono previsti per le imprese che vogliano investire nel lavoro subordinato e a tempo indeterminato. Questo decreto, a mio sommesso avviso, non tiene conto, anzi non tiene in debito conto, anche di un'altra fondamentale categoria di lavoratori del nostro Paese: i lavoratori autonomi, le cosiddette partite IVA, i liberi professionisti da tempo schiacciati da una spregiudicata liberalizzazione e da un regime fiscale oppressivo e da eccessivi e spesso inutili adempimenti di ogni tipo.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI (ore 14,54)
ANTONIO TASSO (MISTO-MAIE). Ho dichiarato in premessa di apprezzare e di condividere l'intento di contrastare il disturbo da gioco d'azzardo. Ma avrei qualche perplessità sulle misure adottate. In Italia sono stimati circa 17 milioni di cittadini, che almeno per una volta hanno provato, diciamo così, l'ebbrezza di tentare la sorte con un gioco che si trova nelle sale o nei bar. Ma è solo la punta di un iceberg che non restituisce il numero reale dei giocatori compulsivi, di quelli che sono in cura. I numeri sono contrastanti (7.500; 12 mila, 13 mila).
È comunque un grande problema, dove a fianco di questi giocatori compulsivi vi sono parenti, amici, famiglie, perché si sono giocati i soldi, la casa e, purtroppo, a volte, anche la sorte della famiglia stessa. Con questa situazione, però, vietare la pubblicità non servirà da sola a contrastare l'azzardopatia. Di certo si tratta di una norma di forte impatto, ma temo insufficiente. Il giocatore compulsivo è per sua natura colui il quale, pur sapendo che il banco vince sempre, è ossessionato, come dire, dalla liturgia del gioco: inserire la moneta, tirare la leva, la leva della slot, grattare la pellicola del cartoncino. È colui il quale, quasi, voglia perseguire la giustificazione che perdere gli dà diritto di continuare nel gioco.
Allora mi chiedo a cosa serva vietare sic et simpliciter la pubblicità del gioco scommesse indistintamente. Puntiamo, invece, alla coscienza delle persone. Investiamo sulla cultura, sullo sport e su tutte quelle attività che sono in grado di allontanare gli individui dalle sale slot. Se non possiamo vietare il gioco scommesse, allora facciamo in modo di ricavare dal gioco scommesse risorse da investire nello sport e nella cultura. Si imponga, pertanto, alle aziende di gaming e di scommesse sportive, che vogliono investire nella pubblicità, di versare allo Stato eguale quota di quella investita, da destinare appunto allo sport dilettantistico, ai musei, al teatro, alla cultura. In tal modo si potrebbe arrivare al paradosso che, con le risorse ricavate da aziende, di cui si auspica la riduzione del core business, si finanzino strumenti per limitarne la diffusione e la pericolosità.
Tutto ciò detto, questo decreto dignità rappresenta in ogni caso un importante inizio.
Concludo il mio intervento, ricordando una parte del discorso del Presidente Pertini, nel messaggio di fine anno del 1981: io credo nel popolo italiano; è un popolo generoso, laborioso, che non chiede che una casa ed un lavoro, chiede in sostanza quello che dovrebbe avere ogni popolo. Allora torniamo a credere nel popolo italiano: restituiamogli la dignità (Applausi dei deputati del gruppo Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Osnato. Ne ha facoltà.
MARCO OSNATO (FDI). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, signori del Governo, confesso che noi ci aspettavamo molto da un provvedimento che poneva al centro della sua azione la dignità del lavoratore e dell'impresa.
Ci aspettavamo molto, perché l'emergenza lavoro probabilmente, insieme a quella della sicurezza, è la più sentita dagli italiani. Ci aspettavamo molto, perché nella scorsa legislatura, chi siede in questi banchi, come d'altronde chi siede nei banchi del Governo, ha contestato in modo deciso le politiche del lavoro dei Governi Letta, Renzi e Gentiloni, sul Jobs Act, sul cuneo fiscale e sul disinteresse per le piccole e medie imprese. Ci aspettavamo molto perché, in campagna elettorale, Fratelli d'Italia, così come d'altronde il centrodestra, aveva prospettato agli elettori riforme serie, che portavano occupazione e ripresa.
Oggi, invece, ci troviamo ad affrontare un provvedimento, invero, piuttosto modesto, decisamente confusionario e assolutamente lontano, per l'appunto, da ciò che Fratelli d'Italia insieme al centrodestra ha sempre proposto.
Modesto, perché non è una riforma a nostro modo di vedere complessiva. Non incide sulla gran parte dei comparti produttivi, infatti non prevede quelle risposte che gli imprenditori, quelli dei distretti produttivi lombardi, quelli del nord-est, quelli dei tanti comparti tipici della produzione italiana, come il calzaturiero nelle Marche, il turistico nel sud Italia, l'alimentare in tante regioni del nostro Paese, quella tipica imprenditoria delle piccole e medie imprese della nostra penisola, appunto, chiedevano, per dare ossigeno a quella flebile ripresa, che la congiuntura sembrerebbe finalmente offrire.
Modesto, perché non offre quelle opportunità per ricreare una leva occupazionale, che finalmente ponga fine all'emorragia di forza lavoro, che dia possibilità ai troppi, non più giovani magari, padri di famiglia, che si sono trovati espulsi dal mondo lavoro, che soprattutto possa dare una speranza ai giovani, invece, che non credono che un argent de poche, mascherato da reddito di cittadinanza, possa essere la soluzione ai propri problemi, alle proprie aspirazioni, alla possibilità appunto di crearsi magari, loro sì, una famiglia e magari avere un ruolo degno nella propria comunità.
Quindi non c'è quello che noi abbiamo riassunto con uno slogan: più assumi meno paghi. Non c'è una vera politica che porti a rendere più conveniente un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
È un provvedimento, come dicevo, confusionario. Confusionario perché, nell'ansia di voler apparire determinati e determinanti, si è cercato di mescolare argomenti diversi e di difficile connessione tra loro e che, quindi, danno al decreto un'immagine di poca organicità e di tanto opportunismo politico. È lo stesso opportunismo dimostrato da questa maggioranza, nel voler procedere con una decretazione chiaramente eccessiva, chiaramente imposta a tappe forzate, chiaramente utile solo a permettere un tweet ferragostano, nella speranza che gli italiani sotto l'ombrellone, per quelli che se lo possono ancora permettere, si facciano abbindolare.
È un provvedimento lontano da quello che noi chiedevamo, perché, per la destra italiana, Presidente, il lavoro non è mai stato un argomento di strumentalizzazione politica, non è mai stato un argomento e un'arma di contrapposizione sociale. Non è mai stato un qualcosa da delegare esclusivamente a una dialettica tra organizzazioni datoriali e sindacali. Mi sento di affermare che, per la destra, il lavoro non è stato neppure un fine; è stato più utilmente un mezzo, un mezzo che potesse permettere, unendo in modo proficuo la forza lavoro con l'imprenditore, il raggiungimento di quell'interesse nazionale, che deve essere il vero obiettivo di ogni Governo.
Siamo tuttora convinti che, solo abbandonando la sterile e fallimentare concezione che l'economia si basi su continui divieti, come questo decreto porta a fare, che l'impresa, come qualcuno amerebbe dire, magari riprendendo slogan di anni fa, il capitale debba essere nemico dei lavoratori e a questi contrapporsi; che l'economia sia solo finanza e che questa predomini sull'interesse nazionale.
Dicevo che solo abbandonando questa visione figlia delle peggiori culture e filosofie del Novecento potremmo avere un sistema Italia veramente patriottico, quel patriottismo che da tempo rivendichiamo come unica salvezza per l'Italia in un contesto così globalizzato.
Io ringrazio comunque i relatori del provvedimento, Tripiedi e Centemero, ringrazio i presidenti che in Commissione hanno svolto un lavoro difficile, Ruocco e Giaccone, ringrazio anche il Governo, che è stato presente in Commissione e che oggi è presente in Aula, tuttavia sono per le ragioni che ho testè addotto la nostra delusione e la nostra frustrazione per i tanti emendamenti che Fratelli d'Italia ha voluto presentare - ne ricordo alcuni, chi seguirà dopo di me negli interventi lo farà più diffusamente e meglio di me - sulla causale, che così come violentemente imposta rischia solo di generale contenzioso e timore nelle nuove assunzioni; sulla durata possibile del tempo determinato, che non permettere di assecondare le legittime necessità aziendali; sul voucher, che se usato correttamente può apparire un volano per lavoro e impresa; sullo splitpayment, che ancora rappresenta un ostacolo per la piccola e media impresa; sulla ludopatia, visto che il decreto, in verità, non la combatte quasi per nulla; sulla delocalizzazione, che va combattuta senza però confonderla con la corretta internazionalizzazione; sul tema delle maestre diplomate, che risulta estere affrontato solo con un pannicello caldo rispetto a un problema gravissimo. Persino sui tempi di applicazione del provvedimento, la maggioranza è stata sorda e insensibile.
Dicevo che Fratelli d'Italia ha presentato questi emendamenti non per ostruzionismo - credo che ci vada riconosciuto - ma per una volontà collaborativa. Questi provvedimenti da noi proposti sono stati totalmente ignorati. Quindi, la frustrazione che raccontavo poc'anzi è veramente forte. Oggi con questo provvedimento - peraltro nell'aria già si paventerebbe una fiducia che racconta molto anche dei rapporti all'interno di questa maggioranza - si mette fine alla speranza di tanti italiani di poter vivere una vera rivoluzione nel rapporto di lavoro, di vedere una nuova visione dell'impresa in cui il lavoratore partecipa alla gestione e agli utili dell'impresa stessa, e dove lo Stato sia un elemento di tutela e di aiuto e non un moloc del quale dover diffidare.
Concludendo, Presidente, vorrei ricordare come nell'antica Roma la dignitas umana aveva due accezioni: quella più escatologica, per indicare la funzione dell'uomo nel cosmo, e quella più sociologica, per indicare la posizione ricoperta dall'individuo nella vita pubblica. Da qui Kant trasse l'idea che il valore intrinseco assoluto della dignità stessa imponesse agli esseri raziocinanti il rispetto per sé e per gli altri, che quindi l'uomo non può essere trattato dall'uomo stesso come un mezzo, quello che invece questo decreto oggi fa. Oggi il Governo tratta la dignità umana e la offre un tanto al chilo, come dal fruttivendolo, a noi invece il filosofo ha sempre insegnato che la dignità non si compra al mercato (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Fassina. Ne ha facoltà.
STEFANO FASSINA (LEU). Presidente, onorevoli colleghi, Ministro, sottosegretari, chi vi parla, e in generale il gruppo parlamentare di Liberi e Uguali, ha cercato in questi mesi di stare sempre al merito, di fare valutazioni di merito, di non avere atteggiamenti pregiudiziali. Questa attitudine, questo atteggiamento l'abbiamo applicato anche al cosiddetto decreto dignità. Siamo stati espliciti a riconoscere una netta inversione di rotta, innanzitutto sul piano della cultura economica che ha segnato la versione iniziale del “decreto dignità”: finalmente, dopo oltre un ventennio di interventi più o meno intensi di precarizzazione del lavoro, una svolta. Per carità, modesta, limitata, ma certamente è un'inversione di rotta per contrastare la precarietà del lavoro.
Sapevamo bene che, nella scrittura, alcune delle norme che sono state proposte nel decreto avevano bisogno di miglioramenti, e in Commissione abbiamo prodotto i nostri emendamenti e li riproporremo in Aula, tuttavia riconoscevamo il segno di inversione di rotta. Finalmente veniva contraddetto il paradigma che ha dominato nell'ultimo quarto di secolo e che ho sentito in modo martellante in quest'Aula dagli interventi delle altre principali forze di opposizione. È il paradigma che appunto è ritornato, che è stato quello più sistematicamente sottostante al cosiddetto JobsAct, il paradigma cioè che maggiore precarietà è uguale a più crescita e quindi a più occupazione - questo è il punto - in nome dell'impianto mercantilista di questa Unione europea e dell'Eurozona: bisogna svalutare il lavoro attraverso la precarietà, perché la precarietà serve a indebolire la capacità negoziale dei lavoratori e quindi a ridurre il costo del lavoro, a svalutare il lavoro in alternativa alla possibilità di svalutare la moneta. Questo è stato il mantra degli ultimi vent'anni e che timidamente, in modo approssimativo, il decreto cosiddetto dignità provava a contraddire, in nome di questa visione - di una visione che appunto rimette al centro invece la stabilità del rapporto di lavoro come una delle condizioni per favorire la crescita di qualità, la produttività, perché ci sono valanghe di letteratura economica che mettono in evidenza che dove c'è più precarietà c'è un minore incentivo agli investimenti innovativi, agli investimenti produttivi, perché appunto si compete principalmente sulla variabile costo del lavoro - che mette al centro gli investimenti pubblici. L'ho sentito così poco in questo dibattito, anche da banchi dove un tempo questo paradigma era un paradigma egemone.
La quantità e la qualità del lavoro la fanno gli investimenti, non le regole del mercato del lavoro. La fanno gli investimenti, e quando c'è una situazione di carenza di domanda, una carenza cronica di domanda, la fanno gli investimenti pubblici. Mi sarei aspettato da parte di colleghi e colleghe di sentire questo punto, perché qua oggi noi stiamo provando a rimettere un po' d'ordine a un quadro che è segnato nel suo livello occupazionale dal fatto che c'è carenza di domanda. L'occupazione, le imprese la fanno non se le sgravi dello 0,5 o gli metti lo 0,5, ma la fanno se c'è domanda, che è la variabile fondamentale. Eppure questo dibattito è stato assente, anche nella valutazione della cosiddetta relazione tecnica. Ho fatto questi rilievi in audizione al presidente Boeri. La relazione tecnica, cari colleghi, è viziata da un eccesso di arbitrarietà, rilevato anche dal Servizio bilancio della Camera dei deputati. Legittimamente, l'INPS applica un paradigma che è quello neoliberista, che prevede che qualunque intervento che possa limitare la precarietà genera un effetto negativo sulla domanda di lavoro, ma è un paradigma, non è il paradigma. Gli effetti indotti in genere non sono stati mai considerati nelle relazioni tecniche, come rileva il Servizio bilancio della Camera. Questa volta, invece, vengono considerati, e si arriva agli 8.000 - non 80.000 - occupati in meno; ma è appunto una scelta di paradigma, che non è l'unica possibile.
Fino a qua, appunto, noi avevamo dato una valutazione positiva, che però, lo dico con dispiacere, perché avremmo voluto finalmente un intervento che cambiasse rotta, una valutazione positiva che non possiamo confermare di fronte ai risultati del passaggio del provvedimento in Commissione.
Noi abbiamo presentato degli emendamenti per evitare gli effetti negativi: ad esempio, se lasci il contratto a tempo determinato fino a dodici mesi senza causali è evidente che tu rischi di generare un travaso tra lavoratori, che perdono il lavoro dopo ventiquattro mesi, e altri lavoratori che prendono il lavoro perché i datori di lavoro non hanno le causali. E a proposito delle causali ho sentito degli interventi davvero singolari: si parla di ideologia soltanto quando si deve accusare qualcuno che prova a difendere gli interessi dei lavoratori; quando invece si difendono in modo ipercorporativo gli interessi dei più forti allora si fa pragmatismo, si sta sulla base dell'evidenza empirica. Guardate, ci sono le direttive europee che indicano in ventiquattro mesi il termine di riferimento dei contratti di lavoro, ci sono le direttive europee, e Paesi come la Francia, la Germania, la Spagna che hanno le causali per i contratti a tempo determinato. Non stiamo tornando all'Ottocento, stiamo parlando di un mercato del lavoro con un minimo di decenza. Avete raccontato questo decreto come se fosse un esproprio delle aziende private da parte del Governo, ma è un decreto che è sostanzialmente irrilevante. Leggete le direttive europee! Il Sole 24 Ore nelle giornate in cui si approvava appunto il Jobs Act, che è il provvedimento che, con maggiore sistematicità, ha precarizzato il lavoro nel nostro Paese, titolava: “In Germania, Francia e Spagna esistono più vincoli per il contratto a termine che in Italia”. Era Il Sole 24 Ore della fine del 2014. Allora, bisogna essere seri, non ipercorporativi.
Poi, se assumiamo il punto che, per competere bisogna continuare in modo sistematico e sempre più intenso a svalutare il lavoro, allora è un altro discorso, ma va detto esplicitamente, va detto esplicitamente che noi vogliamo insistere su questa strada per provare a difendere la competitività delle nostre imprese e io spero che non sia così.
Ma perché cambiamo valutazione sul decreto? Perché quel nostro emendamento sulle causali nell'ambito dei dodici mesi non è stato accolto, perché c'è stata questa ricaduta, una sorta di scopiazzatura in sedicesimi di quello che ha fatto il PD nella scorsa legislatura. Ma davvero si pensa che, mettendo qualche incentivo all'assunzione sotto i trentacinque anni, si provvede a stabilizzare l'occupazione? Il PD almeno l'ha fatto con 20 miliardi; è un fuoco di paglia, dura il periodo in cui valgono gli incentivi e poi si torna ai contratti a tempo determinato, che sono tornati ad essere, come era all'inizio, l'80 o il 90 per cento dei contratti che si fanno, quindi si utilizzano delle risorse che invece si sarebbero potute utilizzare per investimenti pubblici, che qualificano e assorbono occupazione di qualità. Si ritorna a questa storia illusoria, puramente illusoria - lo ripeto - che, fatta ad una scala decisamente maggiore nella scorsa legislatura, non ha portato ad alcun risultato stabile, ma per una ragione semplice, perché, se tu dai la possibilità di fare i contratti a tempo determinato senza nessun vincolo, quale imprenditore fa il contratto a tempo indeterminato? E vi segnalo che siamo stati massacrati in questo Paese per vent'anni sull'articolo 18 - vi ricordate ? -: Togliete l'articolo 18 e vedrete come l'impresa comincerà ad assumere a tempo indeterminato. Non lo dice più nessuno: avete tolto l'articolo 18 e sono esplosi i contratti di lavoro a tempo determinato. Almeno un po' di prudenza quando si fanno certe affermazioni!
Tuttavia qual è il punto? Anche qui, noi abbiamo presentato un emendamento perché, se tu alzi le sanzioni - e giustamente noi siamo stati favorevoli -, per i licenziamenti illegittimi e poi le lasci invariate per i licenziamenti che hanno vizi di forma, che volete che succeda anche in questo caso? Avremo nei prossimi mesi, nei prossimi anni, licenziamenti sempre segnati dal vizio di forma, perché le sanzioni rimangono quelle che sono e sono molto inferiori a quelle innalzate per i licenziamenti illegittimi. Perché non avete accolto questo emendamento se volete dare efficacia a quella norma?
E poi l'articolo 2-bis, quello che ha esteso il campo di applicazione dei voucher. I voucher il Governo precedente li ha rintrodotti, dopo aver scippato un referendum - ce lo ricordiamo tutti - quindi non è che i voucher non c'erano perché anche le imprese turistiche e anche i bar a cui si è fatto riferimento, a normativa vigente, possono assumere collaboratori per prestazioni occasionali, se hanno meno di cinque dipendenti, quindi la piccola e piccolissima impresa anche prima poteva farlo. Qui si estende la portata - e credo che vi siano dei punti particolarmente pericolosi - oltre all'ambito settoriale, come il fatto che si allunga la durata del voucher da tre ai dieci giorni, quindi vuol dire che il nero si favorisce. Quindi, questo è un altro elemento che ci porta a cambiare la valutazione positiva, che avevamo all'inizio, di questo decreto.
Potrei andare avanti a lungo, ma il tempo stringe e voglio fare riferimento all'emendamento che è stato approvato in Commissione sulle diplomate e i diplomati magistrali: io ricordo tanti colleghi, che oggi stanno tra i banchi della maggioranza e in alcuni casi anche al Governo, che si impegnavano - eravamo insieme in tante assemblee - e dicevano che bisognava salvaguardare l'occupazione; ora, grazie a quell'emendamento, assecondiamo in un decreto, che si chiama “dignità”, il licenziamento di circa 7.000 insegnanti con diploma magistrale: al 30 giugno del prossimo anno verranno cacciati dalla scuola, è il primo licenziamento di massa dalla scuola pubblica. Si poteva fare diversamente. Non voglio fare riferimento al problema delle graduatorie, ma almeno con riguardo alle 7.000 unità che sono state assunte in ruolo, che hanno superato un anno di prova, e quindi non sono diciamo improvvisazioni, si doveva sanare e noi presenteremo in Aula emendamenti affinché questo possa essere sanato.
Poi, l'articolo 5, le delocalizzazioni: “no”, caro Ministro, la sanzione per le delocalizzazioni, non vale per i Paesi dell'Unione europea; avevamo anche a questo proposito presentato un emendamento per estendere le misure di contrasto alle delocalizzazioni anche all'interno dell'Unione europea. So bene che causa un contenzioso, ma nei trattati c'è anche il principio della coesione territoriale, oltre al principio della libertà di stabilimento.
Chiudo, Presidente: abbiamo sprecato, anzi avete sprecato un'occasione. Potevamo, anzi potevate realizzare, e avremmo sostenuto lo sforzo, una correzione - ripeto - circoscritta, modesta, parziale, di rotta nei confronti della precarietà, invece temo - e chiudo - che questo decreto, invece che di “dignità”, sia un decreto di “continuità” purtroppo. Noi proveremo e insisteremo per modificarlo anche qui in Aula. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Lorenzin. Ne ha facoltà.
BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto, sono anch'io contenta che il Ministro Di Maio sia in Aula: questo ci dà la possibilità di un confronto con il Governo ed è sicuramente un fatto positivo, quando si tratta di una materia come questa, cioè la materia del lavoro.
Ma non posso che cominciare dagli interventi dello stesso onorevole Di Maio, che ha tenuto in quest'Aula e lo faccio con spirito costruttivo perché ho un'età in cui sono troppo giovane per ricordarmi alcune cose, ma abbastanza matura per aver visto quel dibattito lungo e faticoso che purtroppo ha lasciato vittime nel nostro Paese, come il dibattito sul lavoro negli ultimi vent'anni in Italia, dove veramente, ci sono stati degli sconti talmente tanto ad altissimo tasso ideologico, che poi hanno spesso impedito a molti Governi, a molti Parlamenti, a gran parte della classe anche politica e non solo italiana, di fare la cosa giusta al momento giusto.
Per questo, quando si parla di lavoro bisogna ricordare quello che è accaduto, in modo tale da non ripetere gli errori del passato ed è anche un motivo di plauso per i toni tenuti da tutta l'opposizione in questo dibattito oggi, che certamente non è un dibattito ostruzionistico, ma è un dibattito pieno di proposte e anche di segnalazione di cose che non vanno su un tema che, alla fine, non riguarda tanto i partiti politici, quanto i singoli soggetti che da domani si troveranno queste norme nella loro vita quotidiana.
Ora, il Ministro Di Maio ha affermato nel suo intervento di replica, prima, che il calo delle nascite, il calo dei consumi, l'aumento delle depressioni del consumo di farmaci nel nostro Paese è stato provocato dall'aumento della precarietà. Certamente, ma la precarietà da che cosa è stata provocata? Certamente non da norme lavorative, la precarietà è stata provocata dalla crisi, dal fatto che in alcuni anni, lunghissimi anni, hanno chiuso le serrande migliaia e migliaia di aziende, artigiani, commercianti, grandi imprese, fabbriche, industrie, che stavano nel nostro Paese da 100 anni, 150 anni, una crisi senza precedenti, lunga un lustro, e che ancora ha i suoi colpi di coda. E vede, questo ha provocato la precarietà, che è stata una precarietà di perdita dei posti di lavoro, la precarietà di non avere la prospettiva del proprio futuro e su questo abbiamo lavorato e su questo il Paese deve continuare a lavorare.
Lei, Ministro, è fortunato, lei dice che in questo provvedimento non c'è stata nessuna pressione, lei non ha avuto indicazioni dal Fondo monetario internazionale, dalla BCE, dal sistema bancario, è vero, lei non avuto pressioni perché il lavoro è già stato fatto e oggi l'Italia è nelle condizioni di riagganciare una ripresa economica. E purtroppo, nei primi mesi di vita dalle elezioni già abbiamo visto come i mercati hanno cominciato a fibrillare e come le prospettive per i mesi d'autunno non sono delle più positive. Questo non lo dico mica con il compiacimento di chi all'opposizione dice ‘tanto meglio, tanto peggio', tutt'altro, lo dico perché nella discontinuità c'è un merito quando la discontinuità porta innovazione, nuove idee, freschezza, originalità; c'è invece un grande demerito quando porta la paralisi e quando impedisce di fare quello che una buona amministrazione è: andare avanti, prendendo il meglio di quello che è già stato fatto e guardando al meglio che si può fare.
Nei primi provvedimenti di questo Governo del cambiamento, che tutto mi sembra fuorché cambiamento e rischia di essere recessione, almeno in quello che viene dichiarato non c'è questo: il decreto dignità, come adesso abbiamo visto in questo lungo dibattito, in realtà rischia di provocare perdita di posti lavoro senza che ce ne sia neanche uno nuovo; il blocco della TAV, il blocco della TAP, il blocco delle grandi infrastrutture, dove ci sono grandi investimenti pubblici, tutto avvenuto in poche settimane, in un dibattito tutto avvenuto sui media, tutto sembra eccetto che una progressione del Paese, sembra invece una pericolosissima paralisi, che, piano piano o velocemente, dipende da come questo si realizzerà, rischierà di coinvolgere tutti gli apparati produttivi del Paese.
E di questo non è che se ne sono accorte le opposizioni, se ne sono accorti il mondo del lavoro, l'industria, l'impresa, la grande industria e la piccolissima, gli artigiani e i commercianti, i sindacati, che volevano provvedimenti diversi sul mondo del lavoro e sul mondo del salario. Allora, quando l'allarme viene da tante parti non può essere strumentale, non è il campanello di una parte contro l'altra.
Io vi inviterei sinceramente ad analizzarlo, perché le persone che stanno protestando o stanno manifestando le loro preoccupazioni in questi giorni, non sono - come è stato detto qui, in quest'Aula, da esponenti della maggioranza - imprenditori cattivi, imprenditori non onesti. È la seconda volta che in quest'Aula membri della maggioranza affermano che chi dice o sostiene un'ipotesi diversa dalla propria è disonesto: è un altro elemento pericoloso, perché in base a che cosa vengono dette queste cose? È quasi un'intimidazione da chi governa.
Attenzione: avete già in mano il bastone della forza, che è il potere che vi è stato dato, e proprio per questo c'è un'assunzione di responsabilità molto più forte nel momento in cui si esercita.
Quindi, questo insieme di provvedimenti, visto in modo sistematico e non soltanto e semplicemente in un modo settoriale, desta molta preoccupazione per l'autunno che ci si presenterà, sia dal punto di vista dell'andamento dei mercati, quelli della moneta, sia dal punto di vista dello sviluppo economico e professionale.
Che cos'ha questo decreto? Questo decreto parte da una buona intenzione: c'è la buona intenzione di voler diminuire la precarietà del lavoro nel nostro Paese. A mio parere l'intenzione è buona, la ricetta e la cura sono negative. L'Italia ha bisogno di più occupazione e di più assunzioni, quindi questo decreto doveva andare in questo verso: aumentare l'occupazione e aumentare le assunzioni, fa esattamente il contrario. Il tema delle clausole, il tema affrontato dal punto di vista di alcuni elementi burocratici finirà, in un Paese così terrorizzato dal contenzioso, con l'aumentare e continuare ad aumentare il tema del contenzioso.
E non è detto, non lo possiamo sapere, anche se le stime che ci sono state presentate non sono state smentite, perché le stime di Boeri non sono state smentite; io sono in Commissione bilancio e per quanto concerne le stime della Commissione addirittura un esimio collega ha ipotizzato che possiamo, probabilmente, se valutiamo anche l'impatto dei dodici mesi, prevedere mancate assunzioni e perdite di posti di lavoro non per 80 mila posti complessivi, ma 120 mila. E guardate, perdere 8 mila posti di lavoro l'anno è tanta roba, lo sa chi ha guidato dei settori che, quando avevano un +7 o un +8 all'anno, ha gridato la vittoria in piena recessione. Uno potrebbe anche dire: sì, si perdono 8 mila posti l'anno, ma ne acquistiamo altri 30 mila, 40 mila: non è così, non abbiamo avuto nessun elemento di conforto da questo punto di vista, e allora c'è un'assunzione di responsabilità e uno dice: andiamo avanti lo stesso perché riteniamo che le misure che verranno prese saranno tali da garantire una maggiore sicurezza in quei lavoratori che oggi lavorano.
In realtà non è così e lo vedrete non solo nelle grandi aziende, perché le grandi aziende hanno la capacità di tenere il contenzioso legale, di assorbirlo al proprio interno, lo vedete nelle piccole, nelle medie, che questa possibilità non ce l'hanno e che ogni volta - e ce lo dimostra la storia degli ultimi 25 anni - si trovano di fronte al tema: ‘assumo o non assumo, rischio di andare in causa' e finiscono per non assumere. E questa è stata la drammatica storia di un cambiamento epocale, quello sì che abbiamo già vissuto e che dobbiamo essere in grado di guidare con nuovi processi e nuove idee, fresche, non tirate fuori dal cassetto di qualche sepolcro imbiancato che adesso si mette una maglietta del MoVimento 5 Stelle sul proprio dorso. Sono vecchie, voi siete giovani, queste idee vecchie, che non portano da nessuna parte.
Io mi sarei aspettata, in questo decreto, che voi parlaste dei salari: diminuire il costo del lavoro, diminuirlo, diminuirlo per il tempo indeterminato e con il pezzo che si ricavava, una parte portarla sui salari, che è stata la grande questione ancora non risolta, ma non è che non è stata risolta perché erano tutti brutti e cattivi, ma perché eravamo in recessione; i salari, perché la dignità del lavoro è avere il lavoro e poi guadagnare una cifra sufficiente a mantenere la propria famiglia. Questo è un provvedimento che non porta da nessuna parte e mi dispiace dirlo.
Ho ancora pochi minuti, avrei avuto tante cose da dire, ne dico due velocissime. Una sulla parte delle delocalizzazioni: attenzione, le norme ci sono, la fatica fatta per tenere insieme il sistema Italia e dire che questo è un sistema attrattivo per gli investimenti…
PRESIDENTE. Concluda.
BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). …abbiamo bisogno di investimenti, abbiamo bisogno di gente che viene qua, mette soldi, e per farlo deve avere almeno una certezza di quello che è un humus legislativo.
Concludo parlando di ludopatia: io, Ministro, sono un po' fuori dal coro degli interventi fatti oggi. Io credo che la norma di liberalizzazione sul gioco d'azzardo sia stata uno dei più grandi errori fatti nel nostro Paese. A proposito di quando si vogliono liberalizzare le cose…
PRESIDENTE. Collega deve concludere.
BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). …il risultato si è visto: sono aumentate le persone malate, perché essere soggetti a ludopatia è essere malati, lo ripeto, malati!
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). Quindi, non solo la pubblicità, ma occorre anche togliere le slot machine dai luoghi aperti al pubblico, dai bar, dalle tabaccherie, dai luoghi in cui vanno i nostri bambini…
PRESIDENTE. Collega le chiedo di concludere, non mi faccia chiudere il microfono.
BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). Che si abituano fin da piccoli alla visione del gioco (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica e di deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Perconti. Ne ha facoltà.
FILIPPO GIUSEPPE PERCONTI (M5S). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, ringrazio il Ministro Di Maio e i membri del Governo per essere presenti in questa discussione generale. Questo decreto, oltre a ridare dignità ai lavoratori e a semplificare la burocrazia delle imprese, interviene per cercare di porre un freno a due questioni fondamentali nel nostro Paese, innanzitutto, a quella del gioco d'azzardo, all'azzardopatia; ricordiamo che l'Italia è il Paese dove si azzarda di più, si tratta di un fenomeno che praticamente negli ultimi dieci anni è cresciuto esponenzialmente, a causa della sponsorizzazione inadeguata, inappropriata ed incontrollata. Un altro fenomeno è quello della delocalizzazione selvaggia; ci sono molti imprenditori che prendono fondi dallo Stato e delocalizzano in posti con la manodopera a basso costo, dimenticandosi dei nostri lavoratori.
Questi due problemi, però, li affronteranno meglio i miei colleghi della Commissione finanze, con cui ho condiviso un bellissimo percorso durante il passaggio del decreto in Commissione; io mi voglio focalizzare, un secondo, sulla sfera dei diritti dei lavoratori. Infatti, noi siamo intervenuti con diverse norme nella sfera dei diritti dei lavoratori; innanzitutto, siamo andati a modificare la durata massima dei contratti a tempo determinato che sono passati da 36 mesi a dodici mesi e che possono essere prorogati fino a 24 mesi in presenza di una causale. La reintroduzione della causale, quindi, che, come spiegava bene il Ministro Di Maio ieri, è una causale attenuata, non ha nulla a che vedere con le cose del passato.
Abbiamo introdotto un aumento contributivo dello 0,5 per cento sui contratti a tempo determinato, lasciando fuori colf e badanti che sono un po' il simbolo del lavoro in nero in questo Stato. Abbiamo fatto una rivoluzione nella somministrazione del lavoro, estendendo parte della normativa dei contratti a termine anche ai contratti in somministrazione, quindi, aumentando le tutele a questi lavoratori. La somministrazione è stata un fenomeno totalmente sdoganato dal Jobs Act, noi gli abbiamo posto un freno; abbiamo detto: in questa azienda può lavorare un massimo del 30 per cento di lavoratori somministrati o lavoratori a tempo determinato. Abbiamo inasprito le pene per la somministrazione fraudolenta e non autorizzata e, poi, non abbiamo soltanto operato nei contratti a tempo determinato, abbiamo anche inserito degli incentivi per gli under 35, prolungando un provvedimento della legge di bilancio del 2018 e aumentando il range di età, quindi, da 30 a 35 anni, e il tempo, la durata di questi incentivi che va dal 2019 al 2020.
Infine, per evitare il costo normativo, abbiamo inserito una norma transitoria, per evitare quello che ha fatto la riforma Fornero, infatti, grazie a questa norma transitoria, gli effetti di questo decreto si applicheranno soltanto sui contratti che vanno dal 30 ottobre 2019 e non si applicheranno ai contratti già esistenti.
Negli ultimi giorni sono state diverse le critiche che sono arrivate a questo provvedimento. Critiche infondate e senza alcun supporto scientifico, come quella di un'eventuale perdita di posti di lavoro; è il solito puro terrorismo mediatico. Non è con le norme che si crea occupazione, con le norme si riducono o si creano diritti e noi con questo decreto vogliamo fare questo. Grazie e scusate un pizzico di emozione, magari (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Tarantino. Ne ha facoltà.
LEONARDO TARANTINO (LEGA). Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, Ministro Di Maio, com'è stato detto, questo decreto tocca diversi punti e diversi pilastri; volevo concentrare il mio intervento sulla parte che riguarda il divieto della pubblicità dei giochi e, comunque, il contenimento dello sviluppo dei giochi e voglio fare questo intervento da deputato, ma anche da sindaco, sindaco di una cittadina che, da quasi dieci anni, è impegnata nella lotta alla ludopatia e alla diffusione dei giochi.
Rappresento un comune che, in provincia di Varese, è a capo di un coordinamento di quasi altri 30 enti locali e che, insieme a questi, raggiunge quasi un terzo dei comuni della provincia e quasi metà della popolazione della provincia di Varese, vorrei rappresentare anche la loro voce e anche quella di tanti volontari e tante associazioni che hanno collaborato in questi anni su questo tema, un tema importante i cui numeri sono stati anche anticipati da qualche altro collega. Si tratta di quasi 100 miliardi di fatturato che, se dividiamo per gli italiani, diventano 1.600 euro annui pro capite, diventano, calcolati sui contribuenti, quasi 200 euro a settimana per contribuente, che rappresentano la spesa per i consumi primari di un cittadino, rappresentano l'11 per cento dei consumi dei nostri cittadini. Dò un dato della mia città, dato che abbiamo ottenuto dei monopoli; nella mia città, Samarate, si spendono per giochi gli stessi soldi del bilancio del comune, quasi 10 milioni di euro. Questi sono dati allarmanti e, direi, inaccettabili; sono dati che hanno avuto un andamento chiaro di espansione in questi ultimi anni e chiaramente la responsabilità di ciò non può che essere anche del legislatore nazionale e mi fa specie – ma non voglio fare polemica - aver ascoltato, sia in Commissione Finanze che, qui, in quest'Aula, oggi, la gara, invece, a essere i più antiludopatici o comunque i più ferventi nemici dello sviluppo del gioco, quando, invece, appunto, la tendenza fino a oggi è stata diversa ed, evidentemente, ci sono state delle responsabilità.
In questi dieci anni, io, tanti sindaci e tanti amministratori locali ci siamo sentiti soli rispetto a questo tema. Ricordo quando abbiamo cominciato a inventarci queste ordinanze appigliandoci qua e là alle norme esistenti, ordinanze che spesso sono state impugnate dai grandi gruppi del gioco, magari minacciando qualche sindaco di risarcimento danni. Abbiamo fatto queste ordinanze, abbiamo introdotto sgravi delle tasse locali, penso alla TARI per gli esercizi pubblici che non installano slot, abbiamo inserito norme nei piani regolatori che tentano di impedire la diffusione di questi fenomeni, di questi automezzi, abbiamo fatto campagne di sensibilizzazione, spesso, coinvolgendo le scuole e, quasi sempre, senza fondi o con piccoli fondi ottenuti dalle regioni. È stata una lotta impari, di tanti Davide contro Golia, e il dato che c'è nella relazione allegata alla presentazione del decreto che indica in 150 - 200 milioni, circa, la stima della spesa per la pubblicità dei giochi, delle lotterie e delle scommesse è il dato importante rispetto, appunto, all'assenza di fondi che hanno avuto gli enti locali.
Quindi, questa è una battaglia che gli enti locali hanno combattuto, ma che non possono vincere e per la quale hanno bisogno di strumenti nuovi e importanti come quelli del legislatore nazionale; per questo ringrazio il Ministro e il Governo per averci proposto questo decreto da convertire.
Ho fatto due esempi in Commissione finanze, dove si parlava, appunto, di riconoscere dei fondi agli enti locali per combattere le ludopatie e il gioco; non si può sconfiggere la criminalità organizzata, permettendo di assumere dei vigili ai sindaci, come anche mi sembra assurdo permettere l'uso di sostanze tossiche, dando i soldi agli ospedali per curare gli intossicati. C'è bisogno di una normativa nazionale, questo è solo l'inizio e ringrazio anche il Governo per essersi preso l'impegno di proporre, da qui a sei mesi, una legge quadro che darà forza e vigore a questo tema, un tema che, voglio dirlo, non può essere solo il controllo, il contenimento e la cura della ludopatia, ma deve essere anche quello di recuperare questa spesa, questo fatturato di quasi 100 miliardi, per ricondurlo, almeno in parte, alla spesa della vita reale, dell'economia concreta. Pensare di recuperare anche solo qualche decina di questi miliardi affinché vengano spesi nell'economia reale, nella manifattura italiana, nei beni concreti, negli spettacoli culturali, nel magnifico patrimonio agroalimentare, pensare che vengano spesi per acquistare del buon vino o dell'olio extravergine, credo che sia la scommessa che dobbiamo affrontare nei prossimi mesi, anche per dare, come dire, forza alle riforme che vuol fare il Governo, spenderli in ciò che può dare nuova ricchezza a questo Paese.
Ecco, io sprono lei e tutto il Governo a continuare su questa strada intrapresa. Questi giorni, con la conversione in legge del decreto, rappresentano l'inizio di una nuova speranza. Per questo il nostro gruppo, il gruppo della Lega le è grato. Proponeteci rapidamente questa legge organica, che deve essere di divieti e anche, dico io, di disintossicazione dalla ludopatia e dall'abitudine al gioco: la sosterremo con forza, convinti come siamo che questo sarà un altro pilastro del buongoverno e del cambiamento (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.
ROBERTO OCCHIUTO (FI). Grazie Presidente. Ministro Di Maio, lei, intervenendo oggi in replica alle relazioni dei relatori, ha detto “oggi poniamo la prima pietra” ed è così, perché questo è il primo vero provvedimento del vostro Governo. Debbo dirvi che io personalmente sono assai contento che oggi possa iniziare in quest'Aula una discussione nel merito delle questioni concrete che voi vi accingete a fare, concrete perché, per uno come me che fa il legislatore, le norme rappresentano questioni concrete per gli effetti concreti che producono poi sulla vita dei cittadini. Ministro Di Maio, sono contento perché voi governate da due mesi e noi facciamo opposizione da due mesi, però in questi due mesi a noi capitava, ogni volta che eravamo chiamati a commentare un vostro annuncio, una vostra dichiarazione (ciò che per esempio era scritto sul contratto di Governo, anche quando si trattava di annunci irrealizzabili), insomma, quando eravamo chiamati a commentare ciò che dicevate, per esempio su questioni strategiche che riguardano il futuro del Paese (TAV sì, TAV no e poi abbiamo capito abbiamo TAV no; ILVA no, ILVA sì, poi abbiamo capito ILVA no), ebbene, c'era sempre qualcuno di quelli che alimentano le schiere dei vostri tifosi, ma anche tanti cittadini in buona fede che ci dicevano: “governano da qualche settimana, fateli governare e poi vedremo quello che sapranno fare”.
Vorrei ricordare, Ministro Di Maio, che anche lei disse la stessa cosa il giorno prima che il Governo si insediasse: fateci governare, poi ci criticate su quello che faremo.
Bene: oggi cominciate a fare, oggi è venuto il nostro tempo per criticare - se lo riteniamo, come lo riteniamo - ciò che cominciate concretamente a fare. Oggi passate dalle parole ai fatti e interrompete quella luna di miele che ha caratterizzato questi due mesi di Governo, una luna di miele che, per la verità, debbo dire, tutti i Governi hanno sperimentato in passato. Vorrei ricordare che anche il Governo Monti all'inizio della sua esperienza era in cima agli indici di gradimento e, dopo Monti, Letta, e dopo Letta, Renzi. Poi abbiamo visto quello che è successo e come è andata a finire l'esperienza di questi Governi.
Oggi, lei l'ha detto, poniamo la prima pietra. Oggi passiamo dalle vostre parole ai vostri fatti. Allora commentiamoli questi fatti, perché non è un caso che oggi che si passa ai fatti questa luna di miele diventa meno forte e comincia a farsi strada l'opposizione. Guardate, non mi riferisco solo all'opposizione parlamentare, mi riferisco all'opposizione che c'è fuori da questo palazzo su questo decreto che avete chiamato dignità, ma che non ha nulla di dignitoso. Mi riferisco all'opposizione costituita dalle organizzazioni di categoria, quelle del mondo produttivo, anche quelle che hanno molti associati nel nord, associati che, forse, alle elezioni del 4 marzo avevano dato fiducia a una parte della vostra maggioranza, ritenendo che quella parte - mi riferisco alla Lega - avesse intenzione di realizzare il programma con il quale si era presentata agli elettori, lo stesso programma che anche noi avevamo sottoscritto insieme agli amici di Fratelli d'Italia, che prevedeva per le imprese la visione di chi ritiene che le imprese siano una risorsa e non un problema di questo Paese, che le iniziative per le imprese vadano pensate nella direzione di incentivarne l'attività e non di penalizzarne l'attività.
Bene, oggi comincia l'opposizione di questa parte di mondo produttivo, che si rende conto del fatto che il vostro Governo non è un Governo amico. Onorevole Ministro, non si tratta di lobby, ma si tratta di imprenditori, piccoli e grandi, che, avendo letto le vostre norme, sanno il potere distruttivo sul lavoro, sulla crescita, che queste norme avranno.
Questo decreto, quello che le ha consentito di dire, appunto, che oggi ponete la prima pietra, è per noi un decreto emblematico del vostro Governo. Esso rappresenta plasticamente la natura del vostro Governo, per due ragioni sostanzialmente, perché rappresenta plasticamente l'innaturalità dell'alleanza di maggioranza che ha costituito il vostro Governo, da un lato, e la visione statalista, affatto liberista, che una parte della maggioranza ha in qualche modo deciso di appaltare - per le scelte che riguardano la politica economica, lo sviluppo, il lavoro - all'altra parte della maggioranza, al Movimento 5 Stelle.
Vi dicevo, esso rappresenta plasticamente il vostro Governo perché su questo provvedimento si è resa più evidente l'alleanza innaturale tra due culture profondamente diverse, tra due culture inconciliabili, tra due elettorati che hanno investito su queste due culture e che hanno aspettative profondamente contrapposte: la cultura della Lega, che è simile alla nostra (d'altra parte eravamo candidati con un unico programma) e che guarda alle imprese come a una risorsa del Paese e non come a un problema, che ha un approccio liberista e che vorrebbe che lo Stato lasciasse lavorare in santa pace quanti fanno sforzi ogni giorno per creare lavoro attraverso le loro imprese, e la cultura del Movimento 5 Stelle, che è una cultura statalista, una cultura antistorica. Mi lasci dire, onorevole Di Maio, che trovo singolare che un giovane Ministro come lei, che ha trent'anni, porti in quest'Aula norme assolutamente antistoriche, che non appartengono più neanche alla sinistra, ma non solo alla sinistra del nostro Paese ma neanche alla sinistra di ogni altro Paese occidentale.
Un approccio ideologico. Lei ha detto: “...ma noi siamo per i piccoli imprenditori”. Sì, ma in questo decreto non c'è nulla a vantaggio dei piccoli imprenditori, mentre c'è un approccio punitivo nei confronti delle imprese, un approccio che considera i piccoli imprenditori e i grandi imprenditori cattivi, come quelli che non assumerebbero nessuno se solo potessero, come quelli che invece di creare lavoro lo distruggono, un approccio punitivo, pauperista nei confronti di chi produce ricchezza in questo Paese, attraverso la ricchezza, per cui il reddito di impresa produce lavoro: ecco questa è l'altra cultura che è contrapposta in questa alleanza innaturale. Una cultura che creerà uno scontro tra datori di lavoro e lavoratori, anche questo uno scontro ideologico che avevamo superato, grazie a Dio, negli ultimi anni, che aumenterà i conflitti e distruggerà il lavoro invece di crearlo. È un approccio, il vostro, figlio di una cultura che o non conosce il funzionamento del mercato del lavoro, oppure è ostaggio di vecchi retaggi che hanno dimostrato di non funzionare più perché non creano lavoro, perché è una cultura che spaventa le imprese, che pensa che il lavoro precario si possa combattere solo con le sanzioni.
Guardate, una cosa è fare la lotta alla precarietà, cosa sacrosanta e che va fatta, una cosa è abolire la flessibilità nel mercato del lavoro. La flessibilità è ciò che serve per rendere il mercato del lavoro efficiente. Voi, con la scusa di lottare contro la precarietà, avete abolito di fatto la flessibilità nel mercato del lavoro: è così che ritenete debba funzionare, che ritenete possa essere efficiente il mercato del lavoro nel nostro paese?
Questa cultura è la cultura che scoraggerà gli investimenti, non solo delle imprese nazionali ma anche delle imprese straniere, perché ciò che induce gli investitori stranieri a stare lontano dal nostro Paese è proprio l'incertezza del quadro normativo, la continua mutevolezza del quadro normativo, la presenza di contenziosi, che poi alimentano anche cause civili e di lavoro.
Ebbene, voi avete fatto un decreto che va nella direzione di dire a quelli che vogliono investire nel nostro Paese che non conviene farlo, perché il nostro è un Paese che non guarda con amicizia agli imprenditori ma li considera tutti quanti brutti e cattivi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
Ecco, questo decreto, secondo noi, non creerà lavoro, ma anzi lo distruggerà. Siete stati costretti ad ammetterlo anche voi, Ministro Di Maio. Persino voi l'avete fatto. Dopo la relazione tecnica, all'inizio lei ha detto: qualche manina è intervenuta, ha messo una previsione che non stava da nessuna parte. Mi riferisco agli 8 mila posti di lavoro in meno.
E poi, invece, in Commissione bilancio persino il Governo, il suo Governo, ha dovuto confermare quella previsione, dicendo che, sì, ci saranno 8 mila posti di lavoro in meno, per effetto del fatto che la durata massima dei contratti di lavoro non è più 36 mesi, ma, come dice la relazione tecnica, è 24 mesi.
Bene, io penso che quella relazione tecnica, che non hanno scritto le manine - l'hanno scritta, Ministro Di Maio, le sue mani e quelle dei suoi collaboratori -, è stata persino generosa con questo provvedimento. Perché, guardate, il differenziale non è 24-36 mesi, perché nel vostro decreto voi non dite che i contratti di lavoro a tempo determinato debbano durare 24 mesi al massimo. No! Voi dite che i contratti di lavoro ordinariamente durano dodici mesi e stabilite poi delle eccezioni che possono portare il rinnovo dei contratti di lavoro fino a 24 mesi, eccezioni peraltro difficilissime a realizzarsi, perché avete messo delle causali così indefinite, che nessun imprenditore di buonsenso accetterà con leggerezza di rinnovare il contratto e di portarlo a 24 mesi. Allora, il differenziale non è più 24-36 mezzi, ma è 12-36 mesi. E, allora, non sono più 8 mila posti di lavoro in meno, ma sono ben più di 8 mila posti di lavoro in meno. Altro che manine! Le manine a cui lei fa riferimento sono state persino generose nei confronti del vostro provvedimento.
Come avrà capito, Ministro Di Maio, è un decreto che non ci piace. Abbiamo, però, accettato il confronto in Commissione e lo abbiamo fatto con un lavoro straordinario che hanno fatto i nostri componenti, il collega Zangrillo e la relatrice di minoranza, onorevole Polverini, lo hanno descritto, ma è un lavoro che è appartenuto anche agli altri componenti delle Commissioni lavoro e finanze. E l'abbiamo fatto - il Ministro Di Maio ce ne darà atto - senza alcun atteggiamento ostruzionistico. Abbiamo consentito che il lavoro delle Commissioni si concludesse entro i tre giorni.
Ne approfitto qui - avrei voluto farlo intervenendo sull'ordine dei lavori - per dire che non faremo ostruzionismo nemmeno in Aula. Abbiamo aderito alla richiesta, che ci è stata fatta per le vie brevi, di limitare le nostre proposte emendative e le abbiamo limitate in centoventi. Vorremmo aiutare la discussione serena in Aula. Certo interverremo sui nostri emendamenti, ma qualora fosse necessario siamo anche disponibili a ragionare sulla possibilità di aiutare questo percorso, purché non poniate la questione di fiducia. Sarebbe grave che si facesse, glielo dico. Lei dice che non lo farà e ne prendo atto.
Glielo dico, perché noi questo decreto vogliamo tentare di cambiarlo anche in Aula, così come abbiamo cercato di fare in Commissione. Su alcune cose ci siamo riusciti. C'è qui al mio fianco il collega Baldelli, è merito suo se in questo decreto è stata prevista la possibilità, attraverso un suo emendamento, votato peraltro da tutti i gruppi, di compensare le cartelle esattoriali con i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione tra imprese e professionisti.
È merito suo, però la dice lunga sulla differenza che c'è tra quanti considerano utile il lavoro nelle Commissioni e in Parlamento e quanti, invece, lo considerano soltanto una tribuna per la propaganda elettorale.
In campagna elettorale vi abbiamo visto in più occasioni, in più trasmissioni, esporre Bramini come un simbolo di quell'Italia e di quegli imprenditori che sono costretti a pagare i ritardi della pubblica amministrazione e non li possono compensare con i crediti. Lo avete esposto, però poi non avete presentato una proposta emendativa che si facesse carico di evitare questo problema. Noi no. Noi non lo abbiamo esposto, però poi nel nostro lavoro, in Aula e in Commissione, abbiamo presentato un provvedimento, una proposta emendativa, che serve a dare risposta a quanti, come Bramini, cercano giustizia dallo Stato (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Abbiamo provato anche a convincervi a modificare questo decreto in altre parti. Lo dicevano bene prima, sia l'onorevole Zangrillo che l'onorevole Polverini. Abbiamo chiesto che ci fosse una riforma organica dei voucher. A proposito, la montagna di proteste, che sembrava sorgere dalle parti della Lega, dalle parti di una parte della vostra maggioranza, poi ha partorito il proverbiale topolino, perché non c'è alcuna riforma del sistema dei voucher, alcuna riforma organica. Siete intervenuti su aspetti marginali, che non affrontano in maniera risolutiva il problema.
Abbiamo provato a migliorare il decreto, anche sul tema della decontribuzione e del taglio al cuneo fiscale. E anche qui che cosa avete fatto? Soltanto degli spot. Avete prodotto una norma che prevede la decontribuzione per gli assunti sotto i trentacinque anni.
Ma quella norma c'è già, è una norma operativa, che voi avete prorogato per due anni. E, peraltro, anche in questi due anni, per i quali avete previsto la proroga, c'è già una norma che fa la stessa cosa, dà gli sgravi di 3 mila euro per dipendente assunto sotto i trent'anni. Quindi, sostanzialmente siete intervenuti in una finestra dai 30-35 anni. Che grande cosa! Utile, però, a dire che vi siete fatti carico del problema della decontribuzione del costo del lavoro.
Però, mi faccia dire una cosa a proposito di questo, Ministro. Lo dico a lei, che come me proviene da una regione del Mezzogiorno. In Commissione c'era anche un altro emendamento, che prevedeva di prorogare la decontribuzione per gli assunti del Mezzogiorno, per gli assunti nel sud. È una decontribuzione che, come lei sa, è prevista per il 2018, ma scade nel 2018. L'abbiamo proposto, insieme ad altri colleghi del Mezzogiorno, perché abbiamo sentito anche il Ministro del Mezzogiorno dire: noi prorogheremo il bonus assunzione al sud, abbiamo intenzione di farlo. Ebbene, su questo emendamento, che abbiamo riproposto in Aula - quindi c'è tempo per accoglierlo - c'è stata una chiusura totale. Avete dato parere contrario, non avete risposto alle eccezioni dei commissari di Forza Italia e lo avete respinto. Eppure, non c'è nemmeno bisogno di copertura, perché prevedeva la stessa copertura prevista dal vecchio Governo, a valere cioè sul Fondo sociale europeo, che è già nelle disponibilità delle regioni del Mezzogiorno. Noi chiedevamo semplicemente di non far peggio almeno del Governo della sinistra, di non fare in modo che quel poco che il Governo della sinistra aveva pensato per il Mezzogiorno, scomparisse del tutto, proprio ad opera di una maggioranza, che dal vostro lato, dal lato dei Cinquestelle, ha avuto grande fiducia da parte degli elettori del Mezzogiorno.
E in questo decreto non c'è nulla che riguardi il Mezzogiorno, nulla che riguardi il Sud (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), anche interventi a costo zero, che erano semplicemente proroghe di quello che c'è già. Voi non li avete considerati, anzi li avete cancellati. Abbiamo provato poi anche a far passare proposte emendative che riguardassero, per esempio, la decontribuzione per gli assunti over 50 anni. Questo è un Paese, dove chi perde il lavoro a 45, 46, 50, 51 anni è di fatto espulso dal mercato del lavoro. Ebbene, c'è stata una chiusura totale da parte della maggioranza su questi temi, così come sulle proposte per agevolare l'apprendistato. Niente!
Ora speriamo che alcune di queste proposte, che noi abbiamo ripetuto e ripresentato per l'Aula, le vogliate valutare, approfondire e approvare nel dibattito, che faremo domani e dopodomani, e che non vogliate invece utilizzare quest'Aula come una tribuna, per lanciare i vostri spot, come quello sull'azzardo-mania. Giusto intervenire sulle ludopatie e sull'azzardo-mania. Giusto farlo! Ma non sarebbe stato più giusto farlo, attraverso un provvedimento organico, che avesse riguardato anche ciò che deve fare il Ministero della salute, per quanto riguarda l'azzardo-mania, ciò che deve fare il Ministero degli interni per contrastare il gioco illegale, anche quello senza alcuno schermo per quanti sono affetti da azzardo-mania? Che avesse riguardato anche il sistema per esempio delle slot machine, che non fanno pubblicità. Vorrei dirlo chiaro. Il 70 per cento della ludopatia è stimata si realizzi attraverso le slot machine.
A tutti noi capita di andare in un tabaccaio, in un bar, e vedere quanti pensionati giocano alle slotmachine.
Sappiatelo, le aziende che fanno slotmachine non fanno pubblicità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente); con questo provvedimento voi non intervenite sul tema come si dovrebbe fare, ma fate uno spot che vi serve per lanciare sui social, sì, pure in maniera incisiva, qualche vostro input per quelli che vi sostengono.
In conclusione, questo decreto - glielo ripeto, se non dovessi essere stato chiaro - non ci piace, non ci piace affatto. Può non interessarvi, ma dovrebbe interessarvi, onorevole Ministro, l'opinione negativa che di questo decreto hanno fuori da questo palazzo, quelli che il lavoro lo creano, quelli che fanno tanti sacrifici ogni giorno - i nostri imprenditori - per creare lavoro. Oggi protestano soltanto le organizzazioni di categoria - dico soltanto, ma si tratta di tutte le organizzazioni di categoria - perché hanno letto le vostre norme e già ne prevedono gli effetti negativi, ma, quando gli effetti di questo vostro decreto si riverbereranno sui lavoratori, allora la protesta vi travolgerà (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
A noi resta l'amarezza di non avervi convinto, resta l'amarezza anche di non aver convinto quanti stanno nell'alleanza di centrodestra da tanti anni insieme a noi, cioè gli amici della Lega, che, insieme a noi, hanno avuto i voti di quelli che questo decreto colpisce: i voti degli imprenditori, i voti del tessuto produttivo del Paese al nord. Ci dispiace che non abbiano esercitato un'azione più incisiva, che non siano stati il presidio del centrodestra e degli interessi del centrodestra all'interno del Governo. Ci dispiace molto, anche perché noi guardiamo all'alleanza di centrodestra ancora, nonostante tutto, come un'alleanza strategica per la storia che ha avuto in questo Paese, per l'esperienza di buongoverno di cui è stata protagonista ed è protagonista in tante regioni del nostro Paese. Ci dispiace che su questo tema ci sia stata una divisione così profonda tra noi - che abbiamo continuato a difendere le ragioni degli imprenditori - e quelli che invece hanno evitato di farlo, appaltando la linea politica del Governo a quanti hanno una visione diametralmente opposta.
Concludo dicendo - ma lo dico personalmente, senza impegnare in alcun modo il mio gruppo - che ritengo assai singolare che oggi ci si dica che, se Forza Italia non dovesse votare per il presidente della RAI, si romperebbe il centrodestra. Singolare perché il centrodestra ha una storia così importante che non merita di essere rotta sulle nomine, sul potere (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Troverei più normale se qualcuno dicesse che il centrodestra rischia di rompersi quando si divide sulla vita delle persone, sul futuro dei lavoratori, sui sacrifici di chi il lavoro in questo Paese l'ha creato e che il centrodestra ha sempre difeso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega De Luca. Ne ha facoltà.
PIERO DE LUCA (PD). Signora Presidente, ringrazio il Ministro per la presenza qui in Aula, estremamente significativa. Il dibattito di oggi rappresenta l'occasione per una riflessione ampia e articolata sul tema più drammatico e attuale per i giovani e le famiglie italiane, quello del lavoro e dell'occupazione. Una riflessione che speriamo non scivoli via, come spesso accade, sull'onda di battute, di frasi fatte imparate a memoria, slogan, tweet o dirette Facebook, perché - ed è bene chiarirlo subito, soprattutto ai tanti colleghi dei Cinquestelle - i nostri ragazzi, i padri e le madri delle nostre famiglie non vogliono, non pretendono e non chiedono alla politica misure assistenziali di qualche mese, ma, come è giusto che sia, leggendo la Costituzione italiana, pretendono, direi, tre cose: lavoro, lavoro e lavoro! Allora, prima di entrare nell'approfondimento specifico di alcune misure contenute nel decreto oggi in esame, credo opportuno ricordare, anzitutto a noi stessi e poi al Paese e al Governo, il contesto economico nel quale l'Esecutivo si trova ad operare. Noi non siamo all'anno zero, da un punto di vista di politiche relative al lavoro.
I Governi a guida PD hanno raccolto un Paese che era ancora a rischio di commissariamento europeo da parte della troika per le politiche disastrose messe in campo dall'Esecutivo di cui faceva parte una delle forze che attualmente compongono il Governo; e i Governi a guida PD hanno attuato anzitutto una misura rivoluzionaria, forse la più grande operazione di redistribuzione salariale mai fatta, quella degli 80 euro, che ancora noi rivendichiamo e che nessuna forza politica intende oggi più contestare o modificare; e siamo riusciti, con i Governi a guida PD, ad approvare anche un provvedimento rivoluzionario di sostegno reale alla povertà, legato all'aiuto e al reinserimento lavorativo. Quello che oggi voi state provando goffamente a copiare, l'abbiamo fatto noi nella precedente legislatura, e si chiama reddito di inclusione; una misura che ha toccato più di 1 milione di persone, soprattutto al Sud. Una misura che abbiamo intenzione di ampliare ulteriormente in questa legislatura, e per la difesa della quale saremo pronti a dare battaglia sia in quest'Aula che nel Paese.
Questo l'abbiamo realizzato noi, ma nella precedente legislatura sono state messe in campo anche delle altre misure estremamente importanti sul piano del lavoro: penso alla legge n. 199 del 2016, di contrasto al caporalato, che coinvolge circa 400.000 lavoratori in Italia, sia nazionali che stranieri; l'eliminazione della prassi delle dimissioni in bianco, che colpiva soprattutto le donne, e oggi rivendichiamo con orgoglio essere stati in grado di aver reso più serio e trasparente il mercato del lavoro in Italia. Ma abbiamo approvato anche l'obbligo di prevedere l'equo compenso per le prestazioni erogate nei confronti della pubblica amministrazione dai professionisti, spesso giovani e alle prime esperienze, eliminando quella pratica vergognosa che sfruttava la debolezza contrattuale di tanti ragazzi che, pur di entrare in un circuito occupazionale, erano disposti a lavorare per anni in una sorta di economia dell'immateriale, come è stato definito dal Consiglio di Stato recentemente.
Accanto a queste misure, i Governi PD hanno adottato, però, alcuni provvedimenti ulteriori, quelli sì, davvero rivoluzionari, che hanno consentito al nostro Paese di vedere incrementare fortemente l'occupazione e di crescere come sistema Paese. I dati sono oggettivi, inconfutabili, e testimoniano anzitutto che il JobsAct, a prescindere da qualsiasi approccio ideologico al tema dell'occupazione, ha consentito di realizzare davvero più di 1 milione di nuovi posti di lavoro nel nostro Paese, di cui più della metà a tempo indeterminato. Un milione di donne e uomini, ragazze e ragazzi, che hanno avuto la possibilità di non dover espatriare più, di non dover delocalizzare se stessi, che hanno potuto evitare di portare all'estero talento, idee ed energie. È grazie a questa misura soprattutto che il tasso di disoccupazione è sceso negli ultimi anni all'11 per cento e il numero di occupati ha superato i 23 milioni, forse tra i più alti da decenni nel nostro Paese, come riconosciuto peraltro anche da alcuni esponenti della maggioranza di Governo.
Allo stesso modo non possiamo non ricordare misure quali quelle di Industria 4.0 e, in particolare, l'iper-ammortamento, il super-ammortamento, la nuova “Sabatini”, il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, credito d'imposta per ricerca e sviluppo e formazione, contratti sviluppo, patentbox: tutte misure che hanno davvero ridato fiducia a tante aziende e consentito loro di attivare nuovi investimenti, sostenendo crescita e sviluppo del nostro sistema produttivo.
Tutto ciò ha contribuito a creare nuova occupazione, soprattutto giovanile; ha fatto crescere il PIL del nostro Paese, che ancora oggi segna un più 1,4 per cento rispetto ai primi mesi del 2017. Tali azioni hanno fatto sì, peraltro, su un tema specifico toccato dal decreto, che si sia registrata negli ultimi anni anche una vera e propria inversione di tendenza, rispetto alla delocalizzazione, di tante attività produttive dall'Italia: secondo numerosi studi universitari in materia, fino al 2015-2016, il nostro Paese è stato il primo in Europa per decisioni di cosiddetto back-reshoring, cioè di rientro nel territorio nazionale di aziende che avevano delocalizzato all'estero i propri asset organizzativi e produttivi. Al di là dei fattori oggettivi che hanno inciso e tuttora incidono su queste scelte strategiche - penso all'importanza del made in Italy, penso alla qualità della forza lavoro nel nostro Paese -, le dimensioni e la portata di questo fenomeno sono il risultato anzitutto della politica economica messa in campo dai Governi a guida PD nella precedente legislatura.
Certo, non tutti i problemi sono stati risolti: il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è ancora troppo elevato per gli standard europei (si attesta a circa il 20 per cento), quello giovanile tocca punte del 50 per cento; l'Italia potrebbe sviluppare ancora di più il commercio estero, dovremmo sviluppare e riguadagnare competitività nei confronti di tante imprese, e penso a quelle tedesche, le prime dieci delle quali producono oggi un giro d'affari di 800 miliardi di euro, pari alla metà del PIL italiano. Insomma, tanto è ancora da fare. In questo contesto, però, ciò che non appare chiaro è come si collochi il Governo, qual è la linea e la strategia di politica economica che intende portare avanti.
Ad oggi è emersa solo tanta confusione e approssimazione. Cambiamento sì, ma di soluzioni, progetti, programmi e idee ad ogni giorno che passa. Non avete alcuna idea o non avete prodotto o manifestato alcune idee al Paese di come sostenere lavoro, occupazione, crescita, sviluppo, investimenti.
Nulla di tutto ciò è previsto in questo decreto-legge e nulla di tutto ciò è previsto nel contratto di Governo. E questo decreto, che oggi ci troviamo ad approvare, presentato in fretta e furia forzando anche la Costituzione, per nascondere l'inconcludenza dei primi mesi di Governo, si colloca pienamente in linea con questo silenzio assordante sulle azioni da mettere in campo per il rilancio del nostro Paese, si colloca anzi nel solco dell'unica linea forse che state seguendo, quella indicata dal vero leader del MoVimento 5 Stelle, Beppe Grillo, quella della decrescita felice. Per creare lavoro - vedete - è necessario ampliare e incentivare la crescita della base produttiva del Paese; il lavoro non si crea per decreto o per legge, il lavoro lo creano innanzitutto le imprese e le aziende che decidono di investire e operare in Italia invece che altrove. Se non viene prodotto il lavoro, diventa difficile anche difenderlo, sostenerlo e tutelarlo. E allora agli imprenditori, ai commercianti, agli artigiani noi dobbiamo dare, voi come Governo dovete dare, innanzitutto fiducia e stabilità ed è tutto il contrario di quello che mi pare l'Esecutivo stia facendo in questi primi giorni di governo, nei quali si sta dimostrando campione assoluto di sfiducia e di instabilità. Ricordo ad esempio le frasi di un Ministro, che abbiamo ascoltato anche in Commissione, che evoca, ogni piè sospinto, un presunto cigno nero, un piano “B” di fuoriuscita dall'euro, e altri Ministri, anche lei in particolare, che è pronto a smentirlo, peraltro senza neppure troppa convinzione e altri che continuano ad evocare referendum, senza che nessun membro dell'Esecutivo li smentisca a tal riguardo. Ecco, l'unico risultato che abbiamo ottenuto e che avete ottenuto in questi primi due mesi è solo la perdita di circa cento punti di spread. E allo stesso modo penso alle dichiarazioni e ai balletti inaccettabili sulle grandi opere e infrastrutture: siamo spettatori attoniti di un Ministro pro tempore, che parla ogni giorno con toni aspri di bloccare tutti i cantieri del nostro Paese, e della Lega che con imbarazzo si barcamena senza sapere se e come reagire a questa posizione, che noi troviamo inaccettabile.
Guardate, noi non possiamo che censurare l'approssimazione e la superficialità di dichiarazioni che non tengono conto, non solo dell'interesse del Paese, delle imprese e dei cittadini, ma anche e soprattutto della tenuta dei nostri conti pubblici. Noi abbiamo assistito - era lei col Ministro “ToniNo”, come è stato definito da parte della stampa - ad un cortometraggio interessante su un presunto aereo, dicendo che dal risparmio di una commessa si potevano risparmiare 100 milioni di euro o qualcosa del genere. Apprezzeremmo che lo stesso cortometraggio fosse fatto nei cantieri della TAV Torino-Lione per vedere e per dire agli italiani il costo di 3 miliardi di euro che provocherà l'interruzione di questa infrastruttura strategica per il nostro Paese, e lo stesso per la TAP, la cui interruzione provocherà 40 miliardi di danni sui conti pubblici e quindi alle tasche degli italiani. Per non parlare dell'ILVA - caro, signor Ministro - dove la confusione mi pare regni sovrana: rinunciare alla vendita e alla riconversione di questo stabilimento industriale produrrebbe danni per 7 miliardi di euro. Ci piacerebbe che parlaste anche di questo e che faceste dirette Facebook anche su queste cose. Sarebbe molto interessante per il Paese!
Del resto, qui esce allo scoperto la nostra differenza politica, credo radicale: noi guardiamo a un Paese dinamico, con infrastrutture di eccellenza, che possa migliorare la qualità della vita ai nostri cittadini e incentivare gli investimenti, soprattutto nel Mezzogiorno. Bloccare le grandi opere vuol dire condannare anzitutto il Sud, vuol dire condannare il Mezzogiorno a non poter colmare il gap infrastrutturale nei confronti di altre aree del Paese e, se questo risponde a una logica probabilmente punitiva di alcune forze del Governo che da anni nonostante i recenti restyling del simbolo hanno avuto atteggiamenti sprezzanti nei confronti del Mezzogiorno, questo non dovrebbe essere lo stesso atteggiamento che dovrebbe caratterizzare voi, che al Sud e al Mezzogiorno avete guadagnato consensi e ora l'abbandonate dopo neppure due mesi di lavoro.
Allora, diciamolo chiaramente ai cittadini italiani: voi siete per un Paese diviso, voi siete per un Paese rinchiuso su se stesso, un Paese direi medioevale, un Paese che ritorna indietro di decenni sul piano degli investimenti e del lavoro. Noi siamo per un Paese diverso, europeo, aperto e dinamico, un Paese nel quale difendere e tutelare l'Alta velocità, difendere e tutelare le grandi infrastrutture, come l'autostrada del Sole. Potremmo mai immaginare - lo dico ai nostri concittadini - un Paese senza le grandi infrastrutture che danno dinamismo, modernità e che consentono alle imprese di fare investimenti nel nostro Paese? Voi credete di si; noi crediamo assolutamente di no.
E allora questo è l'atteggiamento complessivo dell'Esecutivo e questo atteggiamento non sta aiutando per nulla né gli investimenti, né l'occupazione. Su questa linea si colloca - e arriviamo al merito specifico di quanto stiamo discutendo oggi - il decreto, che non a caso abbiamo definito con convinzione “disoccupazione”. Guardate, voi sapete bene che per produrre crescita e ricchezza in un Paese le imprese hanno bisogno di semplificazione innanzitutto, amministrativa burocratica e legislativa, ma hanno bisogno anche di sostegno agli investimenti e alle assunzioni.
Il decreto in esame va esattamente nella direzione opposta e ha un merito, quello sì, di mettere tutti d'accordo, lavoratori e imprese, come si è visto in questi giorni, nella forte preoccupazione e paura in merito alle conseguenze drammatiche che il decreto produrrà sul mercato del lavoro e sugli investimenti. Da questo punto di vista, direi che si colloca perfettamente in linea con l'impostazione di antipolitica economica che avete prospettato in campagna elettorale, soprattutto nel Mezzogiorno: lasciamo a casa tutti i giovani, le madri e i padri, senza lavoro, né occupazione, tanto ci penseremo noi a dare un sostegno, un presunto assistenzialismo di Stato a tempo indeterminato. Andrebbe tutto bene e sarebbe tutto coerente con questa logica, se non fosse però che non appena vi siete insediati avete chiarito ai cittadini italiani che il reddito di cittadinanza promesso era un inganno, era una favola raccontata solo per raccogliere voti e avete detto che non ci sarà nessun sostegno fisso degli 800 o 1.000 euro al mese promessi, soprattutto al Sud non si vedrà nulla. L'unica misura che sarete probabilmente in grado di confermare, cambiandogli il nome, è il nostro reddito di inclusione: questo è quello che rimane delle vostre promesse elettorali.
In questo quadro allora le uniche conseguenze della vostra azione di governo sono semplici: più disoccupazione, 8.000 posti di lavoro in meno all'anno, come chiarito dai nostri colleghi, dai miei colleghi nei precedenti interventi, e più povertà. Se pensiamo alle previsioni, per esempio, sui nuovi limiti a oneri per i contratti a termine, non accompagnati da alcuna riduzione strutturale del cuneo fiscale per i contratti a tempo indeterminato, pensiamo a un decreto-legge che avrà un effetto negativo dirompente e sarà in grado di distruggere in pochi giorni i risultati occupazionali positivi ottenuti negli anni dal nostro Paese. In pochi giorni, avremo centinaia, se non migliaia di ragazze, ragazzi, donne, uomini, madri e padri di famiglia che resteranno di colpo disoccupati perché non verrà più rinnovato loro il contratto presso le aziende nelle quali lavoravano. Solo la Nestlè, in Campania, una terra che lei conosce bene, ha annunciato qualche giorno fa decine e decine di licenziamenti a causa di questa misura, decine e decine di ragazze e ragazzi che non saranno assunti a tempo indeterminato, caro signor Ministro, ma saranno semplicemente sostituiti da altre persone impiegate nuovamente a tempo determinato, innescando un turnover infernale, che penalizzerà sia i lavoratori, che non avranno il tempo di fare esperienza e far valere le proprie capacità in azienda, sia le imprese che non avranno l'opportunità di far crescere al proprio interno la forza lavoro necessaria alle proprie esigenze. Quanto poi alla battaglia contro l'internazionalizzazione e la delocalizzazione delle imprese, il decreto innanzitutto riguarda principalmente e soltanto gli spostamenti extra Unione europea delle nostre aziende, poi prevede delle nozioni che noi abbiamo contestato e sulle quali abbiamo proposto degli emendamenti, come quella di aiuti di Stato, una nozione vaga, e vago è il termine a partire dal quale scatterebbero i cinque anni che produrrebbero le sanzioni. Ma soprattutto nel merito il decreto prevede tre norme, due delle quali in realtà sono semplicemente direi copiate dalla regolamentazione europea. La prima è quella in cui prevedete una sanzione per le imprese che beneficiano di aiuti di Stato regionali. Guardate, esiste già un Regolamento, il Regolamento n. 651 del 2014, che all'articolo 14, paragrafo 5, stabilisce già da tempo che gli aiuti a finalità regionale devono restare nel territorio interessato. Esiste già questa norma - non avete previsto nulla di nuovo - e bastava farvi rinvio, se aveste letto con attenzione la relazione tecnica.
E allo stesso modo, laddove stabilite una penalità per le imprese che delocalizzano, dopo aver ricevuto misure mirate all'assunzione: anche lì siamo esattamente all'interno della logica dei fondi strutturali europei, in particolare di quelli legati al Fondo sociale europeo. E un'altra invece è la norma elaborata da voi, peggiorando la regolamentazione esistente che, contrariamente alle intenzioni di partenza, rischia di produrre danni maggiori alla nostra economia: mi riferisco al primo comma dell'articolo 5, che introduce un capolavoro, ossia stabilisce che, in caso di delocalizzazione di un'attività economica o di una sua parte per la quale siano stati concessi aiuti di Stato, l'impresa decade dal beneficio e riceve sanzioni di importo da due a quattro volte quello dell'agevolazione ricevuta. Sembra apparentemente una regola ragionevole e lineare, ma, a leggerla bene, ci si rende conto invece della sua insostenibilità e del disastro che si verrebbe a creare con la sua entrata in vigore. Allo stato attuale, ricordo che l'articolo 1, ai commi 60 e 61 della legge n. 147 del 2013, prevede già sanzioni per le imprese che delocalizzano dopo aver ottenuto un sostegno pubblico; il punto è che le imprese vengono punite solo se spostano il sito produttivo che ha ricevuto incentivi e solo se questo cambiamento di sede provochi una riduzione dei livelli occupazionali all'interno dell'azienda. Si lega in altri termini la sanzione potenziale all'impatto negativo sul lavoro causato dal trasferimento dello stabilimento interessato. La norma che invece voi state provando a fare approvare introduce una sanzione perché si applica a qualunque delocalizzazione e crea così un clima di terrore e di fuga degli investimenti dal nostro Paese.
In primo luogo, quando si parla di attività economica incentivata, si colpiscono non solo le decisioni di spostamento del sito produttivo, ma ogni semplice azione di internazionalizzazione delle imprese, anche se non sono previste chiusure degli stabilimenti italiani, si ottiene cioè l'effetto perverso di sanzionare senza alcuna logica e razionalità ogni espansione economica delle nostre imprese, quella che noi dovremmo invece sostenere e aiutare e incentivare, proprio per recuperare competitività a livello internazionale.
E poi, cosa ancor più clamorosa, la previsione si applica indipendentemente dall'impatto sull'occupazione in Italia, nello stabilimento che svolge l'attività economica sostenuta dallo Stato. Cioè quale presupposto per la decadenza dei benefici non è richiesta alcuna riduzione dei livelli occupazionali. Per cui, detto in altri termini: se un'azienda che ha ricevuto sgravi o contributi decide nei cinque anni successivi all'investimento di aprirsi ad altri mercati internazionali, mantenendo però inalterati i livelli produttivi in Italia o addirittura aumentando questi stessi livelli produttivi, l'impresa sarà sanzionata ugualmente. Una norma folle dal mio punto di vista e dal nostro punto di vista, una norma illogica e irragionevole che rischia di comprimere la libertà di impresa garantita dalla Costituzione e da princìpi fondamentali europei, e una norma che limita in realtà non le delocalizzazioni, ma limita le localizzazioni delle imprese del nostro territorio: non vi saranno più imprese italiane o multinazionali straniere che decideranno di venire a investire nel nostro territorio, si creeranno dei danni enormi soprattutto al Mezzogiorno d'Italia, dove più frequentemente le imprese, soprattutto quelle multinazionali, decidono di impiantarsi creando occupazione e sviluppo. Solo in presenza di un sistema di incentivi serio… Io penso a quelli messi in campo anche nella precedente legislatura: i contratti di sviluppo, la misura “Resto al Sud”, gli incentivi sulle aree di crisi, le zone economiche speciali, sono tutti incentivi che funzionano e danno una mano al Mezzogiorno, se non bloccano però il futuro, per il futuro la crescita e gli sviluppi, eventuali futuri investimenti delle multinazionali e delle imprese italiane ed internazionali.
Allora, per tutte queste ragioni, guardate, noi ribadiamo la nostra profonda contrarietà all'impostazione complessiva di fondo del “decreto-legge disoccupazione” e vi chiediamo di ritirarlo nella sua globalità. Noi faremo un'opposizione seria, ferma e responsabile, sia in Aula che nel Paese, perché devo dirle una cosa: credo che è noto che il clima sta un po' cambiando, che il clima di torpore e di credito di fiducia al buio, incondizionata di cui state beneficiando da tempo nell'opinione pubblica inizia a venir meno. È stata ripresa da qualche commentatore in questi giorni una frase significativa di Manzoni: “Il buonsenso c'era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Ecco quanto è accaduto negli ultimi mesi o nell'ultimo periodo in Italia! Oggi però avvertiamo che il senso comune e il buonsenso cominciano ad essere sempre più allineati, e danno ancor più forza e voce alla nostra battaglia politica contro un provvedimento che rischia di produrre disastri economici e occupazionali inimmaginabili per i giovani, per le famiglie e per le imprese, nel nostro Paese e soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. Allora provate davvero a recuperare la dignità che rischiano di perdere con queste misure il lavoro e l'occupazione: fermatevi finché siete in tempo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Mollicone. Ne ha facoltà.
FEDERICO MOLLICONE (FDI). Signor Presidente, Ministro Di Maio, lei che è così avvezzo all'uso dei social, le comunico che Fratelli d'Italia sta lanciando un hashtag che è “lo chiamavano dignità”, riprendendo un famoso film.
EMANUELE FIANO (PD). Troppo tardi!
FEDERICO MOLLICONE (FDI). L'abbiamo lanciato insieme: siamo all'opposizione, quindi lo faremo insieme.
Ma al di là di questo voglio salutare le maestre che stanno protestando ora davanti Montecitorio e quelle che stanno seguendo il dibattito in Aula e tutti i lavoratori che sono giustamente preoccupati dal dibattito su questo decreto-legge, che andrà a modificare il quotidiano della propria vita.
Il decreto-legge di cui stiamo discutendo reca una denominazione che indubbiamente ha un suo fascino e risponde a un'esigenza molto sentita, appunto quella della dignità del lavoro. E non sarà certamente Fratelli d'Italia, che continua la tradizione popolare della destra italiana presente in quest'Aula nelle passate legislature, a disconoscere l'opportunità di intervenire su questa delicata materia, anche in considerazione del ruolo primario che la nostra Costituzione, erede peraltro anch'essa di precedenti dichiarazioni sociali, attribuisce al lavoro. È inutile nascondere il fatto, perché tutti noi ne siamo a conoscenza, dell'enorme e aggiungerei patologica diffusione della precarietà del lavoro, sintetizzata dal fatto che secondo l'ISTAT nell'ultimo anno ben il 95 per cento dei nuovi rapporti di lavoro sono stati, Ministro, a tempo determinato.
In particolare, secondo le note trimestrali congiunte di Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ISTAT, INPS, INAIL, ANPAL, negli ultimi dodici mesi vi è stato un aumento di 385 mila contratti di lavoro a tempo determinato, a fronte di una diminuzione di 238 mila a tempo indeterminato, con un saldo positivo di 147 mila. Ovvero, anziché pervenire ad una progressiva stabilizzazione dei rapporti di lavoro, vi è al contrario una crescita della precarietà.
Ciò non è ininfluente, perché quando un giovane o una donna, una qualsiasi persona con carichi di famiglia trova un lavoro, non solo non sai mai quanto esso potrà durare, ma questa incertezza ha degli effetti concreti e negativi in quest'era economica, caratterizzata dalla valutazione della persona basata solo in relazione al reddito disponibile e alla sua continuità. Il lavoratore precario non può stipulare contratti di affitto, Ministro, non può contrarre mutui ed è costretto a rinviare il matrimonio, causa non ultima della gravissima crisi demografica in atto.
Fatte queste premesse, ci domandiamo ora se questo decreto-legge corrisponda alle esigenze manifestate e se le affronti in modo globale. La prima risposta che ci viene da formulare è negativa, a cominciare dalla stessa forma tecnica del decreto-legge, che per norma costituzionale dev'essere approvato rapidamente, sostanzialmente immutato: il che impedisce approfondimenti tecnici e giuridici, un confronto parlamentare aperto e blocca modifiche integrative e migliorative. Qualcosa può essere fatto certamente, ma poco spazio vi è anche per chi, come il gruppo di Fratelli d'Italia, si pone in una posizione di critica costruttiva. Emendamenti sono stati giudicati inammissibili o respinti, e ciò certamente non favorisce il nostro atteggiamento favorevole dinanzi al decreto-legge.
Per entrare nel merito della prima parte, osservo che certamente è accettabile lo spirito dell'articolo 1, che prevede una riduzione del termine massimo delle proroghe dei contratti a tempo determinato e l'apposizione delle clausole giustificative dopo il primo periodo di dodici mesi. Questo in effetti è un parziale ritorno alla legge preesistente prima di quella del 2015. Ci sono però delle incongruenze ingiustificate: ad esempio, prorogare a sei mesi la possibilità di impugnare il contratto a tempo determinato, mentre il precedente limite era di quattro mesi, appare inutile perché prolunga i tempi di incertezza, e comunque non è conforme alle normali tempistiche per le impugnazioni.
Ma l'altro dato che non si può condividere è l'incremento stabilito dal comma 2 dell'articolo 3 del contributo a carico del datore di lavoro, dal già elevato importo dell'1,40 per cento all'1,9: uno 0,5 per cento in più, come è stato anche sottolineato questa mattina. A questo proposito va fatta un'ulteriore osservazione: il decreto-legge in oggetto non si chiama solo “dignità dei lavoratori”, ma aggiunge anche “e delle imprese”; per la verità, noi quest'altra dignità non la riscontriamo, perché si aumentano i contributi e quindi quello che si chiama cuneo fiscale, ma che andrebbe meglio definito come cuneo contributivo. Un modo per incentivare le imprese ad assumere, anche a tempo indeterminato, è invece quello di ridurre gli oneri contributivi, i quali - è bene precisare - non vanno solo a vantaggio del lavoratore per il quale si versano, ma hanno anche una parte assistenziale che andrebbe a carico della finanza pubblica, e non solo dell'apparato produttivo.
Altro elemento che ci ha lasciati perplessi è la non applicazione delle modifiche normative alla pubblica amministrazione. Ora, tutti noi sappiamo che a causa del blocco delle assunzioni derivanti dalla politica europea di austerità (il famoso “ce lo chiede l'Europa” che i signori là davanti conoscono bene) vi sono forti lacune nelle pubbliche amministrazioni che vengono sanate con assunzioni a tempo determinato continuamente rinnovate. Questo decreto-legge, che si richiama alla dignità dei lavoratori, era l'occasione per interessarsi anche di questo aspetto del lavoro italiano. Pensiamo che il Ministro per la pubblica amministrazione, onorevole Bongiorno, avrebbe potuto forse occuparsene; fra l'altro nella precedente legislatura la questione era già stata perlomeno indicata come prioritaria.
Ma vorrei fare un'altra osservazione di carattere generale: Fratelli d'Italia, nel solco di una pluridecennale richiesta politica della destra italiana, sollecita l'avvio della partecipazione dei lavoratori nelle aziende in applicazione del dimenticato articolo 46 della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Fra l'altro forme indirette e parziali di partecipazione, perlomeno all'informazione e ai risultati di bilancio, sono state avviate dai contratti collettivi di lavoro.
Ma come si fa - ci chiediamo - ad attuare la partecipazione se i lavoratori cambiano in continuazione, se non si radicano nell'azienda, non la sentono propria perché non sanno dove lavoreranno tra qualche settimana? Le migliori aziende italiane, quelle che competono con successo sui mercati internazionali e sono all'avanguardia, hanno un'alta stabilità dei lavoratori, che significa anche maggior specializzazione. È una osservazione che va tenuta presente e che è stata del tutto dimenticata in questo decreto, Ministro De Maio, non vorrei interrompere il suo tweeting.
Poi, sempre per parlare delle lacune del decreto, Fratelli d'Italia ha evidenziato il mancato riferimento al rinvio della famosa direttiva Bolkestein, che colpisce il lavoro ambulante regolare e quello balneare, creando disoccupazione oltre che confusione, fermo restando e poi scoprendo che lo stesso Bolkestein, venendo in Italia, ha poi preso le distanze dalla propria direttiva dicendo che non era quella l'intenzione, succede anche questo in Europa.
Infine, per quanto riguarda le delocalizzazioni e le riduzioni dell'occupazione soggette a sanzioni dopo aver percepito aiuti o agevolazioni di altro tipo da parte di qualche istituzione centrale o locale dello Stato, le norme, a nostro parere, avrebbero dovuto essere meglio precisate per evitare difficoltà nell'attuazione. In particolare, per quanto riguarda gli aspetti legati all'occupazione, si sarebbe dovuto fare riferimento anche ad accordi e informazioni aziendali intervenute con le rappresentanze dei lavoratori e con gli enti pubblici, al fine di determinare con esattezza l'ambito e la possibilità di applicazione delle norme.
Questo decreto era forse nato con le migliori intenzioni, ma ha dimostrato nella sua articolazione di essere molto incompleto, in alcune parti estremamente generico, aggravante degli oneri contributivi sulle imprese, causa principale della mancata crescita occupazionale, privo di prospettive di sistema nel complesso e delicato settore del diritto del lavoro.
Ma in conclusione, il Ministro Di Maio ha tenuto per ultima la scuola, la famosa modifica dell'articolo 4, su cui noi faremo una pioggia di emendamenti. In Commissione, in audizione bicamerale, al Ministro Bussetti abbiamo parlato di piccolo Vietnam, ma speriamo che la maggioranza abbia la sensibilità di non bocciarli come ha fatto in Commissione Finanze e magari di accogliere almeno quelli più accoglibili e ricevibili.
Mentre noi siamo qui, Ministro Di Maio, fuori ci sta, a fine luglio, una rappresentanza di maestre, che stanno protestando, ci sono i coordinamenti, c'è il MIDAS (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), ci sono tutti a cui va la nostra solidarietà e il nostro sostegno, e questo dimostra la pericolosità di questi provvedimenti che state prendendo. I docenti sono in rivolta. Nonostante l'evidente impegno dei presidenti Pittoni e Gallo e del Ministro Bussetti a cercare di prendere tempo per tamponare gli sciagurati effetti della sentenza in plenaria del Consiglio di Stato, che ha condannato i DM, i diplomati magistrali, alla precarietà o al licenziamento, dobbiamo darvi una notizia: non ci siete riusciti e non ci siete riusciti perché con questo provvedimento e poi con la sua modifica attraverso l'emendamento dei relatori non avete fatto altro che recepire gli indirizzi di una sentenza sbagliata e in controtendenza con migliaia di ricorsi inappellati dallo stesso MIUR e che voi stessi - basta andare sui social -, all'epoca opposizione, vi eravate impegnati a superare con un atto legislativo.
Intendiamoci, Fratelli d'Italia prosegue la battaglia a fianco dei maestri, perché li ritiene i primi e degni - questi sì - rappresentanti dello Stato in tutto il territorio nazionale, ma vogliamo lanciare una sfida a questo Governo, vogliamo rappresentare tutti i docenti, far capire loro che questa guerra tra prof non ha nessun significato e li danneggia.
PRESIDENTE. Concluda.
FEDERICO MOLLICONE (FDI). I veri contro interessati - e vado a conclusione - non sono i laureati di scienza della formazione contro i DM o i DM contro gli storici in GaE, i veri controinteressati sono tutti i docenti e gli insegnanti italiani contro uno Stato che in questi anni ha favorito…
PRESIDENTE. Collega, concluda.
FEDERICO MOLLICONE (FDI). …una volta una parte e una volta l'altra per inseguire un consenso politico effimero, invece che dare vera dignità a chi rappresentava e rappresenta, più di voi, lo Stato, da Bolzano a Cagliari, a Roma, a Palermo, fino all'ultimo paesino di montagna o scuola di campagna (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia); donne e uomini che lasciano la città dove sono cresciuti, per inseguire cattedre a centinaia di chilometri di distanza, per due, cinque, quindici anni: affittano stanze anonime, conducono vite solitarie e provvisorie, questa è la dignità che volete restituire loro, in questo modo scontenterete tutti! C'era fretta, è vero, ma intanto potevate prendere tempo, poi fortunatamente è stato recepito in Commissione Finanze di convocare tutti i sindacati e comitati e associazioni per trovare una soluzione per ogni categoria di docenti - e concludo davvero - e invece no, avete voluto fare in fretta e la fretta crea disastri.
Sapete bene che con questo provvedimento migliaia di DM entrati in GaE con riserva o che hanno un contratto a tempo indeterminato e hanno preso il ruolo anche da quattro o cinque anni, rischieranno il licenziamento.
PRESIDENTE. Collega, deve concludere.
FEDERICO MOLLICONE (FDI). Concludo.
PRESIDENTE. Concluda!
FEDERICO MOLLICONE (FDI). Avete declamato di voler ridare dignità ai lavoratori, con questo decreto, agli insegnanti cosa date invece? Nel migliore dei casi li mettete gli uni contro gli altri, nel peggiore li… (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Grazie, collega. È iscritto a parlare il collega Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI (MISTO-+E-CD). Grazie, Presidente. Signor Vicepresidente del Consiglio, secondo la mia opinione, il decreto poggia su presupposti sbagliati. Non vi erano ragioni di urgenza in termini strettamente parlamentari, perché quel che emerge - e mi duole ribadirglielo - è che il discorso di stamattina era carico di passione civile, ma era intriso anche di demagogia, il che lascia intendere che ci fosse, casomai, un'esigenza di propaganda. Perché? Un'altra riforma del mercato del lavoro, prima di intraprenderla, avrebbe richiesto una verifica piena degli affetti della riforma in essere, avrebbe dovuto dispiegare tutti gli affetti in maniera da avere delle opinioni non condizionate dalla esigenza di propaganda, ma qualcosa di molto concreto.
Per questo bastava un disegno di legge di impulso governativo che suscitasse un ampio dibattito, perché non c'è dubbio che sul tema della precarietà c'è bisogno di un dibattito approfondito, ci sono molte doppie verità che vanno dispiegate per evitare che su di esse si determini una strumentalizzazione tanto inutile quanto vuota. Perché il parto di un topolino così insignificante, me lo consenta, è solo il risultato di una fretta antagonista che c'è tra la sua funzione e quella del suo collega, Vicepresidente del Consiglio, Salvini, il quale sta tenendo banco in materia di sicurezza, speriamo che sia davvero tale. Perché l'effetto sicuro del messaggio trasmesso determinerà una riduzione dell'occupazione, con l'instaurazione di rapporti di lavoro più brevi nei contratti a tempo determinato, e con la reintroduzione delle causali si determineranno incertezze e contenziosi, che graveranno sui costi dell'impresa senza garantire di più il lavoratore. L'unico momento di lavoro certo riguarderà avvocati e giuslavoristi, con buona pace dell'annunciata semplificazione, perché in realtà in questo decreto c'è il germe della complicazione, per risolvere il quale si dovrà chiedere l'aiuto agli esperti, quindi al giuslavorista. In realtà, questo decreto denota un'insufficiente conoscenza della struttura produttiva e occupazione del nostro Paese, perché ritiene sufficiente ridurre i periodi di lavoro a tempo determinato per crescere automaticamente i posti di lavoro a tempo indeterminato. Purtroppo non sarà così.
E che dire dello sbandierato contrasto alle delocalizzazioni selvagge? Mi sembra davvero pura propaganda. Non distinguere neppure tra delocalizzazioni e internazionalizzazione, e coinvolgere non solo il bene o l'attività incentivata, ma l'intera attività dell'impresa, non mi pare una cosa saggia. Capisco le reazioni degli imprenditori del nord-est, anche se sono un po' ritardate, penso con ammirazione alla loro straordinaria capacità di internazionalizzarsi, sia che fosse la Romania, sia che fosse la Cina: Timisoara era stata ribattezzata “Trevisoara”, ovvero l'ottava provincia del Veneto. Quel che si vuole incuneare è l'idea del contrasto alle delocalizzazioni selvagge e per far questo si spara nel mucchio.
E se Confindustria e Rete Imprese Italia, compresa quindi Confartigianato che questa mattina viene salvaguardata in un'intervista di un candidato dei 5 Stelle che distingue, appunto, la Confindustria dalla Confartigianato, ma la Confartigianato, in Rete Imprese Italia, ha detto cose analoghe a quelle dette da Confindustria. Se questi si permettono di evidenziare critiche, diventano pericolosi portatori di terrorismo psicologico, ma si tratta solo di una grida manzoniana che non sortirà alcun effetto, salvo confermare lo stile del Vicepresidente Di Maio, Ministro dotato di superpoteri che per esercitarli ha bisogno di evocare agenti provocatori, meglio se immaginari, e per contrastare pienamente la ludopatia le avete cambiato il nome in “contrasto al gioco d'azzardo”, “azzardopatia”. Ma non c'è traccia di una discussione seria sulle questioni della formazione e di un'educazione adeguata, specie per i più giovani, spiegando che non è il pacco giusto, la fortuna, che orienta la vita, ma la serietà, il rigore, il senso del dovere, la competenza, la professionalità. Questa è la distinzione, che mi sono permesso di ricordare proprio in Commissione finanze, che c'era tra il messaggio subliminale che dava una trasmissione come “Lascia o raddoppia”, rispetto al messaggio che dà quella dei pacchi; dice: quello che entra nei pacchi non mette dei soldi suoi, ma è il messaggio fuori che si dà, a “Lascia o raddoppia” si poteva vincere un premio in denaro, ma bisognava sapere qualcosa, anzi, di qualche materia specifica, bisognava conoscere tutto, se uno voleva superare le cinque puntate al termine delle quali c'erano un premio di 5.125.000 lire, delle vecchie lire, ovviamente; no, sui pacchi non è così, non c'è nessuna abilità da manifestare, perché vale meno dell'abilità professionale nel gioco del poker, il gioco dei pacchi, tanto è dovuto al caso, lo ripeto, al caso.
Allora, io mi immagino che adesso che avete preso il controllo della RAI, dovrete ragionare anche su queste trasmissioni, perché si tratta di trasmissioni che, tra l'altro, sono in prima serata e sono quelle che hanno la raccolta più alta di pubblicità; se questo è il messaggio subliminale che si dà alla pubblica opinione, specie ai più giovani, il risultato pratico è che quello che conta nella vita è una botta di fortuna, è una svolta fortunosa, tutto il resto non c'entra.
Ecco, dove sta il punto, ma su questo decreto non c'è accenno a queste cose; bisogna, invece, spiegare che non c'è una via obbligata per migliorare le proprie condizioni; affidarsi alla dea bendata è una scorciatoia destabilizzante. Così facendo, più o meno consapevolmente, strizzate un occhio al gioco illegale di impronta malavitosa e che ci sia un problema di educazione a monte lo dimostra il fatto che alcuni recenti studi, tra l'altro quello che lei ha citato stamattina, quello della Caritas di Roma, dimostrano che i più giovani, specie se adolescenti, più che dalle slot machine, sono pericolosamente attratti dalle scommesse sportive online, piuttosto che dalle proposte delle potenti concessionarie del Gratta e Vinci e qui prevale l'attitudine delle giovani ragazze, degli adolescenti, del Superenalotto, del Totocalcio o Totogol, fino al Bingo.
Questo determina la necessità di un'azione coerente che distingue tra gioco legale e gioco illegale e nel gioco legale chiamo in causa tutti i protagonisti, sia sul terreno fiscale che su quello dei punti gioco, dai concessionari ai gestori, perché voi non potete fare quelli duri nei confronti dei più deboli, sono l'ultimo anello, quello dei gestori, ed essere, invece, accondiscendenti nei confronti dei concessionari che sono quelli che realizzano una gestione a scapito anche dei gestori. Quindi, mettetevi d'accordo, queste sono cose essenziali, non si può agire solo sul PREU, è troppo facile, appunto, essere forte con i deboli e deboli con i forti.
Avevo presentato, nella scorsa legislatura, un ordine del giorno, il 31 maggio 2017, per gestire al meglio la riduzione programmata degli apparecchi attivi, perché si può e si deve fare questo, ma questo, però, va fatto avendo il quadro del complesso delle situazioni. Il Governo del tempo aveva apprezzato; ora, è vero che c'è il Governo del cambiamento che, però, spero non tocchi l'uso del buonsenso, il Governo dovrebbe, quindi, impegnarsi a garantire per il tramite dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli che la riduzione degli apparecchi venga distribuita in modo equo su tutta la filiera.
Questo vale anche per il carico fiscale, perché il carico fiscale è mal distribuito, fatto base 100 gli introiti potenziali, tutto il gioco online è fuori, non c'è; non c'è una modalità con cui si chiamano, il ruolo dei concessionari, non esiste, non c'è spazio, pesa solo sul PREU e, quindi, in definitiva, ritorna ad avere riferimento direttamente il giocatore, il che mi pare una contraddizione in termini, di tutta evidenza. Ministro Di Maio, ed ho finito, lei stamane ha concluso il suo intervento, proclamando che con questo decreto il popolo comincia ad esercitare la sua sovranità, finalmente libero dalle lobby. Mi sembra un gioco di parole strumentale e pericoloso che merita un dissenso molto rigoroso. È il Parlamento la sede della sovranità popolare che si esprime con libere elezioni, non con il sorteggio degli eletti; mai mettere il popolo contro il Parlamento, quale che sia la sua composizione, perché si sa dove si comincia, ma non si sa dove si finisce. Metta pure la fiducia su questa impostazione, così sarà ancora più netta la nostra opposizione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Fusacchia. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-+E-CD). Grazie, Presidente. Approda finalmente in Aula un testo che ha avuto un iter molto tormentato e non a caso. È nato con l'intento di occuparsi di tutele dei lavoratori delle piattaforme e, un po' di settimane dopo, ci ritroviamo a discutere di lavoratori che un lavoro ce l'avevano e, adesso, non l'avranno più. Non serve leggere le relazioni tecniche che accompagnano i decreti, basta parlare con il centro di ricerca pubblico in Sardegna che aveva bandito per assumere ricercatori a tempo determinato e che adesso è in stallo e sta valutando se ritirare il bando o con la grande impresa che ha sede in Abruzzo che sostituirà ragazzi che avevano faticosamente conquistato un minimo di stima del proprio datore di lavoro e che, nonostante i limiti di rinnovi di contratti e, quindi, certamente una certa precarietà difficile, adesso si vedranno togliere anche quel poco che avevano conquistato.
Mi lasci dirlo chiaramente: c'è molto lavoro senza dignità in Italia, molto lavoro che non dovremmo neppure chiamare lavoro e farebbe bene il Governo a volerlo contrastare, staremmo tutti dalla parte del Governo se lo facesse davvero. Personalmente sarei anche per dire che se ci sono dei lavori senza dignità, è bene non permetterli, a costo di dover spiegare i dati negativi o le statistiche negative. Il punto è che non è quello che è accaduto, perché quello che stiamo discutendo, oggi, è un decreto-legge che tutto fa tranne che dare una risposta strutturale al lavoro senza dignità; se la prende con i contratti a termine come se non fossero un pezzo strutturale del mercato del lavoro italiano e lo fa irrigidendo qua e là, con colpetti marginali che creano solo incertezza delle regole del gioco e, quindi, ancora più ritrosia ad assumere e, quindi, ancora più incentivi a scivolare di lato, in quella grande macchia nera che in Italia sta dilagando. Interviene aumentando i divieti, invece che creando un diverso sistema di incentivi che dia maggiori garanzie al lavoratore. Capiamoci, nessuno, lo ripeto, nessuno vuole difendere le imprese che usano massicciamente i contratti a tempo determinato senza motivo se non quello di tenere le persone in uno stato di perenne insicurezza e, quindi, ricattabili, ma davvero questo decreto risolve questo problema? E cosa offre in cambio del danno che, comunque, si sta generando? Non si garantisce una tutela, togliendo un'opportunità; non si crea un diritto, togliendo un'opportunità.
Questo decreto, da un lato, interviene maldestramente sulle tipologie di contratto e, dall'altro, non mette fine al mondo del lavoro senza dignità, non prende di petto i più svantaggiati, i lavoratori invisibili che non hanno tutele, non prende di petto il lavoro non pagato e tutte quelle persone realmente sfruttate, non se la prende coi falsi stage, con le false partite IVA, i falsi part-time, il falso volontariato, il vero lavoro nero. Non manda un segnale ai tanti giovani che stanno cercando la loro strada nel lavoro autonomo o nelle professioni; non intervenite sul regime delle partite IVA, ma nemmeno sui praticantati negli studi di avvocati, dove è considerato normale che uno possa lavorare per mesi e mesi ed essere remunerato solo con la luce riflessa che promana dal capo dello studio.
Per usare un paragone rispetto a questo decreto, non potete pensare di raccontare al Paese che volete affrontare il problema dell'ambiente, dell'inquinamento e poi fate un decreto legge per regolamentare come si raccolgono le cartacce nei parchi pubblici, invece che occuparvi delle discariche abusive o dell'immondizia che sta seppellendo pezzi interi di città.
Io capisco che sia troppo complicato affrontare il tema della produttività o dei bassi salari, che sono il vero male di questo Paese e che richiedono una lettura della modernità, una capacità di fare un lavoro di sintesi con il tessuto economico e sociale del Paese, puntando su chi produce in Italia lavoro di qualità, ma penso che si potesse fare decisamente meglio che non un decreto di micro interventi a pioggia su una normativa del lavoro già stratificata e al limite del comprensibile.
L'incertezza del diritto che procurate con questo decreto spot, che serve solo ad un vice Primo Ministro per non restare indietro rispetto ad un altro vice Primo Ministro, ha un costo altissimo per la società non solo per le conseguenze dirette che avrà su molte persone e magari per effetti collaterali che neppure il Governo oggi è in grado di stimare, ma perché mina la fiducia e manda un messaggio pessimo al Paese, che cioè si possa affrontare la complessità con la superficialità. Non avete messo una parola sulle tutele, né sulla creazione di lavoro (cosa che fanno le imprese). Il Ministro Di Maio sembra non si sia ricordato di essere anche il Ministro dello sviluppo economico quando ha fatto scrivere questo decreto: che occasione sprecata!
Non avete messo una parola sulla formazione: quanto si può fare per attrezzare le persone al mondo del lavoro di oggi, per equipaggiarle, per dare loro strumenti invece che vincoli, per dare loro più aria nei polmoni invece che chiuderle in una camera iperbarica? Volevate una misura che tutelasse davvero, che davvero restituisse dignità a tutti? C'era il salario minimo, che è stato promosso da tutte le forze politiche in campagna elettorale. Un salario di base da applicare a tutte le forme di lavoro e magari anche un onorario minimo per i lavoratori autonomi, assieme ad un livello minimo di contribuzione per le tutele di natura sociale e al divieto di ogni forma di lavoro gratuito. Con il salario minimo legale avreste garantito un diritto al lavoro dignitoso sempre: altro che questi aggiustamenti sbagliati nel merito e nella mira!
Tocco velocemente altri due punti, Presidente. Uno: le delocalizzazioni. Sanzioni a chi delocalizza: siamo sempre lì, questo Governo sa pensare solo in tema di punizioni, divieti e sanzioni, non di costruzione di opportunità. Non mi metto neppure a discutere di delocalizzazioni dentro l'Unione europea. Avete ragione: dobbiamo garantire condizioni eque, ad esempio sul lato della fiscalità, per evitare che alcuni Paesi europei si avvantaggino scorrettamente di condizioni diverse, ma allora perché non fate una battaglia vera su questo? È troppo complicato? È troppo complicato capire come l'apertura di sedi e filiali in un altro Paese europeo possa essere parte della migliore strategia di internazionalizzazione del meglio made in Italy?
Poi ho sentito il Ministro Di Maio dichiarare che lo Stato aiuta le aziende, dà soldi, ma poi l'azienda deve fare come dice lo Stato. Vede, il problema qui è a monte: non è tanto su cosa fa o non fa l'azienda, ma sulla logica con cui vogliamo guidare lo Stato. Le aziende migliori sono quelle che dallo Stato non ci vanno mai e invece noi costruiamo un modello per cui le aziende esistono nella misura in cui chiedono una mano allo Stato e lo Stato allunga la mano, invece che fare in modo che la giustizia funzioni, che non ci sia burocrazia, che le tasse siano ad un livello accettabile. È il modello di paese, è il modello di società che questo decreto rappresenta che non mi piace per niente.
Infine, l'articolo che vi è uscito peggio. L'articolo 4, che riguarda alcune graduatorie per il reclutamento dei docenti dell'infanzia e della primaria a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato: il Governo che fa? Ne approfitta per una clamorosa sanatoria. Bandirà - ascoltate bene – un concorso non selettivo: un concorso non selettivo. Ora, che diavolo vuol dire un concorso non selettivo? Usiamo l'italiano: si chiama sanatoria! Con cui darà la cattedra in automatico a tanti quarantenni e cinquantenni che non si aspettavano nemmeno, o comunque non si aspettavano più di finire ad insegnare, e che nella vita stavano facendo anche altro.
È una misura per contrastare il precariato? Va bene, ma qual è il problema? I bambini: il problema sono i bambini, è la qualità dell'insegnamento perché migliaia di giovani laureati e laureandi in scienze della formazione primaria vedranno, con questo articolo, ipotecato per anni il loro futuro. Giovani con la passione dell'insegnamento che hanno scommesso in maniera controintuitiva su un mestiere bello ma difficile, che porta solo fatica e nessun riconoscimento di status in questo Paese, e che da anni si stanno allenando, stanno faticando e si stanno formando per essere i migliori insegnanti al mondo e dare una scuola strepitosa ai nostri bambini.
Voi state calpestando il loro sogno e la speranza di tutti noi che la scuola possa tornare ad essere un ascensore sociale in questo Paese. C'era un presidio stamattina qui fuori; una di loro mi ha chiesto: “dobbiamo andarcene tutti all'estero?”.
Cosa devo rispondere? Un'altra mi ha detto: “sono iscritta al primo anno ma, a questo punto, penso che lascerò l'Università”. Un'altra ancora mi ha chiesto: “perché?”
Ho provato come ho potuto e, secondo la mia personale ricognizione dei fatti, a spiegare loro perché, ma poi ho smesso perché loro non meritano di diventare esperti di normativa scolastica, non meritano di capire qual è il migliore avvocato che possa difenderli davanti al prossimo ricorso in una qualche Corte giurisdizionale, non meritano la nostra politichetta, non meritano di capire fino in fondo quanto alle vostre belle parole poi seguano fatti uguali e contrari.
Ci sono decine di deputati giovani in quest'Aula, decine di deputati giovani e questa è una strepitosa, fantastica, buona notizia senza precedenti. Io mi appello a loro perché non ammazzino definitivamente le speranze di tanti nostri coetanei, di tanti loro coetanei, di tanti che potrebbero benissimo essere loro fratelli e loro sorelle minori e non ammazzino le speranze di un pezzo della nostra migliore università, Presidente.
Il Governo ha fatto un decreto dignità che mortifica tanti precari che invano cercheranno una risposta tra gli articoli di questa legge, tanti imprenditori sani a cui cambiamo di nuovo le regole del gioco e che saranno tentati di gettare la spugna, o che saranno dissuasi non dal delocalizzare ma proprio dall'andare avanti, dall'investire, che mortifica tanti giovani, la migliore generazione che potremmo sperare di mandare in classe ad insegnare ai nostri bambini, che non capiscono, non vogliono capire questo Governo, questo Stato, questo Paese che fa di tutto per non farli crescere e per non cambiare. Sarà una lunga marcia, signor Presidente, ma li riscatteremo e il primo passo lo facciamo (Applausi dei deputati dei gruppiMisto-+Europa-Centro Democratico e Partito Democratico).
PRESIDENTE. Grazie. Sospendo a questo punto la seduta che riprenderà alle ore 17.15. La seduta è sospesa.
La seduta, sospesa alle 17, è ripresa alle 17,20.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Castiello, De Micheli, Del Re, Di Stefano, Lorenzo Fontana, Fugatti, Garavaglia, Giorgetti e Micillo sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 924-A)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Licatini. Ne ha facoltà.
CATERINA LICATINI (M5S). Grazie Presidente. Colleghi deputati, oggi abbiamo in quest'Aula la discussione sulle linee generali di un provvedimento, che intende intervenire sul bilanciamento del rapporto tra economia e società, intesi come due ambiti comunicanti e coesistenti, non separati o persino contrapposti, come attualmente nella vita quotidiana di milioni di cittadini e famiglie.
Il Governo intende intervenire con questo provvedimento, ponendosi in netta discontinuità con la linea di politica economica perseguita dai Governi del passato, una linea rivelatasi inefficace, perché basata sostanzialmente su semplici operazioni algebriche, di mero spostamento dell'ordine di risorse e fattori. Misure a invarianza economica e finanziaria, così si definiscono tecnicamente o in alcuni casi addirittura peggiorative o con impatti negativi sull'economia.
E, invece, finalità principale di questo decreto è quella di perseguire una politica economica capace soprattutto di creare valore. Abbiamo ascoltato in queste settimane, nel dibattito delle Commissioni parlamentari e oggi in Aula, alcuni interventi critici rispetto a questa nuova impostazione, che noi riteniamo invece decisamente innovativa e propositiva. Rispetto a tali critiche appare, però, doveroso e assolutamente necessario rivolgere a tutti un accorato invito al realismo, ad un richiamo alla realtà oggettiva dei fatti.
E la realtà non è affatto incoraggiante. Cito, ad esempio, le analisi dell'osservatorio sul precariato dell'INPS su dati del 2017, ente che, avendo esso stesso elaborato i dati che sto per citare, dovrebbe essere ben consapevole dell'assoluta necessità e urgenza di intervenire, per contrastare le tendenze in atto.
Ebbene, l'osservatorio sul precariato dell'INPS ci dice che, sebbene il dato generale abbia registrato un incremento generalizzato delle assunzioni nell'ultimo anno, tale incremento riguarda esclusivamente la platea di lavoratori precari, con riferimento a quei contratti che il nostro ordinamento classifica come atipici.
Le conclusioni che possiamo trarre da questi numeri sono inequivocabili. Le riforme del lavoro degli ultimi anni non hanno determinato un incremento reale delle assunzioni, ma hanno avuto invece come conseguenza, da una parte, un incremento del precariato con 605 mila contratti atipici in più e, dall'altra, un decremento del lavoro stabile con 117 mila contratti a tempo indeterminato in meno. Di più, la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici hanno prodotto un deterioramento del mercato del lavoro, con un conseguente incremento dei livelli di disagio sociale e dell'esposizione dei cittadini e delle famiglie a rischio di povertà. Lo ha confermato, tra l'altro, il recentissimo report dell'Istat sulla povertà in Italia, pubblicato lo scorso giugno, un report che non si può ignorare. Questi dati hanno registrato il record storico in Italia di poveri assoluti dal 2005, evidenziando come il fenomeno coinvolga attualmente 1 milione 778 mila famiglie, per un totale di 5 milioni e 58 mila individui, persone che non possono affrontare la spesa minima sufficiente per acquistare beni e servizi essenziali per uno standard di vita accettabile (alimentazione, abitazione, possibilità di vestirsi, di istruirsi, comunicare, informarsi). E ancora una volta a soffrire di più di quest'andamento dell'economia è il sud del Paese, dove i dati sono in aumento, sia per le famiglie che per gli individui.
È evidente che il Governo ha il dovere di intervenire per tentare di invertire queste tendenze e lo fa in primis, favorendo la stabilizzazione dei lavoratori dipendenti e concorrendo alla crescita economica, ma al contempo all'innalzamento dei livelli di qualità della vita.
Una di queste misure riguarda proprio la reintroduzione dell'istituto della causale per i contratti a tempo determinato. Vorrei ricordare che, tra gli effetti delle riforme del lavoro introdotte in passato, c'è anche da annoverare il fatto che il contratto a tempo determinato era ormai divenuto acausale, non essendo obbligatorio per i datori di lavoro indicare il motivo dell'assunzione a tempo determinato. Ciò ha portato, come sappiamo tutti, ad una vera e propria liberalizzazione dello strumento. A noi pare francamente opportuno, invece, limitare e contenere i facili rischi di abuso di questo tipo di contratto, a discapito di quello che è e rimane il contraente debole nel rapporto di lavoro, cioè il lavoratore dipendente o assimilato, così come la tutela del contraente debole, il contrasto al fenomeno del precariato e l'intento che si persegue introducendo limiti numerici per le proroghe dei contratti a tempo, passando da cinque a quattro, il numero massimo.
Mi sembra utile ricordare, in questa fase del dibattito, che il benessere economico anche nel nostro Paese ormai si misura non più sulla base di indicatori numerici tradizionali o classici, quali le stime pro capite sul reddito, consumi, ricchezza. Si misura tenendo conto di un complesso di valori quali la sostenibilità ambientale, la salute, la qualità delle relazioni sociali, la correttezza e qualità dei processi decisionali e, per quello che riguarda il mondo del lavoro, che qui viene in considerazione, la conciliazione dei tempi di vita, la stabilità, la valorizzazione delle competenze, la sicurezza sul lavoro e nel lavoro e via dicendo. E questi sono valori ben presenti in questo decreto e negarlo non è intellettualmente onesto.
Vorrei in conclusione evidenziare come vi è un istituto, che in questo decreto mi sembra acquisire una nuova centralità, quello della meritevolezza di tutela degli interessi in gioco nei contratti di lavoro. È questo il principio generale che nel diritto dei contratti consente di bilanciare le contrapposte esigenze di natura privatistica, da un lato, e quelle di natura pubblicistica, sociale e costituzionale, dall'altro, all'utilità sociale dei contratti di lavoro e alla dignità umana.
La libera iniziativa economica privata deve tornare, come la nostra Costituzione prescrive, a mettere al centro la libertà e la dignità umana. Lavoriamo insieme per raggiungere questo risultato e conformare la realtà al dettato costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Paolo Russo. Ne ha facoltà.
PAOLO RUSSO (FI). Grazie Presidente. Proverò qui a ragionare in Parlamento. Ops, intanto non vedo tanti colleghi del MoVimento 5 Stelle. Eppure, in era “pre-carioca”, Presidente, tanto si sbracciavano nell'indicare i fannulloni dei parlamentari della casta, che invece di stare in Parlamento battevano i territori. Meglio. Devo dire meglio, se anche loro hanno compreso che, dal venerdì al lunedì, è utile stare tra la gente ad ascoltare istanze e sollecitazioni. Più difficile, però, sarà ascoltare la gente se si preferisce solcare i mari degli oceani, a bordo di invidiabili barche a vela. Si ascolteranno al massimo i pesciolini e i marosi.
Questo è per ora il cambiamento: il Parlamento che diventa sempre di più “Leggimento” di cose scritte da altri e forse mai comprese.
Veniamo alle nostre questioni ed ovviamente non mi dilungherò, Presidente, sull'impatto che avrà questo provvedimento sul fronte della crescita. Lo hanno già fatto tanti esperti e - devo dire - la stessa relazione tecnica che lo accompagna ne dipinge ogni aspetto critico.
Ma, forse, la prima questione da chiarire è quale sia il vostro obiettivo. Non vi è un solo atto o dichiarazione che indichi l'attesa.
Vagamente voi auspicate un recupero presunto di dignità da parte del lavoratore, non quindi ricercate la crescita del PIL. Anzi, voi stessi lo dichiarate, che avremo meno occupati e quindi avremo minore ricchezza.
È evidente quindi che per voi l'obiettivo dignità diventa connaturato alla decrescita, una sorta di macchietta della Divina Commedia che, al Canto XII del Paradiso, ci parla di poveri ma onesti, una specie di tentativo di misurare quanto si possano essere dignitosi nella povertà.
Insomma, con questo decreto provate, in chiave sociale, a misurare la propensione degli italiani prima costretti ad essere dimessi e poveri e poi, eventualmente, dignitosi. A noi piace un'altra cosa: a noi piace che la dignità sia il frutto delle proprie competenze, nella soddisfazione del lavoro che si esercita, nell'attesa di un futuro più prospero; la dignità come valore di merito e di ingegno, di benessere e di ascesa culturale, sociale ed economica. Mi consentano i tanti colleghi che si sono peritati nel ricercare l'aggettivo più giusto a questo testo di legge, perché tutti hanno commesso un errore: non considerare l'aspetto culturale ed etico di questa norma, che pretende di abbassare la qualità della vita e provare nella decrescita a ricercare il sorriso.
Vediamo. Una norma, qualunque norma, ha un effetto pratico, indica cioè comportamenti, priorità, e definisce procedure, magari obbliga, vieta, sanziona - queste son tipiche della cultura social-comunista, verso le quali avete una forte propensione -, e il disastro che produrrà è ormai notorio: ogni attività produttiva, qualunque intrapresa, nel nostro Paese, vedrà il suo esercizio più complicato e più difficile. Ma una norma ha in sé anche un alto valore simbolico, se si vuole etico, insomma indica lo Stato, non il Governo pro tempore, nelle sue articolazioni, da che parte sta. Ebbene questo decreto-legge, da questo punto di vista, è devastante: lascia intendere che la vita dell'impresa in salsa gialloverde, in Italia, d'ora in poi sarà più difficile, che conviene sempre meno investire in questo Paese, e che, insomma, non si ricerca sviluppo, ricchezza e benessere, ma più giovani disoccupati da allevare al Sacro Graal del disagio digitale: più disoccupati in attesa del salvifico domani al reddito di cittadinanza.
Insomma, tutto torna: si riduce il lavoro, quello vero, per attendere a forme, vecchie e nuove, di assistenzialismo, questo magari dignitoso. Ma cos'è dignitoso per un giovane? L'attesa vana? Una paga a tempo per non lavorare? Rimanere in un letto, peggio su una poltrona, per l'assegno a fine mese? Questo significa insoddisfazione e povertà culturale ed etica. Noi avremmo preferito più lavoro vero e nuovo, che magari si aggiunga a quello che già esiste. Questa sì che è prospettiva di dignità, di equità e di giustizia, di prosperità e anche di soddisfatta felicità. Che i colleghi del MoVimento 5 Stelle si crogiolino in questo mare di pastoie burocratiche e complicazioni asfissianti ci sta: ricercano, ahinoi, una frenata dell'economia; ma che i colleghi della Lega si lascino trascinare sul terreno melmoso dell'ufficio complicazioni a tutti i costi, questo no, davvero non lo comprendo. Ma andiamo con ordine. Prima questione: i voucher. Abbiamo vivacemente criticato il Governo Gentiloni, che, per sterilizzare gli effetti di una richiesta referendaria, abolì i voucher, ed ora abbiamo assistito ad un balbettio incerto, contraddittorio, altalenante, punitivo, ideologico, dentro il Governo e dentro i singoli schieramenti, che hanno prodotto sinora un topolino di soluzione. Più della metà di quelle 130 milioni di ore, che grazie ai voucher, nel 2016, divennero regolari, oggi sono fuori dal provvedimento stitico del vorrei ma non posso, del Governo della decrescita dignitosa. Insomma, anche per l'agricoltura, ma per il commercio ed i servizi, si perderanno circa 40.000 lavoratori, che, nella migliore delle ipotesi, diventeranno lavoratori in nero, in competizione con quegli immigrati irregolari che a Camere alterne provate a contrastare.
Ma veniamo ora ad un'altra norma. In questo caso, però, il tono deve essere più stentoreo, e anche più serio: dalle parti del Governo si dice che si fa davvero sul fronte della lotta alle dipendenze dal gioco d'azzardo. Forse. Nulla di più falso, nulla di più farisaico, nulla di più bugiardo. La norma sul divieto di pubblicità e quella sulle slot, come tutti sanno, come sanno tutti quelli che studiano questa materia - che studiano questa materia - e devo dire come riferisce anche la vostra relazione tecnica, dirotterà semplicemente volumi di gioco, peraltro residuali, verso quelle sale gioco (5.000 mini casinò) contro le quali a parole pure vi accanite. Ma non solo! La compulsione, ove vi sia, sarà consentita non solo nelle sale da gioco, dove addirittura si paventa anche il riciclaggio, come viene rilevato dall'UIF della Banca d'Italia, ma anche con l'acquisto dei Gratta e Vinci, che a questo punto - devo immaginare - sono la cifra etica di questo Governo. Va bene il gioco compulsivo, voi dite in buona sostanza; anzi, meglio che ci sia, a condizione che a vendere quel gioco, a vendere quel prodotto e a guadagnarci tanto sia quello Stato che combatte a furia di slogan e dichiarazioni tanto roboanti da sembrar vere la ludopatia. Da questo punto di vista, il provvedimento della dignità nella povertà premia lo Stato casinò, i banchi delle organizzazioni criminali nazionali e le piattaforme digitali delle grandi organizzazioni clandestine dei giochi online. Complimenti davvero!
E veniamo ad un altro tema, che sottopongo alla vostra - vedo - distratta, parziale e superficiale attenzione. Mi riferisco ad un tema che indicherei con l'espressione “chi figli e chi figliastri”. Presidente, il Governo ci ascolta?
PRESIDENTE. Continui. La sta ascoltando, il Governo. Prego.
PAOLO RUSSO (FI). Mi pare che si rivolgeva a lei, il Governo.
PRESIDENTE. Il Governo sta prendendo appunti e la ascoltando. Prego, prosegua.
PAOLO RUSSO (FI). Una disparità senza ragioni e senza dimensioni, che davvero rischia di alimentare una sorta di disturbo sociale da diseguale trattamento. Il decreto affronta, seppure in modo parziale, la vicenda kafkiana dei diplomati magistrali retrocessi da una sentenza del Consiglio di Stato, e non si perita di affrontare altre questioni che rappresentano la faccia peggiore di uno Stato burocratico ed inefficiente, confliggente ed incapace di procedure certe nella selezione del personale, ma soprattutto incapace nel garantire un percorso ordinato nella formazione dei suoi migliori docenti. Parlo della vicenda che riguarda qualche migliaio di docenti su tutto il territorio nazionale. Se vi fosse stato qui il Ministro Di Maio, gli avrei ricordato come molti di quei docenti sono della sua regione; giovani, sempre meno giovani, già docenti precari, risultati idonei al concorso docenti del 2016 a seguito della loro ammissione all'espletamento delle prove concorsuali in forza di specifica ordinanza cautelare del Consiglio di Stato. A distanza di due anni, diversi uffici regionali scolastici competenti per territorio non hanno ancora provveduto all'immissione degli idonei nelle graduatorie di merito. Ebbene, nonostante i giudici del supremo organo amministrativo abbiano disposto la sollecita fissazione della trattazione del merito di primo grado, a tutt'oggi, trascorsi due anni dalla presentazione del ricorso, il TAR non ha ancora fissato l'udienza per la trattazione del merito. È opportuno evidenziare che la discrezionalità dei vari uffici regionali scolastici presenti sul territorio nazionale si è atteggiata in modo diseguale rispetto all'inserimento in graduatoria, che è stato disposto solo in alcune regioni. In effetti, la mancanza di un indirizzo univoco da parte del Ministero ha creato, per i vincitori delle prove suppletive, destini differenti, con la conseguenza che la provenienza regionale è diventata il discrimine tra l'essere ammessi in graduatoria o meno.
Una sorta di roulette delle immissioni: a fronte di situazioni analoghe vi è stata una irragionevole diversità di trattamento, in violazione dei principi fondamentali di eguaglianza, di parità di trattamento, e sta dando origine ad un costoso ed inutile fronte di contenzioso contro il Ministero che, da un lato, comporta inutili costi per l'amministrazione pubblica, dall'altro costringe cittadini già docenti precari al servizio dello Stato a sostenere ulteriori oneri a tutela di un diritto conseguito con il superamento di un concorso pubblico. Tali docenti, avendo superato le stesse prove concorsuali di coloro che hanno avuto libero accesso al concorso, hanno infatti dimostrato di avere le competenze richieste per l'esercizio della professione; anzi, considerato il naturale pregiudizio verso i candidati ricorrenti, si può sostenere che i medesimi abbiano dovuto sostenere un concorso finanche più rigoroso.
Il fronte dei contenziosi attivati vede come parte attrice docenti precari sprovvisti del titolo abilitante, erroneamente preteso nel bando di concorso; ed in particolare, Presidente, docenti in possesso di abilitazioni conseguite in altro Paese europeo, laureati con dottorati di ricerca e non che non hanno avuto la possibilità di accesso ai corsi abilitanti, laureati muniti di diploma conseguito prima del 2003-2004. Che l'abilitazione all'insegnamento non rappresenti in alcun modo un presupposto necessario ed indefettibile per lo svolgimento della funzione docente è evidente, sicché risulta del tutto irragionevole e sproporzionata la preclusione a prendere parte alle operazioni ordinarie di reclutamento al fine di poter stabilizzare la posizione lavorativa. Si tratta di principi espressamente previsti anche dalle direttive comunitarie recepite dal legislatore nazionale, in virtù dei quali l'accesso ad una professione può essere subordinato al conseguimento di specifiche qualifiche che possono consistere alternativamente in un titolo di formazione, ossia un diploma, un certificato e altro titolo comunque rilasciato da un'autorità pubblica che sancisca la formazione professionale acquisita, ovvero in una determinata esperienza lavorativa.
Il diritto all'esercizio della professione scaturisce non certo da tali errate procedure, quanto piuttosto dal possesso di idoneo titolo di accesso conseguito secondo le vigenti disposizioni di legge. Con riferimento a coloro che hanno conseguito il diploma di laurea prima degli anni 2003-2004, direi che negli stessi termini si è pronunciato anche il giudice amministrativo, che nel ricostruire il quadro giuridico normativo inerente al sistema di reclutamento ha avuto modo di esprimersi in ordine alla richiamata disciplina transitoria. In diverse pronunce la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, in base al citato decreto ministeriale, il possesso dalla corrispondente abilitazione costituisce titolo di ammissione ai concorsi a cattedra, mentre solo per coloro che abbiano conseguito la laurea nell'ormai trascorso periodo transitorio si prescinde dal possesso dell'abilitazione. Tali prescrizioni sono coerenti col nuovo sistema della prescritta abilitazione all'insegnamento e con il regime transitorio relativo, che non è applicabile solo al primo concorso dopo il passaggio al sistema di abilitazione all'insegnamento, ma anche a tutti i concorsi successivi.
Ma anche il mancato riconoscimento da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del titolo abilitante conseguito in altro Paese europeo è un tema da dirimere in sé, ed anche in questa vicenda concerne un'annosa questione a tutt'oggi irrisolta: il sistema di reclutamento per la classe docente come fino ad oggi concepito, a causa della continua opera di maquillage normativo da parte di un indirizzo politico spesso strabico, non ha garantito agli aspiranti docenti certezza e affidamento. A fronte di tali disfunzioni del sistema, solo il legislatore, solo noi si può e si deve intervenire per porre rimedio ai danni causati ad una classe docente portata sin qui allo sbaraglio. Un intervento riparatore del legislatore renderebbe effettivo il principio più importante della Costituzione, il più impegnativo: il principio di eguaglianza.
Se proprio vogliamo essere precisi, si dovrebbe ragionare sulla circostanza, cioè, se i laureati siano o meno ritenuti idonei dall'attuale normativa a sostenere le supplenze, acquisendo così la qualifica di docenti precari, il che vuol dire che il legislatore li ha ritenuti già di fatto abilitati all'insegnamento; per i laureati che vantano dottorati di ricerca o un percorso di formazione post-laurea che consta di esami universitari aggiuntivi, che pur esulando dal proprio piano di studi si rendono necessari per l'accesso al concorso a cattedra, visto l'attuale accorpamento delle cattedre, o ancora per i laureati già docenti precari che non hanno potuto sostenere i corsi per l'abilitazione in quanto banditi per la loro classe di concorso; è vero che soltanto l'autorità giudiziaria può dichiarare nulle le clausole di quel bando, ma è pur vero che nelle more dei tempi giudiziari questi docenti, che prestano servizio per la scuola italiana con le loro supplenze, hanno superato delle prove concorsuali rigorose, dimostrando quindi di possedere le competenze richieste, e ciò nonostante continuano ad essere maltrattati anche nella loro dimensione di persona.
Il bando sarebbe illegittimo, dice il Consiglio di Stato, se per una specifica classe di concorso non fossero stati predisposti i percorsi formativi: si tratterebbe infatti di una clausola ad excludendum, perché alcuni laureati non sono stati mai messi nelle condizioni di partecipare a quel concorso. Per il Consiglio di Stato, quindi, in sostanza va accertato se i concorrenti avessero avuto la possibilità di formarsi prima di quel concorso.
E veniamo ad un'altra questione, che sul piano del principio di eguaglianza ha il medesimo valore, ed interessa 759 aspiranti dirigenti scolastici, incappati nelle maglie di una burocrazia dispari, cieca e bieca: mentre i ricorsisti dei concorsi del 2004 e del 2006 hanno beneficiato della legge n. 107 del 2015, gli aspiranti dirigenti del concorso del 2011 che per varie ragioni hanno un contenzioso aperto con il Ministero, pur se hanno superato la prova selettiva (taluni hanno superato anche le prove scritte), non hanno chissà perché potuto beneficiare di questa norma, che peraltro consentirebbe di evitare la pratica delle dirigenze a scavalco e libererebbe oltre 700 cattedre disponibili per quei necessari inserimento e stabilizzazione di docenti precari in attesa eterna. Insomma: anche in chiave giallo-verde, come quando le bandiere del Governo erano rosse, non si comprende la ragione di una discriminazione per la quale persino la Corte costituzionale è stata investita, come utilmente sollecitato dal Consiglio di Stato.
E poi: e poi, Presidente, per non farci mancare nulla vi è la vicenda dei 53 aspiranti dirigenti scolastici che hanno superato tutte le prove tranne la preselettiva del 2011, quindi tutte le prove successive, ed anch'essi discriminati ed abbandonati. Uno Stato patrigno, un Governo facile nelle promesse: ricordatevi questi incontri che avete fatto in campagna elettorale, ricordateveli tutti, soprattutto quelli fatti in Campania; e dimentico nelle azioni: un comportamento illogico e dannoso per i cittadini, per l'amministrazione e per il buon esercizio delle attività formative.
Proveremo in queste ore a convincervi dell'opportunità di non convertire questo decreto-legge “povertà Italia”. Ma se proprio vi siete intestarditi nel tentativo farlocco di rincorrere in chiave di marketing la evidente prevalenza mediatica di Salvini e della Lega, allora perlomeno sistemate queste vicende, provate a dare giustizia, a rendere ragione della logica e del buon senso. Provate, sforzatevi, ricordatevi degli impegni assunti in campagna elettorale! E se proprio non ce la fate, fatevele spiegare queste cose, quella necessità assoluta di approvare gli emendamenti che abbiamo presentato, che abbiamo ripresentato per l'Aula, per far sì che un decreto-legge di cui vergognarsi rimanga pur sempre un decreto-legge “povertà”, ma con una palese attenzione a chiudere una stagione di discriminazioni e sperequazioni, queste sì insopportabili. Presidente, ogni giorno, ogni ora, in ogni scuola di ogni ordine e grado, ci sarà la testimonianza tangibile del vostro modo raffazzonato e imprudente di governare, rendendo chi figlio e chi figliastro. Ecco, ho il dubbio, concludendo: come chiamare questo decreto-legge? Figlio dell'ingiustizia o padre della povertà? In ogni caso, un errore e una vergogna (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Lorenzoni. Ne ha facoltà.
EVA LORENZONI (LEGA). Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge che quest'Aula si accinge ad esaminare ed approvare rappresenta il primo importante provvedimento di questo Governo, della cui maggioranza sono orgogliosa di far parte. È un provvedimento corposo, che interviene in diversi ambiti e materie: dalla lotta alla precarizzazione alla lotta alla ludopatia, passando per il contrasto alla delocalizzazione selvaggia e la regolamentazione di specifiche figure professionali in ambito scolastico.
Ma il leitmotiv che li accomuna è la tematica del lavoro, del lavoro dignitoso e della dignità del lavoratore. E a chi ci attacca dicendo che con la reintroduzione dei voucher lediamo la dignità del lavoratore, rispediamo al mittente le paternali ricordando che il pasticcio voucher è stato compiuto dal precedente Governo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier e MoVimento 5 Stelle). Lo strumento dei buoni lavoro, infatti, voglio ricordare che era stato introdotto nel 2003 con la cosiddetta riforma Biagi per facilitare, da un lato, e regolarizzare, dall'altro, il ricorso a prestazioni di lavoro occasionale. Il loro utilizzo era riservato a specifici settori e platee di soggetti. È stato il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, uno dei tanti attuativi della riforma cosiddetta del Jobs Act, che, sostituendo integralmente la disciplina previgente in materia di prestazioni di lavoro accessorio, ha di fatto ampliato il campo di applicazione del contratto di lavoro accessorio al contratto di lavoro non più meramente occasionale contendendo il ricorso in tutti i settori produttivi, a tutti i committenti e per tutti i lavoratori. Ciò ha fatto registrare un'impennata nell'utilizzo dei voucher: pensate che solo nel primo semestre del 2016 erano stati acquistati quasi 70 milioni di buoni lavoro contro i quasi 50 milioni della prima metà del 2015 e i quasi 30 milioni dello stesso periodo del 2014 al punto che lo stesso Governo Renzi è dovuto intervenire con un correttivo al proprio provvedimento per arginarne l'uso da parte di imprenditori non agricoli e professionisti. Accadde poi che si concretizza il referendum abrogativo indetto dalla CGIL e sempre il Governo, divenuto nel mentre Governo Gentiloni, per paura di subire un'altra batosta come quella del 4 dicembre sul referendum costituzionale, vara un decreto-legge abrogativo dei voucher tout court senza prevedere alcun regime transitorio e senza alcuna preoccupazione del vuoto normativo che avrebbe creato per tutti gli utilizzatori che, alla data di entrata in vigore di quel decreto-legge, il 17 marzo 2017, avevano già acquistato i buoni lavoro. Paradossalmente il precedente Governo abrogava una norma abusata e di cui lui stesso aveva contribuito ad abusare per poi tornare ancora una volta sui propri passi, smentire ancora una volta il proprio operato con il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 che ha sdoppiato il lavoro accessorio in due parti: il contratto di prestazione occasionale per i committenti esercenti attività imprenditoriale, commerciale o istituzionale ed il libretto di famiglia per i committenti persone fisiche, uno troppo limitato e l'altro troppo complesso ed eccessivamente burocratico.
Con l'emendamento al testo approvato durante l'esame nelle Commissioni di merito, fortemente voluto dalla Lega e condiviso dai colleghi del MoVimento Cinque Stelle si è soltanto voluto migliorare il pasticcio targato PD, rispondendo ad una richiesta di taluni specifici settori come quello agricolo, quello alberghiero e turistico-ricettivo senza voler danneggiare il lavoratore che altrimenti sarebbe a rischio di cadere nel sommerso. Si è voluto, quindi, prevedere la possibilità di ricorso alla prestazione di lavoro occasionale per l'imprenditore agricolo, l'azienda alberghiera o la struttura ricettiva che opera nel settore del turismo che ha alle proprie dipendenze fino a otto dipendenti ed un ampliamento dell'utilizzo per questi settori nonché per gli enti locali dell'arco temporale di riferimento della durata della prestazione da tre a dieci giorni. Da amministratore locale ci tengo a sottolineare che tale modifica è di estrema rilevanza per i comuni per i quali i voucher rappresentano un importante strumento di aiuto in campo sociale in quanto consentono di aiutare i propri cittadini in difficoltà economiche, affidando loro lavoretti saltuari ma regolarmente retribuiti nonché a garantire piccoli servizi alla comunità. Il vigente sistema di prestazione occasionale che aveva sostituito i voucher al lavoro era risultato in effetti troppo rigido e complesso per i comuni da parte dei quali non si corre alcun rischio di abuso, atteso che gli stessi in quanto enti pubblici devono rendicontare ogni uscita in modo trasparente e lineare. Sempre con riguardo alle prestazioni di lavoro occasionale si è poi previsto che, ai fini del computo del limite dei compensi per ciascun utilizzatore e con riferimento alla totalità dei prestatori, 5.000 euro nel corso di un anno civile, i compensi per prestazioni di lavoro occasionale rese da determinati soggetti sono considerati nella misura del 75 per cento del loro importo purché i prestatori autocertifichino la propria condizione all'atto della registrazione presso la piattaforma informatica INPS. Con riguardo al settore agricolo è stato introdotto l'obbligo per il prestatore di autocertificare la non iscrizione nell'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli. Per semplificare poi si dispone che, ferma restando la responsabilità dell'utilizzatore, ciascuno utilizzatore possa versare le somme dovute per l'attivazione del contratto di prestazione occasionale anche attraverso un consulente del lavoro. Inoltre viene specificato che l'1 per cento degli importi versati è destinato al finanziamento degli oneri gestionali a favore dell'INPS e per l'imprenditore agricolo viene esclusa l'applicazione della sanzione prevista in caso di violazione accertata di uno dei divieti di ricorso al contratto di prestazione occasionale nel caso in cui la suddetta violazione derivi da informazioni incomplete e non veritiere contenute nelle autocertificazioni rese da talune tipologie di prestatori (titolare di pensione di vecchiaia o di invalidità, giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi, disoccupati o percettori di prestazioni integrative del salario, del reddito di inclusione, REI, ovvero di altre prestazioni di sostegno al reddito).
L'altro pasticcio operato dal precedente Governo con la cosiddetta buona scuola e che tentiamo di risolvere con il provvedimento in esame, riguarda la vicenda delle diplomate magistrali. La modifica apportata nel passaggio in Commissione all'articolo 4 del decreto-legge oggi al nostro esame intende proporre una soluzione ad una vertenza che si trascina da anni, riguardante gli insegnanti della scuola primaria con diploma magistrale i quali, dopo la sentenza del Consiglio di Stato del dicembre scorso, hanno rischiato di essere esclusi dalla graduatoria per il ruolo e, quindi, di non poter più insegnare il prossimo anno. La questione interessa circa 2.000 docenti senza laurea ma con il diploma che è stato considerato non abilitante per la cattedra di ruolo con la conseguenza dell'esclusione di questi insegnanti dalle GAE, graduatorie ad esaurimento, nelle quali erano stati iscritti precedentemente con riserva. In realtà senza l'intervento del decreto-legge dignità ad essere a rischio sarebbero stati molti più posti di lavoro: con l'arrivo nei prossimi mesi delle sentenze da parte dei giudici del lavoro e dei TAR il posto sarebbe stato a rischio per 10.000-15.000 diplomati magistrali e tra questi ci sono 5.665 persone già di ruolo che negli anni hanno maturato anzianità ed esperienza e spesso si sono trasferiti da una regione all'altra del Paese sacrificando la loro vita familiare. Il problema si è sedimentato negli anni perché in passato l'ordinamento scolastico prevedeva l'abilitazione necessaria per l'accesso ai concorsi e per il ruolo della scuola elementare, oggi primaria, si acquisisse con il diploma abilitante alla fine del percorso di studi degli istituti magistrali. Con la legge 3 maggio 1999, n. 124, approvata quando era Ministro dell'Istruzione Berlinguer, Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico, si modificava tale situazione introducendo le graduatorie permanenti e il cosiddetto doppio canale. Tali graduatorie dovevano essere utilizzate per l'assunzione ogni anno del 50 per cento dei posti disponibili per le immissioni in ruolo, mentre l'altro 50 per cento veniva preso dalle graduatorie dei concorsi. Per accedere alle graduatorie permanenti venivano richiesti i seguenti requisiti: 360 giorni di servizio e l'idoneità conseguita in un concorso riservato; successivamente con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, approvata quando era Ministro dell'Istruzione Fioroni, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, la legge finanziaria per 2007, si trasformavano le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, GAE, e derogando ai requisiti richiesti dalla legge n. 124 del 1999 veniva consentito l'accesso alle GAE a tutti gli abilitati anche quelli che non avevano acquisito tale abilitazione tramite concorso. Restavano invece esclusi dalle GAE i diplomati magistrali in possesso del diploma abilitante conseguito entro l'anno scolastico 2001-2002, nonostante il decreto interministeriale del 10 marzo 1997, con il quale si dava attuazione alla legge n. 341 del 1990 che sopprimeva gli istituti magistrali, all'articolo 2, comma 1, garantisse il valore abilitante dei diplomi magistrali per coloro che avevano frequentato i corsi iniziati entro l'anno scolastico 1997-1998 e per i titoli comunque conseguiti entro l'anno scolastico 2001-2002. I diplomati magistrali esclusi venivano dunque inseriti nella terza fascia delle graduatorie d'istituto senza quindi alcuna possibilità di essere immessi in ruolo: ad aggravare la loro situazione di precarietà vi è stato anche il fatto che, per oltre dieci anni, l'amministrazione non ha bandito concorsi. Tralasciando l'andirivieni di sentenze e ricorsi che si sono succeduti negli anni con decisioni spesso opposte, quando contro e quando a favore di questi docenti, non si può non rilevare quanto la problematica del riconoscimento del valore abilitante dei diplomi magistrali conseguiti entro l'anno scolastico 2001-2002 e l'inserimento in GAE sia stata resa inestricabile proprio per responsabilità precisa dell'amministrazione e della magistratura.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
EVA LORENZONI (LEGA). Mi avvio a conclusione. La situazione, infine, è precipitata con la sentenza 20 dicembre 2017 n. 11 in cui l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha definito la questione relativa alla legittimità o meno dell'inserimento in GAE dei diplomi magistrali conseguiti entro l'anno scolastico 2001-2002 e successivamente la trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie a esaurimento.
PRESIDENTE. Concluda.
EVA LORENZONI (LEGA). La giustizia amministrativa ha confermato la sua natura altalenante: infatti, dopo vari mutamenti positivi, ha emesso questa attesissima pronuncia che contiene un secco diniego all'inserimento in GAE. La sentenza del 20 dicembre avrebbe avuto le conseguenze di cancellare i contratti stipulati a tempo determinato con il conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori, una sentenza i cui effetti si sarebbero riversati….
PRESIDENTE. Deve concludere.
EVA LORENZONI (LEGA). …pesantemente sul diritto degli alunni alla continuità didattica e sull'assegnazione delle cattedre per il prossimo anno scolastico 2018-2019.
Con una situazione simile inestricabile per le molteplicità degli interessi contrapposti in gioco, il Governo ha cercato di trovare una soluzione il più possibile rispettosa di tutte le istanze, a tutela sì dei diritti dei docenti in possesso del diploma magistrale, ma che non vada in conflitto con i diritti aventi pari dignità degli altri insegnanti in possesso di una laurea o altri titoli abilitanti.
Concludo nella convinzione che questo decreto ridarà voce e dignità ai lavoratori, alle imprese e agli italiani, è da qui che parte il vero cambiamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Fragomeli. Ne ha facoltà.
GIAN MARIO FRAGOMELI (PD). Signora Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, questo decreto la settimana scorsa ha superato le pregiudiziali di costituzionalità. Ancora oggi, sentendo gli interventi, penso che siamo ormai alla parodia dei principi di necessità e urgenza.
In una situazione complessa come quella italiana, che ci ha visto lavorare negli ultimi due anni per risollevare il Paese economicamente e farlo uscire definitivamente da un rallentamento e dalla crisi economica, questo vostro primo provvedimento, questo primo provvedimento economico, in qualche modo, sembra non tanto rigettarci in un rallentamento, ma addirittura poter prevedere la stagnazione economica.
Lo dico perché il combinato disposto che abbiamo potuto rilevare negli articoli 5, 6 e 7, in qualche modo toglie spazio all'impresa italiana. Sembra quasi - permettetemi - che questo decreto sia un processo sommario all'imprenditore italiano, senza avere delle vere prove, ma solo con degli indizi: sono tutti, alla stessa stregua, trattati come coloro che fanno delocalizzazioni selvagge, non pensano all'occupazione in Italia, pensano ad acquisire contributi e aiuti per poi andare all'estero, temi che in qualche modo possono essere anche colti, raccolti, ma che non possono essere assolutamente standardizzati.
Nella scorsa legislatura, con il Piano Industria 4.0 abbiamo cercato di fare una rielaborazione complessa e un rilancio complessivo del sistema economico italiano. Lo abbiamo fatto mettendo assieme tutti gli elementi di un rilancio e della ripresa, lo abbiamo fatto con l'innovazione e la trasformazione digitale, per creare maggiore competitività nel sistema italiano, lo abbiamo fatto introducendo crediti per la ricerca e lo sviluppo, lo abbiamo fatto con modalità nuove anche di acquisizione del credito, quindi non limitandoci solo ed esclusivamente a quella che è una delle macro criticità italiane, cioè dipendere troppo dal sistema bancario e che in qualche modo abbiamo cercato di superare con l'introduzione dei PIR, con altre forme di finanziamenti a cui le imprese potevano appunto adire per investire. In parole povere, abbiamo cercato di internazionalizzare il sistema produttivo italiano, la politica ha costruito una sinergia forte con il sistema produttivo industriale italiano. E lo abbiamo fatto anche pensando al fatto che, per farlo, bisogna costruire le condizioni anche in una formazione permanente, siamo partiti dalla riforma della scuola, siamo partiti dall'alternanza scuola-lavoro e la abbiamo resa ancora più complessa nelle fasi successive. Abbiamo rigenerato un sistema formativo, che, in qualche modo, si coniugasse a un rilancio del sistema produttivo italiano.
E, invece, in questo decreto cosa scopriamo? Sfiducia assoluta nelle imprese italiane. Chi investe, chi addirittura acquisisce, con l'iper-ammortamento dei beni, anche i materiali, e ci siamo sforzati in Commissione di spiegarlo, ma come potete pensare che un'impresa che acquisisce un finanziamento e lo investe anche in beni materiali, in software, poi non possa, in un sistema di internazionalizzazione, utilizzarlo anche in imprese all'estero? Ma abbiamo capito che molti imprenditori italiani hanno investito all'estero anche per salvaguardare l'impresa italiana?
Io vengo dalla Brianza, vi posso fare l'elenco degli imprenditori italiani che hanno società all'estero, nell'est europeo e non solo, che hanno però consentito loro di mantenere lo stesso tasso occupazionale in Italia. L'hanno fatto grazie a questo, hanno creato delle economie di scala, hanno creato quel vantaggio competitivo che permette loro di competere con gli altri, questo hanno fatto molti imprenditori.
E vi è questo processo sommario, invece, all'impresa italiana, che non vede l'imprenditore illuminato italiano, ma vede solo esclusivamente imprenditori biechi, pronti ad investire. In Commissione mi è stato detto: abbiamo avuto il caso di alcune società che hanno delocalizzato 187 dipendenti su 250. E' vero, hanno delocalizzato in Europa, questo decreto tocca pochissimo rispetto a quello, a meno che non pensiamo che l'Italia, a un certo punto, che il nostro sistema abbia un ruolo pressoché bancario, cioè gli facciamo pagare l'interesse rispetto ad un prestito che abbiamo erogato.
Io penso che questo non sia lo scopo di erogare e dare aiuti alle imprese italiane, io penso che lo scopo di dare aiuti è quello di creare le condizioni perché la nostra impresa sia forte, perché la nostra impresa possa mantenere occupazione in Italia, perché la nostra impresa sia in grado di aumentare il suo export.
Perché, se noi siamo qui oggi e il nostro sistema ha retto la più grande crisi del secolo scorso, indubbiamente, rispetto a questo secolo e al secolo scorso, è stato possibile solo ed esclusivamente grazie all'aumento dell'export e noi questa cosa ce la dimentichiamo.
Ma il problema sta a monte: abbiamo pensato che punire i nostri imprenditori, in qualche modo, e generalizzando questa punizione, non tenesse conto del fatto che, in qualche modo, c'è una sorta di grandissima distinzione tra gli imprenditori. Io ho chiesto in Commissione: ma pensate che possiamo trattare le micro aziende come le macro aziende? Possiamo pensare che un'azienda di otto, dieci, dodici dipendenti, che magari per internazionalizzare apre una filiale in Olanda in attesa poi di svilupparsi, sia la stessa cosa di una società che ha più di 250 dipendenti? O che una società che fa utili sia uguale ad una società che fa perdite? Cioè, noi pensiamo che chi internazionalizza, di fronte ad una perdita, per mantenere la sua impresa, sia la stessa cosa di una società che, invece, fa utile e decide di delocalizzare? Questo è quello che pensiamo dell'impresa italiana? Questo è quello che pensiamo di coloro che danno lavoro e hanno sempre dato lavoro in Italia? Io penso che non stiamo facendo giustizia a chi crea lavoro in questo Paese e commettiamo un gravissimo errore da questo punto di vista.
E credo che le regole noi abbiamo cercato di cambiarle, lo abbiamo detto a più riprese, su tutte le questioni, anche su un tema che può sembrare per alcuni di voi secondario, ma per quanto riguarda l'attrazione degli investimenti, come possiamo pensare che, ad esempio, una piccola impresa che ha necessità del fondo di garanzia per poter investire, possa avere queste risorse nel momento in cui c'è qualcuno che può, a distanza di uno o due anni, toglierglielo perché fa una politica di internazionalizzazione? Come pensiamo di trattare tutti allo stesso modo? Abbiamo discusso tempo e tempo sull'agevolare le PMI e le microimprese e poi le trattiamo tutte allo stesso modo?
Bene, è questa logica, è questo provvedimento, che noi non condividiamo, questa logica di pensare appunto che ci siano i processi di massa, sempre e comunque, senza fare differenziazioni.
Invece questo Paese ha un sistema sano, di gente che sa investire, gente che vuole investire, ed ha la volontà anche di attrarre investimenti. Cosa faranno gli investitori esteri? Verranno qui, secondo voi, ad investire in una situazione così critica e difficile come questa? Io penso che stiamo ponendo veramente delle condizioni molto sbagliate e, siccome all'inizio parlavo di parodia del principio di necessità e urgenza, lo dico anche per quello che in qualche modo non c'è in questo decreto; perché, scusate, per quanto riguarda l'urgenza della proroga dello spesometro, sbugiardato da tutti gli interessati e da tutti gli esperti del settore, abbiamo scoperto che questo rinvio al 28 febbraio non esiste, perché se c'è la comunicazione trimestrale non c'è nulla che vieta che si passi ad una comunicazione semestrale e, conseguentemente, si arriva al 28 febbraio 2019 comunque. Perché abbiamo fatto questa proroga dello spesometro? Per che cosa? Con che finalità? Per dire che ci siamo occupati anche dallo spesometro, quando sappiamo che, invece, a normativa vigente - e non lo dice Gian Mario Fragomeli, parlamentare deputato del Partito Democratico, lo dicono le leggi vigenti, la legislazione vigente - è esattamente inutile? Questo è un decreto sull'inutilità, anche rispetto allo spesometro.
Ma il tema che ci preoccupa di più è che anche il Ministro in audizione è venuto a dire: no, ma noi con lo spesometro, con questa proroga, vogliamo chiarire che dal 1° gennaio 2019 dobbiamo introdurre la fatturazione elettronica. Bene! La fatturazione elettronica, anche questa - non lo dice il sottoscritto - è a legislazione vigente, l'abbiamo già introdotta: dal 1° gennaio 2019 questo Paese avrà la fatturazione elettronica. E, quindi, è implicito che l'introduzione della fatturazione elettronica comporti il superamento dello spesometro, perché è chiaro a tutti che, se c'è un sistema tracciabile con tutti i dati, con la fatturazione che appunto è una piattaforma digitale, non serve più mandare dei dati relativi alle medesime fatture ricevute o trasmesse, questo lo sa chiunque. Quindi, in qualche modo, ci aspettiamo una incentivazione, una voglia di portare avanti la fatturazione elettronica.
Poi nello stesso provvedimento, invece, ritroviamo che cosa? L'ennesima proroga della fatturazione elettronica per i carburanti. Qualcuno può dire “sì, ma è di nicchia”, ma per noi era importante - ce l'hanno detto le associazioni di categoria che sono venute in audizione - iniziare a sperimentare la fatturazione elettronica, la più grande rivoluzione digitale per la gestione delle imprese, perché attenzione, non è solo un tema fiscale, la fatturazione elettronica, non è un tema di contrasto all'evasione fiscale, certo che è fondamentale, ma è un tema di risparmio, è un tema di cambiamento nel flusso informativo fino al pagamento per un'impresa che rientra in un'era completamente digitale e risparmia.
Ci sono statistiche fatte dall'Osservatorio del Politecnico e da tutti quelli che volete voi che definiscono il risparmio per ogni società che passa alla fatturazione elettronica; questo è fondamentale, è il futuro, è uno dei pochi indicatori DESI, che, rispetto alla digitalizzazione delle nostre imprese, ci vede sopra la media europea e che dimostra che noi, davanti a questo processo della fatturazione elettronica, siamo partiti, nella scorsa legislatura, prima con le pubbliche amministrazioni e, adesso, volevamo completare, dal 1° gennaio 2019, il completo trasferimento a questa piattaforma digitale delle fatturazioni elettroniche.
Ci fa paura vedere che, a fronte delle parole di un Ministro in audizione che ci dice: insisteremo, poi, la prima vera sperimentazione viene ulteriormente prorogata. Perché noi abbiamo bisogno di misurarci, abbiamo bisogno di dare il tempo non solo a SOGEI, che fa le piattaforme di interscambio, ma abbiamo bisogno che le software house siano pronte, abbiamo bisogno di una sperimentazione che, nell'autunno, costruisca le condizioni e che non ci siano problemi per le società italiane, che possano avere quel risparmio, con la trasformazione della loro impresa, un risparmio economico effettivo, misurato, controllato e sperimentato prima del tempo, cosa che invece, in qualche modo, cerchiamo di non cogliere. Addirittura, anzi, non addirittura, sono dati importanti, si possono arrivare a risparmiare, nel ciclo produttivo complessivo, anche 65 euro per ogni impresa, risparmio sulle fatturazioni elettroniche.
Riprendo sempre la parodia di questo tema della necessità e dell'urgenza e la calo nel contesto, invece, dei contratti a termine, del tema del lavoro, di quello che, in qualche modo, è stato rivendicato come una grande rivoluzione, un grande processo di dignità del lavoro. La prima cosa che, in qualche modo, sento di dire, anche qui, rispetto alla necessità e all'urgenza è: partiamo dal presupposto che noi abbiamo aumentato la platea dei lavoratori, quindi, di coloro che lavorano in questo Paese, portandola a 23 milioni, ma, che, oggettivamente, i dati lo dicono, anche qui, l'Italia non è un Paese in particolare criticità rispetto alla media europea sul rapporto tra tempi determinati e tempi indeterminati. Nei Paesi dell'euro, noi siamo a 2,7 milioni, a circa 15 per cento, e siamo perfettamente nella media europea; siamo sotto la Francia, sotto i Paesi Bassi, sotto la Polonia, sotto la Spagna e, in alcuni settori, perché è giusto poi raffrontarlo anche rispetto ai diversi asset, come per la metalmeccanica, ad esempio, abbiamo un indicatore di lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato che, addirittura, vede davanti a noi Polonia, Germania, Francia e Spagna.
Quindi, da questo punto di vista, l'urgenza di un intervento di questo tipo non la vedo, a meno che non mi si spieghi che la necessità e l'urgenza erano di licenziare i lavoratori a tempo determinato dopo il dodicesimo mese. Invito i membri del Governo, per il suo tramite, Presidente, ad andare in giro per l'Italia in questi giorni, perché con la grande furbata dell'emendamento del 31 ottobre, girate, frequentate l'Italia, voi che siete in contatto con i cittadini e andate a vedere quante imprese stanno anticipando con contratti e con accordi sindacali le proroghe dei contratti a termine; in questi giorni, con il decreto che entrerà in vigore a pieno titolo, perché chiaramente, essendo un emendamento, dobbiamo aspettare la conversione in legge, vedremo, e, quindi, non ci stupiremo se il numero dei contratti cessati non sarà immediato, con la conversione in legge; ci vorrà magari qualche mese per vederlo, ma sarà molto pesante, perché, scaduto quell'anno di rinvio, non ci saranno altre strade, la proroga si farà adesso, entro il 31 ottobre, ci misureremo dal 31 ottobre in avanti, per vedere quanti contratti a termine, in qualche modo, verranno rinnovati.
Oppure, ci si dica che magari la necessità e l'urgenza erano di ridurre la NASpI, perché anche questo è un altro elemento non secondario, no? Si riduce il periodo lavorativo anche a tempo determinato e sapete quanta NASpI perdono i lavoratori con contratto a termine, portandola da tre a due anni? Hanno sei mesi in meno di tutela, sei mesi in meno di NASpI, sei mesi in meno per riformarsi e per trovare un altro posto di lavoro. Il passaggio da tre a due anni, premesso che bisogna vedere quanti faranno la proroga dal primo al secondo anno, porterà a una riduzione di questo tipo, perché il calcolo è presto fatto, sapete benissimo che l'indennità della NASpI segue la durata del contratto, fino a un massimo di lavoro di quattro anni; qui, chiaramente eravamo già a tre anni, scenderemo a due anni e, quindi, stiamo togliendo sei mesi di stipendio alle persone che, magari, vivono male e sono in difficoltà. Quindi, se la necessità e l'urgenza stavano da questa parte, allora, iniziamo a capirle, la necessità e l'urgenza.
Come sulle indennità di risarcimento, anche qui, per fortuna, c'è stato un nostro emendamento che ha chiarito che, quando si fanno i decreti per necessità e urgenza, non ci si deve occupare del 2033 o del 2027, perché anche le famose 36 mensilità sappiamo tutti che, essendo il Jobs Act a decorre dal 2015, le piene 36 mensilità di indennizzo partono dal 2033 e le cosiddette superiori a 24 dal 2025, di che cosa stiamo parlando? Abbiamo venduto i diritti dei lavoratori, abbiamo venduto nuove risorse dei lavoratori, a fronte di che cosa? A fronte di qualcosa che, forse, vedremo a regime nel 2033.
Per fortuna, con i colleghi della Commissione lavoro, abbiamo portato a casa un importante risultato che è oggi e che è nel processo di conciliazione con le 27 mensilità. Perché oggi bisogna occuparsi della crisi e della difficoltà dei lavoratori a tempo che vengono licenziati, cosa che, invece, non abbiamo registrato in questo decreto che, torno a dire, perde molti dei suoi punti di vista. Oppure, per finanziare questo decreto, era proprio necessario andare a tagliare e ridurre il Fondo per il finanziamento e la riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e le politiche attive? Cioè, tra tutti i fondi che dovevamo tagliare per finanziare questo decreto, abbiamo tagliato le politiche attive, cioè noi parliamo di dignità, quando non diamo la possibilità alle persone che devono reinserirsi e non trovano lavoro, tagliamo questo fondo. In una relazione tecnica si dice: sì, comunque, non inficia il processo di riformazione dei lavoratori. Ho capito, ma stiamo parlando di un decreto dignità e utilizziamo i fondi delle politiche attive per finanziare in qualche modo questo tipo di attività? Ma, anche questo non riesco a capirlo, da questo punto di vista.
Certo, abbiamo venduto, lo diceva qualcuno prima di noi, il tema, in extremis, degli under 35, quindi, della decontribuzione, ma, anche qui, noi l'avevamo già fatta, in modo anche molto più ampio, quindi, crediamo che l'intervento sui tempi indeterminati sia fondamentale e, quindi, non critico questo aspetto, se non nel fatto che, anche qui, per quella parodia che riprendo sempre della necessità e dell'urgenza, dico: ma avevamo proprio bisogno di infiocchettarla in questo decreto estivo, sapendo che, in qualche modo, è materia da legge di bilancio e, come sempre, essendo una proroga di una disposizione già nella legge di bilancio 2018 l'avremmo inserita nella legge di bilancio 2019? Era necessario infiocchettarlo, perché c'è il nulla in questo decreto, c'è il nulla; c'è la difficoltà oggettiva delle proroghe, oggettiva, c'è un'anticipazione che, grazie anche ai sindacati, con le imprese illuminate, quegli imprenditori che voi demonizzate, stanno chiudendo per mantenere una base di un certo tipo di gente che continua a lavorare, e ci sono cose che sono rimandate agli anni a venire. Lo stesso discorso, l'elenco, potrebbe continuare sullo split payment o su altri temi che abbiamo già affrontato in Commissione; guardate, si può dare il contentino alle singole associazioni di categoria, ma c'è il tema che l'Italia è in una situazione particolarmente critica per il tax gap sull'IVA; è un tema fondamentale sul quale bisogna intervenire. Noi abbiamo già fatto un intervento organico con il reverse charge, con lo split payment, con tutte le riforme che, in qualche modo, contrastano le frodi IVA, in particolare a livello comunitario e, quindi, da questo punto di vista, non capiamo adesso il voler tornare indietro, e intaccare, in qualche modo, le nostre entrate.
Ma voglio toccare, anche, il tema dei giochi, perché, anche qui, il protagonismo del Governo 5 Stelle-Lega è difficilmente percepibile, nel senso che, grazie ai colleghi delle Commissioni lavoro e finanza abbiamo, in qualche modo, costruito qualcosa che andasse oltre, permettetemi, lo slot della pubblicità, perché di slot si tratta, no? Di uno spazio, in qualche modo, costruito, pensando che rispondesse a tutte le esigenze di contrasto all'azzardopatia, ma la verità è che, se non fosse passato l'emendamento del Partito Democratico, che in qualche modo contrasta in modo pieno e forte, seppur tra un anno, l'abuso dell'utilizzo del gioco d'azzardo dei minori, che è uno dei temi principali, piuttosto che, in qualche modo, non sollecitassimo anche un contrasto alla forte distribuzione che, ancora, territorialmente c'è dei punti gioco, che sembrava una cosa che sentivamo solo noi….perché, oggettivamente, il Governo nel momento in cui ha detto, in modo molto chiaro, che non c'è più pubblicità, pensava di aver risolto un problema che, invece, è un problema molto, molto forte. Abbiamo parlato di un cambio totale, da questo punto vista, sui giochi, però, plaudiamo comunque ad un intervento in materia.
Mi avvio alla conclusione; io credo che, in qualche modo, voi che venite ascritti come populisti e sovranisti, siete stati bravi in campagna elettorale e siete bravi oggi con il decreto; abbiamo sentito la replica, ancora da propaganda elettorale, del Ministro; sapete aumentare le paure, confondere i dati reali con quelli percepiti, penso all'ambito dell'immigrazione, ma badate che sul tema dell'economia non sarà così per gli italiani.
Non riuscirete a fare percepire agli italiani quello che non gli entra in tasca. E noi saremo qui e saremo dagli italiani a dimostrare quanto le vostre politiche sono profondamente sbagliate per la ripresa e per il rilancio di questo Paese. Siamo sicuri che lo faremo capire agli italiani e che veramente verrete colpevolizzati. Quindi, questo è il primo vostro decreto, ma è un grande errore, sotto tutti i punti di vista, che non bada al Paese, che non bada ai lavoratori e che tanto più non bada alle imprese e al sistema economico italiano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Fidanza. Ne ha facoltà.
CARLO FIDANZA (FDI). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, membri del Governo, si può affrontare questo decreto da molti punti di vista. Partirei dal nome e partirei invitando il Governo a non giocare con i nomi roboanti, perché, dal “Salva-Italia” di Monti allo “Sblocca-Italia” di Renzi, diciamo che non ha portato molto bene. È presto trarre le conseguenze politiche, direi che non azzarderei ulteriormente. Invece, voi vi ostinate e noi diremmo: “lo chiamavano dignità”, citando un vecchio titolo di un film degli spaghetti-western all'italiana.
Ma, in realtà, questo, come giustamente ha detto Giorgia Meloni, non è un decreto dignità, è un decreto visibilità. È un decreto che nasce dall'esigenza del MoVimento 5 Stelle e del Vicepresidente Di Maio di recuperare un protagonismo, che l'attivismo dell'altro Vicepresidente del Consiglio ha oscurato per alcune settimane, ed è un provvedimento che ha come unico requisito di urgenza proprio la visibilità. Ma proprio per questo è diventato un provvedimento confuso e contraddittorio.
L'urgenza di visibilità porta questo decreto fuori da un disegno organico di politica economica, perché un disegno organico di politica economica si fa con le risorse e le risorse si decideranno con la legge di bilancio e sulla legge di bilancio si giocherà il futuro del vostro Governo, stretti come sarete tra le promesse assistenzialiste del MoVimento 5 Stelle, il vincolo del programma del Centrodestra, che ci auguriamo gli amici della Lega vorranno mantenere come propria bussola, e le esigenze di quello che ormai tutti chiamano il terzo partito della maggioranza, quello che fa da custode dei conti e dell'ortodossia eurocratica. Allora, siccome non avevate le risorse, avete agito sulla parte ordinamentale, avete agito sulle regole, ripercorrendo l'errore storico di chi pensa che il lavoro stabile e dignitoso si crei per decreto.
Avete previsto, ad esempio, la penalizzazione dello 0,5 per cento per ogni rinnovo dei contratti a tempo determinato. Poi avete capito che la cosa non avrebbe funzionato e avete ipotizzato un incentivo, che si sarebbe tradotto, nelle vostre intenzioni, nella non applicazione della penalità per le aziende che si fossero impegnate a stabilizzare. In pratica un non incentivo o, se preferite, una vera e propria presa in giro. Alla fine, messi alle strette da un mondo produttivo giustamente allarmato per queste misure vessatorie, avete lasciato la penalità, ma avete trovato quattro soldi per prorogare la norma voluta dal non rimpianto Governo Gentiloni, con la detassazione dell'assunzione degli under 35. Ma la risposta non può essere in questa misura, che certamente porta con sé una giusta risposta ai nostri giovani, ma porta con sé anche una poco giustificabile discriminazione nei confronti, ad esempio, di quei tanti ultracinquantenni, espulsi dal ciclo produttivo, che devono essere ricollocati, perché per loro, più che per altri, vale il tema della dignità.
La risposta, ancora una volta, non può che risiedere in un taglio generalizzato della pressione fiscale sul lavoro, sia sul lato dell'impresa che sul lato del lavoratore. Ma ancora una volta sarà in legge di bilancio che dovrete dimostrare di sapere dare risposte concrete in questa direzione. Nella mancanza di disegno organico, che ha trasformato questo decreto in una sorta di omnibus, rientrano anche le scelte della maggioranza che ha fatto sull'ammissibilità di alcuni emendamenti, come alcuni qualificanti emendamenti, presentati da Fratelli d'Italia, esclusi per estraneità di materia da un decreto in cui si parla di tutte le materie.
Fa specie, per esempio, pensare che non sia stata considerata una misura di contrasto al precariato, la risoluzione definitiva della vertenza che da anni coinvolge i nostri balneari e i nostri ambulanti investiti dalla direttiva Bolkestein. Cosa c'è di più precario della situazione di un piccolo imprenditore, che da anni non può fare investimenti, perché per un'errata applicazione di una folle direttiva europea rischia tra pochi mesi di perdere il lavoro di una vita?
Eppure, qualcosa di buono c'è o avrebbe potuto esserci in questo decreto. Mi riferisco in particolar modo al tema delle delocalizzazioni, perché, dopo anni di sbornia globalista, finalmente si comincia a mettere nel mirino una pratica che sta depredando il nostro sistema produttivo e sempre più spesso umiliando la dignità stessa del lavoro. Eppure, anche su questo ci saremmo aspettati di più. Manca tutta una parte che riguarda le delocalizzazioni per quelle aziende che non prendono contributi dallo Stato, in particolar modo per quelle che delocalizzano in altri Stati dell'Unione europea, che sono oggi la piaga maggioritaria, tra quelle che delocalizzano. Certo, mi si dirà, non siete stati voi a volere questo folle allargamento ad est dell'Unione Europea, che ha portato nell'Unione repentinamente Stati con sistemi economici e fiscali totalmente diversi dal nostro e che, essendoci nel frattempo noi vincolati alla moneta unica ed essendoci privati quindi della possibilità di svalutare la nostra moneta, porta con sé il dumping sociale, fiscale e salariale ovvero la svalutazione del lavoro.
E allora noi ci aspettiamo che il Governo, che la sinistra taccia di sovranismo ad ogni piè sospinto e che invece noi giudichiamo ancora troppo timido nella difesa dell'interesse nazionale, si dimostri autenticamente sovranista e vada a rivendicare in Europa la necessità di porre fine al dumping interno all'Unione europea, a maggior ragione se questo si realizza grazie all'utilizzo di fondi strutturali europei, che spesso vengono utilizzati per concedere incentivi fiscali e attrarre quindi le nostre imprese con soldi anche degli italiani.
Giudichiamo incomprensibile anche l'inammissibilità degli emendamenti di Fratelli d'Italia su altri due temi centrali. Come si può pensare che sia estranea alla materia la possibilità di introdurre incentivi per le aziende che adottano modelli partecipativi, modelli che rafforzino il legame tra il capitale e lavoro, tra gli imprenditori e i dipendenti, responsabilizzandoli e legandoli indissolubilmente in un destino comune? Soltanto una svolta partecipativa consente di dare vera dignità al lavoro e di legare l'impresa al territorio, arginando le delocalizzazioni.
E come si può pensare che sia estranea la materia della necessità di legare l'utilizzo del brand del made in Italy alle aziende che investono e producono in Italia, evitando la paradossale situazione che venga venduto come made in Italy ciò che è prodotto da aziende ex italiane che hanno delocalizzato? Ecco, noi ci auguriamo che questa vostra indisponibilità a discutere di questi argomenti non sia la vostra risposta definitiva e che nei prossimi passaggi, magari già negli emendamenti in Aula, ci sia la possibilità di recuperare contenuti e proposte, che in teoria non dovrebbero essere lontani anche da una vostra comune sensibilità.
In conclusione, Presidente, noi di Fratelli d'Italia siamo preoccupati. In questi giorni è sembrato palesarsi un pactum sceleris tra i partiti della maggioranza, che si dividono gli ambiti di intervento, senza quasi mai interferire gli uni con gli altri. Se da un lato questo sta producendo qualche evidente passo avanti sul tema del contrasto all'immigrazione incontrollata, dall'altro lato questo ha prodotto una pericolosa deriva a sinistra sulla politica economica, ormai appaltata al MoVimento 5 Stelle. Noi - e lo diciamo chiaro anche agli amici della Lega - saremo i garanti degli impegni che insieme abbiamo assunto verso gli oltre 11 milioni di italiani, che il 4 marzo hanno dato fiducia al Centrodestra. Lo hanno fatto chiedendoci, sì, più sicurezza, ma anche più lavoro e meno pressione fiscale e noi non lo dimentichiamo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Grimaldi. Ne ha facoltà.
NICOLA GRIMALDI (M5S). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi e rappresentante del Governo, negli ultimi anni sono state tante le storie di azzardopatia salite agli onori della cronaca. Si tratta di un fenomeno in preoccupante crescita nel nostro Paese e che coinvolge, in particolare, persone in condizioni di marginalità sociale ed economica. Il gioco d'azzardo patologico è un disturbo del controllo degli impulsi, che compromette le attività personali, familiari e lavorative. Tale patologia si trova, dunque, nell'area delle dipendenze, data la sua somiglianza con altre dipendenze, come quelle da alcol e da altre sostanze.
Per la precisione, in clinica, il disturbo non viene più definito gioco patologico, ma gioco problematico. Esso è caratterizzato dall'incapacità di resistere al desiderio di scommettere e di cimentarsi in giochi nei quali vi sia la possibilità teorica di guadagnare molto, affrontando un rischio relativamente modesto o comunque accettabile, in relazione alla singola perdita.
Nel 2017, secondo dati dell'Agenzia dei monopoli relativi al 31 dicembre del medesimo anno, il gioco d'azzardo ha raggiunto l'esorbitante fatturato di 102 miliardi di euro, circa 7 miliardi di euro in più rispetto all'anno precedente.
Il gioco d'azzardo è una condizione sociale che evidenzia in maniera palese il distacco netto che vi è stato per anni tra i cittadini e lo Stato. È importante ricordare che dagli anni Novanta in poi tutti i Governi hanno costantemente introdotto nuove offerte di gioco d'azzardo pubblico, contribuendo a rendere l'azzardo una vera e propria piaga sociale.
Sono fermamente convinto che sia arrivato il momento di dire “basta” a questo scempio ed è quindi fondamentale iniziare a portare a termine il riordino complessivo della materia del gioco d'azzardo, al fine di migliorare la qualità della vita dei nostri concittadini. Perché, voglio ricordarlo a me stesso, signor Presidente, e alle colleghe e ai colleghi qui presenti, noi siamo tenuti a tutelare tutte le persone che sono fuori da quest'Aula, come ci ricorda la nostra Carta costituzionale all'articolo 32, che cito testualmente: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
È da ritenersi di fondamentale importanza, perciò, agire a livello normativo per cambiare la rotta, limitando la ormai onnipresente pubblicità sul gioco d'azzardo e coprendo le minori entrate fiscali per lo Stato con una maggiore tassazione del gioco stesso, il cosiddetto Preu.
L'intervento sul gioco d'azzardo non ha solo le finalità appena espresse, eticamente sacrosante, ma anche un obiettivo di natura macroeconomica: contribuirà, infatti, a far transitare i 102 miliardi di fatturato annuo dalle società private del gioco d'azzardo all'economia reale. Ogni euro tolto all'azzardo è un euro che molto probabilmente finirà nelle tasche di commercianti e venditori al dettaglio, alimentando quel circolo virtuoso di domanda e profitti di impresa di cui abbiamo grande bisogno.
Infine, c'è il tema delle organizzazioni criminali, che, come ricordano l'Antimafia e le ultime inchieste, sono entrate nel gioco legale. Andando a regolamentare in maniera più restrittiva il gioco d'azzardo, contrasteremo anche la criminalità organizzata.
Ma ci tengo a dire che non finisce qui, perché il contratto di Governo parla chiaro: dopo il divieto assoluto di pubblicità e sponsorizzazioni e l'introduzione dell'obbligo di utilizzo della tessera sanitaria per prevenire l'azzardo minorile, si procederà con la trasparenza finanziaria per le società dell'azzardo, con una strategia d'uscita dalla machinegambling con forti limitazioni alle forme d'azzardo con puntate ripetute, con l'imposizione di limiti di spesa e con la tracciabilità dei flussi di denaro, per contrastare sia l'evasione fiscale sia le infiltrazioni mafiose.
Infine, è necessaria una migliore regolazione del fenomeno attraverso strumenti quali l'autorizzazione all'installazione delle slotmachine o videolottery solo in luoghi ben definiti, né in bar né all'interno di distributori, con limitazioni di orario di gioco e l'aumento della distanza minima dai luoghi sensibili come scuole, centri di aggregazione giovanile e luoghi di culto.
Ci siamo sentiti dire per anni che era in corso una lotta serrata contro l'azzardopatia, e che lo Stato avrebbe aiutato i cittadini ad uscire da questo incubo, ma alle parole non seguivano mai i fatti concreti, e i dati che oggi ho sinteticamente presentato lo confermano.
Nel primo decreto di questo Governo, invece, siamo passati subito all'azione.
Pertanto, chiedo a tutti coloro che hanno a cuore ciò che ho precedentemente esposto di accogliere positivamente il decreto, affinché per la prima volta venga davvero garantito il diritto alla salute degli italiani e ad un gioco sano e responsabile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Scoma. Ne ha facoltà.
FRANCESCO SCOMA (FI). Presidente, onorevoli colleghi, componenti del Governo, intraprendere una battaglia ideologica contro il lavoro dipendente a tempo determinato, come sta facendo questo Governo con il “decreto dignità”, va contro non solo la logica di un mercato del lavoro dove domanda e offerta si stanno bilanciando nei settori più dinamici in una fase di ripresa dell'economia, ma anche contro una realtà che si scontra con i numeri.
I numeri dicono che in Italia non esiste un'emergenza grave del lavoro a termine, ma che è cresciuto, in contemporanea con la ripresa dell'economia, in modo fisiologico e in parallelo a quello del tempo determinato.
Applicando queste misure si frena l'occupazione e la ripresa, e si dà un pessimo segnale agli investitori e anche alla Commissione europea.
Secondo l'Eurostat, nel 2017, i dipendenti a tempo determinato tra i 15 e i 64 anni erano 2,7 milioni, in Italia, mentre la percentuale dei dipendenti a termine sul totale dei dipendenti è tra le più basse in Europa, pari al 15,5 per cento, contro il 16,8 della Francia, fino a salire a quella del 26,8 della Spagna. La media dell'Eurozona, pari al 16,1 per cento, è principalmente abbassata dalla Germania, che con il 12,9 per cento presenta una percentuale inferiore di 2,5 punti rispetto a quella dell'Italia. La quota di dipendenti a termine di cittadinanza italiana sul rispettivo totale dei dipendenti italiani scende poi al 14,9 per cento, contro valori sensibilmente più alti in molti degli altri Paesi sopra citati.
In numeri assoluti, l'Italia mostra un numero di dipendenti a termine, nei diversi settori di attività economica, quasi sempre più basso, e talvolta di molto, rispetto agli altri maggiori Paesi dell'Unione europea, con le sole esclusioni dell'agricoltura e del turismo, settori nei quali il nostro Paese, anche a causa della sua marcata specializzazione, è secondo dietro la Spagna, che ne ha rispettivamente 303 e 520 mila.
Questi dati certificano come la mancanza di flessibilità di fatto pone i presupposti di una maggiore disoccupazione, perché porta molte aziende ancora in difficoltà a chiudere i battenti.
È un errore, in un momento di crisi da cui non siamo ancora usciti, creare ulteriori disagi.
Nel settore manifatturiero è, invece, prima per dipendenti a termine la Germania, a seguire Francia e Spagna; molto più staccata L'Italia, che pure è la seconda potenza manifatturiera del continente. Quindi, l'Italia è in fondo alla classifica delle big europee dei dipendenti a termine anche nel settore delle costruzioni, dove prima è la Spagna, seguita da Francia e Germania. Stessa cosa nel commercio: l'Italia è sempre ultima tra le cinque grandi economie considerate, dopo Germania, Spagna e Francia.
Italia quindi fanalino di coda, idem nei trasporti, come nell'informazione e nelle comunicazioni, nel settore bancario e nel settore assicurativo, nelle attività professionali e scientifiche, nelle attività amministrative e di servizi alle imprese.
Il copione ovviamente si ripete tale e quale nel settore pubblico. Nella pubblica amministrazione e nella difesa, i dipendenti a termine sono 69.000 in Italia, contro i 370.000 della Francia, i 229.000 della Spagna e 351.000 della Germania. Stessa cosa nella sanità, dove prima è la Germania, seguita da Francia e Spagna.
Rispetto al 2008, cioè l'anno precedente l'inizio della lunga crisi, nel 2017 i dipendenti a termine tra i 15 e i 64 anni risultano aumentati in Italia di 434.000 unità, ma quasi i tre quarti di questa crescita è interamente spiegata da soli tre settori, i quali, con il loro dinamismo, ci hanno portato fuori dalla crisi stessa, cioè agricoltura, manifatturiero, turismo e ristorazione. E nei primi cinque mesi del 2018 il numero dei contratti a termine che sono stati trasformati in contratti a tempo indeterminato è aumentato del 45 per cento, rispetto ai primi cinque mesi del 2017, passando, su base annua, da circa 95.000 a 150.000.
Questo momento dimostra che il contratto a termine, da poco introdotto in Italia, ma mano che viene applicato, tende a generare più contratti a tempo indeterminato. Il “decreto dignità” blocca i meccanismi virtuosi del mercato, perché è basato sul principio di ridurre la durata dei contratti a termine mediante divieti o rinnovi, aumenti dei contributi sociali e l'inserimento di clausole causali per giustificare i rinnovi, che si prestano a contenziosi costosi e rischiosi per le imprese. Il primo provvedimento legislativo del nuovo Governo è più un manifesto elettorale che una riforma in grado di incidere sulla vita delle imprese e dei lavoratori, tanto che il suo obiettivo principale sembra quello di dare soddisfazione agli elettori del MoVimento 5 Stelle, ai quali si era promessa una guerra a tutto campo contro il precariato.
Non segnerà neanche un aumento delle assunzioni a tempo indeterminato, a causa dell'aumento pari al 50 per cento dell'indennizzo già previsto dal JobsAct.
Agli esponenti della maggioranza dico: non sarebbe stato più onesto e dignitoso ammettere che non esistono ricette magiche per migliorare la vita degli italiani, che la situazione dei conti pubblici è molto delicata e non consente interventi dissennati? Siamo stanchi di sentirvi giocare con le parole per trasformare la realtà.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO (ore 18,40)
FRANCESCO SCOMA (FI). Questo tipo di politica, che avete ridotto ormai a sceneggiata, può dare qualche soddisfazione momentanea, ma a lungo andare non farà che peggiorare la situazione. Questo decreto sarà un autogol pazzesco.
Questo provvedimento segna uno spartiacque nella vita del Parlamento: sarà la prima volta che le Camere approveranno un provvedimento di espulsione dal mercato di lavoro di migliaia di persone e porterà alla scomparsa di 8 mila posti l'anno per i prossimi dieci anni. La relazione tecnica che accompagna il decreto prevede, per il solo effetto delle nuove norme, la scomparsa di 80.000 posti di lavoro nei prossimi dieci anni.
Caro Presidente, membri del Governo, cari colleghi, questi dati non sono frutto di uno studio di Forza Italia o di un altro partito dell'opposizione, bensì di una relazione della Ragioneria generale dello Stato e dell'INPS, che hanno tratto le conseguenze del decreto: rendendo impossibile protrarre gli ultimi 34 mesi di contratti a termine, ben 80.000 rapporti di lavoro non avranno più campo, ed è facile prevedere che almeno il 10-15 per cento di essi non sarà rinnovato.
Il Ministro Luigi Di Maio ha deciso che per combattere le diseguaglianze la mossa più sicura è eliminare i disuguali.
Come tutte le ideologie utopiche, a partire dal marxismo, il grillismo non ha un programma che aderisce alle richieste dei cittadini, ma si prefigge di mutare i cittadini per farli aderire alla propria ideologia, ed in questo caso l'ideologia, vecchia nemica del lavoro, è sorella dell'inesperienza. Volendo colpire modalità troppo lunghe di lavoro forse si sarebbe dovuto prevedere uno scivolo per traghettare il lavoratore verso un posto fisso; ma il Ministro del lavoro e delle politiche sociali vuole regolare per decreto il mondo del lavoro, un mondo che nel passato forse non ha mai conosciuto. Il MoVimento 5 Stelle, non avendo idee originali, ha rispolverato ricette vecchie e fallite in tutto il mondo: sembra incredibile, ma riproporre nel 2018 soluzioni vetero-comuniste già sconfitte nel Novecento e alle quali non credono più nemmeno i sindacati seri non ci sembra una grande innovazione.
Avremo dunque più disoccupati e più sfruttati: non è certo quello che vogliono i giovani del Sud senza lavoro, ma non è neppure quello che si aspettavano le piccole e medie imprese del Nord che hanno dato fiducia al programma del centrodestra. Solo pochi mesi fa ai giovani del Mezzogiorno avete carpito il voto facendo credere che potevano stare tranquillamente seduti sul divano ad aspettare con il telefonino in mano un accredito del bonifico con il reddito di cittadinanza. Solo poche ore fa, con l'inserimento di un emendamento state rischiando di dare vita al più grande licenziamento della storia della scuola italiana, con circa 50 mila contratti di cui solo 6 mila in Sicilia di docenti e diplomati magistrali che decadrebbero dal prossimo anno. Non si capisce cosa ci possa essere di dignitoso nel certificare fra un anno il licenziamento di 6 mila docenti assunti in ruolo, che hanno superato a pieni voti l'anno di prova di fronte al proprio dirigente scolastico e agli organi collegiali preposti. Questo decreto-legge avrà un impatto devastante al Sud. Il Mezzogiorno ha bisogno di una politica industriale dove si concentra la disoccupazione giovanile più alta del Paese.
Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, gli imprenditori assumono solo se hanno certezza sul quadro normativo e flessibilità sul piano operativo, perché nel mercato vince il più agile, il competente, quello che è veloce. Che fa invece il Governo? Crea ulteriore confusione e non mette in condizione le imprese che vogliono assumere, perché con le nuove regole ci sarebbero conseguenze insostenibili. Questo non è un volano per creare nuova occupazione, ma al contrario è una zavorra (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente): una zavorra che rende il mercato del lavoro più rigido, al contrario di quanto avviene in tutto il mondo progredito e sempre più aperto, più mobile e più dinamico. Tutto questo è incredibile e paradossale, fors'anche kafkiano: una forza di governo saldamente nel centrodestra e storicamente al fianco dell'impresa che mette i bastoni tra le ruote del tessuto produttivo che solo pochi mesi fa lo ha sostenuto, permettendole di andare al Governo. Gli imprenditori che vi hanno votato vi hanno già voltato le spalle: hanno scoperto che la Lega ha fatto il doppio gioco, e per poter cavalcare la tigre della lotta all'immigrazione ha svenduto l'economia e la faticosa ripresa del nostro Paese. Salvini batta un colpo, e si riallinei alle posizioni del centrodestra sostenendo la battaglia di Forza Italia con proposte concrete, che vanno incontro alle esigenze del mondo del lavoro e dell'impresa (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giaccone. Ne ha facoltà.
ANDREA GIACCONE (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, un breve intervento in primis per ringraziare tutti i commissari di maggioranza e di opposizione delle Commissioni finanze e lavoro per il lavoro svolto e per i contributi portati in Commissione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).
In seconda battuta desidero esporre alcune mie considerazioni sul provvedimento. Dal mio punto di vista il lavoro delle Commissioni porta in Aula un provvedimento migliorato rispetto a quello che abbiamo iniziato ad analizzare. Abbiamo prolungato fino al 2020 la decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato dei giovani under 35 anni, vale a dire l'esonero del 50 per cento dei versamenti contributivi previdenziali, ad eccezione di quelli assicurativi all'INAIL per il prossimo biennio, in favore dei datori di lavoro che assumono giovani sotto i 35 anni mai contrattualizzati prima in maniera stabile. Abbiamo altresì previsto, ed è una norma che è emersa in diverse occasioni in questo dibattito, una sorta di regime transitorio sui contratti a tempo determinato in essere, per i quali fino al prossimo 31 ottobre varranno le disposizioni previgenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame: questo per dare più tempo alle imprese per adeguarsi al nuovo regime dei contratti a tempo determinato, in termini di durata, di causali e di rinnovi. E sui rinnovi, accogliendo una proposta emendativa delle opposizioni, abbiamo escluso dal contributo addizionale dello 0,5 per cento i contratti di lavoro domestico per colf e badanti.
Interventi rilevanti sono stati anche operati sul contratto di somministrazione: abbiamo reintrodotto il concetto di somministrazione fraudolenta, prevedendo nei casi di utilizzo di tale tipologia contrattuale al solo scopo di eludere norme di legge o di contratti collettivi applicati al lavoratore una sanzione pecuniaria rapportata al numero dei lavoratori coinvolti ed al numero di giornate in cui la somministrazione è stata utilizzata. Abbiamo posto in capo all'utilizzatore le causali esentando le agenzie di lavoro, e abbiamo escluso il così detto stop and go, vale a dire il periodo di intervallo obbligatorio tra un contratto e l'altro.
Infine, sempre riguardo alle modifiche sui contratti di somministrazione, per attenuare l'impatto derivante dall'equiparazione di questi contratti a tempo determinato ai fini del limite del loro utilizzo, abbiamo elevato il tetto complessivo del numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, ovvero di somministrazione, al 30 per cento rispetto alla forza lavoro assunta a tempo indeterminato, fermo restando però per i soli contratti a tempo determinato il limite del 20 per cento.
Ci sono state altre importanti modifiche che sono emerse dal lavoro delle Commissioni: ad esempio la norma in favore del Soccorso alpino e speleologico, in virtù del quale si fa chiarezza circa l'inquadramento delle figure professionali del Corpo, riconoscendo la peculiarità del loro operato; e la norma tesa a potenziare i centri per l'impiego attraverso la destinazione di una quota delle facoltà assunzionali proprie delle regioni, naturalmente previo accordo tra Stato e regioni, al rafforzamento degli organici dei centri medesimi.
Evidenzio rapidamente altre due importanti misure già contenute nel decreto-legge e migliorate nel corso dell'esame della Commissione, come ad esempio quelle riguardanti il contrasto alla delocalizzazione e quella sul gioco d'azzardo.
Onorevoli colleghi, non mi dilungo oltre sul contenuto del provvedimento. Molti aspetti sono stati toccati negli interventi che si sono susseguiti; sui voucher hanno parlato esponenti sia di maggioranza che di minoranza. La mia personale opinione è che probabilmente nel passato si era espansa troppo questa particolare possibilità e questa forma, poi la si è resa troppo restrittiva. Probabilmente immagino che quello che è stato trovato nel testo possa essere un buon punto di caduta.
Occorre allo stesso modo essere chiari: questo provvedimento non è la panacea di tutti i mali. Molti altri dovranno essere gli interventi normativi per fronteggiare la piaga della disoccupazione ed il problema di una crescita economica al ribasso: semplificazione fiscale, flat tax, sburocratizzazione ed una riduzione strutturale del costo del lavoro. Ma sicuramente questo provvedimento rappresenta, a mio modo di vedere e del gruppo politico che rappresento, un buon punto di inizio per ridare fiducia ai lavoratori ed alle imprese.
Concludo il mio intervento con l'auspicio per un costruttivo dibattito in Aula, di modo che in questa seconda fase di esame ci possa essere spazio anche per concludere alcune questioni rimaste irrisolte nel lavoro di Commissione: cito ad esempio quella relativa ai lavoratori portuali, o quella di un incentivo per l'assunzione stabile anche di lavoratori over 35 anni, o ancora la soluzione per i datori di lavoro che hanno pagato tardivamente gli oneri dovuti e rischiano di perdere i benefici della decontribuzione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.
ROMINA MURA (PD). Colleghe e colleghi, Governo, sembra un'epoca storica lontanissima quella in cui i colleghi parlamentari che oggi costituiscono la maggioranza di Governo urlavano per affermare la centralità del Parlamento ogni qual volta la decretazione d'urgenza sostituiva il normale e ordinario iter legislativo. Combattevano utilizzando tutte le prerogative parlamentari, e qualche volta anche qualcuna di più, contro quella che definivano la riduzione degli spazi di confronto e la delegittimazione della democrazia rappresentativa. E guarda un po', quando si dice ironia della sorte, qual è il primo atto legislativo del Governo gialloverde?
Un decreto-legge, di cui, manco a dirlo, non si ravvisano né la necessità, né l'urgenza, né l'intervento specifico né l'oggetto definito, così come richiede la nostra Costituzione, come bene vi ha segnalato, fra gli altri, anche il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi evidenziando diverse incongruenze del testo perché parlate di precarietà e delocalizzazioni ma la percezione, confermata dalle parole utilizzate dallo stesso Dipartimento e anche da quanto oggi ha detto il relatore Tripiedi, è che non abbiate chiari i numeri né dei lavoratori a tempo determinato né tanto meno della percentuale di questi rispetto al numero dei lavoratori a tempo indeterminato né ancora di quante imprese in Italia abbiamo ricevuto aiuti di Stato e siano quindi potenzialmente interessate dalle norme sulla delocalizzazione. Si tratta, quindi, di un decreto-legge adottato sulla base di criteri della necessità e dell'urgenza, salvo poi, come per le misure di decontribuzione, prorogare una misura dei Governi Renzi e Gentiloni, come anche qui ha ricordato con orgoglio l'onorevole Tripiedi, attraverso però un ulteriore rinvio a un decreto-legge dei Ministri del Lavoro e dell'Economia che verrà emanato entro 60 giorni dalla entrata in vigore del decreto in esame con coperture aleatorie oltreché irrisorie, ma su questo tornerò in seguito.
Vi confesso che se fossi stata al posto del Ministro Di Maio utilizzando le prerogative costituzionali relative alla decretazione d'urgenza, avrei adottato un altro intervento come primo atto del mio percorso ministeriale. Mi sarei soffermata sul miglioramento della sicurezza nei posti di lavoro considerato che dall'inizio del 2018 le cosiddette morti bianche sono state già seicentocinquanta e credo che proprio la sicurezza sui luoghi di lavoro sia la vera emergenza di questo momento storico. Poiché il Ministro aveva esordito con una informativa sulla sicurezza mi sarei aspettata una proposta di intervento sul testo unico della sicurezza datato 2008, sulla necessità di costruire con tutti gli attori in campo un piano di formazione e informazione, sull'opportunità di aumentare i controlli e quindi i mezzi e gli strumenti pubblici per farlo, sulla possibilità di rendere ancora più severe le sanzioni e premiare i comportamenti virtuosi. Sia chiaro che i temi affrontati sono importantissimi e proprio per questo non potevano e non dovevano stare dentro un decreto omnibus come questo che stiamo analizzando e durante la discussione in Commissione gli stessi sottosegretari più volte, rispetto alle nostre proposte e alle nostre sollecitazioni a migliorare il testo, a approfondirlo, a renderlo strutturale ci hanno detto: “Queste cose le faremo in altri provvedimenti organici sul tema”, a dimostrazione che tali questioni non dovevano essere contenute e non andavano affrontate nel decreto-legge. Ma allora dove sta il senso del decreto-legge? Stento a credere che i colleghi dalla maggioranza siano convinti che dentro il provvedimento siano contenute le risposte alle domande e alle aspettative legittime e condivisibili di maggiore qualità di lavoro e di maggiore sicurezza sociale. Io mi sono fatta un'altra idea. Credo che il nostro Ministro del Lavoro con questo atto, tutt'altro che inversione a U, abbia compiuto un sorpasso pericoloso in curva: un sorpasso pericoloso in curva per il Paese e per i lavoratori del Paese con l'intento di acciuffare e raggiungere il suo collega Vicepremier, il Ministro Salvini, vero dominus incontrastato del Governo. Capisco le umane preoccupazioni del Ministro o l'ansia da prestazione, la preoccupazione di essere eterno secondo. Capisco tutto ma prenda atto il Ministro e la sua maggioranza che il decreto-legge nella forma oltre che nella sostanza inaugura la stagione della disillusione, il primo tassello che porterà diversi pezzi della società italiana che hanno investito su di voi e sulla vostra narrazione di Paese ad aprire gli occhi e a riprendere il contatto con la realtà.
Altre due considerazioni generali che come l'utilizzo dell'urgenza come argomentazione per giustificare la scelta del decreto-legge dimostrano la caratterizzazione propagandistica dell'atto e la scarsa incidenza dello stesso sul raggiungimento degli obiettivi che pure sono buoni e condivisibili. Come i sindacati dei lavoratori e le associazioni datoriali hanno ribadito bene e chiaramente in audizione così come sui giornali, avete scritto il decreto senza alcun confronto con le parti sociali: grande errore, grande errore perché avreste potuto apprendere da quel confronto per esempio che la modalità migliore per riscrivere le causali era quella di mettere in gioco la contrattazione collettiva.
Infatti noi siamo riusciti in Commissione, come i colleghi hanno ricordato bene, a ottenere che il contratto di lavoro domestico non sia sottoposto al nuovo regime del contratto a tempo determinato: però ci sono anche altri tipi di contratto rispetto ai quali la contrattazione forse avrebbe evitato questo pasticcio. Penso ad esempio a quello dei ricercatori che sarebbe bene potessero lavorare per tutto il periodo di durata della ricerca; penso ancora ai collaboratori parlamentari, a quelli dei gruppi consiliari o agli staff dei sindaci che dovrebbero poter lavorare per l'intera durata del mandato.
Ma sulla dignità vorrei dire qualcosa: mi dispiace che non ci sia più il Ministro. Sulla parola “dignità”, sul concetto, il punto di vista che è stato abusato in questi giorni, senza la pretesa di dare lezioni a nessuno, vorrei riportare alla memoria alcune questioni che sono state affrontate nella scorsa legislatura e sono state citate anche dal collega De Luca e che sicuramente hanno segnato un avanzamento in termini di dignità dei lavoratori. È stata dignità liberare i lavoratori e soprattutto le lavoratrici dal terribile ricatto delle dimissioni in bianco e sarebbe bene andare a rivedere come votò il MoVimento 5 Stelle sul provvedimento perché è molto interessante ripercorre la storia al contrario. È stata dignità la scelta dello statuto del lavoro autonomo che ha esteso a 2 milioni di lavoratori invisibili i diritti essenziali come la maternità, la malattia, il giusto compenso e la disoccupazione. È stata dignità quando attraverso diversi interventi sulle leggi di bilancio della scorsa legislatura abbiamo salvaguardato migliaia di lavoratori che, a seguito della legge Fornero, erano rimasti fuori sia dal lavoro sia dal sistema pensionistico. È stata dignità quando per la prima volta nella storia abbiamo introdotto nel Paese una misura universale contro la povertà: il reddito di inclusione che probabilmente voi, con i soliti artifici dialettici che vi contraddistinguono, tra qualche mese ribattezzerete reddito di cittadinanza e attraverso il quale salverete la faccia rispetto a un impegno che ha portato tantissimi cittadini, soprattutto nel meridione, a investire su di voi. Ecco come si costruisce la dignità, come dovremmo continuare a costruire le condizioni affinché i lavoratori e le lavoratrici avvertano il lavoro come uno strumento di realizzazione perché il lavoro dà la dignità, la danno i diritti e gli interventi puntuali tesi ad ampliarli, come le ho appena ricordato. La dignità non è attribuita da un decreto, tantomeno questo di cui discutiamo. Attraverso la Presidente, pongo questa domanda al Ministro - avrei voluta porla in sua presenza ma, come abbiamo detto, è andato via - mi farebbe piacere capire se il Ministro ha avuto modo, negli intervalli di tempo tra l'occupazione di un posto di potere e l'altro, di leggere Deianira Ciampitti su la Repubblica di qualche giorno fa.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI (ore 19)
ROMINA MURA (PD). La ragazza, una trentunenne, dichiara: “Vorrei avere la dignità di un lavoro che perlomeno mi stimoli e mi rispecchi, un ambiente che mi faccia svegliare di buon umore e magari la possibilità di poter avere un giorno una famiglia a cui insegnare valori che partono anche dallo studio”. Conclude: “Non abbiamo bisogno di belle parole ma di concrete opportunità”. Per dirvi ancora una volta, dopo averlo fatto in Commissione la scorsa settimana, che con il decreto-legge in esame, oltre a non creare nuovi posti di lavoro - lo avete detto più volte - non garantirete nemmeno la tenuta di quelli attuali e anzi, per come avete riformulato i rapporti contrattuali, il rischio è una nuova stagione di disoccupazione e di picchi di lavoro nero. Infatti, signora Presidente, per suo tramite vorrei dire al Ministro Di Maio ancora una volta, che i posti di lavoro, la dignità e i diritti non sono come le fake news di cui siete campioni, quelle che basta lanciare sulla Rete, condividere e divulgare perché divengano vere, perché divengano realtà. I posti di lavoro, la dignità e i diritti sono il punto di arrivo di processi seri, di un'impostazione culturale, di discussione e confronto, tutte cose di cui - mi dispiace constatare e confermare in questi giorni - voi non siete capaci. Crede davvero che irrigidire i contratti a tempo determinato come proponete ridurrà la precarietà e indurrà le imprese a scegliere il tempo indeterminato? Non vi sorge il dubbio che, irrigidendo il contratto a tempo determinato che fra i contratti a termine è quello meno precario, si farà più concreto il rischio che prendano il sopravvento altre formule precarizzanti o addirittura riprenda a proliferare il lavoro nero?
Provo, al riguardo, a sviluppare una riflessione: credo che la precarietà - su questo Debora Serracchiani ha detto bene in avvio di questa seduta e lo condividiamo tutti - sia una condizione spiacevole e, allorquando si protrae, è tragica per la vita di un lavoratore e di una lavoratrice, ma, per affrontarla con razionalità e con l'ambizione di ottenere risultati efficaci, occorre costruire percorsi ottimali, ordinati e intelligenti.
Negli anni scorsi, nel misurarci con la complessa e delicata sfida della riforma del mercato del lavoro, resa necessaria dai grandi cambiamenti che hanno cambiato per sempre la relazione fra quelli che sono i fattori produttivi, penso all'innovazione tecnologica, alle dinamiche demografiche, alla globalizzazione che hanno modificato la stessa concezione del lavoro in termini di tempi e di prospettive, abbiamo avviato un percorso, ancora oggi in atto, intorno a una considerazione fondamentale: i diritti acquisiti nel secolo scorso non erano e non sono, da soli, più sufficienti a rappresentare le implicazioni e le aspettative attuali.
Un sistema di diritti costruito intorno al lavoratore maschio, che dal primo all'ultimo giorno del proprio percorso professionale sarebbe stato nella medesima azienda, non poteva essere più sufficiente a garantire tutte le opportunità in un mercato del lavoro in un mondo completamente cambiato e due erano le strade: o prendere atto delle logiche regolatrici del mercato o provare, come abbiamo fatto, a coniugare la flessibilità - che è caratteristica di questa epoca e che è altra cosa rispetto alla precarietà - con meccanismi di tutela e sicurezza nuovi.
Noi abbiamo scelto di misurarci con questa sfida in un momento di grande crisi economica, abbiamo fatto tutto? No. Abbiamo costruito un sistema perfetto? No. Abbiamo risolto tutti i problemi? No. Abbiamo, però, migliorato - questo mi sento di dirlo - in un contesto davvero difficile, una situazione preesistente molto più destrutturata e difficile da monitorare e correggere, avuto riguardo ai diritti e alle prerogative dei lavoratori.
Abbiamo costruito un percorso logico, il contratto a termine, di cui al decreto Poletti, un provvedimento di carattere congiunturale che intendeva promuovere l'occupazione in una fase di ciclo economico recessivo, una sorta di ponte verso le tutele crescenti introdotte poi con il Jobs Act, attraverso il quale - ricordiamolo, perché questo non lo diciamo mai - sono state superate quaranta tipologie di contratti atipici come i co.co.co. e gli altri simili.
Come abbiamo cercato di costruire il passaggio fra il contratto a termine e le tutele crescenti? Attraverso la decontribuzione, quella che voi oggi avete ripreso nel vostro decreto, anche se riducendola in termini di risorse. Di fatto abbiamo costruito un quadro logico, fatto di tappe successive, graduali, con un senso compiuto.
A noi pare che il decreto “Di Maio” ponga obiettivi condivisibili, ma individui per raggiungerli una strada sbagliata, confusa e pericolosa. I dati di Eurostat sulla diffusione dei contratti a tempo determinato nel nostro Paese parlano chiaro: in tutti i settori l'Italia presenta un numero di contratti a tempo determinato inferiori a quelli di tutti gli altri Paesi europei. Gli unici settori, guarda caso, in cui i contratti a tempo determinato sono aumentati in maniera notevole sono quelli dell'agricoltura e del turismo, guarda caso i settori in cui la maggioranza irrigidisce la normativa della contrattazione a termine e reintroduce i voucher, attraverso specifico emendamento presentato e approvato in Commissione; settori nei quali il rischio sarà che, appunto, irrigidendo le maglie della contrattazione a tempo determinato, quello più consono a rappresentare l'organizzazione stagionale di quelle tipologie di lavoro, il voucher potrebbe inserirsi e favorire proprio quegli abusi che voi dite di voler bloccare attraverso questo decreto.
Premesso che siamo tutti impegnati e ho appena ricordato cosa noi abbiamo fatto a riguardo per coniugare flessibilità e diritti in modo che il lavoratore sia tutelato, siamo sicuri che concentrarsi esclusivamente sulla rivisitazione della forma contrattuale a tempo determinato sia la ricetta per risolvere il problema della precarietà? La nostra risposta è “no”. La nostra proposta per promuovere lavoro stabile e quindi ridurre la precarietà rimane, anche sulla base di quanto abbiamo sperimentato, l'abbattimento del cuneo fiscale: un punto all'anno per un totale di 4 punti sui contratti a tempo indeterminato. Il lavoro stabile vale di più? Bene, allora deve costare meno, e questa è la sfida.
Sulle delocalizzazioni, molto velocemente: scoraggiare e disincentivare le delocalizzazioni in generale e quelle relative ai siti produttivi beneficiari di aiuti di Stato si può e si deve fare, consapevoli però che l'obbligo di restituzione dei fondi pubblici - è stato già detto dai colleghi che mi hanno preceduto - esiste già.
Non solo. Come spero ricorderete, prendendo spunto dalla vicenda Embraco, il Governo Gentiloni, con l'allora Ministro Calenda, destinarono 200 milioni al Fondo per il contrasto alle delocalizzazioni, come azione positiva di politica industriale per la protezione dei lavoratori e anche delle aziende che si confrontano con difficoltà con l'innovazione tecnologica e la globalizzazione. Credo che quel provvedimento delinei il percorso che dovremmo seguire, un percorso che non sarà facile rafforzare se non attraverso una battaglia in Europa, così come impostata da Calenda, sulla revisione delle regole degli aiuti di Stato, in particolare - aspetto che stiamo trascurando - rispetto alle delocalizzazioni interne al mercato dell'Unione europea.
Ecco, la nostra preoccupazione sulla normativa delle delocalizzazioni è che stia prevalendo una visione esclusivamente punitiva, che sembra caratterizzarla totalmente e che, secondo noi, rischia di non risolvere la questione che a tutti dovrebbe stare più a cuore, ossia la continuità produttiva e occupazionale di quel sito sul territorio nazionale. A questo proposito, in Commissione - e lo rifaremo in Aula - noi abbiamo presentato un emendamento per provare a cambiare l'impostazione di questa disposizione, stabilendo che le imprese beneficiarie di aiuti di Stato non possano delocalizzare la propria produzione dal sito incentivato presso altro Stato, anche appartenente all'Unione Europea, con conseguente riduzione o messa in mobilità del personale, prima di aver trovato un nuovo acquirente che garantisca la continuità aziendale e produttiva, nonché il mantenimento dei livelli occupativi e occupazionali dell'impresa stessa. Attenzione, stiamo proponendo di istituzionalizzare una prassi di soluzioni di crisi aziendali praticata più volte nella scorsa legislatura e che più volte ha dato buoni risultati.
Mi avvio alla conclusione. Signora Presidente, nel 2013 abbiamo ereditato un Paese nel pieno di una crisi economica devastante, abbiamo intrapreso, fra le altre, la strada della riforma del mercato del lavoro, ancora lunga e non terminata, e credo che oggi il Paese che vi abbiamo consegnato viva una situazione decisamente migliore.
Nessun tono trionfalistico nelle mie parole, perché spesso siamo stati accusati di utilizzare il tono trionfalistico nel citare i dati che denotavano il miglioramento economico del Paese. Però l'OCSE, che non è il PD, che non è il quartier generale del PD, parla chiaro e ci dà anche delle indicazioni, che secondo me dovremmo seguire, se veramente abbiamo a cuore, da un lato, il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e, dall'altro, la crescita economica del Paese. L'OCSE ci dice che in Italia abbiamo di nuovo raggiunto, a livello di occupazionale e di percentuali di occupati, i livelli pre-crisi e il tasso di disoccupazione - ci dice – è stabile.
Non basta, perché l'OCSE, come dire, fotografa sia le luci che le ombre della situazione del mercato italiano: lo sviluppo è positivo, dice l'OCSE, ma è fragile e c'è un rischio che riprenda a crescere la quota di disoccupati di lunga durata. Quindi, cosa dice l'OCSE, non Maurizio Martina o Matteo Renzi, ma l'OCSE? Ci dà delle indicazioni e dice: continuate sulla strada intrapresa con il Jobs Act, rafforzate le politiche attive e i meccanismi di protezione del mercato del lavoro. Non a caso, noi, nella fase emendativa in Commissione e che riproporremo anche qui in Aula, abbiamo proposto - e questo lo avete anche accettato - di adeguare l'offerta di conciliazione rispetto all'aumento dell'indennità di licenziamento; abbiamo proposto la buonuscita compensativa per i lavoratori che non vengono stabilizzati; abbiamo proposto la sperimentazione del salario minimo garantito, laddove non intervenga la contrattazione collettiva.
Ecco, credo, relatore Tripiedi, che la nostra sia stata a tutti gli effetti - e mi rivolgo a lui perché ha parlato di ostruzionismo - un'opposizione costruttiva e responsabile, sul merito. Mai abbiamo ceduto al rancore, eppure con voi non è neanche facile, visti tutti gli input che ci avete dato. Abbiamo solo una preoccupazione: la preoccupazione è che questa cultura del “no”, questa cultura della continua criminalizzazione di tutto quello che non vi piace, a lungo rischia di avere un costo in termini di credibilità e di fiducia.
E come ben sapete, come ben dovrebbero sapere ministri, sottosegretari e parlamentari, sia la credibilità che la fiducia sono due variabili che incidono pesantemente sulla domanda e sulle dinamiche economiche. Per cui, la nostra richiesta non è quella di, come dire, seguire il lavoro che abbiamo fatto noi, no, anche se poi il contratto a tutele crescenti è rimasto nella vostra legge, così come la decontribuzione l'avete ripresa; la nostra richiesta è di riflettere ancora su questo decreto, su questa impostazione legislativa, perché il rischio non è l'inversione a U di cui parlava il Ministro Di Maio, il rischio è che il Paese possa rifinire nel vicolo cieco in cui noi l'abbiamo preso nel 2013 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Lucaselli. Ne ha facoltà.
YLENJA LUCASELLI (FDI). Presidente, grazie. Il provvedimento di cui discutiamo oggi è un provvedimento che si basa su una suggestione, mi viene da dire, su un grandissimo equivoco ideologico e semantico, perché, vedete, colleghi, occorre intendere bene, per capire dove stiamo andando, che cos'è la dignità, perché se per dignità intendiamo vivere e lavorare in una società che sia in grado di garantire delle opportunità ad ognuno, secondo le proprie aspettative, secondo il proprio percorso di studi, il sogno che ha in mente, allora, questo provvedimento va da tutt'altra parte. In questo provvedimento, il concetto di dignità è stato utilizzato, malamente, per effettuare un'operazione ideologica, in base a cui si fa credere, a chi è in difficoltà, a chi ogni giorno nuota con la zavorra del precariato, di potersi costruire un futuro soltanto se vengono creati limiti, imposizioni e ristrettezze a chi quel lavoro, di fatto, lo crea: le imprese. È un grande equivoco questo, figlio di un retaggio culturale di questi tempi, per idolatrare il diritto, ci si dimentica delle libertà e la libertà compressa è quella dell'impresa, di chi sa osare, di chi vuole crescere ed investire. Ed ecco che con questo decreto viene in realtà rispolverata una vecchia contrapposizione fra padroni e sfruttati che, però, ci fa ritornare nel passato, nel passato più nero dell'economia italiana e che nessuno, nel 2018, vuole, in realtà, rivedere. Noi conosciamo la società italiana; sappiamo bene che il mercato del lavoro non è una variabile che si può stravolgere per legge, ma che si può, in questo caso, sì, affrontare, mettendo in condizione lavoratori e imprenditori di farlo evolvere.
Ebbene, tutto questo nel decreto non c'è, piuttosto troviamo l'immissione di vincoli, di normative a carico dei datori di lavoro, troviamo incertezze. Fratelli d'Italia, come è noto, non augura a nessuno, specie ai più giovani, un futuro di incertezza e di esperienze lavorative frammentate, ma il lavoro non si stabilizza per decreto, si stabilizza con lo sviluppo, con la prosperità, con un circolo virtuoso della domanda, si stabilizza dando una risposta a quei piccoli e medi imprenditori che, secondo una ricerca della CNA, se non ci saranno dei correttivi, che noi auspichiamo esserci in quest'Aula a seguito del dibattito, vedranno crescere la pressione fiscale fino al 61,4 per cento. Il lavoro si stabilizza rimettendo in moto il comparto edile, rimettendo in moto il comparto produttivo di questo Paese e si stabilizza, soprattutto, rilanciando l'italianità delle nostre produzioni.
Vedete, avete inserito una serie di norme punitive per chi, dopo aver beneficiato dei finanziamenti statali, delocalizza all'estero; ora, non mi soffermo su quello che tutti i colleghi che mi hanno preceduto hanno già detto, quindi, che la delocalizzazione non è soltanto questo, fa parte anche di imprese che non hanno usufruito di finanziamenti pubblici e noi di Fratelli d'Italia siamo stati i primi a condurre questa battaglia sulla italianità e la produzione in Italia, il 100 per cento prodotto in Italia, ma anche qui la smania punitiva, forse figlia di alcune suggestioni autenticamente sanzionatorie, predilige guardare il dito e non la luna e affronta soltanto una parte del problema. Serve coraggio, serve più coraggio, serve dare alle imprese una buona ragione per restare in Italia, serve fare dell'Italia in sé un valore aggiunto per produrre e questo è possibile soltanto con un deciso shock fiscale. E, poi, occorre spiegare per quale motivo una produzione che ha tutte le sue componenti di origine italiana ed è nata da fasi di lavorazione avvenute interamente in Italia sia l'unica a potersi fregiare dell'etichetta made in Italy, perché, se vogliamo parlare di delocalizzazioni, allora serve un maggior controllo verso quei Paesi interni all'Unione europea, come il Lussemburgo, l'Olanda, l'Irlanda e le nazioni dell'est Europa che utilizzano fondi europei per attirare investimenti e imprese degli Stati membri.
Questo significa che è necessaria un'azione decisa in Europa, questo significa che affrontare le delocalizzazioni non vuol dire limitarsi a creare qualche batticuore nel pubblico a casa, rassicurando loro che si è alla caccia del colpevole.
Solo un'ultima considerazione e poi mi taccio per lasciare spazio e tempo ai colleghi che seguiranno. Vedete, noi di Fratelli d'Italia vorremmo parlare di dignità, ma vorremmo parlare della dignità da restituire a quei padri e a quelle madri, quando tornano a casa e guardano i loro figli negli occhi, che non sanno cosa dargli da mangiare, non sanno se avranno un tetto su quelle teste. Ecco, noi vorremmo restituire la dignità a quei cittadini italiani, noi vorremmo restituire la dignità a quei nonni che, oggi, sono nella fascia dei poveri italiani e che sono costretti, probabilmente, a mendicare. Noi vorremmo restituire la dignità alla nostra nazione, rendendo dignitosa la vita dei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Trano. Ne ha facoltà.
RAFFAELE TRANO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, è con orgoglio che vado a commentare un decreto in totale discontinuità con le politiche liberiste dei precedenti Governi. È dal 1997, quando fu approvato il cosiddetto pacchetto Treu, che in Italia si riforma il mercato del lavoro nella direzione di una sempre maggiore flessibilità. Queste riforme non hanno prodotto gli aumenti di produttività e di occupazione che erano stati preventivati, ma, al contrario, hanno prodotto una lunga stagnazione di entrambi i parametri.
La precarietà è diventata, ahimè, in questi 20 anni, una condizione esistenziale che ha influito negativamente non solo sul tasso di fecondità e sulle dinamiche demografiche, ma anche sul livello della domanda interna e, quindi, sul fatturato delle imprese, ottenendo, per l'appunto, il risultato opposto a quello voluto. E cosa hanno fatto gli ultimi governi di centrosinistra, davanti a questo fallimento storico? Hanno continuato ad intestardirsi sulla stessa ricetta, approfondendo la precarizzazione dei contratti, prima, con il decreto Poletti, poi, con il Jobs Act.
Il decreto dignità pone un argine a 20 anni di accanimento contro i lavoratori e interviene sui contratti a termine e sui licenziamenti dei dipendenti stabili. Nel primo caso si riporta finalmente il contratto a termine alla sua funzione più logica, ovvero garantire alle imprese una certa flessibilità contrattuale, in caso di bisogni oggettivi, come la necessità di sostituire temporaneamente un dipendente o di rispondere a picchi di domanda imprevisti. In tutti gli altri casi si indirizza l'impresa verso il contratto stabile, ponendo un limite massimo di 24 mesi per i contratti a termine e rendendoli più costosi dal punto di vista contributivo in caso di rinnovi. Con il contributo parlamentare, su questo punto, il decreto è stato addirittura potenziato, approvando grazie alla maggioranza alcuni sgravi contributivi per incentivare i contratti stabili.
Il decreto, quindi, non solo disincentiva la precarietà, ma rende conveniente la stabilità, anche per le imprese. È il primo atto di un patto sociale tra lavoro e impresa che serve al Paese e che è compito di tutti noi favorire.
Ma sul lavoro c'è molto altro che rende questo decreto una prima grande risposta ai problemi strutturali del Paese. Non mi voglio dilungare molto, perché vorrei concentrarmi anche su un capitolo spesso sottovalutato come quello delle delocalizzazioni. Forse, a qualcuno è sfuggito in quest'Aula che la finalità del decreto è la tutela dell'occupazione, sia pure indirettamente attraverso l'introduzione di vincoli severi alle imprese che sfruttano i fondi pubblici per arricchirsi e poi abbandonare il Paese. Il nostro obiettivo è tutelare il lavoro e la ricchezza nazionale sia nel caso in cui la delocalizzazione non avvenga, perché ostacolata dalle sanzioni, sia nel caso avvenga, perché, con un emendamento di maggioranza, abbiamo fatto sì che gli importi delle sanzioni siano obbligatoriamente reinvestiti nel sito produttivo penalizzato. Non si tratta di importi simbolici, perché, come sapete, le imprese che delocalizzano in Paesi extra europei devono pagare fino a quattro volte l'aiuto pubblico ricevuto più gli interessi. Il tema delle delocalizzazioni si lega anche al tema che più mi compete, quello fiscale.
Purtroppo, anche tra i Paesi europei abbiamo assistito ad una crescente concorrenza fiscale per rubarsi a vicenda investimenti e capitali, in un gioco a somma zero, in cui di solito si avvantaggiano i Paesi con i salari e le tutele più bassi, come i Paesi dell'Est Europa, a danno di Paesi come il nostro. Limitando le delocalizzazioni selvagge, ostacoliamo il dumping fiscale e la concorrenza interna alla Comunità europea.
Ma per il fisco c'è ben altro. Abbiamo disattivato sia il redditometro sia lo spesometro, adempimenti obsoleti, introdotti dai Governi precedenti, per fare cassa sulla pelle dei contribuenti, con la scusa della lotta all'evasione. Tengo in particolare a questo punto, perché stiamo lavorando intensamente in Commissione finanze, per sostituire la burocrazia antiquata, targata PD, con la moderna e fruibile fatturazione elettronica, così da liberare energia produttiva dalle nostre imprese e sgravarle dalle scartoffie in eccesso.
A rendermi orgoglioso è, però, soprattutto l'abolizione dello split payment per i professionisti. Restituiamo alle nostre partite IVA quella liquidità che il Centrosinistra ha tolto loro per aggiustare il bilancio pubblico, dato che non riuscivano a farlo con la crescita.
Il “decreto dignità” è il primo mattone di un edificio economico completamente diverso. Basta austerità fine a se stessa, che abbatte la crescita e i diritti! È ora di invertire le politiche economiche, a partire dalla dignità del lavoro e dalle nostre piccole e medie imprese, oggi soffocate sia dalla mancanza di domanda che dalle pretese burocratiche di uno Stato che si atteggia ad inquisitore.
Questo decreto è dignità, perché questo è il Governo del cambiamento. La dignità finalmente riacquista senso e vita, dopo averla svuotata per decenni. Dignità per i lavoratori, dignità per le imprese e dignità per l'Italia, che produce ogni santo giorno (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Fatuzzo. Ne ha facoltà.
CARLO FATUZZO (FI). Signora Presidente, Maria Edera Spadoni, mi permetterà di esordire dicendo che non approfitterò dei trenta minuti che mi sono stati concessi di parola. Ho detto non approfitterò dei trenta minuti che mi sono stati concessi di parola. Cercherò di essere egualmente breve e dirò che la cosa più... Chiedo scusa, ma questa è la prima volta che ho il piacere di avere l'acqua portata qui (Applausi) e non posso non approfittarne.
PRESIDENTE. Prego.
CARLO FATUZZO (FI). Così mi si chiariscono la voce, perché non so poi al termine del mio intervento se la avrò ancora. E, quindi, anche se lo ripeterò a fine parola, voglio anticipare il tradizionale grido di battaglia “Viva i pensionati! Pensionati all'attacco!”, che ripeterò comunque alla fine.
Devo dire che in questo documento, del quale stiamo parlando, questo decreto, si parla di azzardo. Giusto, bene, ma, sarà deformazione professionale, a me viene in mente che uno dei maggiori azzardi che abbiamo noi in Italia oggi è quello della pensione. Quando? Come? Quanto? Se? E per questo io non mancherò di ripetere, sia adesso sia dopo, quanto sia importante che l'emendamento che ho presentato venga esaminato con attenzione, perché è un emendamento che è stato dichiarato in Commissione di estraneità di materia, ma che, a mio parere, invece - e lo spiegherò nel corso dell'intervento - c'entra, come c'entrerebbero anche tanti altri emendamenti, presentati non solo da me, ma da colleghi della maggioranza, dell'opposizione e anche di Forza Italia, che riguardano proprio il fatto delle pensioni in questo “decreto dignità”.
L'emendamento che sta, non tanto a me, ma a tante lavoratrici e a tanti lavoratori a cuore, è quello che prevede di avere il diritto di potersi presentare agli sportelli dei rispettivi enti previdenziali, la maggior parte presso l'INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale) o altri fondi pensione obbligatori, chiedere semplicemente nel corso della propria vita lavorativa quanto ho maturato oggi di pensione? A chi va gli viene risposto: presenti la domanda e lo saprà. Ma per presentare la domanda mi devo licenziare, altrimenti non viene esaminata. Posso io licenziarmi per sapere quanto prenderò di pensione, quando da questo dipende se io lascio il lavoro oppure no? Non è forse un agevolare il lavoratore, a lasciare il posto a uno più giovane, se ha abbastanza pensione maturata, che gli consenta di potere lasciare appunto il lavoro? E perché si pensa che sia fuori posto, fuori regola?
Allora, intanto voglio leggere quello che ha scritto il Comitato per la legislazione sulla estraneità di materia. Ha scritto che non vi è estraneità di materia - parlando di questo decreto-legge - qualora le materie appaiano riconducibili alla finalità unitaria di tutelare i soggetti caratterizzati da situazioni di fragilità lavorativa ed esistenziale. Quindi è importante anche la vita di chi in questo momento non sta lavorando. Io ho sentito tutte le dichiarazioni che sono state fatte in Commissione e in Aula sul 2”decreto dignità”. Debbo dire che sono assolutamente d'accordo che vi sono due forme di lavoro: la forma di lavoro a tempo indeterminato e la fonte di lavoro a tempo determinato. Ma c'è un'altra forma di lavoro, a cui io ho pensato immediatamente, quella che si potrebbe definire del rinnovamento. Perché in inglese si dice turn over, ma, come si sa, io sono contrario alle parole inglesi nella legislazione dell'Italia.
L'altro giorno, come tutte le mattine, ho preso la metropolitana, ho preso il trenino, che porta da Ostia a qui. Sono pieni, sono sempre pieni, strapieni, questi trenini di Roma, queste metropolitane. E se non esce dal vagone qualcuno non può entrare chi deve andare a lavorare. Lì, ho visto l'Italia del lavoratore giovane, che vorrebbe trovare lavoro, ma non lo trova, perché c'è l'anziano, che pure vorrebbe scendere dalla metropolitana, vorrebbe scendere dal lavoro, perché ha i familiari ammalati a cui deve dedicarsi, perché svolge un lavoro fisicamente dannoso, che lo fa morire prima e, quindi, lascerebbe il posto. E lo lascerebbe a chi? A un giovane che oggi non ce l'ha. Non è anche questo un modo per aumentare il numero dei posti di lavoro? In teoria no, è sempre quello, ma si avvicendano. Non è che la metropolitana fa fare avanti e indietro agli stessi 3 mila passeggeri. No: 3 mila scendono e 3 mila salgono; poi quelli che sono saliti scendono e ne salgono altri.
Quindi, parlare di pensionati vuol dire anche parlare di lavoratori. La pensione, come ha detto la Corte costituzionale, è retribuzione differita. Quindi, quando io riscuoto la pensione - e mi riferisco alla pensione dovuta ad attività lavorativa per la quale sono stati versati i contributi - è retribuzione differita. Quindi, io sono un lavoratore anche se sono anziano, anche se sono anziane e ammalato, anche se ho ottant'anni, anche se ne ho novanta, perché, quando riscuoto la pensione, riscuoto una parte della mia retribuzione, che ho prudentemente, anche con l'obbligatorietà che c'è - purtroppo, io vorrei la facoltatività, ma c'è l'obbligatorietà, teniamocela per ora - e ho pagato questi contributivi e li vorrei quando sono anziano. Quindi, quello che riscuoto non è un regalo che mi fa il Governo.
Io sento dire sempre: ah, ma sono gli immigrati che pagano la pensione; ah, sono i lavoratori che stanno lavorando, che pagano la pensione agli anziani. E no! Ciascun anziano pensionato, che ha versato i contributi, se l'è pagata la pensione. Un giorno parleremo anche di questo.
Quindi dico che in un decreto che si chiama dignità, sono stati presentati tantissimi emendamenti - non solo da me, Carlo Fatuzzo, ma anche da deputati del PD, deputati dei Cinquestelle, della Lega, e colleghi di Forza Italia - che riguardano proprio i trattamenti di pensione. Con il primo emendamento che ho presentato chiedo che venga obbligato l'INPS a rispondere entro 30 giorni a qualunque lavoratore che chiede di sapere quanto ha maturato fino ad oggi di pensione; che sia obbligato a dare questa risposta, perché, signora Presidente, attualmente queste risposte non vengono date, non perché non si possano dare, ma perché non si vogliono dare. L'anziano purtroppo non viene considerato come dovrebbe. Talché, anni addietro, la previdenza sociale - c'era un altro presidente, molto vituperato, dopo non è stata rinnovata la sua carica di presidente - aveva cominciato a comunicare a tutti i lavoratori, oltre che il numero dei contributi versati (gli anni, i mesi, i giorni), anche la misura della pensione maturata, poi hanno detto no, che non va bene, che dobbiamo peggiorare la situazione - non so cosa è successo, io non c'ero alla previdenza sociale - e non hanno più dato queste notizie.
Io credo che se in questo “decreto dignità” si inserisse questo emendamento, che, ripeto, è a costo zero - zero, più zero, più zero! -, significherebbe perlomeno mettere la parola “pensionati” nel decreto, perché non c'è, non c'è nulla per i pensionati. Io so cosa mi direte: fra poco, fra un mese, fra due mesi - sento il Governo come se fosse qui e me lo dicesse -, poi presenteremo la pensione di dignità, aumenteremo le pensioni degli inabili, che prendono 289 euro al mese, e gliene daremo 440; poi, a tutti i pensionati che prendono meno di 780 euro al mese aumenteremo la pensione fino a 780 euro al mese, e così via. Mi viene da dire: campa cavallo che l'erba cresce. Campa cavallo che l'erba cresce. Campa cavallo che l'erba cresce. Non è bello, perché l'ultima legge a favore dei pensionati che io ricordo di un certo spessore - poi c'è stato il provvedimento della precedente legislatura, quello dell'Ape, Ape sociale e l'Ape a rimborso, che si potrebbe potenziare -, l'ultimo precedente positivo che abbiamo risale al febbraio del 1979. L'11 febbraio 1979 è stata approvata da questa Camera e dal Senato l'indennità di accompagnamento; e il 29 febbraio dello stesso 1979 è stata approvata la pensione agli inabili civili al 100 per cento o con inabilità superiore a due terzi, poi diventata del 74 per cento, di un importo veramente infimo di 289 euro al mese, come dicevo, e come tuttora è rimasto.
Non c'è niente di tutto questo nel “decreto dignità”, ma i pensionati hanno votato i partiti di Governo; molti hanno votato i partiti di Governo, sia la Lega sia i Cinquestelle. Sono sicuro che la volontà di tutti gli eletti della Lega e dei Cinquestelle sia quella di mantenere il più presto possibile questa promessa. Ma dati i precedenti, non vogliamo dare un segnale in questo “decreto dignità”, in questa occasione, che è il primo atto importante che si sta approvando da parte del nuovo Governo? Potrei continuare lungamente.
Vi spiego brevemente - perché mi sembra che il tempo stia volando; non avrei immaginato, ma è così - il secondo emendamento che ho presentato, che ho trasformato in un ordine del giorno, il quale ricorda a tutta l'Aula che le persone totalmente inabili che hanno bisogno di assistenza continua o sono non deambulanti, che vuol dire che non possono andare in giro da soli, perché, per esempio, non si ricordano più dove abitano - ma non solo quello, purtroppo, che sappiamo tutti quante sono gravi le situazioni degli anziani, anche dei giovani, purtroppo, ma nella maggior parte degli anziani - sono dei datori di lavoro, e i loro familiari che li assistono sono dei lavoratori.
E questo decreto si rivolge ai lavoratori e ai datori di lavoro, tanto è vero che questo è riconosciuto dalla legge in vigore, che prevede il pagamento dei contributi per la pensione a favore dei familiari che assistono gli anziani non autosufficienti, anche e soprattutto se sono familiari di primo grado (padre, fratello, sorella, figlio; fino al sesto grado si arriva), se c'è un inabile. Si prevede il pagamento di contributi e l'inversione dell'onere della prova, per cui il lavoratore non deve provare di avere un'indennità, uno stipendio, proprio perché è nella condizione di essere non autosufficiente. Allora, propongo di aumentare l'indennità di accompagnamento da quella che è oggi, 513 euro al mese, a 780 euro al mese, come si dice in questo documento di programma, in cui si dice che si dovrebbero aumentare le pensioni di chi è sano come un pesce e sta benissimo. Allora portiamo alla stessa cifra anche chi ha bisogno di assistenza totale, che gli permetterebbe di pagare di più la colf oppure i figli, che avrebbero più mezzi. Infatti, mi volete spiegare come si fa, con 513 euro al mese, a pagare una persona che ti assiste 24 ore su 24? Non è che basta che legga un romanzo per assisterti: deve curarti, deve girarti di continuano nel letto perché non vengano piaghe da decubito, deve darti da mangiare, deve controllare che non ci si alzi e caschi per le scale e così via. Insomma, ripeto, e concludo ripetendolo: controllate se sia o non sia competenza di questo “decreto dignità”, se non sia materia ivi prevista, quella di dare obbligo agli enti previdenziali di dare notizia di quanto ho maturato di pensione. Questo sarebbe il minimo, di cui avrei veramente l'orgoglio per poter dire di non essere venuto qua inutilmente. E con questo concludo: viva i pensionati! Pensionati, all'attacco (Applausi)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Carnevali. Ne ha facoltà.
ELENA CARNEVALI (PD). Signora Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, innanzitutto, prima di iniziare questo intervento, le chiedo di poter consegnare poi il mio intervento completo. Uso qualche minuto che mi è stato dato a disposizione per intervenire in particolare in merito all'articolo 9 di questo decreto. Insieme a molti colleghi parlamentari - alcuni peraltro che siedono ancora in quest'Aula -, nella scorsa legislatura, come in questa, abbiamo fatto parte dell'Intergruppo per il contrasto del gioco d'azzardo, e ci siamo presi d'impegno di porre un argine sia alla diffusione del gioco d'azzardo patologico, che è molto cresciuto in questi anni, sia all'aumento dell'offerta pubblica di giochi con vincite di denaro.
Stiamo parlando di un settore economico che equivale al 3 per cento del PIL, che ha ovviamente significativi risultati sia in termini di occupazione che di fatturato, ma credo che tutti noi abbiamo la consapevolezza di quanti problemi stia causando in termini di salute e sul piano sociale. Il gioco con vincite di denaro attraverso l'utilizzo di slot, videolottery giochi online e tagliandi ha avuto una grande diffusione, anche grazie a una pubblicità pervasiva e accattivante che spesso ricorre a messaggi ingannevoli ed illusori rispetto alla possibilità reale di vincita. È stata sicuramente complice la crisi economica, nella speranza che, affidandoci al colpo di fortuna, ci siano condizioni migliori. Stiamo parlando, come avete già sentito, di un settore che fattura oltre i 100 miliardi di euro. Va sicuramente ha detto che queste forme di intrattenimento non garantiscono sicuramente una buona socialità.
Al contrario, siamo di fronte spesso a situazioni di solitudine che incoraggiano anche atteggiamenti molto preoccupanti e comportamenti compulsivi. È cresciuto nella comunità internazionale il fatto che venga riconosciuta la patologia come una patologia, quella che viene definita gioco d'azzardo patologico, come tutte le altre dipendenze da alcol e da sostanze stupefacenti. E non è un caso - e qui devo dire c'è stato un grande rammarico, una discussione che è avvenuta anche nella Commissione affari sociali, in cui peraltro il relatore della Commissione affari sociali, che qui oggi non è intervenuto, ha fatto propria quell'osservazione che abbiamo appunto sollecitato come Partito Democratico e come osservazione che è stata peraltro inserita nel parere, di cambiare il termine di ludopatia, e quindi di archiviarlo definitivamente, e invece di fare proprio ciò che l'Organizzazione mondiale della sanità riconosce, che è il gioco d'azzardo patologico.
La consapevolezza quindi è cresciuta, non solo nell'opinione pubblica ma anche da parte delle istituzioni, e la convinzione che bisogna intervenire, sia per curare la patologia, ma anche intervenire per contrastare la diffusione, adottando criteri più rigorosi anche rispetto alle modalità di svolgimento del gioco. Quindi questo è un tema che richiede una strategia di carattere nazionale, vista peraltro questa contraddizione tra la rilevanza economica del settore da un lato, il gettito fiscale che produce dall'altro, e le conseguenze negative che possono derivare da una diffusione incontrollata del gioco.
Vedete ci hanno pensato anche altri: ci pensò il decreto-legge cosiddetto Balduzzi. Qua ricordo solo che in tutte le relazioni c'è stato il tema di quella clausola di salvaguardia; avete peraltro poi dovuto introdurre una sorta di norma transitoria, perché stavate passando di fatto con la clava. E ricordo ancora, fu in parte inizialmente merito sempre del Ministro Balduzzi l'iniziale inserimento dei livelli essenziali di assistenza, ma è merito del Governo precedente se i livelli essenziali di assistenza sono parte del nostro ordinamento, e dovrebbero essere peraltro finanziati con la fiscalità generale.
Ma intanto che arrivavamo lì, sempre dai banchi di questa maggioranza, allora di un altro Governo, abbiamo di fatto investito 50 milioni per ogni anno, fino ad arrivare a 150 milioni, per di fatto sostenere risorse che peraltro devono ancora in parte essere ridistribuite alle regioni, proprio perché abbiamo un tema relativo al ruolo dell'Osservatorio nazionale che doveva stabilire criteri.
Quindi delle azioni concrete. L'azione concreta poi più importante è quella che è derivata dalla delega fiscale del marzo del 2014, che non ha di certo fatto un favore alle cosiddette lobby, e che ha visto peraltro nel tempo numerosi interventi rispetto alla riduzione della diffusione; in particolare mi riferisco alle slot machine.
Nel frattempo le regioni hanno legiferato in materia, i comuni hanno fatto le loro ordinanze; devo riportarvi peraltro alcune esperienze, e qui è ancora più grave la scelta deliberata che avete assunto in Commissione di cassare (ma ci tornerò a lungo su questo argomento) relativamente all'intesa del settembre 2017, molto grave perché molti delle ordinanze ed interventi che singolarmente i sindaci che ne hanno avuto il coraggio… Vengo da Bergamo e ho un sindaco, Giorgio Gori, che ha fatto di questo anche un elemento di valore del suo mandato amministrativo, e i risultati peraltro si vedono. Sulla materia quindi, oltre ad aver messo a disposizione risorse, realizzato l'Osservatorio, introdotto nei livelli essenziali di assistenza, il punto vero è la legge di stabilità del 2016. Che cosa succede in conseguenza della legge di stabilità del 2016? Succede che viene prevista - ma non viene prevista e non realizzata - , è già nei fatti, la riduzione del 30 per cento delle AWP. E qui, tanto per ricordare qualche numero, parliamo di 400 mila - parlo di 400 mila, dico a quest'Aula - di fatto di diffusione relativamente a queste macchine che è già disponibile, e che sono diventate adesso 265 mila. La determinazione del numero massimo consentito di 10 mila sale e di 5 mila corner per le scommesse, con la conseguente concentrazione dei punti vendita in previsione dei tre anni: impegno peraltro ribadito nel capitolo del contratto di governo di Lega e 5 Stelle, ma respinto a piè pari dagli emendamenti.
Il passaggio delle AWP esclusivamente da remoto, quindi sull' up-ground tecnologico, che prevede peraltro, anche questo contenuto nell'intesa, un'accelerazione della rottamazione delle vecchie AWP, quindi in AWPR, anche questo ovviamente respinto al mittente. Non è che era fatto, come dire, semplicemente perché avevamo uno sfizio di modernizzazione: lo abbiamo fatto perché se vogliamo veramente incidere su quello che è in particolare il contrasto soprattutto al riciclaggio di denaro, alla manomissione che spesso viene fatta in particolare di questo tipo di giochi, e anche del lavaggio automatico, e anche relativamente al ridurre la possibilità quindi di utilizzo rispetto alle banconote da 500 euro, che basta giocare un euro anche qui perché così ne pulisci 499… Anche queste sono state respinte al mittente da parte di questa maggioranza!
Guardate, noi siamo sicuramente convinti che il gioco d'azzardo patologico è una battaglia culturale ancor prima che legislativa, perché noi abbiamo l'esigenza di ridurre i momenti di familiarità con il gioco d'azzardo, che è il primo passo essenziale: noi possiamo sanzionare i gestori che sono inadempienti, normare l'accesso, ma la consapevolezza è la vera prima arma per ricondurre i numeri dell'uso e dell'abuso del gioco italiano nell'alveo di un fenomeno non così allarmante quanto avviene oggi.
Qui noi siamo di fronte a un decreto, quindi una previsione di urgenza; se no non c'è una motivazione per emanare un decreto tanto osteggiato, lo hanno già ricordato i colleghi più volte. E qui guardate, mi permetto solo qualche appunto dei contenuti nel contratto di Governo. Vi ricordo solo alcune parole: strategia di uscita delle machine gambling, forte diminuzione di azzardo con puntate ripetute, imposizioni dei limiti di spesa, tracciabilità dei flussi di denaro per contrastare l'evasione e l'infiltrazione mafiosa, rilascio dell'autorizzazione all'installazione delle new slot machine e delle VLT solo nei luoghi ben definiti, non bar, non distributori. Insomma, tutto quello che di fatto era previsto nell'intesa, con una puntuale… E qui dico ai sottosegretari, ai Ministri, ai Viceministri, non c'è “puntuale”: basta andare a leggerselo, quanto sarà la riduzione drastica in tutti questi punti; voi penso sappiate che anche in una lavanderia in questo momento si possono mettere le macchinette per giocare. Ecco, tutta questa cosa che serviva per riuscire ad arrivare a una riduzione effettiva, condivisa con tutte le regioni (un impegno devo dire particolarmente difficile, arduo nella costruzione, ma che ha visto tutte le regioni, comprese le regioni che sono governate da una parte di questa maggioranza), naturalmente anche questa respinta al mittente.
E allora guardate, credo vada dato merito al Partito Democratico se è riuscito a migliorare questo decreto inserendo alcune cose. La prima, la battaglia… Soprattutto mi riferisco alla questione della tessera sanitaria: ancorché nelle sale da gioco i minori non ci dovrebbero entrare così non è, e in particolare con la tessera sanitaria noi dobbiamo soprattutto proteggere i minori che sono quelli che vanno più tutelati. E poi la cosa che è contraddittoria, che a fronte di questa disponibilità dall'altra parte avete naturalmente bocciato anche un altro emendamento, che è quello che riguarda i tagliandi che si usano sulle sigarette, “nuoce alla salute”: pur a costo zero per l'erario, naturalmente anche questa è stata una scelta affossata, senza che ci sia stata peraltro un'argomentazione per dire quali erano le ragioni.
Vedete, ci troviamo quindi di fronte a un decreto che dopo questo intervento sulla pubblicità archivierà il tema del gioco d'azzardo patologico, esaurendo qui l'impegno per una vigorosa scelta di riordino dei giochi, rendendo di fatto monca e inefficace la lotta per il contrasto al gioco d'azzardo, e soprattutto la capillarità sul territorio italiano. Non si capisce perché avete voluto bocciare gli emendamenti che abbiamo presentato. Perché vede, gentile Presidente, un secondo atto non ci sarà. La coda di paglia si è avvertita quando il Vicepresidente Di Maio ha sentito l'esigenza di dire che questo era il primo atto, che poi ce ne sarebbe stato un secondo: basta anche semplicemente fare i calcoli che fa qualsiasi persona, è francamente difficile pensare che ci sarà un secondo atto con tutti gli impegni che naturalmente, in campagna elettorale permanente, state promettendo in particolare ai cittadini.
Ma lascia soprattutto a bocca asciutta le regioni e gli enti locali: quello che sul vostro blog vi preoccupate di definire il tradimento del Governo, il Governo inganna le regioni e i comuni. Ecco qual è l'inganno che noi abbiamo visto: l'inganno lo vediamo con le scelte del decreto e con le scelte soprattutto di non dare seguito per nessuna ragione. Anzi il dramma vero è quello che con il voto del decreto noi decreteremo un'altra cosa: la morte di quell'intesa e quegli impegni che noi abbiamo assunto con tutte le regioni e con gli interventi di puntualità. Anche in questo caso la manina, che è stata tanto vituperata perché diceva che il decreto-legge prevede 8.000 posti in meno all'anno, questa manina ha fatto anche un'altra cosa: ha scritto testualmente che l'impatto in particolare sulla pubblicità degli apparecchi da divertimento, le slot, che sono quelli ritenuti a forte rischio, ha un impatto praticamente pari a zero e la stessa cosa fare per il bingo. Tanto però per dare quattro informazioni che spero siano utili a noi che siamo in quest'Aula, sapete di che cosa stiamo parlando? Dobbiamo fare il calcolo sul valore del giocato perché per quanto riguarda le AWP parliamo di 24 miliardi di euro; quando parliamo di VLT parliamo di 23,5 miliardi di euro cioè di 17 miliardi per il gioco on line. Significa che solo le AWP e le VLT, sulle quali voi avete negato di fatto di fare una battaglia per la loro riduzione e la loro regolamentazione, rappresentano il 53 per cento delle quote di mercato e, quindi, la domanda sta qui. È necessario che voi rispondiate a questa domanda: chi tra di noi ha scelto di contrastare le fantomatiche lobby? Si risponda a questa domanda, soprattutto date una spiegazione agli amministratori che avete lasciati soli rispetto alle richieste di regolamentazione nazionale, di riduzione dei punti gioco, di riduzione dei volumi, di sospensione di almeno sei ore sul territorio che doveva rimanere in capo ai sindaci, sulla distribuzione in modo da non concentrare sui singoli comuni per mettere in campo il not in my garden, incidere sul riciclaggio, sull'abbassamento degli importi per la giocata, sugli strumenti di autolimitazione.
In tutto questo voi avete scelto di lasciare soli regioni e comuni. Sicuramente il divieto di pubblicità ha un alto valore non solo simbolico: è sicuramente importante e necessario ma il fatto è che ci siamo esclusivamente fermati a questo punto. Quello che peraltro già la collega Fregolent ricordava nel suo intervento e che la relazione ripete: la preoccupazione è che di fatto una parte del gioco legale viene spostata sulla parte del gioco illegale, vale a dire - lo dice l'Università di Trento peraltro in un'intervista rilasciata recentemente - tanto per capirci il valore mondiale del gioco illegale vale qualcosa come 140 miliardi di dollari. Quello che mi ha colpito sono i tempi del benaltrismo cioè, quando arrivavamo, avevamo messo in campo delle cose e non bastava mai: il benaltrismo che viene utilizzato di fatto a corrente alternata. Naturalmente quando si è il Governo quel benaltrismo non va più di moda e così naturalmente le scelte che abbiamo fatto costano tanto, costano ovviamente soprattutto in termini di mancate entrate. Però il Vicepresidente Di Maio ci dovrà rispondere a due domande e praticamente ho chiuso.
La prima: se vuole andare veramente nella riduzione dell'offerta e quindi anche delle entrate, come noi pensiamo che sia giusto fare, o se mantiene l'idea che il gioco d'azzardo debba di fatto finanziare il reddito di cittadinanza, come scriveva in un disegno di legge nella scorsa legislatura. Perché o si fanno scelte chiare o coraggiose, anche se costose, oppure rischia di essere sicuramente un provvedimento non solo insufficiente ma direi molto di apparenza.
Quindi rivolgo un appello alla maggioranza: non siete più all'opposizione, adesso avete la responsabilità di governare e di assumervi l'onore e l'onere di questa scelta. Rispetto a questo atteggiamento di totale chiusura, a questa incapacità di cogliere le proposte migliorative, vi anticipiamo che vi presenteremo di nuovo esattamente gli stessi emendamenti che avete bocciato in Commissione non per ragioni di ostruzionismo ma perché pensiamo che la scelta deliberata che avete fatto sia una scelta assolutamente sbagliata.
E vorrei inoltre rivolgere una questione al Viceministro Di Maio, tramite lei, Presidente, poiché è assente, gli dica cortesemente: si vergogni di rivolgersi a noi come ai difensori del mercato del gioco per scaricare le responsabilità sugli altri. Governare significa prendere decisioni e non fare lo scaricabarile. Governate con due forze che hanno interessi contrapposti e genti politiche differenti e il risultato è contraddittorio: per chi faceva le politiche del territorio e la forza del territorio, in realtà avete scelto di farli rimanere soli e per chi ha scelto di fare una battaglia sulla riduzione non avete fatto nulla. Insomma questo è il fine atto: cala il sipario il secondo non lo vedremo, con buona pace delle promesse e delle battaglie fatte in tanti anni e un secondo copione che qui non vedremo mai (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Frassinetti. Ne ha facoltà.
PAOLA FRASSINETTI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la prima riflessione che mi è venuta spontanea esaminando il provvedimento è che potrebbe definirsi il decreto delle occasioni perdute. Dico così perché sarebbe stata un'occasione per intervenire nel mondo del lavoro creando le sintesi di armonia che mancano ormai da troppo tempo e che sono la ricetta per eliminare i conflitti e le contraddizioni. Invece il provvedimento, il decreto delle occasioni perdute, anziché risolvere il problema dell'occupazione, ha fatto tornare in auge la contrapposizione tra datore di lavoro e lavoratore, retaggio di meccanismi ormai logori, di passati direi vetusti. Ci saremmo aspettati un superamento di tale concetto, ad esempio, con una detassazione più incisiva e con una sburocratizzazione che, invece, alla luce dei fatti, non c'è stata: ci saremmo aspettati l'abolizione dello spesometro, del redditometro e dello split payment non solo per i professionisti ma per tutti i soggetti interessati. Ci saremmo aspettati una misura che prevedesse la riduzione del costo dell'energia che per le piccole e medie imprese in Italia è pari all'87 per cento e quindi la più onerosa di tutta Europa. Ci saremmo aspettati, inoltre, la riduzione del cuneo fiscale che grava sulle piccole e medie imprese per l'11 per cento in più rispetto alla media europea, stimolando così veramente la crescita del mercato del lavoro, restituendo competitività alle imprese. Ci saremmo aspettati una defiscalizzazione del contratto a tempo determinato secondo la regola fondamentale del “più assumi e più risparmi”: niente di tutto questo.
Fratelli d'Italia propone e caldeggia un sistema fiscale che premi le imprese che assumono in Italia; Fratelli d'Italia propone la partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese, che peraltro è una ricetta storicamente collaudata. Fratelli d'Italia propone che le aziende ad alta intensità di lavoro che assumono in Italia paghino meno tasse delle aziende che non assumono perché delocalizzano. Durante la campagna elettorale siamo stati ad ascoltare i piccoli imprenditori: oggi Giorgia Meloni era in Veneto chiamata dai piccoli imprenditori che sono in sofferenza e sono preoccupati. Quindi, se muoviamo critiche al decreto-legge, è proprio non solo per ostruzionismo o per mettere in atto il solito gioco delle parti, maggioranza-opposizione, ma proprio per una sincera preoccupazione, per queste persone che si rendono conto che non ci saranno i tanto attesi miglioramenti di cui il centrodestra aveva parlato nei programmi della sua campagna elettorale. Auspico, perché sono comunque ottimista, che il Governo abbia la volontà di migliorare durante i prossimi giorni il decreto-legge accogliendo emendamenti che, invece, non sono stati accolti nelle Commissioni competenti. Fratelli d'Italia aveva presentato emendamenti importantissimi che sono stati rigettati.
Passo ora all'argomento degli insegnanti, dei maestri. Mi piace chiamarli maestri che è un termine molto più significativo e dirompente di “insegnante”. I maestri sono stati veramente trattati malissimo dall'articolo 4 che ormai è diventato tristemente famoso e qui la dignità dovrebbe essere al primo posto perché i maestri insegnano ai bambini e agli studenti che hanno il primo approccio con il mondo dall'educazione e, quindi, dovrebbero essere trattati con un occhio di riguardo e non bistrattati come invece sono stati.
Anche qui, al di là della soddisfazione per la proroga che ha salvato la continuità didattica e, quindi, lo svolgimento regolare del prossimo anno scolastico, restano delle grosse ingiustizie. Mi riferisco a chi è stato escluso dal concorso straordinario dopo essersi formato per il sostegno, per esempio. Noi sappiamo che gli insegnanti di sostegno sono veramente un problema perché c'è un'emergenza, una girandola di questi insegnanti che non riescono a stare, molte volte, per più di qualche mese nelle stesse aule, quindi supportando così gli studenti che hanno bisogno. Dunque, io penso che ci sia da intervenire a favore di questi insegnanti per una questione di equità e così Fratelli d'Italia in questi giorni ha fatto, anche stando a fianco di quelle insegnanti diplomate prima del 2001-2002 che vedranno i loro contratti a tempo indeterminato trasformati in contratti a tempo determinato. Ecco, io penso che sull'articolo 4, anche su ciò che riguarda la scuola, se i nostri emendamenti fossero bocciati saremmo di fronte a un licenziamento di massa nel settore della scuola pubblica e questo non potrà certo essere risolto da una sanatoria mascherata da concorso straordinario. Quindi, io faccio un appello al Governo perché, soprattutto per quanto riguarda l'articolo 4 e gli insegnanti, si metta una mano sulla coscienza e riveda le posizioni assunte proprio accogliendo gli emendamenti che sono stati da noi presentati.
In conclusione, attualmente questo decreto è contraddistinto da troppi divieti e da troppe rigidità e non potrà certo avere il placet di Fratelli d'Italia. Confidiamo - ripeto - nell'accoglimento degli emendamenti; altrimenti, noi saremo coerenti con il nostro concetto di lavoro sostenuto e inserito nel nostro programma elettorale, che parla di lavoro dove c'è libertà, libertà di intraprendere, libertà di assumere e libertà di lavorare, per il bene del lavoratore, dell'imprenditore ma, soprattutto, per il bene dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Marin. Ne ha facoltà.
MARCO MARIN (FI). Grazie, Presidente. Membri del Governo, colleghe e colleghi, non posso non cominciare questo intervento dal nome del decreto, “decreto dignità”. Ebbene, quando questo provvedimento ci è stato presentato a grandi linee, all'inizio, ho visto questo nome, “dignità”, e ho visto di cosa trattava e ho visto che trattava di lavoro, di licenziamenti, di delocalizzazioni, di ludopatia, tanto per citare i temi principali, ma anche di associazioni sportive e ho pensato: “Andiamo a vedere cosa c'è”. Una forza politica come la nostra, Forza Italia, che è responsabile e pragmatica, va a vedere concretamente cosa c'è scritto nei provvedimenti e devo dire che il nome l'ho anche un pochino invidiato. Ho detto: “Dignità, ma che bel nome!”. Ebbene, non potevo fare un errore più grande quando ho visto i contenuti, quando abbiamo visto i contenuti del provvedimento, perché per noi, rispetto al lavoro, dignità vuol dire dare lavoro e non vuol dire pensare magari al reddito di cittadinanza e all'assistenzialismo, tanto caro al MoVimento 5 Stelle. Siamo profondamente diversi e ciò l'abbiamo detto in campagna elettorale. Noi ci siamo presentati - noi e il centrodestra - con un programma chiaro, completamente diverso da quello del MoVimento 5 Stelle. Dunque, ho visto immediatamente che di dignità non c'era nulla. Quindi, ho subito pensato che questo fosse il nome sbagliato.
Ma mi si permetta di dividere questo intervento in tre parti. Io sono un medico e vorrei fare l'anamnesi, poi la diagnosi e poi la terapia. Sull'anamnesi - vorrei dire remota - è quella dei dati ufficiali, di quelli che sono i dati tecnici, e devo dire che il collega Scoma, del nostro gruppo, prima è stato molto chiaro e molto preciso. Ho visto che non c'era molta attenzione dai banchi del Governo su quello che diceva l'onorevole Scoma e, invece, io l'avrei avuta perché ha riportato dei dati molto, molto importanti. Adesso vorrei stare, dopo aver ricordato quei dati, su un'anamnesi più di questi giorni, dopo la presentazione di questo decreto. Il decreto è stato annunciato come se potesse risolvere quasi tutti i problemi del Paese, quelli di cui prima parlavo. Sappiamo che il lavoro è sicuramente un'emergenza importantissima, forse la principale nel nostro Paese, ma ho visto che il provvedimento non veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale e che c'erano dei ritardi. Ho subito cominciato a pensare: “Ma perché?”. Ci siamo accorti immediatamente che c'era qualcosa che non andava ma non pensavo fino a questi livelli di superficialità, perché io concedo sempre la buona fede a tutti; ma qui parliamo proprio di superficialità totale rispetto al tema. Come dicevo, abbiamo cominciato a guardare e appena il provvedimento è stato pubblicato abbiamo visto gli allegati. Intanto, mi viene da dire che il Governo e il Ministro Di Maio, da quello che abbiamo capito, non avevano visto neanche gli allegati.
Abbiamo visto gli allegati del centro studi della Ragioneria dello Stato che ci dicevano che nei prossimi dieci anni si perderanno 80 mila posti di lavoro e che lo Stato incasserà le conseguenze di questo provvedimento, cioè 153,6 milioni in meno. Dico, se il buongiorno si vede dal mattino questo è stato veramente un buongiorno importante. Ma cosa ha fatto il Ministro Di Maio, cosa ha fatto il Governo? Hanno dichiarato pubblicamente che questi dati non li avevano visti. C'è da preoccuparsi che un Ministro non legga neanche le relazioni allegate ai propri provvedimenti. Ma non solo, perché non è bastato questo. Ha subito cercato dei nemici: ha cercato le “manine”. Allora, o questi dati sono veri o questi dati sono finti, e non si parla di manine. Ma si è andati talmente avanti con le manine che nei giorni scorsi sui giornali le dichiarazioni erano piene di attacchi al Ministro Tria, a un membro del Governo. Si metteva addirittura in dubbio la permanenza di un Ministro solo perché la Ragioneria dello Stato aveva dato questi dati all'interno del Governo. Ma dimentichiamo, passiamo oltre.
Poi, è arrivato il presidente dell'INPS, sempre per l'anamnesi perché anche questo è importante. È arrivato Boeri. È venuto in Commissione, ha detto le cose come stanno, ha avvertito i parlamentari e, quindi, il Paese, perché noi rappresentiamo il Paese, che degli effetti nefasti di questo provvedimento il Governo era stato avvertito. Ma non solo: ha detto che le previsioni sono addirittura ottimistiche rispetto alle perdite di posti di lavoro. Cosa è successo? Una presa d'atto? Si è cambiato qualcosa? No, assolutamente no. Si è detto: “Boeri se ne deve andare”. Io non sono l'avvocato del presidente dell'INPS, non mi interessa neanche difenderlo; mi interessa, però, che i provvedimenti del Governo siano fatti con serietà e se il Presidente dell'INPS dà dei dati è assolutamente doveroso per il Governo ascoltarli. Abbiamo visto, quindi, che prima la Ragioneria dello Stato e poi il presidente dell'INPS sono dei nemici. Ma non basta - non basta! - perché poi hanno parlato Confindustria, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti. Ebbene, non c'è stata una parola che dicesse che questo decreto andava bene. Anche questi, naturalmente, sono dei nemici.
Lo dico al sottosegretario. Io vengo dal Veneto, dal nord-est e, più dettagliatamente, da Padova, da quel triangolo cosiddetto d'oro, Padova, Treviso e Vicenza. Lì si lavora, in tutto il Paese si lavora. Si creano posti di lavoro e anche le associazioni venete hanno inviato, proprio oggi, una lettera-appello, un appello di 600 imprenditori veneti, cioè un tessuto fatto di piccole e medie imprese. Le cito il Veneto per parlare - le ho citato prima le categorie economiche nella loro interezza, naturalmente, di tutto il Paese - ma sto su questo dato, su questo tema: 600 imprenditori che dicono che questo decreto va cambiato. Ragioneria dello Stato - nell'anamnesi -, INPS e tutte le categorie economiche, ma anche gli imprenditori singoli sono nemici di questo Governo. Se poi vogliamo vedere, Confindustria generalmente è sempre filogovernativa, ma letto il provvedimento non si sono sentiti di fare diversamente, evidentemente. E - come dicevo -la lettera di oggi parla di dati preoccupanti.
Gli imprenditori lo creano il lavoro. Il mondo è cambiato. Voi evocate quasi la nuova lotta di classe. Le piccole e medie imprese, l'imprenditore, il titolare lavora gomito a gomito, a contatto col suo dipendente. Prima di licenziare un dipendente ci pensa non una, ma due, tre, cinque, dieci volte. Il problema non è toccare i licenziamenti e per quante mensilità. Siamo tutti dalla parte dei lavoratori, dei genitori che rimangono senza lavoro; il problema è che se chiudono le imprese e gli imprenditori si suicidano, purtroppo anche nel ricco nord-est, non c'è neanche lavoro per i dipendenti. Non c'è la lotta di classe, è finita. Il nostro tessuto sociale ormai è completamente diverso, ma voi avete voluto evocare anche questo. Questo per dire che tutti i soggetti sono venuti contro questo decreto, che tutto ha meno che la dignità, francamente. E, allora, vediamo un attimo. Questa era l'anamnesi. La diagnosi era: interveniamo sul lavoro, interveniamo a tutela dei lavoratori, interveniamo per gli insegnanti - ma già è stato detto molto di questo dal nostro gruppo - e interveniamo sulle ludopatie. La diagnosi è chiara: il Paese ha bisogno di qualcosa di diverso. È la terapia che è completamente sbagliata. La terapia è diversa e ve l'hanno detto i numeri allegati al provvedimento, ve l'ha detto l'INPS, ve l'hanno detto le categorie economiche. Eppure, che cosa avete fatto? Allora, pensiamo solo ai voucher, una battaglia di Forza Italia. Certo, poi adesso da altre forze politiche di maggioranza si dice: “L'abbiamo fatto noi”. No! La prima voce si è levata da parte di Forza Italia.
Avevamo votato contro l'abolizione dei voucher dei Governi di sinistra. Ci siamo battuti perché venissero reintrodotti i voucher, ma, anche qui, la vostra terapia è completamente sbagliata. Basta pensare al turismo: solo le strutture alberghiere ricettive. Quindi ristoranti, bar, attività commerciali, nulla, zero, perché, evidentemente, pensate solo a quei lavoratori, pensate solo a quei lavoratori. Abbiamo detto altre cose rispetto al lavoro. Per il tempo determinato, lascio perdere l'aumento dello 0,5 dei contributi previdenziali per gli imprenditori, che per voi, evidentemente, sono dei nemici, e difatti non li ascoltate, che è passato da 1,4 a 1,9 per cento. Uno 0,5 in più: sono tutte gocce che appesantiscono le imprese italiane, e quindi provocano meno posti di lavoro, perché le due cose, come dicevo prima, stanno insieme.
Tra le altre cose, dico che vi siete presentati qui in Aula, il Primo Ministro Conte, dicendo il primo giorno: questo è il Governo del cambiamento, perché noi siamo in ascolto. Ebbene, con questo decreto in ascolto siete stati poco - ripeto, poco - perché altrimenti lo dovreste stravolgere. Non ho sentito una voce a favore di questo decreto, anzi, sicuramente la CGIL, ma tutti gli altri no. Questo per dire che questo decreto rappresenta il peggio dello statalismo e del dirigismo, ma altri del gruppo lo hanno già detto prima. E allora dicevo, anche sul tempo determinato: se non c'è lavoro, il problema non è il tempo determinato. Se le imprese chiudono o se c'è una crisi che continua, purtroppo, se la disoccupazione giovanile è a livelli oltre il 35 per cento e quella nazionale è altissima, troppo alta, non sarà bloccando anche i contratti a tempo determinato, rendendoli difficili, mettendo delle causali che gli imprenditori vi hanno detto: non mettetele, toglietecele, non è che non assumeremo più.
O qui si vuole potenziare il lavoro nero o si vuole potenziare l'assistenzialismo del reddito di cittadinanza, ma, di certo, non si potenzia il lavoro in questo modo. E dicevo prima, a proposito dei licenziamenti: certo che vanno difesi i lavoratori, ma non in questo modo, non pensando che gli imprenditori siano dei nemici. E ancora, vado veloce e rapido sui punti che già molti colleghi hanno toccato, a partire, ovviamente, dai membri della Commissione lavoro Zangrillo e Polverini, e sulla ludopatia. Ma chi può non essere contro la ludopatia?
Ma ve lo dico da medico: qui non si parla di questo. Qui si parla solo di fare un intervento populista, che parla alla pancia della gente, che dice “aiutiamo i nostri ragazzi contro la ludopatia”. Certo che bisogna farlo, ma bisogna fare un intervento organico. Questo per toccare i temi principali, ma ancora, sulle delocalizzazioni: fate di tutto perché le imprese straniere, ma voglio dire anche quelle italiane, non investano più nel nostro Paese. Per venire a investire nel nostro Paese ci vuole molto coraggio, per tre motivi prima di tutto. Primo, per le troppe leggi, per la burocratizzazione, per la troppa burocrazia che c'è nel nostro Paese. Difatti noi, in campagna elettorale - lo ricordo a chi si è presentato con noi, soprattutto - avevamo parlato di autorizzazioni ex post.
Chi viene a investire deve poter aprire in fretta, e poi gli faremo il controllo per vedere se tutto è in regola; e, se non è in regola, deve mettersi in regola, naturalmente. Ma se arriva un investimento bisogna prenderlo al volo. Poi abbiamo il problema della giustizia, la giustizia lenta: sul giustizialismo che rappresenta questo Governo non voglio dire nulla. Ma il terzo grande problema è quello infrastrutturale, delle infrastrutture. Qui siete allineati, certo: se dovete fare questa terapia, non per niente in questi giorni state dicendo che non volete fare la TAV.
Più burocrazia, giustizia penalizzante per gli imprenditori, zero infrastrutture. Ma perché qualcuno dovrebbe venire a investire in Italia? Perché dovrebbero venire gli imprenditori a investire nel nostro Paese? Ma perché un imprenditore italiano dovrebbe scommettere le proprie fortune, quello per cui ha lavorato, quando questo è quello che voi fate rispetto al mondo del lavoro?
Allora, la terapia che proponete è completamente sbagliata. E' stato detto, dal nostro gruppo, che spesso ci hanno detto “lasciateli provare”, e questo è stato anche il senso di responsabilità di Forza Italia e di Berlusconi, quando ha detto a un alleato “vai a vedere quello che si può fare”.
Ebbene, stiamo toccando con mano quello che siete in grado di fare, e noi, con coerenza anche rispetto a questo provvedimento, abbiamo presentato circa 300 emendamenti, 290 emendamenti, che erano migliorativi. Uno, quello dell'onorevole Baldelli di Forza Italia, lo avete voluto approvare a maggioranza.
Vi eravate dimenticati anche di fare quello che si fa da qualche anno, la compensazione debiti-crediti. Capite qual è la vostra superficialità, la vostra incapacità totale? Neanche quello che si faceva già prima. E su questo, probabilmente, ve ne fate anche un vanto, dite: “siamo stati bravissimi”. No, non basta. I debiti di chi lavora, di chi ha lavorato per la pubblica amministrazione vanno pagati. Non so che esperienze di lavoro avete fatto nella vostra vita… sicuramente lei, sottosegretario, ma lei capisce che non parlo solo a lei, anche se solo lei rappresenta il Governo. Allora mi invita a dire che il Ministro Di Maio avrebbe dovuto essere presente per rispetto dell'Aula, perché voi, nella scorsa legislatura, avete fatto molto molto…se fosse successa una situazione di questo tipo, voi vi sareste stesi sui banchi, stareste urlando e offendendo i membri del Governo.
Quindi continuo, la ringrazio, ma continuo, perché mi ha invitato, mi ha dato un assist che non potevo non dire, perché mi dispiace, perché questo è il Governo del nostro Paese, capisce. Allora, dicevo, quei debiti vanno pagati. Quando si lavora con la pubblica amministrazione, si pagano i debiti; non ci si vanta di avere accolto un emendamento. Noi ci possiamo vantare di averlo presentato: voi dovete fare mea culpa. Ve ne eravate dimenticati e non pagate i debiti della pubblica amministrazione; su quello vi aspettiamo. Questo provvedimento, questo decreto peggiora le condizioni. Adesso sì stiamo vedendo con mano quello che sapete fare.
Adesso quella che sembrava freschezza, capacità…è facile urlare, è facile urlare alla luna. Quello che è difficile è governare; cominciamo a vedere quello che sapete fare. Il conto, purtroppo, lo paga il Paese. Vi avevamo già visti, vi avevamo già visti nelle amministrazioni locali. Abbiamo già sentito dire a Roma, dalla vostra sindaca Raggi, che, per tagliare l'erba, useremo le pecore. Abbiamo già visto Spelacchio. Non vediamo un provvedimento che faccia il bene della città di Roma. Adesso vi vediamo anche a livello nazionale. Guardi, le faccio una provocazione: forse se ne è accorto addirittura Grillo, che ha capito che adesso gli italiani imparano a conoscervi. Ha detto che non si deve più votare, che bisogna sorteggiare. Andiamo a sorteggio, perché la vostra luna di miele finirà prestissimo, la luna di miele di questo Governo gialloverde, che noi contestiamo con coerenza, perché il 4 marzo ci siamo presentati con un programma elettorale firmato da tre leader e noi stiamo su quel programma. Altri devono spiegare perché stanno cambiando le loro posizioni (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), ma, siccome noi andiamo avanti con coerenza, lo faremo tutti i giorni davanti agli italiani. Gli italiani impareranno presto a conoscervi, la luna di miele finirà prestissimo, e, quando torneremo al voto, l'Italia resterà, credo che finirà il MoVimento 5 Stelle e questo Governo gialloverde (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Viscomi. Ne ha facoltà.
ANTONIO VISCOMI (PD). Grazie, Presidente. Allora, devo confessare che, leggendo il decreto n. 87, e in particolare gli articoli che riguardano i rapporti di lavoro, è fortissima l'impressione che il cambiamento del Governo del cambiamento non sia altro che un ritorno al passato, superficiale, per la verità, e anche molto confuso, che non produrrà effetti benefici per i lavoratori, e, anzi, creerà danni ai datori di lavoro. Badi, signora Presidente, che parlo di datori di lavoro, non di imprenditori, perché qui stiamo focalizzando sempre l'attenzione sull'imprenditore, ma il decreto trova applicazione nei confronti di tutti i datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, le famiglie ad esempio, ma anche gli studi professionali e tante altre tipologie.
Più che un decreto 2.0, come ama dire il Ministro e come ha ripetuto oggi, a me pare, se mi si passa la metafora calcistica, un 2 a 0 nei confronti della logica organizzativa e del buonsenso giuridico. Altro che prima pietra o primo mattone di un nuovo patto sociale! Una risposta sbagliata ad un problema reale, che rimane la precarietà professionale, con tutto il suo portato di precarietà esistenziale e familiare. Precarietà, Presidente, che è cosa ben diversa dalla temporaneità dei rapporti professionali. Quella è una trappola, ma questa può essere un trampolino, e questa doppia anima è percepita nella realtà quotidiana dei lavoratori ed è segnalata da tempo dall'Unione europea sia nella redazione della direttiva n. 1999/70 sia nel più recente Libro verde del 2006.
Il fatto, però, è che il trampolino può funzionare e le buone occasioni di lavoro possono derivare soltanto dalla presenza di imprese capaci di stare in un mercato globale, non chiuso nei confini nazionali, in modo innovativo e competitivo, da sostenere mediante la riduzione definitiva e radicale del costo del lavoro, così come, in ben quattro emendamenti, avevamo proposto in sede di Commissione, a beneficio dei lavoratori con età inferiore ai trent'anni, a beneficio dei lavoratori in possesso di un dottorato di ricerca, a beneficio di tutti i lavoratori, a beneficio dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato come trasformazione da un contratto a tempo determinato. Nessuno di questi quattro emendamenti è stato accolto dalla maggioranza di Governo. Questo è stato e questo è stato giustificato da qualcuno in Commissione affermando, in modo apodittico, che il decreto è destinato a recuperare la tradizione giuslavoristica consolidata nel nostro Paese. Il fatto è, però, che proprio guardando la tradizione giuslavoristica del nostro Paese emergono con prepotenza i limiti culturali – uso consapevolmente la parola culturale cioè come modello di società – concettuali e tecnici del decreto n. 87 che proverò a delineare sinteticamente, articolando il mio intervento su tre questioni principali che potrei riassumere utilizzando tre parole: complessità, dinamicità ed effettività. Complessità, signor Presidente, degli interessi in gioco, complessità degli interessi in gioco che rendono il contesto molto più importante del testo, dinamicità normativa in materia di lavoro a termine, che ha visto una decina di interventi dal 2000 ad oggi, difficoltà applicative, scarsa effettività conseguente al fatto che l'intervento in esame non tiene conto della complessità degli interessi e della stessa evoluzione normativa della materia.
Inizierei con il primo punto, la complessità degli interessi. Confesso che è stato proprio l'intervento in Commissione di un esponente del partito di maggioranza, che ricordava la necessaria presenza di una causa per ogni negozio giuridico, a richiamare la mia attenzione su questo punto. Naturalmente, la causa del contratto è cosa diversa dalla causalità del termine o della somministrazione, la causa è la funzione socio-economica realizzata dalle parti contraenti, la causale indica invece le situazioni oggettive o soggettive in presenza delle quali è legittimo stipulare un contratto a termine. Bene, però la causa, la funzione del contratto di lavoro subordinato a termine o a tempo indeterminato che sia non è certo assicurare al lavoratore la proprietà di un posto di lavoro o un effetto assicurativo sui redditi, ma solo consentire al datore di lavoro di integrare la prestazione individuale in una dimensione organizzativa. Il contratto di lavoro costituisce il termine medio tra prestazione organizzazione ed è proprio da ciò che derivano le specificità della disciplina lavoristica, che si presenta come un congegno altamente sofisticato chiamata a coniugare gli interessi della persona, del prestatore con gli interessi di una organizzazione di lavoro che opera per il mercato e che nel mercato, con i suoi cicli, con le sue dinamiche, trova la ragione della propria identità. Proprio per questo motivo, diciamo tutti che il compito fondamentale del diritto non è creare occupazione – non può farlo il diritto, i posti di lavoro non si creano per decreto –, ma il compito del diritto è creare condizioni ottimali per creare occupazione. Ma se non si comprende questa complessità del sistema che dalla persona arriva al mercato e si continua a ragionare per slogan tipo combattere la precarietà, si crea una situazione paradossale, idonea a generare effetti perversi e non voluti. Per combattere la precarietà si introducono norme che incidono sui rapporti temporanei, che producono ulteriore precarietà verso il lavoro nero e verso forme di lavoro meno tutelate come i voucher. Noi volevamo introdurre condizioni per una buona occupazione, per un buon lavoro, stiamo arrivando in Aula con i buoni lavoro, con i voucher appunto. Bastava dare uno sguardo all'evoluzione della disciplina per rendersi conto delle difficoltà che abbiamo davanti quando regoliamo il contratto a termine. In Commissione abbiamo sentito dire che il modello da riprendere e rispecchiare è la legge n. 230 del 1962, ma è proprio la legge del 1962 a dimostrare le ragioni per cui il vostro intervento sarà ineffettivo sul piano del mercato del lavoro. Il nostro ordinamento, sottosegretario, ha riconosciuto diversi modelli di governo del contratto a termine. La legge del 1962 con le causali, causali molto simili alle nostre, alle vostre attuali, opera nei servizi definiti e predeterminate nel tempo aventi carattere straordinario e occasionale. La legge del 1979 che introduce un controllo dell'ispettorato del lavoro sulla stipulazione dei contratti a termine. La legge del 1987 che affidava alla contrattazione collettiva la definizione delle causali. La legge del 2001 che introduceva il “causalone”: esigenze tecniche, organizzative e produttive. E, poi, gli interventi successivi. Il decreto Monti, ad esempio, che introduceva una parziale acausalità del contratto a termine per il primo anno, più o meno come il vostro; avete copiato Monti, da questo punto di vista. Per arrivare, poi, al decreto Poletti. E poi al Jobs act che elimina la causale formalizzata dal legislatore. Ma perché quest'evoluzione, questa diversità dei modelli e dei paradigmi regolativi nell'ambito del contratto a termine? Per un motivo molto semplice, perché siamo tutti convinti e consapevoli, avendolo sperimentato sulla pelle del mercato del lavoro nel nostro Paese, che il legislatore non può regolare questa materia con un'unica norma uguale per qualunque settore, per qualunque tempo, per qualunque realtà territoriale del mercato del lavoro. La legge del 1962 è fallita per le questioni delle punte stagionali: è possibile stipulare un contratto a termine per le punte stagionali, è la punta stagionale cioè un incremento di un'attività periodica nel tempo, occasionale e straordinaria? Beh, dopo tanti anni di conflitti giudiziari, di sentenze diverse, di convegni scientifici, di polemiche politiche, ci si è resi conto che forse è meglio affidare alla contrattazione collettiva la definizione delle causali. E sa qual è la prima fattispecie individuata dalla contrattazione collettiva, nel 1987, di contratto a termine o di causale per il contratto a termine? Il contratto week-end degli esattori dei pedaggi autostradali. Vogliamo confrontarla con la formulazione attuale, che voi avete proposto, delle causali? Le punte stagionali sono attività ordinarie? Sì, se sono attività ordinarie, lettera a), non posso stipulare il contratto a termine. Sono attività programmabili? Sì, lettera b), se sono attività programmabili, non posso stipulare un contratto a termine. Se questo vale per le punte stagionali, figurarsi per gli esattori del pedaggio autostradale dei contratti week-end. Come vedete, a saperla leggere, la storia giuridica vi dimostra perché la vostra legge e le vostre causali non avranno effetto sul mercato del lavoro e condurranno e spingeranno le imprese a ricorrere al lavoro nero oppure ad altri contratti che hanno un inferiore livello di tutela.
Per questo motivo avevamo proposto, come Partito Democratico, una serie di emendamenti per affidare alla contrattazione collettiva, alle parti sociali, la definizione delle causali. Non capiamo perché avete risposto negativamente, perché, nell'ambito del sistema del decreto n. 81 così come ora è congegnato, come risulta dalle vostre modifiche, la contrattazione collettiva può allungare il termine di durata del contratto a termine. Voi dite in giro che il contratto a termine ha una durata massima di ventiquattro mesi; mi dispiace, dovreste dire ventiquattro mesi, salvo diversa previsione dei contratti collettivi. Giusto? Sta dicendo di sì? È esattamente così, e vale anche per le percentuali. L'avete inserito nella riformulazione sul contratto di somministrazione, sul contratto a termine del 30 per cento, e vale per la identificazione delle attività stagionali, e vale per una serie di altri motivi, e vale per la possibilità di esonerare dall'applicazione totale della disciplina sul contratto a termine, in caso di nuova attività, per settori o territori. E proprio sulle causali avete deciso che la contrattazione collettiva non deve essere utilizzata. Io non capisco, continuo a non capire le ragioni di questa a opposizione nei confronti dell'intervento della contrattazione collettiva sulle causali.
Ci sarebbero molte altre cose da dire. Mi limito semplicemente ad accennarle, per poi avviarmi velocemente alla conclusione. Centottanta giorni di impugnazione, avete allungato i termini per impugnare il contratto a termine dai centoventi introdotti con il Jobs Act, in una situazione di omogeneità o tendenziale omogeneità tra contratto di lavoro a tempo indeterminato, impugnazione del licenziamento del contratto di lavoro a tempo determinato, impugnazione appunto del recesso del datore di lavoro, centoventi giorni; avete differenziato queste due situazioni; centoventi per il contratto a tempo indeterminato, centottanta per il lavoro il lavoratore a termine e non si comprende bene perché il lavoratore a termine debba avere due mesi in più per poter decidere di impugnare il contratto a termine stesso.
Per non parlare, poi, dell'entrata in vigore, dove avete combinato – consentitemi di dirlo – un pasticcio giuridico un patchwork giuridico. Che senso ha fare applicare al contratto la legge immediatamente in vigore per i contratti stipulati successivamente alla data dell'entrata in vigore della legge, e poi applicare, invece, le norme che voi avete deciso di introdurre su proroghe e rinnovi, ma soltanto se partiranno dal 1° novembre? In questo mese – che voi avete creato di “buco” sostanzialmente – andiamo a vedere cosa succederà.
Succederà che vi sarà un ricorso forsennato alle proroghe e ai rinnovi dei contratti a termine per applicare, a questi rinnovi e a queste proroghe, in questo mese di entrata in vigore, la disciplina previgente anziché la nuova disciplina. Quindi è un modo per dire: veniamo incontro all'esigenza dell'impresa, ma alle esigenze camuffate, attraverso proroghe e rinnovi che poco avranno di correntezza nelle situazioni.
Il problema reale, per ritornare al punto centrale della questione, signor Presidente, è il ruolo della giurisprudenza nella disciplina delle causali. Il problema reale, sul quale voi non riuscite a focalizzare l'attenzione, è l'aver affidato il governo della flessibilità nelle aziende non al contratto collettivo e nemmeno al contratto individuale, cioè al rapporto individuale tra datore di lavoro e lavoratore, ma alle toghe, alla giurisprudenza, che avrà ora il compito di esaminare la sussistenza, non formale ma sostanziale, delle causali che avete individuato, con la sanzione che avete connesso alla mancata individuazione della presenza delle causali, cioè la conversione, la trasformazione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato. È questa che rende non calcolabile, non prevedibile l'azione imprenditoriale, l'azione manageriale, e che spingerà a non utilizzare il contratto a termine ma a ricorrere non al contratto di lavoro a tempo indeterminato ma a lavori nascosti o lavori meno tutelati.
Chiudo, signor Presidente, ribadendo che il lavoro non lo creano i decreti e le leggi, ma solo le imprese, imprese capaci di stare sul mercato, innovative, competitive. Chiudo segnalando il vecchiume, il senso di antiquario che c'è nella formulazione di questo “decreto Di Maio”, che continua a correlare le tutele del lavoratore non al fatto di lavorare ma al contratto di lavoro. Continuate a dire: se hai il contratto a tempo indeterminato, avrai un pacchetto di tutele; se invece sei titolare di un contratto a tempo determinato, avrai un altro pacchetto di tutele. Io vi prego di cambiare proprio prospettive e logica. Questa è una logica ottocentesca, che lega le tutele alla tipologia del contratto. Forse dovremmo iniziare a pensare a legare le tutele al fatto di lavorare, perché è il riconoscimento della dignità di chi lavora che va tutelato e va promosso. Ma questo lo si fa a prescindere dal contratto, collegando le tutele al fatto stesso di lavorare.
Chiudo, signor Presidente, semplicemente dicendo che guardando al passato si ha forse fiducia nelle cose che si stanno facendo, un po' come chi lascia il porto con una barca e tende a guardare indietro, al porto, per essere sicuro; io credo che, invece, avremmo un mare davanti sul quale dovremmo aprire i nostri orizzonti, che sono più complessi di una causale del contratto a termine. I nostri orizzonti sono connessi alla scarsità di capitale umano, sul quale dovremmo lavorare e investire sul piano della formazione; sono connessi alla debole innovazione nel nostro sistema imprenditoriale, che andrebbe incentivata e sostenuta; sono connessi alla necessaria adozione di nuove tecnologie, che va promossa. Sono orizzonti collegati alla poca domanda di competenze che ancora esprime il nostro sistema imprenditoriale; sono, infine, i bassi livelli di produttività salariale. Allora la sfida reale che abbiamo davanti non è introdurre causali sul contratto a termine, è iniziare a risolvere questi problemi che ho appena elencato. Ma questi problemi che ho appena elencato, signor Presidente e signor sottosegretario, non si risolvono nel chiuso delle stanze, si risolvono parlando con gli attori e i protagonisti, con gli stakeholder, come oggi si su usa dire, parola che non vorrei più tradurre come “portatori di interesse” ma come portatori di competenze e di esperienze. E credo che anche il Governo talvolta ha necessità di ascoltare chi è portatore di competenze e di esperienza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Zucconi. Ne ha facoltà.
RICCARDO ZUCCONI (FDI). Presidente, intervengo cercando di non ripetere le stesse cose che ascoltiamo da stamattina, ma chiedendo spiegazioni su quello che sembra un sillogismo che è emerso dal dibattito. Anche durante le relazioni di stamattina, è venuto fuori un concetto del tipo: le aziende oneste non hanno protestato. Ma siccome ci sono delle aziende che invece hanno protestato, il sillogismo ci dice che quelle aziende non sono oneste.
Questa è una faccia di questo decreto che riguarda una filosofia generale che lo permea. Un'altra cosa che sarebbe bene spiegare è un concetto invece letterale. Quando si parla delle causali, si fa riferimento a esigenze oggettive ma estranee all'ordinaria attività dell'azienda non programmabili: io sfido chiunque a trovarmi esigenze oggettive ma estranee all'ordinaria attività dell'azienda e non programmabili. Praticamente penso che si possa entrare nel caso di eventi catastrofici, perché altre fattispecie che riguardino esigenze di questo tipo per un'azienda non le trovo. Diciamo subito che le Commissioni hanno fatto un lavoro onesto, serio e importante, ma le modifiche che ci giungono sono insufficienti e anche contraddittorie, come, per esempio, quello di avere impostato la modifica dei contratti a tempo determinato e poi aver reintrodotto i voucher. Questa è una cosa che nella mia logica ci starebbe tutta, ma nella logica di partenza, quella alla quale anche il collega Fassina aveva dato credito, mi pare che sia un fatto veramente contraddittorio. Rimangono le causali, che, come è stato detto, saranno fonte di contenziosi, non soltanto per l'aumento dei tempi in cui è possibile attivarsi, ma anche per esigenze del lavoratore, che vorrà far valere i suoi diritti soggettivi. E ha detto bene la collega Cantone: che ricadute ci saranno nel campo dei contenziosi e quindi della vertenzialità? Perché dobbiamo ricordarci che fino a pochi anni fa le cause di lavoro duravano 6, 7, 8 anni; si erano smaltite e adesso finalmente i lavoratori, soprattutto quelli che avevano la giusta recriminazione in merito, potevano trovare giustizia. Ma se sovraccarichiamo nuovamente i tribunali con cause di lavoro, credo che anche questo andrà in crisi.
Ci sono rimaste le limitazioni temporali: fino a dodici mesi massimo ventiquattro. La conseguenza - ve lo dico anche da imprenditore - sarà che si innesterà un turnover ingiusto, drammatico per certi versi, ma non si risolveranno certi problemi del passaggio dal tempo determinato a quello indeterminato; oppure ci sarà mancanza di assunzioni, e la cosa vi è stata detta da tutte le associazioni dei piccoli e micro imprenditori (Confcommercio, Coldiretti) di tutti i settori, che vi hanno segnalato questo pericolo, ma nessuna modifica è stata apportata. Ci sono poi delle esenzioni applicative, per esempio per le attività stagionali, che al primo approccio sembrano positive, invece non lo sono, perché hanno degli effetti perversi. Vi sarà noto che un albergo, per esempio, può, a inizio attività, denunciare se la propria attività è annuale o stagionale, ma nel momento in cui dice che è annuale - quindi una cosa pregevole - non potrà più avvalersi dell'esenzione applicative del decreto che invece volevano aiutarlo, con il bel risultato che le aziende meritevoli ne subiranno un danno, e magari penseranno di non stare più aperti tutto l'anno ma soltanto in modo stagionale. Si introducono poi delle limitazioni percentuali, quelle del 30 per cento, fra lavoratori a tempo determinato e indeterminato in un'azienda, e anche questa è una misura assolutamente incongrua, che ostacolerà sicuramente i primi ingressi nel lavoro.
Si reintroducono i voucher, ma quali voucher? Perché se sono gli ultimi voucher, cioè i voucher dell'ultimo tipo, vi segnaliamo che non sono stati praticamente usati. Nel 2016 sono stati venduti più di 100 milioni di voucher, nell'anno successivo, da quando è entrata la limitazione in atto, i voucher sono praticamente scomparsi, perché sono farraginosi, inapplicabili; le aziende non se ne sono avvalse. Quindi, sono limitati per settori, sono limitati nelle giornate lavorative, sono limitati alle aziende con otto dipendenti. Voi capite bene che una qualsiasi attività, un albergo, per esempio, durante il periodo stagionale, in cui magari ha più bisogno di questo strumento, non ha otto dipendenti, ma ne ha di più; ne avrà quattro o cinque a regime durante il periodo invernale, ma siamo un Paese turistico, di questo credo che avremmo dovuto tener conto. E poi dobbiamo tener conto anche che i voucher o vengono adottati come filosofia o non li si adotta; non si può adottare per un certo tipo di lavoratori e non per altri.
Diceva giustamente qualche collega prima: le attività di ristorazione non possono avere queste necessità? Perché gli alberghi sì e i ristoranti no? Ma è solo un esempio.
I voucher non limitavano la disoccupazione ordinaria. Un po' di informazione anche su questo può servire! Cioè, erano uno strumento che serviva a volte a chi fruiva di disoccupazione ordinaria e straordinaria per arrotondare una mensilità. È per quello che erano utili anche per i lavoratori! Ma erano utili a certe categorie di lavoratori anche a livello esistenziale. Quindi, a monte, o li si reintroduce o non li si introduce per via di principio; ma se li si introduce per via di principio è bene renderli usabili, usufruibili. E allora andavano reintrodotti levando le possibilità di abuso che pure in passato c'erano state. Ma già l'ultima applicazione dei voucher, con le comunicazioni all'ispettorato del lavoro, all'INAIL, con la data e l'orario di ingresso e di uscita del lavoratore, era abbastanza tutelante in questo senso. E allora noi abbiamo presentato come Fratelli d'Italia recentemente, un mese fa una norma che reintroduce i voucher, e abbiamo tentato di introdurre degli emendamenti che però ci sono stati respinti.
Un fattore positivo c'è nella rivisitazione che hanno fatto le Commissioni: gli incentivi agli under 35. Sicuramente non era una norma aggregativa, averla portata avanti ancora per il 2019-2020 è importante; ma non è quella che risolve. La politica degli incentivi purtroppo ha mostrato la corda: alla fine si creano delle bolle occupazionali che finiscono quando finiscono gli incentivi. L'azione da intraprendere è quella sul cuneo fiscale, non è quella sugli incentivi, ormai la storia ce l'ha purtroppo insegnato.
Ora noi capiamo che non era facile modificare questo decreto-legge anche in Commissione, perché risponde a una filosofia generale che dev'essere sposata e che non può essere contraddetta più di tanto. Rappresenta una nazione dei conflitti, di parti sociali in lotta, di datori contro lavoratori: se non scardiniamo questo concetto sarà difficile apportare delle modifiche. Le aziende vengono identificate come quelle del sillogismo a cui io facevo riferimento all'inizio; e ci chiediamo anche se siete mai stati in un'azienda, cioè se c'è la profonda conoscenza di quelli che sono le modalità, i modi di vivere delle aziende, i rapporti anche personali nelle aziende, in quel mondo di micro e piccole aziende che costituiscono la spina dorsale della nostra economia. Probabilmente non c'è questa conoscenza, perché se no alcuni errori non avrebbero potuto essere presenti in questo decreto-legge.
È una filosofia, quella del decreto-legge, che richiama forse il concetto di dignità presente nell'articolo 41; però ci verrebbe da chiederci: è dignitoso ed è dignità quella di un Paese che in gran parte delle zone non permette alle persone di curarsi se non in base al censo? È dignità quella di un Paese e di una nazione in cui gli istituti professionali, che dovrebbero avviare al lavoro proprio i figli delle famiglie meno abbienti, sono considerati scuole di seconda classe? È questo è un Paese… È un Paese di dignità quello in cui un inabile prende 280 euro al mese di assistenza, o una pensione può essere a 500 euro al mese? Sono questi i fattori di dignità? E poi ci chiediamo ancora: perché non diamo attuazione allora in fatto di dignità all'articolo 35 della Costituzione, che promuove il lavoro e lo sviluppo del Paese, che dà queste indicazioni?
E allora ci dobbiamo chiedere anche... È stato detto, ma lo voglio ripetere. Che per far fronte alle esigenze sociali, dello Stato sociale bisogna creare ricchezza, non ci sono altre strade; e la ricchezza la creano i lavoratori, il lavoro, le imprese. Se noi ostacoliamo il lavoro delle imprese, il lavoro nelle imprese, noi questa ricchezza non la creeremo mai.
E continuiamo a pensare che i livelli di disoccupazione nel nostro Paese siamo tali che qualsiasi opportunità di lavoro, tutelata, garantita, vada favorita: ecco perché questo decreto-legge non ci piace. Il tasso di occupazione rimane al 58,8 per cento. Il tasso di disoccupazione rimane al 10,7. Il tasso di inattività rimane al 34 per cento, e i NEET, compresi nella fascia 15-29 anni, sono 2.189.000 in Italia.
Se noi vogliamo dare una scossa a questo Paese bisognava, sarebbe stato più utile affrontare la tematica del lavoro non mettendola in un decreto-legge “minestrone” (senza offese, ma questo è), cioè che tratta vari argomenti, che mette un po' tutto insieme, ma a parte, senza voler fare colpi mediatici, senza voler bilanciare l'azione di governo fra le forze di maggioranza, ma facendo un'operazione seria. La stessa operazione che ci auguriamo si possa fare domani nel rivalutare tutti gli emendamenti che anche Fratelli d'Italia, senza intenti ostruzionistici ma soltanto per migliorare il decreto-legge, avrà presentato (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI (FI). Presidente, noi oggi affrontiamo in discussione generale un decreto-legge su cui ha avuto la cortesia e anche l'educazione politica di esser presente il Ministro interessato, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Di Maio, che nel suo intervento ha richiamato la necessità e l'urgenza di porre fine al precariato come motivazioni sulle quali si fonda quella che dovrebbe essere la straordinaria necessità ed urgenza, che danno origine e giustificazione e appoggio tecnico-giuridico ad un decreto-legge. Ora, ovviamente quella che per il Ministro Di Maio è una necessità e un'urgenza è semplicemente una questione di natura politica, ma non ha riscontri oggettivi; ma se su questo piano vogliamo metterla, sul piano politico, allora facciamo una riflessione su quella che è stata la necessità e l'urgenza di mettere in campo un provvedimento del genere.
Io ho detto nel primo intervento che ho svolto in quest'Aula, di fronte alla fiducia al Governo giallo-verde, che noi avremmo assistito a un confronto, a distanza fino a un certo punto, tra due figure di segretari di partito, di leader politici entrambi bravissimi a fare da collettori di voti: da un lato il Vicepresidente del Consiglio e Ministro dell'interno Salvini, e dall'altro il Vicepresidente del Consiglio e “pluriministro” Di Maio. Uno un professionista della politica, con una storia politica lunga, un partito più o meno propriamente detto, con un radicamento territoriale, con un'espansione verso Sud, con una grossa crescita negli ultimi anni, quindi un professionista della politica; e un professionista dell'antipolitica, senza un partito propriamente detto, con una piattaforma, cresciuto a slogan populisti molto facili da far digerire alla propria opinione pubblica, al proprio elettorato e con un criterio di antipolitica che puntava come constituency, come ragione fondante del MoVimento 5 Stelle ad aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, a distruggere i privilegi dalla cosiddetta casta, alla confusione tra le prerogative parlamentari e politiche e i privilegi, eccetera, eccetera, eccetera. Questo confronto, di fronte all'intelligenza politica di un leader come Salvini che si è scelto una strada abbastanza facile da percorrere, che è quella della sicurezza, certamente senza grandi oneri per le finanze pubbliche ma molto vicina al suo messaggio politico, ha portato a un crescendo di consensi, almeno nei sondaggi (io non sono un amante dei sondaggi), ma insomma alla eclissi del MoVimento 5 Stelle. E a questo punto la necessità e l'urgenza di produrre qualche cosa che non fosse soltanto la guerra ai vitalizi, che sono stati aboliti nel 2012, o la battaglia verso una casta indefinita che poi è diventata la stessa che era la classe parlamentare del MoVimento 5 Stelle, dove oggi ci sono Presidenti della Camera, Vicepresidenti, componenti dell'Ufficio di Presidenza, presidenti di commissione, componenti del Governo, ministri, sottosegretari, eccetera, eccetera, eccetera.
Allora, di fronte a questa necessità e a questa urgenza si butta in pasto al Parlamento e all'opinione pubblica il “decreto-legge dignità”. Ma attenzione, perché quando si viene dall'antipolitica, quando non si ha una storia politica, quando non si ha una cultura politica di riferimento, allora la politica di riferimento, la cultura politica di riferimento qual è? La si improvvisa.
È la cultura del “no” a tutta una quantità di cose; è, dal punto di vista del giuslavorismo, la cultura di un modo del Novecento di guardare al mondo del lavoro, che vede la conflittualità tra parte datoriale e la parte del lavoratore, che vede come nemica l'impresa; che vede nel rimettere mano continuamente a tutta quella serie di leggi e norme che regolano proroghe e durata dei contratti a tempo determinato nella presunzione che sia una norma a poter creare un lavoro. Tutta quell'impostazione che pasticcia da vent'anni su quel terreno, ecco, quella viene presa come cultura di riferimento per essere alla base del decreto dignità, più altre varie ed eventuali come lo spot del togliere gli spot su una cosa che si considera assolutamente dannosa ma che non viene proibita: si tolgono gli spot con la ludopatia, innescando un meccanismo che porterà verso il sommerso, che porterà verso il nero, che porterà verso la criminalità organizzata tutta una quantità di fatturato che oggi è emerso, alla luce del sole e legale.
Tale convinzione è alla base del provvedimento che rappresenta la proiezione futura di una logica che - attenzione - immagina di poter sostituire il reddito al lavoro perché questa è la piattaforma culturale che sottintende l'approccio del MoVimento 5 Stelle e l'approccio che Beppe Grillo porta avanti non tanto da comico quanto da ideologo e visionario: l'idea che si possa sostituire la dignità, la bellezza, la professionalità, il gusto della realizzazione personale attraverso il lavoro, che non a caso i nostri padri costituenti hanno messo al primo articolo dalla Costituzione con un reddito magari elargito dallo Stato per non fare nulla. produrrà robot che toglieranno posti di lavoro a persone a cui noi daremo del reddito, non la dignità, non la professionalità, non il gusto, non la realizzazione attraverso il lavoro che è cuore della nostra Carta costituzionale e della nostra società.
Questa è la logica che il decreto-legge sottintende nel bene e nel male. Noi di bene non ce ne vediamo, a maggior ragione per il fatto che, se si volesse scomodare anche una questione di metodo, non c'è stata una organizzazione tra quelle datoriali, tra quelle dei lavoratori, sindacali, eccetera, che sia stata scomodata per essere ascoltata prima che il decreto-legge, tra mille difficoltà di parto e mille ritardi, fosse portato alla luce: non ce n'è stata una. Così come non ce n'è stata una - a parte e in parte la CGIL - a venirci a dire che le norme sono risolutive di qualche cosa nel mondo del lavoro a partire dai contratti a tempo determinato, di cui abbiamo detto prima: continuate a pasticciare e a introdurre cause. Chi opera nel mondo del lavoro sa una cosa: la stratificazione e la complicazione delle norme nel mercato del lavoro è una delle cose peggiori perché complicano la vita a chi lavora e a chi il lavoro lo costruisce e lo dà agli altri e a chi rischia in prima persona, cioè gli imprenditori, verso i quali il decreto-legge ha un'impostazione punitiva. Il fatto che il Ministro Di Maio venga qui a dirci che gli imprenditori fino a prova contraria sono onesti, ci fa molto piacere ma diamo un'altra notizia al Ministro Di Maio: grazie alla nostra Costituzione tutti fino a prova contraria sono onesti, non solo gli imprenditori (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Lo sono i lavoratori, lo sono perfino i parlamentari fino a prova contraria (che strano). Non venite a dirci che state facendo un passo in avanti perché il passo in avanti non lo state facendo: un passo in avanti, forse qualcuno piccolo, ve lo stiamo facendo fare noi con qualche proposta che con una certa difficoltà e non senza una quantità di interventi piuttosto vivaci a volte riuscite a capire. Non ci sarà una norma che porterà lavoro: sarà lo sviluppo che porta lavoro e lo sviluppo è dato anche da indicatori ed elementi, ad esempio, come le grandi opere che voi volete fermare. Quindi, guardate, l'equazione è molto semplice: se bloccate grandi opere, se bloccate la crescita di settori strategici per l'occupazione, bloccate anche lo sviluppo e bloccate anche l'incremento di posti di lavoro a tempo determinato o indeterminato che siano. Fare la guerra al cosiddetto precariato, come la fate voi, significa fare la guerra ai precari perché significa prendere una quota di persone e sbatterle nel mondo del sommerso e della disoccupazione. Questo è quello che vi hanno detto a stima delle relazioni tecniche che voi avete prodotto, non l'opposizione.
Non è una questione di scontro tra personalità a caccia di popolarità. A noi non interessa quali siano le ambizioni personali del presidente dell'INPS che governa una macchina spaventosa che gestisce grossa parte della spesa pubblica del Paese. A me interessa che quel dato sia drammaticamente sottostimato e che noi dovremmo confrontarci con una realtà molto diversa da quella che viene a raccontarci in questa sede il Ministro Di Maio. Questo è il tema, come lo è quello delle imprese e dei lavoratori che sono in credito con la pubblica amministrazione che paga male e paga tardi. Allora, attenzione, è un tema che so che vi sta a cuore ma attenzione a raccontare che vi sta così tanto a cuore: infatti abbiamo introdotto noi il tema nel decreto-legge, non ce lo abbiamo trovato. L'abbiamo introdotto con un emendamento che prevedeva l'inserimento in maniera stabile di questa compensazione: c'è stata chiesta una riformulazione da parte del Governo, da noi accettata, che trasforma tale compensazione in un elemento esclusivamente legato alla temporaneità del 2018. Sono contento che sia arrivato anche il sottosegretario Crippa che ha seguito con competenza il provvedimento insieme ad altri colleghi del Governo. Guardate su quella battaglia potremmo tratteggiare l'emblema del comportamento curioso e singolare del Governo su questi temi. L'emendamento nasceva con il parere negativo del Governo. Abbiamo dovuto urlare in Commissioni riunite per convincere il Governo che quanto il Governo diceva di volere, cioè la strutturalità dell'emendamento, era già nell'emendamento e il paradosso è che, per portare a casa qualcosa non per noi ma per i lavoratori e gli imprenditori che hanno il problema di trovarsi con i crediti verso la pubblica amministrazione e con le cartelle esattoriali dentro le proprie imprese o dentro casa, siamo stati costretti e abbiamo dovuto accettare che il Governo ci proponesse che l'operazione fosse ridotta al 2018. Abbiamo presentato altri emendamenti in materia e invito il sottosegretario Crippa e il sottosegretario Cominardi a fare una valutazione attenta perché gli emendamenti, che tengono pur presente anche la potenziale esigenza di un fabbisogno, mirano a strutturare la misura nel corso degli anni, come voi ci avete detto e noi inizialmente vi abbiamo proposto. Se infatti aveste voluto fare veramente un decreto dignità, avreste fatto un decreto che sbloccava i pagamenti delle pubbliche amministrazioni stimabili in decine di miliardi dovuti dallo Stato e dalle pubbliche amministrazioni nei confronti degli imprenditori e dei lavoratori che per colpa di ritardi dello Stato sono costretti ad andare a cercare altre forme di credito, altre forme di finanziamento, non possono assumere o rischiano di chiudere. Il collega Occhiuto lo ricordava magistralmente prima del mio intervento: non abbiamo portato noi il dottor Bramini in giro per l'Italia, ce l'avete portato voi.
Cercare di avere un atteggiamento il più possibile ricettivo perché noi non siamo qui a fare ostruzionismo; non siamo qui a bloccare i lavori; siamo qui a farvi proposte che, se avete del buonsenso, riuscirete a considerare ad accettare perché non riusciremo forse a stravolgere il decreto perché non abbiamo i numeri ma, in un'ottica di riduzione del danno, vi suggeriamo alcune correzioni e siamo convinti che, dove non prestate orecchio voi, certamente dovranno prestare orecchio i colleghi della Lega che quelle campagne e quelle battaglie le hanno volute fare con noi, nel nord-est, al centro e al sud, dove ci siamo presentati insieme. Noi vogliamo chiudere bene il decreto, cercando di ridurre i danni che potenzialmente esso fa: non possiamo riscriverlo da capo perché non abbiamo i numeri ma abbiamo la forza del buonsenso, quella forza grazie alla quale in Commissione tutte le forze di opposizione e i commissari di maggioranza hanno sottoscritto ad esempio l'emendamento sulla compensazione che è passato all'unanimità; e io ho detto che non deve essere la battaglia di uno contro gli altri ma deve essere una battaglia di tutti. Questo è il nostro spirito: quello costruttivo, responsabile perché la forza del buonsenso dovrebbe vincere sempre in un Parlamento in cui ciascuno sia disposto anche a mettere da parte una parte dell'interesse, del tornaconto della propria campagna elettorale personale per cercare di trovare dei punti in comune. Ecco, vi do un'altra notizia: la campagna elettorale è finita.
Allora, noi non abbiamo la forza dei numeri, perché i numeri in quest'Aula non ce li abbiamo, ma abbiamo la forza del buonsenso e la forza del buonsenso si è dimostrata già dai lavori in Commissione, già dalle proposte costruttive e concrete fatte da tanti colleghi. Questa è la forza di Forza Italia. Noi su questo puntiamo e ci appelliamo a tutte le forze di buonsenso di questo ramo del Parlamento per modificare, dove è possibile, questo decreto e ridurre, dove è possibile, i danni che, secondo l'opinione di tutte le organizzazioni datoriali che pure hanno sfilato in Commissione e ve l'hanno e ce l'hanno spiegato, inevitabilmente farà (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Mancini. Ne ha facoltà.
CLAUDIO MANCINI (PD). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, nel mio intervento mi limiterò a sottoporre all'Aula solo due riflessioni: una politica e una di merito. Quella politica è relativa ai rapporti tra maggioranza ed opposizioni; la seconda, di merito, riguarda il complesso delle norme relative alla materia fiscale, di cui si è discusso per la parte di competenza della Commissione finanze. Lo spesometro, il redditometro, lo split payment ed il rinvio della fatturazione elettronica sono temi su cui il Vicepresidente del Consiglio Di Maio nel suo intervento ha sorvolato, forse perché meno popolari e sentiti di altri argomenti ma che sono, a mio avviso, significativi perché costituiscono un antipasto di quanto ci verrà sottoposto nella prossima manovra di bilancio in materia fiscale.
Tuttavia, parto dalla politica. Ritengo opportuna una riflessione in questa occasione, che è la prima discussione sulle linee generali in Aula di un provvedimento importante che il Governo propone a questo ramo del Parlamento. Alla nascita del Governo si è detto con una certa enfasi: “Nasce la terza Repubblica”, che è un'affermazione impegnativa che non può che riguardare anche il rapporto tra Governo e Parlamento e, dentro il Parlamento, quello tra maggioranza e opposizioni. Premesso che la Repubblica è una sola, fondata sulla Costituzione, è giusto, a mio avviso, parlare di terza fase della vita repubblicana. La prima era fondata su una legge proporzionale in un sistema politico bloccato in cui non c'è stata alternanza al Governo. La centralità del Parlamento è stata anche la camera di compensazione di spinte sociali che non trovavano sintesi nell'azione di governo. La seconda fase della vita della Repubblica, invece, ha avuto al centro l'alternanza di governo: o di qua o di là. Due schieramenti contrapposti che si contendevano la guida del Paese. Voti di fiducia, decretazione e premi di maggioranza. Il pendolo si è oggettivamente spostato verso il Governo, con il Parlamento ridotto a cassa di risonanza dello scontro politico. Noi siamo all'avvio di una legislatura che il Paese si aspetta che sia l'avvio di una terza fase della vita repubblicana. Dobbiamo sapere che i rapporti tra Esecutivo e Parlamento che si definiranno in questo avvio di legislatura influiranno a lungo sulla politica italiana, sulla Costituzione materiale della cosiddetta Terza Repubblica. Siamo, infatti, in un Parlamento eletto con una legge sostanzialmente proporzionale, ma in un sistema aperto alla competizione per il Governo. Oggi in maggioranza ci sono due forze politiche che non si sono presentate alleate alle elezioni, ma è così anche per l'opposizione: ci sono forze diverse all'opposizione e il Governo deve comprenderlo. Non dite “l'opposizione”, dite “le opposizioni”. Dovete riconoscerci. Ogni forza di opposizione in questo Parlamento è portatrice di un diverso punto di vista nel Paese.
Ci dovete riconoscere, perché non potete pensare di occupare tutto il campo facendo sia la maggioranza sia l'opposizione. Abbiamo passato giornate intere in Commissione ad attendere che la maggioranza definisse i propri accordi sugli emendamenti. È legittimo, ma non vi illudete di poter fare tutte le parti in commedia. Non potete far finta che i 5 Stelle fanno le norme sul lavoro, la Lega quelle sul fisco e poi invertite i ruoli e fate anche l'opposizione. Io auspico che non ci sia la fiducia, ma non basta non mettere la fiducia: c'è bisogno che Governo e maggioranza ascoltino, interloquiscano e argomentino anche i “no” alle proposte che vengono dalle diverse opposizioni.
E quando le nostre proposte trovano un consenso reale dentro e fuori il palazzo dovete avere l'umiltà di comprenderle e accettarle. Se oggi volete mettere una prima pietra di questa terza fase di vita della Repubblica dovete fare una scelta di fondo sui rapporti tra Governo e Parlamento, che è una metafora dei rapporti tra la vostra esperienza di governo e il Paese.
C'è preoccupazione tra i cittadini per la torsione autoritaria che deriva dalla vostra azione. Occupazione del potere - e la RAI è l'ultimo esempio - e intimidazione del dissenso. Abbiamo assistito a vere e proprie aggressioni politiche sia al presidente dell'INPS sia a quello della Consob; accondiscendenza verso episodi di razzismo e violenza politica, ogni giorno e in ogni parte del Paese. Noi qui rappresentiamo l'opposizione democratica e percepiamo la preoccupazione di tanta parte dell'opinione pubblica, quella che ha votato per noi ma anche tanti che non ci hanno votato e che vi hanno sostenuto. È una preoccupazione per il futuro delle istituzioni democratiche che non è ridotta dal fatto che i leader del principale movimento che guida la maggioranza, da Casaleggio a Grillo, abbiano recentemente voluto delegittimare il Parlamento. Io non credo che sia casuale.
Questo è il primo provvedimento importante che portate. Al di là del merito delle singole proposte, il comportamento che avrete in queste giornate parlamentari dirà molto della vostra concezione della democrazia. Potete far valere la prepotenza dei numeri che oggi sono a vostro favore. Io penso, però, che sarebbe una scelta infelice e foriera di disgrazia se la farete. Confermereste le preoccupazioni di chi fuori da qui vede nella vostra alleanza un patto di potere sulla pelle delle istituzioni e dei cittadini. La nostra opposizione sarà proporzionata e conseguente alle vostre scelte. E vi prego: abbandonate l'argomento che si sente in continuazione del “ma voi nella scorsa legislatura avete fatto altre scelte”. Ciò che è avvenuto nella scorsa legislatura appartiene a un'altra stagione, a quella Seconda Repubblica in cui i premi di maggioranza alteravano i rapporti parlamentari tra maggioranza ed opposizioni.
Se oggi decidete di procedere da soli, blindando il provvedimento, lo farete privi di un consenso elettorale esplicito alla vostra alleanza di governo. Per quanto brandiate il consenso dei sondaggi per giustificare le vostre scelte, bisogna ricordare che alle elezioni avete preso separatamente circa il 50 per cento dei voti degli italiani: tanti, ma non sufficienti a darvi la possibilità di prescindere dal ruolo delle opposizioni. Poi vedremo tra un anno, alle prossime europee, il reale consenso che avrà questo Governo tra gli italiani. Ma adesso, se sceglierete la strada della prepotenza della maggioranza, la nostra opposizione salirà di tono, oggi in quest'Aula e domani nelle piazze, a partire dal più odioso provvedimento annunciato nel contratto di governo che riguarda la flat tax e la pace fiscale, ovvero meno tasse ai ricchi e condono tombale. Spesometro, redditometro, split payment e rinvio della fatturazione elettronica sono affrontati in questo provvedimento con un'unica direzione di marcia: quella di allentare le politiche di contrasto all'evasione fiscale. Il collega Trano, capogruppo dei 5 Stelle in Commissione finanze, lo ha praticamente detto nel suo intervento e, devo dire, con onestà intellettuale ha espresso tutta l'insofferenza verso i provvedimenti fatti in passato che contrastano l'evasione fiscale.
Non solo, ma sulla fatturazione elettronica tanti esponenti di maggioranza sono intervenuti in Commissione auspicando un ulteriore rinvio della più complessiva fatturazione elettronica che deve partire il 1° gennaio 2019. Su questi aspetti il collega Fragomeli ha bene illustrato la posizione del PD e le ragioni dei nostri emendamenti, che riproponiamo all'Aula. Io voglio ricordare, invece, che domani c'è una scadenza fiscale importante. Temo che vedremo gli effetti dell'annunciato condono fiscale già dal calo delle entrate attese dalla rottamazione delle cartelle. E se la pace fiscale è percepita come l'annuncio di un condono tombale che premia i furbi, cosa dire della flat tax rilanciata ieri dal Vicepresidente Di Maio in un'intervista a un importante quotidiano? Si tratta di un gigantesco imbroglio che premia con certezza solo quello 0,9 per cento degli italiani che hanno un reddito superiore ai 300.000 euro.
Per tutti gli altri si vedrà, dipenderà dalle detrazioni fiscali. L'unica cosa certa è che l'aliquota al 20 per cento per i redditi alti c'è solo in Russia, nei Balcani ed in qualche Paese dell'Est Europa. In tutta l'Europa occidentale è superiore al 40 per cento, in Spagna, in Francia, in Inghilterra, in Germania, nei Paesi Bassi. Negli Stati Uniti il Presidente Trump, tra grandi polemiche, ha abbassato le tasse per i redditi più alti dal 39,5 per cento al 37, e lì la sanità è privata. La flat tax richiederà tagli tra i 50 e i 70 miliardi. Dove li prenderete? Sanità, scuola, pensioni? Perché quelli sono i titoli significativi della spesa pubblica.
In conclusione, Presidente, con questo dibattito e con le votazioni dei prossimi giorni inizia veramente la legislatura. Dopo tre mesi senza far nulla, un mese solo ad occuparvi di organigrammi e nomine, adesso si entra nel merito. Bene se non si mette la fiducia, ma non diteci che non c'è tempo per discutere i nostri emendamenti, che non sono ostruzionistici. Sta alla maggioranza e al Governo decidere che taglio dare al confronto parlamentare, che anticiperà il confronto sulla legge di bilancio. Se non correggerete la rotta, vi attende un autunno difficile in quest'Aula e nel Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Silvestroni. Ne ha facoltà.
MARCO SILVESTRONI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, decreto dignità, lo avete chiamato decreto dignità, e avere scelto la lingua italiana e non la lingua inglese è già una cosa dignitosa per questo decreto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
Vedete, con il termine “dignità” si usa riferirsi al sentimento che proviene dal considerare importante il proprio valore morale, la propria onorabilità. Dove sta tutto questo? In quale articolo del “decreto dignità” lo troviamo?
La dignità, così come i posti di lavoro, non si creano per decreto; si creano se si semplifica la vita agli imprenditori, se si pagano meno tasse. E si ha dignità per un lavoratore se si rispetta la Costituzione e si applica l'articolo 36, che recita precisamente: il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Questo decreto non ha preso in considerazione l'articolo 36, o forse non lo conoscete. Presidente, la proposta della tassa unica al 15 per cento sul reddito incrementale è una nostra battaglia, ma è, soprattutto, come è stato più volte detto in quest'Aula, una proposta di buonsenso. Se eravate disposti al confronto, era possibile legare la tassa piatta sul reddito incrementale a nuove assunzioni oppure alla stabilizzazione dei giovani sotto i 35 anni oppure all'aumento percentuale degli stipendi per quei dipendenti che dentro un'impresa hanno fatto in modo che si producesse di più, che si vendesse di più, che si guadagnasse di più.
Lo schema che proponiamo è semplice, e che non lo abbiate capito è un problema per gli italiani. Ma non è difficile capirlo neanche per voi, e mi riferisco a lei, rappresentante del Governo: se si produce di più e guadagni di più, paghi di meno, hai la possibilità di creare posti di lavoro ed è un sodalizio, un legame tra imprenditore e operaio.
Non era difficile nel 2018 capire che il lavoratore e il datore di lavoro non si sentono più nemici, e ricordo solo, a titolo di esempio, la proposta di Fratelli d'Italia per la partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa.
Questo, Presidente, rappresentante del Governo, non è un decreto dignità, ma avete una possibilità ancora: ascoltate e approfondite gli emendamenti che Fratelli d'Italia ha presentato; forse, almeno esce un decreto dignitoso. Ne avete l'opportunità e non avete la scusa dell'urgenza. Ci sono emendamenti che darebbero dignità al decreto. Sui voucher le Commissioni, ma tutta l'Aula, tutto il mondo produttivo, sono a conoscenza che, da quando sono stati genialmente tolti i voucher, abbiamo una situazione devastante. Nelle piccole e medie imprese si sono perse 400 mila occasioni di lavoro. I rapporti di lavoro occasionali registrati sino al 2016 sono ora dimezzati.
Non ci stancheremo mai di dirlo, dentro e fuori quest'Aula: il lavoro si crea creando opportunità, dando la possibilità agli imprenditori di fare le cose regolari, senza doversi accollare oneri burocratici e fiscali indegni.
Credo che per nessuno in quest'Aula sia un mistero il fatto che il turismo, per esempio, per la nostra nazione sia un'enorme fonte di ricchezza. Il turismo ha nel nostro Paese dei picchi. Vedete, per gli operatori balneari in estate, così come per gli operatori nel settore sciistico d'inverno, sarà pure normale che quegli imprenditori debbano essere liberi e anzi agevolati a creare, soprattutto in quei periodi, posti di lavoro dignitosi. Non andavano, con questo decreto dignità, limitati numericamente in modo così drastico.
A tanti piccoli imprenditori, anche quelli edili, qualche volta e per fortuna si creano delle occasioni lavorative per loro vantaggiose, ma la possibilità di creare lavoro è, ad oggi, a condizioni troppo onerose in termini burocratici e fiscali.
Presidente e rappresentante del Governo, gli emendamenti presentati da Fratelli d'Italia erano volti a semplificare e a liberare tanti imprenditori dalla scelta di dover assumere in nero o di non accettare le opportunità che gli sono state presentate. Non approvare emendamenti di buonsenso, che abbiamo presentato, non discuterli, vuol dire perdere posti di lavoro e opportunità lavorative; proprio quelle che danno dignità soprattutto ai giovani.
Molti emendamenti per contrastare la ludopatia sono stati presentati da Fratelli d'Italia; servivano a contrastare davvero una piaga che affligge soprattutto le fasce deboli, come pensionati, giovani e precari. Una battaglia del genere non si vince limitando le pubblicità e nemmeno mettendo cartelli sulle porte delle sale giochi, perché una battaglia vera si combatte aggiornando il testo delle leggi di pubblica sicurezza, impedendo, non solo formalmente, ma sostanzialmente, il gioco d'azzardo ai minorenni, e si combatte seriamente facilitando i controlli delle forze dell'ordine e degli enti locali.
Per non parlare delle proposte sul contrasto del fenomeno delle delocalizzazioni: è evidente che l'articolo 5 di questo decreto non è di facile interpretazione. La fretta che vi siete autoimposti, l'impossibilità di migliorarlo, comporterà zero risultati e sicuramente peggiorerà la situazione tra possibili ricorsi e il tempo necessario per scovare le imprese che devono restituire l'aiuto di Stato non dovuto. La riscossione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista per queste imprese avrà un unico risultato: il caos. L'unica cosa chiara è che non funzionerà perché il solo metodo punitivo e l'aumento della burocrazia nel mercato del lavoro, dal 2018, un simile decreto non può funzionare, non farà diminuire la disoccupazione e non farà migliorare i dati economici dell'Italia.
Concludo, Presidente: la nostra posizione, quindi, quella di Fratelli d'Italia, è chiara. Dal giorno dell'insediamento di questo Governo, noi tifiamo sempre per l'Italia e per gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Questo decreto non aiuta i giovani, il loro inserimento nel mondo del lavoro, non aiuta le imprese, non migliorerà l'economia della nostra nazione.
Ma saremo sempre coerenti con gli italiani e responsabilmente. Se vorrete accogliere domani, nella discussione sugli emendamenti, i molti emendamenti presentati da Fratelli d'Italia, allora probabilmente potremmo anche votare a favore, altrimenti credo che dovremo votare contro ed è un rammarico perché è un'ennesima occasione persa per il popolo italiano, e concludo Presidente.
Beppe Grillo ha scritto, ha detto, ha comunicato sul web che vorrà eleggere i nuovi parlamentari a sorteggio. Beh, a Beppe Grillo non basta il danno che ha creato già eleggendo con il sistema che ha il Movimento 5 Stelle, al popolo italiano, con questo decreto dignità, che serve semplicemente a dare visibilità a “Luigi Di Magno”, perché, come è stato detto, c'era la possibilità di accogliere emendamenti, ma c'è la fretta di approvarlo immediatamente, prima delle ferie di agosto. Allora, non c'è volontà o non si vuole capire. E, allora, io faccio un appello, Presidente agli onorevoli colleghi del Movimento 5 Stelle: lasciate il Movimento 5 Stelle, venite con Fratelli d'Italia, venite con Giorgia Meloni che forse…o, meglio, sbaglio, unica rappresentante di questo Parlamento che non ha a cuore le poltrone, che vuole veramente quel cambiamento per cui voi vi siete candidati. Le porte sono aperte; se avete a cuore le sorti degli italiani, venite con Giorgia Meloni e con Fratelli d'Italia e passate all'opposizione con noi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Zanettin. Ne ha facoltà.
PIERANTONIO ZANETTIN (FI). La ringrazio, Presidente, per la parola. Onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi tenterò oggi, con questo mio intervento, di portare in quest'Aula il punto di vista e le ragioni delle piccole e medie imprese che rappresentano, come credo vi sia noto, l'ossatura del tessuto produttivo di questo Paese, imprese che competono nei mercati internazionali e producono ricchezza. Se questo Paese sta ancora in piedi è perché esiste una classe imprenditoriale che ogni giorno, eroicamente, investe rischia i propri capitali, talvolta addirittura la salute, stringe la cinghia, sopravvive alle vessazioni delle banche dello Stato, socio tiranno, che preleva oltre il 60 per cento dal reddito. Ritengo di aver titolo per parlare di impresa e di poterlo fare con cognizione di causa, provenendo ed essendo eletto nella prima provincia industriale d'Italia, quella di Vicenza, con oltre 100 mila abitanti, terza in termini assoluti, ma prima per exportpro capite, una provincia che da sola, nel 2017, ha prodotto un export di 17 miliardi e mezzo, il 4,4 per cento dell'intero export nazionale generando, a vantaggio dell'intero Paese, un surplus commerciale di 10 miliardi. La provincia di Vicenza vanta un tasso di disoccupazione, sempre dati 2017, del 6,2 per cento, quando quella italiana, come è noto, è del 10,9 per cento. Cosa chiedono al Governo queste imprese, così virtuose e fondamentali per l'intero sistema Paese? Flessibilità per far fronte, in tempi rapidi, alle esigenze del mercato globale in continua evoluzione, sostegno alla formazione ed aggiornamento del personale, incentivi per l'innovazione, lo sviluppo, l'internazionalizzazione
Il primo provvedimento del nuovo Governo che alla vigilia, a parole, secondo i vostri annunci, doveva creare nuovi posti di lavoro e dare nuova dignità a imprese e lavoratori, si è tradotto, invece, in una brusca retromarcia in termini di vetero-dirigismo nel mercato del lavoro, che farà inevitabilmente perdere slancio all'economia, spaventerà e paralizzerà gli investitori esteri, penalizzerà occupazione ed entrate fiscali, zavorra per le imprese e freno allo sviluppo del Paese, un autentico disastro. Dovrebbe essere chiaro che il lavoro lo creano le imprese e non i burocrati e che il lavoro prospera se si creano fiducia nel futuro e un clima culturale e sociale favorevole alla libera iniziativa economica, non per decreto ministeriale, come ormai è consuetudine di questo Governo a trazione 5 Stelle.
Il dibattito politico è stato farcito da toni aggressivi e minacciosi nei confronti di chiunque osasse dissentire. Il Ministro Di Maio ha accusato addirittura di terrorismo psicologico Confindustria, che ha espresso critiche, critiche peraltro del tutto ovvie e motivate. Ma cos'altro avrebbe dovuto dire Confindustria di fronte a un decreto che complica la vita alle imprese, che rende più onerosi contratti di lavoro a termine e che poetizzava, nella prima stesura – poi per fortuna qualcosa è cambiato – di penalizzare addirittura le famiglie nei contratti con colf e badanti?
Lo capisce anche uno studente del primo anno di economia e commercio che interventi come quelli previsti da questo decreto disincentivano la nuova occupazione, anziché favorirla e producono lavoro nero, anziché quello regolare.
Il Ministro Di Maio non deve perder tempo a cercare la manina o la manona che ha inserito nella relazione tecnica la stima di 8 mila posti di lavoro in meno l'anno, non ne vale la pena. L'effetto depressivo delle misure che sono state varate sarà molto più ampio di quegli 8 mila posti di lavoro di cui parlava l'INPS. Per capirlo non occorre certo essere premi Nobel in economia, la causale nella proroga dei contratti a tempo determinato era già in vigore dal 2001 al 2015: aveva forse creato maggiore occupazione? Certamente no, aveva, invece, solo determinato spazi di incertezza normativa e lavoro per gli avvocati, con un contenzioso molto alto; per questo era stata eliminata. Emblematica è la vicenda dei venti dipendenti della Compass Group addetti alla buvette qui a Montecitorio, che ora, con questo decreto dignità – secondo la stampa, almeno – rischiano il licenziamento; quale vantaggio traggono questi lavoratori dalle norme che state introducendo? In quale contesto economico penalità contributive e vincoli legislativi hanno creato nuovi posti di lavoro? Come faceva notare qualche commentatore, se aumenti il costo delle mele è inevitabile che la vendita diminuisca, è una regola economica elementare. La scorsa settimana, facendo visita a Nino De Masi, l'imprenditore calabrese costretto al fallimento a seguito delle estorsioni del racket, invece, il Ministro Di Maio ha lanciato strali e minacce contro le banche, alle quali ha promesso di farla pagare. Per inciso, il vicepremier pare intenzionato a farla pagare solo alle banche e non anche ai banchieri, anche se indagati per usura bancaria, ma questo è solo un dettaglio. Ciò che interessa, invece, è che il giorno successivo l'intero comparto bancario italiano a Piazza Affari ha subito un autentico tracollo. Quale operatore economico può pensare, oggi, di investire i propri risparmi su delle imprese alle quali il Governo del Paese vuol farla pagare? Del resto, quello di deprimere l'economia pare essere l'oggetto sociale dei ministri a 5 Stelle, sta accadendo anche con l'Ilva e con la TAV e sarà così anche per l'occupazione stabile o precaria che sia.
Ma veniamo ad alcuni aspetti di merito del decreto: sono consapevole di dire qualcosa che magari contraddice una certa verità massmediatica, ma in realtà nel nostro Paese l'incidenza del lavoro temporaneo che risulta, per i dati in mio possesso, al 16,4 per cento del totale dell'occupazione dipendente; nel primo trimestre 2018 appare in linea con il dato medio dell'eurozona, che è pari a 16,3 per cento. Va considerato, ad esempio, che in Spagna è addirittura al 26,2 per cento, in Olanda al 20,4 per cento. Nel 2017 circa il 20 per cento dei contratti temporanei di durata superiore ai 12 mesi si sono trasformati in contratti a tempo determinato; mi pare un dato comunque positivo, di cui si dovrebbe tener conto. In realtà, le aziende che conosco nel Nord-Est, sempre alla caccia di personale qualificato, usano il contratto a tempo determinato per conoscere e testare il lavoratore: se ne trovano uno valido non lo lasciano certo scappare, hanno, invece tutta l'intenzione di stabilizzarlo. Nella provincia di Vicenza, come prima ricordavo, esiste infatti una disoccupazione negativa frazionale, dovuta ai cambi di lavoro: c'è carenza di personale tecnico-qualificato con competenze di alto livello. La manodopera di qualità viene contesa tra le aziende.
I dati statistici reali, quindi, non sembrano giustificare un intervento legislativo, addirittura con un decreto-legge, che, ricordiamolo ancora una volta, secondo la Costituzione dovrebbe essere determinato da necessità e urgenza. Ma è tutto l'impianto di questo decreto che non regge: da una parte, la ratio del Governo sembrerebbe quella di favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato; dall'altra, però, questo provvedimento rende tali contratti sempre più onerosi per l'imprenditore, per esempio aumentando a dismisura l'indennizzo in caso di licenziamento.
L'indennizzo da voi proposto è di gran lunga il più oneroso in ambito europeo. Dai dati in mio possesso - ma che sfido il Governo a contestare -, l'indennizzo minimo da voi previsto, di sei mesi, supera di gran lunga quello tedesco, che è addirittura di mezza mensilità, nonché le tre settimane dell'indennizzo belga e i 33 giorni della Spagna. L'indennizzo massimo, poi, è stratosferico, perché nessun Paese europeo raggiunge i 36 mesi. Pensate così di rendere le nostre imprese più competitive o cercate soltanto un motivo di scontro mediatico con il Partito Democratico, per dimostrare che solo voi tutelate i deboli? Ho l'impressione che sia soltanto questa la ratio di questa norma: una bandiera da esibire in una campagna elettorale permanente, alla faccia delle ragioni e della competitività dell'impresa italiana.
Veniamo alle norme sulle delocalizzazioni. La finalità del Governo può anche apparire condivisibile: penalizzare le imprese che delocalizzano dopo aver sfruttato incentivi e contributi pubblici. E su questo, come ho detto prima, potremmo essere anche d'accordo. Tuttavia, il dettato normativo da voi proposto appare confuso e con evidenti difficoltà di applicazione pratica, rimessa alle singole amministrazioni erogatrici, anche perché non individua una definizione chiara di delocalizzazione rilevante, rendendo la disciplina in materia eccessivamente punitiva. Così facendo si rischia di fare solo demagogia o, come si suol dire, di ogni erba un fascio. Ci sono certamente imprenditori spregiudicati che fanno incetta di contributi pubblici poi chiudono l'azienda e se ne vanno, ma la mia personale esperienza mi ha fatto conoscere tanti imprenditori che hanno delocalizzato per internazionalizzare l'azienda, alla ricerca di nuovi mercati e manodopera professionale, che non trovava più nel Nordest.
Una norma così generica e confusa, come quella che propone oggi il Governo, rischia di punire non solo gli imprenditori opportunisti ma anche le tante aziende sane che negli anni scorsi si sono internazionalizzate, espandendo il proprio raggio operativo alla ricerca di nuovi mercati.
Particolarmente insidiosa appare la norma sul recupero del beneficio fiscale dell'iper-ammortamento nel caso in cui i beni agevolati siano ceduti o destinati a strutture produttive estere, anche appartenenti alla medesima impresa. Questa norma potrebbe penalizzare, tra le altre, le imprese del Nordest che operano tramite stabili organizzazioni all'estero con propri cantieri e uffici, pur mantenendo in Italia sede legale.
Le norme da voi varate si pongono, peraltro, in contrasto con altre norme speciali, creando un caos normativo che avrà come unico effetto quello di aumentare i contenziosi giudiziari e disincentivare gli investimenti.
Appare chiaro che siete accecati da un pregiudizio ideologico, retaggio del conflitto sociale degli anni Settanta del secolo scorso e non riuscite a distinguere la delocalizzazione opportunistica dalla internazionalizzazione dell'impresa.
Ma tutto il decreto trasuda invidia sociale ed odio di classe. Pare evidente che nessuno di voi ha mai lavorato in una piccola o media impresa; non conoscete lo spirito dell'imprenditore che si è fatto da solo, che arriva per primo in azienda e se ne va per ultimo, che convive giornalmente con l'angoscia delle commesse da evadere, dei crediti da riscuotere, dei debiti da pagare. Per voi l'imprenditore è rimasto uno sfruttatore della manodopera, un evasore fiscale, un opportunista che prende i soldi e scappa. Sicuramente nessuno di voi ha mai letto il magistrale elogio dell'imprenditore che ha fatto Luigi Einaudi, allora consentitemi di citarvelo: “(…) milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l'orgoglio di veder la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno” (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
Ecco, noi liberali, contrariamente a voi, consideriamo l'imprenditore un benefattore della società, che crea ricchezza e consente il benessere collettivo pagando gli stipendi ai dipendenti e versando in Italia, allo Stato, in tasse, il 60 per cento - troppo, almeno a mio giudizio - dei propri ricavi. Ricordatelo: se non ci fossero gli imprenditori, l'Italia sarebbe già fallita da un pezzo. La ricchezza non la creano né i politici, né i burocrati, né gli intellettuali, né tanto meno gli scansafatiche che vanno a votare pensando poi di poter campare con il reddito di cittadinanza. Sono sicuro - perché lo conosco di persona e conosco la sua storia - che Toni Da Re, segretario nazionale della Lega Veneta, non è certamente convinto che gli imprenditori pensano solo al dio denaro, come sembrerebbe aver dichiarato venerdì scorso al Corriere della Sera. Conosciamo entrambi tante storie di imprenditori che sono andati in rovina e che hanno portato alla rovina le loro famiglie proprio perché non hanno voluto chiudere le loro aziende e licenziare i loro dipendenti. Per questo, perché come me conoscono le storie e i sacrifici di tanti imprenditori veneti e padani, non accetto l'idea che tanti amici e colleghi parlamentari della Lega, con cui abbiamo condotto insieme, nei mesi scorsi, un'esaltante campagna elettorale, possano oggi votare a cuor leggero norme così penalizzanti per l'economia dei loro territori.
Mi rivolgo proprio a voi, colleghi della Lega. Non vi dico di telefonare per un consiglio ai vertici delle associazioni di categoria, che pure sono critici, ma di parlare con i vostri artigiani di fiducia, con i vostri consulenti del lavoro, con i piccoli imprenditori che abitano di fronte a casa vostra e che incontrate al bar o in piazza. Ascoltate le loro preoccupazioni. Molti di loro sceglieranno di non rinnovare tanti contratti a tempo determinato, soprattutto di giovani. Lo faranno a malincuore, perché conoscono le storie e le necessità di ciascuno dei loro dipendenti; ma in molti casi non troveranno ragioni per legarsi per sempre a questi lavoratori e preferiranno interrompere il rapporto di lavoro piuttosto che convertirlo a tempo indeterminato, con gli oneri che ne derivano.
Taluno sostiene che la Lega deve preoccuparsi innanzitutto della sicurezza degli italiani, lasciando campo libero al MoVimento 5 Stelle sulle questioni del lavoro. Ma, cari amici della Lega, ricordate che il benessere collettivo e lo sviluppo economico sono le prime condizioni per la sicurezza di tutti. L'illegalità si alimenta nel degrado sociale e nella povertà diffusa. Se c'è crisi economica, se l'Italia perde competitività nei mercati internazionali, se le aziende chiudono e cominciano a licenziare, è inevitabile che aumenti soprattutto la microcriminalità. Molti di coloro che hanno perso il lavoro, per campare finiscono a delinquere. Crescita e sviluppo economico si coniugano perfettamente con ordine e sicurezza. Allora, non chiudete gli occhi di fronte al disastro economico cui portano le avventurose iniziative del Ministro Di Maio. Il nostro Paese non può permettersi la decrescita infelice cui paiono condannarci questi vostri irresponsabili partner di Governo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Lepri. Ne ha facoltà.
STEFANO LEPRI (PD). Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, colleghi, il “decreto Di Maio” non è altro che l'ultimo atto di una lunga stagione di propaganda; una lunga stagione più che sopportata, ormai insopportabile, e il tempo tuttavia è scaduto. È scaduto perché ora vi tocca lavorare, ora vi tocca approfondire, ora vi tocca studiare.
Era più facile, nella scorsa legislatura - e ci avete provato e ci provate ancora adesso -, denigrare, complottare, insultare. Era più facile semplificare, era più facile promettere; è più difficile studiare, è più difficile approfondire, è più difficile governare la complessità.
Lo dico anche ai miei colleghi che si sono sforzati - direi invano, visto la scarsissima attenzione dei colleghi e dei banchi del Governo - di approfondire, suggerire, criticare.
E tuttavia, questo inutile sforzo dei miei colleghi non resterà invano, perché gli italiani stanno cominciando a capire.
Il Ministro è partito con una baldanza che lui ha definito dei rivoluzionari. A noi è sembrata più tipica, la sua superficialità, dei supponenti, di chi addirittura ha detto di avere la presunzione di ridare dignità ai lavoratori e alle imprese, con un decreto che si è rivelato quello che è: totalmente inadeguato a dare dignità. Non lo diciamo noi, lo hanno detto praticamente tutti coloro che abbiamo ascoltato nel corso delle audizioni: una sequenza quasi unitaria, con qualche modesta eccezione, frutto forse del calcolo di chi si colloca quasi naturalmente a fianco dei governativi, ma in realtà praticamente tutti hanno avanzato moltissime obiezioni; e alla fine il Ministro Di Maio, oggi particolarmente silente salvo aver fatto l'ennesima conferenza stampa, ieri ha dovuto a denti stretti inventarsi una ragione di tante critiche. Le imprese, ha detto, sono spaventate dalla campagna di fake news che probabilmente la minoranza avrebbe orchestrato.
Io dico che, a parte il fatto che siete imbattibili nella raccontare fake news, quindi difficilmente possiamo competere, voglio informare il Ministro Di Maio che gli imprenditori non perdono tempo a leggere i social: fanno i conti, guardano se è più conveniente assumere o meno, se possono confermare o meno i lavoratori, guardano i costi amministrativi che sono costretti ad affrontare per le regole inutili che avete messo. Questo è ciò che ispira l'opinione degli imprenditori che è stata rappresentata nel corso di queste audizioni. L'unica vera fake, signor Ministro, con tutto rispetto mi pare sia proprio lei.
Quanto al merito, lei poteva davvero provare a fare un “decreto dignità”, dico provare, ma doveva partire dalle situazioni davvero meritevoli di un intervento. Non ce l'abbiamo fatta, noi forse potevamo fare di più, ma guardando a tutto quello di buono che abbiamo fatto io sono molto orgoglioso del lavoro fatto negli scorsi anni nel campo del lavoro da parte del Partito Democratico. Lei poteva partire contrastando le false partite IVA, poteva contrastare le false cooperative, poteva contrastare i falsi tirocini, e invece se la prende con il tempo determinato, un contratto che è stato potenziato e anche facilitato non per dare meno tutele ai lavoratori, ma esattamente il contrario. È dentro una logica virtuosa, per cui si è detto: eliminiamo per esempio le collaborazioni a progetto, per fare in modo che possa emergere il lavoro stabile; ed è un lavoro che garantisce tredicesime, in molti casi la quattordicesima, le ferie, dunque lavoro assolutamente dignitoso.
Tra l'altro è un lavoro, come ha già detto bene il collega che mi ha preceduto, che ha visto una crescita sicuramente percentuale in Italia, ma che non è sovrautilizzato. Noi in Italia abbiamo una percentuale di lavoro a tempo determinato esattamente identica alla media europea: e questo significa che non c'è un abuso e che non c'era bisogno di intervenire in questo campo. Ma soprattutto è sbagliato l'approccio di fondo che ha ispirato questo decreto: si è pensato che mortificando, frenando, mettendo ostacoli al lavoro dipendente si sarebbe ottenuto più lavoro a tempo indeterminato, quasi che con la bacchetta magica del Ministro Di Maio gli imprenditori avrebbero deciso di trasformare quei tempi determinati in indeterminati. Invece, purtroppo, non sarà così, l'abbiamo ben sentito, perché in assenza di forti incentivi alla stabilizzazione a tempo indeterminato l'unico risultato di questo indurimento delle regole del tempo determinato sarà il ricadere nell'area del nero e comunque del meno tutelato.
Ma non ci sono solo più costi, non vi siete solo sforzati di far costare di più il tempo determinato: l'avete anche riempito di ostacoli, e per tutti valga la questione delle causali. Ma perché, si domandava per esempio un'imprenditrice del Veneto, io debbo precisare che cosa chiamo a fare il mio lavoratore a tempo determinato? Mi serve, questa imprenditrice diceva, per tornire, ma se io ho bisogno di qualcuno che passi alla fresa non lo posso spostare; eppure è esattamente questo che mi serve! Quindi le causali aprono un grande spazio al contenzioso, aprono esattamente a ciò che gli imprenditori non desiderano. Aprono in verità, lo dico a chi ha scritto questo testo, almeno un grande spazio per far lavorare di più i professionisti: nulla di personale, intendiamoci, con chi beneficerà di questi vantaggi, ma l'unico lavoro in più, gli unici posti di lavoro in più che saranno creati saranno esattamente dei professionisti avvantaggiati non solo dalle causali, ma anche da altre misure che sembrano pensate esattamente per loro.
Meno male, meno male che almeno qualcosa di buono l'avete colto. E va a merito del nostro partito, e anche di altre forze dell'opposizione, non è certo del Governo, l'aver accolto emendamenti, e speriamo che vi sia un po' di ulteriore attenzione agli emendamenti che stiamo per depositare, che abbiamo depositato e che discuteremo nei prossimi giorni. L'incremento dell'indennizzo sulla conciliazione è un atto importante, perché aiuta e difende il lavoratore, e semplifica anche in questo senso l'accordo evitando i contenziosi. L'apertura ad eliminare il costo ulteriore per le famiglie che hanno impegnato, che hanno assunto colf e badanti a tempo determinato è una seppur tardiva attenzione che apprezziamo. Così come l'emendamento da noi presentato per obbligare alla presentazione della tessera sanitaria per giocare d'azzardo, è sicuramente un'attenzione che abbiamo apprezzato.
Ma purtroppo il nostro giudizio obiettivo non può che prendere atto di tanti altri “topolini”, non posso che definirli così, che sono frutto delle promesse che la montagna doveva partorire. Le delocalizzazioni sono molto confuse, altri colleghi lo hanno spiegato molto bene. Molte altre misure nel campo del contrasto alla ludopatia potevano essere messe in campo e non sono state accolte. Lo split payment è stato semplicemente rinviato e solo per i professionisti: altro che rivoluzione e sburocratizzazione, al massimo è un incentivo all'evasione. Così come il redditometro, che è già stato superato nel 2015, e non è altro che una ripresa e un'applicazione di ciò che abbiamo già ampiamente deciso attraverso leggi e decreti. Così come lo spesometro: non è altro che la fatturazione elettronica spostata di tre mesi.
Bene, a questo punto la domanda sorge d'obbligo e altri colleghi l'hanno avanzata: ma i colleghi di Governo della Lega che cosa dicono? Qualcuno ha detto: si sono divisi il lavoro, la sicurezza ai leghisti, il lavoro, si fa per dire, al MoVimento 5 Stelle. Ma c'è un problema purtroppo per loro e per i leghisti: che gli imprenditori, quelli che li hanno votati (in realtà hanno votato anche molto noi, perché abbiamo fatto ottime cose che gli imprenditori in questi giorni, in queste settimane ci ricordano, a conferma della bontà del nostro impianto riformista della scorsa legislatura), ora sono molto arrabbiati. Colleghi leghisti, io fossi in voi sarei molto, ma molto preoccupato, di avere un alleato così “anti”: anti-lavoro, anti-opere grandi e piccole, anti-industria. Colleghi leghisti, siete ancora in tempo: battete un colpo.
E non solo con i voucher. Ed a proposito, lo dico al Ministro: signor Ministro, lei aveva promesso nella scorsa legislatura che avrebbe costruito un muro di cemento armato se fosse passata la linea dei voucher.
Ora lei è costretto ad accettare i voucher, naturalmente con tutti i distinguo che sta imparando a registrare, perché non c'è solo il bianco o il nero, e meno male che lo sta imparando; e, tuttavia, ci spiegherà questo muro di cemento armato come farà a superarlo: di fianco, ci farà un buco, ma ce lo dirà nei prossimi giorni. In conclusione noi speriamo che l'Aula si ravveda. Possiamo già oggi di fare tuttavia una sintesi: il Ministro - non voglio mancargli di rispetto - sembra un po' un Pulcinella che si balocca e mi scuso anche con la maschera perché mi è simpatica; mentre Pantalone, ossia le imprese, i lavoratori e le famiglie, pagano. Dunque un Pulcinella che si balocca e un Pantalone che paga. Io vi suggerisco: vi conviene cambiare davvero, perché Pantalone se ne sta già accorgendo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Acquaroli. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ACQUAROLI (FDI). Grazie, Presidente. Grazie ai colleghi rimasti fino a quest'ora e grazie anche al Governo che segue con attenzione il dibattito. Ritengo che i concetti espressi oggi da tutti hanno messo in risalto l'importanza e abbiano evidenziato quanto sia sentito l'argomento della dignità dei lavoratori e della dignità delle imprese e devo dire che sicuramente la sfida di restituire una dignità ai lavoratori e alle imprese è molto condivisibile. Alcuni obiettivi e concetti potevano essere sviluppati in maniera assolutamente diversa. Ciò che dispiace - lo dico in maniera costruttiva - è il metodo che è stato utilizzato partendo, come è stato detto da molti prima di me, dal decreto d'urgenza, che forse non era lo strumento più idoneo per parlare di una materia, di un argomento molto vasto, molto più vasto di quello che è scritto sulla proposta che abbiamo analizzato in queste settimane. È una materia complessa che presenta molte sfaccettature e molte variabili che meritavano in questo contesto, in questo momento storico sicuramente un'attenzione più forte, coinvolgendo sicuramente le categorie produttive nel nord ma anche nel sud e nel centro d'Italia; coinvolgendo in maniera forte anche associazioni professionali che si sentono parte della sfida del rilancio della nostra Nazione.
Ritengo che per parlare di dignità tutti ci saremmo trovati intorno a quel tavolo in maniera propositiva, vito anche il momento che sta attraversando il nostro Paese e le risposte che sono attese da tutti. Anche perché per il concetto di dignità come lotta a coloro che vogliono speculare e lotta a coloro che vogliono in qualche maniera ricattare altri, tutti avremmo dato un nostro contributo importante, ma purtroppo così non è stato. A noi dispiace perché sembra un'opportunità mancata per tutto il Parlamento, per le Commissioni, anche al di là del risultato che verrà. Il rischio di tale metodo sbagliato è che si possa trovare davanti a noi una contrapposizione, una diffidenza e una paura, da una parte, di chi rischia di trovarsi entro qualche mese senza lavoro con le prospettive che aveva di poter lavorare un altro anno; dall'altra parte anche il rischio che imprese che potevano contare su una forza lavoro più o meno preparata per la loro attività possano trovarsi invece senza questa forza lavoro e debbano rimettersi alla ricerca di chi può aiutare l'impresa a produrre ricchezza e competitività per il nostro Paese.
Tale contrapposizione rischia di essere dannosa perché sembra una contrapposizione tra lavoro e lavoratore, una contrapposizione tra capitale e lavoro che è ormai datata, dovrebbe essere superata, una visione ideologica che non ha in alcuna maniera più senso di esistere nel contesto, perché oggi potrebbe essere in gran parte ridotta a una contrapposizione tra chi non ha lavoro e chi rischia di portare i libri in tribunale ogni giorno vessato da un fisco che è spietato, vessato da una burocrazia che strangola sul nascere tante iniziative, vessato da tutte le carenze infrastrutturali che il nostro Paese purtroppo ancora ha.
Allora andando un po' nel merito, parliamo della causale, ad esempio, ritengo che la reintroduzione della causale per il rinnovo fa esattamente quella che è la situazione in Italia. Il rischio del contenzioso non è solo a carico del datore di lavoro: è soprattutto a carico del lavoratore perché la verità è che molti lavoratori non vedranno purtroppo o - utilizziamo il condizionale - potrebbero non vedere rinnovato il loro contratto perché il datore di lavoro davanti al rischio di un contenzioso anche con alte possibilità di soccombere, non arriverà al ventiquattresimo mese ma si fermerà al dodicesimo con un danno per la catena produttiva, perché non vedrà sviluppata la potenzialità del lavoratore di farsi conoscere e per l'impresa che sarà costretta ripetutamente a cambiare la sua forza lavoro. Penso che se la causale doveva essere un elemento imprescindibile del decreto, sarebbe stato più opportuno eventualmente inserirla subito e non al dodicesimo mese. Allo stesso modo la questione tra i 24 e i 36 mesi: su tutti i nostri territori abbiamo visto che ci sarà un turnover importantissimo e anche questo penso che sia un problema importante che diventerà una lotta tra poveri, una lotta tra chi potrà arrivare ad avere un posto di lavoro per 12-24 mesi e tra chi, pur essendosi trovato nella prospettiva, dopo 24 mesi di lavoro, di poter essere assunto a tempo indeterminato, per qualche mese dovrà perdere questa speranza.
Poi la questione complicatissima della delocalizzazione delle imprese. Tutti noi da sempre combattiamo contro chi ha avuto tanto dallo Stato e dalle regioni, però ha speculato sopra lo Stato e le regioni: le grandi industrie, le multinazionali che hanno fatto il bello e il cattivo tempo per garantire lavoro e sviluppo, non hanno saputo restituire quello che è stato dato loro in termini anche di opportunità e di facilitazioni. Tuttavia ritengo che questa visione della delocalizzazione per come è stata impostata sia troppo rigida perché non tutte le delocalizzazioni sono assolutamente sbagliate: alcune sono necessarie, alcune andrebbero in qualche maniera controllate. Il rischio di fare di tutta l'erba un fascio è diventato, dal nostro punto di vista, realtà. Occorrevano tempi più lunghi, riflessioni più profonde, approfondimenti, conoscenze che avessero potuto fare del decreto un atto che potesse garantire veramente un'innovazione importante per il mercato del lavoro e l'impresa. Infatti, secondo il nostro punto di vista, l'obiettivo vero per restituire dignità ai lavoratori e alle imprese è proprio l'obiettivo di rimettere il lavoro al centro dei nostri interessi, il lavoro al centro dell'azione del Governo e del Parlamento con riforme adeguate, equilibrate, che non vedano contrapposizioni antistoriche e ideologiche ma che guardino invece alla sinergia tra il capitale, i datori di lavoro e i lavoratori. Questa avrebbe dovuto essere la vera sfida ma non lo è stata. Per questo noi parliamo di una mancata opportunità. Certo ci sono ancora alcuni giorni davanti a noi; c'è ancora una serie di emendamenti che potranno essere discussi e speriamo che in quest'Aula si possa costruire un dibattito vero, non fatto semplicemente di appartenenze contrapposte e di interessi di parte, volti forse più a voler rivendicare un risultato subito che una riforma giusta alla fine. Dunque la vera sfida del lavoro sarà quella di rimettere mano alla burocrazia, come ho detto qualche settimana fa al Ministro Di Maio quando era presente in quest'Aula per relazionarci sui tavoli di crisi delle imprese, e parte della burocrazia, dal fisco, parte dalle internazionalizzazioni, parte dalla capacità di dare lavoro e incentivare chi assume a tempo indeterminato. Il nostro partito, Fratelli d'Italia, ha parlato con chiarezza: agevolare di più chi assume a tempo indeterminato. Tramite le agevolazioni si dà dignità, tramite la capacità di avere un lavoro a tempo indeterminato e anche tramite la capacità di poter migliorare il proprio lavoro: non si dà lavoro con un decreto come questo. Questo è il nostro timore e il timore per tutti quelli che fuori da quest'Aula aspettano una risposta.
E concludo con un esempio, un esempio che viene dalla mia regione, esattamente dalla provincia di Ascoli Piceno, che è una provincia - che ha una comitato che si chiama “Disoccupati Piceni” - che conta, negli ultimi due decenni, meno 30.000 posti di lavoro. In tanti, che avevo avuto occasione di incontrare durante la campagna elettorale, mi hanno chiamato e mi hanno chiamato per far chiedere al Governo e al Parlamento una risposta per chi, a 58, 59, 60 anni, non riesce a trovare un'occupazione e non vede neanche la possibilità di andare in pensione, per chi vede davanti a sé un muro che è quello delle istituzioni, che non riescono a cogliere la difficoltà e la disperazione di queste persone.
Allora, io faccio un appello al Governo, faccio un appello al Parlamento affinché non sprechi questa opportunità. La dignità è un obiettivo che tutti noi vogliamo garantire, la dignità è un obiettivo che noi dobbiamo assolutamente costruire insieme, ma lo dobbiamo fare rimettendo in discussione innanzitutto quello che è il risultato da rivendicare su qualche social e guardandoci, credo, in viso, in faccia, per poter contribuire, ognuno dalla sua parte, a scrivere delle leggi equilibrate e giuste che possano garantire agli imprenditori e ai lavoratori un adeguato futuro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Benigni. Ne ha facoltà.
STEFANO BENIGNI (FI). Grazie, signor Presidente. Onorevoli deputati, onorevoli colleghi, le numerose promesse dispensate durante la campagna elettorale da parecchi esponenti che oggi ricoprono ruoli di Governo, tra un dibattito televisivo e una diretta Facebook, hanno creato aspettative altissime in milioni di italiani, aspettative tali da indurci a pensare a meravigliose rivoluzioni, a provvedimenti straordinari volti a migliorare la qualità della vita di molte persone che da anni vivono in situazioni di evidente precarietà, a misure finalmente utili a superare la crisi e a rilanciare l'economia del nostro Paese attraverso un sostegno allo sviluppo e al lavoro, insomma ad azioni strabilianti, quasi prodigiose, nell'unico interesse di riportare l'Italia fuori dalla palude in cui versa ormai da numerosi anni.
Ecco, allora, dopo 45 giorni il primo vero provvedimento immaginato e fortemente voluto dal neonato Governo gialloverde. È un provvedimento che già nel nome lascia spazio alla più stravagante immaginazione: “decreto dignità”, annunciato più e più volte prima della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, un nome forte, immediato, che arriva diretto e che lascia intendere che la dignità, appunto, sia il perno focale attorno al quale ruota il provvedimento. E invece no, nulla di tutto questo. Scopriamo, invece, che di dignitoso non ha nulla, a partire dal nome usato come mero slogan nel vano tentativo di convincere in molti della bontà del contenuto. Un provvedimento che riporta il Paese indietro di trent'anni, altro che rivoluzione del buonsenso, cari amici della Lega. Questo è un decreto targato Di Maio con tanto, troppo giallo e davvero poco verde, condito da idee confuse e una lunga serie di norme stringenti e punitive che non garantiranno alcuna dignità né alle imprese né, tanto meno, ai lavoratori, ma solamente tanta, troppa incertezza e preoccupazione sul futuro.
Ci saremmo aspettati davvero qualcosa di meglio da questo Governo, meno effetti speciali e più coraggio, meno sanzioni e maggiore sostegno alle imprese, meno vincoli e più tutela per i lavoratori. Ci saremmo aspettati grandi investimenti su chi crea lavoro, a partire da un concreto taglio del cuneo fiscale e intervenendo, quindi, sulla riduzione del costo del lavoro, ancora troppo alto in Italia per mettere le imprese nelle condizioni di essere competitive rispetto a molti altri Paesi dell'Europa e del mondo. Così come avremmo voluto vedere una seria e determinata lotta alla disoccupazione giovanile che, purtroppo, in Italia sfiora ancora cifre record e che necessita di un'attenta riflessione sulla situazione che stiamo vivendo. Dove sono le misure che il Ministro Di Maio ha promesso per trattenere i giovani nel nostro Paese? Purtroppo, in questo decreto non se ne vede nemmeno l'ombra e i giovani, in particolare quelli del sud, continueranno a fuggire all'estero in cerca di dignità.
Si interpreta la precarietà del lavoro solo in termini di durata dei contratti, senza alcun attenta valutazione in merito ai profondi cambiamenti in atto nel mercato del lavoro, utilizzando categorie superate e magari valide nel secolo scorso, quando si lavorava per lo stesso datore di lavoro per tutta la vita.
I dati sui nuovi contratti attivati nel primo trimestre del 2018 ci riportano, invece, alla nuda e cruda realtà che forse questo Governo non vuole o non riesce a vedere. Quattro nuovi contratti su cinque sono a tempo determinato e dimostrano come occorra spingere verso la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato per contrastare seriamente il precariato. Ma in questo decreto non è presente nulla di tutto questo. Si parla esclusivamente di sanzioni, di riduzione della durata dei contratti, di introduzione di causali e di aumento dei costi dei rinnovi sul tempo determinato. Non stupiamoci, poi, se lo stesso Ministero prevede un mancato rinnovo dei contratti fino al 2028 pari a 80.000 posti di lavoro. Queste sono le manine della verità, cari amici signori del Governo, altro che fantomatiche lobby o gruppi di potere. Ma fate attenzione: non è la realtà a cui ormai siete abituati, cioè quella realtà virtuale grazie alla quale si può raccontare tutto e il contrario di tutto. È la stessa realtà, dunque, che ci dirà che i risultati di questo decreto saranno le migliaia di posti di lavoro perse e i contenziosi tra datori e lavoratori, utili solo a riempire le tasche di qualche avvocato.
Si aumenta il tempo a disposizione per ricorrere e impugnare i contratti, soddisfacendo così una delle richieste della CGIL - e chissà cosa ne pensano gli amici della Lega - oltre che innalzare le indennità per licenziamento senza giusta causa. Ma davvero si pensa che porre paletti e inasprire le sanzioni possa bastare o essere utile a qualcuno? Aver ridotto da 36 a 24 mesi il termine massimo di durata del tempo determinato non spingerà i datori di lavoro ad assumere a tempo indeterminato ma li incentiverà a lasciare a casa i lavoratori o, nella peggiore delle ipotesi, a favorire il lavoro nero. Ed è questo il modo di tutelare chi lavora e di sostenere la crescita delle imprese? State facendo quasi peggio dei Governi di centrosinistra. Il Jobs Act può e deve essere superato, ma non con interventi ancora più penalizzanti per chi fa impresa, investendo tempo e denaro. E non bastano le contribuzioni dell'ultimo minuto a cambiare le sorti di questo decreto. I precari aumenteranno e quando gli slogan saranno terminati ci risveglieremo in un Paese impoverito, con famiglie dal futuro incerto, più rabbiose e meno tutelate. Avete fatto di un decreto pura demagogia.
Così come in tema di delocalizzazioni, dove ancora una volta si parla esclusivamente di sanzioni. Altro che la dignità al centro, come diceva il Ministro Di Maio. Qui al centro ci sono solo sanzioni, sanzioni e ancora sanzioni. La delocalizzazione delle imprese non si combatte attraverso norme punitive, ma creando le condizioni per produrre e lavorare bene in Italia. Occorre far crescere la produttività anche creando condizioni favorevoli agli investimenti privati. Se in Italia ci fosse meno burocrazia e il lavoro costasse meno non saremmo qui a parlare delle imprese che scappano: piuttosto avremmo fila di quelle che vorrebbero investire in Italia, perché l'Italia è meravigliosa e gli italiani sono grandi lavoratori e sfido chiunque a trovare un'impresa seria che se ne va perché se ne vuole andare. Se ne vanno perché sono costrette dall'eccessivo peso burocratico e fiscale di questo Paese. Sicuramente è positivo il tentativo di contrastare il fenomeno della delocalizzazione selvaggia dopo aver fruito di aiuti pubblici, ma è necessario distinguere tra chi delocalizza per abbattere i costi di produzione e chi, invece, apre nuove sedi all'estero per espandere la propria attività.
In questo decreto rimane poi un vuoto normativo enorme. Si escludono, infatti, dalle sanzioni le imprese beneficiarie di aiuti di Stato che delocalizzano nei Paesi dell'Unione europea. Ma come? Se delocalizzi in Brasile, dopo aver preso aiuti di Stato, ricevi la sanzione e se, invece, delocalizzi in Romania, che è uno Stato dell'Unione Europea e dove il costo del lavoro è cinque volte inferiore a quello dell'Italia, allora va bene? Allora è concesso? L'ingresso della Romania nell'Unione Europea ha favorito la delocalizzazione di oltre 30.000 imprese italiane. Nel 2015 il giro totale d'affari delle imprese italiane in Romania è stato di 7,5 miliardi di euro, ha coinvolto 130.000 dipendenti e ha generato un utile di 242 milioni di euro.
Il vero problema, quindi, è quello di chi delocalizza per ridurre il costo del lavoro e chi compra i nostri marchi e poi se ne va all'estero, lasciando il deserto alle spalle, e purtroppo su questo tema, con questo decreto, non si risolve nulla. Così come sulle infinite promesse fatte sulla semplificazione fiscale, dove ci saremmo aspettati una vera e propria rivoluzione. Avete promesso agli italiani di abolire tutto, dallo spesometro al redditometro agli studi di settore; poi scopriamo che di tutto questo non si abolisce assolutamente nulla. Lo ricordo anche agli amici della Lega e al Ministro Salvini, che non si è risparmiato dal promettere a imprese e professionisti l'abolizione totale di questi odiosi adempimenti burocratici. Ad ogni modo, non bastava prendere in giro imprese e lavoratori: ci si è spinti anche su un tema così delicato come quello del gioco e della ludopatia, sulla quale serviva molto più coraggio e determinazione; e, invece, vi siete dovuti arrendere di fronte al problema delle coperture finanziarie.
Il gioco che tanto si vuole combattere viene utilizzato dal Governo per finanziare le norme sulla decontribuzione e sullo split payment. Un paradosso clamoroso, specialmente da parte di chi del contrasto al gioco ha fatto per anni una bandiera di moralità. E allora, per tutti questi motivi, come gruppo di Forza Italia abbiamo ritenuto doveroso e opportuno presentare emendamenti volti a migliorare un decreto pieno di difetti e slogan elettorali privi di contenuto. Lo abbiamo fatto con assoluto buonsenso, con l'approccio di chi sente il desiderio di correggere in meglio un provvedimento potenzialmente dannoso.
Abbiamo proposto la reintroduzione dei voucher, e solo grazie alle nostre pressioni avete finalmente rivisto la vostra posizione, anche se in misura troppo limitata. Abbiamo proposto la compensazione delle cartelle tra la pubblica amministrazione e le imprese grazie all'emendamento dell'onorevole Baldelli, che il Governo ha dovuto accettare per evitare una grande figuraccia, e ne siamo assolutamente orgogliosi, perché per noi è una grande vittoria. Poi abbiamo proposto la decontribuzione totale per la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, il credito di imposta per le imprese del Sud che assumono, le agevolazioni per l'apprendistato e il taglio del cuneo fiscale, con particolare attenzione ai giovani.
Purtroppo è stato respinto tutto e non possiamo assolutamente ritenerci soddisfatti, perché rimaniamo preoccupati per gli effetti futuri di questo decreto. Il Ministro Di Maio ha voluto accorpare il Ministero del lavoro con quello dello sviluppo economico con la scusa di voler accorciare le distanze tra imprese e lavoratori; purtroppo, con questo provvedimento, le distanze saranno ancora più nette e gli effetti negativi saranno dirompenti sul mercato del lavoro, sui lavoratori, sulle imprese e sull'economia del nostro Paese. Ve lo chiediamo, allora, con assoluto senso di responsabilità: rivedete questo decreto, correggetelo domani, qui, in Aula, e dimostrate concretamente di tenere all'Italia e agli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Ungaro. Ne ha facoltà.
MASSIMO UNGARO (PD). Presidente, onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo che siete ancora qui fino a quest'ora, vi ringrazio. Il decreto-legge Di Maio sfiora molti campi diversi, con tante nuove norme che si prefiggono obiettivi nobili, quali il contrasto alla precarietà, il contrasto alle delocalizzazioni, il contrasto al gioco d'azzardo; ma, se scaviamo sotto le tante norme, troviamo una serie di misure cosmetiche, che temo non solo non riusciranno a ridare dignità ai lavoratori e alle imprese di questo Paese, ma rischiano di mandare un segnale confuso e di illudere precari, datori di lavoro e contribuenti. Il decreto-legge introduce delle sanzioni per quelle aziende italiane ed estere che delocalizzano le proprie attività in Paesi che non appartengono allo Spazio economico europeo entro cinque anni dall'avere usufruito di un beneficio statale.
Il decreto-legge, in realtà, riprende ed estende le disposizioni già contenute nella legge di stabilità 2014 che prevedevano già il rimborso del beneficio da parte di quelle aziende che, dopo avere ottenuto contributi in conto capitale, entro tre anni delocalizzavano all'estero e riducevano il proprio organico al 50 per cento. È assolutamente sacrosanto chiedere alle aziende di rendere conto, se con una mano ottengono, prendono, raccolgono contributi pubblici e con l'altra spostano posti di lavoro fuori dal Paese; ma, dall'altra parte, è importante evitare qualsiasi atteggiamento punitivo o sanzionatorio nei confronti di chi prova a fare impresa nel nostro Paese, specie nel caso di nuove aziende, le start up, o piccole e medie imprese.
Per questo motivo servono regole chiare e flessibili. In un mondo globale interconnesso i modelli di produzione e distribuzione diventano sempre più complessi e l'intervento dello Stato, per quanto, ovviamente, sia fondamentale per risolvere i fallimenti del mercato e agire contro la disuguaglianza tramite la redistribuzione della ricchezza, può diventare nocivo se impone troppi divieti e troppi oneri. La priorità deve essere quella di mantenere in Italia posti di lavoro, ma senza punire le aziende che si organizzano per adattarsi a un mondo in continua evoluzione. Per questo motivo, come Partito Democratico, avevamo proposto che, nel caso in cui all'azienda che delocalizza subentri un altro acquirente che riesce a mantenere i medesimi livelli di occupazione, l'azienda non veniva punita e non le si applicavano le sanzioni previste da questo decreto.
Presidente, i cicli economici sono sempre più brevi e le nuove sfide contro cui si scontrano le nostre aziende sono sempre più varie. Per questo motivo avevamo proposto di ridurre il periodo entro il quale l'azienda non può delocalizzare, perché cinque anni è un periodo troppo lungo, sul quale pochissime aziende hanno la visibilità sufficiente per valutare effettivamente se vale la pena di usufruire di un contributo statale o meno. Per lo stesso motivo avevamo proposto di escludere dal rimborso dell'iperammortamento quelle aziende che spostano i beni oggetto del beneficio solo temporalmente all'estero. Anche se è migliorata con il nostro emendamento a firma Moretto-Benamati, approvato in Commissione, la definizione stessa di delocalizzazione rischia di mettere in difficoltà quelle aziende che intendono internazionalizzare le proprie attività. Il termine “attività economica specificatamente incentivata” rimane ancora troppo generico; è proprio qui che diventa cruciale il caso delle piccole e medie imprese, la colonna portante della nostra economia.
Questo decreto rischia di avere delle conseguenze nefaste sulle piccole realtà produttive che intendono internazionalizzarsi, e per questo motivo avevamo proposto di escludere le PMI dal campo di applicazione della norma. Se questo decreto diventa legge, se questo decreto diventa legge dello Stato, prendiamo il caso di una camiceria di Nola che, con 10 dipendenti, magari durante la crisi usufruisce di un credito agevolato tramite un fondo di garanzia, e magari, 4 o 5 anni dopo, decide di aprire un punto vendita a Zurigo, Svizzera, un Paese che non fa parte dello Spazio economico europeo. Ebbene, se questa camiceria invia due dipendenti da Nola a Zurigo, decade e deve rimborsare una quota del credito agevolato di cui aveva usufruito durante la crisi.
La camiceria, quindi, ci penserà due volte prima di investire in quel mercato, il che avrebbe potuto far lievitare gli ordini, portando, eventualmente, all'assunzione di ulteriori dipendenti. Il rischio, quindi, Presidente, è quello di mandare un segnale confuso agli operatori economici, soprattutto quelli stranieri, e provocare una ricaduta negativa sul piano degli investimenti.
Investimenti di cui il nostro Paese ha disperatamente bisogno, specie il nostro Meridione; sebbene in grande ripresa negli ultimi anni - anche grazie a iniziative come Destinazione Italia, attuate dai Governi Letta, Renzi e Gentiloni - siamo ancora molto indietro. I flussi in entrata di investimenti diretti esteri non arrivano nemmeno a due punti del nostro PIL, mentre la quota degli investimenti complessivi della nostra economia non è nemmeno il 18 per cento, ben al di sotto di economie simili, come la Francia o la Spagna. Solo con una ripresa decisa degli investimenti potremo affrontare la sfida dell'innovazione e della produttività, rilanciando l'occupazione, soprattutto adesso che con la Banca centrale europea ci si appresta alla conclusione della fase di acquisto dei nostri titoli di Stato e, probabilmente, a un rialzo dei tassi di interesse. Occorre fare di tutto per sostenere la ripresa; invece, questo decreto rischia di penalizzare quelle aziende che intendono perseguire delle opportunità di espansione nei mercati emergenti, e quindi di beneficiare dell'affacciarsi di quella nuova classe media globale, quelle milioni di famiglie indiane, cinesi e indonesiane che stanno trainando la domanda che in Italia percepiamo, appunto, attraverso i dati del nostro settore turistico.
Per rendere il decreto efficace bisognava aggiungere delle disposizioni per attirare investimenti esteri nel territorio nazionale, come previsto dal nostro emendamento che, appunto, proponeva un piano strategico in coordinamento con il Ministero dello sviluppo economico e l'Agenzia per la promozione all'estero-ICE. Oltre agli investimenti finanziari, sarebbe stato utile anche incentivare il rientro di capitale umano attraverso l'estensione degli sgravi fiscali previsti dalla “legge controesodo” del 2010 per i lavoratori italiani all'estero che decidono di rientrare in Italia, come, appunto, avevamo proposto.
In termini di semplificazione fiscale sono state disattese le promesse del “Governo del cambiamento”: nemmeno un mese fa, un mese e mezzo fa, il 7 giugno il Ministro dello sviluppo economico, Luigi Di Maio, si presentava all'assemblea della Confcommercio promettendo l'abolizione dello spesometro e del redditometro; in realtà, questo decreto non cancella nulla. L'articolo 10 si limita a modificare la procedura per individuare i criteri del redditometro, che rimane comunque lo strumento di accertamento sintetico del reddito.
L'articolo 11 non fa che rinviare di qualche mese l'applicazione dello spesometro; anche la fatturazione elettronica nel caso dei benzinai, dei rivenditori di carburante viene rinviata soltanto di qualche mese.
Al di là delle promesse disattese, questi rinvii lanciano il segnale sbagliato. Dopo anni di successi sul fronte della lotta all'evasione, culminata appunto l'anno scorso con il recupero di oltre 25 miliardi di euro, ovvero di oltre un punto percentuale del nostro PIL, questa è la manovra populista che, mentre magari si prepara l'ennesimo condono, intende raccogliere effimeri consensi nel breve termine, ma pregiudicando quel contratto tra contribuenti onesti e lo Stato nel medio e lungo termine. Si vuole davvero aiutare chi non riesce a pagare tasse? Allora, benissimo, compensiamo le cartelle esattoriali di quelle imprese e professionisti che hanno crediti con la pubblica amministrazione, come proposto da altre forze dell'opposizione.
In termini, invece, di lotta al gioco d'azzardo si poteva fare molto di più: è giusto agire per combattere questa grave piaga sociale, in grande espansione nel nostro Paese. Ogni anno, gli italiani spendono oltre 1.500 euro a testa, conto una spesa di soli 60 euro in nuovi libri; 1.500 a testa per il gioco d'azzardo e 60 euro appunto in nuovi libri. Le macchine da gioco, soprattutto le slot machine da noi sono quasi 400 mila, una ogni 150 abitanti, una percentuale altissima. Solo per dare un esempio, in Germania è una ogni 260 e in Spagna una ogni 240. Ma per questo motivo occorreva andare oltre il solo divieto della pubblicità; anche questa sembra una misura cosmetica, dato che la pubblicità degli apparecchi da divertimento, appunto le slot machine è il settore di gran lunga più problematico per il disturbo da gioco d'azzardo. La pubblicità di questo settore, però, è prossima allo zero; quindi, il divieto della pubblicità non va a intaccare o ad aggredire quello che è il settore più problematico. Inoltre, in assenza di un approccio più organico, più olistico di contrasto, appunto, al fenomeno il solo divieto della pubblicità rischia paradossalmente di favorire il gioco d'azzardo illegale, dato che quello legale non avrà più modo di promuoversi, di distinguersi dagli operatori illegali come, appunto, richiamava la raccomandazione della Commissione europea del 14 luglio 2014.
Il testo, comunque, nella lotta al gioco d'azzardo, è migliorato notevolmente in Commissione - forse questo potrà ricordare a Beppe Grillo che il Parlamento può ancora essere utile a qualcosa - anche grazie agli emendamenti del Partito Democratico, con l'istituzione del monitoraggio nazionale e di una banca dati proposta dall'onorevole Carnevali e l'introduzione, con l'emendamento Ascani e Fregolent, di lettori elettronici di tessere sanitarie su ogni dispositivo di gioco, per impedire l'accesso ai minorenni.
Vede, Presidente, un'indagine de L'Espresso illustra quanto appunto ci sia un allarme giovani nel gioco d'azzardo; quasi la metà dei giocatori avrebbe appunto tra i 15 e 19 anni, da cui quindi l'utilità di introdurre un logo no slot nei locali che decidono di privarsi delle slot machine, come previsto dalla nostra posta emendativa. Ma si poteva andare ben oltre, si sarebbe potuto permettere alle famiglie di chi è affetto da azzardopatia di accedere al fondo antiusura del MEF, coinvolgere gli enti locali nella gestione di progetti di sostegno e recupero degli azzardopatici, aumentare le risorse del fondo per il gioco d'azzardo patologico, introdurre formule di avvertimento, come con i pacchetti di sigarette o proibire l'apertura di sale da gioco in prossimità di scuole o strutture sanitarie.
Anche nel mondo dello sport questo decreto reca danni in termini di dignità. L'articolo 13 abolisce la riforma del settore approvata dal Governo Gentiloni e questo succede a scapito di tanti operatori del mondo dello sport dilettantistico; i laureati in scienze motorie non potranno più beneficiare della copertura dell'INPS e dovranno avere avanti a suon di rimborsi spese, come volontari, quando invece dovrebbero essere riconosciuti in quanto lavoratori. Vedo ben poca dignità in questo provvedimento, se non l'intenzione di passare con un colpo di spugna su interventi del Governo precedente.
Infine, rimangono forti dubbi sugli articoli legati al mercato del lavoro, l'hanno già detto molti miei colleghi che mi hanno preceduto, per combattere la precarietà occorre minore ricorso al lavoro a tempo determinato, non aumentare il costo del lavoro determinato. In Italia abbiamo un eccesso di offerta è un'alta disoccupazione; se si aumenta il costo del lavoro, il numero di assunzioni diminuisce automaticamente. Il combinato disposto tra la reintroduzione dei voucher e i limiti imposti ai contratti determinati in termini di durata, costi dei contributi previdenziali e numero di proroghe, porteranno ad un aumento della precarietà e della disoccupazione. Il numero di contratti a tempo determinato è completamente nella media europea ovvero il 16 per cento del totale, secondo i dati OECD.
Il primo punto sul quale agire deve essere il cuneo fiscale che, quello sì, è tra i più alti a livello europeo. Quindi, ci rallegriamo per l'introduzione in extremis, venerdì pomeriggio, nelle ultime battute in sede referente nelle Commissioni riunite, cioè che il Governo abbia voluto agire su questo fronte. Però, purtroppo, constatiamo che sono la brutta copia delle misure introdotte dai Governi Renzi e Gentiloni, le misure che prevedono l'estensione e l'esonero del 50 per cento dei contributi per i neoassunti fino a 35 anni dagli attuali 30 anni, ma soltanto per il biennio 2019-2020.
Infine, il problema più grande. La reintroduzione delle causali dopo dodici mesi pone il serio rischio che molte aziende preferiranno non rinnovare il contratto per sfuggire al rischio di un aumento dei contenziosi. Insomma, questo decreto invece di stabilizzare i precari, ne incentiva il licenziamento.
Per concludere, questo decreto si prefigge come obiettivo quello di ridare dignità ai lavoratori e alle aziende d'Italia; in realtà, c'è una serie di interventi che non cambiano nulla nella vita delle persone. È un decreto a costo zero, che non investe su nulla, che non scommette. È vero, non si crea lavoro con le leggi, ma le leggi sbagliate o confuse possono distruggere il lavoro che esiste. Questo decreto serve solo a nutrire la narrazione mediatica del Governo con slogan estremamente allettanti: stop alla precarietà, stop alle delocalizzazioni, bastonando le nostre imprese con nuovi divieti, nuovi obblighi e illudendo i miei coetanei che queste misure basteranno a trasformare i loro contratti determinati in contratti indeterminati.
Presidente, per ridare davvero dignità e opportunità alle lavoratrici e ai lavoratori, ma soprattutto ai giovani in Italia occorre investire molte più risorse per abbattere il cuneo fiscale, occorre introdurre un salario minimo legale, occorre introdurre nuove tutele per i lavoratori dell'economia collaborativa, occorre estendere gli sgravi fiscali per l'imprenditoria giovanile, occorre contrastare gli stage non retribuiti, un veicolo di immobilismo sociale, investire molte più risorse in istruzione e diritto allo studio: l'Italia il Paese che meno investe in istruzione, meno l'otto per cento del PIL, siamo gli ultimi dopo l'Ungheria, tutte misure che non vedo presenti in questo decreto e invece solo con esse avremo forse la possibilità, un giorno, di avviare un conroesodo e dare una risposta a quei 100 mila ragazze e ragazzi che ogni anno lasciano un Paese che troppo spesso sembra offrire loro solo un misto di stipendi greci e tasse svedesi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Ferro. Ne ha facoltà.
WANDA FERRO (FDI). Grazie, Presidente, colleghi superstiti del Governo, grazie particolare perché devo dire che gli interventi che si sono succeduti e che, in qualche modo, ci hanno dato la possibilità di riflettere più o meno in linea con tutte le eccezioni fatte rispetto a un decreto che sicuramente è riuscito in questa fase a non soddisfare nessuno. In questa pausa di riflessione, ascoltando gli interventi dei tanti colleghi non mi sento di dire: state sereni e capirete anche il perché. Perché la notte non porterà consiglio, difficilmente credo verranno accolti degli emendamenti, verrà cambiato questo decreto e ancor di più penso che alla fine quello che ha compiuto il vicepresidente Di Maio è avere confezionato il delitto perfetto ai danni del Paese. Non ha scontentato soltanto il mondo dell'impresa e della scuola, ma ha scontentato anche i tanti giovani che un posto di lavoro non ce l'hanno e soprattutto che hanno risposto con grande fiducia nelle forze politiche che oggi dimostrano certamente di voler portare a casa soltanto, come è stato più volte detto, dei traguardi di spot per ottenere qualche ritorno mediatico in più e costruire le basi per un vero non cambiamento di rotta.
Io parto dal presupposto che in questi giorni abbiamo letto di tutto e di più, ogni forma di dichiarazione su questo provvedimento che è assolutamente deficitario rispetto ai tanti articoli da tanti enunciati. Sul piano della sostanza anche le scelte condivisibili, come la lotta alla ludopatia, al gioco d'azzardo sono dirette alla propaganda più che a determinare un vero cambiamento di rotta, perché non è certamente con il divieto della pubblicità e delle sponsorizzazioni che si dà un colpo decisivo al sistema. Ma davvero si può pensare che l'approccio al gioco d'azzardo sia frutto soltanto di uno spot televisivo?
Occorre pensare, o meglio occorreva pensare, ai tanti strumenti di controllo che diano maggiori strumenti e garanzie alle famiglie, e che bisogna proprio partire da quella porzione importante che purtroppo, ahimè, è controllata dai monopoli, la cosiddetta porzione legale, offrendo quindi quella possibilità al coniuge piuttosto che ai genitori di ricevere informazioni prima e non successivamente, quando è troppo tardi.
Quindi, un campanello d'allarme che intervenga prima dell'irreparabilità dei danni. Penso ad una più forte azione di repressione che salvaguardi i giovani e i giovanissimi. Penso ad una lotta più serrata contro le piattaforme illegali, ad un investimento che assegni maggiori risorse alle necessarie terapie di intervento. È singolare che il Vicepresidente Di Maio, nel parlare di questo problema, abbia detto che bisognerà riscrivere le regole. Ma quando intende farlo? Perché non si è approfittato di quest'occasione per sferrare il primo, vero e decisivo attacco a questa piaga sociale? Io ho la sensazione, avendo sempre seguito i lavori parlamentari, via televisione, che ci sia la politica del doppio forno, della doppia morale: quelle battaglie fatte prima dal MoVimento 5 Stelle, oggi vengono rinnegate, con tutte le promesse fatte all'elettorato. Ma quello che appare assolutamente carente è il tema centrale di questo decreto e del mondo del lavoro, e delle misure, soprattutto, per incentivare l'occupazione. Proviamo a immaginare che la naturale ambizione degli italiani, anche di quelli che stanno in quest'Aula, che dovrebbero rappresentare i desideri di tanta gente, sia di vivere in un Paese normale, un Paese semplice, e allora mi chiedo: è normale per tutti quanti affrontare i tanti problemi del mondo del lavoro, e che lo si faccia chiamando un decreto “decreto dignità”? O forse è l'ennesima - credo che questa sia la risposta che in tanti ci siamo dati oggi in quest'Aula - trovata di chi ha trasformato quella nobile arte della politica in una vera e propria arte della semplice comunicazione. Che so, potremmo dire un titolo ad effetti speciali per fare cassa al botteghino dei consensi. Ma bisogna sempre ricordare che quando si tradisce un impegno elettorale c'è sempre quell'idea che chi tradisce una volta tradisce sempre.
Per me, e per noi di Fratelli d'Italia, la dignità del lavoro e dei lavoratori è nelle tante piccole, medie e grandi imprese nazionali che hanno scritto la storia industriale di questo Paese, nel gioco di squadra, nella previdenza, negli ammortizzatori sociali, nelle mense aziendali, nella capacità che ha cambiato le regole del gioco e nelle conquiste di chi ha lottato per vedere riconosciuti i propri diritti anche con grandi sacrifici. In quelle imprese artigiane, dove il titolare è primus inter pares ed opera con la stessa e uguali dignità dei propri collaboratori, e tutti lottano insieme per tagliate un traguardo dove il merito e il sacrificio hanno segnato dei successi importanti di crescita economica, di crescita sociale, e dove tutti oggi soffrono una crisi che purtroppo non è passeggera come l'eclissi lunare di qualche sera fa.
Colleghi Cinquestelle, animati dalla ricerca di quel famoso titolo del film ad effetto, politici di questa nuova generazione, dove la forma conta sempre più della sostanza, dovreste ricordare che il nome di un decreto non sempre determina il futuro e la sostanza di una legge. Non vi è bastato sentir parlare di “buona scuola”? Un Ministro, qualche giorno fa, un Ministro di questo Governo, Marco Bussetti, ha dichiarato che la “buona scuola” ha generato danni irreparabili al sistema. Non vi sorge il dubbio che un domani qualcuno potrebbe parlare del “decreto dignità” nella stessa maniera? Non avvertite il pericolo che, per usare un termine caro a parte di questo emiciclo, un giorno questa sbandierata dignità non sia raccontata come una vera e propria vergogna nazionale? Sembra di rivedere le slide di Renzi, e tutti sappiamo come è andata a finire. Forse il risultato che Di Maio voleva ottenere - e che probabilmente ha ottenuto - è quello di stringere alle corde la Lega, mettendola in difficoltà di fronte al proprio elettorato, che - ricordo a chi magari, e ce ne sono tanti, ha la memoria troppo corta - ha premiato un programma di Governo condiviso dall'intero centrodestra.
È per attuare quel programma che i parlamentari della Lega sono stati eletti, non per riportare in Italia quella che in qualche modo i miei colleghi hanno già definito una nuova lotta di classe, di fronte a un'Italia in cui chi produce, chi fa impresa, chi lavora, chi mette in gioco le proprie competenze ha compreso che l'unico modello possibile è quello della partecipazione, della collaborazione tra le forze produttive, del superamento delle logiche culturali e conflittuali e della presa di coscienza di una responsabilità comune. Il Governo del cambiamento fa un passo indietro di quasi mezzo secolo, riproponendo il famoso conflitto tra gli imprenditori e i lavoratori. È un decreto che non ha una visione, non esprime assolutamente nessuna prospettiva futura. Ricalca un modello vecchio e inadeguato, che impone divieti, che aumenta la burocrazia, che rafforza tutte le rigidità contrattuali, finendo così per scoraggiare chiunque voglia investire e dando nessuna possibilità di creare lavoro stabile e duraturo.
Non si governa mostrando i muscoli, si governa con la capacità di ascolto, si governa con la capacità e la saggezza di un Paese che non sta vivendo un momento facile e semplice. Per combattere la precarietà avevamo avanzato una proposta molto semplice, noi di Fratelli d'Italia: detassare i contratti a tempo indeterminato; più assumi, meno paghi; più assumi a tempo indeterminato, meno paghi. Anche questa proposta è stata puntualmente bocciata. Si è scelta la strada di disincentivare i contratti a tempo determinato, ma così non si trasforma il lavoro precario in lavoro stabile, non si aiutano le aziende, ed è bene ricordare che forse queste aziende andrebbero aiutate a tenere un lavoratore su cui si è puntato rispetto alla formazione, rispetto ad un lavoro che conosce e produce bene. Il nostro atteggiamento è stato improntato alla massima collaborazione, ispirato a principi di buon senso, e soprattutto, Presidente, in perfetta coerenza con gli impegni presi dai cittadini in campagna elettorale, gli stessi impegni che ha assunto la Lega. Non ci interessa che ci venga data ragione, non ci interessa che tra qualche mese o tra qualche settimana, rispetto alle nostre importanti preoccupazioni sull'inefficacia dei provvedimenti, degli obiettivi dichiarati, saremo premiati dai dati economici, sul prevedibile aumento che tutti sappiamo della disoccupazione. La nostra speranza è che non avvenga come per le cicale: i maschi delle cicale cantano d'estate, nella stagione dell'amore, per attirare le femmine, ma questa non è la stagione dell'amore, questo è il momento soltanto di rimboccarsi le maniche per il nostro Paese, senza rinchiudersi nella torre del terzo millennio, fatta di blog, di spot, di grida, spesso grida di comodo, ma soprattutto con la speranza che i grilli parlanti possano un giorno cambiare le sorti di questo nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Germanà. Ne ha facoltà.
ANTONINO GERMANA' (FI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo nel dibattito generale di questo travagliato decreto poiché è necessario e urgente far conoscere agli elettori, ai contribuenti e ai lavoratori, e non solo a quelli dipendenti, il modo inadeguato con il quale volete intervenire sull'ordinamento giuridico vigente in materia di tutela del lavoro, per far sapere come volete utilizzare le scarse risorse pubbliche e quali risultati otterrete. Uno dei padri costituenti, Luigi Einaudi, pubblicando nel 1964 la sua celebre raccolta di scritti dal titolo emblematico, Predicheinutili, mise in guardia il legislatore da modificare l'ordinamento giuridico se non dopo aver avuto ben chiaro quale fosse lo scenario su cui andava a incidere la nuova legge. L'articolo intitolato Conoscere per deliberare contiene un monito valido ancora oggi per i legislatori, i quali, come novelli apprendisti stregoni, non dovrebbero porre mano al cambiamento se non dimostrando di essere anche in grado di prevederne gli effetti. Infatti non tutti i cambiamenti producono miglioramenti. Einaudi si poneva una domanda logica: come si può deliberare senza conoscere? Non si può, o meglio non si dovrebbe, per questo raccomandava di seguire un metodo in grado di evitare problemi: prima conoscere, poi discutere e poi deliberare.
Cari colleghi, temo che se non cambierete metodo di lavoro e approccio con il Parlamento - e mi rivolgo ai colleghi del MoVimento 5 Stelle, quei pochi rimasti fino a questa tarda ora - il giudizio tranciante di Einaudi possa attagliarsi perfettamente per descrivere il caso vostro, la vostra capacità di governo o incapacità.
Sulla conoscenza non mi soffermo oltre, poiché dal mio gruppo, e non solo, si è alzata forte la voce per scongiurare il rischio, contenuto nel decreto-legge che avete emanato, di trasformare ulteriormente dei lavoratori precari in lavoratori disoccupati. Sulla discussione invece ho molte cose da dire, ma ci tornerò dopo, poiché durante i lavori già svolti vi siete adoperati per dichiarare inammissibili per estraneità di materia una gran quantità di emendamenti che abbiamo presentato al provvedimento in discussione, al solo fine di soccorrervi per evitare danni certi al sistema Paese. Avete nei fatti impedito la discussione proprio sui temi più importanti, quelli assenti nel provvedimento. Sulla deliberazione sospendo il giudizio, perché auspico che nella sede propria del dialogo istituzionale, quest'Aula, si possa deliberare conformemente ai bisogni dei cittadini.
Siete degli illusi, perché i provvedimenti come questo danneggeranno tutti: i vostri elettori, i nostri elettori, tutto il popolo italiano. Essi saranno però in grado di riconoscere chi ha voluto e chi ha realizzato tutto ciò. Caro Ministro Di Maio assente, il vostro Governo non è per nulla nuovo, e lo si deduce anche dalle forme del provvedimento adottato: i moniti espressi contro l'uso improprio della decretazione d'urgenza non vi hanno indotti a lasciare che il Parlamento esplicasse liberamente le proprie funzioni.
Perché voi licenziate il primo provvedimento di interesse generale usando la forma del decreto-legge? Quale necessità ed urgenza vi ha mossi se non quella di sottrarre l'iniziativa legislativa al potere legislativo, per trasferirla a quello esecutivo? Neanche l'evidente maggioranza di cui disponete in entrambi i rami del Parlamento vi ha indotti ad onorare il principio della separazione dei poteri. Rappresentate una cultura di stampo peronista e vetero-sindacale; volete rappresentare il nuovo e ci proponete dei provvedimenti già condannati dalla storia.
Che dire poi delle promesse elettorali, promesse da marinaio? Va bene, tanto la campagna elettorale è finita. Avete ottenuto consensi garantendo misure assistenzialistiche ispirate a un demagogico populismo; e poi che fate? Non avete avuto neanche il coraggio di inserire in questo provvedimento il reddito di cittadinanza!
Tutti dobbiamo interrogarci sui motivi per i quali non avete voluto tutelare la dignità del lavoro presentando la vostra proposta; io un'opinione me la sono fatta, ma ovviamente attendo di sentire la vostra opinione. Infatti approfitto anche dell'occasione per informare i colleghi che proprio stamattina ho presentato per voi l'emendamento mancante: quello che contiene il provvedimento sul reddito di cittadinanza, identico a quanto avete presentato nel tempo e per l'ultima volta lo scorso anno durante la manovra di bilancio, un emendamento di ben 33 pagine. Incredibilmente nulla avete presentato in questa legislatura, e nulla appare in questo decreto-legge. Mentre vi sto parlando ancora non so se l'emendamento verrà dichiarato ammissibile, lo scopriremo domani; spero solo che non avrete la sfacciataggine di venirci a raccontare che non è ammissibile per estraneità di materia. Io naturalmente voterò contro il mio emendamento - ma che è il vostro emendamento; voi come voterete? La maggioranza sarà capace di sciogliere il nodo giunto al pettine e chiarire se siete in grado di sostenere, unitariamente insieme ai colleghi della Lega, la misura? Staremo tutti a vedere!
Dei famigerati 8 mila lavoratori che si perderanno in un anno non dico nulla poiché ne hanno già parlato in sede di audizione esponenti delle istituzioni, che hanno confermato quanto scritto nella vostra relazione, relazione che probabilmente non avete neanche letto dimostrando quanto Einaudi avesse ragione: per legiferare si deve conoscere, altrimenti si fanno danni. Fatto che ammettete voi stessi, poiché avete indicato la quantificazione e la copertura per le minori entrate contributive pari nel primo triennio 2018-2020 a oltre 150 milioni.
Con gli articoli dal 5 all'8 avete voluto contrastare la delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti di Stato, prevedendo sanzioni applicate all'impresa direttamente beneficiaria e a quelle controllate o collegate alla stessa. Bene!, direte tutti. E però il decreto-legge e le relazioni di accompagnamento non specificano cosa si intende per aiuti di Stato: quelli de minimis o quelli da notificare? In assenza di queste specificazioni ritengo vogliate riferirvi a qualsiasi tipologia di beneficio che le imprese possono godere: mi pare una sanzione eccessiva, controproducente. Inoltre avete completamente dimenticato pezzi di ordinamento giuridico vigente, poiché nel testo non si trova alcun riferimento alla recente normativa che ha istituito il Registro nazionale degli aiuti di Stato, il decreto ministeriale n. 115 del 2017. Tentate di far apparire una norma capace di arginare ogni delocalizzazione, ma dite cose errate, perché le misure non si applicano alle imprese, di solito straniere, che rilevano marchi o siti produttivi senza alcun beneficio o agevolazione, al mero fine di acquisire il know-how e il valore intrinseco per reimpiegarlo presso i propri siti produttivi all'estero senza alcuna intenzione delocalizzativa, ma di semplice svuotamento e chiusura.
È bene che queste cose si sappiano e che rimangano agli atti, perché senza conoscenza i cittadini non potranno conoscere la vostra impreparazione che diviene causa di malgoverno.
È poi paradossale ciò che avete proposto all'articolo 9 per contrastare la ludopatia. Prima avete previsto il divieto assoluto di pubblicità, anche indiretta, su giochi e scommesse con vincite di denaro. Bene, si dirà; peccato che ciò che avete fatto è poi assolutamente incoerente con la finalità dichiarata “limitare la ludopatia”. Infatti la norma di copertura finanziaria consiste in un innalzamento della misura del prelievo erariale sugli apparecchi idonei per il gioco, le slot machine e le videolottery. Quindi per compensare le perdite dovute al divieto di pubblicità aumentate le imposte sul gioco, perché sapete quanto siano rilevanti le entrate per il bilancio dello Stato: mi appare una forma di azione ipocrita, perché comunque continuate a contare sugli incassi derivanti dal gioco di tutti i giocatori, anche dei ludopatici.
Voglio specificare che apprezzo e condivido l'intento di contrastare il fenomeno dilagante della ludopatia, ma è chiaro che un tema così complesso non può essere affrontato con misure frammentate. Così si rischia soltanto di ampliare i margini di manovra per l'industria del gioco illegale.
L'articolo 10 reca disposizioni in materia di redditometro, ed è un articolo che dovrebbe imbarazzarvi non poco: dopo mesi di tambureggianti promesse il redditometro non viene abolito, ma viene inserito un mero aggiornamento tecnico nel decreto di attuazione, ferma restando per tutto il resto la disciplina attuale.
La stessa cosa può dirsi dell'articolo 11 relativo allo spesometro, che avevate promesso agli elettori di abrogare, e invece ne avete solo disposta la proroga dei termini.
Abbiamo provato ad inserire proposte migliorative, ma sono state sdegnosamente rigettate. Utilizzate senza motivo il ricorso alla decretazione d'urgenza, per poi utilizzare la tagliola della presunta estraneità di materia per respingere emendamenti necessari, pur di non ammettere che avete presentato un testo pasticciato, lacunoso e persino dannoso. Abbiamo proposto di applicare le norme dei primi tre articoli non solo ai contratti futuri, ma anche a quelli già stipulati per consentire alle pubbliche amministrazioni, nel caso in cui non siano in grado di garantire servizi ordinari con il personale già contrattualizzato, di assumere con contratto di lavoro a tempo indeterminato i lavoratori a termine da oltre 60 mesi, i famosi precari: non avete voluto. Abbiamo proposto di valorizzare le capacità dei pensionati, che hanno acquisito notevoli competenze e professionalità nel corso della carriera professionale, quindi in grado di ben guidare enti pubblici, facoltà riconosciuta in cambio ovviamente della rinuncia alla pensione, naturalmente: avete detto di no. E a proposito di dignità del lavoro e dei centri dell'impiego, colgo l'occasione per far sapere come avete utilizzato le regole dell'ammissibilità degli emendamenti, che sono quanto meno ondivaghe: è stata dichiarata l'inammissibilità di un emendamento presentato a mia firma, che aveva il fine di aumentare il personale dei centri per l'impiego al fine di garantire un'efficace relazione tra domanda e offerta del lavoro. Ebbene, dopo aver dichiarato l'inammissibilità del mio emendamento, uno dal contenuto identico presentato da un collega della maggioranza è stato ritenuto ammissibile. Avete utilizzato un parametro di ammissibilità a geometria variabile: anche questo è un segno dei tempi.
Abbiamo proposto di riformare il codice Ateco, quello utilizzato per la classificazione delle attività economiche. Abbiamo anche chiesto di far partecipare professionisti e imprenditori a gare e bandi pubblici, utilizzando la partita IVA quando il codice Ateco risulta inutilizzabile. Abbiamo chiesto di valorizzare il ruolo delle associazioni di professionisti non organizzati per garantire il bagaglio di conoscenza di cui sono portatori. Abbiamo chiesto di coinvolgere il sistema nazionale di certificazione delle competenze. Avete rifiutato ogni cosa, ogni dialogo, avete rifiutato l'inclusione di professionisti preziosi.
Tutto l'impianto del decreto-legge è inefficace per creare le condizioni necessarie a incrementare i posti di lavoro nelle aree più depresse del Paese; e mi riferisco in particolare al Mezzogiorno e alla mia Sicilia, di cui conosco bisogni e potenzialità avendola amministrata in più ruoli. Il mercato del lavoro in generale, e in Sicilia in particolare, avrebbe avuto bisogno di altri provvedimenti, alcuni dei quali li ho evidenzati sommariamente. Tutti sappiamo che la Sicilia esce molto indebolita dagli anni della crisi, con una diminuzione dei lavoratori attivi che è stata tripla rispetto alla media italiana; ora che è in atto una debole ripresa ci saremmo aspettati un intervento per renderla più forte. Infatti, se è vero che c'è un piccolo incremento degli investimenti, la disoccupazione non diminuisce e le famiglie siciliane rimangono le più povere d'Italia.
L'attuale tasso di crescita è troppo lento per ridurre significativamente la disoccupazione e la crescita debole non produce lavoro che, quando c'è, spesso è lavoro precario e senza dignità. Il dato più preoccupante riguarda la povertà assoluta che è cresciuta negli anni raggiungendo in Sicilia i livelli più alti del Paese e mi riferisco a circa 260.000 famiglie pari a oltre 700.000 persone su una popolazione di poco più di 5 milioni di abitanti. La povertà colpisce soprattutto le fasce più deboli, i giovani fino a 35 anni e gli anziani oltre i 65 anni di età, ed è solo in parte compensata dalla presenza di meccanismi di welfare familiare. Per tali ragioni ho espresso giudizi severi sulla parte del provvedimento relativo al welfare: non avete fatto nulla se non ritoccare le misure esistenti che si sono dimostrate ampiamente insufficienti, nonostante un'intera campagna elettorale basata demagogicamente quasi solo sull'introduzione del reddito di cittadinanza. State proseguendo nel tentativo di imbrogliare gli elettori distraendoli con misure che nulla hanno a che fare con i problemi strutturali del Paese. Avete eliminato i vitalizi, anzi provate a eliminare i vitalizi in un solo ramo del Parlamento conculcando un diritto che porterà alle casse dello Stato un risparmio risibile. Basterà far trascorre il tempo necessario per far giungere i ricorsi innanzi alla Corte costituzionale che il vostro bluff sarà scoperto. Ma a voi interessa solo stare sui giornali: solleticate la parte più demagogica del popolo ma, prima o poi, sarebbe smascherati. Vi divertite a seguire ancora le vicende di Matteo Renzi perché siete capaci solo di protestare ma non di fare proposte nuove ed efficaci. Vi trastullate su inerzie mediatiche come la visita all'airbus di Stato con ben due Ministri: invece di baloccarvi con aerei e altre sciocchezze dovreste prendervi cura seriamente del Paese approvando misure necessarie a far ripartire l'economia pubblica e privata e a sostenere gli imprenditori che sono produttori di posti di lavoro dignitosi. C'è bisogno nel Paese di infrastrutture fisiche e materiali, di interventi per sbloccare le gare da parte sia delle piccole sia delle grandi stazioni appaltanti. Il decreto-legge, invece, nonostante la roboante intitolazione, rischia di far fuggire le imprese e di far perdere posti di lavoro. Paradossalmente ciò accade nonostante siate costantemente collegati con i social media grazie alle nuove tecnologie, riproponendo vecchie ricette fatte di cultura antindustriale dove si cerca un premio fomentando l'invidia sociale e rimanendo indifferenti alle necessità effettive dei cittadini. Spero e credo - concludo - che questo atteggiamento cambierà perché la dignità non consiste nel possedere oneri ma nella consapevolezza di meritarli. Ora che avete gli oneri dimostrate di meritarli emanando norme che siano all'altezza di un Paese che, nonostante la crisi mondiale che ci ha particolarmente colpiti, rimane il settimo Paese industriale al mondo nella speranza che rimanga tale grazie ai lavoratori e nonostante il vostro operato (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega La Carra. Ne ha facoltà.
MARCO LACARRA (PD). Grazie, signor Presidente, signor sottosegretario: purtroppo non posso dire “signor Ministro” perché non abbiamo né il Ministro per lo Sviluppo economico né quello del Lavoro e delle politiche sociali né il Vicepremier. Quei banchi sono desolatamente vuoti, eppure io lo avverto come una forma di mancanza di rispetto: se questo è il più importante provvedimento che avvia l'era Di Maio-Salvini, mi aspettavo che ci fosse nei confronti dell'Aula quel rispetto che pure mi evocano le parole del Presidente della Camera che il giorno del suo insediamento disse molto chiaramente che avrebbe fatto di tutto perché il Parlamento potesse ritrovare - cito le sue parole - “la centralità garantita dalla Costituzione”. Il Presidente avrebbe combattuto l'abuso di strumenti che dovrebbero essere residuali rispetto alle procedure legislative ordinarie e avrebbe difeso il Parlamento da pressioni esterne, immaginando anche il controllo e l'attenzione a un rapporto che fosse assolutamente corretto fra potere esecutivo e potere legislativo. Oggi abbiamo l'esempio di come quelle parole purtroppo non siano state tradotte in atti e fatti concreti perché il primo provvedimento che arriva in Aula arriva nella forma del decreto-legge, che tanto è stata, come dire, considerata abusata nella precedente legislatura e che non presenta assolutamente nel provvedimento in esame i requisiti che sono previsti.
L'urgenza non si vive da nessuna parte, non si vede: magari si può cogliere nel titolo della norma, nell'oggetto dell'articolato ma, se poi si legge con attenzione l'articolato, non vi si trova nulla di urgente anche perché il provvedimento che riguarda la lotta al precariato lo avete posposto nella sua applicazione al 31 ottobre e il provvedimento che riguarda la lotta alla ludopatia è semplicemente uno spot perché guarda l'eliminazione della pubblicità con tutto quello che è stato già detto relativamente invece alle misure di natura fiscale. Mi sarei aspettato, vista la presentazione di questo straordinario provvedimento che avrebbe dovuto cambiare le sorti del nostro Paese, che si parlasse di lavoro sommerso, che fosse un provvedimento di impatto che aggredisse gli aspetti purtroppo incancreniti nel settore del lavoro nel nostro Paese. Mi sarei aspettato una legge con una punta d'orgoglio - mi permetto di dirlo - come la legge che abbiamo approvato che concerneva la lotta al caporalato. Mi aspettavo un intervento che si occupasse della sicurezza sui luoghi di lavoro. Come diceva la collega Mura, abbiamo avuto il Ministro in Aula che ha parlato delle morti bianche, di quante siano e di quante siano crescenti e di come sia indispensabile intervenire per garantire sicurezza sui luoghi di lavoro.
Mi aspettavo un provvedimento anche che guardasse ai 14.000 dipendenti dell'Ilva di Taranto perché è lì che non c'è dignità e quando dei lavoratori non sanno qual è il loro futuro e non sanno se avranno la possibilità di continuare a lavorare e portare il pane a casa è lì che manca la dignità. Proprio per la vicenda Ilva sono particolarmente preoccupato perché il Ministro con un sorriso beffardo, rispondendo a una mia interrogazione, ha detto. “Ho bisogno di studiare ventitremila pagine”. Ebbene se il Ministro non è stato capace di studiare sei pagine della relazione Boeri in sei giorni, calcolando lo stesso parametro di tempo, per studiare ventitremila pagine avrà bisogno di ventitremila giorni e, quindi, ritengo che fra ottant'anni potremo avere una risposta per i lavoratori dell'Ilva (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) mentre è lì che si consuma il disagio del nostro Paese: in quelle situazioni nelle quali il Governo del Partito Democratico è entrato con veemenza, con forza, con vigore garantendo un cambio di rotta rispetto ai Governi che lo avevano preceduto.
Qual è la ratio del provvedimento? La lotta al precariato. La lotta al precariato perché vogliamo trasformare il precariato in qualcosa di diverso. In cosa? In un lavoro stabile evidentemente e quindi ci si aspetta che ci siano misure che in qualche modo compensino l'intervento deciso che si fa sul lavoro a tempo determinato perché è evidente che si vuole disincentivare quella forma di accesso al lavoro e all'occupazione. Il primo intervento riguarda la durata: da 36 mesi passiamo a 12 mesi e fin qui potrebbe anche avere un senso l'idea di comprimere la durata, anche se già noi avevamo una proposta di legge che passava ai 24 mesi.
Ma che senso ha introdurre le causali? Quale imprenditore al termine del primo periodo di 12 mesi può essere invogliato a stipulare un contratto che preveda uno specifico impegno la cui violazione potrebbe comportare, da un lato, ipotesi risarcitorie e, dall'altro lato, addirittura la sanzione della trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato?
Ma è ovvio e chiunque potrebbe capirlo che, alla fine del primo periodo di 12 mesi, l'imprenditore preferirà attuare un turnover cioè trovare altri dipendenti che possono sostituire quel lavoratore nei confronti del quale un'eventuale rapporto confermato o prorogato potrebbe determinare l'insorgere di un contenzioso.
E la ratio della norma transitoria me la volete spiegare? C'era un modo semplicissimo per risolvere il problema: era far applicare la norma dal giorno in cui la stessa viene approvata, cioè soggiacciono alla normativa attuale tutti i contratti che sono stati stipulati, relativamente, ovviamente, all'insorgere del rapporto contrattuale, prima dell'approvazione della norma; invece, sono sottoposti alla disciplina normativa in esame i contratti di lavoro stipulati dopo l'approvazione della norma. Non avremmo avuto i problemi che invece determinerà una norma transitoria che è confusionaria, non chiara e, come tutte le cose non chiare, determinerà contenzioso. Anche su questo è irrazionale l'atteggiamento che ha avuto il Governo e non sono comprensibili le ragioni per le quali non si sono prese in esame le proposte di emendamento che sono state formulate. È il buonsenso. Si parla di buonsenso, non si parla di altro. Non sono ragioni politiche, non sono ragioni giuridiche; è il semplice buonsenso che voi non avete voluto applicare per avere un riottoso atteggiamento ostile rispetto a posizioni che non provengono dal Partito Democratico ma che provengono da tutte le minoranze ma, soprattutto, dagli operatori che voi avete ascoltato e avete ignorato: parlo dei sindacati, parlo di Assoimprese, di Rete Imprese, di Assolavoro e di tutto il mondo che vi ha detto che questo provvedimento è un provvedimento che non ha nessuna ratio, che non serve sicuramente a contrastare il precariato (tutt'altro!). Ed è vero che non nasce con l'idea di incentivare il lavoro ma nasce certamente con l'obiettivo di ridurre l'occupazione nel nostro Paese in tempi brevi, e se non credete a quello che vi dice il Partito Democratico provate a rivedere le relazioni che i vostri stessi uffici hanno fatto e non ci sono manine che tengano. Quindi, in buona sostanza siamo passati dal lavoro precario alla disoccupazione.
Tuttavia, il principio che anima questo provvedimento è quello che mi preoccupa di più. È la sua ratio normativa e anche l'idea che c'è dietro, che è un'idea che sostituisce al garantismo l'idea sanzionatoria. La ragione per la quale voi a un certo punto decidete di aumentare il termine decadenziale per l'impugnativa del licenziamento nel rapporto a tempo indeterminato risponde a quel principio culturale, che assolutamente noi non accettiamo e che, anzi, respingiamo, che è quello che ha ispirato anche l'idea, rappresentata in Aula dal Presidente del Consiglio quando ha ottenuto la fiducia, che è quella di aumentare addirittura i termini prescrizionali. Cioè, ma che idee bizzarre sono queste? Siccome non riusciamo a contenere i tempi del processo aumentiamo i termini di prescrizione. Per i contratti a tempo indeterminato aumentiamo il termine per l'impugnativa e lo portiamo a 180 giorni. Ma che senso ha? Ma voi sapete cosa è la certezza dei rapporti giuridici soggettivi? Sapete cosa vuol dire? Vuol dire che aumentare i termini decadenziali e prescrizionali significa mantenere in sospeso dei diritti, che è una cosa che è assolutamente contraria ai principi generali del diritto. È possibile che nessuno di voi si sia fatto carico di fare approfondimenti da questo punto di vista? È intollerabile! È intollerabile l'approccio superficiale e spavaldo con il quale voi vi presentate con un provvedimento di questo tipo.
Noi abbiamo provato in tutti i modi a modificare questo provvedimento. Abbiamo anche trascorso ore in Commissione, abbiamo provato a farlo con le buone, con degli emendamenti che erano, in qualche caso, anche strutturali del testo normativo. Vi abbiamo suggerito che non poteva esserci confusione fra il contratto a termine e il contratto di somministrazione perché sono due istituti giuridici diversi, ma anche su questo non siete stati chiari.
La norma che attiene alla gestione dei rapporti giuridici dei contratti di somministrazione è una norma che ha una sua autonomia e che non può essere confusa con la disciplina dei contratti a termine per la semplice ragione che i contratti di somministrazione, che come sappiamo tutti costano di più, sono uno strumento fondamentale per il datore di lavoro e, tra l'altro, le società che si occupano dei lavori di somministrazione svolgono un ruolo fondamentale di supporto alle carenze strutturali che sono determinate dalla necessaria riorganizzazione dei centri per l'impiego, perché le società di somministrazione sono le società che procedono anche all'orientamento al lavoro dei dipendenti e svolgono, quindi, una funzione fondamentale anche sotto il profilo della formazione. Fortunatamente, siamo riusciti a bloccare l'idea bizzarra, anch'essa, di eliminare lo stop and go, che è uno strumento in questo momento utilissimo e, tra l'altro, molto produttivo ed efficace.
Sui voucher le contraddizioni sono state rappresentate da chi mi ha preceduto e anche in modo chiaro ed efficace. L'introduzione dei voucher nel turismo comporta che, considerato che le aziende turistiche in Italia hanno una media occupazionale che va dalle cinque alle sei unità, se si eleva, come voi state facendo, a otto unità il numero di lavoratori che possono essere assunti con il sistema dei voucher, in buona sostanza significa che avete introdotto il voucher nel settore turistico-alberghiero e non mi sembra che sia un'idea intelligente, tutt'altro. Creerà una serie di situazioni di maggior disagio per quei lavoratori che invece oggi riescono ad ottenere dei benefici grazie al lavoro stagionale, perché nel turismo, come sappiamo, c'è un lavoro stagionale che dura sei mesi e negli altri sei mesi sorreggono gli ammortizzatori sociali, consentendo al lavoratore, in buona sostanza, di avere per tutto l'anno la retribuzione. Questo, grazie al vostro meraviglioso intervento legislativo, non avverrà più.
Sulle colf è stato già detto. C'è evidentemente una scarsa attenzione al lavoro nero che riguarda le collaboratrici domestiche e le badanti, una scarsa attenzione che è sbagliata perché è uno strumento di larga diffusione e, come diceva Antonio Viscomi, non stiamo parlando di imprenditori ma stiamo parlando di datori di lavoro, cioè di famiglie, di persone singole e di studi professionali che si avvalgono della collaborazione di queste figure professionali. Ebbene, trattare ciò con superficialità, trattare il tema con superficialità è un altro segnale di come voi abbiate affrontato questo provvedimento. Ci aspettavamo una svolta epocale, ma abbiamo un provvedimento insulso, inutile e quasi certamente sarà un provvedimento dannoso.
E allora - e concludo vista anche l'ora tarda - mentre eravamo in Commissione tra di noi del gruppo del Partito Democratico - e non sempre litighiamo tra di noi, anzi nel gruppo PD siamo molto amici, noi del gruppo della Commissione lavoro - ci eravamo detti - e sono contento che vi faccia piacere - che questo decreto continuano a chiamarlo “dignità”. Allora, l'invito che faccio è: per favore, non chiamatelo più “dignità”. Chiamatelo con il nome del suo promotore, col nome del Ministro Di Maio. Chiamatelo “decreto Di Maio”, perché ai posteri resti l'autore di questo straordinario provvedimento perché gli italiani se ne ricorderanno di questo provvedimento e se ne ricorderanno per molti anni. Quindi, è giusto che il suo responsabile rimanga scritto a lettere cubitali nei posteri del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Baratto. Ne ha facoltà.
RAFFAELE BARATTO (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, si tratta di un decreto che fa riaffiorare una contrapposizione di classe tra imprese e lavoratori. Il Governo cosiddetto del cambiamento rispolvera i vecchi cavalli di battaglia della rivoluzione sessantottina, fomentando la contrapposizione tra imprese e lavoratori e, a tutti gli effetti, una norma di sinistra che qualifica definitivamente questo Governo.
Si gettano all'aria gli ultimi vent'anni di riforme del lavoro, frutto dell'intuizione di Marco Biagi, che avevano ottenuto risultati incoraggianti, limitando gli effetti devastanti che la crisi del 2008 ha avuto sull'occupazione e limitando la contrapposizione sociale. L'introduzione di maggiore flessibilità, infatti, non è un aspetto necessariamente negativo, laddove sia completata dall'introduzione di forme contrattuali a tutele crescenti. La reintroduzione delle casuali per il rinnovo dei contratti a tempo determinato dopo dodici mesi avrà un doppio effetto negativo: troncherà molti rapporti contrattuali sul nascere, che torneranno nel sommerso, alimentando il lavoro nero e diminuendo ancor di più le tutele per i lavoratori; dall'altro, aumenteranno il contenzioso che negli ultimi anni si era ridotto l'80 per cento in un Paese dove l'arretrato giudiziario è un problema ormai consolidato.
Questo decreto aggrava ancora di più la situazione. Le norme in esso presente, dall'aumento dell'indennità di licenziamento da 24 a 36 mesi, nonché quelle sulla delocalizzazione, vanno tutte nella direzione di dimostrare l'intenzione punitiva che questo Governo ha deciso di adottare nei confronti delle imprese e delle realtà produttive del nostro Paese. Si tratta di un'impostazione che vede nell'impresa un soggetto da limitare e da punire.
Non solo, c'è un'evidente contraddizione nel decreto: da un lato, infatti, si tenta di imporre alle imprese la stabilizzazione dei rapporti, limitando la possibilità del ricorso ai contratti a termine; dall'altro, si aumentano le indennità di licenziamento per i lavoratori a tempo indeterminato, con la conseguenza che a queste condizioni difficilmente un'impresa assumerà a tempo indeterminato. Un effetto paradossale quello che produrrà questa norma, che rischia di bloccare il mercato del lavoro.
La finalità del contratto a termine deve essere incentivata, non punita, laddove permette all'impresa di inserire il lavoratore in un percorso di formazione, portandolo con tutele crescenti alla stabilizzazione. La strada maestra per consentire alle imprese di crescere e creare posti di lavoro è quella del taglio del cuneo fiscale; non certo quella scelta dal decreto, che, anzi, aumenta gli oneri fiscali a carico delle imprese dello 0,5 per cento in più sui contratti a termine, oltre all'1,4 per cento già previsto per il finanziamento della Naspi. La logica che sottende il decreto è indirizzare i datori di lavoro verso l'utilizzo di forme contrattuali stabili, ma i mezzi con cui lo fa sono completamente inefficaci, ed anzi produrranno l'effetto contrario. Come si può infatti obbligare un'impresa a formalizzare i contratti a tempo determinato, quando oggi il costo di quei contratti è completamente insostenibile sul medio e lungo termine?
Per un'impresa il lavoratore è un investimento in formazione che spesso si quantifica in migliaia di euro, specialmente nel nostro Paese e nel Nord-Est, terra da cui provengo, dove le produzioni sono altamente specializzate. La vera sfida è la riduzione del costo del lavoro, che possa permettere la sostenibilità dei contratti a tempo indeterminato e a tutele crescenti. Voi fate tanta propaganda per quanto riguarda il posto fisso, ma il mercato del lavoro è cambiato radicalmente; lo hanno capito i tanti nostri ragazzi costretti a fuggire da un Paese che non premia il merito e che non offre stipendi dignitosi, perché lo Stato prosciuga metà della busta paga di un lavoratore.
Soltanto quest'anno dalla provincia da cui provengo, quella di Treviso, oltre 2 mila giovani sono emigrati verso Paesi in cui le tutele contrattuali sono spesso più basse delle nostre, ma gli stipendi molto più alti.
Questo dimostra che i nostri giovani non temono il lavoro duro, anzi, ma chiedono un Paese più meritocratico, che consenta loro di mettere davvero a frutto le competenze maturate in anni di studio e che lo ripaghino per il sacrificio che fanno. La generazione con la più alta formazione di sempre ci sta letteralmente scivolando tra le mani, e questo decreto non rappresenta certo una soluzione, anzi, aggrava la situazione. Le norme sulle delocalizzazioni: il decreto dedica diverse misure a questo tema. Una di portata generale riguarda le delocalizzazioni da parte di imprese beneficiarie di aiuti. Un'altra è dedicata alla tutela occupazionale e le altre due ai temi specifici dell'iperammortamento e del credito d'imposta e di ricerca. Si tratta di una norma iniqua, frutto dell'ennesima rincorsa elettorale. Non viene definita la delocalizzazione rilevante ai fini della norma.
Infatti, si sta facendo confusione per quanto riguarda delocalizzazione e internazionalizzazione. Si rischia di punire le aziende che davvero delocalizzano per promuovere il proprio prodotto, il made in Italy, e magari con questo si rischia di premiare chi delocalizza in maniera barbara, magari punendo anche i propri dipendenti che ha all'interno del nostro territorio. Per cui, bisogna stare attenti a non rischiare di minare la libertà delle nostre imprese che vanno a rappresentare in modo concreto il nostro made in Italy. E poi è un decreto davvero che contiene un paradosso di fondo, perché noi rischiamo di non difendere davvero le nostre imprese. Per quanto riguarda le questioni fiscali, per mesi questo Governo ha promesso l'abolizione degli strumenti di accertamento, salvo poi leggere nella relazione del decreto che la norma è rivolta ad aumentare le riscossioni e gli accertamenti, e difatti sia lo spesometro che il redditometro non vengono assolutamente aboliti.
Per quanto riguarda i voucher, l'estensione in agricoltura e alle piccole strutture ricettive solo fino ad otto dipendenti è una presa in giro. Il voucher garantisce e tutela forme di lavoro che anche nel turismo e nella grande distribuzione necessitano di una regolarizzazione temporanea. La reintroduzione del sistema dei voucher a completo regime interessa oltre 500 mila lavoratori che con la conformazione dell'emendamento in questi termini rischiano di essere esclusi e di rimanere nel sommerso. E anche un piccolo passaggio volevo farlo per quanto riguarda le slot e il gioco d'azzardo. Pur nelle positive intenzioni, il decreto si rivela l'ennesima beffa: si punisce il settore, ma si escludono dal divieto di pubblicità le lotterie nazionali e quelle di competenza dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Il gioco d'azzardo, insomma, potrà continuare ad essere pubblicizzato e utilizzato per fare cassa alle spalle dei nostri cittadini. Volevo chiudere dicendo agli amici della Lega che il nostro territorio del Nord-Est è sempre stato un grande territorio, ha aiutato le nostre piccole e medie imprese, ma volevo ricordare che già quel territorio è stato punito dal credito bancario in maniera forte e credo che, se non interverremo in maniera più forte su questo decreto dignità, verrà punito anche per quanto riguarda il lavoro. Credo che non sia quello che le nostre imprese si meritano. Questo non è un decreto dignità, ma è un decreto che toglie la dignità sia alle nostre imprese che ai nostri cittadini e alle nostre famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Porchietto. Ne ha facoltà.
CLAUDIA PORCHIETTO (FI). Grazie, Presidente. Credo che alle 23,20 di sera diventi anche un po' difficile per qualcuno seguire i lavori, ma, siccome ho visto che il rappresentante del Governo ha passato con piacere molto tempo con il telefono, magari cinque minuti da dedicarmi, da prestare un po' più di attenzione rispetto a quello che è stato fatto prima, magari potrebbe trovarli. Il collega mi dice, appunto, che magari stava prendendo appunti.
Mi fa piacere, magari prenderà appunti anche su quello che le racconterò. Ci sono stati molti interventi interessanti, interventi in cui sono state evidenziate quelle che sono le lacune di questo decreto. Io non voglio ripetere quanto è già stato detto dai colleghi, perché molti colleghi hanno condiviso e condivido quanto loro hanno detto, mi permetto però di portarvi alcune esperienze fatte precedentemente, stante che prima di arrivare, molti di noi, in questo Parlamento abbiamo avuto l'onore e il dovere di rappresentare in modo diverso le varie istituzioni italiane. Io ho avuto il piacere e l'onore di fare l'assessore al lavoro, mi avrebbe fatto molto piacere parlarne col Ministro del lavoro, anche perché magari avremmo potuto dargli qualche suggerimento rispetto anche alla gestione di alcuni tavoli di crisi, come quello di questa mattina, in cui fare un tavolo come quello, pensando di parlare con sessantadue rappresentanze, significa non volere fare un tavolo, perché credo che chiunque abbia un po' di esperienza rispetto alle trattative delicate che si fanno rispetto a questi tavoli sa che il momento migliore è quello che, quando chiudi una porta, puoi parlare de visu con le persone che rappresentano le istanze magari dell'impresa e dall'altra parte del tavolo si siedono invece rappresentanti dei lavoratori e i rappresentanti delle istituzioni. Fare un tavolo come quello significa non aver voglia di trovare la soluzione ad un problema e fare un decreto come quello che noi stiamo leggendo è la stessa cosa, significa non voler risolvere i problemi di questo Paese. Quindi, caro rappresentate del Governo, mi permetto di portare ad esempio alcuni dei passaggi che sono stati fatti su questo decreto, portando un'esperienza che è stata quella di imprenditore, di rappresentante delle imprese e poi di assessore al lavoro, e mi piacerebbe partire dal tema delle delocalizzazioni.
Io ho sentito molto spesso, non solo in quest'Aula ma soprattutto dalle interviste fatte dei vari rappresentanti di Governo, portare, ad esempio, il tema Embraco come esempio di come la politica non aveva saputo gestire una partita e di come i cosiddetti prenditori avevano utilizzato i fondi pubblici e che quindi andavano sanzionati, perché le grandi industrie vengono in Italia solo per prendere i fondi pubblici, e quindi sembra che la soluzione dei problemi sia inserire all'interno del decreto dignità la sanzione per coloro i quali hanno utilizzato a vario titolo fondi pubblici. Bene, io vorrei solo darvi un'informazione: la Embraco non ha toccato un centesimo di fondo pubblico, ve lo dico perché quell'accordo l'ho firmato io, lo conosco molto bene, lei forse non l'avrà detto, sottosegretario, ma qualcuno un po' più alto di lei l'ha detto parecchie volte, magari gli è scappato, così come stamattina gli è scappato di dire che le stampanti 3 D possono sostituire la TAV, io, scusi, da piemontese posso dire che al massimo le stampanti 3 D possono fare gli agnolotti piemontesi, ma di certo non il tunnel della TAV. Quindi magari, ogni tanto, frenare le parole permette di non dire sciocchezze in ambiti in cui, avendo l'onore e l'onere di rappresentare il Governo italiano, magari bisogna frenare la lingua, pensare bene a che cosa si dice.
Torno all'Embraco perché ci tengo a sottolineare e portare qualche esempio di tavoli di crisi che abbiamo portato al Ministro e al Ministero dello sviluppo economico nei tempi in cui avevamo dei Ministri che almeno, leggendo i bilanci, sapevano che cosa stavano leggendo e l'Embraco non ha toccato un centesimo di fondi pubblici, Embraco, invece, è venuta in Italia e ha preso know-how, ha preso la formazione dei lavoratori, il capitale umano, dopodiché ci ha salutato e quando qualcuno gli ha chiesto conto dei fondi pubblici, si è accorto che quei fondi pubblici non erano stati utilizzati.
Il tema è che noi abbiamo cercato, attraverso degli emendamenti, di mettere la toppa ad un decreto che invece guardava soltanto in modo miope questo, presentando anche emendamenti contro la cannibalizzazione delle imprese, perché il nostro problema è che il patrimonio delle imprese italiane, delle imprese che producono ancora in Italia si chiamano marchi, brevetti, si chiamano personale formato, si chiamano imprenditori che hanno la serietà la consapevolezza di lavorare col capitale umano che è fondamentale, ma non sono quelli che vengono in Italia per prendere quattro soldi di fondi pubblici, sono quelli che vengono a prendere il capitale che noi abbiamo costruito negli anni in cui le politiche industriali si facevano seriamente. Quindi, facciamo ridere dicendo che noi fermeremo le delocalizzazioni attraverso le sanzioni date ai prenditori, come voi li chiamate. Allora, io credo che invece se avessimo voluto veramente dare avvio ad un cambiamento anche nelle politiche industriali io mi sarei aspettata che questo Governo in primis non avesse proposto un decreto dignità, ma avesse proposto seriamente politiche industriali che guardano oltre, perché non basta un reddito di cittadinanza, serve il lavoro e servono imprese che producono in Italia per fare quel lavoro. Questo non l'abbiamo visto e vediamo, tra le altre cose, che anche la gestione dei tavoli di crisi è più uno show di un Ministro rispetto all'attenzione nei confronti di quelle imprese che magari arrivano sul tavolo di crisi del Ministero dello sviluppo economico perché in realtà stanno veramente scontando un momento di crisi. Mi permetto di portarle ancora un esempio, un altro, e faccio nomi e cognomi: acciaierie Beltrame, lo dico per un motivo, alcuni colleghi piemontesi lo sanno molto bene, perché è una di quelle acciaierie presenti in Val di Susa, in quella Val di Susa che voi avete deciso di smontare, con questa folle idea di non fare un'opera infrastrutturale importante. Bene, quelle acciaierie un po' di tempo fa, quando ci incontrammo proprio nella Val di Susa e quattro - e dico quattro - rappresentanti dei No-Tav tentarono di fermare il tavolo che gestiva la crisi di quell'azienda e vennero fatti scappare dai lavoratori a cui non importava nulla di una manifestazione che assolutamente non aveva nulla a che vedere con il loro posto di lavoro, ma volevano continuare a lavorare in quell'acciaieria. Bene, in quel frangente l'azienda ci disse una cosa normale, ci disse: guardate, noi per poter stare sul mercato abbiamo bisogno che l'energia elettrica costi il 35 per cento in meno di quello che noi la paghiamo, perché, pur essendo energivori, pur avendo già dei benefici, non ne abbiamo per essere competitivi con il resto delle acciaierie europee.
Bene, questi sono i temi. Se noi vogliamo veramente creare e far sì che questo Paese non sia un Paese di decrescita infelice, ma sia un Paese che da a tutti la possibilità e l'opportunità di un lavoro dignitoso, e allora lì sì che parlo di “decreto dignità”, ma di un lavoro dignitoso, io devo creare le condizioni di politica industriale affinché questo avvenga. Il problema è che le politiche industriali magari sono non così simpatiche, così accattivanti rispetto ad un elettorato che si sta, ahimè, immaginando di poter credere a quello che gli è stato promesso all'interno di una campagna elettorale in cui tutto si è promesso, mentre invece avremmo la necessità di creare le condizioni affinché le imprese possano trovare territorio fertile, le imprese, che per la maggior parte operano nella legalità e non nell'illegalità, per operare in Italia.
Guardi, io faccio un ultimo passaggio perché prima l'ho fatto vedere ad alcuni colleghi; soltanto per portare come esempio un esempio banale di quello che oggi aziende piccole, medie e grandi si stanno trovando all'interno delle circolari magari di qualche studio professionale che gliele manda. Le porto solo un estratto brevissimo, si tratta della comunicazione dei dati fattura che sostituisce lo spesometro. Allora lascio perdere, perché non voglio tediare nessuno, rispetto a tutto come si gestisce questo adempimento, ma vi faccio solo questo passaggio: per utilizzare il nuovo canale per comunicare i dati informatici è necessario disporre delle credenziali per accedere ai servizi telematici Entratel o Fisconline oppure al sistema pubblico di identità digitale SPID, oppure possiamo utilizzare la Carta nazionale dei servizi, in alternativa a tutto questo, possiamo accreditare un canale trasmissivo tramite web service o protocollo FTP, secondo le regole già definite dallo SDI, Sistema Di Interscambio. Io non so se qualcuno di voi leggeva Topolino da piccolo, io mi ricordo che c'era il cosiddetto Gran Mogol che parlava soltanto per sigle; ecco, mi sembra di essere veramente su Topolino perché il problema delle aziende, i problemi delle aziende nascono da questo, dall'incapacità di creare dei sistemi che siano amici delle imprese che vogliono lavorare sul territorio e non nemici, e probabilmente lei starà pensando: sì, ma noi siamo arrivati soltanto adesso. Perfetto, ma visto che vi siete presentati come il Governo del cambiamento, cambiate qualcosa, mentre invece vi state presentando esattamente come è accaduto, tutto quello che probabilmente ha mandato a casa altri Governi, ma allora non siete un cambiamento, ma allora quando vi sedete dall'altra parte vi rendete conto che governare l'Italia non è così facile come fare una campagna elettorale. Allora, ci vorrebbe un po' più di umiltà ed intelligenza, perché non è così che noi mettiamo a posto l'Italia e bisognerebbe avere il coraggio di dire, perché questo sicuramente gli italiani ve lo darebbero come importante agrément rispetto agli errori fatti all'inizio, che questo decreto dignità è stato costruito male, che vi scusate con gli italiani, che fate rewind, come si dice in gergo inglese e che cercate di costruire seriamente un decreto che dia non solo dignità ai lavoratori, ma anche alle imprese che vogliono lavorare sul nostro territorio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Bellucci. Ne ha facoltà.
MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Crippa, siamo qui a quest'ora, alle 23,30, perché pensiamo, desideriamo che questo “decreto dignità” non diventi una drammatica occasione persa. Proprio per questo, ci sarebbe piaciuto che oltre a lei ci fossero altri rappresentanti del Governo, magari il Ministro Di Maio, magari altri sottosegretari competenti. Avremmo voluto questo perché è importante parlare con il Parlamento, perché è importante, come voi dite, che ci sia un confronto serrato, presente, perché voi siete il Governo del cambiamento, perché ci avete detto che volevate aprire questo Parlamento come una scatoletta di tonno, e che quindi volevate cambiarlo, volevate che la partecipazione fosse viva e vitale. Invece ci troviamo qui a parlare con lei, e speriamo che questa notte le porti consiglio, speriamo che lei possa portare le nostre parole agli altri rappresentanti del Governo; e lo speriamo per gli italiani, perché speriamo che gli italiani possano avere una reale occasione di sviluppo dignitoso, perché è questo quello che si merita la nostra Italia.
Ci abbiamo creduto, con questo “decreto dignità”: abbiamo creduto che la vostra attenzione fosse autentica agli italiani, ai più bisognosi. Ci abbiamo creduto quando avete avuto la sensibilità di affrontare con urgenza il tema del gioco d'azzardo. Ci abbiamo creduto, ma siamo stati delusi. Era necessario, è necessario, è urgente, sono i dati a dircelo. Ce lo dice l'Italia, perché è al primo posto per numero di slotmachine e per videogiochi in Europa, perché c'è un rapporto di 1 a 151 persone. Ce lo dicono i dati, perché la nostra Italia ha il doppio di ciò che proviene incassato dal gioco d'azzardo rispetto alla Francia e al Regno Unito e quattro volte rispetto alla Germania e alla Spagna. Ce lo dicono i dati, perché l'Organizzazione mondiale della sanità ci dice che il gioco d'azzardo patologico è la dipendenza a più alta crescita tra gli adulti e anche i giovani. Per questo ci saremmo immaginati un imponente piano nazionale di contrasto al gioco d'azzardo patologico. Ci aspettavamo questo anche perché il Ministro Di Maio l'ha detto a più riprese, l'ha detto con numerose misure, e invece, come un bravo illusionista della politica, ha lasciato sul tavolo soltanto il divieto alla pubblicità. Quello che avete fatto è stato trasformare il “decreto dignità” in un “decreto apparenza”, figlio di quella cultura che pone l'apparenza sopra ogni cosa e che si dimentica della sostanza, si dimentica dell'essere e si dimentica in questo di porre al centro dell'interesse primo il bene dei cittadini.
Allora noi, vedendo arrivare in Commissione questo decreto così manchevole, abbiamo voluto pensare con benevolenza che fosse dovuto alla fretta, la fretta che è sempre cattiva consigliera, per questo, come opposizione, abbiamo avuto il dovere di proporre tanti emendamenti, per far sì che si potesse fare sì bene, in fretta, ma soprattutto bene. Quegli emendamenti, però, tristemente, sono stati rifiutati, non accettati. Ci avete spiegato - proprio lei, sottosegretario Crippa - che quegli emendamenti erano condivisibili nel contenuto ma che li avreste proposti poi. Ma se di urgenza si tratta, se non ora quando? Se non ora, quando? Ci avreste visto uniti a voi, al vostro fianco, per il bene degli italiani, saremmo stati al vostro fianco, se vi foste comportati con dignità, se voi foste stati degni di rispetto. Ci avreste visto al vostro fianco se aveste destinato almeno il 5 per cento degli introiti dell'Erario provenienti dal gioco d'azzardo alla cura, al trattamento e al reinserimento socio-lavorativo delle persone che hanno un disturbo da gioco d'azzardo. Saremmo stati al vostro fianco, perché i servizi che si occupano di gioco d'azzardo lei li conoscerà, sottosegretario Crippa, si chiamano SerD e si occupano del gioco d'azzardo patologico, della tossicodipendenza, dell'alcoldipendenza, del tabagismo, delle dipendenze comportamentali. Quei servizi sono soli, abbandonati: hanno visto in dieci anni raddoppiare l'utenza e sono rimasti con una risorsa di personale sempre alla stessa soglia, per il blocco del turnover.
PRESIDENTE. Concluda.
MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Mi scusi, ma sono dodici ore che aspettiamo di confrontarci con il Governo, e necessitiamo di poterlo fare.
PRESIDENTE. Collega, ha ancora cinque minuti. Prego.
MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). I cinque minuti li utilizzerò tutti. Quei servizi sono lasciati soli, abbandonati; hanno bisogno di risorse, di economie. Quindi quando avete previsto una misura per il gioco d'azzardo, oltre al divieto, c'è bisogno di risorse, se si vuole veramente combattere questa problematica, e noi saremmo stati al vostro fianco. Lo saremmo stati anche nel caso in cui aveste introdotto delle misure per agevolare la fiscalità, i tributi di quegli esercenti che decidono di non inserire slotmachine, che propongono un commercio etico, perché non basta il marchio “No slot”, che abbiamo proposto noi, nel nostro emendamento, come Fratelli d'Italia. Non basta perché la forma deve essere unita sempre alla sostanza, quindi quegli esercenti vanno aiutati, riconosciuti, aprendo a delle tassazioni agevolate. Noi saremmo stati al vostro fianco, saremmo stati al vostro fianco nel momento in cui aveste limitato la distanza dai luoghi sensibili, cioè la distanza di quei luoghi d'azzardo rispetto alle scuole, rispetto alle parrocchie, rispetto ai “Compro oro”, rispetto ai bancomat. Saremmo stati al vostro fianco perché crediamo che questa Italia si meriti qualcosa di buono.
Insomma, se aveste avuto dignità e aveste avuto rispetto, noi ci saremmo stati, perché, come dice Aristotele, la dignità non consiste nel possedere onori, ma nella consapevolezza di meritarli. Allora chiediamo a lei, sottosegretario Crippa, questa sera, di poter pensare se lei se lo merita quel nome “dignità” dato al decreto che state proponendo, se lei profondamente crede che sia dignitoso e che si meriti la nostra Italia un provvedimento così manchevole (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega De Carlo. Ne ha facoltà.
LUCA DE CARLO (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, io sarò breve, in modo che gli altri colleghi possano intervenire e poi si possa chiudere, perché chi mi ha preceduto è stato assolutamente esaustivo e ha trattato il tema con ampiezza di contenuti. Io sono tornato da poco da un incontro con tutte le categorie produttive a Verona, un incontro organizzato da Fratelli d'Italia per ascoltare Confcommercio, Confartigianato, Confindustria, addirittura le cooperative. Li abbiamo ascoltati perché montava un malessere da lì, da quel Nordest, quel Nordest dove la Lega ha il 30 per cento. Ci siamo chiesti perché ci fosse questo malcontento. Ebbene, il quadro che le categorie produttive ci hanno in qualche modo fatto vedere è un quadro drammatico, dal loro punto di vista: sono convinti che questo “decreto dignità” non sia solo poco utile, ma sia addirittura dannoso per le imprese, perché non semplifica la vita delle imprese ma la complica, e complica la già difficile situazione di chi oggi in Italia regge l'economia.
Lo dicono le categorie produttive, non lo diciamo noi, che potremmo essere tacciati di faziosità quasi come una copertina di FamigliaCristiana. Lo dicono loro, lo dicono quelli che ogni giorno fanno sì che questo Paese abbia nerbo. E cosa ci chiedono? Ebbene, non ci chiedono soldi. Guardate che Confagricoltura, Confartigianato e gli industriali non ci chiedono risorse, anche se può sembrare paradossale. Ci chiedono una cosa semplicissima: avere lo Stato al loro fianco e non doversi difendere da uno Stato che fa il poliziotto nei loro confronti e che quando è ora di aiutarli si nasconde. Abbiamo perso una grandissima possibilità, con questo decreto. Era un decreto che poteva intervenire su situazioni che ormai le imprese segnalano da anni, invece abbiamo riportato la storia dalla politica agli anni Settanta, anzi avete riportato, perché la nostra complicità su questo tema non l'avrete, anche se noi abbiamo sempre fatto opposizione assolutamente sui contenuti e mai a priori. Abbiamo sempre cercato i contenuti e mai le contrapposizioni ideologiche, cosa che non avete fatto voi. Avete riportato questo Paese alla lotta di classe, a una logica marxista che credevamo finita e bocciata dalla storia e invece ci ritroviamo oggi, a fine luglio del 2018, con un decreto che si è avuto l'ardire di chiamare dignità. Incredibile! Qualcosa di assolutamente impensabile ai nostri giorni.
È un decreto-legge che affronta la crisi in una maniera passata, antiquata. Oggi per affrontare la crisi bisogna trovare il giusto rapporto tra l'imprenditore e i dipendenti, quasi fossero una cosa sola. E non dico di arrivare a tanto, di rispolverare quello che nel mio paese nel 1878 si inaugurò per la prima volta in Italia, cioè la distribuzione degli utili anche ai dipendenti. Perché sì, io sono di Calalzo di Cadore, lì dove nasce l'occhiale in Italia; e lì il primo contratto era molto semplice: tre soci, ai primi due veniva pagato uno stipendio e gli utili venivano ridistribuiti tra i tre. Una cosa assolutamente innovativa già nel 1878! Bene, non dovevate arrivare a tanto: dovevate semplicemente far sì che i divieti si trasformassero in libertà, cosa che non avete fatto.
E guardate che sono molto preoccupato per quella che sarà legge di bilancio di settembre e dicembre: perché se Di Maio ha definito (cito le sue parole) questo decreto-legge la prima pietra della nuova Italia, io sono terrorizzato che la manovra di bilancio sia una frana da quante saranno le pietre! E quindi vi auguro di mettere mano, di metterci mano subito, e di non farvi prendere dalla voglia e dalla visibilità, dalla voglia di essere visibili immediatamente: avete tempo, avete la maggioranza, costruite. Laddove troverete temi che erano inseriti nel programma di centrodestra, lì troverete Fratelli d'Italia; laddove invece continuerete con una logica marxista-leninista, lì non troverete Fratelli d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Deidda. Ne ha facoltà.
SALVATORE DEIDDA (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, io ringrazio il sottosegretario: è doveroso comunque per la sua presenza. Mi ricordo che anche altre volte è stato presente, e non si deve stupire delle critiche, perché purtroppo noi pazientemente siamo rimasti perché a questo tema teniamo particolarmente. Chiediamo scusa se siamo intervenuti in così tanti e stiamo prolungando la serata, ma ci teniamo a far sentire la nostra voce e ci teniamo a lasciar scritta la nostra opposizione a questo decreto-legge.
Su una cosa noi siamo d'accordo con voi, e lo diciamo a voce alta: che il presidente dell'INPS deve andare a casa. Noi ci siamo sentiti offesi quando ha offeso un ministro della Repubblica, ci siamo sentiti offesi quando un burocrate va a fare propaganda in giro nei giornali e nelle conferenze stampa pro immigrazione, e nel mentre chiude gli uffici dell'INPS nella penisola senza tener conto dei problemi dello spopolamento, senza tener conto di quelli che sono i problemi lavorativi. Quello io spero che lo farete: mandate a casa il presidente Boeri!
Dico purtroppo che questa è un'occasione persa, perché poteva essere un'occasione per sbloccare l'affanno dei comuni: i comuni che hanno bisogno di personale, i comuni che hanno bisogno delle assunzioni, i comuni che chiedono di poter assumere attraverso quell'avanzo di bilancio che invece gli viene vietato dal patto di stabilità, gli viene vietato da una politica cieca, da una burocrazia cieca. Io dico anche che è un'occasione persa, perché ci mandate all'opposizione di un decreto-legge cui volevamo votare a favore se avesse previsto dalle norme finalmente a favore dei lavoratori: perché quando sento dire dal PD che c'è stata la ripresa, ma quel PD ha abolito l'articolo 18, quel PD ha aumentato il precariato, quel PD dice di avere frenato l'emigrazione, ma dalla Sardegna partono ogni anno 5 mila giovani, dove c'è una disoccupazione al 56 per cento, la disoccupazione giovanile, ma perché allora non ci sediamo al tavolo e parliamo di una vera riforma del lavoro? Perché non parliamo di quella che dev'essere una riforma che deve prevedere “basta precari nella pubblica amministrazione”, “basta abuso degli interinali nella pubblica amministrazione”? Non sono le agenzie interinali ad essere fuori legge, è chi ne fa abuso! E quando scopri che la politica… Come in regione Sardegna, la regione Sardegna in cui le ASL utilizzano le agenzie interinali per scavalcare il blocco delle assunzioni, allora c'è da chiedersi chi è il colpevole. Istituite una Commissione di inchiesta per vedere nelle regioni chi è che utilizza le agenzie interinali, chi utilizza nella sanità le agenzie interinali, per anni ha utilizzato le agenzie interinali, e scoprirete qual è la politica che manovra tutte queste assunzioni, questa nuova schiavitù dei giovani.
Perché purtroppo è vero, c'è l'emergenza: i giovani oggi son degli schiavi: catene di supermercati che utilizzano i giovani con i tirocini che durano un anno e poi li mandano a casa; i call center, che utilizzano le persone con salari sempre più bassi. Scoprire che Alitalia utilizza un call center in Romania per trattare i clienti che vanno e vengono dalla Sardegna, dalla Romania all'Italia! Allora queste sono le storture da sistemare! I precari delle Forze armate: ci sono ancora precari nelle Forze armate; dei vigili del fuoco, delle guardie carcerarie. Andiamo a vedere il personale sempre più anziano. Allora perché non si è cercato un dialogo per approvare un provvedimento sul lavoro che comprendesse tutto? Io parlo del lavoratore: per me lo Stato deve fare lo Stato e prima di tutto viene lo Stato, e quando scopro che lo Stato è quel soggetto debole che chiude le porte all'occupazione, che chiude le porte ai giovani, e quando scopro che i medici son costretti a emigrare in Francia, il futuro, perché le nostre università non riescono a istituire le scuole di specializzazione, non riescono più a finanziare le scuole che dovrebbero formare la nuova classe dirigente, allora io dico che tutti questi problemi dovevano essere affrontati in un provvedimento.
E spero, e c'è la buona volontà da parte nostra di sperare che da settembre voi variate questi provvedimenti. Presenteremo degli ordini del giorno anche su questo provvedimento, dove chiediamo che vengano toccati dei temi fondamentali come quello dei ricercatori: basta precari anche nella ricerca, perché se no i ricercatori vanno all'estero.
Concludo e spero di essere stato il più breve possibile e vi auguro buon lavoro. Spero che accetterete i nostri emendamenti, le nostre proposte, e che guardiate, perché come avete visto noi orgogliosamente voteremo Foa. Noi soprattutto voteremo con voi il presidente della RAI, perché la politica di demonizzazione deve finire: non è reato essere sovranisti, e le panzane che vengono divulgate da certi giornali e da certa politica sul pericolo fascista, il pericolo sovranista e il pericolo populista non esistono più. L'Italia è cambiata (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Varchi. Ne ha facoltà.
MARIA CAROLINA VARCHI (FDI). Presidente, sottosegretario, noi oggi siamo qui, dopo una estenuante maratona, perché il Governo ha ravvisato l'urgenza e la necessità di misurarsi con l'approvazione di questo decreto-legge. In verità alla lettura del testo finale non è dato capire quali siano le reali urgenze di questo decreto-legge: se l'urgenza era quella del Ministro Di Maio di guadagnare un po' di visibilità prima della pausa estiva, dopo essere stato schiacciato in un Governo dove il peso politico non corrisponde al peso specifico dei partecipanti, o se le urgenze erano e sono quelle del Paese reale. Perché vede, sottosegretario, il primo gesto di Di Maio ministro, o comunque uno dei primi, fu quello di incontrare una delegazione di rider, quei fattorini che per pochi euro sfidano le intemperie, affrontano per ore e ore i pericoli delle nostre strade; e dopo la riunione il Ministro aveva tuonato: ecco i rider, il simbolo di una generazione senza tutele, il MoVimento 5 Stelle al Governo darà loro le tutele. Bene, il provvedimento di cui oggi discutiamo era la prima occasione per dimostrare che alle parole seguono i fatti, e così non è stato: con una clamorosa marcia indietro sono spariti dal provvedimento, e abbiamo appreso che un tavolo di contrattazione forse in futuro si occuperà di loro.
Non mi dilungherò sul gioco d'azzardo, che è un'altra delle grandi incompiute di questo provvedimento: una delle grandi incompiute perché ancora una volta alle promesse della campagna elettorale questo Governo poteva far sì che seguissero i fatti, e ha scelto di non farlo. È ancora una volta una parte di provvedimento che Fratelli d'Italia ha sostenuto perché faceva parte del programma del centrodestra, come il divieto a tutte le forme di pubblicità; poteva essere migliorato con degli emendamenti, che pure i nostri parlamentari avevano depositato e che sono stati rigettati. E allora va bene il marchio nazionale no slot, ma anche questa è un'altra incompiuta di questo provvedimento.
Quindi questo decreto-legge è soltanto un tentativo blando: non sappiamo se andrà a compimento questa volontà di dimostrare che siete diversi o se con la ciliegina sulla torta della fiducia dimostrerete di essere esattamente come chi vi ha preceduto.
E allora la verità sui dati assolutamente negativi di questo decreto-legge, che il gruppo di Fratelli d'Italia, che pure ha con grande spirito di collaborazione partecipato ai lavori preparatori e ai lavori di Commissione, non ha mancato di evidenziare, ma altri enti hanno sottolineato, la verità sta nello spirito di fondo che anima questo decreto, sta nella volontà di riportare l'Italia a una battaglia di retroguardia tra i lavoratori e i datori di lavoro, una battaglia di retroguardia che ormai sembrava lontana dalle cronache di tutti i giorni. È di questi giorni la notizia che tanti imprenditori soprattutto nel nord-est hanno sottoscritto un documento per contestare i provvedimenti del decreto-legge. Però vede, sottosegretario, non solo nel nord-est ma anche al sud abbiamo registrato la delusione dei tanti piccoli e medi imprenditori che a fatica resistono perché il Sud non è fatto solo di gente che aspetta il reddito di cittadinanza ma è fatto anche di uomini e donne che scommettono sulla propria terra, scommettono su se stessi; è fatto di giovani che trovano un posto di lavoro e lo trovano in piccole e medie imprese giovani, pulite, virtuose e sperano che il proprio datore di lavoro, che non è un nemico ma il loro primo alleato, trovi la forza di resistere ad una pressione fiscale che non ha pari in Europa perché la sfida non è tra lavoratori e datori di lavoro, che il Governo vuol mettere quasi l'un contro l'altro armati, con una battaglia di retroguardia che ancora una volta segnerà ulteriori distanze tra le aziende italiane e i concorrenti europei. Dunque ha ragione il Ministro Di Maio quando afferma che per dare nuova dignità al lavoro e ai lavoratori bisogna combattere il precariato ma per farlo non serve sanzionare le aziende italiane già soffocate da una burocrazia folle e da tasse troppo alte ma è necessario sostenere le imprese che dal nord al sud decidono di investire nelle risorse umane, nelle risorse italiane e giovani. Un sostegno dovrebbe premiare queste aziende virtuose con incentivi economici straordinari e non con provvedimenti che in realtà non risolvono nulla perché anche nel confronto tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato così come concepiti dalla struttura del decreto-legge non vi è alcun incentivo nella scelta dell'uno in luogo dell'altro.
Concludo ricordando che Fratelli d'Italia non ha avuto un atteggiamento di ostruzionismo nei confronti del provvedimento. Tuttavia ci saremmo aspettati maggiore capacità di recepire i suggerimenti soprattutto quando erano in linea con lo spirito del provvedimento. Riteniamo che il Vicepremier Di Maio ha preso per sé le poltrone di due Ministeri senza risolvere i problemi né dell'uno né dell'altro, come dimostra il provvedimento in esame e come dimostra il recente episodio della cancellazione del tavolo tecnico previsto il 18 luglio a Termini Imerese per la vicenda Bluetec ex FIAT, anche quei lavoratori e le loro famiglie meritano di aver restituita la dignità del lavoro dopo le promesse che il Ministro Di Maio e i suoi candidati in campagna elettorale hanno fatto in quei territori. Quindi concludo dicendo che lo chiamavano dignità ma probabilmente sarà soltanto l'ennesima illusione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Del Barba. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BARBA (PD). Grazie, Presidente. Signori del Governo, onorevoli colleghi, le confesso che sono un po' emozionato nel parlare a pochi minuti dalla mezzanotte perché viene davvero da chiedersi cosa succeda a Montecitorio a mezzanotte. Se fossimo sulla radio di Stato dovremo fermarci e ascoltare l'inno d'Italia: per un paio di notti, sì, lo potremmo anche fare, per un paio di notti lo faremo anche sulla radio. Da mercoledì da quanto ho capito non lo so se ascolteremo l'inno d'Italia o quello delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: staremo a vedere, capiremo. Però sono tante le cose che possono capitare a mezzanotte in quest'Aula: ci si aspetta che magari il tonno che dovrebbe essere stato levato dalla scatola si alzi e si metta a ballare o che il cocchiere che sta alle mie spalle, il segretario d'Aula, con la frusta si trasformi in un topolino.
Quindi cercate di capire una certa emozione per essere qui a chiudere gli interventi dopo dodici ore di lavoro tutti insieme e anche una voglia di sdrammatizzare, se me lo consentite, rispetto a un decreto che, tutti lo avete sottolineato, parte male già con il nome - ripeto: parte male già con il nome - il decreto di…non si può sentire quella parola abbinata a questa banalità, non si può sentire: dignità, onestà, verità. Ve la dico alla Nanni Moretti: le parole sono importanti, basta sequestrare le parole per farsi belli, basta violentarne il significato. In questo caso è davvero anche imbarazzante per voi che lo avete fatto. Se andiamo a vedere i contenuti la cosa non regge: post su post, fake news su fake news si toglie il significato a tutto. Ora che governate, fatti su fatti, anzi fatti su misfatti, ma entriamo un po' nel merito: un conto era montare false notizie, un conto era cercare di diffonderle nell'etere ma siamo arrivati al punto di creare un decreto-legge per poter parlare di qualcosa. Ecco io credo che questo tentativo di suscitare indignazione anche attraverso i nomi dei decreti, non certo sui contenuti, vada fermato, vada arginato. La parola “indignazione” si fa sentire oggi in quest'Aula e presto si ritorcerà contro di voi. Chiamiamolo con un nome: è il decreto Di Maio, tutto qua. È un decreto che serve a lui - possiamo capirlo - non serve assolutamente al Paese, non serve ai lavoratori perché è un decreto-proclama con l'unica differenza che questo spot questa volta costa ai cittadini, questo spot pasticcia il mercato del lavoro. Questa volta non viene via gratis: questa volta lascerà delle conseguenze negative sul campo. Sono altre le parole che dovrebbero descrivere il decreto. Sono tre parole: superficialità, annuncio, rinvio. Sono parole più appropriate, guardate, sono parole leggere, che galleggiano, che cercano di non affogare nel mare dei vostri annunci: si aggrappano alla durezza della realtà, emergono infine dalle nebbie del decreto-legge che, gratta gratta, non lascia nulla: superficialità, annuncio e rinvio.
Cosa producono allora queste parole che ben descrivono il decreto? Sono parole che non si gonfiano nell'aria - colleghi, sono contento di tenere desta la vostra attenzione a mezzanotte - non si gonfiano nell'aria come le solite bolle di sapone virali che potete facilmente soffiare ogni giorno comodamente seduti nella tastiera: no, producono un abbrutimento della realtà; producono un avvitamento dei problemi; producono un consumo improduttivo del tempo, anche del nostro; producono soprattutto l'allontanamento dei cittadini dalla fiducia nelle istituzioni che queste possano risolvere i loro problemi e forse proprio su questo voi fate affidamento.
Entriamo nel merito: ci sono delle modifiche - lo abbiamo ascoltato da altri interventi, non dal mio - che a volte sono semplicemente irrisorie come diceva anche il collega Fassina questo pomeriggio; a volte risultano contraddittorie e mi riserverò di indicarne qualcuna, spesso sono dannose e questo è un po' il carattere generalizzato del provvedimento. Il decreto sostiene di voler affrontare i temi importanti ma per citarne uno si limita, ad esempio, a parlare del problema delocalizzazione andando a finire per porlo in contrapposizione con il tema dell'internazionalizzazione: superficialità. Sulla semplificazione fiscale il decreto si accoda a provvedimenti già presi nella scorsa legislatura o crea ingiustificate differenze tra i contribuenti: superficialità.
Sulla ludopatia infine - ecco qui raggiungiamo il culmine - non affronta minimamente il tema. Si limita, con un divieto generalizzato incapace di differenziare, pigro nell'indagare la complessità del fenomeno, a vietare la pubblicità, senza avere il coraggio di parlare realmente della ludopatia. Se non fosse stato per un paio di decreti proposti dal Partito Democratico e dalle opposizioni non sarebbe minimamente affrontato il tema nemmeno nella forma che esce dalla nostra Commissione. Superficialità!
Veniamo al cuore del decreto (si fa per dire il cuore): il lavoro o il tema della precarietà. Il testo base che è arrivato in Commissione davvero lasciava sconcertati e lascia e hanno lasciato ancora più sconcertati i lavori della Commissione che hanno mostrato un approccio ideologico, con delle giravolte finali che non hanno prodotto nulla di convincente. È su questo punto che il decreto trova la sua vera identità e si definisce con la parola che meglio lo caratterizza: il “decreto d.”. È il “decreto disoccupazione”, perché è stato chiaro, fin dal primo giorno dei lavori in Commissione, che l'unico risultato certo di questo decreto sarebbe stato l'aumento della disoccupazione, ve lo ha detto il presidente dell'INPS, Boeri. Avete voluto ricorrere a quella cosa patetica della manina (manina, ciao ciao!). Peccato che in audizione abbiamo potuto ascoltare la verità dei fatti di quella manina. Non c'è stata nessuna manina e quei numeri erano a conoscenza del Ministero e del Governo una settimana prima che venissero depositati gli atti. Ve lo hanno detto le parti sociali, praticamente tutte, in audizione: il decreto crea pericolosamente disoccupazione. La vostra Commissione bilancio lo ha certificato nero su bianco, lo ha votato e ha spiegato che avremmo avuto maggiori costi per le indennità di disoccupazione prima e minori costi dopo per la diminuzione delle tutele, la diminuzione della NASPI, l'abbassamento del periodo lavorativo. È stato chiaro ed è l'unico aspetto chiaro del decreto. Alla fine ve l'hanno detto gli imprenditori. Allora, forse lì un pochino avete aperto le orecchie e ascoltato quello che l'opposizione vi diceva dal primo giorno. Si è riusciti a portare un emendamento, un piccolo emendamento nel totale disastro del decreto che rende meno costoso il lavoro a tempo indeterminato per i giovani (sorvoliamo sul come lo avete fatto).
Veniamo anche ad un altro tema: le slot machine. No, non la parte sui giochi: le slot machine delle causali, signori. Non voglio nemmeno affrontare il tema delle causali in sé. È e sono le motivazioni con cui sono stati sostenute le causali in Commissione che lasciano esterrefatti. Si è arrivati a teorizzare che lo spauracchio di un contenzioso, dagli esiti chiaramente imprevedibili, sia un'arma in mano ai lavoratori. Questa è un'idea sconfitta dalla storia, rifiutata dagli stessi sindacati. La casualità della causalità. Ecco, siamo arrivati a questo assurdo: il gioco d'azzardo che introducete voi è un gioco d'azzardo sulla pelle dei lavoratori e delle imprese e l'unico al tavolo che ci guadagna, ve lo hanno detto, sono gli avvocati giuslavoristi, con processi dall'esito incerto che naturalmente scoraggeranno il lavoro al suo inizio, nelle assunzioni.
Non si può, allora, che dare un giudizio estremamente negativo. Questo decreto crea confusione, perturba la coerenza di un percorso di innovazione del mercato del lavoro iniziato da anni ed è incoerente al proprio interno. C'è una cosa su cui il Ministro Di Maio ha avuto ragione e ha la mia condivisione: il lavoro non si crea per decreto. Su questo ha ragione: il lavoro non si crea per decreto. Ma è anche riuscito a dimostrare che il lavoro si può distruggere per decreto. Questo è un caso concreto, è un caso che verrà studiato. Sì, si potrà passare alla storia e si finirà sui libri di storia: il lavoro si può distruggere per decreto. Ed è soprattutto un decreto che disincentiva gli investimenti ed aumenta questo fattore di distruzione dei posti di lavoro.
Se poi ci aggiungiamo quello che in questi giorni state raccontando su Ilva, TAV e TAP, allora il tema degli investimenti rischia di essere davvero la Caporetto di questo Governo dei proclami che, però, alla prima prova dei fatti dà scarsa prova di sé.
Volete colpire e avete dichiarato di voler colpire il lavoro dei precedenti Governi Renzi e Gentiloni. Volete colpire il lavoro dei precedenti Governi, non ne siete capaci e arrivate a colpire il lavoro. Tutto qui; non siete capaci di colpire il lavoro dei precedenti Governi e vi limitate a colpire il lavoro. E non vi preoccupa nemmeno dare messaggi contraddittori sui voucher cosiddetti PrestO. Li avete sdoganati rispetto alla pregiudiziale ideologica che voi - che voi! - avete mostrato in precedenza, senza sapere operare in profondità, tant'è che lei relatore, che scuote il capo in questo momento, ne ha minimizzato effettivamente l'intervento. È proprio il chiaro esempio di incoerenza interna del vostro provvedimento, perché l'intervento sui voucher PrestO serve solo agli equilibri interni alla maggioranza. L'hanno capito tutti e lo sapevano tutti ben prima che l'emendamento fosse presentato. Questo è un altro esempio di come questo decreto non si occupa del lavoro e dei lavoratori ma si preoccupa dei vostri fatti interni.
Concludo, Presidente, e la ringrazio per la pazienza. Ho ascoltato attentamente il Ministro, prima in Commissione e oggi nella sua replica in Aula. Dalle sue parole, prima ancora che dal decreto, ne è emerso un atteggiamento ideologico e negazionista, aggiungo, per giustificare il proprio punto di vista. Si nega che esista il lavoro nero, si nega che esista la disoccupazione, si nega che esista la delocalizzazione o ci si illude magari di averla curata con questa aspirina scaduta. Ed ecco che allora, negando tutto quanto, finalmente c'è la pulizia interna del proprio pensiero. Io dico che quando si è consapevoli e si certifica che si creeranno dei disoccupati e lo si fa solo per poter parlare e riempirsi la bocca di precarietà, arrivando addirittura a fare un discorso totalmente ideologico, allora io non ho più avuto dubbi, proprio ascoltando il Ministro: pensavo fosse ideologia, ma mi sono convinto che in realtà si tratta, purtroppo, di ipocrisia.
Concludo, Presidente. Senza il minimo scrupolo ancora una volta si sceglie un problema solo per parlarne, si mostra un cambiamento che non esiste, si peggiorerà una realtà che si ignora deliberatamente. Ricordatevi, però, che la realtà è ostinata: riemerge sempre. Ne sarete sommersi voi e, purtroppo, ne faranno e ne fanno già le spese i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 924-A)
PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera in data 26 luglio 2018, il presidente del gruppo MoVimento 5 Stelle ha comunicato che il comitato direttivo del gruppo ha deliberato l'espulsione del deputato Andrea Mura, ai sensi dell'articolo 21 dello statuto del gruppo.
Pertanto, a decorrere dalla medesima data, il deputato Andrea Mura cessa di far parte del gruppo MoVimento 5 Stelle.
Il predetto deputato si intende conseguentemente iscritto al gruppo Misto.
Modifica nella composizione della Giunta per il Regolamento.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato il deputato Simone Baldelli a far parte della Giunta per il Regolamento, ai sensi dell'articolo 16, comma 1, del Regolamento, in sostituzione del deputato Elio Vito, dimissionario.
Interventi di fine seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la collega Villani. Ne ha facoltà per un minuto.
VIRGINIA VILLANI (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sabato scorso il caporal maggiore Enrico De Mattia, originario di Angri, provincia di Salerno, proveniente dal primo reggimento Granatieri di Sardegna, inquadrato nell'operazione Strade sicure, ha posto fine alla sua vita utilizzando la pistola di ordinanza. Una tragedia che ha scosso l'intera comunità del mio territorio, dove Enrico viveva ed era amato da tutti. Tale doloroso episodio deve aprire una profonda riflessione su quella che viene spesso definita la strage silenziosa delle Forze armate. Quello del caporal maggiore De Mattia è il terzo suicidio in sei mesi di un militare impegnato nell'operazione Strade sicure. A dicembre scorso un altro granatiere di stanza a Spoleto si era suicidato, a febbraio 2018 un bersagliere di 29 anni di Taranto si è tolto la vita nella stazione metro di Barberini. I suicidi presso gli appartenenti alle forze dell'ordine rappresentano un fenomeno ormai noto da diversi anni.
Secondo i dati dell'Osservatorio Cerchio Blu, dal 2010 al 2016 si contano 315 suicidi, e il trend non è cambiato negli ultimi due anni. Bisogna tentare di capire quali possano essere i veri motivi che spingono giovani così pieni di vita a compiere questo gesto estremo. Intanto, con profonda commozione, esprimo i miei più sinceri sentimenti di vicinanza, solidarietà e cordoglio ai suoi familiari, a nome di tutto il gruppo del MoVimento 5 Stelle, sapendo anche di interpretare l'animo di tutti quegli italiani che apprezzano il lavoro delle forze dell'ordine e la fedeltà alla democrazia e alla Costituzione. Bisogna far luce sulle cause di questo fenomeno, e la morte del caporal maggiore De Mattia merita chiarezza. Questo ennesimo suicidio deve servire a far luce su eventuali situazioni difficili vissute nel quotidiano da chi pratica la vita militare (Applausi).
PRESIDENTE. Ovviamente, anche la Presidenza si associa al cordoglio, collega.
Organizzazione dei tempi di discussione di un disegno di legge di ratifica.
PRESIDENTE. Avverto che sarà pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna l'organizzazione dei tempi per la discussione sulle linee generali del disegno di legge di ratifica dei Trattati di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale fra Italia ed Emirati Arabi Uniti.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 31 luglio 2018 - Ore 11,30:
1. Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
(C. 924-A)
Relatori: CENTEMERO (per la VI Commissione) e TRIPIEDI (per la XI Commissione), per la maggioranza; FREGOLENT (per la VI Commissione) e POLVERINI e SERRACCHIANI (per la XI Commissione), di minoranza.
La seduta termina alle 00,15 di martedì 31 luglio 2018.
TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: DAVIDE TRIPIEDI, FRANCESCO SCOMA ED ELENA CARNEVALI (A.C. 924-A)
DAVIDE TRIPIEDI, Relatore per la maggioranza per la XI Commissione. (Relazione – A.C. 924-A). Grazie Presidente, il mio sarà un intervento prevalentemente di natura tecnica, per portare all'attenzione dell'Aula il nuovo perimetro del Decreto Dignità, così come riformulato nel passaggio in Commissione.
Tuttavia vorrei fare alcune premesse: abbiamo lavorato bene e abbiamo predisposto un testo addirittura migliore rispetto alla versione uscita dal Consiglio dei Ministri. Il provvedimento è stato potenziato nei suoi capitoli ma quello che non cambia è lo spirito, il cuore di questo decreto, che rimane immutato: la dignità, che il decreto porta nel nome. E se mi permette, Signor Presidente, la dignità di questa maggioranza di aver voluto trattare in Parlamento, come prima misura, un intervento pensato per chi in questi anni ha sofferto di più la devastante crisi, prima finanziaria e poi economica e sociale, che ci ha colpito.
E per rimediare alle politiche scellerate di questi anni. A cominciare da quelle sul lavoro: con questa legge si pone un limite agli abusi sui contratti a tempo determinato. Un primo dato che voglio ricordare, anche per respingere al mittente le critiche di quanti non considerano questa battaglia una priorità: nell'ultimo anno il 90 per cento dei nuovi contratti in Italia sono a termine. Una forma di precarietà inaccettabile, a cui è necessario rimediare. Non solo per restituire stabilità e fiducia ai lavoratori ma anche per agire direttamente sulla vita economica del Paese, perché un alto livello di precarietà non può che incidere negativamente sulla propensione ai consumi.
Allo stesso modo il provvedimento ha lo scopo di aiutare i giovani. Nel Paese in cui vi è una disoccupazione giovanile che supera il 30 per cento, è inconcepibile non attribuire una scala di priorità massima a questa emergenza.
Nel Decreto Dignità che andiamo a discutere è stato inserito un intervento mirato per affrontare di petto il problema. Sarà più conveniente per le aziende assumere stabilmente, cioè a tempo indeterminato, chi ha meno di 35 anni.
Sappiamo bene, Signor Presidente, che si tratta solo di un primo passaggio. Abbiamo chiaro in testa, come maggioranza, l'orizzonte del lavoro da compiere in questa legislatura, per restituire qualità della vita alla nostra comunità. Questo è un primo tassello, ma è un tassello importante.
Procediamo dunque con convinzione, nonostante da più parti siano arrivati attacchi anche scomposti in questi giorni. Vedete, il paradosso è tutto qui: vogliamo approvare al più presto una legge che sconfigga le paure degli italiani e ridia loro dignità. Paura di non avere più soldi, paura della burocrazia di Stato, paura di non avere più un lavoro, paura di non potersi scegliere un futuro. Eppure siamo costretti ad osservare il proliferare di campagne strumentali che diffondono e alimentano nuove paure, proprio su questo provvedimento. Paure infondate. Profezie negative che tradiscono solo il timore di un cambiamento vero, reale, che abbiamo incardinato e che non è più rimandabile. Noi andiamo avanti. Sappiamo, ne abbiamo piena consapevolezza, che stiamo lavorando nella direzione giusta.
Venendo al merito del provvedimento, osservo fin da subito che il Capo I reca le misure per il contrasto al precariato.
In particolare, l'articolo 1 modifica la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato recata dal decreto legislativo n. 81 del 2015. Introduce le causali e limita l'utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato.
L'articolo 1-bis introduce importanti incentivi all'occupazione giovanile per favorire la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato soprattutto per contrastare la disoccupazione giovanile e favorire le assunzioni stabili.
L'articolo 2 introduce modifiche riguardanti la somministrazione a tempo determinato.
L'articolo 2-bis introduce disposizioni in materia di prestazioni occasionali (i cosiddetti nuovi PrestO).
Inoltre, con l'articolo 3 aumentiamo le Indennità di licenziamento a tempo indeterminato e anche quelle per l'offerta di conciliazione, oltre ad incrementare la contribuzione del contratto a tempo determinato in funzione disincentivante in occasione di ciascun rinnovo. Prevediamo anche, con l'articolo 3-bis un rafforzamento delle facoltà assunzionali in capo alle Regioni a favore dei Centri per l'impiego, e infine, per ciò che riguarda il Capo I, all'articolo 4 e 4-bis introduciamo disposizioni per assicurare la continuità didattica nell'interesse degli alunni e dei docenti in possesso del diploma magistrale conseguito negli anni 2001-2002, per la copertura di posti di docente nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria, per la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato del personale della scuola.
Nel Capo II, laddove si introducono misure per il contrasto alla delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali, con gli articoli 5 e 6 poniamo limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti pubblici.
Sulla base della disciplina previgente, il contratto di lavoro a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato che prevede un termine. Può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, per una durata massima di 36 mesi. L'apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall'atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell'atto medesimo. Il contratto, nel quale non è necessario indicare la causale, può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore, sia nella forma del contratto a termine, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. Il contratto a termine non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi. Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi) o per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi), il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore.
La disciplina recata dal decreto legislativo n. 81 del 2015, inoltre, prevede la trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato nel caso di superamento di tale ulteriore periodo o nel caso in cui non sia rispettato il lasso di tempo richiesto tra il primo e il secondo contratto a termine (dieci giorni, se la durata del primo contratto è inferiore a sei mesi, 20 giorni se la durata è superiore). Il decreto legislativo prevede anche la possibilità di un'ulteriore deroga, per la stipula di un nuovo contratto, della durata massima di 12 mesi, una volta esauriti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione. In tale caso, il contratto dovrà essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente. L'ordinamento pone limiti quantitativi alla possibilità per il datore di lavoro di stipulare contratti a termine: essi, infatti, non possono superare il 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione, mentre, per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato.
I contratti collettivi, anche territoriali e aziendali, hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi. L'ordinamento, tuttavia, prevede limitate eccezioni a tali limiti quantitativi. In caso di violazione, è prevista l'applicazione a carico del datore di lavoro di una sanzione amministrativa pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite, e al 50 per cento della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza. Per finanziare la Nuova Assicurazione sociale per l'impiego (NASpI), è prevista in caso di rinnovo un'aliquota contributiva aggiuntiva pari all'1,4 per cento che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
Il provvedimento adesso consta di 15 articoli, suddivisi in 5 Capi, e la mia relazione verterà prevalentemente sulle disposizioni del I e del II Capo, fino all'articolo 6.
L'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge, modificando l'articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2015, dispone, in primo luogo, la riduzione da trentasei a dodici mesi del termine massimo di durata del contratto a termine. Tuttavia, tale durata può essere portata a ventiquattro mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. Tali causali devono essere indicate nel contratto scritto in caso di rinnovo, ad eccezione dei casi in cui la durata del contratto è prorogata nell'ambito dei primi dodici mesi, come disposto dalla lettera b) del medesimo comma 1. Inoltre, sulla base di tale lettera b), solo per le attività stagionali il rinnovo o la proroga (ossia lo slittamento in avanti del termine inizialmente posto) del contratto non necessitano dell'indicazione delle causali. Si precisa, inoltre, dopo il comma 1 dell'articolo 19, che in caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza delle condizioni di cui al comma 1 (ovvero delle causali), il contrattosi trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi; così come anche in caso di violazione di quanto disposto dal primo e dal secondo periodo, ovvero di superamento dei 24 mesi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Sulla base del comma 2, inoltre, tali disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data. Il comma 3 stabilisce che tali disposizioni, insieme a quelle recate dai successivi articoli 2 e 3, non si applicano ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni. Si prevede inoltre, al comma 2, che le parole: «dei contratti in corso alla medesima data» siano sostituite dalle seguenti: «contrattuali successivi al 31 ottobre 2018» ovvero si inserisce un emendamento che prevede, per i contrati in essere, che, per proroghe e rinnovi effettuati fino al 31 ottobre 2018, si applichi la disciplina previgente. Un chiarimento per i contratti di lavoro nell'università e negli enti di ricerca. L'articolo 23 comma 3 del decreto legislativo n. 81 del 2015 rimane inalterato e stabilisce che il limite percentuale di cui al comma 1 non si applica, inoltre, ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra università private, università straniere, istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica. Così come anche non si applicano i limiti di durata, per cui: i contratti di lavoro a tempo determinato che hanno ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono.
L'articolo 1-bis prevede un bonus fiscale per i giovani. Prevediamo un esonero contributivo per i giovani (under 35) che vengono assunti a tempo indeterminato nel 2019 e nel 2020. Lo sgravio fiscale rappresenta il 50 per cento dei contributi previdenziali a carico del datore, fino ad un massimo di 3000 euro/anno per 3 anni L'ultima legge di bilancio aveva previsto per il 2018 sgravi contributivi per gli under 35, che nel 2019 sarebbero stati corrisposti solo in favore degli under 30. Grazie ad un emendamento della maggioranza prevediamo un bonus per le imprese che assumeranno a tempo indeterminato, giovani under 35 fino al 2020 e per i successivi 36 mesi. Si è quindi deciso sia di aumentare il numero degli anni durante il quale vige lo sgravio, (fino al 2020) sia la platea di beneficiari. Sappiamo infatti che la disoccupazione giovanile è molto più alta che in altre fasce di età, e tra i giovani, considerati più vulnerabili e fragili, il perdurare di disoccupazione può essere un fattore molto negativo che erode il capitale umano giovanile. Il tasso di disoccupazione giovanile supera abbondantemente il 30 per cento sul territorio nazionale. Abbiamo quindi pensato ad un intervento mirato per ridurre la disoccupazione fra i nostri giovani fosse una misura assolutamente necessaria.
L'articolo 2 prevede il contrasto al lavoro precario anche in somministrazione. Ai contratti in somministrazione a tempo determinato, come già previsto con il Decreto Dignità, si applica la stessa normativa del contratto a tempo determinato e quindi vale la durata massima del contratto, che con il Dl dignità non potrà essere superiore a 12 mesi senza causale (24 in caso di presenza di causale), rispetto ai 36 mesi che erano consentiti dalla normativa precedente, si introduce un limite alle assunzioni a tempo determinato anche nell'ambito delle somministrazioni sulle quali fino ad ora non vi era alcun limite. Il tetto totale dei contratti a tempo determinato con il dl dignità si riduce consistentemente. La vecchia normativa prevedeva solo un limite del 20 per cento del contratto a termine sul totale delle assunzioni a tempo indeterminato che poteva fare un'impresa, senza limiti invece per i contratti in somministrazione. Con la nuova normativa i contratti precari e quindi anche quelli in somministrazione non potranno superare il 30 per cento delle assunzioni. Inoltre, fermo restando il limite del 20 per cento dei CT previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 81 del 2015, il nuovo limite del 30 per cento per differenza dovrà quindi intendersi come limite del 10 per cento permesso di contratti in somministrazione a termine. Inoltre, abbiamo introdotto la somministrazione fraudolenta e non autorizzata con un inasprimento delle sanzioni, che disincentiva azioni simili a quelli deprecabili come il caporalato ovvero le “false” esternalizzazioni. Abbiamo infine aggiunto un chiarimento su questo punto, attraverso un emendamento chiarificatore che facilita l'operato delle Agenzie di somministrazione e toglie ogni dubbio circa possibili contenziosi: per quanto riguarda l'indicazione della causale nei contratti a tempo determinato, abbiamo previsto che le causali nei contratti di somministrazione a tempo determinato debbano essere indicate direttamente dall'utilizzatore. Infine, siamo intervenuti per escludere lo “Stop & go” dai contratti di somministrazione. Questa clausola evita che i soggetti somministrati debbano fermarsi tra una missione e l'altra come è previsto per i lavoratori a tempo determinato. Per questi ultimi continua a valere la regola precedente, per cui riassunti a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
L'articolo 2-bis prevede i nuovi PrestO: limitati, tracciabili e facilmente utilizzabili. I PrestO in agricoltura, negli Enti locali e nel settore del turismo e in altri settori, esistevano già (disciplinati dall'articolo 54-bis del decreto-legge n. 50 del 2017). Al fine di consentire una semplificazione amministrativa ed un conseguente più agevole accesso alle prestazioni, tenendo conto delle peculiarità del settore agricolo, del turismo e della peculiarità degli enti locali, e delle esigenze stagionali dei relativi cicli di produzione, ferma restando la garanzia di tracciabilità dei dati del committente e del prestatore, il versamento dei contributi e le coperture assicurative per quest'ultimo, nonché l'individuazione precisa delle categorie cui tale forma contrattuale potrà applicarsi siamo intervenuti sull'attuale assetto normativo del lavoro occasionale come attualmente disciplinato dall'articolo 54-bis del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50. L'impianto della legge che regolamenta i cosiddetti PrestO viene mantenuto. In particolare, vengono mantenute per il settore della agricoltura le tre categorie che possono essere pagate tramite questo strumento (pensionati, disoccupati percettori di Naspi e Rei e giovani under 25). La limitazione delle categorie viene estesa al settore del turismo limitatamente alle imprese del settore alberghiero e alle strutture ricettive che hanno un massimo di 8 dipendenti. La normativa precedente consentiva l'utilizzo dei PrestO alle imprese con meno di 5 lavoratori (senza limiti di categorie per il turismo). Inoltre, viene mantenuto il tetto annuo massimo di 5.000 euro entro il quale una persona può essere pagata tramite i PrestO (2.500 in favore del medesimo utilizzatore). L'altro pilastro dell'impianto del 54-bis è la piattaforma INPS, quindi la tracciabilità che rimane. Cosa si è fatto? Semplificare l'utilizzo e facilitare l'accesso sulla piattaforma. Con le procedure “Nuovo PrestO”: 1. Il lavoratore si registra e può farsi aiutare da un intermediario (Cai, consulenti del lavoro) che può agire per conto del lavoratore sulla piattaforma; 2. Possibilità che il documento di pagamento inserito dall'imprenditore sulla piattaforma INPS sia stampabile e pagabile anche in posta a richiesta del prestatore (anziché solo su carta di credito o Iban direttamente sul portale INPS); 3. Possibilità che per il “Nuovo PrestO” in agricoltura, turismo e enti locali (che ricordiamo esiste già) la data e l'ora di inizio e di termine della prestazione ovvero, se imprenditore agricolo, azienda alberghiera o struttura ricettiva che opera nel settore del turismo o ente locale, la data di inizio e il monte orario complessivo presunto con riferimento a un arco temporale non superiore a dieci giorni. In altre parole in questi 3 settori, con i limiti previsti dalla legge, il Nuovo PrestO registrato su piattaforma sarà utilizzabile in un arco di tempo di 10 giorni (esteso da 3) per consentire maggiore flessibilità dello strumento e adattabilità soprattutto agli eventi metereologici; 4. Rimane la maggiore tracciabilità e trasparenza dei “Nuovo PrestO” per facilitare i controlli. Ma anche la semplificazione dovuta alla possibilità di registrazione e autocertificazione online da parte dei prestatori. Non si è introdotto maggiore liberalizzazione delle prestazioni occasionali. Si evitano gli abusi, riportandoli alla loro natura, ma limitandoli per quelle attività che ne hanno effettivo bisogno e alle categorie precedentemente stabilite. I Nuovi PrestO non si applicano agli agricoltori di mestiere in agricoltura o ai camerieri di mestiere nel settore turismo. Chi era agricoltore fino all'anno precedente non può usare il “Nuovo PrestO”. In agricoltura il “Nuovo PrestO” non può essere usato da chi è iscritto nei registri agricoli fino all'anno precedente. Le autocertificazioni hanno un regime di controllo previsto dalla legge e vengono fornite direttamente sulla piattaforma INPS che è l'organo principale che conosce e può controllare facilmente chi è disoccupato o pensionato o percettore di REI o Naspi.
Con l'articolo 3 si aumentano le Indennità di licenziamento a tempo indeterminato e anche quelle per l'offerta di conciliazione, oltre ad incrementare la contribuzione del contratto a tempo determinato in funzione disincentivante in occasione di ciascun rinnovo. Il comma 2 dell'articolo 3, modificando l'articolo 2 della legge n. 92 del 2012, dispone l'aumento di 0,5 punti percentuali del contributo addizionale applicato a ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione. Ricordo che il contributo, attualmente pari all'1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, è destinato a finanziare la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASpI). Come risulta dalla relazione tecnica, alla luce di tali modifiche, per il primo rinnovo del contratto a termine il contributo addizionale è pari all'1,9 per cento, crescente a partire dal secondo rinnovo, in corrispondenza del quale l'aliquota è pari al 2,4 per cento. Il contributo addizionale non si applica: ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti; ai lavoratori assunti a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali; agli apprendisti che, però, stipulano, sin dall'inizio, un contratto a tempo indeterminato, fatta eccezione per quelli stagionali disciplinati contrattualmente, al momento, nel solo settore del turismo; ai lavoratori dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni, individuate ex articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001; a lavoratori quali colf e badanti per cui le famiglie che rinnovano i contratti a tempo determinato non dovranno pagare la maggiorazione contributiva dello 0,5 per cento. Più tutele per i lavoratori anche in caso di conciliazione. Abbiamo anche approvato un emendamento che aumenta l'indennità del lavoratore in caso di licenziamento anche per l'offerta di conciliazione che fino ad ora era di un minimo di 2 mensilità e di un massimo di 18. Con il decreto-legge Dignità le indennità aumenteranno si passa da un minimo di 3 ed un massimo di 27 mensilità. Osservo che l'articolo 3, al comma 1, interviene sulla disciplina recata dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2015 per i casi di licenziamento illegittimo riguardanti contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. In particolare, la norma prevede la modifica in aumento dei parametri di riferimento per la determinazione dell'ammontare dell'indennità che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, da calcolarsi entro l'intervallo del limite minimo di sei mensilità e del limite massimo di trentasei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Con il decreto Dignità quindi aumentiamo l'indennità in caso di licenziamento ingiustificato da un minimo di 6 ed un massimo di 36. Con la normativa precedente, invece, l'indennità era di un minimo di 4 ed un massimo di 24.
Prevediamo anche, con l'articolo 3-bis un potenziamento delle facoltà assunzionali in capo alle Regioni a favore dei Centri per l'impiego (CPI), in vista di una maggiore riorganizzazione e potenziamento dei CPI. All'articolo 3 bis destiniamo quote delle facoltà assunzionali delle regioni definita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, al rafforzamento degli organici dei centri per l'impiego.
Gli articoli 4 e 4-bis conferiscono più dignità ai precari della scuola. L'emendamento sulla Scuola è in linea con le sentenze della Corte di Giustizia Europea, che non consente di “licenziare” i docenti precari dopo aver prestato 36 mesi di servizio su posto vacante e disponibile ma anzi di stabilizzarli. Lo Stato investe e forma i sui suoi docenti, e non più permettersi di “licenziarli” dalla scuola dopo 36 mesi di lavoro sacrificio e dedizione verso i ragazzi e verso la scuola. Il Governo è intervenuto per prorogare il contratto di molti insegnanti che hanno contratti a tempo indeterminato, nella scuola primaria e dell'infanzia, al fine di garantire la continuità didattica sui posti per un altro anno (fino al 30 giugno 2019). Su tutti questi docenti che avevano contratti a tempo indeterminato e determinato con riserva si era pronunciato il Consiglio di Stato, ribadendo che non avevano i requisiti per entrare nelle graduatorie ad esaurimento. Tuttavia, abbiamo cercato di tutelarle garantendo loro un'occupazione a tempo determinato per un ulteriore anno (fino al 30 giugno 2019), in attesa di una soluzione definitiva. E' importante sottolineare che abbiamo previsto due bandi per favorire la stabilizzazione di queste insegnanti nel breve-medio periodo. Da una parte verrà bandito un concorso straordinario per i diplomati magistrali e per i laureati in scienze della formazione primaria che hanno prestato servizio per almeno 24 mesi (anche non continuativi) negli ultimi 8 anni. Il bando di concorso attribuisce 70 punti ai titoli posseduti e altri 30 alla prova orale. Fra i titoli valutabili rientrano il superamento di tutte le prove dei concorsi precedentemente svolti, i titoli di abilitazione, valorizzando altresì il servizio svolto presso istituti scolastici nazionali; Dall'altra, per le insegnanti che non hanno prestato servizio per 24 mesi verrà indetto un concorso ordinario, con cadenza biennale. Concludendo, stiamo garantendo sia un lavoro ai docenti sia la continuità didattica per i nostri studenti. Con l'emendamento a favore del soccorso alpino vengono riconosciute, anche per il diritto del lavoro, le peculiarità dell'operato degli uomini del Soccorso Alpino, e quindi permettendo di superare le difficoltà nell'inquadrare la posizione delle figure professionali del Corpo. Le collaborazioni delle figure tecniche previste dalle varie leggi, che riconoscono la fondamentale attività del Soccorso Alpino anche nel settore dei servizi di elisoccorso, vengono in sostanze parificate a quelle rese in favore di associazioni e società sportive. Un pubblico servizio, quello del soccorso alpino che ad oggi ha effettuato 176.000 interventi nei confronti dei cittadini e che grazie al nostro emendamento finalmente non saranno più sottoposti a procedure davanti al tribunale.
Il Capo II è composto dagli articoli 5 e 6. Rilevo che il Capo II reca misure per il contrasto alla delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali.
In particolare, l'articolo 5 introduce ulteriori limiti alla delocalizzazione delle imprese destinatarie di aiuti da parte dello Stato. In fase emendativa si è solo proceduto a chiarire ulteriormente alcune definizioni senza cambiare fondamentalmente il testo originale. Ricordo che la normativa vigente, di cui all'articolo 1, comma 60, della legge n. 147 del 2013, prevede la decadenza dai benefici e l'obbligo di restituzione per le imprese che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale, qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento. Il comma 1 dispone che le imprese che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato subordinato all'effettuazione di investimenti produttivi decadono dal beneficio qualora l'attività economica in tutto o in parte sia delocalizzata in Stati non appartenenti all'Unione europea o allo Spazio Economico Europeo (SEE) entro cinque anni dalla conclusione dell'iniziativa agevolata. In tal caso, le imprese sono soggette a una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'aiuto fruito. Il successivo comma 2 estende l'obbligo di restituzione ai casi di percepimento di aiuti collegati ad investimenti produttivi specificamente localizzati. Sulla base del comma 3, l'importo da restituire è maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell'aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali. Tale disciplina, ai sensi del comma 4, non si applica ai benefici già concessi o banditi, né agli investimenti agevolati già avviati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il comma 5 qualifica come privilegiati i crediti derivanti dalla restituzione dei benefici e dispone la loro destinazione all'entrata del bilancio dello Stato ai fini della loro riassegnazione all'amministrazione titolare della misura, ad incremento delle disponibilità della misura medesima. Segnalo che la relazione illustrativa sottolinea il carattere di novità delle disposizioni in esame non solo rispetto all'ordinamento italiano, ma anche rispetto a quello europeo, nei confronti del quale, peraltro, esclude ipotesi di incompatibilità. Ciò in quanto la disciplina europea pone vincoli agli aiuti a finalità regionale agli investimenti, stabilendo ,da un lato, l'obbligo di mantenimento dell'investimento nel territorio per un periodo minimo di tre anni per le PMI e di cinque anni per le grandi imprese e, dall'altro, introducendo l'obbligo per l'impresa che presenti domanda di accesso al beneficio di confermare di non avere effettuato una delocalizzazione verso lo stabilimento finanziato nei due anni precedenti, nonché l'obbligo di impegnarsi a non effettuare una delocalizzazione nei due anni successivi al completamento dell'investimento. Pertanto, se la normativa europea riguarda solo una tipologia di aiuto e interviene nella fase precedente il riconoscimento del beneficio, il decreto-legge si applica a ogni tipo di beneficio, in qualunque forma sia concesso, e prevede che l'obbligo di restituzione scatti dopo la fine delle sovvenzioni. Anche l'aumento a carico delle PMI da tre a cinque anni del termine per la restituzione del beneficio non appare contrastare con la normativa europea, che qualifica tale termine di tre anni come un limite minimo derogabile in aumento. Infine, la relazione illustrativa esclude la possibilità di conflitti con il diritto dell'Unione europea anche sotto il profilo delle restrizioni territoriali che integrano i casi di delocalizzazione.
Concludo, quindi, l'illustrazione delle parti del decreto-legge di prevalente competenza dell'XI Commissione, ricordando brevemente che l'articolo 6 dispone la decadenza dal beneficio dell'aiuto di Stato che preveda la valutazione dell'impatto occupazionale per l'impresa che, al di fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, riduca di più del 10 per cento i livelli occupazionali degli addetti all'unità produttiva o all'attività interessata al beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell'investimento. La decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è totale nel caso di riduzione superiore al 50 per cento.
Per concludere ed in sintesi: le norme recate dal decreto in tema di riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato, lungi dal sanzionare le imprese e i lavoratori, perseguono l'obiettivo di ridurre gli spazi concessi al contratto a termine in modo da assicurare quelle misure di prevenzione degli abusi che l'attuale disciplina evidentemente non è stata in grado di garantire a detrimento dell'utilizzo del contratto a tempo indeterminato. Ribadisco che non è possibile stabilire alcun effetto tra la diminuzione della durata massima complessiva riferita ai rapporti a termine, volta a colpire l'abuso della reiterazione ingiustificata dei contatti a termine, e un impatto negativo sul mercato del lavoro.
Anzi, spesso, il contratto a termine acausale è stato utilizzato non tanto per rispondere ad effettive esigenze temporanee quanto soprattutto come vero e proprio strumento di organizzazione del lavoro così da disporre di una stabile riserva di manodopera alla quale attingere, in modo ricorrente, in funzione delle esigenze del mercato.
Il presente intervento normativo, dunque, va a colpire gli abusi del ricorso del contratto a termine (i dati ISTAT del maggio 2018 confermano il trend della forte prevalenza dell'ingaggio della forza lavoro con contratti a termine piuttosto che con contratti a tempo indeterminato) e va nella direzione di promuovere il contratto a tempo indeterminato, in conformità allo spirito e al principio sancito dalla Direttiva europea 1999/70 e ribadito anche dalla legge delega n. 183 del 2014 e dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 81 del 2015, che definisce il contratto a tempo indeterminato come la «forma comune» di rapporto di lavoro.
Mi avvio, dunque, alla chiusura: il decreto Dignità sarà presto legge dello Stato. Una legge che nasce dall'ascolto più sincero delle esigenze dei cittadini. Una legge attesa. Attesa dai precari innanzitutto. Ma anche dalle aziende, le aziende sane che vogliono investire nel capitale umano per far crescere i loro dipendenti, in una dinamica di ricerca della produttività – che è il vero tallone d'Achille della nostra economia. Un provvedimento atteso da quei lavoratori italiani licenziati dalle multinazionali che arraffano e scappano. Perché non si ripeta più. Infine, un provvedimento atteso dalle famiglie di tutti coloro che rimangono invischiati nel gioco d'azzardo, e che trasformano spesso una dipendenza in un dramma sociale. Per queste ragioni, Signor Presidente, siamo onorati di aver portato in Aula questo testo. Lavoreremo per approvarlo, in uno spirito di collaborazione leale anche con le altre forze politiche. Ma diciamo no all'ostruzionismo. All'ostruzionismo di chi vuole portare in questa assemblea le pretese e le richieste delle lobby. Non lo accetteremo. Andremo avanti, perché a chiedercelo è il Paese. Grazie.
FRANCESCO SCOMA (FI). (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 924-A). Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo intraprendere una battaglia ideologica contro il lavoro dipendente a tempo determinato, come sta facendo questo governo con il decreto dignità, va contro non solo alla logica di un mercato del lavoro dove domanda e offerta si stanno bilanciando nei settori più dinamici in una fase di ripresa dell'economia, ma anche contro una realtà che si scontra con i numeri. I numeri dicono che in Italia non esiste una emergenza grave del lavoro a termine? ma che è cresciuto, in contemporanea con la ripresa dell'economia, in modo fisiologico e in parallelo a quello a tempo indeterminato.
Applicando queste misure si frena l'occupazione e la ripresa, e si dà un pessimo segnale agli investitori e anche alla Commissione europea.
Secondo l'Eurostat nel 2017 i dipendenti a tempo determinato tra i 15 e i 64 anni erano 2,7 milioni in Italia, mentre la percentuale dei dipendenti a termine sul totale dei dipendenti quella dell'Itali è tra le più basse in Europa, pari al 15,5 per cento, contro il 16,8 della Francia, fino a salire a quella del 26,8 per cento della Spagna. La media dell'Eurozona, pari 16,1 per cento, è principalmente abbassata dalla Germania, che con il 12,9 per cento presenta una percentuale inferiore di circa 2,5 punti rispetto a quella dell'Italia.
La quota di dipendenti a termine di cittadinanza italiana sul rispettivo totale dei dipendenti italiani scende poi al 14,9 per cento, contro valori sensibilmente più alti in molti degli altri paesi sopra citati.
In numeri assoluti, l'Italia mostra un numero di dipendenti a termine nei diversi settori di attività economica quasi sempre più basso, e talvolta di molto, rispetto agli altri maggiori paesi dell'Unione europea, con le sole esclusioni dell'agricoltura e del turismo, settori nei quali il nostro paese, anche a causa della sua marcata specializzazione, è secondo dietro la Spagna che ne ha, rispettivamente, 303mila e 520mila.
Questi dati certificano come la mancanza di flessibilità di fatto pone i presupposti di una maggiore disoccupazione/ perché porta molte aziende, ancora in difficoltà, a chiudere. E' un errore, in un momento di crisi da cui non siamo ancora usciti, creare ulteriori disagi.
Nel settore manifatturiero è invece prima per dipendenti a termine la Germania, a seguire Francia, Spagna e, più staccata, l'Italia, che pure è la seconda potenza manifatturiera del continente.
L'Italia in fondo alla classifica della Big europee dei dipendenti a termine anche nel settore delle costruzioni dove prima è la Spagna, seguita da Francia e Germania.
Stessa cosa nel commercio: l'Italia è sempre ultima tra le cinque grandi economie considerate, dopo Germania, Spagna e Francia.
Italia fanalino di coda idem nei trasporti come nell'informazione e nelle comunicazioni, nel settore bancario e assicurativo, nelle attività professionali e scientifiche, nelle attività amministrative e di servizi alle imprese.
Il copione si ripete tale e quale nel settore pubblico.
Nella Pubblica Amministrazione e nella Difesa i dipendenti a termine sono solo 69mila in Italia contro i 370mila della Francia, i 351mila della Germania, i 229mi1a della Spagna.
Stessa cosa nella sanità, dove prima è la Germania, seguita da Francia e Spagna.
Rispetto al 2008, cioè l'anno precedente l'inizio della lunga crisi, nel 2017 i dipendenti a termine tra i 15 e i 64 anni risultano è interamente spiegata da soli tre settori, i quali con il loro dinamismo ci hanno portato fuori dalla crisi stessa: agricoltura, manifattura, turismo e ristorazione.
E nei primi cinque mesi del 2018 il numero dei contratti a termine che sono stati trasformati in contratti a tempo indeterminato è aumentato del 45% rispetto ai primi cinque mesi del 2017, passando, su base annua da circa 95mila a circa 150mila.
Questo aumento dimostra che il contratto a termine, da poco introdotto in Italia, man mano che viene applicato, tende a generare più contratti a tempo indeterminato.
Il decreto Dignità blocca i meccanismi virtuosi del mercato perché è basato sul principio di ridurre la durata dei contratti a termine, mediante divieti ai loro rinnovi, aumenti dei contributi sociali e l'inserimento di clausole «causali» per giustificare i rinnovi che si prestano a contenziosi costosi e rischiosi per le imprese.
Il primo provvedimento legislativo del nuovo governo è più un manifesto elettorale che una riforma in grado di incidere sulla vita delle imprese e dei lavoratori, tanto che il suo obiettivo principale sembra quello di dare soddisfazione agli elettori del Movimento 5 Stelle ai quali si era promessa una guerra a tutto campo contro il precariato.
Non segnerà neanche un aumento delle assunzioni a tempo indeterminato a causa dell'amento par1 al 50% dell'indennizzo già previsto dal Jobs act.
Agli esponenti della maggioranza dico: non Sarebbe stato più onesto e dignitoso ammettere che non esistono ricette magiche per migliorare la vita degli italiani? Che la situazione dei conti pubblici è molto delicata e non consente interventi dissennati? Siamo stanchi di sentirvi giocare con le parole per trasformare la realtà. Questo tipo di politica, che avete ridotto oramai a sceneggiata, può dare qualche soddisfazione momentanea ma lungo andare non farà che peggiorare la situazione.
Questo decreto sarà un autogol pazzesco. Ma questa volta da ridere ci sarà ben poco, perché questo provvedimento segna uno spartiacque nella vita del Parlamento. Sarà la prima volta che le Camere approveranno un provvedimento di espulsione dal mercato di lavoro di migliaia di persone e porterà alla scomparsa di 8000 posti l'anno per i prossimi 10 anni.
La relazione tecnica che accompagna il decreto prevede per il solo effetto delle nuove norme la scomparsa di 8000 posti di lavoro l'anno per i prossimi 10 anni.
Caro Presidente, membri del Governo, cari colleghi, questi dati non sono frutto di uno studio di Forza Italia o di un altro partito dell'opposizione ma di una relazione della Ragioneria generale dello Stato e dell'Inps che hanno tratto le conseguenze del decreto.
Rendendo impossibile protrarre gli ultimi 34 mesi di contratti a termine, ben 80.000 rapporti di lavoro non avranno più campo ed è facile prevedere che almeno il 10% non sarà rinnovato.
Il Ministro Luigi di Maio ha deciso che per combattere le disuguaglianze la mossa più sicura è eliminare i disuguali.
Come tutte le ideologie utopiche a partire dal marxismo, il grillismo non ha un programma che aderisce alle richieste dei cittadini, ma si prefigge di mutare i cittadini per farli aderire alla propria ideologia.
Ed in questo caso quell' ideologia - vecchia nemica del lavoro – è sorella dell'inesperienza.
Volendo colpire modalità troppo lunghe di lavoro a termine forse si sarebbe dovuto prevedere uno scivolo per traghettare il lavoratore verso un posto fisso.
Il Ministro del Lavoro, vuole regolare per decreto il mondo del lavoro! Un mondo che nel passato forse non ha mai conosciuto.
Il M5S, non avendo idee originali, ha rispolverato ricette vecchie e fallite in tutto il mondo: sembra incredibile, ma Di Maio ripropone nel 2018 soluzioni vetero-comuniste già sconfitte nel '900 e alle quali non credono più nemmeno i sindacati seri.
Avremo dunque più disoccupati e più sfruttati: non è certo quello che vogliono i giovani del sud senza lavoro, ma non è neppure quello che si aspettavano le piccole e medie imprese del nord che hanno dato fiducia al programma del centrodestra.
Solo pochi mesi fa, ai giovani del Mezzogiorno avete carpito il voto facendo credere che potevano stare tranquillamente seduti sul divano ad aspettare con il telefonino in mano l'accredito del bonifico con il reddito di cittadinanza.
Solo poche ore fa, con l'inserimento di emendamento state rischiando di dare vita al più grande licenziamento della storia della scuola italiana con circa 50 mi contratti (di cui solo 6 mila in Sicilia) di docenti diplomati magistrali che decadrebbero dal prossimo anno.
Non si capisce cosa ci possa essere di 'dignitoso' nel certificare fra un anno il licenziamento di 6 mila docenti assunti in ruolo che hanno superato a pieni voti l'anno di prova, di fronte al proprio dirigente scolastico e agli organi collegiali preposti.
Questo decreto avrà un impatto devastante al Sud. Il Mezzogiorno ha bisogna di una politica industriale dove si concentra la disoccupazione giovanile più alta del Paese!
Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, gli imprenditori assumono solo se hanno certezze sul quadro normativo e flessibilità sul piano operativo, perché nel mercato vince il più agile, competente e veloce.
Che fa invece il Governo? Crea ulteriore confusione e non mette in condizione le imprese che vogliono assumere perché con le nuove regole ci sarebbero conseguenze insostenibili.
Questo non è un volano per creare nuova occupazione, al contrario, è una zavorra.
Una zavorra che rende il mercato del lavoro più rigido al contrario di quanto avviene in tutto il mondo progredito e sempre più aperto, più mobile, più dinamico.
Tutto questo è incredibile, paradossale, forse anche kafkiano: una forza di governo, saldamente nel centrodestra e storicamente al fianco dell'impresa, che mette i bastoni tra le ruote del tessuto produttivo che, solo pochi mesi fa, lo ha sostenuto permettendogli di andare al Governo.
Gli imprenditori che vi hanno votato vi hanno già voltato le spalle.
Hanno scoperto che la Lega ha fatto il doppio gioco: per poter cavalcare la tigre della lotta all'immigrazione ha svenduto l'economia e la faticosa ripresa del nostro Paese ai nuovi avventori!
Salvini batta un colpo e si riallinei alle posizioni del centrodestra sostenendo la battaglia di Forza Italia con proposte concrete che vanno incontro alle esigenze del mondo del lavoro e dell'impresa.
Non potete rimanere sordi al grido di dolore lanciato dalla base elettorale del centrodestra!
Non ci stupisce che i Cinquestelle si siano rivelati inadeguati, non riusciamo invece a credere che la Lega abbia dimenticato gli impegni presi, con gli elettori. E' un cambiamento di rotta repentino che francamente non capiamo! Avete sottoscritto un programma che li impegnava a inseguire lo sviluppo del Paese e non certo la decrescita.
Dico agli uomini e alle donne della Lega! fate sentire il vostro peso e opponetevi a queste scelte.
Tutto il Sud pagherebbe un prezzo altissimo in termini di posti di lavoro e di sviluppo per questa decisione sbagliata di Luigi Di Maio.
Prestando il fianco al movimento cinque stelle avvelenate l'economia e con il no all'Ilva; il no alla Tav e il no alla Tap, state permettendo un danno economico grave al Paese intero.
L'Italia liberale e moderata, che lavora e produce, presenterà presto un conto, conto salatissimo a questo Governo di inesperienza che, trascinato dal M5S, si dimostra ogni giorno di più contro imprese e famiglie.
Cari membri del Governo, con questi provvedimenti la Vostra luna di miele non potrà durare a lungo. Magari il tempo utile per un'eclissi. Anticamente, un oscuro per tutto il pianeta, in questo caso per tutti gli italiani.
ELENA CARNEVALI (PD). (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 924-A). Signor Presidente, viceministro e onorevoli colleghi. Insieme a molti parlamentari, abbiamo aderito lo scorso anno all'intergruppo per il contrasto al gioco d'azzardo e ci siamo presi l'impegno già con precedente governo di porre un argine al fenomeno della dipendenza dal gioco d'azzardo, cresciuto in Italia negli ultimi anni, insieme all'aumento dell'offerta pubblica di giochi con vincite in denaro.
Un settore economico in grande espansione, che rappresenta il 3 per cento del PIL nazionale e consta di risultati significativi in termini di occupazione e di fatturato, ma che sta causando problemi rilevanti sul piano sanitario e sociale.
Il gioco con vincite in denaro attraverso l'utilizzo di slot e videolottery, il gioco on line e i tagliandi delle lotterie istantanee hanno avuto infatti negli anni una grande diffusione, anche grazie a una pubblicità pervasiva e accattivante, che ricorre, a messaggi talvolta ingannevoli e illusori in merito alle reali possibilità di vincita.
Complice la crisi economica, sempre più ci si affida alla speranza nel colpo di fortuna, tanto che le sale giochi proliferano nei nostri centri urbani e si stima che gli italiani brucino nei giochi circa 90 miliardi di euro l'anno.
Va detto che queste forme d'intrattenimento non incentivano certo la buona socialità ma favoriscono, al contrario, la solitudine delle persone e possono avere anche effetti preoccupanti, incoraggiando comportamenti di gioco compulsivi che talvolta sfociano in vere e proprie forme di dipendenza.
Il gioco d'azzardo patologico è ormai riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale come una nuova patologia assimilabile alle dipendenze da alcool o da sostanze stupefacenti, con le inevitabili conseguenze per la vita delle persone e delle famiglie e con i conseguenti costi sociali, come emerso anche dall'indagine conoscitiva effettuata nella legislatura XVI dalla Commissione Affari sociali della Camera dei deputati.
La richiesta inserita nel parere della commissione Affari sociali superare il temine ludopatia con Gioco di azzardo come riconosciuto dall'Organizzazione mondiale della sanità viene dal Partito democratico, e non è certo una valutazione di tipo semantico, nonostante qualche collega dell'opposizione- (non del Movimento 5S- il cui relatore in commissione ha fatto un emendamento) ma il riconoscimento che il gioco, più che ludico può causare dipendenza soprattutto nei soggetti più a rischio.
Numerosi episodi di cronaca hanno fatto emergere diverse problematiche, prime fra tutte quelle relative alle infiltrazioni nella filiera del gioco di organizzazioni criminali che stanno acquisendo quote di mercato sempre più rilevanti, anche attraverso l'utilizzo degli apparecchi di gioco come strumenti di riciclaggio di denaro provenienti da attività illecite, nonché quelle relative al gioco d'azzardo on line, molto più pericoloso rispetto al gioco che avviene tramite le reti fisiche di raccolta, in quanto difficilmente regolamentabile.
La consapevolezza di questi problemi è cresciuta tanto nell'opinione pubblica quanto nelle istituzioni. È ormai diffusa la convinzione che sia necessario intervenire per curare la patologia, ma anche per prevenirne la diffusione, adottando criteri più rigorosi nelle modalità di svolgimento dei giochi.
Questo è un tema che richiede una strategia complessa, vista l'oggettiva contraddizione fra la rilevanza economica del settore e del gettito fiscale che produce, da un lato, e le conseguenze negative che possono derivare da una diffusione incontrollata del gioco, dall'altro.
È nel 2012 che, con il decreto Balduzzi in materia di sanità, per la prima volta viene riconosciuta in un testo di legge la patologia correlata al gioco d'azzardo, disponendone l'inserimento nei livelli essenziali di assistenza del Servizio sanitario nazionale — divenuti con l'aggiornamento del Lea parte essenziale nella scorsa legislatura e prevedendo misure limitative della pubblicità dello stesso gioco al fine di prevenirne la diffusione.
Importanti novità sulla normativa dei giochi sono poi state previste dalla delega fiscale approvata nel marzo 2014 perché da questa parte dei banchi, azione concrete, che non hanno fatto certo bene alle cosiddette Lobby, hanno visto numerosi interventi per la riduzione della loro diffusione.
Nel frattempo diverse regioni hanno legiferato in materia, i comuni hanno emanato regolamenti e nella scorsa legislatura sono stati presentati diversi progetti di legge d'iniziativa parlamentare sul tema a cui molti colleghi che siedono nei banchi della maggioranza hanno collaborato. .
Sulla materia sono intervenute anche le leggi di stabilità con la previsione di un fondo destinato alla cura e alla prevenzione del gioco d'azzardo patologico, circa 150 milioni di euro e l'istituzione presso il Ministero della salute, dell'Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, con la previsione di un piano nazionale di intervento con campagne informative e di prevenzione e con alcune misure limitative della pubblicità dei giochi con vincite in denaro.
I governi a guida PD, in ogni manovra finanziaria hanno stanziato risorse per il GAP fino a 150 milioni di euro, di cui una parte ancora da finalizzare alle regioni: è comunque necessario che venga garantito il finanziamento del livello essenziale, perché il gioco patologico, è riconosciuto tra i Lea al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette che andrebbe finanziato dalla fiscalità generale.
Nel percorso in parte tracciato dall'articolo 14 della delega fiscale si è provveduto ad adottare, nella legge di stabilità 2016, alcuni provvedimenti coerenti con la suddetta impostazione e in particolare:
- la riduzione di almeno il 30% delle AWP in circolazione, attraverso la riduzione effettiva delle macchine disponibili; già oggi grazie a questo radicale impegno la riduzione è del 35 per cento passando dalle 400 mila a 265 mila apparecchi attivi.
- la determinazione di un numero massimo consentito di 10.000 sale e di 5.000 corner per le scommesse, con la conseguente concentrazione dei punti vendita previsione in tre anni, impegno del contratto di governo ma respinto negli emendamenti;
- il passaggio alle AWP esclusivamente da remoto (upgrade tecnologico); prevista l'accelerazione della rottamazione per le vecchie AWP in AWPR ma anche questo respinto al mittente
- la riduzione degli spazi pubblicitari televisivi, consentendoli solo dopo le 22.30 sulle tv generaliste
La lotta al gioco d'azzardo patologico è una battaglia culturale, ancor prima che legislativa: ridurre i momenti di familiarità con il gioco d'azzardo è il primo essenziale passo. Noi possiamo sanzionare i gestori inadempienti e normare meglio l'accesso al gioco, ma la consapevolezza è la prima arma vera per ricondurre i numeri dell'uso e dell'abuso del gioco d'azzardo italiano in un alveo di fenomeno non così allarmante quanto lo è oggi.
L'intervento previsto da questo decreto è relativo al divieto totale della pubblicità, sicuramente importante e concreto ma limitativo rispetto al reale problema nonché rispetto al contratto di governo e alle dichiarazioni più volte fatte di voler ridimensionare il gioco d'azzardo.
Il Contratto di governo alla voce "Gioco d'azzardo" recita testualmente "Con riguardo alla problematica del gioco d'azzardo sono necessarie una serie di misure per contrastare il fenomeno della dipendenza che crea forti danni sia socio sanitari che all'economia sana, reale e produttiva, tra le quali: divieto assoluto di pubblicità e sponsorizzazioni; trasparenza finanziaria per le società dell'azzardo; strategia d'uscita dal machines gambling (Slot machines, videolottery) e forti limitazioni alle forme di azzardo con puntate ripetute; obbligo all'utilizzo di una tessera personale per prevenire l'azzardo minorile; imposizione di limiti di spesa; tracciabilità dei flussi di denaro per contrastare l'evasione fiscale e le infiltrazioni mafiose. È necessaria una migliore regolamentazione del fenomeno, prevedendo il rilascio dell'autorizzazione all'installazione delle slot machine - VLT solo in luoghi ben definiti (no bar, distributori ecc), la limitazione negli orari di gioco e l'aumento della distanza minima dai luoghi sensibili (come scuole e centri di aggregazione giovanile)"
Allora mi chiedo: perché dunque sono stati respinti tutti gli emendamenti ad eccezione dell'introduzione della tessera sanitaria fortemente voluta dal PD così come per l'uso del marchio no slot?
E solo grazie al Partito democratico che verrà introdotta la tessera sanitaria per l'uso dei giochi, uno strumento di prevenzione e di controllo molto importante. Dal l° gennaio 2020, voglio ricordarlo, la tessera sarà uno strumento di autorizzazione al gioco per impedire l'accesso ai minori, che devono essere i più tutelati e protetti.
Perché è stato bocciato l'emendamento del PD che prevedeva l'inserimento del messaggio 'questo gioco nuoce alla salute' sui tagliandi delle lotterie, così come già avviene ad esempio per i pacchetti di sigarette? Eppure questa maggioranza, senza avere neanche il coraggio di argomentare questa scelta, ha affossato una possibilità concreta di campagna informativa contro il gioco d'azzardo e per una maggiore consapevolezza dei cittadini, a costo zero per l'erario si poteva dare una indicazione chiara dei rischi connessi all'azzardo.
Ci troviamo di fronte ad un decreto che dopo questo intervento sulla pubblicità, archivierà il tema contrasto al Gap, esaurendo qui l'impegno, rimandando la più vigorosa scelta di riordino dei giochi, rendendo monco ed inefficace la lotta contro la presenza capillare sul territorio italiano.
Perché non si è voluto proseguire su tale strada; perché non si è voluto recepire l'intesa con tutte le Regioni alla quale si è giunti dopo almeno 5 tavoli tecnici e più o meno 15 iscrizioni all'ordine del giorno, rimandi e approfondimenti e più di un anno di lavoro? Vede gentile Presidente un secondo atto non ci sarà. La coda di paglia si è avvertita nelle dichiarazione del Vice- presidente Di Maio che si è premurato di rassicurare nella consapevolezza che questo decreto taglia da un lato (in pubblicità) ma lascia intatto ciò che rimaneva da fare, in un accordo già scritto con le regioni ed gli enti locali.
L'art 9, del decreto che oggi ci apprestiamo a discutere in quest'aula, prevede al Capo 111 "Misure per il contrasto alla ludopatia," con riguardo al divieto di pubblicità per giochi e scommesse: divieto totale di qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e internet.
Un assunto importante, già previsto dalla campagna nazionale contro i rischi del gioco d'azzardo "Mettiamoci in gioco" che vede riconosciuto il diritto alla salute dei cittadini, che sempre deve prevalere sulle ragioni del profitto.
La stessa manina — che ha scritto nero su bianco che con questo decreto sono previsti 8000 posti di lavoro in un anno, ha evidenziato che poco, anzi niente, impatterà sulla pubblicità degli apparecchi da divertimento (slot), settore ritenuto a più forte rischio per il cd gioco problematico così come per la pubblicità del bingo.
Ma è' la riduzione del gioco, la facile fruibilità, la capillarità sul territorio la vera battaglia da poter vincere!
Per capire di cosa stiamo parlando dobbiamo considerare che il valore del giocato:
- 24 miliardi per le AWP
- 23,5 miliardi per le Vlt
- 17 miliardi per il giocato per il gioco on Line.
AWP e VLT rappresentano il 53 per cento della quote di mercato, escluso il gioco on line che ne conteggia il 3 per cento a cui si aggiunte il 7 per cento tra scommesse sportive ed ippiche. La vera cicca sta qui.
Chi dunque tra noi in quest'Aula ha scelto di " contrastare " le fantomatiche lobby?
Si risponda a questa domanda dopo che tutti — dico tutti — gli emendamenti che miravano a dare seguito all'Intesa di settembre sono stati cassati?
Cosa direte agli amministratori locali che chiedevano una regolamentazione nazionale, una riduzione dei punti gioco e dei volumi, una sospensione di almeno 6 ore sul territorio che rimaneva in capo ai sindaci ed una reazionale distribuzione per evitare di concentrare sui confini degli altri comuni la maggior parte delle sale? o sulla scelta della rottamazione delle vecchie AWP in AWPR — da remoto- per evitare la manomissione delle macchine, incidere sul riciclaggio sull'abbassamento degli importi per giocata, o sugli strumenti di autolimitazione? Li lasciate soli con le loro ordinanze, che hanno dato ottimi esiti — come l'esperienza della mia città a Bergamo, lasciando che le buone prassi non diventino regole nazionali!
Gli emendamenti presentati dal PD in commissioni congiunte finanze e lavoro, miravano ad incidere sulla regolamentazione del settore dei giochi.
L'intervento previsto dal decreto, che abolisce definitivamente la pubblicità di ogni gioco con vincite in denaro, escluse le lotterie nazionale, costituisce certamente una delle poche norme tangibili contenute nel provvedimento.
Ma l'impegno per ridurre la domanda di gioco non può ridursi a questo.
Come le altre previste da questo decreto, anche questa scelta sembra più dettata dalla voglia di presentare atti dall'alto valore simbolico e di freno in particolare per il gioco on line a cui però sembra non corrispondere la stessa volontà di intervenire davvero sulla riduzione dell'offerta di gioco, intervento necessario per combattere il Gap.
Sia chiaro la scelta di arrivare all'abolizione totale della pubblicità era diventata necessaria visto l'abuso che di essa si sta facendo sulle reti tematiche, soprattutto in occasione di eventi sportivi, ma il come si arriva, produce, sempre secondo la relazione del governo. Non nostra! lo spostamento sul gioco illegale andando a gonfiare, quel pozzo senza fondo di gioco illegale che a livello mondiale — vale 140 miliardi di dollari.
Gettare alle ortiche il lavoro faticoso ma importante contenuto nell'intesa è una grave responsabilità. Doppia responsabilità perché ne sancisce la morte definitiva con le vostre bocciature, nel silenzio così rumoroso di chi all'interno della Conferenza Stato- Regioni, oggi nei ruoli di governo, rappresentava le Regioni che chiedevano di alzare ad ogni incontro l'asticella perché ritenuta sempre troppo poco. Quel " benaltrismo" a giorni alterni che non è più di moda quando si governa.
Tutto ciò costa e costa molto, soprattutto in termini di mancate entrate. Ci dica il vicepresidente Di Maio se il suo governo intende andare nella direzione della riduzione di domanda e offerta e quindi di entrate, come pensiamo sia giusto fare, o se mantiene l'idea che il gioco d'azzardo debba finanziare il reddito di cittadinanza, come scrivevano in un disegno di legge nella scorsa legislatura. O si fanno scelte chiare e coraggiose, anche se costose, o la proibizione della pubblicità rischia di essere un provvedimento davvero insufficiente".
Rivolgo alla maggioranza un appello: non siete più all'opposizione, adesso avete la responsabilità di governare e di assumervi l'onore della scelta. Questo atteggiamento di totale chiusura, questa incapacità di accogliere le proposte migliorative pervenute dai banchi delle opposizioni, mette a nudo il vero obiettivo di questo decreto: che non è il contrasto all'azzardo
Vorrei invece rivolgermi al Vicepremier Di Maio, sig.ra Presidente: si vergogni di rivolgersi a noi come difensori del mercato del gioco, per scaricare le proprie responsabilità su altri.
Governare significa prendere decisioni, non fare lo scaricabarile. Governano oggi due forze, che hanno interessi contrapposti ed agende politiche differenti. Il risultato contradditorio è che si è persa l'occasione di non lasciare sole le regioni e gli enti locali e di non aver voluto andare a colpire la maggioranza del mercato — insomma in fine atto e cala il sipario. Con buona pace delle promesse e delle battaglie di tanti anni. Rimandate ad un secondo copione che per il momento non avete voluto scrivere.