XVIII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 109 di mercoledì 16 gennaio 2019
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO
La seduta comincia alle 9,30.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
MARZIO LIUNI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Ascari, Benvenuto, Claudio Borghi, Cavandoli, Centemero, Colucci, Delmastro Delle Vedove, Ferri, Frassinetti, Fusacchia, Gallo, Giorgis, Occhionero, Pignatone, Ravetto e Rizzo sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Convocazione di Commissioni bicamerali.
PRESIDENTE. Comunico che, d'intesa con il Senato, le seguenti Commissioni parlamentari bicamerali sono convocate, per procedere alla loro costituzione, nella sede del Palazzo del Seminario nelle giornate e secondo gli orari di seguito indicati: mercoledì 23 gennaio, alle ore 8,30 la Commissione per la semplificazione e la Commissione parlamentare per le questioni regionali; giovedì 24 gennaio, alle ore 8,30, la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria e la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.
Discussione della proposta di legge costituzionale: D'Uva ed altri: Modifiche all'articolo 71 della Costituzione, in materia di iniziativa legislativa popolare, e alla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (A.C. 1173-A); e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Ceccanti ed altri; Ceccanti ed altri; Magi (A.C. 726-727-1447) (ore 9,33).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale n. 1173-A: Modifiche all'articolo 71 della Costituzione, in materia di iniziativa legislativa popolare, e alla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; e delle abbinate proposte di legge costituzionale nn. 726-727-1447.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 15 gennaio 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 15 gennaio 2019).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 1173-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari del Partito Democratico e di Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, deputata Fabiana Dadone.
FABIANA DADONE, Relatrice per la maggioranza. Grazie, Presidente. Colleghi, la proposta di legge che viene all'esame dell'Aula, approvata dalla Commissione Affari costituzionali, ha ad oggetto modifiche all'articolo 71 della Costituzione, che introducono nel nostro ordinamento il referendum propositivo e l'iniziativa legislativa popolare rafforzata.
Mi preme anzitutto sottolineare che il testo si fonda su un approccio che privilegia degli interventi che sono puntuali e volti a favorire un dibattito approfondito e condiviso, come merita qualsiasi proposta di modifica della Carta costituzionale.
La Commissione Affari costituzionali inizialmente è stata chiamata all'esame in sede referente della proposta di legge costituzionale atto Camera n. 1173, a firma dei deputati D'Uva, Molinari ed altri, recante “Modifiche all'articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare”, cui era abbinata la proposta costituzionale atto Camera n. 726, a firma dell'onorevole Ceccanti ed altri, recante “Modifiche all'articolo 71 della Costituzione, concernente l'iniziativa legislativa e l'introduzione del referendum propositivo”. Entrambe le proposte di legge modificavano l'articolo 71 della Costituzione nella parte in cui disciplina l'iniziativa legislativa popolare, introducendo una procedura rinforzata che si può concludere, al verificarsi chiaramente di alcune condizioni, con lo svolgimento di una consultazione referendaria.
Durante l'esame dei provvedimenti, avviato lo scorso 16 ottobre, è stata accolta la richiesta, avanzata dai rappresentanti delle minoranze, di un adeguato approfondimento delle tematiche attraverso lo svolgimento di un ampio ciclo di audizioni. Sono stati ascoltati - devo dire anche in maniera adeguata ed approfondita - diciotto professori universitari e sono inoltre pervenuti contributi scritti degli altri esperti che non hanno potuto intervenire in audizione.
A seguito delle audizioni è stata anche concessa, sempre su richiesta delle opposizioni, una discussione su quanto emerso dalle stesse prima che la sottoscritta avanzasse la proposta di un testo base. Al fine di costruire il consenso più ampio possibile, la maggioranza ha ascoltato l'opposizione, devo dire anche sacrificando alcune delle proprie ragioni; infatti a seguito, sia dei rilievi che sono emersi durante la discussione generale presso la Commissione, che dei rilievi e delle osservazioni formulate dagli auditi, ho presentato, come relatrice, un nuovo testo della proposta di legge atto Camera n. 1173, adottato poi come testo base dalla Commissione Affari costituzionali lo scorso 18 dicembre. Tale proposta di legge costituzionale lascia immodificato il testo vigente dell'articolo 71, composto di due commi, e lo integra, aggiungendo nuovi commi, con una nuova fattispecie di iniziativa legislativa popolare rinforzata rispetto alla proposta di legge di iniziativa popolare ordinaria, che sia sottoscritta da 500 mila elettori.
In sintesi, a seguito della presentazione dell'iniziativa legislativa popolare, la proposta di legge costituzionale in esame introduce un procedimento che prevede l'approvazione del testo da parte delle Camere entro diciotto mesi dalla sua presentazione. In caso di mancata approvazione da parte del Parlamento nel suddetto termine il referendum si svolge sulla proposta di legge d'iniziativa popolare. Nel caso in cui, nello stesso arco di tempo, le Camere approvino un testo diverso rispetto a quello della proposta di legge di iniziativa popolare il referendum è indetto su entrambi i testi, salvo che i promotori non rinunzino alla consultazione referendaria; in tal caso. il cittadino è chiamato a scegliere tra le due opzioni: “sì” o “no” su ciascuna delle due proposte di legge e, nel caso di voto favorevole su entrambe, può indicare il testo che preferisce tra i due testi alternativi, ovverosia quello proposto dai comitati promotori e quello approvato dalle Camere. È approvato il testo che ottiene la maggioranza dei voti validi. Nel caso in cui entrambi i testi ottengano la maggioranza dei voti validamente espressi, è approvato quello che ottiene complessivamente più voti. Anche il testo base, come l'iniziale proposta atto Camera n. 1173, non prevede alcun quorum di partecipazione per la validità del referendum.
È evidente che il meccanismo che viene delineato nel testo base, che prende spunto dalla proposta di legge n. 1173, è volto a favorire un'interlocuzione tra il Parlamento e il Comitato promotore proprio sulla base di un dialogo costruttivo nell'ambito di un procedimento legislativo che può concludersi con una consultazione referendaria solo eventuale. In effetti, il riconoscimento della facoltà di rinunzia al referendum da parte dei promotori, nel caso in cui la proposta approvata dal Parlamento sia in grado di soddisfare la richiesta popolare, evidenzia proprio l'importanza della necessità di dialettica tra il Comitato promotore e il Parlamento.
Con riferimento ai limiti di ammissibilità del referendum, il testo base, tenuto conto delle osservazioni emerse nel corso della discussione generale, integra la formulazione precedente, che prevedeva dei limiti espliciti ed altri impliciti, estendendo al nuovo istituto tutti i limiti dell'articolo 75 che non siano connessi alla natura meramente abrogatrice. In particolare, la formulazione proposta non fa un esplicito rinvio all'articolo 75 della Costituzione, ma prevede che il referendum non sia ammissibile per la proposta di legge ad iniziativa riservata; il che esclude che il nuovo istituto si applichi alle leggi di bilancio, la cui iniziativa spetta al Governo, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ma anche alle leggi di conversione dei decreti-legge di cui all'articolo 77 della Costituzione, e alle leggi di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di autonomia regionale differenziata. Inoltre, il referendum non è ammissibile nel caso in cui la proposta presupponga intese o accordi, il che va ad escludere le materie di cui agli articoli 7 e 8 della Carta costituzionale, quindi quelle che riguardano i rapporti con la Chiesa e le altre confessioni religiose, nonché, di nuovo, l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione ed anche tutti i trattati internazionali per la ratifica dei quali sia richiesta una legge di autorizzazione. Infine, il referendum non è ammissibile nel caso in cui la proposta verta su materie per le quali è richiesta una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione, con ciò escludendosi non solo l'amnistia e l'indulto, ma anche le leggi di attuazione dell'articolo 81 della Costituzione, sesto comma, in materia di bilancio, degli articoli 132, secondo comma, e 133, primo comma, della Costituzione, in materia di variazione delle circoscrizioni regionali o locali, nonché ovviamente delle leggi costituzionali o di revisione costituzionale, di cui all'articolo 138 della Costituzione.
Riguardo alla limitazione di cui all'articolo 75 della Costituzione, relativa alla materia tributaria, esclusa dal referendum abrogativo perché incompatibile con la natura meramente abrogativa dell'istituto, essa non viene contemplata con riferimento al nuovo istituto, perché lo stesso prevede che i promotori si facciano carico di provvedere alle relative coperture. Per questa ragione, tra i limiti di ammissibilità è esplicitamente incluso il riferimento all'obbligo di copertura finanziaria.
Tenendo conto, poi, di quanto emerso durante le audizioni, nel modificare la disposizione relativa alla legge di attuazione sul referendum, si prevede che tale obbligo di copertura sia disciplinato in modo da assicurare la congruità della copertura, sia al momento della presentazione della proposta, che successivamente, quando cioè essa venga sottoposta alla consultazione popolare. Quanto alla compatibilità della proposta di legge popolare con la Costituzione e il diritto sovrannazionale internazionale, la soluzione prescelta nel testo base rimane quella della proposta di legge Atto Camera n. 1173, ossia un controllo di ammissibilità preventivo che però non coincide con quello di costituzionalità, che resta successivo, ma sufficientemente ampio e penetrante in modo da assicurare alla Corte Costituzionale tutta la flessibilità necessaria per dichiarare inammissibili proposte che non siano conformi ai diritti e ai princìpi fondamentali sanciti dalla Costituzione, dai vincoli europei ed internazionali. Nel contempo, si evita che si attivi una procedura così complessa che prevede un pronunciamento popolare in relazione ad una proposta poi destinata ad essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
Mi preme sottolineare che la scelta di non prevedere un controllo preventivo di costituzionalità avente come parametro il rispetto di tutti i limiti costituzionali previsti, e quindi di maggiore ampiezza rispetto a quello di ammissibilità, trova la sua ratio - l'ho già detto più volte anche durante la discussione in Commissione - nella considerazione tecnico-giuridica di evitare che un pronunciamento della Corte costituzionale su tutti i parametri di costituzionalità, così come avviene in un giudizio preventivo, renda poi più complicato il successivo eventuale giudizio di costituzionalità, avendo quel testo già superato il vaglio della Corte stessa.
In relazione alla tempistica del giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale, è stato chiarito nel testo base che la Corte costituzionale interviene a valutare l'ammissibilità della proposta di legge necessariamente prima della presentazione alle Camere. Con riguardo ad alcune osservazioni formulate nel corso delle audizioni del dibattito in Commissione, si è ritenuto opportuno rinviare alla legge di attuazione la disciplina di alcuni aspetti, pertanto è stato modificato l'ultimo comma del testo specificando che, in sede di attuazione, sono disciplinate, oltre che l'obbligo di copertura e, come ricordavamo prima, anche di adeguamento, le ipotesi di concorso di più proposte di legge, le modalità di verifica di ammissibilità del referendum sul testo approvato dalle Camere da parte della Corte Costituzionale, così che esso non risulti disomogeneo rispetto alla proposta avanzata dal comitato promotore, nonché la sospensione del termine di diciotto mesi previsto per l'approvazione della proposta in caso di scioglimento delle Camere.
L'attività della Commissione sul testo base è poi proseguita con l'esame delle proposte emendative, il cui termine di presentazione, già fissato al 28 dicembre, è stato poi spostato al 3 gennaio 2019, su richiesta delle minoranze, poi ulteriormente posticipato al 7 gennaio. Sono state presentate circa 260 proposte emendative, provenienti da tutte le parti politiche, il cui esame si è svolto garantendo un'ampia dialettica tra maggioranza e opposizione. Gli emendamenti approvati rappresentano il punto di equilibrio tra le diverse esigenze di cui sono portatrici le forze politiche e prova l'apertura della maggioranza che, al fine di raggiungere un largo consenso, ha anche sacrificato alcune delle proprie posizioni su punti che sono tutt'altro che di dettaglio. Infatti, è opportuno segnalare che tra le modifiche apportate al testo nel corso dell'esame in Commissione, in accoglimento della proposta emendativa dell'opposizione, emendamento 1.215 (Nuova formulazione) Ceccanti ed altri, è introdotta la previsione di un quorum del 25 per cento dei voti validi per l'approvazione delle proposte sottoposte a referendum, quindi si è passati da un quorum zero a un quorum deliberativo. Tale modifica rappresenta senza dubbio un'importante risposta alle osservazioni che sono state avanzate dalle opposizioni e permette, ugualmente, ai cittadini di utilizzare il nuovo strumento popolare senza favorire manovre politiche di segno astensionistico, perché si tratta di un meccanismo che incentiva alla partecipazione sia i favorevoli che i contrari e scoraggia invece i comportamenti opportunistici, ossia quelli di chi piuttosto che andare a votare “no” preferisce non andare a votare, in maniera che si eviti di raggiungere la percentuale richiesta da un eventuale quorum partecipativo.
Inoltre, per rendere omogeneo il sistema, il quorum approvativo è stato esteso anche al referendum abrogativo, modificando l'articolo 75, quarto comma, della Costituzione, come previsto dall'emendamento approvato. La soluzione del quorum approvativo anche per il referendum abrogativo non modifica il quorum minimo, che oggi è previsto in astratto dalla Carta costituzionale. Infatti, il referendum abrogativo, per essere approvato, richiede la partecipazione del 50 per cento degli elettori, con l'approvazione da parte della metà di questi, cioè, di fatto, dimostra che oggi l'articolo 75 prevede come minimo che un quarto degli elettori si esprima a favore dell'abrogazione (anche se, in realtà, se si considerassero anche le eventuali schede nulle o bianche si andrebbe addirittura al di sotto di questo tipo di percentuale, per cui diciamo che è un quorum tutt'altro che basso e irrilevante, come è stato sottolineato su alcune testate giornalistiche).
Sulla base del citato approccio dialogante è stata poi approvata la modifica - sempre con emendamento a prima firma dell'onorevole Ceccanti 1.249 - in base alla quale la legge attuativa del referendum deve essere adottata con maggioranza assoluta, garantendosi che in una materia così delicata si realizzi il più ampio consenso rispetto a quello ordinariamente richiesto per l'approvazione delle leggi. Tale previsione, inoltre, escluderà che la disciplina contenuta in tale legge possa essere oggetto tanto di referendum abrogativo quanto di un'iniziativa popolare rafforzata.
Ulteriore dimostrazione dello spirito collaborativo è stata l'approvazione di una proposta emendativa che, raccogliendo un suggerimento proveniente sempre dall'opposizione (articolo aggiuntivo 1.03 Sisto), ha modificato la legge costituzionale n. 1 del 1953 al fine di inserirvi il nuovo giudizio di ammissibilità affidato alla Corte costituzionale, modificando conseguentemente il testo del 71 in simmetria con l'articolo 75. Con la medesima proposta sono stati inoltre accolti gli emendamenti presentati dagli onorevoli Speranza, Giorgis e Lucaselli, che spostano da centomila a duecentomila firme il momento del vaglio di ammissibilità della proposta dei comitati promotori.
Nel rivolgere un ringraziamento per il lavoro svolto a tutti i colleghi della Commissione affari costituzionali, esprimo anche l'auspicio che nei lavori dell'Assemblea si mantenga lo stesso spirito costruttivo. In Commissione il lavoro si è svolto molto bene, le audizioni sono state fatte in maniera adeguata, professore per professore, è stato dato un termine molto ampio, è stata data la possibilità a tutti di avanzare domande e di ricevere risposte effettive. Da parte di tutti c'è stata una collaborazione, compresa dall'opposizione, e da parte di questa maggioranza c'è stata un'apertura, non soltanto a parole, nell'ascoltare quelli che erano i rilievi e nel recepirli, anche su punti che sono stati per noi dirimenti ed importanti. Quindi spero che potremo continuare a lavorare così anche in Aula.
Un'ultima puntualizzazione: in Commissione mi ero riservata di approfondire alcune tematiche. Spero, infatti, che dal dibattito in Aula potranno emergere delle soluzioni che potranno risolvere positivamente alcuni degli ultimi profili critici sollevati dalle opposizioni, in particolare sulla richiesta di estendere l'ambito di ammissibilità in maniera preventiva alla Corte costituzionale, anche se la mia unica perplessità - l'ho detto molte volte in Commissione e lo ribadisco anche qui - è di creare una sovrapposizione tra il giudizio preventivo e quello successivo della Corte. Tuttavia, ciò che sta a cuore - chiaramente - non solo a me ma a tutta la maggioranza, è di riuscire a creare uno strumento che sia il più condiviso possibile, perché, chiaramente, la Carta costituzionale non è di una maggioranza ma di tutti.
Nel contempo valuterò con molta attenzione anche tutte le proposte che arriveranno in merito al riparto delle competenze tra Stato e regioni, che sono sicuramente meritevoli di attenzione, e altresì quelle relative all'espressione della seconda preferenza tra i due testi di legge che potrebbe esprimere l'elettore in caso di referendum, come evidenziato in Commissione. Sono quindi intenzionata a dichiarare che il testo è ancora aperto al confronto di tutti. Spero che sia un dibattito vero, come lo è stato in Commissione, e costruttivo, come lo è stato in Commissione, perché abbiamo la responsabilità di offrire uno strumento di partecipazione reale, di valorizzare il ruolo del Parlamento e di migliorare il funzionamento delle istituzioni democratiche (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza deputato Stefano Ceccanti.
FEDERICO FORNARO (LEU). Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDERICO FORNARO (LEU). Chiedo scusa al collega Ceccanti, non volevo rubargli la scena. Volevo sollevare, Presidente, una questione di carattere procedurale di non facile soluzione, ma che a nostro giudizio rappresenta un vulnus serio al procedimento di riforma costituzionale che Camera e Senato stanno svolgendo in parallelo, perché è noto a tutti che alla Camera è stato presentato questo disegno di legge, al Senato un disegno di legge riguardante la riduzione del numero dei parlamentari. Perché sottopongo alla sua attenzione questo problema? Perché, come è stato ricordato anche dalla relatrice, in sede di discussione in Commissione è stata inserita una modifica significativa al testo originario, perché, nel momento in cui la Commissione ha deciso di introdurre il quorum, lo si è fatto anche per l'articolo 75, cioè si è intervenuti anche su un articolo che originariamente non era stato toccato dalla riforma costituzionale, per essere chiari, correttamente, a nostro giudizio, cioè è ovvio che quando intervieni su un singolo articolo, questo articolo non è completamente avulso da tutto il resto.
Le segnalo questo perché al Senato, parallelamente, la riduzione del numero dei parlamentari ovviamente incide, per esempio, sul plenum per l'elezione del Presidente della Repubblica. Perché? Perché non viene soltanto diminuito il numero di deputati e senatori, ma il numero dei delegati regionali non viene toccato e quindi il peso dei delegati regionali sul totale cambia radicalmente. In quella sede, il nostro gruppo presenta in Commissione un emendamento in merito a questo, che viene dichiarato inammissibile per estraneità di materia. Quindi, è chiaro che questo è un problema che riguarda il Senato. Lo sollevo qui, Presidente, però, per avere un comportamento uniforme, cioè la scelta compiuta dalla maggioranza, e sostenuta dal Governo, di non fare un intervento di tipo complessivo, ma un intervento sui singoli articoli, quindi interventi puntuali, può essere anche condivisibile, e poi questo sarà oggetto, ovviamente, non di un intervento sull'ordine dei lavori; le pongo però la questione della necessità di un coordinamento interpretativo, perché altrimenti noi ci troveremo in una situazione molto antipatica, ovvero, nel momento in cui tornasse, quando arriverà in prima lettura alla Camera, per esempio, il testo, e qui ci fosse invece un'interpretazione diversa sulle ammissibilità, io credo ci troveremmo di fronte a un vulnus - lascio parlare poi i professori, quindi toccherà all'onorevole Ceccanti - sul processo, sul procedimento.
Io glielo segnalo, l'ho voluto fare adesso, in assoluta tranquillità, non c'è nessuno spirito polemico, però questa è una questione che, non so in che modo si possa risolvere, quindi lo preannuncio, però mi sento in dovere di segnalarla, perché questo è un elemento, secondo noi, estremamente critico.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, Stefano Ceccanti.
STEFANO CECCANTI, Relatore di minoranza. Premesso che quello che ha detto il collega Fornaro è stato sostenuto anche dai colleghi del gruppo PD del Senato, che hanno rimarcato una eccessiva ristrettezza dei criteri di ammissibilità, e quindi, visto che poi dovremo esaminarlo noi, è vero che noi potremo distanziarci da quei criteri, come diceva poco fa informalmente anche il Presidente, però, forse, se lo uniformassimo già a priori, avendo ancora la possibilità, la Presidente Casellati, di correggere l'ammissibilità per l'Aula, forse non sarebbe male.
Chiusa questa parentesi, vengo però alla relazione di minoranza. Io ho presentato un testo scritto integrale, quindi mi limito a focalizzare i problemi. Perché noi abbiamo una posizione di contrarietà molto forte a questo testo, nonostante che uno dei tre macroproblemi, che avevamo sottolineato a dire la verità non solo noi ma l'unanimità degli esperti, quello del quorum, su cui non torno? Perché di questi tre problemi - ne sono rimasti due - ne basta uno solo a configurare un modello che stride con quei principi costituzionali.
Noi abbiamo in Costituzione l'abrogativo. L'abrogativo è un correttivo della democrazia rappresentativa, non si propone di sostituirla. È abbastanza evidente perché: perché toglie solo delle norme, anche se poi, attraverso il taglio delle norme abbiamo tutti imparato anche a costruire, in qualche modo, delle norme. Si può benissimo inserire il propositivo, cioè è pieno di proposte, nelle scorse legislature, di inserire il propositivo: tra l'altro, io ne avevo presentata una, prima di quella della maggioranza, ma tutte le commissioni per le riforme l'hanno proposta; in ultimo, c'è il bel lavoro della commissione di esperti del Governo Letta, che ha un punto specifico sul propositivo.
Però, anche il propositivo va sempre impostato come correttivo della democrazia rappresentativa e non come sostitutivo, questo è il problema. Quali sono i due punti su cui ancora il testo lo configura come alternativo, invece che come correttivo? Il primo è il problema dei limiti: se noi passiamo, per così dire, dalle armi convenzionali - il referendum abrogativo - all'arma nucleare - il referendum propositivo -, perché è un'arma nucleare scrivere direttamente in positivo una legge, è evidente che i limiti devono essere almeno uguali a quello delle armi convenzionali, tendenzialmente di più, perché appunto lo strumento è più potente.
In particolar modo, stridono i limiti sulle leggi di spesa, perché se voi andate a vedere in particolare il rapporto dei saggi del Governo Letta, dice: mi raccomando non vanno inseriti su testi che incidono su entrate o spese, perché il Parlamento che ci sta a fare? Fondamentalmente la legge di bilancio: no taxation without representation, non può diventare no taxation without referendum, altrimenti non si giustifica più neanche l'elezione del Parlamento. Un conto è se io faccio un referendum su una legge che ha conseguenze sulle spese, tendenzialmente un po' tutte le leggi hanno conseguenze sulle spese, ma un conto è se io, surrettiziamente, faccio una legge di bilancio per via referendaria. È vero che la legge di bilancio in quanto tale, essendo una iniziativa riservata del Governo, non è referendabile, ma se io costruisco un grappolo di tre quesiti, per esempio sulla flat tax, sul reddito di cittadinanza e su “quota 100”, io riscrivo, con tre quesiti propositivi, una intera legge di bilancio; dopodiché, appunto, non si capisce che ci sta a fare il Parlamento.
L'altro punto è la materia penale, perché è evidente a tutti che c'è un rischio di demagogia in ambito penale - non vorrei entrare nella polemica spicciola su come si esibiscono i condannati nell'arena pubblica in questi giorni, ci sono oggi, per fortuna, alcuni giornali che insistono sulla differenza tra la certezza della pena e l'esibire in maniera demagogica questo - però, queste cose si possono riprodurre anche su iniziative referendarie su reati, possono accadere dei fatti di cronaca, per cui uno propone pene spropositate che passano magari a furor di popolo. Stiamo bene attenti a quello che facciamo.
E questo è anche l'argomento chiave per un controllo preventivo forte, non solo genericamente di ammissibilità, ma di costituzionalità. È vero che questo non c'è sull'abrogativo, ma con l'abrogativo io tolgo norme e quindi è logico che preventivamente ci sia solo un giudizio di ammissibilità per le materie proibite e che il giudizio di costituzionalità sia successivo, ma si presuppone, fra l'altro, che quelle norme siano già state controllate dalla Corte; per cui, amputando solo norme, non c'è il problema di un controllo di costituzionalità preventivo. Ma se io creo il propositivo, creo delle leggi a forti rischi di incostituzionalità. Queste leggi non le può controllare in maniera efficace il Presidente della Repubblica, perché al Presidente della Repubblica arrivano già votate dal corpo elettorale. Quindi, a differenza del rinvio presidenziale sulle leggi delle Camere, un Presidente dovrebbe rinviare una legge votata o proposta dal corpo elettorale oppure votata dal Parlamento, già sottoposta a referendum, e obiettivamente un rinvio presidenziale è più complicato.
Quindi, proprio su leggi di questo tipo, prima che si arrivi a un voto popolare di massa con milioni di elettori, più di 12 milioni e mezzo, che votino “sì”, si giustifica pienamente un controllo preventivo pieno della Corte costituzionale su questo. Questo è un elemento di garanzia fondamentale del quadro d'insieme e che non c'entra col controllo successivo, si aggiunge al controllo successivo.
Il controllo successivo è un controllo concreto, in cui si va a vedere puntualmente se l'applicazione della norma… Quando noi approviamo una norma non sappiamo come possa essere interpretata, e quindi il controllo successivo risponde a questo: l'impatto della legge nel concreto; invece il controllo preventivo ti risolve il problema di norme che a priori si capisce che sono incostituzionali. Fra l'altro io credo che dovremmo introdurlo su proposta di significative minoranze parlamentari anche per le leggi del Parlamento, perché questo aiuterebbe anche a ridurre il nostro dibatto di polemica sulla costituzionalità delle leggi quando noi parliamo delle pregiudiziali, e così via. Quindi questo è il primo macro-problema, il problema dei limiti che riguarda materia di bilancio, che riguarda materia penale e che riguarda il controllo della Corte.
Il secondo macro-problema è il problema di come si imposta il rapporto tra la proposta popolare e il contro-progetto parlamentare. Ora, è ovvio che se c'è un referendum propositivo, un'iniziativa popolare, il Parlamento non fa niente o la boccia, si vada ad un referendum: questo rientra nelle cose pacifiche. Qui però le cose sono impostate in modo tale che nel momento in cui la proposta popolare è presentata c'è un automatismo, e quella, qualsiasi cosa faccia il Parlamento, va al voto come tale. Quindi è una sorta di strumento non negoziabile: il Parlamento può anche andare nella medesima direzione e cambiare una virgola e si fa il referendum lo stesso. Questa è un'impostazione antiparlamentare del testo, perché noi siamo giustamente abituati all'abrogativo: nell'abrogativo… Ora, mi esprimo in termine non tecnico, la Corte Costituzionale usa un altro linguaggio, ma la sostanza, per farci capire da tutti, è: se il Parlamento va nella direzione voluta dai promotori, il referendum non si tiene, ed è un giudice terzo, la Corte di cassazione, che valuta se la direzione è veramente quella dei promotori, nel qual caso il referendum è superato; oppure, se la direzione non è quella, la Corte di cassazione traspone il quesito sulla nuova normativa: ormai queste tecniche referendarie le conosciamo tutti perché le abbiamo utilizzate. Perché non fare la stessa cosa anche nei riguardi del propositivo? E quindi assumere la possibilità che il Parlamento, nella discussione parlamentare, vada nella direzione, raggiunga un altro livello di maturazione del testo e renda superfluo il voto. Perché dobbiamo a tutti i costi mettere in contrapposizione il testo del Parlamento e il testo del corpo elettorale anche quando la direzione è la stessa? Questo è il punto.
Ma poi, nel caso in cui il Parlamento intervenga e vada in altra direzione, perché creare un meccanismo barocco in cui dobbiamo mettere al voto degli elettori tre quesiti? Vuoi tu il testo il del Parlamento o lo status quo, vuoi tu il testo del corpo elettorale o lo status quo o facciamo uno spareggio? È evidente che se il Parlamento decide in senso diverso, come accade sull'abrogativo, a quel punto è il Parlamento che ha scelto, non il corpo elettorale, è il Parlamento che ha scelto di dire: noi abbiamo fatto una proposta in una direzione diversa da quella del corpo elettorale, le alternative sono queste. È il Parlamento che si assume la responsabilità di agire in senso diverso; ma non bisogna costruire una scheda, magari con più consultazioni in contemporanea, abbiamo dieci schede con tre quesiti per ogni scheda! Questa è una cosa che va a colpire molto la capacità dell'elettore di discernere che cosa vota. Ve le immaginate dieci schede lo stesso giorno, con tre quesiti per ogni scheda?
Ma al limite… Noi siamo radicalmente contrari a questo modo di impostare la consultazione, anche perché rende difficile agli elettori capire; però al limite…
PRESIDENTE. La invito a concludere.
STEFANO CECCANTI (PD). Mi date ancora un minuto? Io eviterei davvero di fare la cosa che è scritta, che abbiamo capito solo alla fine che è scritta così, per cui al terzo decisivo quesito possono votare solo quelli che hanno votato due “sì”: perché se mi dite che volete imitare la Costituzione svizzera, che ha questo meccanismo barocco, il meccanismo è barocco ed è sbagliato, però perlomeno al terzo quesito si chiede a tutti gli elettori cosa vogliono. Allora se un gruppo di giovani, per esempio, è contrario ad un'iniziativa demagogica sulle pensioni, quella popolare vuole “quota 80”, il Parlamento vota quota 100, un gruppo di giovani che si sente leso dall'equilibrio del sistema pensionistico può voler votare “no” a tutti e due, ma se tutti e due passano vorrà poter votare il male minore nella terza, e dire: preferisco, se proprio deve passarne una, “quota 100” anziché “quota 80”.Guardate che questo, oltre che essere sbagliato, incide sulla libertà e l'uguaglianza del voto, perché nel quesito decisivo una parte degli elettori non può votare, non può scegliere il male minore: questo è ai limiti dell'assurdo!
Chiuderei quindi dicendo questo: cerchiamo seriamente di concentrarci su questi macro-problemi, che rendono il testo fortemente stridente con i princìpi supremi, perché capita molto spesso che vengano enunciati in buona fede dei begli obiettivi. Qui ci vengono promesse le valli dalla Svizzera o il sole della California, ma non vorrei che invece finissimo in Polonia o in Ungheria, nelle democrazie illiberali dell'Est, o finissimo nell'Argentina di Juan Domingo Perón, perché spesso non volendo si parte in una direzione ma purtroppo si finisce nella direzione opposta. Invito tutti a rileggere online, la rivista Mondoperaio ha ripubblicato il testo di Norberto Bobbio del 1975 Quali alternative alla democrazia rappresentativa?: Norberto Bobbio ci dice che fin qui tutti quelli che hanno cercato il meglio per andare oltre la democrazia rappresentativa sono finiti della non democrazia. Stiamo attenti a quello che facciamo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali)!
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Francesco Paolo Sisto.
FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore di minoranza. Presidente, quando ci si occupa della Costituzione la franchezza è particolarmente obbligatoria, perché la Costituzione è lo chassis su cui innestiamo il nostro lavoro di parlamentari; e se il Parlamento ha ancora una funzione (credo che si chiami democrazia rappresentativa, una parola che è dimenticata completamente in questo provvedimento), la franchezza è certamente obbligatoria.
Io sono rimasto molto stupito dell'intervento precedente del professor Ceccanti, che probabilmente aspira a diventare Ministro nel prossimo Governo con i 5 Stelle, perché qui è evidente che siamo di fronte - e mi dispiace, perché la lealtà nei confronti dalla Costituzione in politica non dev'essere mai abbandonata - ad un provvedimento che ha due difetti: un grandissimo difetto di merito ed una falsa rappresentazione della realtà sul metodo.
Partirò dal metodo, anche se qui l'incertezza sull'incipit è di rigore. Questa partecipazione ai lavori, questa pretesa di accogliere gli emendamenti: Presidente, qui siamo di fronte ad un provvedimento che sconvolge la democrazia rappresentativa sovrapponendo una presunta democrazia diretta a quello che è il lavoro del Parlamento come scritto dalla Costituzione. Ricorderò - il professor Ceccanti non l'ha ricordato per mera dimenticanza - che l'articolo 70 affida la funzione legislativa alle due Camere: il nostro è un sistema che parte da questo presupposto, e questo provvedimento viola clamorosamente questo principio. Certo, la democrazia diretta è di supporto, a parole, a quella rappresentativa; ma quando 500 mila professionisti dalla firma… Questo è un provvedimento lobbistico, che consegna alle lobby la possibilità di scrivere le leggi! 500 mila professionisti della firma, noi avremo le società di servizi legislativi, avremo l'appalto di servizi legislativi, perché 500 mila professionisti potranno essere chiamati alla “qualunque”, si dice in questa città, potranno essere chiamati a qualsiasi forma di intervento e sovrapposizione sul Parlamento. Questo non lo dice nessuno, e mi aspettava dal professor Ceccanti che lo dicesse: perché il difetto di fondo di questo provvedimento è che non è un provvedimento per il popolo, è un provvedimento per pochi! E non si può contrabbandare in quest'Aula una verità evidente: l'evidenza della verità, ahimè, non ammette interpretazioni, 500 mila persone potranno mettere in difficoltà un'intera nazione, un intero Stato, senza limiti, senza numero, quante volte vogliono! Su tutte le materie, perché anche le deroghe sono ridicole: addirittura abbiamo eliminato i vincoli europei, cioè ci potremo sottrarre ai vincoli europei; un'intuizione geniale, e che ripropone il problema di un Paese che vuole uscire dall'Europa. Perché questa è la verità: è un attacco concentrico ai principi della democrazia costituzionale, cercando di demolirli progressivamente uno per uno, e sperando, come diceva Jhering, che la sanzione, la Corte Costituzionale arrivi troppo tardi rispetto a provvedimenti che possono avere una loro dimensione.
Noi siamo coerenti. Io vedo delle strane similitudini, Presidente, fra il referendum renziano e questo modo di approccio e questo parallelismo fra il Partito Democratico e i 5 Stelle in Commissione è stato evidente. L'accoglimento di emendamenti è sembrato un peana per il Partito Democratico, che ha scritto: “È stato accolto il nostro emendamento”, ma su che? Su un provvedimento antidemocratico e anticostituzionale!
Allora, questo strano feeling, questa corrispondenza d'amorosi sensi io l'ho chiamata, in qualche modo, non “divergenze parallele”, come accade fra la Lega e i 5 Stelle, ma “sinergia diversificata”, cioè una sorta di stare insieme su luoghi diversi, nella prospettiva che si possa verificare quello che si è verificato con la Lega. Però, mi sembra un segnale molto preoccupante quando si tratta di Costituzione, un segnale che noi abbiamo raccolto per fare l'esatto contrario, cioè per mantenere coerenza. Qui io ricordo che anche quando abbiamo discusso sul referendum renziano si contrabbandava, in Commissione, una disponibilità ad accogliere gli emendamenti. Un contrabbando di disponibilità perché sostanzialmente il testo è rimasto esattamente quello che era, salvo il quorum, che era evidente che dovesse essere introdotto e c'era la componente leghista che aveva detto più volte che questa norma non sarebbe passata senza il quorum; e, quindi, l'accoglimento dell'emendamento del collega Ceccanti è un andare incontro a quella che è un'esigenza del Governo. Per carità, ognuno poi può bearsi di quello che ritiene.
Ma, Presidente, andiamo alla struttura. Questo metodo di sinergia diversificata, questa prospettiva verso il futuro, questo aver lanciato un possibile feeling fra forze che apparentemente, almeno in Commissione, si sono combattute non è accogliere gli emendamenti: è fingere di accogliere gli emendamenti. Inoltre, ha un linguaggio sciatto, assolutamente non costituzionale. Che vuol dire quando la Camera approva un testo diverso? Me lo spiegate che vuol dire un testo diverso? E i proponenti non rinunciano al referendum; ma quali proponenti rinunceranno al referendum? E che cos'è un testo diverso? Una parola, un avverbio, un periodo, un diverso posizionamento? È una norma costituzionale incerta. Ma si può portare in Aula una norma incerta sotto un duplice profilo? Non funziona il sistema di votazione. In Commissione, l'ultimo giorno, ho detto: “Scusate: che vuol dire i voti complessivamente, cioè un avverbio?”. Complessivamente vuol dire che bisogna fare i conti e quando siamo andati a fare i conti - e qui mi può correggere il professor Ceccanti se dico una cosa sbagliata - nessuno è stato capace di trovare la quadra. Cioè, non si capisce il quorum come si calcola e non si capisce come si calcola chi vince nel derby fra il popolo il Parlamento. E quando il popolo avrà votato - che è un popolo finto sostanzialmente, perché il punto di partenza è lobbistico e noi su questo insistiamo: non è democrazia diretta ma è democrazia diretta da chi vogliamo sapere; chi dirigerà questa democrazia? - e la Corte costituzionale dovrà porsi il problema se quella legge è incostituzionale o meno, Corte costituzionale contro popolo. Ma che meraviglia! Che meraviglia: la Corte costituzionale contro il popolo! Quale sarà l'effetto rebound sulla Corte costituzionale? Una delegittimazione, se dovesse dire che quella legge è incostituzionale. Ma come? Ti azzardi a dire che il popolo è incostituzionale? Ma voi capite gli effetti tragici, perché è questo quello che ci manca: l'attacco alla Presidenza della Repubblica e alla Corte costituzionale. Ci siamo, ci siamo!
Io credo che noi non possiamo legittimare tutto questo. Noi riteniamo che se ci fosse stato un quorum del 51 per cento degli aventi diritto il tema sarebbe cambiato perché la forza - la forza! - del 51 per cento degli aventi diritto è una forza indiscutibile, ma è quel 25 per cento calcolato in quel modo imperscrutabile (così definisco la scrutinio di quelle schede). È imperscrutabile, caro professor Ceccanti. Ho capito che lei difende il provvedimento e sorride. L'ho detto prima: c'è feeling. C'era una famosa canzone che diceva: “C'è feeling”. Io il feeling lo vedo; lo vedo, lo sento, lo percepisco e lo vedo sul sorriso di un illustre costituzionalista che non ci ha detto che c'è un dato di fondo, che non è una legge del popolo, non è democrazia diretta, ma è una democrazia indiretta, è una democrazia pericolosissima.
Da questo punto di vista, Presidente, la relazione di minoranza - e la parola “minoranza” mai come in questo momento onora Forza Italia - è una relazione che mette in guardia il Parlamento, mette in guardia i singoli e dice quello che si vuole far passare. Io non utilizzo le parole “buona fede” perché quando si tratta di Costituzione non c'è buona fede che tenga, vale quello che si fa, si dice, si pensa, si scrive e si vota. Non si può (Commenti del deputato Ceccanti)…quello è Bonafede e buona fede è una cosa diversa, grazie a Dio.
Allora, siamo di fronte alla impossibilità di avere alibi, attenuanti, non conoscenza e pressappochismo, perché parliamo di Costituzione e se questo è il tema, la mancanza di limiti è un altro segnale fortissimo. Si pensi alla possibilità di legiferare in materia penale e si pensi che in materia penale ci potrebbe essere uno scontro epocale su nuovi reati, su nuove situazioni, su nuove fattispecie. Noi creiamo, all'interno del Paese, la possibilità di uno scontro sulla legislazione penale, a fronte di principi costituzionali che devono essere comunque mantenuti.
Allora, io penso che il nostro atteggiamento, se vi fosse stata reale disponibilità, sarebbe stato diverso, se non ci fosse stata una discrezionalità vincolata all'incostituzionale norma introdotta nella Costituzione all'articolo 71 nel vero tentativo di sobillare i poteri che sono descritti nella Carta costituzionale. La democrazia rappresentativa deve mantenere il faro e poi la democrazia diretta può essere di supporto. Questa è la logica indispensabile che l'articolo 70 conferma e, quindi, da questo punto di vista il nostro sforzo sarà teso a contrastare questo provvedimento, che non è di democrazia diretta, ma di una democrazia soltanto apparente (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Roberto Speranza.
ROBERTO SPERANZA, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Io ritengo la discussione che si apre stamattina molto importante, perché non è materia ordinaria quella di cui discutiamo ma è materia sacra, come sacra è evidentemente la nostra Carta costituzionale. Credo che questo sia lo spirito che debba guidare tutti noi per il buon lavoro che è stato fatto in Commissione - e voglio riconoscerlo - e per il lavoro importante che credo dovremo fare dentro quest'Aula.
Voglio fare subito due premesse di natura metodologica, ma che mi sembrano di straordinaria importanza. La prima è un apprezzamento, perché ritengo che la scelta di non procedere a una grande riforma che toccasse un numero enorme di articoli della nostra Carta costituzionale, ma di procedere con riforme specifiche e puntuali su singoli argomenti sia un metodo giusto e anche in controtendenza rispetto alle scelte degli ultimi anni e mi pare che questo sia stato riconosciuto anche da illustri costituzionalisti che hanno partecipato alle nostre audizioni. Il secondo punto, la seconda premessa, mi sta ancora più a cuore: io ritengo che quando si parla di Costituzione bisogna avere il coraggio di abbassare i limiti e i muri che spesso ci sono nel confronto tra le forze politiche. Calamandrei lo diceva in modo egregio durante i lavori della Costituente: “I banchi del Governo siano vuoti”, diceva Calamandrei. Il messaggio di fondo è che quando si parla di Costituzione bisogna provare a togliersi le casacche e a capire come si costruiscono soluzioni migliori per il Paese. E qui viene posta, da chi ha voluto procedere a questa iniziativa, una materia che è assolutamente delicata e mi permetto di dire subito che quando ho visto che le due firme che facevano partire questo procedimento erano le firme dei due capigruppo dei partiti che oggi governano l'Italia io ho avuto subito la sensazione che si fosse di fronte a una clamorosa contraddizione di questo principio. Io penso che quello sia stato un errore e penso che in queste ore bisogna fare tutto il possibile - e lo dico in modo particolare al Presidente Fico - per evitare che la dinamica che si sviluppa attorno a questa discussione ridiventi l'ennesimo muro contro muro tra opposizione e maggioranza. Ieri ne ho visto il rischio quando, in Commissione, sul voto relativo al mandato al relatore, gli unici voti a favore sono stati quelli dei partiti di maggioranza e tutte le forze di minoranza prima del mio intervento, quindi le principali forze di opposizione di questo Parlamento, hanno votato contro sul mandato al relatore.
Io in quella sede ho scelto di non partecipare al voto finale sul mandato al relatore proprio per lasciare aperto uno spazio di natura politica anche nell'interlocuzione tra le forze, per provare ad evitare questo muro contro muro perché, se anche io avessi votato no, tutti i gruppi formalmente costituiti, a parte il voto dell'onorevole Magi, sarebbero stati contrari e quindi saremmo arrivati esattamente a quella dinamica di scontro maggioranza-minoranza che in materia di Costituzione - voglio ribadirlo - andrebbe evitata sempre. Per far questo, c'è sicuramente una responsabilità delle minoranze - io credo di aver fatto la mia parte nella giornata di ieri e anche in queste settimane - ma c'è soprattutto una responsabilità enorme della maggioranza e - mi permetto di dire - alcune delle cose che ho ascoltato stamattina nella introduzione della relatrice spero che segnalino un atteggiamento di apertura e di coinvolgimento nelle prossime ore.
Io ho depositato una relazione scritta perché la materia è molto delicata e abbiamo pochi minuti, ma proverò a toccare in un istante i tre punti che anche a me sembrano decisivi, uno dei quali è stato risolto - io credo - abbastanza brillantemente, cioè l'idea di un quorum propositivo al 25 per cento. È una formula che mi convince perché assicura la necessità di una partecipazione popolare alta e non disincentiva chi è contrario alla proposta, cioè la non partecipazione (quindi non c'è un elemento di disincentivo che, purtroppo, abbiamo visto nella storia del Paese). Restano, però, problemi enormi che riguardano sia i limiti di materia, sia il funzionamento del ballottaggio, in modo particolare il rischio dello scontro tra piazza e palazzo, che credo nel nostro Paese vada evitato.
Vorrei essere chiaro: se il testo fosse questo, cioè quello che abbiamo approvato ieri in Commissione, ritengo che ancora sarebbe un testo insufficiente. Noi ci muoviamo, Presidente Fico, su un filo che è molto sottile: è un filo che deve tenere insieme due opposte necessità, che però si possono provare a tenere insieme. Da una parte vi è la legittima domanda di offrire una maggiore possibilità di partecipazione popolare alla costruzione del processo legislativo. La mia opinione è che sia un bene lavorare in tale direzione. Se si riescono ad ampliare le modalità attraverso cui il popolo italiano partecipa alla costruzione di leggi, noi siamo d'accordo: è un fatto positivo. Però, c'è un problema: questo deve avvenire, può avvenire, dentro il rispetto della sacralità della nostra democrazia rappresentativa, della nostra democrazia, che è una democrazia parlamentare e, dico io, è una democrazia dei partiti.
Ritengo che senza ulteriori modifiche, che noi abbiamo puntualmente proposto - il gruppo di Liberi e Uguali ha proposto una ventina di emendamenti, quindi stiamo parlando degli strumenti minimi per provare ancora a migliorare il provvedimento - purtroppo tale equilibrio, ad oggi, ancora non c'è.
Sulla limitazione di materia vengo velocemente al merito: credo che sia necessario semplicemente rendere le limitazioni della modifica dell'articolo 71 omogenee a quelle dell'articolo 75. Non si può immaginare che ciò che è vietato nell'articolo 75, cioè nel referendum abrogativo, diventi invece fattibile nell'articolo 71, perché l'abrogazione di una norma può avvenire in maniera implicita attraverso la proposizione di una nuova norma. Ogni nuova norma che viene proposta e che viene approvata ha sempre anche una valenza abrogativa rispetto alle norme precedenti. Allora, è evidente che se non si omologano le due fattispecie, cioè l'articolo 71 e l'articolo 75, si finisce con il creare una contraddizione, per cui ciò che è vietato nell'articolo 75 è surrettiziamente concesso nell'articolo 71 e tale principio vale in modo particolare per una materia delicatissima per il Paese, ossia la materia fiscale.
È evidente che le limitazioni di materia devono rappresentare in modo particolare una cautela assoluta per tutte le proposte che hanno natura costituzionale. Qui viene un altro punto che è decisivo: grazie al lavoro della Commissione siamo riusciti ad ottenere che, con il raccoglimento delle 200.000 firme, scatti un meccanismo di vaglio di preventiva ammissibilità. Ebbene, noi chiediamo che oltre a questo vaglio di ammissibilità ci sia anche un vaglio di costituzionalità preventivo. Credo che ciò sia particolarmente importante proprio perché se un testo entra in vigore dopo il referendum, non c'è più il potere del Presidente della Repubblica di rimandare il testo stesso alle Camere. Quindi, una procedura preventiva in cui la Corte costituzionale ci dice che non ci sono problemi, ci consente di mettere tutto il procedimento successivo al riparo da eventuali rischi. Sul quorum, poi, ho detto che la soluzione mi sembra sufficiente.
Il terzo punto è invece più delicato e, a mio avviso, è un punto di confronto tra le nostre culture politiche, laddove in questo Parlamento è legittimo che ci siano anche differenze tra di noi. Lo ribadisco: io credo molto nella democrazia dei partiti, nella democrazia parlamentare, pur essendo convinto che bisogna sforzarsi di ricercare un contatto più forte, quindi ben venga un pezzo d'iniziativa legislativa, ma la modalità con la quale viene proposto questo ballottaggio porta ad uno scontro molto, molto duro tra piazza e Parlamento. Vedo quindi un problema che è più grande di tutti, oltre alle questioni per così dire più burocratiche e organizzative riferite a una scheda che ancora mi pare molto confusa e su cui mi auguro si voglia lavorare.
Che cosa accade qualora la Camera, il Parlamento, entro diciotto mesi modifichi il testo proposto dalla raccolta di firme? Io non penso che possano essere i proponenti a decidere se il Parlamento ha rispettato o meno la loro volontà. Ad oggi, purtroppo, nel testo che stiamo discutendo stamattina, si dà il potere di scelta a uno dei due giocatori: quando il Parlamento nei diciotto mesi legifera sulla proposta che viene fatta dai proponenti attraverso la raccolta di firme, è chiaro che noi abbiamo due giocatori, come in una partita. Vi è, infatti, un testo dei proponenti e un testo del Parlamento, ma a decidere se il testo del Parlamento ha assunto o meno i principi della proposta non può essere uno dei giocatori, perché è evidente che noi, con un messaggio di questo tipo, non riconosciamo la dignità del Parlamento. Sia la Corte costituzionale o sia un organismo terzo - valutiamo quale insieme - a decidere se il lavoro del Parlamento ha assunto quei principi. Il testo, così come è scritto oggi, mette la decisione in mano a chi ha raccolto le firme, ma potete immaginare che chi ha raccolto le firme del Paese con una campagna faticosissima - perché 500.000 firme non son poche - non faccia poi tutto il possibile per arrivare al referendum? Allora, è evidente che il rischio di uno scontro tra piazza e Parlamento diventa molto probabile.
Concludo dicendo, ancora una volta, che non credo nella democrazia diretta e vorrei ricordare a una parte di questo Parlamento, che spesso si è in qualche modo richiamata a un pensatore importante come Rousseau, a una pagina de Il Contratto sociale, che è un grande libro della cultura dell'Ottocento e della cultura europea, che era lo stesso Rousseau ad avere molti dubbi sulla democrazia diretta. Mi permetto di leggere due frasi: “Presso i Greci tutto ciò che il popolo doveva fare lo faceva direttamente: sedeva continuamente in pubblica assemblea nella piazza. Ma quel popolo viveva in un clima mite, non era avido e i suoi lavori erano fatti dagli schiavi”. Ritengo che la democrazia diretta possa esistere in tempi e con modalità che non sono quelli in cui noi viviamo: qui si tratta di fare altro, cioè di capire come si rafforzano modalità di partecipazione popolare che sono positive.
Ritengo che questo Parlamento possa davvero provare ad ottenere un risultato concreto se però approva nel merito alcune puntuali modifiche che ci consentono di trovare quell'equilibrio. Lo ribadisco: quell'equilibrio oggi non c'è. Il testo, così com'è oggi, non è sufficiente, ma basterebbe un'apertura reale su alcuni punti fondamentali per poter costruire una riforma positiva per il Paese, per la nostra Costituzione e che dà anche un segnale di capacità di questo Parlamento di superare quell'odioso muro contro muro, opposizione-maggioranza, a cui purtroppo ci stiamo abituando (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare la deputata Lorenzin. Ne ha facoltà.
BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). Presidente, onorevoli colleghi, oggi stiamo discutendo di qualcosa che potrebbe fare la storia, cambiare la storia del nostro Paese, ma stiamo discutendo essenzialmente anche della storia dei processi democratici. Se dovessimo fare un riferimento all'attualità, possiamo dire che questo dibattito di oggi è un dibattito che virtualmente o realmente continua quello di ieri che è avvenuto alla Camera inglese sulla Brexit. Esempio di democrazia diretta, vediamo che cosa sta succedendo in Gran Bretagna dopo due anni: una situazione drammatica, che vede il Paese diviso, e anche una lacerazione profondissima in parti, in realtà, UK che erano state ricucite, penso alla situazione irlandese, nel corso degli ultimi decenni. Questo è il peso della storia. Chi è intervenuto prima di me citava Rousseau: Rousseau è stato probabilmente il più grande fautore della democrazia diretta in epoca moderna, probabilmente è stato colui che ha ispirato non a caso il partito di maggioranza relativa di questo nostro Parlamento, che ha un sito che si chiama Rousseau su cui si propaganda ormai da anni la democrazia diretta.
Rousseau all'epoca prendeva in giro l'Inghilterra, dicendo che quella che era l'unica democrazia liberale rappresentativa in Europa era in realtà una finta democrazia, perché i cittadini non decidevano direttamente, ma si affidavano ai loro rappresentanti. Pochi anni dopo, pochissimi, la Rivoluzione francese e la democrazia diretta, come ci racconta Furet, finì in un linciaggio di massa, dove all'epoca si utilizzò la ghigliottina e vennero uccise migliaia e migliaia di persone, e gli stessi cittadini rappresentanti dell'idea di Rousseau. E questo è forse il caso più esemplare, un caso talmente esemplare della fine della democrazia diretta che ha allertato poi negli anni successivi, nei 100 o 200 anni successivi, tutti coloro che andavano costruendo democrazie rappresentative nel mondo occidentale, Europa, Stati Uniti, eccetera.
L'altro grande caso di tentativo di democrazia diretta ce lo avemmo con i soviet: anche in quel caso si partì da grandi e buone intenzioni e si finì con Stalin, cioè si finì con un partito totalitario che non accettava e non ammetteva nessun tipo di dissenso. Perché questi cenni storici? Perché questo è stato un grande dibattito che ha attraversato la formazione della nostra Costituzione. Se andiamo a leggere gli atti dei padri fondatori, vi fu una grande questione tra Mortati, Einaudi e Lussu, tra chi sosteneva la democrazia diretta, Lussu, e chi invece la osteggiava fortemente, temendo il pericolo della deriva plebiscitaria. Non a caso venivamo da un ventennio nato su una deriva plebiscitaria, e quant'è piccolo il confine; e a volte la lunghezza della storia, cioè il passare degli anni, ci fa dimenticare dove ci hanno portato già, corsi e ricorsi, i cicli storici.
Questa proposta penso nasca, avendo letto e seguito un po' il dibattito in Commissione Affari costituzionali, anche se non è la mia Commissione, da un buon proposito, come sempre succede in questi casi, cioè far aumentare la partecipazione dei cittadini e la vicinanza dei cittadini alle istituzioni. Buoni propositi, ma di quanti buoni propositi sono lastricate le strade non solo dell'inferno, ma anche di errori storici che hanno cambiato la sorte di un Paese rispetto ad un altro. Questa è la decisione che siamo chiamati ad assumere; e, guardate, non è un caso, e dovremmo anche calarla nell'attualità, questa sì, della nostra storia presente.
Se questa proposta fosse avvenuta in una fase in cui gli elementi della democrazia rappresentativa erano forti, penso a qualche decennio fa, in cui i corpi intermedi avevano una loro grande forza, partiti politici regolamentati, con statuti, con processi democratici di elezione e di scelta dei propri rappresentanti e delle proprie linee politiche, sindacati come capacità e forze intermedie capaci di gestire e di intermediare i lavoratori, associazioni non solo di categoria, ma rappresentative, ecco, probabilmente tutti noi avremmo visto con molto meno timore questa norma, perché sarebbe calata in un rapporto di check and balance di uno Stato democratico, con una democrazia rappresentativa forte e con un Parlamento molto forte e molto autorevole. Invece, questa norma cade in una fase in cui forse mai il Parlamento italiano dalla sua fondazione, nell'epoca repubblicana, ha avuto un attentato così forte alla sua supremazia e alla sua capacità, al suo stesso senso, che avviene ogni giorno, ogni giorno, ormai da più di dieci anni, in cui il valore di ognuno di noi, che è qui a rappresentare non solo i propri elettori, ma la
Nazione, viene continuamente svilito.
Noi abbiamo sentito di tutto, abbiamo sentito che i parlamentari possono essere nominati a sorteggio, essere sorteggiati. La qualità del parlamentare non vale più nulla, non vale talmente tanto, anzi vale talmente poco che, secondo me, a questo punto, potrebbe anche non essere remunerato il proprio lavoro, la dignità di quello che si fa o perché si presta un servizio, a che cosa si rinuncia, che cosa si rappresenta in questa società. Chi è il parlamentare? È uno da dileggiare, e così viene selezionato da molti. Si è perso completamente il senso della rappresentanza. Ritengo che una legge come questa, come hanno definito i relatori di minoranza in modo diverso, non ha precedenti in Europa, perché neanche la Svizzera, che viene presa come esempio, ha una norma così, una norma che ci affida a una dittatura delle minoranze, in cui veramente una lobby sparuta, come è accaduto in California, dove stanno cercando i correttivi, può incidere e determinare l'indirizzo del Parlamento. Lo può fare su leggi che hanno un contenuto di spesa, e vorrebbe dire non legiferare su nulla che riguarda attività produttive, energia, lavoro, e allora a che cosa serve, ma pensate ciò che può fare in un mondo cambiato come questo, come quello influenzato dai social media, dalla rete, dai network, così tanto presi come esempio di cambiamento della società dal partito di maggioranza relativa, su tematiche in cui l'opinione pubblica può essere influenzata in modo emotivo e emozionale, e in cui allora, sì, che serve un Parlamento che sappia filtrare e anche assumere delle decisioni tecniche. Concludo facendo un esempio: che cosa sarebbe successo se ci fosse stata questa legge durante la fase di Stamina? Io l'ho governata come Ministro: un anno e mezzo di manifestazioni in piazza, dove tutta l'opinione pubblica tifava perché un trattamento, che si è poi rivelato non tale ed una truffa, diventasse legge ed entrasse nell'ordinamento dello Stato, nel Servizio sanitario nazionale. Un miliardo di euro per una truffa e per dei truffatori, così sono stati definiti. Un anno e mezzo, più di diciotto mesi. Probabilmente il Parlamento si sarebbe espresso in un modo diverso su un tema emozionale, non su un tema tecnico.
Questo vuol dire che i cittadini non sono in grado di prendere delle decisioni? Certo che lo sono, ma volete dire che tutti sono esperti di genetica, tutti sono esperti del metodo scientifico, tutti sono superesperti di diritto, di energia, di ambiente, le questioni di cui siamo qui a discutere, sapendo che ogni singolo intervento che viene posto nell'ordinamento è un po' come il gioco del domino, si porta dietro tutti gli altri.
È per questo che servono le assemblee, anche accese, anche infiammate dalla passione, da posizioni diverse, ma per sviscerare i temi e cercare di trovare la sintesi, che non sempre è la cosa più giusta da fare, ma è la cosa più giusta nella democrazia. Ecco, non perdiamo il senso di questo; preserviamo il nostro Parlamento. Non serve a noi che governiamo ora, che siamo qui ora; serve a chi verrà dopo di noi, come una garanzia a cui aggrapparsi nei tempi belli, ma soprattutto in quelli meno buoni (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica, Partito Democratico, Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Corneli. Ne ha facoltà.
VALENTINA CORNELI (M5S). Grazie, Presidente. Innanzitutto, sento la necessità di rispondere, per il suo tramite, ovviamente, al collega Sisto, perché vogliamo respingere questa, che per noi è un'accusa di continuità, in qualche modo, con gli intenti riformatori del precedente Governo, quindi della riforma Renzi-Boschi. Sicuramente vogliamo respingere in toto queste affermazioni, anzi, vogliamo, invece, spiegare che la nostra è una proposta assolutamente in discontinuità con il passato, innanzitutto per una questione di metodo.
Il metodo era stato già delineato dal Ministro Fraccaro, nelle sue audizioni, in cui avevamo anticipato le modalità attraverso le quali questa maggioranza avrebbe potuto, avrebbe voluto portare avanti delle riforme costituzionali, assolutamente in maniera diversa rispetto al passato: nessuna riforma ampia della Costituzione, nessuno stravolgimento della Costituzione, solo interventi puntuali, omogenei, specifici su singoli articoli o singoli istituti, niente di più. In secondo luogo, sempre perché noi vogliamo il massimo e rigoroso rispetto, quindi non solo formale, ma anche sostanziale, dell'articolo 138 della Costituzione, vogliamo che su queste proposte ci sia un accordo il più ampio possibile. Lo abbiamo dimostrato in Commissione – cosa di cui ci hanno dato atto anche i colleghi -, abbiamo dimostrato di essere completamente aperti al dialogo, perché la Costituzione non è della maggioranza, la Costituzione non è nostra, la Costituzione non è il terreno sul quale portare avanti il nostro programma, la Costituzione è di tutti, e per questo ribadiamo, come ha fatto anche la relatrice, che in questa sede avremo assolutamente lo stesso atteggiamento di massima apertura. Siamo disposti a rivedere le nostre posizioni per fare in modo che si arrivi a un accordo il più ampio possibile su questo testo.
L'extrema ratio sarebbe il referendum; certamente, non temiamo di andare di fronte ai cittadini per lasciare a loro la scelta su questo testo, però, vi ripeto, in primis, vorremmo dimostrarvi la massima apertura da parte nostra, dopodiché, appunto, se dovessimo andare al referendum saranno i cittadini a scegliere; a scegliere, però, in questo caso, su un quesito omogeneo, specifico, preciso e chiaro, quindi il diritto esercitato dai cittadini, il diritto di voto esercitato dai cittadini sarà un diritto assolutamente rispettoso dell'articolo 48 della Costituzione, perché sarà un voto libero, e un voto libero è libero nel momento in cui è consapevole. Certamente, non poteva essere consapevole la scelta di fronte alla quale sono stati messi i cittadini il 4 dicembre 2016, quando dovevano decidere su un pacchetto che stravolgeva 47 articoli della Costituzione. Quindi, non diciamo assurdità, siamo assolutamente in discontinuità con il passato; il metodo che stiamo portando avanti è un metodo assolutamente diverso.
Nel merito, poi, è chiaro, sicuramente, in questo Parlamento, come è giusto che sia, ci sono sensibilità molto diverse. La nostra sensibilità è diversa da quella del collega Sisto e, quindi, su questo, non possiamo farci nulla, però dobbiamo, in qualche modo, anche spiegare quelle che sono le nostre intenzioni, perché non è assolutamente come diceva lui, noi non vogliamo assolutamente mettere il Parlamento in contrapposizione con i cittadini, ma è esattamente il contrario. Noi abbiamo sicuramente a cuore il tema della democrazia diretta, è chiaro che, insomma, è un qualcosa che per noi è un valore fondante, è un valore importante, però la democrazia diretta non deve essere, in nessun modo, sostitutiva della democrazia rappresentativa. I cittadini ci hanno portato nelle istituzioni e ci hanno messo alla guida delle istituzioni, quindi, non avrebbe senso per noi, a questo punto, porre le istituzioni in contrapposizione con la piazza, non avrebbe davvero alcun senso. Però, siamo convinti che la partecipazione attiva dei cittadini possa migliorare ulteriormente la salute, in qualche modo, della democrazia, perché che la nostra democrazia sia in crisi non può essere messo in discussione.
Ne abbiamo parlato tanto anche in Commissione, non vogliamo fare gli ingegneri costituzionali, non abbiamo assolutamente intenzione di portare avanti quella tesi, che è fallace: il fatto che delle norme possano risolvere dei problemi politici. Non è questo; però, la partecipazione dei cittadini sicuramente può, in qualche modo, stimolare il dibattito parlamentare e renderlo più proficuo. La nostra idea è sostanzialmente questa: rafforziamo l'iniziativa popolare, perché l'iniziativa popolare è stata umiliata finora; non aveva alcun senso presentare una proposta di legge che non sarebbe mai stata discussa; adesso, entro diciotto mesi, il Parlamento la discuterà, la prenderà in considerazione. Non è obbligato ad approvarla; il Parlamento, i rappresentanti possono godere di un consenso ampio e, quindi, possono decidere di non approvare nulla e, in quel caso, portare legittimamente avanti la tesi per cui quella proposta non deve essere approvata. Però entro diciotto mesi, nel momento in cui, invece, ritenessero valida quella proposta, possono approvarla e, quindi, nessuna contrapposizione.
Però, c'è anche una terza via, che è quella che probabilmente darà vita a quel dialogo proficuo che noi ci aspettiamo e che noi auspichiamo, cioè il fatto che il Parlamento possa decidere di portare avanti le istanze dei cittadini, però migliorando ulteriormente la proposta e questa sarebbe poi una proposta che godrebbe di una legittimazione enorme; sarebbe, quindi, una legge che potrebbe durare nel tempo e potrebbe avere un consenso davvero ampio. E, in tutto ciò, il Parlamento potrebbe riacquisire quel prestigio che, purtroppo, ora, ha perso, quella fiducia da parte dei cittadini che, purtroppo, è stata fiaccata. Questa è l'idea di fondo che anima questa proposta.
Poi, su tutti quegli aspetti di cui abbiamo già ampiamente parlato e di cui parleremo ancora che potrebbero, in qualche modo, rendervi più tranquilli rispetto ai limiti, rispetto al vaglio di costituzionalità, siamo stati aperti al dialogo e saremo ancora aperti al dialogo. Approfondiamo, parliamone, però, insomma, cercate di non avere questa aprioristica contrapposizione, perché non fa bene e non fa bene a nessuno. Lo ripeto, la Costituzione è di tutti, migliorare il sistema democratico sarebbe una conquista per tutti.
Ecco, per tornare ancora alla discontinuità rispetto al passato, ricordo come in passato si sia pensato che la democrazia non funzionasse perché c'era un sovraccarico di istanze democratiche. Io ricordo che, nel maggio 2013, c'era un documento che girava, della JP Morgan, che voleva che le decisioni verticisticamente e in maniera fluida arrivassero a diventare leggi e questo un po' aveva animato la precedente riforma costituzionale. Qui, siamo sicuramente ancora in un ambito totalmente diverso; noi pensiamo, invece, che la partecipazione popolare migliorerà anche il dibattito e, quindi, anche la produzione legislativa. Quindi, apriamoci a questa possibilità.
Ancora, per quanto riguarda il merito, mi ricollego alle contestazioni del collega Sisto che riguardavano le infiltrazioni lobbistiche; purtroppo il sistema democratico non può essere, in alcun modo, totalmente impermeabile alle lobby, però, in questo caso, le lobby si dovranno palesare in qualche modo e quindi, quanto meno, emergerebbero e ciò sarebbe comunque un miglioramento rispetto a quello che abbiamo visto in passato, quando degli emendamenti venivano inseriti nottetempo, attraverso delle telefonate. Quindi, anche da questo punto di vista, penso che ci sarebbe sicuramente un miglioramento.
E, poi, quello che secondo me è un aspetto da non sottovalutare è l'importanza culturale di questo provvedimento, l'importanza culturale di questa impostazione, che potrebbe portare a una educazione, in qualche modo, alla politica, non solo dei cittadini, ma anche dei governanti. Diceva Calamandrei, lo ricordiamo, nel discorso ai giovani, che la Carta costituzionale doveva essere proprio uno strumento per educare alla politica. In questo modo, i cittadini che voi, magari, non considerate pronti per strumenti di democrazia diretta, dovranno entrare nel merito delle questioni, perché se il popolo non è pronto per gli strumenti di democrazia diretta, non è pronto neanche per scegliere i rappresentanti, però, nel momento in cui deve entrare nel merito delle questioni, sicuramente, diventa meno raggirabile e, quindi, anche da questo punto di vista, si potrebbe arrivare ad un miglioramento rispetto alla situazione attuale.
Per quanto riguarda poi l'ulteriore aspetto diciamo di educazione, è quello nei confronti dei governanti. Nel momento in cui il governante deve dimostrare che il suo provvedimento è migliorativo e deve convincere in qualche modo il popolo che il suo provvedimento è migliore rispetto a quello che promanava insomma dal comitato di promotori, allora ha tutto il vantaggio nello spiegare, nell'interagire, in qualche modo nel recuperare quella credibilità che purtroppo in alcuni casi e in alcuni periodi storici ha perso. Io ricordo anche il periodo in cui lo strumento del referendum, in questo caso abrogativo, era proprio uno strumento di contrapposizione rispetto al Parlamento; noi vogliamo invece che questo strumento, attraverso l'introduzione del referendum propositivo diventi invece realmente uno strumento di partecipazione.
Concludo, Presidente, leggendo anch'io un estratto. Il collega Speranza ha citato Rousseau - e a noi fa molto piacere - e ci ha letto un estratto del Contratto Sociale: due secoli e mezzo fa, Rousseau io ricordo che accostava due concetti, quello della democrazia e quello della felicità. Questa correlazione è stata ripresa poi molto tempo dopo da un costituzionalista che io ammiro molto, che è il professor Zagrebelsky, che ha scritto un saggio, che si chiama La felicità della democrazia ed io voglio leggere delle parole che spero ci guideranno nel dibattito - lo ripeto - il più ampio e il più aperto possibile, che ci sarà nelle ore successive, nei giorni e nei mesi successivi e spero che queste parole ci facciano riflettere: “Forse dal punto di vista della felicità-infelicità potremmo dire così: la democrazia è il modo più sopportabile di sopportare l'infelicità, il modo più umano, compassionevole, conviviale, in una parola, mite di organizzare l'infelicità dell'humana condicio, riducendo al minimo la prepotenza, il disprezzo, la sopraffazione e soprattutto, distribuendone il peso sul maggior numero possibile, in una specie di mobilitazione generale delle umane imperfezioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)”.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli. Ne ha facoltà.
YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Innanzitutto, vorrei ringraziare la collega dei Cinquestelle perché obiettivamente ci ha sostanzialmente detto che quello che pensiamo è vero e cioè che con questa riforma le lobby avranno un potere e questa purtroppo è una cosa che non ci piace, non ci piace per una serie di ragioni e adesso le vedremo tutte. Questo disegno di legge ha un testo che incide su due concetti fondamentali per la tenuta sociale, politica e istituzionale della nostra Nazione, che sono la democrazia, da un lato, e la rappresentanza dall'altro. Questi due concetti sono stati, nel corso dei settant'anni di Repubblica italiana, faticosissimi da tutelare in maniera piena e il legislatore ha un dovere, che è quello di esprimere le esigenze delle varie anime culturali e sociali di cui è inevitabilmente riferimento. E questo è uno dei percorsi e dei momenti più complessi del nostro percorso politico perché, quando si va all'adozione di una legge elettorale che vorrebbe porre in equilibrio rappresentanza territoriale e governabilità, allora non possiamo parlare - come abbiamo sentito - di “popolo raggirato”: è come se fino a questo momento, per settant'anni, il popolo sia stato raggirato, l'abbiamo sentito adesso dalle parole della collega dei Cinquestelle. Invece non è così, non è così: abbiamo semplicemente applicato un principio valido per Costituzione, che è quello che ognuno ha il suo ruolo all'interno della società e che il ruolo di questo Parlamento non dovrebbe, non deve essere sminuito o svilito per nessun motivo perché, se abdichiamo al ruolo di questo Parlamento, allora, lì sì, abbiamo veramente abdicato al ruolo della democrazia. La prospettiva della tattica elettorale in questo caso ha prevalso sulla prospettiva e, se prendiamo a parametro una delle frasi di Alcide De Gasperi, secondo cui il politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni - ne abbiamo qui in Aula una delegazione quest'oggi -, il calcolo del mestierante politico in questo caso ha prevalso sulla visione di prospettiva perché di fatto con questo provvedimento noi stiamo aumentando il solco tra rappresentanti e aspettative dei rappresentati. Ed è attorno a questo nodo che ruota tutta la politica del nostro Paese, è attorno a questo nodo che ruota l'interrogativo pur presente sulle materie oggetto delle leggi; per esempio non sappiamo cosa potrà essere demandato e a cosa in realtà si potrà davvero guardare e non si è neanche discusso sul ricorso sistematico alla decretazione d'urgenza, che pure non dovrebbe essere una prassi all'interno di questo Parlamento, all'interno di questo Palazzo, eppure lo è. La politica non può rispondere in questo caso alle esigenze della società, spogliandosi del suo ruolo perché altrimenti si dà una visione illusoria che ci possa essere una democrazia diretta sempre e comunque. Noi - badate - non siamo contro la democrazia diretta, abbiamo però voglia che quella democrazia diretta venga esercitata su fatti fondamentali, su fatti che modificano il corso sociale e storico della nazione e non possiamo invece invocarla per ogni singolo provvedimento, perché quello che diceva JP Morgan - e non è ovviamente mia intenzione difenderlo in quest'Aula -, quello che dicevano quei vertici è che la democrazia va poi esercitata, per cui ci vuole la capacità decisionale rispetto ad alcuni provvedimenti e, se noi spogliamo il Parlamento di quella capacità decisionale, allora noi non andremo incontro a un percorso più veloce, ma invece andremo incontro a un percorso ancora più difficile e ancora più laborioso per arrivare ad avere le norme che servono a questa nazione per andare avanti ed incontro al futuro.
Ecco, noi non vogliamo che questo Paese venga lasciato alla mercé di un miraggio, che è quello che nella collettività esista la soluzione di tutti i problemi, perché esistono ruoli ed esistono definizioni. La distanza tra classi dirigenti e cittadino è senz'altro uno dei mali della politica del nostro tempo e questo ha favorito il maturare di un fenomeno politico che, con uno spregio accademico alle volte che io personalmente non condivido, viene definito “populismo”. Ebbene Dostoevskij diceva che il populista non è chi incoraggia la devastazione delle istituzioni, ma è colui che sa ascoltare. Ed è quello che dovremmo fare noi, questo è il nostro ruolo, questo è il nostro compito: noi dovremmo ascoltare ciò che proviene dalla società, dovremmo essere in grado di tradurlo in norme e riversarlo in quella società per il bene di quella società e di quella comunità alla quale apparteniamo. Quindi, non è colui che rinuncia ad esercitare la responsabilità del ruolo che gli viene assegnato attraverso le elezioni politiche e che affida il suo compito principale, cioè quello di legiferare, a una moltitudine, a una moltitudine che non ha volto e questo è il vero problema. E ritorniamo quindi al concetto delle lobby. Noi in questo momento stiamo dando, attraverso questo disegno di legge, la possibilità alle lobby di dire in qualunque momento e di imporre in qualunque momento il loro volere a questo Parlamento. E questo a noi non piace, non piace perché noi crediamo davvero nell'esercizio dei diritti e nell'esercizio della democrazia.
Ora, la preponderanza dei gruppi ristretti è quello che ci preoccupa, quello che ci preoccupa è che si potrà imporre la decisione di pochi su molti e questa non è la partecipazione diretta, non è la partecipazione diretta che intendiamo noi. La convinzione che certi temi - soprattutto, per esempio, penso ai temi economici con i loro aspetti tecnici - possano essere direttamente ed estesamente assorbiti e compresi è un concetto bellissimo e straordinario, ma non rispetta la realtà, non rispetta la verità del mondo in cui in cui viviamo. I fondamenti della nostra società quali sono? Chi passeggia per Roma li legge sempre, legge “SPQR”, che vuol dire “Senatus Populusque Romanus”, cioè Senato e popolo romano. Questo ci riporta alla democrazia, questo ci riporta a un concetto principale: non è l'uno contro l'altro, non era all'epoca il Senato contro il popolo romano, ma era l'uno per l'altro. Gli antichi ci hanno sostanzialmente inviato sino ad oggi un messaggio di alleanza tra le due dimensioni della rappresentatività, senza la quale sarebbe la disgregazione sociale, la prevalenza del disordine e la rinuncia alla classe dirigente.
Ecco, questo è quello che noi non possiamo permetterci. Noi non possiamo permetterci di rinunciare a una classe dirigente che abbia il potere, la capacità e la forza di decidere, nella convinzione che quelle decisioni siano prese per il bene dell'interesse comune. L'importanza della dimensione popolare per noi è assolutamente chiara, e in democrazia quella dimensione popolare viene esercitata. Deve essere esercitata, però, di fronte, ripeto, a cambiamenti strutturali, di fronte a cambiamenti sociali e culturali. Penso, per esempio, a quando c'è stato il referendum sul divorzio, che è stato un momento fondamentale per la nostra Repubblica. Vorrei che si riportasse la dimensione a quel dibattito, mentre oggi lasciamo sostanzialmente che un quorum minoritario possa, attraverso un interruttore, attivare e innescare scaramucce politiche che poi di fatto vadano a delegittimare il nostro Parlamento. Se si vuole restituire dignità alla funzione legislativa in questo Paese, occorre sicuramente intraprendere un percorso senza esitazione, ma verso una migliore qualità del personale politico. Noi di fatto dovremmo porre in essere quello che Dostoevskij diceva, quello che richiamavo prima, cioè dovremmo portare in queste Aule persone che sappiano ascoltare, che abbiano la capacità e le competenze per trasformare quell'ascolto in azione. Questo non necessariamente passa da norme come quella di cui stiamo discutendo oggi. Noi dobbiamo filtrare, questo è anche il nostro ruolo; dobbiamo avere quella capacità e quella forza di filtrare, perché noi dovremmo rappresentare la mediazione fra opposte esigenze. Invece, con l'inizio della discussione di questa proposta di legge, stiamo sostanzialmente cercando di imporre la volontà di pochi su quella che invece è l'esigenza di molti. Questo a noi non piace, non è la partecipazione alla quale aspiriamo, perché noi aspiriamo a una partecipazione vera, sentita, democratica, concreta, soprattutto. Per cui, attiveremo sicuramente una parte determinante in questo dibattito, sperando che ci sia la possibilità di discutere davvero e di modificare quello che secondo noi va modificato. Così com'è, questa proposta a noi non piace (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vinci. Ne ha facoltà.
GIANLUCA VINCI (LEGA). Presidente, oggi la nostra società è profondamente cambiata, stiamo vivendo un momento storico in cui la politica ha subìto un cambiamento. Cinque anni di legislatura spesso danno un distacco tra quello che i cittadini hanno voluto votare quattro o cinque anni prima e quello che la società in quel momento vuole, in quel momento richiede, quindi è arrivato il momento anche di velocizzare quella che è la possibilità di intervenire da parte dei singoli cittadini nel nostro ordinamento. La nostra Costituzione ha settant'anni, e settant'anni anni fa si era già pensato a uno strumento che consentisse la proposizione di norme direttamente da parte dei cittadini con referendum, ma si è ritenuto che all'epoca non vi fosse ancora questa possibilità. Il tempo è cambiato, l'istruzione nel nostro Paese è cambiata, la partecipazione politica è cambiata, anche i mezzi di informazione, oggi più nuovi, più moderni, più immediati, consentono una diffusione delle notizie, quindi anche una formazione, di quello che è il credo e la conoscenza dei cittadini, molto più veloce di quella che era un tempo. Anche quelle che oggi si chiamano fake news, vengono sì create, ma altrettanto rapidamente sbugiardate, quindi consentendo una trasmissione delle notizie a tutti i cittadini in tempo quasi reale. Quindi, a nostro avviso, è arrivato il momento di consentire anche ai cittadini di far vedere con forza la loro capacità - che ad oggi è sicuramente più forte di quella di un tempo - di intervenire nel nostro tessuto legislativo.
Per farlo bisogna cambiare una Costituzione che era fatta per altri tempi, non era fatta per tempi in cui vi sono i social e, nell'arco di dodici ore o anche meno - volendo nell'arco di un paio d'ore - tutti i cittadini o quasi hanno conoscenza di una notizia e sono quindi in grado di formare una propria opinione sugli argomenti. Questo sicuramente ha bisogno di correttivi. Si è parlato, abbiamo già discusso molto in Commissione, dell'importanza di avere un quorum; abbiamo parlato moltissimo e anche discusso con le opposizioni, e un quorum è stato inserito. Quando sento direi che poche minoranze organizzate riusciranno ad intervenire e a modificare le nostre leggi, mi viene da sorridere, perché chi lo dice si trova in questo Parlamento e sa che esiste - perché l'abbiamo introdotto - un quorum del 25 per cento di “sì”, quindi un quorum, in Italia, di circa 12 milioni di persone che si devono recare alle urne e dire “sì, voglio quella modifica”. Adesso mi immagino quale lobby organizzata riesca a portare un quarto dei cittadini non a votare, ma a votare e a votare “sì”. Stiamo parlando quindi di un quorum che di fatto porta la partecipazione almeno al 30-35 o 40 per cento, perché quello che non vogliamo più vedere nei prossimi anni e nei prossimi decenni è quello che purtroppo è capitato negli ultimi settant'anni: tutte le volte che c'era un referendum ci trovavamo davanti al partito del “sì”, cioè di coloro che volevano modificare le cose perché avevano un interesse, soprattutto le persone che si interessavano di politica e del destino dei propri figli, e il partito degli astensionisti, dei menefreghisti, di coloro ai quali magari la vita politica del Paese neanche interessava, che andavano a rinforzare le fila dei “no” e quindi a non fare raggiungere il quorum per la modifica di normative anche importanti.
Questo passaggio i padri costituenti non potevano immaginarlo, perché all'epoca la partecipazione politica, al voto, era sentita, si usciva da una guerra e capivano l'importanza che aveva il voto e quanto si era faticato per ottenerlo. Oggi, che questa vicinanza alla politica è diminuita, avere un quorum che andava di fatto ad aiutare la parte del “no”, quindi vi erano addirittura dei partiti politici che dicevano di non andare a votare “no” ma di non andare proprio a votare per far mancare il quorum, non è democrazia. Con questa modifica noi andiamo ad inserire una cosa molto importante, cioè che chi si muove, chi partecipa, chi decide di partecipare, chi quindi ha avuto voglia di studiarsi le cose sicuramente partecipa alla vita del Paese ed è in grado ed ha la conoscenza anche per modificarla, mentre chi si disinteressa abdica di fatto a questo diritto, almeno fino a una maggioranza che è del 25 per cento dei “sì”, che sicuramente rappresenta una buona parte della nostra popolazione. Quindi, nessuna lobby, nessuna minoranza organizzata. Poi, quando sento parlare di minoranza organizzata non mi scandalizzo neanche più di tanto, perché ci sono delle minoranze organizzate che portano avanti anche dei temi importanti che spesso servono a modificare questo Paese, e a modificarlo in meglio. Ritengo quindi, dopo tanti anni - come a mio avviso è stata importante la modifica del testo costituzionale all'inizio degli anni Duemila, che ha consentito di dare maggiore autonomia e importanza alle regioni -, sia arrivato il momento di riguardare alla partecipazione dei cittadini, anche diretta, alla formazione delle leggi, e quindi portare avanti una riforma di questo tipo con un referendum propositivo.
Sicuramente in Commissione si è già discusso tanto, e si discuterà tanto in Aula, è la stessa procedura costituzionale che prevede che ci sia un ampio dibattito in queste Aule proprio per consentire a tutti, anche alle opposizioni, di esprimere il loro credo e anche la loro conoscenza su una riforma costituzionale, così come sono chiamate a fare, perché sicuramente non è una riforma costituzionale giusta una riforma che viene fatta a colpi di maggioranza. Ma questa sicuramente non lo è, lo si vede già per come stiamo portando avanti i lavori; e non lo sarà nei prossimi giorni.
È però importante aggiornare una Carta costituzionale che era sicuramente un nostro orgoglio e lo è tutt'oggi, per dare oggi - a tempi assolutamente modificati, con una partecipazione di cittadini che può essere anche più cosciente di quella che era in passato e anche per vincere quel sentimento di antipolitica che ormai da qualche anno sta pervadendo il nostro Paese - la possibilità a tutti di poter intervenire direttamente. E pensiamo che questa sia un'ottima riforma, già dai primi passi di questa discussione, che possa recepire questo orientamento. Per questo, procederemo in questo studio nella valutazione anche delle proposte che arriveranno dall'opposizione, perché in questo momento, c'è un organo - il Parlamento - che sta decidendo una modifica molto importante ed importante è il contributo, veramente, di tutti (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cecconi. Ne ha facoltà.
ANDREA CECCONI (MISTO-MAIE-SI). Grazie, Presidente. Prima vorrei fare un paio di doverose premesse.
La prima è che con la riforma che noi stiamo facendo ci stiamo avvicinando - se il percorso parlamentare lo permetterà e se, alla fine, questa riforma verrà approvata - ad inserire nel nostro ordinamento uno strumento nuovo, importante e direi anche unico per le democrazie occidentali: non esiste nessuna democrazia occidentale che ha uno strumento simile a questo, uno strumento di partecipazione democratica da parte dei cittadini come quello che noi ci stiamo accingendo ad approvare in quest'Aula del Parlamento e questo francamente mi rende molto felice.
L'altra premessa, doverosa, è che il lavoro parlamentare svolto in Commissione non è stato costretto; si può aggiungere che, se si fosse lavorato una settimana di più in Commissione ad analizzare gli emendamenti, non sarebbe stato un male, si sarebbero potute sistemare altre cose, che verranno probabilmente sistemate durante la discussione dell'Aula, però è stata una discussione franca, costruttiva, senza impuntamenti od ostruzionismo da parte delle minoranze, ma anche con ascolto e accettazione di alcuni punti da parte della maggioranza. Mi sento di dire che non sempre in questo Parlamento si può lavorare così, sono diversi anni che sono qui e mi è capitato rare volte di lavorare così bene ad un provvedimento, e questo è un merito che va sicuramente riservato al presidente di Commissione e alla relatrice, che in qualche modo è riuscita a costruire un consenso intorno a un documento che non era facile da ottenere.
Fatte queste due premesse, passo ai “ma” e alle preoccupazioni che personalmente ho su questa proposta di riforma costituzionale. Sono solo due, non mi pongo aprioristicamente, come alcuni esponenti e alcuni partiti fanno, fermamente contrario e non mi impunto e non faccio neanche polemica su alcuni punti specifici. Però, come ho potuto dire in Commissione più di una volta e che mi sento anche di ripetere qui in Aula, io credo che la partecipazione dei cittadini alla vita democratica, alla formazione delle leggi, alla costruzione di qualcosa di nuovo, anche dal punto di vista legislativo per il proprio Paese, abbia bisogno di una conoscenza attenta, di un percorso da parte dei cittadini, affinché si raggiunga un certo livello di comprensione. Ecco, noi, o per lo meno la maggioranza, ha sposato modelli svizzeri, il modello californiano, guardando quei tipi di democrazia diretta come un faro a cui avvicinarsi, ma è bene ricordare che la Svizzera è a quel livello perché sono centocinquant'anni che fa democrazia diretta all'interno di quel Paese, così come la California sono cento anni che fa democrazia diretta in quel Paese, quindi c'è stato un percorso da parte dei cittadini per arrivare a quel punto. Io non voglio fare un discorso “benaltrista”, cioè non dico che ci voleva ben altro, che ci sia questo e che si stia facendo questo è un bene, però non bisogna dimenticare che costruire la democrazia diretta, la partecipazione, la conoscenza, lo spirito civico nei cittadini non lo si può fare cambiando quattro righe di Costituzione o infondendo dall'alto al basso la democrazia diretta ai cittadini, ma è un livello di comprensione e di conoscenza che i cittadini devono acquisire nel tempo. E per questa ragione, nel fare questa operazione, bisogna stare molto ben attenti.
L'altra mia preoccupazione è quella di riuscire a fare uno strumento che effettivamente funzioni per il Paese. È chiaro che noi ci troviamo in un momento storico particolare, in cui la richiesta di democrazia diretta e di partecipazione da parte dei cittadini è reale, è evidente e quindi è bene dare risposta a questa esigenza. Però, bisogna stare molto bene attenti a quello che si sta facendo perché non stiamo facendo una cosa ora per ora, che si esaurisce nella visione del Paese che noi abbiamo davanti in questo momento, ma stiamo facendo qualcosa che poi nel tempo avrà degli sviluppi. Ecco, io mi sento di dire che tutte le volte che in questo Parlamento noi abbiamo fatto delle riflessioni su come una nostra legge approvata funzionasse poi nella realtà, penso alle leggi elettorali e penso ad altri provvedimenti, il nostro ragionamento, la nostra riflessione parlamentare si è rivelata sempre errata. Abbiamo fatto delle valutazioni, abbiamo fatto dei ragionamenti su come, per esempio, i cittadini si ponessero a votare per la rielezione del Parlamento, facendo delle misurazioni, delle previsioni di quello che sarebbe successo e abbiamo sempre sbagliato.
Ecco perché io ritengo che alcuni dei punti sollevati da parte delle minoranze, se pur in un grido allo sfacelo e al decadimento del Parlamento, abbiano un valore, non voglio dire che abbiano per forza ragione, ma certamente non hanno torto. E, a malincuore, mi viene da dire che, ai punti sollevati, la maggioranza non è stata in grado di rispondere in maniera adeguata alle perplessità. Faccio qualche esempio, che ovviamente non è complessivo e neanche esaustivo, ma per dare l'impressione, anche rispondendo un po' a quello che ha detto il collega Vinci poco prima di me: quando qualcuno solleva il problema delle lobby, io non so quali siano le motivazioni o le convinzioni per cui quegli esponenti di quegli altri partiti di minoranza hanno sollevato il problema delle lobby, ma so che il problema delle lobby è stato un problema in California, anzi è un problema reale della democrazia partecipata in California. Lì quelle lobby hanno raccolto le firme, ben più firme di quelle che noi prevediamo perché in California si deve raccogliere il 5 per cento delle firme degli aventi diritto al voto, mentre con questa proposta poco più dell'1 per cento; quelle lobby le firme le hanno raccolte, hanno portato i cittadini al voto e hanno pure vinto. È una perplessità che va ben valutata e ben soppesata, perché con riferimento al faro della democrazia californiana a cui noi ci rifacciamo, lì il problema si è creato e quindi, evidentemente, se si è creato là, si può creare anche qua, e quindi bisogna stare attenti affinché questo non avvenga.
Così come quelli che sollevano il fatto che ci voglia una valutazione preventiva di costituzionalità da parte della Corte costituzionale, ora, la maggioranza, i proponenti rispondono a questa eccezione dicendo: se la Corte fa un vaglio preventivo e se poi questa legge, quando viene attuata, dovesse essere effettivamente incostituzionale, la Corte costituzionale si troverebbe in difficoltà a intervenire su una decisione già presa dalla stessa Corte, magari da altri giudici ma dalla stessa Corte, e questo è vero. Ma è altrettanto vero che, poi, per la Corte è molto complicato intervenire su una legge che è stata approvata da venti o trenta milioni di cittadini e dire successivamente che è incostituzionale: cioè, sono due pesi sulla bilancia, che si contrappongono e tra cui, forse, una scelta va fatta.
Così come sui limiti di materia, con questo strumento noi permettiamo ai cittadini di proporre leggi al Parlamento veramente su tante materie: sul codice penale, sul codice civile, sul diritto alla famiglia, sul diritto e lo statuto dei lavoratori, su diritti civili, penso alla legalizzazione dell'eutanasia, sul codice della strada, su una miriade di questioni che si possono porre al Parlamento e che possono cambiare la vita dei cittadini. Io non trovo veramente comprensibile come alcune eccezioni sollevate da alcuni esponenti delle minoranze non possano essere accettate per i semplice fatto che sono delle premure che non vanno a limitare lo strumento. Se lo strumento è molto forte e decisivo, inserire alcuni limiti in più non bloccherebbe un percorso di sviluppo democratico del Paese di partecipazione diretta dei cittadini.
Questo per dire che, se la discussione è andata bene fino adesso, io mi auguro che la discussione continui ad andare bene anche poi, anche durante il lavoro di Aula; per fare un esempio, questo comporta che le opposizioni non facciano opposizione a prescindere, diluendo completamente i tempi di approvazione del provvedimento, ma comporta anche da parte della maggioranza un livello di accettazione di alcune proposte che la minoranza solleva; e che dico che con una certa dignità solleva: insomma, non son campate per aria.
Per esempio, non vorrei vedere l'iscrizione del provvedimento ad altro calendario per vederne poi costretti i tempi di discussione: perché se il lavoro va avanti com'è andato in Commissione, non ha senso fare questo tipo di forzatura, si può andare avanti tranquillamente ed analizzare gli emendamenti con una discreta attenzione. Perché io credo che questo provvedimento lo meriti, e credo che non bisogna cadere, scivolare in certe aberrazioni, che purtroppo questo Parlamento spesso ci ha messo di fronte senza un senso vero, un senso logico. Io, per esempio, presento a questo provvedimento, qui in Aula, un solo emendamento, perché ritengo che ci sia un punto particolare e delicato, che è stato anche ampiamente discusso in Commissione, che è quello del sistema di voto, e mi voglio soffermare un attimo su questo.
Io non credo che il sistema di voto inserito nel provvedimento così com'è sia errato: credo più fermamente che sia un'idea romantica. Pensare di costruire un sistema di voto complesso, mai avuto nel nostro Paese, nel senso che i cittadini non sono mai stati abituati ad un sistema di voto come quello che noi ci immaginiamo, e che possa funzionare bene, io credo che questa cosa non possa verificarsi. È un po' la reviviscenza della preferenza negativa che il MoVimento 5 Stelle aveva proposto nella sua legge elettorale: ossia, qui si fa il contrario, la preferenza positiva. Che è il sistema adottato in Svizzera: dove però questo tipo di percorso referendario si fa sulle leggi costituzionali, e dove la preferenza positiva è stata inserita in maniera successiva, e quindi non 150 anni fa, ma durante una costruzione della democrazia partecipata in quel Paese attraverso un referendum. Con un referendum loro hanno deciso di inserire nel sistema referendario la preferenza positiva!
Ecco, io credo che sia uno sforzo, nel complesso di quello che si sta facendo, dell'innovazione legislativa e costituzionale che si sta facendo, inutile. Permettiamo un percorso anche di voto e di costruzione del consenso sulla proposta di legge popolare o parlamentare più lineare, più semplice, come i cittadini sono abituati. Permettiamo di far votare i cittadini sulla proposta di legge popolare se il Parlamento non interviene o interviene in maniera diversa, ma non andiamo a costruire un sistema che è di difficile comprensione: tant'è che in Commissione, quando ci siamo trovati di fronte al fatto che qualcuno ha chiesto come funzionasse il sistema, ci si è trovati in difficoltà. Non credo che gli esponenti di maggioranza non abbiano capito com'è il percorso e come si costruisce il sistema di voto del referendum: piuttosto, è un sistema tanto complesso che è anche difficile, è complesso spiegare ai più come questo sistema funziona. Un po' come era complesso spiegare ai cittadini come funzionava il sistema di voto nel Rosatellum bis, che è quello che ha formato questo Parlamento: era un sistema di voto complesso, difficilmente comprensibile; invece io credo che noi dobbiamo costruire uno strumento che sia molto e facilmente comprensibile per i cittadini, perché saranno i cittadini a decidere se una legge dev'essere approvata o non dev'essere approvata attraverso un voto referendario.
Rimango comunque fermamente favorevole a questo provvedimento, e mi auguro che i prossimi giorni e i lavori parlamentari possano migliorare quello che già ritengo un testo buono e valido, per dare appunto una valida alternativa ed un'innovazione importante al Paese.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Milanato. Ne ha facoltà.
LORENA MILANATO (FI). Presidente, Forza Italia oggi vuole ribadire che…
PRESIDENTE. Mi scusi, provi a cambiare microfono, perché non funziona. Grazie.
LORENA MILANATO (FI). Grazie, Presidente.
Oggi Forza Italia, dicevo, vuole ribadire che non ha alcuna intenzione di assistere inerme a questa sciagurata operazione di indegno smantellamento, che viene operata da questo Governo della nostra democrazia. Non ci hanno convinto né la relatrice né la collega Corneli, con i suoi richiami ed inviti ad aprirci a questo nuovo corso; anche perché, vede, siamo troppo lontani, evidentemente: tant'è vero che anche la bella citazione letta dalla collega Corneli la interpretiamo in maniera assolutamente diversa. La illusione della creazione di una distorta democrazia a partecipazione diretta ha fatto mettere in piedi, con questa proposta di legge costituzionale, uno strumento, che se approvato definitivamente, creerebbe un effetto perfettamente contrario ai principi che sono posti in essere dei nostri Padri costituenti. Ad attacchi vergognosi al Parlamento ci avete abituato: l'ultimo, in ordine di tempo, quello posto in essere durante l'approvazione della ridicola, ma soprattutto pericolosa manovra di bilancio, pericolosa nel metodo e pericolosa nei contenuti, una manovra di bilancio che è stata chiaramente bacchettata dalla Corte costituzionale. Ecco, ci troviamo di fronte oggi ad un altro provvedimento di erosione e sgretolamento dell'istituzione e degli strumenti di una democrazia che, attraverso essi, deve bilanciare il rapporto tra governanti e governati, all'interno di un circuito sapientemente sancito dalla nostra Carta costituzionale in ossequio al principio della rappresentanza democratica.
Ma andiamo per ordine. Il primo elemento che potrebbe essere risolutivo per la bocciatura di questa proposta di legge è quello di individuare razionalmente la palese incostituzionalità di questa legge. Non è difficile, infatti, comprendere, a proposito di strumenti messi a disposizione di tutti i protagonisti di uno Stato democratico, come proprio lo strumento di cui stiamo parlando oggi può essere in grado, se usato, o peggio ancora abusato da pochi, di paralizzare le nostre istituzioni rappresentative. La confusione in cui incorrono i proponenti di questa legge sta proprio nel ritenere legittima la possibilità che un istituto di democrazia diretta, anche se, come dicevo, può essere usato da un ridottissimo numero di cittadini, possa essere diretto non ad un correttivo di una democrazia rappresentativa, ma ad un totale ribaltamento della volontà di una maggioranza democraticamente eletta, e quindi preposta alla legiferazione.
A nostro avviso, balza poi agli occhi come le norme proposte per l'approvazione siano palesemente inidonee a raggiungere gli obiettivi dichiarati da questa maggioranza di Governo. Alle nostre spalle abbiamo recenti esempi di referendum abrogativi e consultivi che hanno prodotto solo inutili spese e perdite di tempo: basta che si pensi a quello che è successo a Roma con il referendum per il trasporto pubblico; non producendo degli effetti, e questo a dimostrazione del fatto che la disaffezione dei cittadini rispetto alla politica non è sanabile ricorrendo a piene mani alla democrazia rappresentativa.
Il pericolo reale può essere quello di riuscire, da parte di una minoranza organizzata e lobbisticamente guidata… Vorrei ricordare qui ai colleghi del 5 Stelle che sono loro che da anni ci spiegano ad ogni occasione la loro avversità alle lobby; però da questo provvedimento in realtà saranno proprio le lobby organizzate che riusciranno a trarne dei vantaggi: questa minoranza organizzata che riuscirà a trasformare la disaffezione di cui ho parlato prima in una capacità di potere legislativo.
Insomma, a mio avviso, il rischio che si prospetta non è solo il non raggiungimento degli obiettivi dichiarati, ma addirittura che si producano degli effetti diametralmente opposti. Senza parlare poi della possibile ricerca di una parte della maggioranza di Governo – e su questo vorrei che si faccia tutti una riflessione – di un supporto plebiscitario degli elettori, al fine di delegittimare, e ridurre quindi al silenzio, le opposizioni.
C'è poi da affrontare il tema dei costi: il tema dei costi è uno dei temi più cari a questo Governo.
L'assenza però di limiti all'impiego dello strumento referendario - per esempio limitando il numero dei referendum che possono essere annualmente proponibili, oppure limitando il numero delle proposte che ogni singolo elettore può sottoscrivere - ci mette di fronte al rischio di una proliferazione incontrollabile e incontrollata dei costi, a meno che qualcuno non stia pensando di ipotizzare delle manovre finanziarie ad hoc in seguito ai referendum approvati oppure, non lo so, qualcuno forse starà già pensando, magari con il supporto della Casaleggio e associati, a un voto con un clic anche su queste materie.
Ultimo, ma certamente importante, è il tema dei contenuti e dei limiti di ammissibilità. Non è chiaramente stabilito cosa si può fare e cosa non si può fare, perché la perimetrazione delle materie sottoponibili a referendum viene presentata, con questo provvedimento, estremamente improbabile. Mi aspettavo dei veri chiarimenti e delle vere spiegazioni; per esempio, è possibile con il referendum modificare singole disposizioni costituzionali che non siano principi fondamentali o diritti? Oppure, sarà possibile modificare con il referendum leggi tributarie o di bilancio? E quali ne saranno le conseguenze? Oppure l'amnistia, l'indulto o tutte quelle sottratte dalla giurisprudenza costituzionale e all'istituto della democrazia diretta? Ecco, qui l'unica risposta è: chi lo sa?
L'amarezza - lasciatemelo dire - è rilevare come questa maggioranza di governo, con una superficialità e con una certa nonchalance, direi, vuole distruggere le fondamenta della nostra Carta costituzionale. Lo ha ricordato stamattina la collega dei 5 Stelle: la Costituzione è di tutti e non è solo della maggioranza di questo momento. Quella Carta costituzionale è frutto di un lavoro di bilanciamento e di contemperamento delle più disparate contrapposizioni politiche. Gli strumenti di democrazia diretta possono sicuramente svolgere un ruolo nella vita democratica del nostro Paese ma il ruolo pensato e sancito nella nostra Carta fondamentale non può che essere di affiancamento al ruolo principale della democrazia rappresentativa. La proposta di cui ci stiamo occupando oggi invece mira a creare una netta separazione tra il corpo elettorale e il Parlamento, minando così di fatto il principio di rappresentanza e stravolgendo di fatto il concetto di democrazia rappresentativa. A questo punto c'è da chiedersi: quali saranno le prossime proposte? A quando il sorteggio dei parlamentari o a quando l'abrogazione della stessa Carta costituzionale?
Anche in questo provvedimento l'atteggiamento della maggioranza è stato di noncuranza e quasi di disprezzo delle proposte e delle nostre posizioni. Abbiamo assistito ad un film, direi, che si potrebbe intitolare: “La finta democrazia”. Non ci stiamo a considerare come una grandissima conquista il quorum del 25 per cento e ci mancherebbe. Il quorum era evidente che ci doveva essere e non abbiamo sicuramente voluto partecipare a questo gioco al ribasso. La relatrice questa mattina ha rivolto all'Aula l'auspicio che si possa mantenere anche nella discussione in Aula il clima che si è tenuto in Commissione. Ecco, mi permetto di ricordare, Presidente, che sempre, almeno per quanto ci riguarda, l'atteggiamento è di responsabilità e buonsenso, ma non ci si può chiedere di assistere in silenzio a questo scempio della democrazia.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO (ore 11,38)
LORENA MILANATO (FI). L'unica attenzione che questo Governo ha avuto oggi e nei mesi di vita da quando è stato istituito è stata una serie di puntuali attenzioni operate esclusivamente al vostro interno, barattando singoli provvedimenti o parte di essi ai soli fini di riempire di pseudo-contenuti questa vostra perenne campagna elettorale. Fate attenzione, però: è un film che noi abbiamo già visto. I protagonisti erano altri e il finale per loro è stato tragico.
Per concludere, un'ultima riflessione. Questo Governo, che, ricordo, non è stato votato dagli italiani, è nato in una grande confusione. Purtroppo, lo stato confusionale continua però sulla pelle degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Muroni. Ne ha facoltà.
ROSSELLA MURONI (LEU). Grazie, Presidente. Membri del Governo, colleghe e colleghi, oggi ci troviamo a discutere di un provvedimento davvero importante perché riguarda la Costituzione. Io ripartirei dalla citazione che il mio collega, l'onorevole Speranza, faceva nel suo intervento. Calamandrei diceva che quando si parla di Costituzione i banchi del Governo dovrebbero rimanere vuoti, nel senso che è evidente che la Costituzione è un patrimonio di tutti e, dunque, nel momento in cui ci apprestiamo a mettervi mano dobbiamo farlo con il massimo della responsabilità e provando - e questa è la grande preoccupazione del mio gruppo - a non ripetere quello che pure abbiamo visto nelle ultime settimane in quest'Aula, nella contrapposizione assolutamente lecita e legittima ma dura nei modi e nei metodi (e si trattava della legge di bilancio). In questo caso, invece, si parla della Costituzione, un patrimonio nazionale che noi non possiamo e non dobbiamo in nessuna maniera trascinare nell'arena della contrapposizione politica.
Noi di Liberi e Uguali non vogliamo farlo e vogliamo partecipare a questa discussione col massimo della responsabilità e della serenità, provando a dare un contributo e provando a prenderla assolutamente in senso positivo e a credere fino in fondo alla disponibilità dichiarata di rimettere mano a questo provvedimento e questa volta di permettere davvero all'Aula parlamentare di partecipare e di svolgere appieno la propria funzione, che è quella di migliorare i provvedimenti, di provare a renderli il più possibile trasversali e collettivi a nome degli interessi del Paese, dare, quindi, un contributo che tenga conto della visione e della cultura di ognuno.
Ecco, noi pensiamo che questo provvedimento, che è la riforma che andiamo a fare mettendo mano all'articolo 71 della Costituzione, in nessuna maniera possa essere un provvedimento di parte e debba assolutamente, come ho detto e come ho provato a spiegare, essere il frutto del contributo il più possibile trasversale, largo e vasto del Parlamento. Ma per fare questo c'è una domanda che noi vogliamo porvi e la vogliamo fare alla relatrice e ai membri del Governo: ci chiediamo se davvero dobbiamo credere allo spirito con cui dite di approcciare, diciamo, questo provvedimento. Infatti, il collega Speranza ha sottolineato ed esemplificato la nostra preoccupazione quando noi abbiamo notato che la proposta di legge era firmata dai due capigruppo dei due partiti di maggioranza. L'abbiamo ritenuta - diciamo - una caduta di stile, una disattenzione rispetto allo spirito che invece è necessario in questo momento e vogliamo su questo rassicurazione. Vorremmo, nella pratica parlamentare e anche nello spirito con cui si intende fare questa modifica all'articolo 71, ragionare con voi di quale sia il reale obiettivo. Infatti, se l'obiettivo reale, come noi speriamo e vogliamo credere, è favorire la partecipazione dei cittadini noi siamo assolutamente d'accordo, pronti e disponibili. Io non credo, peraltro, che nessuno dei colleghi in quest'Aula sia contrario alla partecipazione dei cittadini e che abbia invece assolutamente voglia, ognuno di noi, di aprire il più possibile quest'Aula al Paese e far vedere, ad esempio, come lavoriamo qui dentro, qual è l'utilità, qual è assolutamente l'interesse del Paese che viene portato giornalmente avanti in quest'Aula. Però, è di questo che dobbiamo parlare: dobbiamo parlare del rafforzamento della partecipazione e io credo, per esempio, che sia fondamentale rafforzare l'istituto del referendum e la partecipazione popolare anche per ristabilire quali sono i modi più opportuni, utili e civili per partecipare e non certo quello che spesso vediamo accadere sui social network, con campagne di disinformazione o, penso, all'attacco fatto alla scienza sulla vicenda dei vaccini.
Cioè, è giusto che le istituzioni e i luoghi della partecipazione, della democrazia, anche dell'elaborazione ritrovino ognuno il proprio senso, la propria riconoscibilità e il rispetto che gli si deve. E, da questo punto di vista, trovo assolutamente lecito e opportuno che il Parlamento rifletta su come far fronte al distacco sempre più evidente tra istituzioni e Paese, tra cittadini e rappresentanti dei cittadini stessi. Parlare di rafforzamento dell'istituto referendario e favorire le leggi di iniziativa popolare mi sembra assolutamente un ottimo strumento per far fronte a questa esigenza. Però, signori del Governo, voi dovete garantirci che tale è lo spirito con cui portate in Aula il provvedimento e non invece altro. E sarà semplice verificare se questo è lo spirito, a partire dal tipo di comunicazione che verrà messa in campo perché, se noi invece vedremo che immediatamente verranno contrapposti i difensori del popolo ai difensori della casta, indicando nei difensori della casta coloro che semplicemente vogliono parlare del merito, di rispetto della Costituzione, di una serie di paletti, di avvertimenti che noi dobbiamo garantire affinché non venga messo in crisi l'istituto parlamentare, ecco è su questo che ci giocheremo lo spirito con cui voi proponete e ci apprestiamo a fare questa modifica, perché sulla partecipazione credo che nessuno abbia da dare lezioni. Peraltro, uno degli esponenti del nostro gruppo, Pietro Grasso, nella scorsa legislatura Presidente del Senato, grazie alla riforma dell'articolo 74 del Regolamento del Senato di fatto ha stabilito una via preferenziale per i disegni di legge di iniziativa popolare. Per cui questa cultura comune, collettiva, da questo punto di vista, va difesa e raccontata: bene la partecipazione, bene rafforzare l'istituto referendario, però credo fermamente che se noi mettiamo mano a un articolo della Costituzione e, quindi, non cambiamo semplicemente il Regolamento della Camera dobbiamo assolutamente capire che cosa stiamo creando, a che cosa andiamo incontro. La storia del referendum in questo Paese è storia anche di obiettivi, di promesse, di sogni traditi: dobbiamo dircelo. Sono in Commissione ambiente: stiamo discutendo, stiamo facendo le audizioni sul progetto di legge sull'acqua pubblica, a cui io personalmente ho contribuito da cittadina raccogliendo le firme e organizzando il referendum, che è rimasto inevaso, assolutamente tradito. Quindi, rafforzando l'istituto referendario, dobbiamo essere consapevoli che dobbiamo recuperare anche una serie di delusioni che noi abbiamo dato al popolo italiano nel momento in cui, in maniera intelligente e coerente, con grande lavoro si è messo a disposizione del legislatore dando indicazioni forti. Penso alla vicenda dei referendum sulle trivelle: ero tra i protagonisti del comitato promotore di quel referendum, ebbene vedere un pezzo della classe politica italiana che auspicava la diserzione, la non partecipazione al referendum per me è stato davvero un dolore personale, perché penso che invece l'astensione, la non partecipazione soprattutto se uno ha l'onore di essere un rappresentante del popolo, non debba essere mai per così dire un suggerimento o un comportamento da indicare. Quindi, mi rendo conto che il referendum in questo Paese ha dato un grande contributo alla civiltà perché ha contribuito a scrivere pagine importanti per quanto riguarda i diritti delle persone nel nostro Paese: penso al referendum sull'aborto o al referendum sul divorzio, che hanno davvero dato una svolta culturale e di civiltà per il nostro Paese. Poi, negli ultimi anni abbiamo assistito, invece, ad una storia di referendum traditi e che non hanno avuto il riconoscimento: se è a questo che noi vogliamo mettere mano con uno spirito di collaborazione, noi di Liberi e Uguali una porta aperta vogliamo lasciarla ed è per questo che il collega Speranza ha spiegato benissimo il nostro comportamento in Commissione. Peraltro, ho letto le trascrizioni, ho letto anche le dichiarazioni del collega Magi, che vi invitava alla trasparenza e alla schiettezza sui reali obiettivi politici della riforma.
Su questo chiedo al Governo di rispondere, di dare garanzie rispetto all'iter che verrà portato avanti nell'Aula. Lasciamo la porta aperta anche perché abbiamo registrato un segnale positivo sul quorum ma è un segnale, non è la soluzione. Guardate, mettiamo mano ai nodi che il collega Speranza vi ha indicato: i limiti di materia sottoponibile a referendum; il meccanismo che non saprei definire di ballottaggio tra Piazza e Palazzo che avete escogitato che è pericoloso, pericolosissimo e poi il tema della costituzionalità ossia verificare in tempo, in anticipo la costituzionalità del provvedimento. Mettiamo insieme mano a questi nodi e dimostriamo che siamo in grado di uscire dalla polemica politica per pensare al bene del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Migliore. Ne ha facoltà.
GENNARO MIGLIORE (PD). Grazie, signor Presidente Signori colleghi, signori del Governo, 23 luglio 2018: forse in futuro il Parlamento sarà inutile, Casaleggio; 27 luglio 2018: la democrazia è superata, per il Parlamento si provvederà ad un'estrazione casuale, Beppe Grillo. Partirei da qui perché ritengo che sia indispensabile ricordarlo, caro Ministro Fraccaro: mi rivolgo a lei perché, nonostante la proposta di legge costituzionale in esame sia di iniziativa parlamentare, la sua presenza costante in Commissione testimonia l'interesse che l'intero gruppo dirigente del MoVimento 5 Stelle e il Governo hanno per il provvedimento. Partirei da qui per comprendere con voi se il disegno eversivo che è stato derubricato a manifestazione quasi goliardica sia avviato attraverso la riforma in esame, che voi impropriamente chiamate di democrazia diretta. Ne parlo con la serietà e la gravità anche necessaria a questi momenti, perché ritengo che sulla Costituzione non si possa né invocare astrattamente un esercizio di metodo condiviso, né interpretare quelli che sono dei segnali di fumo, anche spesso per così dire caratteristici di una certa propaganda, come l'esito finale al quale ci troveremmo di fronte. Non ho nessuna difficoltà ad apprezzare la continuità dell'attenzione che il Governo, attraverso il sottosegretario e il Ministro, e anche la collega Dadone, hanno avuto tant'è che la mia non sarà un'invettiva contro il metodo, ma sarà un ragionamento pacato e rigoroso che cercherà di dimostrare anche a chi è fuori di qui che il vostro progetto di legge è una mina piazzata sotto la democrazia: non la democrazia rappresentativa e basta, sotto la democrazia.
L'idea secondo la quale si possa utilizzare la Costituzione per intervenire perché questo mi sembra lo scopo immediato più evidente, anche per rafforzare la propria campagna elettorale in vista delle elezioni europee, per mettere un'altra freccia nella faretra che poi dovrà essere scagliata dall'arco delle elezioni europee, io francamente lo considero abbastanza irresponsabile. Noi abbiamo svolto, in questa discussione, un ruolo che in maniera tecnica si potrebbe definire di riduzione del danno e anche significativamente di riduzione del danno in particolare in relazione agli emendamenti Ceccanti: sia l'emendamento che prevede la maggioranza assoluta per l'approvazione della legge di attuazione sia per quanto riguarda l'introduzione di un quorum deliberativo del 25 per cento degli aventi diritto al voto perché l'eventuale referendum venga approvato.
Poiché abbiamo avuto sempre nella nostra cultura politica riformista l'idea che si debba senza alcun dubbio favorire e implementare e rafforzare la democrazia e la partecipazione dei cittadini, dico che con questa manomissione delle parole di chiamare democrazia diretta ciò che diventa in realtà democrazia delle lobby dobbiamo innanzitutto rimettere le cose al posto loro. La nostra riforma, che è stata battuta in una consultazione referendaria secondo un processo democratico, aveva l'intenzione di rafforzare il potere dei cittadini, consegnando a loro la possibilità di decidere su chi dovesse governare. Come è del tutto evidente, in virtù anche della opposizione, che è stata molto feroce e intransigente, dell'attuale maggioranza, questo progetto non è passato e quello che si è ottenuto è un Governo di coalizione tra due partiti che hanno dichiarato fino al giorno prima della formazione del Governo che non sarebbero mai stati insieme, un Presidente del Consiglio non eletto dal popolo per l'ennesima volta, e quindi una confutazione di tutta una serie di aspirazioni che pure avevano attraversato la retorica in particolare del MoVimento 5 Stelle.
E, soprattutto, quello che sta accadendo è che noi facciamo questa discussione nel bel mezzo del martirio della Costituzione, lasciatemi dire così, del martirio della Costituzione, che si offre innocente alle vostre continue violazioni, perché in questo momento quello che è accaduto, per esempio, sulla legge di bilancio, e mi dispiace che qui non ci sia il Presidente Fico, peraltro più che autorevolmente rappresentato nella Presidenza Rosato, ma vorrei dire al Presidente Fico, che spesso viene considerato un'anima critica all'interno del MoVimento 5 Stelle e che nel suo discorso ha voluto dire agli italiani che ci sarebbe stata la centralità del Parlamento, che lui non solo è stato complice, ma è stato autore dello strappo costituzionale. Peraltro, anche la sentenza, nelle sue motivazioni, della Corte Costituzionale, che ha proposto il rigetto in virtù di un difetto dei proponenti, ha chiarito che c'è stato lo strappo delle procedure costituzionali per quanto riguarda la più importante legge di bilancio, e ciò costituisce un elemento gravissimo, rispetto al quale noi dobbiamo riflettere.
Così come è un continuo martirio della Costituzione, in particolare dell'articolo 27, quello che prevede anche la rieducazione della pena, quando un Ministro, come il Ministro della Giustizia Bonafede, fa un specie di filmato da matrimonio per un giorno da ricordare. Anche noi ce lo ricorderemo questo giorno, perché, invece di consegnare alle autorità giudiziarie e alla cronaca l'arresto giusto e il ritorno necessario di un assassino in patria, lo si è eletto a preda da esibire, cosa che contrasta con l'articolo 27 della Costituzione e con molti articoli anche del codice penale e dell'ordinamento penitenziario. Così come è un martirio quello che subisce la Costituzione con le continue azioni incostituzionali del Ministro Salvini. Lo dico qui perché ritengo che questa sia un'Aula che debba presiedere all'intervento e alla capacità di reazione dello Stato: anche stamattina c'è stata l'ennesima bomba in una strategia di attentati mafiosi nella mia città, a Napoli, e nell'ultimo anno in provincia di Napoli, in particolare ad Afragola ce ne sono state otto nell'ultimo mese.
E, invece, il Ministro si è occupato di fare passerelle e di dire che le persone devono marcire in galera. Questo è quello di cui si dovrebbe occupare il Governo, che non ha mandato una risorsa, un poliziotto in più dopo che ci sono stati una strategia di attentati terroristici di matrice mafiosa all'interno di quel territorio. Allora, vedete, in questo martirio della Costituzione, noi dobbiamo contrastare l'idea che ci possa essere uno strumento che vuole educare il popolo. Qui non si tratta di educare il popolo, lo ha detto con toni garbati la collega dei 5 Stelle che è intervenuta. Si dice che bisogna fare in modo che cresca la consapevolezza. A parte che voi vi state riferendo a un modello, quello svizzero, che si prevede esclusivamente, esclusivamente, per riforme di natura costituzionale, e quindi per argomenti di sensibilità molto più ampia; ma qui l'idea di educare il popolo attraverso una massiccia iniezione di obblighi alla partecipazione è esattamente il senso di scaricare la responsabilità dell'inadeguatezza delle forze politiche - in particolare quelle che in questo momento sono al Governo, mi verrebbe da dire, perché sono loro che lo propongono - sui cittadini.
E, del resto, anche la recente cronaca lo dice. Sul TAV, sul treno ad alta velocità, si vorrebbe proporre un referendum, che peraltro, stranamente, oggi il MoVimento 5 Stelle non vorrebbe, mentre la Lega, invece di venire in Parlamento, dove si potrebbe affrontare la discussione, dice: facciamo un referendum. Ma che cosa vuol dire se non scaricare sui cittadini responsabilità che la vostra inadeguatezza non assume. Allora è uno strumento di maggiore partecipazione, bastava cambiare i Regolamenti parlamentari; bastava dire che le leggi di iniziativa popolare fossero messe all'ordine del giorno, senza stravolgere la Costituzione, senza rischiare di introdurre degli strumenti legislativi che, magari, potevano cambiare il codice penale nei diritti fondamentali delle persone, con un'aggiunta che può essere realizzata attraverso questo strumento che noi contrastiamo.
E poi l'idea che si possa mettere sullo stesso piano, anzi, su un piano subalterno l'iniziativa legislativa e la capacità di legiferare del Parlamento, quando si produce uno strano effetto, lo dico in questo caso veramente senza alcuna polemica. Noi siamo usciti da quell'aula della Commissione senza avere neanche capito come si contano i voti perché venga considerato valido un referendum o una proposta di legge, senza neanche avere capito quali sono le eguaglianze di voto tra cittadino e cittadino, chi può esprimere tre voti, chi può esprimere due voti, quali sono, da questo punto di vista, gli elementi di chiarezza che non sono venuti neanche dalla discussione e dall'approfondimento che c'è stato in Commissione, perché la norma è confusa ed è una norma che innesca un meccanismo pericoloso. Attenzione, lo voglio dire davvero senza nessuna retorica, che, quando si va in una certa direzione, sono convinto che la relatrice Dadone e sicuramente le persone che ci hanno lavorato di più, immagino anche i membri del Governo, non siano d'accordo, anche se non lo hanno mai detto, con le frasi che ho citato all'inizio di Casaleggio e di Grillo, sebbene siano i leader riconosciuti di quella formazione politica. Ma la buona fede non serve, se poi non è blindata, come fecero i padri costituenti e le madri costituenti, da un impianto politico, istituzionale e legislativo che impedisca qualsiasi deriva. Lo ha detto Ceccanti alla fine del suo intervento: attenzione che si va in una direzione, ci si avvia nella direzione di manifestare una volontà di aumentare la democrazia e poi ci si ritrova, magari, in una condizione esattamente di segno opposto. Del resto è quello che sta succedendo anche oggi: ieri la Brexit è stata battuta largamente, l'accordo sulla Brexit nel Parlamento britannico, si era pensato di risolvere da parte dei brexiters l'uscita da parte del Regno Unito dall'Unione europea. Lo segnalo, non è così semplice, come del resto si sta vedendo, uscire dall'Unione europea. E quindi, alla fine, ci si ritrova, dopo ormai più di due anni, in un conflitto permanente che esiste tra una volontà espressa su una domanda, sì o no, e un complesso normativo che è quello che attiene, per esempio, ad un'iniziativa di questa portata. Si dirà: ma sugli accordi internazionali questo referendum non interviene.
Questo, diciamo così, lo sappiamo, l'abbiamo letto tutti, ma esiste la possibilità, su tutta una serie di argomenti, di legiferare attraverso una struttura che per ora non è garantita da nessuna norma di attuazione. Quanti referendum si possono fare in un anno? Quante proposte possono essere avanzate da un singolo comitato referendario?
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
GENNARO MIGLIORE (PD). Quante volte sarà costretto questo Parlamento, e vado a concludere, a legiferare in virtù dell'obbligo di concludere entro i diciotto mesi? È questo quello di cui noi ci dovremmo fidare? Noi abbiamo avuto un rapporto dialogante, ma saremo intransigenti, e lo dico anche a Forza Italia; in conclusione, spero, vista l'animosità con la quale il collega Sisto ci ha richiamato, che Forza Italia faccia una opposizione almeno paragonabile a quella che abbiamo fatto noi, lo ripeto, almeno paragonabile, visto che io da opposizione preferisco fare l'opposizione al Governo che a un'altra opposizione.
PRESIDENTE. Deve concludere.
GENNARO MIGLIORE (PD). E con questo - e ringrazio il Presidente per avermi richiamato una seconda volta - dico una cosa molto chiara: noi non accetteremo non il principio, che accettiamo, di maggiorare la democrazia, di ampliarla, ma non accetteremo mai che questo principio venga stravolto per favorire pochi interessi organizzati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Magi. Ne ha facoltà.
RICCARDO MAGI (MISTO-+E-CD). Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, noi ci troviamo di fronte a una necessità e a un rischio; la necessità è anche un'opportunità che questo Parlamento dovrebbe saper cogliere, quella di rafforzare e rivitalizzare le forme e gli istituti della partecipazione popolare. Oggi, viviamo una situazione di svilimento dell'iniziativa popolare, è noto; sono decine e decine le leggi di iniziativa popolare che, regolarmente depositate, con centinaia di migliaia di firme di cittadini, di cui si certifica la legittimità, poi, vengono lasciate ammuffire nei cassetti della Presidenza della Camera, per grave responsabilità dei gruppi parlamentari e senza alcun ruolo proattivo del Presidente. Su questo, ad esempio, si potrebbe intervenire facilmente, immediatamente, con una riforma regolamentare, io ne ho presentata una, stabilendo un automatismo per la calendarizzazione e per l'esame delle leggi di iniziativa popolare, una volta decorso un determinato periodo di tempo. Questo, consentirebbe anche di uniformare il Regolamento della Camera a quello del Senato.
Ma, qui, si vuole, invece, con questa riforma della Costituzione che può apparire - ma, ormai, credo, a questo punto della discussione, nessuno può avere più questo dubbio - una riforma circoscritta, limitata, ma in realtà è una riforma molto ampia, qui, come dicevo, si vuole introdurre l'istituto del referendum propositivo come esito possibile di un'iniziativa legislativa popolare.
A mio avviso c'è stata una discussione in I Commissione, è vero, intensa, nutrita delle audizioni e dei contributi preziosi di molti costituzionalisti, ma, anche, una discussione molto confusa per la fretta che la maggioranza ha mostrato di arrivare all'approvazione di questa riforma e arriviamo, quindi, ai rischi che io voglio sperare siano frutto di questa fretta e non frutto, invece, di una volontà. I rischi sono, prima di tutto, che questa riforma abbia un impatto sulla nostra forma di Governo. Si citano sempre, anche questa mattina lo abbiamo sentito, negli interventi, i casi e gli esempi della Svizzera e degli Stati Uniti. Noi dobbiamo dirci chiaramente che uno strumento, un istituto come quello che si vuole introdurre non esiste in alcun sistema rappresentativo parlamentare e non esiste a livello centrale. Negli Stati Uniti, come è noto, c'è in alcuni Stati, ma non a livello federale, in Svizzera, come veniva ricordato, c'è solo su una determinata tipologia di riforme, ma, soprattutto, entrambi questi Paesi hanno una forma di Governo diversa dalla nostra, in un caso abbiamo un sistema presidenziale, nell'altro abbiamo un Governo direttoriale. In nessuno di questi due casi c'è la centralità del Parlamento e il rapporto di fiducia che lega il Parlamento e il Governo. Abbiamo, lì, delle forme di Governo a durata rigida.
Altro punto decisivo è quello - è stato ricordato - dei limiti di materia. Voglio dirlo anch'io, io ritengo che sia necessario che i limiti di materia siano gli stessi dell'articolo 75, preferibilmente con una formulazione che rimandi esplicitamente alla lettera dell'articolo 75, e che debbano essere, inoltre, rafforzati. Credo che, a questo punto della discussione, sia arrivato il momento del chiarimento, un chiarimento che deve venire da parte della maggioranza, da parte della relatrice. Nella vostra formulazione si escludono le leggi tributarie; voi volete che si possa utilizzare uno strumento come il referendum propositivo su leggi tributarie? Io credo che sia un errore, sia un grave errore; credo altresì che sia un errore consentire l'uso di questo strumento su leggi che abbiano come obiettivo principale quello di incidere sui saldi di finanza pubblica, sugli equilibri di finanza pubblica. Ho fatto l'esempio in Commissione, voi volete che si possa, con questo strumento, avanzare una riforma pensionistica, che so, una quota 50, in cui si dice che tutti da domani andranno in pensione a cinquant'anni? Non è sufficiente che voi prevediate l'indicazione della copertura di spese, perché quella si può fare anche in modo abbastanza sommario e superficiale; si possono indicare delle coperture, togliendo delle somme da capitoli di spesa di altri ministeri, dalla sanità, dalla scuola, e così indicare una copertura per una misura che, nei fatti, stravolgerebbe la legge di bilancio dello Stato.
Infine, il controllo preventivo di costituzionalità, a questo punto, diventa indispensabile, è una garanzia indispensabile. Voglio rispondere ai dubbi della relatrice; il dubbio sul fatto di introdurre un controllo preventivo è quello di evitare un imbarazzo della Corte che si potrebbe trovare ad esprimersi, successivamente, con un controllo di legittimità costituzionale, qualora, magari, successivamente, sollevato da un tribunale, e ad esprimersi in maniera difforme dal primo giudizio. Ma come abbiamo avuto modo di capire e di approfondire insieme, il primo giudizio, quello che chiamerei di compatibilità costituzionale - anche qui, non è sufficiente un giudizio di ammissibilità - è un giudizio che avviene in astratto su un testo di legge che ancora non è stato approvato. Il giudizio successivo può avvenire a distanza di anni, qualora venga sollevato un problema specifico di conformità costituzionale., non c'è alcun imbarazzo della Corte ed, anzi, va introdotto.
Altre cose avrei voluto dire e avremo molto tempo, credo, per intervenire sul complesso degli emendamenti. Concludo, dicendo che spero che questi problemi siano frutto della confusione dovuta alla fretta, come dicevo, e non a un equivoco di fondo, quello di ritenere che la democrazia diretta sia un'espressione della volontà popolare più pura, di quella che si esprime, invece, nell'elezione dei rappresentanti dei cittadini. Questo è un errore proprio, è un errore teorico, è un errore di storia delle istituzioni. Guardate il referendum nasce come istituto proprio dei sistemi rappresentativi, prima c'era un'altra cosa, c'era la democrazia premoderna, quella di Rousseau, e anche, lì, a mio avviso, colleghi del MoVimento 5 Stelle, avete equivocato, Rousseau lo dice chiaramente, non credeva fosse possibile l'applicazione della democrazia diretta in una società contemporanea (Applausi dei deputati del gruppo Misto-+Europa-Centro Democratico e di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Montaruli. Ne ha facoltà.
AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie, Presidente. Viviamo in uno Stato in cui neanche il Presidente del Consiglio viene eletto direttamente dal popolo, diventa difficile poter credere nella genuinità di una riforma costituzionale che prevede la partecipazione diretta del popolo stesso, quando, ancor prima, questo Parlamento non si è approcciato a una modifica come quella anzidetta, cioè quella di avere degli eletti che sono stati scelti direttamente dagli elettori e, anzi, di persone che si prendono la responsabilità delle proprie scelte governative.
Ciò detto, io mi sono molto interrogata, alla luce, anche, di questa riforma costituzionale, sul rapporto tra il Parlamento e la nostra società.
Il referendum propositivo che voi oggi chiedete di introdurre nel nostro ordinamento è anche una bella idea, però lo sarebbe se fosse genuina la proposta presentata. Mi spiego meglio: qui non si tratta di difendere il “palazzo” dal popolo, non c'è un “palazzo” perfetto; noi sicuramente dovremmo essere eletti in base al merito, eppure in questi scranni ognuno di noi penserà che qualcuno è eletto in base al merito, qualcun altro per altri motivi. E anche il popolo non è perfetto: non devo io richiamare le Sacre Scritture per ricordarvi che il primo referendum fu quello in cui la folla scelse di liberare Barabba e di mandare sulla croce Gesù Cristo, quindi non sempre il popolo ha ragione e non esiste però, per la verità, lo strumento perfetto, esiste però una differenza: chi si siede su questi scranni ha un nome e un cognome e, attraverso il proprio nome e cognome, si prende la responsabilità delle scelte, del proprio voto, delle proposte che presenta e si sottopone, tante volte, quando nella vita sbaglia, al ventilatore del fango. Questo non avviene quando il popolo sbaglia: il popolo non è sottoposto a un controllo di questo tipo, nessuno, quando il popolo sbaglia, potrà dare le responsabilità a qualcuno. E questa è la prima differenza che inizia a introdurre il mio pensiero, cioè “sì” ad un referendum propositivo, ma ad un referendum propositivo che sia equilibrato, che sia gestito attraverso regole che garantiscano un equilibrio, quello stesso equilibrio che c'è all'interno di quest'Aula tra maggioranza e opposizione, ma anche un equilibrio che richiami alla responsabilità di chi presenta delle proposte. Ma al di là di tutti questi discorsi - io ho sentito molte prese di posizione fondate sulla difesa della Costituzione, sulle prerogative parlamentari, sul ruolo di questo palazzo - se ha un senso un referendum propositivo è quello di dare la voce a chi la voce qui dentro non ce l'ha, a chi non può farsi eleggere, a chi, non potendosi candidare alle elezioni, qui dentro non si può far eleggere, ovviamente per ragioni meramente anagrafiche. Sto parlando dei giovani, quei giovani di cui tanto nelle campagne elettorali noi ci riempiamo la bocca, quei giovani che rincorriamo attraverso la rete, quei giovani che cerchiamo di avvicinare attraverso il nostro modo di fare politica sempre più social e meno presente sul territorio, ecco i giovani. Perché - mi chiedo - non ci si interroga sul come mai, anche attraverso questa proposta di referendum propositivo si debba, ancora una volta, escludere i giovani da questo iter? Fratelli d'Italia ha presentato un emendamento in Commissione in cui chiedeva che ci fosse una procedura più snella per i giovani che volessero presentare delle proposte al Parlamento. Si diceva “le Camere, se non lo vagliano entro diciotto mesi”, anziché “Le Camere, non lo approvano entro diciotto mesi” per venire incontro a questa maggioranza, al Parlamento, rispetto alle diverse perplessità che avrebbe potuto avere, però sostanzialmente chiedeva di dare voce agli unici che voce nel “palazzo” non hanno. Perché io, domani, se non sarò più in quest'Aula, in base alla vostra riforma, potrò unirmi a tante altre persone e fare comunque una proposta di legge, ma io ho anche sempre il diritto di votare e di essere votata e di misurarmi attraverso le forme del consenso sulla mia persona, sul mio nome e cognome, sul mio nome e cognome che è sottoposto al vaglio, al vaglio dei media, al vaglio della rete, al vaglio del popolo che entra nell'urna e mi vota. Questo invece è precluso, per ragioni soltanto anagrafiche e non di merito, nei confronti dei giovani e sottende un'idea per la quale tutti abbiano diritto di dire la propria, anche – perdonatemi - le sciocchezze tranne che i giovani, perché non posso pensare che tutte le cose che dicono gli adulti o gli elettori siano cose di buon senso - e infatti non lo sono - quindi il mero aspetto anagrafico non vedo come possa essere una preclusione a fare una proposta a quest'Aula. Io ancora adesso mi chiedo come mai, nell'ottica di rendere il palazzo sempre più trasparente e di abbatterne i muri, gli unici che non vengono ascoltati sono proprio quelli della fascia d'età che qui dentro non ci potrebbe entrare e non ci potrebbe entrare - ripeto - per una questione meramente anagrafica. Forse chi è qui dentro ha più dignità di chi sta nelle scuole? Forse chi è qui dentro ha più dignità di chi già in giovane età si mette a cercare di difendere le proprie idee? Per me no: quando io vedo un giovane che raccoglie le firme per presentare una proposta a questo Parlamento per me è più meritevole di me stessa che sono qui, perché è disinteressato, perché sa che non lo fa per un secondo fine, perché non ha l'ambizione di essere eletto, perché ha quello spirito autenticamente ribelle che gli permette di presentare qualcosa nei confronti di un'Assemblea legislativa che la vaglia ed eventualmente l'approva. Allora, io mi chiedo perché, se l'intento di questa riforma costituzionale è quello di avvicinare sempre di più il Palazzo alla piazza, le persone giovani, che sono quelle che in questo momento riempiono la piazza non ci sono, non sono contemplate, sono lasciate fuori; c'è un diritto di accesso a tutti e un divieto d'accesso ai giovani. Perché? Sull'incomprensibile “no” ricevuto al nostro emendamento da parte del Governo, io ho capito il tradimento dello spirito del referendum propositivo, perché non si tratta più di fare una riforma costituzionale per avvicinare quest'Aula alla strada, ma si tratta invece di dare la possibilità, sempre a noi, cioè agli elettori, a quelli che si possono fare eleggere in quest'Aula, di dire la propria, ma attraverso un altro canale, che è quello appunto che voi avete immaginato, o meglio in un'ottica di maggioranza e opposizione, qualora non si formi una maggioranza su determinate proposte di legge in quest'Aula, riconoscere la possibilità di andare a cercare una maggioranza all'esterno. Ciò attraverso un sistema di controllo che non c'è, perché qui noi siamo sottoposti a varie valutazioni e a un sistema di equilibrio che permette - ripeto quello che ho detto in premessa - un rapporto tra maggioranza e opposizioni, cosa che invece non avviene attraverso la proposta che voi invece immaginate. E, allora, io ho voluto esserci, nonostante non sia la mia Commissione, la Commissione in cui sono titolare, in Commissione Affari costituzionali per sentire le grandi opposizioni che c'erano eventualmente rispetto alla nostra proposta, che renderebbe coerente il testo che voi presentate allo spirito con il quale invece è stato annunciato. Ma sentendo semplicemente rispondere un qualcosa di suggestivo, però parere contrario, ho capito che questa maggioranza, o meglio, forse di più ancora il MoVimento 5 Stelle, che si fa fautore dell'ascoltare il cittadino, in realtà non ha ben chiaro quale debba essere il rapporto tra quest'Aula e quello che c'è al di fuori di quest'Aula.
Quindi, per queste ragioni, io ritengo che la riforma sia una riforma sì suggestiva, che il referendum propositivo non sia nulla di così negativo da dover combattere in modo ideologico, anzi Fratelli d'Italia è favorevole nel dare la parola ai cittadini quando i cittadini sono realmente motivati nel chiederla. Peccato che questa riforma costituzionale non risponda allo spirito che avete annunciato.
Temo che, in realtà, la riforma che voi state andando a proporci e che oggi andiamo ad esaminare sia il preludio di una propaganda alla Casaleggio, dove si spera che un giorno i referendum vengano fatti soltanto via rete e senza quorum, anche se il quorum, grazie a Dio, è stato introdotto, anche se non nelle forme che noi, per la verità, avremmo voluto. Ma rimane il dubbio che sia un preludio a quanto diceva Casaleggio, quando appunto dichiarava che un giorno ci sarebbero stati i referendum via rete. Noi i referendum via rete non li vogliamo, ai troll continuiamo a preferire le persone comuni. Spero, nel corso di questo dibattito parlamentare e successivamente, durante le votazioni, di essere smentita, perché se non verrò smentita voi avrete fatto un tradimento nei confronti delle stesse persone che vi stanno a guardare, perché - l'ho detto prima - noi forse dovremmo essere qui per merito (lo dovremmo essere di sicuro per merito), poi tanti di noi questo merito lo tradiscono. Voi siete venuti in quest'Aula, siete entrati in questo palazzo arrogandovi il merito per il quale chi non aveva fatto un giorno di politica valeva di più di chi aveva fatto un lungo percorso di militanza, ma vi invito a riflettere sul fatto che l'esclusione della popolazione più giovane, che, secondo i sondaggi, peraltro guarda più a voi del MoVimento 5 Stelle che a noi, rende questa riforma costituzionale non una riforma volta alla massima partecipazione di chi nel palazzo non ci può entrare, ma rischia di essere un qualcosa in mano a pochi, non eletti, perché non sono all'interno delle istituzioni, che, non riuscendo a farsi eleggere nelle istituzioni, trovano in questa riforma un éscamotage per poter avanzare delle proposte che, altrimenti, nel gioco della maggioranza e dell'opposizione di quest'Aula, non troverebbero alcun tipo di consenso (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti del liceo “Antonio Meucci” di Aprilia, che hanno seguito la nostra seduta e che stanno andando via (Applausi). È iscritto a parlare il collega Forciniti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO FORCINITI (M5S). Presidente, secondo me, la giornata odierna non è importante solo perché approda in Aula la legge costituzionale sul referendum propositivo e quindi si dotano i cittadini di un nuovo strumento di partecipazione, perché approcciarsi con questo spirito all'esame di questo provvedimento significa non cogliere appieno quello che è il cambiamento anche culturale, se vogliamo filosofico, ideale, che noi stiamo provando a portare avanti in questo Paese. Quindi, pensare che oggi si tratti solo di introdurre un nuovo meccanismo di produzione legislativa, secondo me, è piuttosto riduttivo. Ritengo, invece, che oggi si tratta di affermare un principio, una visione di società, che è in perfetta antitesi con quello che è stato il pensiero unico dominante fino praticamente all'altro ieri. Qui si tratta di affermare la visione solidaristica di chi ancora oggi crede che lo Stato sia una gigantesca associazione di cittadini liberi, un'associazione che mira al riconoscimento e non alla sottrazione di diritti economici e sociali, che mira all'uguaglianza sostanziale fra gli individui, che stimola, produce e incentiva la partecipazione dei cittadini, anziché frustrarla. In effetti, questa è, in maniera incontrovertibile, nessuno lo può negare, l'impostazione che i nostri padri costituenti vollero dare al testo costituzionale circa settant'anni fa; un'impostazione filosofico-culturale di valore indubbio. Ce lo riconoscono in tutto il mondo che la nostra Costituzione è un patrimonio di valori da tutelare e da preservare. Quindi, questa visione che i nostri padri costituenti ci hanno regalato, questo bellissimo sogno visionario che ci hanno lasciato in eredità circa settant'anni fa, è tutto un inno, un invito a uscire di casa, a scrollarsi di dosso l'apatia, a partecipare, a dare il proprio contributo, ad essere in prima persona artefici del progresso materiale e spirituale della società. Nella Costituzione c'era un trionfo di diritti, di principi: il diritto di manifestare, di associarsi, il diritto di voto, il voto a suffragio universale - la nostra stessa Costituzione nasce da un referendum, non lo dimentichiamo -, il diritto di sciopero. La nostra Costituzione è un tripudio di diritti e di garanzie per i cittadini, è qualcosa che ti fa scrollare di dosso la noia, la rassegnazione, l'indifferenza, e ti dice: partecipa, scendi in campo, anche se non come qualcun altro.
Ecco cosa si tratta oggi di affermare, questo principio, che è fondamentale, secondo me, e che necessariamente e logicamente non può convivere, anzi non può che essere in contrasto con quella che è invece la visione che certe oligarchie tecnocratiche hanno provato ad affermare in questi anni; oligarchie che hanno avuto un obiettivo totalmente opposto a quello di garantire ai cittadini partecipazione, che è stato quello di snellire, velocizzare, abbattere le garanzie democratiche, accentrare i poteri, allontanare i centri decisionali dai cittadini, probabilmente, molto spesso, per poter servire meglio una élite economico-finanziaria, quindi magari anche per poter applicare in maniera più facile e indolore ai cittadini delle decisioni senza che i cittadini, le parti sociali, l'informazione e la stampa abbiano mai avuto il tempo materiale di reazione per poter dire la propria, ed essere coinvolti in un processo anche di cambiamento della nostra società.
Quante volte è successo che ci siamo ritrovati ad aver votato partiti politici che hanno promesso una cosa in campagna elettorale e poi, nel segreto delle stanze, al chiuso, ne hanno fatte di tutt'altro segno e di tutt'altro settore? Ecco di cosa si tratta. Secondo me si tratta di respingere, di rottamare - anche in questo caso consentitemi la citazione - quel vecchio metodo, quel vecchio concetto di democrazia che pervadeva anche la vecchia stagione delle riforme costituzionali, quella che per fortuna si è appena arenata, conclusa, e che in maniera più o meno consapevole andava proprio nella direzione di accentrare i poteri e le competenze, si abbattevano le garanzie per gli enti locali, con la clausola di supremazia che garantiva al Governo centrale di poter asfaltare le realtà locali secondo un presunto interesse della nazione che poi non era meglio specificato; il Senato diventava non elettivo, quindi meno potere per i cittadini di votare; le leggi di iniziativa popolare triplicavano il numero di firme necessarie per presentarle. Era proprio l'idea opposta a quella che noi oggi affermiamo, l'idea che il cittadino deve contare e deve partecipare. Ecco perché siamo qui, non solo per introdurre, come dicevo prima, uno strumento nuovo, ma anche e soprattutto per inaugurare una nuova stagione, dove, da una parte, chi è fuori dal palazzo non deve più sentirsi ignorato, escluso, abbandonato, emarginato, perché chi è fuori dal palazzo deve assumersi le sue responsabilità, deve dare il suo contributo e deve sentirsi valorizzato nel farlo; parallelamente, chi è dentro questo palazzo finalmente deve aprire le finestre di questo palazzo e ascoltare la voce di chi è fuori. Questo non è fatto, come qualcuno ha detto - ho ascoltato con molta attenzione il dibattito e ho seguito in Commissione con vivo interesse molte delle osservazioni fatte dalle opposizioni, che, del resto, abbiamo anche recepito in maniera costruttiva, perché qui stiamo riformando la Costituzione, e anche in questo il metodo è diverso: non si fa la riforma costituzionale a colpi di maggioranza -, nell'ottica di contrapporre palazzo e popolo, non è assolutamente questo l'obiettivo. Anzi, l'obiettivo è quello opposto, quello di mettere in sinergia le forze di questo Paese, di fare rete, di permettere, ripeto, da una parte, ai cittadini di poter dare il loro contributo, di potersi sentire valorizzati nel farlo, esprimere le loro idee, dare i loro input, i loro contributi, raccogliere firme, uscire di casa, andare nelle piazze, raccogliere delle firme, informarsi, partecipare, volerne sapere di più, e dall'altra, in parallelo, permettere a questo palazzo di farsi forza di quello che arriva da fuori per poterlo recepire in maniera costruttiva, lavorarci su per poterlo sfumare, affinare, migliorare, nell'ottica di andare insieme, di pari passo, in una direzione comune, che è quella di fare il bene di questo Paese.
Non è nessun altro obiettivo, il nostro, se non questo; non c'è alcun obiettivo di mettere in contrapposizione forze sociali che provengono da fuori questo Palazzo e chi in questo Palazzo, magari, si sente un po', in un eccesso di autoreferenzialità, autorizzato a fare qualsiasi cosa. Anzi, l'obiettivo è quello di far marciare di pari passo le realtà belle e sane che in questo Paese ci sono e di portarle insieme a lavorare per migliorare il nostro Paese. E mettere in moto questo circolo virtuoso di energie positive sarà la vera scommessa che noi ci apprestiamo a raccogliere con questo provvedimento ma poi anche con tutta un'altra serie ovviamente di provvedimenti che andranno in questa direzione.
E volevo svolgere anche un'altra osservazione rispetto ad alcune cose che sono state dette in Commissione e anche nel corso di questo dibattito, circa la pericolosità del referendum. Perché il Parlamento, ho sentito dire, sentirebbe il ricatto del referendum e pur di non andare al referendum magari sarebbe influenzato in maniera negativa nel suo operato. Ma per quale motivo dovremmo avere paura di un referendum, noi che siamo qui dentro? Io credo che il referendum sia la massima espressione della democrazia e ciascuno di noi debba avere il dovere di approcciarsi a quel momento con rispetto estremo, totale, perché noi dobbiamo avere a cuore quello che i cittadini hanno in mente, quello che vogliono su un determinato tema, per farne poi la nostra stella polare. A tale riguardo, la stagione dell'invito ad andare al mare quando si vota per un referendum la dobbiamo rottamare, non deve esistere più. Da questo momento in poi i cittadini devono sentirsi valorizzati perché la politica che è qui dentro deve avere a cuore la loro idea e i cittadini devono sentirsi responsabilizzati nell'esprimere quell'idea. Questo non può che dare effetti benefici e positivi alla nostra società, non ci può essere l'idea di uno scontro referendario fra chi è dentro e chi è fuori, bisogna marciare insieme, di pari passo.
E quindi si va in questa direzione, secondo me, e si raccoglie quella che è la vera sfida del nostro tempo, che non è quella di velocizzare, snellire e abbattere i processi democratici per poter fare più in fretta, magari a discapito proprio della qualità delle decisioni stesse, non è questa la modernità, non è questa l'idea di modernità. La vera modernità, la vera sfida che noi dobbiamo raccogliere è quella di allargare, di ampliare i processi democratici decisionali, di capire come meglio possiamo coinvolgere i cittadini e spingerli a dare il meglio di sé, capire come possiamo meglio integrarli in un processo decisionale, capire come possiamo farli contare di più e capire come possiamo fare in modo che da questo concorso di forze sane nel Paese escano cose buone per tutti, cose positive e che si persegua l'interesse finalmente generale.
Questo è, secondo me, proiettare il nostro Paese verso il futuro, non vedo altra soluzione all'orizzonte. Del resto, è quello che accade in tutta Europa, i venti di democrazia diretta che si scuotono ovunque, anche se poi magari disattesi da politici che poi non riescono a fare la volontà popolare: penso al referendum greco contro l'austerity, quel bellissimo moto pacifico popolare, dal basso, che si è levato per dire “no” a determinate politiche di austerità; penso al referendum sulla Brexit, anche in questo caso forse la politica non riesce ad assumersi la responsabilità di raccogliere quella che è la voce dei cittadini; penso ai moti pacifici (dei violenti non voglio nemmeno parlare, perché per quanto mi riguarda non li prendo nemmeno in considerazione) dei gilet gialli, che rivendicano dal basso maggiori diritti sociali e maggiori garanzie di poter contare; anche loro vogliono il referendum propositivo, vogliono i referendum, vogliono la democrazia diretta.
Penso a tutto quello che sta accadendo nel mondo, nelle democrazie moderne, e pensare ancora oggi a uno schema di democrazia tale per cui la massima espressione del cittadino è quella di mettere una croce sul simbolo per poi rimanersene a casa, emarginato, a lasciare che gli eventi accadono su di sé per cinque anni, fin quando gli verrà magari graziosamente concesso di mettere un'altra cosa su un altro simbolo, chi ha questa idea della democrazia, secondo me, oggi, è fuori dal tempo ed è fuori dalla storia. E noi non possiamo fare altro, invece, che recepire questo vento del cambiamento e soffiare insieme a lui. Il grande Fabrizio De André, di cui è ricorso solo pochi giorni fa il ventesimo anniversario della scomparsa, cantava: voi non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo. Allora noi il vento non lo vogliamo fermare, non gli vogliamo fare perdere tempo, vogliamo soffiare insieme a questo vento, perché è vento di modernità, è vento di cambiamento, è vento di partecipazione, è vento di democrazia diretta e non ci fermeremo, non ci limiteremo a portare in questi palazzi e in questo ordinamento nazionale queste istanze di partecipazione, di democrazia diretta e di maggiore tutela dei diritti economici e sociali dei cittadini, ma lo porteremo anche nei palazzi europei; perché oggi avere a cuore la stabilità e la tenuta dell'Unione europea non significa badare ai bilanci, badare al rigore dei conti, ai vincoli e ai parametri europei, se poi c'è gente che va a mangiare alla Caritas, se poi c'è gente che si suicida perché non riesce a tenere in piedi un'attività, se poi c'è gente che non ha di che vivere, se poi c'è gente che scende in strada per manifestare il suo malcontento perché la politica non lo capisce.
La vera tutela, la vera tenuta dell'Unione europea non può che passare dalla garanzia dei diritti economici e sociali, che in questo momento troppe volte sono stati sacrificati sull'altare del rigore dei conti e di una cieca austerity imposta da quell'oligarchia tecnocratica, che poi, guarda caso, guarda sempre un po' con diffidenza a quelle che sono le Costituzioni sovrane dei Paesi democratici.
Quindi, ecco quello che noi vogliamo fare, questo oggi è un momento di transizione, è un primo momento fondamentale per cambiare visione culturale, filosofica e ideale di questo Paese, non è solo un tecnicismo che mettiamo in Costituzione per garantire a qualche cittadino di presentare qualche firma senza che queste firme rimangano a prendere polvere in un cassetto. Non è questo, è un cambiamento più ampio, più alto, di matrice culturale, ideale e sociale che noi siamo orgogliosi - partendo dal nulla, partendo da semplici attivisti che stavano fuori proprio perché la politica non ci voleva ascoltare - di essere oggi arrivati qui, in queste stanze, in questi palazzi, a poter affermare finalmente questa voce dei cittadini che rivendicano il loro diritto a poter contare di più, che rivendicano di poter esercitare la sovranità per come i padri costituenti hanno deciso che loro potessero fare.
Quindi, invito anche le altre forze politiche a non guardare con diffidenza questo passaggio, questo momento, perché non possiamo fare altro che andare sempre più nella direzione di garantire ascolto e partecipazione ai cittadini, se ci teniamo davvero, se tutte le forze di questo arco parlamentare si dicono europeiste e quindi hanno a cuore la tenuta anche sociale delle nostre istituzioni democratiche; io invito a guardare con positività e con fiducia questo passaggio, perché sarà un passaggio importante e ineluttabile, che ci porterà sicuramente a guardare con più fiducia e con più ottimismo al futuro di tutti noi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Tartaglione. Ne ha facoltà.
ANNAELSA TARTAGLIONE (FI). Grazie Presidente, onorevoli colleghi, il principio della rappresentanza politica, fondamento della Costituzione, figlio di una tradizione comune a tutti i Paesi del mondo occidentale, rischia di essere seriamente compromesso dalla proposta di legge su cui quest'Aula è oggi chiamata a pronunciarsi. Nel nostro ordinamento gli strumenti di democrazia diretta, quale l'iniziativa popolare, si configurano come componenti integrativi, che si innestano sul tronco della democrazia rappresentativa, prevedendone possibili sclerosi e garantendo, anche al di fuori del momento elettorale, un rapporto di sintonia tra rappresentanti e rappresentati. Questo assetto dei rapporti fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta può ritenersi un principio supremo e caratterizzante del nostro ordinamento costituzionale.
La storia dei referendum popolari, nazionali e locali, è, tuttavia, una storia importante, che non può essere relegata ad un angolo. Periodiche sono state le iniezioni di partecipazione popolare che hanno fatto bene al nostro Paese. Ben vengano, quindi, iniziative che rafforzino la funzione di stimolo del Parlamento da parte dei poteri popolari più o meno diretti, ma attenzione che non siano portatrici di una collaborazione e di non andare in contrapposizione al corpo elettorale e al Parlamento.
La legislazione, infatti, è materia delle istituzioni rappresentative. Solo i regimi plebiscitari e autoritari scambiano il rapporto di forza tra popolo e rappresentante, affidando in particolare al primo, o meglio a coloro che pretendono di identificarsi con il popolo, di legiferare in luogo del Parlamento, sede naturale del processo legislativo democratico.
Il presupposto che muove oggi questa iniziativa legislativa è che la crisi della democrazia rappresentativa possa essere sostituita con un forte innesto di democrazia diretta, mediando un'iniziativa popolare, che, per come è disegnata, o impone al Parlamento la scrittura di una legge a rime obbligate, o, secondo il progetto popolare, nel caso in cui i rappresentanti modificassero la proposta del comitato promotore, rimette al popolo il potere di risolvere in un referendum decisorio un conflitto che c'è in atto, voluto tra i promotori, e quello modificato dal Parlamento.
La pur nobile idea di rafforzare l'iniziativa popolare con garanzie di risultato non equivale ad aggiornare il nostro ordinamento, seguendo soluzioni coerenti con la tradizione delle libere democrazie, ma sembra piuttosto un'iniziativa tesa a trasformare il nostro ordinamento, ribaltando il rapporto tra la componente rappresentativa e la componente plebiscitaria.
La regola della decisione mediata attraverso la dialettica parlamentare dei rappresentanti eletti, necessaria per trovare la migliore delle decisioni, come insegnano oltre 300 anni di storia costituzionale, rischia di essere sovvertita a vantaggio del potere plebiscitario del popolo, tanto da rendere, per definizione assolutamente migliore, qualsiasi proposta da esso - o meglio, da chi si appropria della supposta volontà popolare - provenga.
Il nostro ordinamento già prevede forme di partecipazione diretta dei cittadini, come il referendum abrogativo previsto dall'articolo 75 della Costituzione. Nello specifico, dal referendum sono escluse le materie sulle quali il cittadino potrebbe non avere la dovuta preparazione, come ad esempio la ratifica dei trattati internazionali oppure la materia tributaria; al contrario, la perimetrazione delle materie previste nella proposta di legge appare davvero lacunosa, poiché si parla dei soli principi e diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, lasciando intendere che con il referendum propositivo si possano modificare anche le singole disposizioni costituzionali che non siano principi-fondamento e diritti, ed è questo che va in piena contrapposizione con le forme di revisione costituzionale stabilite dall'articolo 138 della Costituzione stessa.
In riferimento alle materie desta poi particolare preoccupazione l'assenza di un chiaro limite in materia di spesa per le proposte di legge, che infatti dovranno indicare i mezzi di copertura per la realizzazione di quanto previsto, lasciando la questione ancora incerta. La proposta di legge, così come approvata dalla I Commissione, dove il gruppo di Forza Italia ha condotto una battaglia salvaguardando la volontà dei cittadini, presenta almeno tre gravi lacune. La prima è di ordine filosofico. Infatti, la cosiddetta volontà generale, di per sé formula assai vaga, è, all'atto pratico, un'astrazione inattuabile e comunque fatale, poiché il contenuto di ogni legge presuppone un grado di informazione e di competenza che non possono di certo aumentare con il coinvolgimento.
La seconda lacuna è di ordine istituzionale. La nostra Costituzione, infatti, mantiene comunque un impianto coerente e fondato sulla democrazia rappresentativa, non solo perché pone al centro il Parlamento eletto dal popolo, ma anche perché tutti i suoi organi principali, dal Presidente della Repubblica, alla Corte costituzionale, al Consiglio superiore della magistratura, sono di nomina indiretta, talvolta di secondo e terzo grado, cosicché, coerentemente, essa limita il referendum non solo nelle materie suscettibili di approvazione, ma anche nella misura della partecipazione popolare.
L'effetto della riforma sarebbe, dunque, dirompente nella sistematicità dell'organismo. Toccare la Costituzione non è come toccare qualsiasi altra legge: se lo si fa nel modo sbagliato, come in questo caso, ne risulterebbe un pasticcio ingestibile e richiederebbe sempre nuovi adattamenti, fino al collasso finale.
La terza ragione, per questo, non meno importante delle altre, è quella politica. Il referendum è nato come strumento estremo, per correggere storture del nostro sistema sedimentatesi in decenni di regime, monarchico prima e fascista poi, sulle quali il Parlamento aveva opposto un'insopportabile inerzia. Tuttavia rischia di accadere il contrario: non si tratta più di un rimedio e di una visione statica e conservatrice, ma di una sorta di disordinamento e assalto alla diligenza, servendosi per lo più del social network e delle precarie piattaforme di ignari ed entusiasti sostenitori. A questo si aggancia il vero problema, che è stato sottovalutato, cioè la soglia di approvazione del 25 per cento: c'è il rischio che su temi che non interessano tutti gli italiani ma soltanto delle minoranze organizzate e collegate a questo nuovo strumento di comunicazione digitale, esse possano, per così dire, farsi le leggi da sole.
Gli emendamenti proposti da Forza Italia - e che essa ha presentato al testo - sono andati nella direzione di rivedere l'intero impianto della proposta di legge stessa, soprattutto a difesa della vera iniziativa popolare. Sono state infatti presentate proposte volte ad introdurre limitazioni quantitative al numero di richieste referendarie presentabili, a riallineare i limiti di ammissibilità dello strumento a quelli sanciti dall'articolo 75, comma secondo, della Costituzione, a quelli più ampi riconosciuti dalla giurisprudenza costituzionale, a chiarire i rapporti tra referendum abrogativo e referendum propositivo, chiarendo che quest'ultimo non può avere efficacia meramente abrogativa.
Il rischio è, dunque, quello di non rafforzare la democrazia rappresentativa, come dicono i proponenti del presente disegno di legge costituzionale, ma di stravolgerla, per una democrazia diretta, tra l'altro molto problematica. Sostituirsi al Parlamento significa colpire il cuore della democrazia rappresentativa, che prevede che le leggi siano approvate da chi viene eletto. Il popolo è giusto che intervenga, faccia conoscere la proprio opinione, ma attraverso un intervento costruttivo e dinamico, che non si riduca ad un semplice “sì” o “no”.
Per questo, va bene il referendum propositivo, ma con molte cautele. Ciò che ci preoccupa è l'idea di democrazia diretta, di chi in questo momento siede tra i banchi del Governo: dal taglio del numero dei parlamentari fino al referendum propositivo, non si vuole arrivare ad una democrazia più partecipativa, ma si vuole annientare un sistema che i nostri Padri costituenti hanno costruito e difeso a tutela dei cittadini. È per questo che il gruppo di Forza Italia è chiaramente contrario ad uno stravolgimento dell'assetto del nostro ordinamento (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.
FEDERICO FORNARO (LEU). Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, il collega Speranza e la collega Muroni hanno già dato il senso dell'approccio che il gruppo di Liberi e Uguali ha scelto di avere rispetto alla proposta di riforma costituzionale che oggi è in discussione. Vorrei ripartire da qui, cioè da una scelta che è stata apprezzata, come è stato ricordato, da molti costituzionalisti, di una riforma puntuale e non di una riforma complessiva della Carta costituzionale. Ciò sta dentro lo spirito dei Costituenti, cioè la possibilità di intervenire su quella Carta, ma in maniera puntuale.
Credo che in questa sede, però, vada sollevata una questione. Mi rivolgo, ovviamente, non solo ai proponenti ma anche al Governo, che in più di un'occasione è intervenuto a sostegno di questa iniziativa e che ha fatto anche una scelta - lo ricordo - di attribuire al Ministro Fraccaro il titolo di Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, compiendo una scelta forte in questa direzione. Attenzione, infatti (è un avvertimento che rivolgo all'Aula e rivolgo alla relatrice, apprezzando anche nel suo intervento la disponibilità ad apportare ulteriori modifiche al testo uscito dalla Commissione), poiché la Costituzione - mi si passi quest'immagine - assomiglia un po' a quei vecchi orologi, cioè non a quelli moderni ma a quelli più antichi: quando li aprivi trovavi dentro un meccanismo ad ingranaggi e gli ingranaggi si tenevano l'un con l'altro; in qualche modo ogni ingranaggio si collegava ad altri.
Non si può, quindi, pensare di intervenire su un singolo ingranaggio senza, evidentemente, tenere conto degli effetti sistemici che questa modifica potrebbe andare ad avere: vedremo ciò quando arriverà il testo, per esempio, sulla diminuzione del numero dei parlamentari, ma lo vediamo già anche su questo testo di riforma.
Su questo vorrei essere molto chiaro poiché c'è un tema: è il tema di dare maggiore capacità di intervento, di partecipazione, ai cittadini nel processo legislativo, per cercare - io credo - di ridurre il fossato che si è creato in tutti questi anni tra Parlamento, istituzioni e cittadini, e su questo non si può non essere d'accordo. Il punto, però, è che la struttura della Costituzione, la democrazia parlamentare, che è la forma scelta dai Costituenti, si fonda sulla democrazia rappresentativa. Il punto è questo: se con questo progetto e con altri si vuole andare ad innestare sull'albero maestro della democrazia rappresentativa un ramo di democrazia diretta, per dargli nuovo vigore, questo è un tema.
Se, invece, la questione è quella in qualche modo di mettere a fianco della democrazia rappresentativa anche un albero nuovo di democrazia diretta, allora noi su questo siamo su una posizione contraria perché noi difendiamo e rivendichiamo l'impianto della nostra Costituzione e difendiamo la democrazia parlamentare e la democrazia rappresentativa. È in questo spirito che insistiamo sul tema relativo, per esempio, alle materie, riportando le materie possibili oggetto di referendum propositivo a quelle dell'articolo 75 della Costituzione, cioè il referendum abrogativo, e in particolare continuiamo a porre l'attenzione di quest'Aula e della relatrice sul tema delle materie di carattere tributario o fiscale, perché è evidente - e lo dico con una battuta - che se domani mattina ci mettessimo a raccogliere le firme per l'abolizione delle strisce blu, quelle a pagamento, ad esempio, credo che in un attimo. in un amen si raccoglierebbero 500 mila firme e certamente si avrebbe anche un esito scontato di quel referendum, ma non è questo lo spirito, non è questo il compito, non è questo l'obiettivo. E, quindi, togliere le materie tributarie e fare chiarezza su questo punto è assolutamente centrale.
La seconda questione - e poi ce ne sono altre - è fare attenzione a non trasformare, non riconoscere e dare rango costituzionale ai comitati promotori di referendum, perché se non stiamo attenti con la stesura di questo testo e con l'approvazione di questo testo in qualche modo riconosciamo e portiamo a rango costituzionale i comitati promotori, mentre sarebbe preferibile, proprio per evitare quella contrapposizione frontale in qualche modo tra cittadini e istituzioni, che sia un soggetto terzo a valutare, per esempio, se il testo uscito dal dibattito parlamentare sia conforme allo spirito dei proponenti il referendum e non gli stessi proponenti che in qualche modo a quel punto sono tutti tesi, anche per ragioni propagandistiche, ad andare al referendum attivando, quindi, un contrasto non accettabile.
Così c'è anche il tema del ballottaggio e c'è un'ultima questione che vorrei sollevare sul merito ed è il numero di proposte che possono essere oggetto, ovvero se ogni comitato promotore può raccogliere le firme per una proposta o per più proposte. So che questo è stato oggetto di discussione anche già in Commissione e che la risposta rimanda alla legge in qualche modo attuativa della modifica dell'articolo 71 ma per noi insufficiente perché è evidente che qui sì ci può essere un tentativo di svuotamento sostanziale, al di là della forma, del ruolo del Parlamento, perché se io mi metto a raccogliere contemporaneamente dieci proposte di iniziativa popolare nei diciotto mesi successivi allora il Parlamento si occuperà sostanzialmente di decreti-legge del Governo e di leggi di iniziativa popolare e il già ridotto spazio dell'iniziativa parlamentare di un singolo parlamentare sarà azzerato. Lì sì andremmo a creare un radicale elemento di distruzione nei fatti della democrazia rappresentativa.
Concludo da un punto di vista politico perché voglio che rimanga agli atti questo aspetto. È evidente che c'è da parte delle opposizioni e - lo riconosco - anche dalla nostra parte, un dubbio di fondo: mi chiedo quale sia l'obiettivo, al di là degli enunciati e al di là, per esempio, di un intervento da parte della collega Corneli che abbiamo apprezzato, e c'è il sospetto che dietro vi sia il retropensiero di dare attuazione a quello che scrivevano Gianroberto Casaleggio e Grillo nel 2011 nel libro Siamo in guerra. Ricordo a tutti noi cosa scrivevano: “Il nuovo mondo sarà post-ideologico. I partiti si cullano nell'idea che tutto cambierà perché nulla cambi, che la secolare struttura piramidale del potere rimarrà intatta. Ma le masse informate non hanno più bisogno né la volontà di delegare ad alcuno il loro destino. I referendum via rete senza quorum e propositivi diventeranno la normalità. E, allora, in nome di chi operano i politici se non di loro stessi? In futuro le persone decideranno del loro destino. Ognuno conta uno e le leggi della rete sono uguali per tutti”. È evidente che se il disegno, che è un disegno alternativo ed eversivo rispetto alla Carta costituzionale, è quello che vi guida troverete da parte nostra una totale e radicale opposizione.
Se, invece, lo spirito è quello che è stato descritto e raccontato dalla relatrice e da alcuni interventi è evidente che ci potrà essere un altro tipo di atteggiamento. Dunque, qual è il punto di discrimine? Noi non riteniamo che il lavoro fatto in Commissione sia stato inutile e abbiamo apprezzato questa apertura, ma ci aspettiamo nello spirito costituzionale e in uno spirito costituente - mi si passi la forzatura - che dal dibattito vero dei prossimi giorni escano delle risposte a dei quesiti, a delle domanda e a delle preoccupazioni per poter dire se questo strumento che introduciamo nella Costituzione è di fatto una bomba posta sotto l'edificio della democrazia rappresentativa e della democrazia parlamentare oppure è, invece, quell'innesto proficuo e utile nella struttura della democrazia rappresentativa.
Concludo con un riferimento allo stato, allo spirito e alla ragione per la quale abbiamo avuto e avremo questo atteggiamento che è un atteggiamento costituente - mi si passi anche qui la forzatura - perché noi crediamo che non solo, come è stato ricordato, la Costituzione sia lo strumento di tutti ma perché noi viviamo una fase che Marc Lazar, nel 2015, definiva in questo modo: “Il futuro della democrazia si gioca davanti a noi in un contesto reso difficile dalla realtà della crisi economica e delle sue conseguenze sociali nonché dal difficile stato in cui versa la costruzione europea. Le democrazie europee possono uscirne indebolite o rafforzate. Molto dipenderà dalla capacità dei responsabili politici di dare delle risposte chiare all'altezza dei problemi e delle aspettative dei cittadini”. Noi siamo qui per questo oggi a provare a dare delle risposte in positivo a una crisi della democrazia e, in particolare, a una rottura nel rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni. Siamo, quindi, per guardare avanti, in una costruzione e in un rafforzamento della democrazia; non siamo disponibili a essere nella linea e nel solco di quello che scrivevano Casaleggio e Grillo nel 2011 e alla distruzione della democrazia rappresentativa e alla sua sostituzione con la democrazia diretta perché, come ha detto il collega Ceccanti ricordando atti del passato, alla fine percorrendo quelle strade si arriva esattamente all'opposto di dove si è iniziato, cioè si arriva a regimi non democratici.
Noi difendiamo la democrazia rappresentativa e crediamo che gli strumenti di partecipazione possano e debbano essere ampliati, però vi sfidiamo in quest'Aula e sfidiamo i proponenti in quest'Aula a trovare quei correttivi al testo uscito dalla Commissione che ci consentano di dire che questo è un innesto e non una bomba posta sotto il nostro impianto costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiano. Ne ha facoltà.
EMANUELE FIANO (PD). La ringrazio, Presidente. Signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, personalmente io non confondo il clima rispettoso che stiamo tutti tenendo quest'oggi e che abbiamo anche tenuto in Commissione con il giudizio di pericolosità per la democrazia che noi assegniamo alla vostra proposta. Ringrazio la collega Dadone che evidentemente per indole e per educazione, così come il presidente Brescia e anche il Presidente Fico, conosce i modi pacati e magari più di me, che tendo a far tracimare a volte - poche - la passione.
Purtroppo però, colleghi, a volte i modi pacati ed educati non sono sostitutivi della pericolosità dei temi trattati. Per essere chiari, collega Dadone, mi consenta: le garanzie per le minoranze che lei ha citato nell'incipit della sua relazione, le aperture al dibattito che voi avete fornito, l'approfondimento di ogni singola proposta emendativa, l'accettazione del ciclo di audizioni - la prego - non sono una sua gentile concessione, come lei questa mattina ha detto, non sono, come lei ha detto, un accoglimento di una nostra richiesta: sono un atto dovuto. Ma veramente lei pensa che invece tutto questo poteva essere rifiutato? Ma perché forse lei ha memoria che nella scorsa legislatura, nella tanto vituperata - da voi e non da noi o da me, perlomeno - riforma costituzionale, siano state negate audizioni, discussioni di ogni singolo emendamento o discussione generale del tema per molti e molti come era giusto che fosse quando parliamo di una materia che è di tutti?
Discussioni. Come dimostra, colleghi, il testo del dispositivo che ha fin qui reso noto la Consulta circa il pronunciamento di inammissibilità sul ricorso presentato dal gruppo del Partito Democratico del Senato circa l'inammissibile - questo sì - comportamento della vostra maggioranza sulla mancata discussione parlamentare del testo di legge di bilancio recentemente approvato, si può impedire il senso dell'esercizio del potere legislativo del Parlamento rispetto a quello propositivo del Governo, anche quando si usano contemporaneamente modi gentili come i suoi, collega Dadone, e come i vostri in Commissione su un altro provvedimento. Voi avete impedito al Parlamento di votare qualsiasi singolo emendamento sulla legge di bilancio mentre, come gentilmente e giustamente riconosciuto da noi, ci concedevate la discussione sulla riforma dell'articolo 71. O si è sempre per la prevalenza del potere legislativo del Parlamento su quello propositivo del Governo oppure si sta parlando ipocritamente di partecipazione.
Noi siamo contrari a far prevalere l'esercizio legislativo diretto su quello delegato al Parlamento; siamo favorevoli all'allargamento della partecipazione diretta popolare ma non al prezzo di superare il potere delegato al Parlamento, non al prezzo di far prevalere, come è successo nell'occasione della legge di bilancio, il potere legislativo del Governo su quello del Parlamento.
Per la prima volta con il vostro testo si istituisce con rango costituzionale una nuova fonte di legge: non il Parlamento, non il Governo, non la Corte costituzionale ma un comitato referendario che, lungi dall'essere terzo rispetto all'eventuale competizione che si comporrà tra il testo del quesito referendario e il testo di natura parlamentare, sarà unico arbitro di se stesso, ancorché mai da nessuno eletto, neanche dai 500.000 firmatari, e che deciderà se accogliere o meno la proposta legislativa parlamentare alternativa al quesito referendario.
Di più, il testo parlamentare, unicum nella nostra storia costituzionale, ancorché votato da un'Assemblea legislativa regolarmente eletta, rappresentante del popolo sovrano, vedrà sospesa la sua efficacia in attesa del placet non di una corte terza ma di un comitato referendario autocostituitisi, una nuova fonte del diritto.
La relatrice ci ha sin qui parlato, anche nella relazione che ha letto stamattina, di una dialettica in quel momento tra comitato e Parlamento, tra un organo autoreferenziale non eletto ed uno eletto e rappresentativo. Voi toccate - non ho idea se consapevolmente o meno - un ganglio vitale dell'esercizio della democrazia: la differenza, che voi annullate, tra chi è eletto e chi non è eletto, non i 500.000 firmatari ma il comitato referendario.
Il comitato promotore non indica, quindi, un allargamento della partecipazione nel modo in cui voi lo utilizzate ma un restringimento della rappresentanza. Il comitato promotore si autoconvoca, si autocostituisce: noi qui dentro siamo rappresentanti di 51.300.000 circa aventi diritto al voto in Italia; i 500.000 firmatari sono una rappresentanza significativa; la Corte costituzionale è eletta da organi rappresentativi; il comitato promotore no. Oggi esso è già l'interlocutore dalla Corte di cassazione nel dibattito sull'ammissibilità del quesito, cioè è interlocutore, com'è giusto che sia, di un organo terzo che poi decide ma, invece di essere terzo, quel comitato diventa primario. Vi è una trasformazione genetica che voi attuate e portate avanti del criterio di rappresentanza e ciò è un pericolo per la democrazia rappresentativa.
Più in generale voi escludete un controllo preventivo di costituzionalità, cioè voi prevedete un controllo di ammissibilità ma non di costituzionalità, con ciò configurando un rischio gravissimo ex post di un conflitto eventuale che potrebbe esserci tra l'opinione della Corte e quella popolare, che dovrebbe intervenire dopo che non già solo il Parlamento abbia legiferato ma il popolo sovrano si sia espresso prima attraverso l'esercizio della raccolta delle firme e poi il voto.
In che condizione di conflitto istituzionale ci troveremmo se ciò dovesse configurarsi, quando la Corte avesse in animo di legiferare con sentenza contro l'ammissibilità costituzionale ex post di un quesito già sottoposto alla sovranità popolare: chi decide? Perché nella democrazia rappresentativa c'è un criterio di delega. Voi volete contrapporre il popolo in assoluto contro organi terzi: questo succederà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ho sentito parlare giustamente - non so se ne avrò il tempo - di alcune questioni europee in corso. Il collega Forciniti ha citato i gilet gialli: ha fatto bene a citarli, è un argomento di cui dovremo parlare ossia di cosa succede quando il popolo - io non amo questa accezione onnicomprensiva: il popolo non so cosa sia - quando una parte dei cittadini insorge perché la rabbia supera la percezione di essere rappresentati e che cosa succederà se la Corte dovesse stabilire l'incostituzionalità di un testo di legge già votato dai cittadini? Che meccanismo state instaurando voi di conflitto ex post di ciò che il popolo ha votato? O dite che non c'è una valutazione di costituzionalità ex post del voto popolare oppure state instaurando un possibile conflitto gravissimo e, in più, state prendendo in giro il popolo.
Voi dite di voler sanare cioè il contrasto tra popolo ed élite - per questo mi sono riferito ai gilet gialli - ma state istituzionalizzando il conflitto tra popolo e istituzioni. Prenderanno d'assalto la sede della Corte costituzionale se dovesse esserci un pronunciamento di questo genere, dopo che magari 15 milioni di italiani hanno votato a favore di una legge? Pongo a voi questa domanda.
I limiti che ponete all'azione legislativa diretta popolare sono molto confusi: so che, utilizzando l'articolo 75, - ovviamente sappiamo tutti - avete incluso delle esclusioni, per così dire, dal novero dei quesiti referendari come le iniziative di legge riservate, quelle relative a intese e accordi, quelle che richiedono una maggioranza speciale ma la verità - lo sapete benissimo anche voi - è che queste limitazioni che sono riferite all'istituto abrogativo nella loro traduzione nell'istituto propositivo diventeranno aggirabili.
La verità è che l'aumento di partecipazione che voi richiamate si esplicherà anche nella volontà di proporre una scelta binaria, sì o no, all'elettore su questioni complicatissime che potrebbero anche essere di natura economica, sottoponendo agli elettori nella cabina in pochi minuti un lungo articolato di legge comprendente la materia della copertura finanziaria. In pochi fondamentali minuti ognuno di noi dovrà rispondere sì o no a questioni che qua dentro, in quest'Aula, durano mesi o settimane di discussione.
Mi avvio rapidamente verso la conclusione. Aggiungo solo una parentesi per il collega Sisto che mi pare che non ci sia: l'introduzione del quorum confermativo in una legge, che non ci piace e che vedrà la nostra opposizione, non è che la semplice riduzione del danno politico. Una legge, secondo noi, pericolosa per la democrazia che vedrà la nostra opposizione è stata migliorata. Qui c'è una maggioranza che ha i voti per approvarla a prescindere dalle nostre opinioni. Meglio che sia una legge che non ci piace con quorum al 25 per cento confermativo piuttosto che con quorum zero.
Voi sottoponete per scelta l'istituto della partecipazione al restringimento della scelta binaria, sì o no; sottoponete il popolo alla semplificazione di temi complessi per i quali in Parlamento si discute, si elabora, ci si confronta, si emenda o si dovrebbe emendare; sottoponete alla personalizzazione possibile e critica che avete fatto voi al referendum costituzionale della scorsa legislatura temi che sono di merito; non ponete limiti, come vi è stato detto oggi, all'attività referendaria di numero e quasi di merito.
Io non ho elencato sin qui difetti, a mio avviso, gravi e profondi della natura della modificazione che voi volete inoculare nella democrazia italiana, perché io non riconosco i pregi dell'aumento della partecipazione ma perché credo nelle parole di Norberto Bobbio, qui già abbondantemente citato e per molti di noi un maestro della democrazia liberale.
Dice Norberto Bobbio - credo che l'abbia citato l'onorevole Ceccanti – che la democrazia diretta può essere un correttivo utile della democrazia indiretta - lo credo anch'io - ma non può essere un suo surrogato, non può surrogare la democrazia rappresentativa, perché la democrazia rappresentativa, con tutti i suoi difetti, che noi riconosciamo, è un sistema migliore di quelli che l'hanno preceduta e di quelli che sinora l'hanno seguita. Non accusate noi di voler restringere la partecipazione popolare, perché siamo noi che indichiamo in voi coloro che per approccio ideologico volete mettere in difficoltà l'elettore di fronte al futuro della democrazia. Il vostro modello di elettore, quello che qui configurate, si troverà di fronte la scheda elettorale più assurda e incostituzionale mai concepita in questo Paese. Potrà esprimersi favorevolmente al quesito referendario a quel tempo ammissibile e domani magari incostituzionale oppure favorevole allo status quo, prima riga. Oppure potrà segnarsi come favorevole all'ipotesi di legge parlamentare oppure allo status quo oppure ancora potrà, essendosi dichiarato favorevole a tutti e due gli articolati lunghi che verranno a lui sottoposti e dotati anche di esplicitazione delle coperture, e nel caso si sia dichiarato favorevole a tutte e due, potrà infine nella terza riga segnare il suo maggior favore ad una o all'altra proposta, ma, se non avrà espresso parere favorevole a tutte e due, non potrà esprimersi nella terza incredibile opzione, configurando così una chiara e incostituzionale ineguaglianza del voto degli elettori, perlomeno per la nostra Costituzione, non citatemi le carte costituzionali di altri Paesi.
Insomma, per ipotizzare di aumentare la partecipazione, obiettivo che noi condividiamo, voi sottoponete la democrazia rappresentativa a uno stress confuso e pericoloso, a possibili conflitti istituzionali, alla costituzione di nuovi poteri istituzionali non eletti, alla innaturale semplificazione di attività legiferative complesse, foriere di modifiche anche dell'assetto economico di questo Stato. Guardate cosa è successo al bilancio della California, quanto tempo ci hanno messo per recuperare quella forma di democrazia diretta che voi citate, che ha inciso sul bilancio di quello Stato. Sottoponete una modifica di assetti dello Stato da proporre come scelta binaria ed immediata all'elettore.
Voi forse - e io lo credo per alcuni di voi, credo che in alcuni di voi, non in tutti, ci sia buona fede - volete introdurre più partecipazione, ma state costruendo una nuova élite, un nuovo modello di controllo delle masse. Ho concluso, Presidente: quando qui viene citato l'episodio dei gilet gialli, e ne potremmo esplicitare molti altri, riconosco nella novità politica di quest'ultimo decennio della nascita del MoVimento 5 Stelle e del suo arrivo in Parlamento il merito di avere portato…
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
EMANUELE FIANO (PD). …in quest'Aula una forma - ho finito, l'ultima frase - di protesta per quanto andava accadendo nella nostra democrazia liberale. E sono molto lieto che voi siate qui a discutere con noi dentro quest'Aula, ma questa è altra cosa dall'illudere le persone di scelte che non potranno scegliere e fare coscientemente, magari influenzati dal controllo digitale di qualcuno. E questa nuova modalità di controllo delle masse, illudendole di averle portate a nuova partecipazione, in realtà ferendo l'idea di democrazia rappresentativa che nasce dopo la stagione delle dittature, questo, statene certi, non avverrà con il nostro appoggio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Penna. Ne ha facoltà.
LEONARDO SALVATORE PENNA (M5S). Signor Presidente, signor Ministro, quella referendaria è la seconda scheda elettorale che la Costituzione consegna ai cittadini per esprimere la loro volontà. Questo significa che il costituente ha voluto sottolineare l'importanza del ruolo dei cittadini accanto alle istituzioni rappresentative. La storia repubblicana è costellata dai risultati referendari che hanno innovato, a partire dagli anni Settanta, principi e diritti, ampliando la sfera delle libertà degli italiani. Nonostante si sia dovuto attendere ben 26 anni dall'entrata in vigore della Costituzione perché si potesse celebrare il primo referendum, da allora in poi è stato un susseguirsi di appuntamenti che, fino al 1997, hanno visto la partecipazione alle urne degli elettori. Tuttavia, già nel 1990, in occasione del referendum sulla caccia, debuttò il cosiddetto fenomeno dell'astensione attiva, che, sommandosi all'astensione fisiologica propria degli appuntamenti elettorali, riuscì a capovolgere la tendenza di un elettorato favorevole all'abrogazione della legge sulla caccia, il 92 per cento dei voti espressi, e mostrò per la prima volta le fragilità dello stesso istituto, così come concepito dai costituenti. Dal 1997, con la sola eccezione del 2011, il quorum ha sempre reso inefficaci i quesiti, mettendo a rischio l'efficacia dello stesso istituto referendario. L'astensione attiva utilizzata dagli avversari dei quesiti referendari in realtà ha aperto la strada a un processo di disaffezione della partecipazione popolare alle consultazioni, anche elettive, che si è manifestata con un costante calo dell'affluenza ai seggi. Con un alto quorum, infatti, i cittadini favorevoli alla proposta referendaria sono messi in condizioni di disuguaglianza rispetto ai contrari, che sommano all'astensione attiva quella fisiologica. Oggi, invece, la grande innovazione è l'introduzione del referendum propositivo, grazie al quale il cittadino non sarà chiamato più soltanto ad abrogare le leggi ritenute sbagliate o non condivise, ma diviene egli stesso legislatore.
Quanto previsto dal testo approvato dalla I Commissione obbliga, di fatto, il legislatore ad esaminare la proposta popolare nel termine di diciotto mesi dalla sua presentazione. Se il Parlamento non approva nulla e non prende in considerazione le esigenze manifestate nella proposta di legge popolare, saranno gli stessi elettori a potersi esprimere su quel testo; se poi il legislatore decidesse di modificare il testo della proposta popolare, l'ultima parola spetterebbe comunque ai cittadini. Altra importante norma di questa proposta di legge è quella sul giudizio di ammissibilità prima della fine della raccolta delle firme: superata la soglia di 200 mila sottoscrizioni, la Corte costituzionale si esprime già sull'ammissibilità del quesito referendario, rendendo più efficace il lavoro dei comitati referendari, che non dovranno attendere le 500 mila firme per sapere se la loro proposta è ammissibile o meno, e bloccando, quindi, sul nascere eventuali proposte in contrasto con i principi e i diritti fondamentali del dettato costituzionale, che non verranno discusse in Parlamento.
La terza grande innovazione di questa proposta, frutto di un lavoro di confronto con le opposizioni, è la drastica riduzione del quorum sia per il referendum abrogativo sia per quello propositivo. Passare dalla soglia del 50 per cento degli aventi diritto al voto affinché il referendum fosse valido alla soglia di approvazione del 25 per cento costringerà le forze politiche a non rifugiarsi più dietro l'astensione attiva e assicurerà, anzi, una partecipazione popolare più consistente e consapevole, tanto da portare probabilmente il referendum a raggiungere e superare l'attuale soglia del 50 per cento prevista. Questa legge va, pertanto, nel senso di ampliare gli spazi di democrazia diretta, spingendo i cittadini elettori a informarsi e partecipare con maggiore consapevolezza al processo di formazione delle leggi, rafforzando, al contempo, le istituzioni rappresentative attraverso il consolidamento del metodo democratico (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.
LAURA RAVETTO (FI). Grazie, Presidente. Siamo di fronte a un'aggressione senza precedenti al sistema democratico come inteso dai Paesi occidentali. Con questa proposta state perseguendo un disegno di dissoluzione della democrazia rappresentativa; con la sola forza dei numeri intendete mettere in discussione quel modello di rappresentanza per cui lottarono i nostri padri e che pose al riparo da derive totalitariste e plebiscitarie.
Nel nostro ordinamento esistono già strumenti di democrazia diretta, come l'iniziativa popolare, il referendum, il diritto di petizione e tutti si configurano come componenti di integrazione e di stimolo alla democrazia rappresentativa. Ma, qui, non ci troviamo dinanzi a una logica di affiancamento, bensì a una logica di sopruso di una democrazia, di un modello di democrazia, su un altro.
Volete creare una dicotomia tra Parlamento e popolo, come se il Parlamento non fosse esso stesso espressione del popolo. Create una vera e propria sfida; noi in Commissione l'abbiamo chiamato un derby tra testi di proposte di leggi elettorali e testi di proposte parlamentari, alimentando una vera e propria competizione che rischia di destabilizzare tutte le istituzioni. Volete consolidare una prassi legislativa estemporanea, dettata dalle emozioni, dalle emergenze; volete una norma “manifesto”, colleghi dei 5 Stelle, da agitare come una clava durante la campagna alle europee, corredata dallo slogan “élite”, dove per voi, da una parte, c'è il Parlamento, salvo che curiosamente ne fate parte anche voi, e, dall'altra, c'è il popolo, incuranti del fatto che state sacrificando l'impianto valoriale della nostra Costituzione, determinando il caos istituzionale.
Se l'obiettivo era davvero quello di fornire ai cittadini, in tempi rapidi, strumenti efficaci che valorizzino la volontà del popolo, la strada giusta, e voi lo sapete, era quella, finalmente, di modificare i Regolamenti parlamentari ed è inutile che portiate a esempi gli altri Stati, come la Svizzera, come gli Stati Uniti, perché, lì, l'istituto della democrazia diretta esiste perché trattasi di ordinamenti fissi, cioè che non possono essere sottoposti a scioglimento anticipato.
E che dite del metodo utilizzato? Dopo le critiche, Ministro Fraccaro, scusi, Presidente, mi rivolgo a lei, per mesi, giustamente, insieme a noi, al precedente Governo Renzi, perché voleva imporre una riforma costituzionale a colpi di maggioranza, voi che fate? Voi fate la stessa cosa, anche se l'impianto è diverso, e, in più, a colpi di maggioranza, volete imporre la dittatura di una minoranza, perché è evidente che se state creando un sistema in cui l'iniziativa popolare è esercitabile mediante la raccolta di 500 mila firme, che sono 2 o 3 medie città italiane, diventerà una disciplina riservata ai professionisti, magari riservata a noi, quando saremo ex parlamentari, o a voi, quando sarete ex parlamentari. Mi spiego meglio; voi prevedete che con sole 500 mila firme si possa avviare un percorso d'iniziativa popolare su leggi di spesa. L'uso del referendum propositivo per leggi di spesa sarà quello che meglio si presterà a un uso demagogico dello strumento, perché non ci vorrà molto, ad esempio, a mobilitare l'opinione pubblica, facendo una proposta del tipo: dai, si va tutti in pensione a 45 anni! Certo, la proposta dovrà essere corredata dalle coperture e da una giusta compensazione, però, chiunque, in quest'Aula, mastichi un pochino la materia, sa che noi siamo in grado di creare delle coperture apparenti. Il rischio è quello che si approvino iniziative incongrue che rompano gli equilibri di bilancio dello Stato a cui poi sarà difficile porre rimedio.
Ma veniamo, secondo me, al rischio più grande. Voi, ve l'ho già detto in Commissione, mi rivolgo ai colleghi dei 5 Stelle e alla relatrice, avete sempre dichiarato di essere fieri oppositori delle lobby. Ora, davvero, credete che sarà difficile per un gruppo organizzato, che ne so, per l'industria dei tabacchi, raccogliere 500 mila firme e interessare un ex deputato che sia in grado di redigere le clausole di compensazione al fine di fare approvare delle leggi ad hoc per il proprio gruppo industriale di appartenenza? No, non ci credete neanche voi.
Andrebbe, poi, previsto un numero massimo di referendum propositivi che si possano fare in un anno. Cioè, se un gruppo organizzato proporrà cinquanta o cento proposte di legge in un anno e, poi, in diciotto mesi, il Parlamento tra Camera e Senato le dovrà approvare, voi, qui, non è che stiate aiutando la democrazia diretta, voi state paralizzando la democrazia rappresentativa, perché il Parlamento potrà lavorare solo per queste proposte e questo non è un rafforzamento. Che dire, poi, del problema di costituzionalità? Ne hanno parlato già anche altri colleghi, avete previsto una formula generica, secondo cui la Corte valuta che non vi sia una macroscopica difformità con la Carta costituzionale della proposta di legge rispetto ai principi. Allora, cosa succederà? Che la Corte dirà, magari, che, sì, va bene, non c'è una difformità macroscopica, consente il referendum e poi, però, all'approvazione legislativa si troverà, dovendo andare a insistere sulle singole norme, magari, a dichiarare che la norma è incostituzionale. Quindi, voi prima create lo scontro tra Parlamento e popolo e, poi, create lo scontro fra Corte costituzionale e popolo. Complimenti!
Arrivo al punto che più mi sta a cuore e che è il vero buco di questa proposta: la doppia preferenza. Voi avete previsto un sistema di voto incredibile, a mio avviso farraginoso, cioè la scheda sarà così: ci saranno tre quesiti, il primo dirà che l'elettore dovrà dire “sì” o “no” alla proposta di iniziativa popolare; la seconda parte che dovrà dire “sì” o “no” alla proposta di iniziativa parlamentare; poi, ci sarà la terza opzione, cioè la cosiddetta doppia preferenza, opzione riservata solo a chi ha votato “sì” a entrambi i punti 1 e 2, che sarà: se hai votato “sì” alla proposta parlamentare, se hai votato “sì” alla proposta di iniziativa popolare, devi dirci quale preferisci. Che cosa comporterà questo? Che riservando il secondo voto, cioè “quale preferisci”, solo a chi ha votato “sì”, voi state violando il principio costituzionale della parità del voto. Chi ha votato “sì” varrà più di chi ha votato “no” e vi faccio un esempio tecnico. Riprendiamo la proposta dell'andare in pensione a 45 anni. Ci sarà una proposta di legge di iniziativa popolare estremista che dice: si vada tutti in pensione a 45 anni; poi, magari ci sarà una proposta parlamentare un po' più moderata, che dirà: ma no, dai, facciamo 55; e poi c'è il quesito: sei d'accordo su quale prevarrà o non sei d'accordo? Allora, succede, magari, che il 26 per cento degli italiani, anzi, del corpo elettorale, vota “sì” alla proposta d'iniziativa popolare di andare in pensione a 45 anni. Poi, che ne so, il 25 per cento dice: “no”, io voto “sì” alla proposta parlamentare, andiamo a 55 anni. Il 49 per cento, perché ritiene che siano proposte insostenibili, vota: “no”, non mi vanno bene né una né l'altra. Cosa succederà? Che nel secondo voto, quel 49 per cento che ha votato “no” sarà escluso e quel 26 per cento che ha votato “sì” all'iniziativa popolare cosa farà strumentalmente? Voterà “sì” anche all'iniziativa parlamentare per garantirsi l'esercizio della seconda preferenza. E allora quel 26 per cento, da solo, sommando il secondo voto di preferenza che esprimerà, al 26 per cento, da solo, raggiungerà la maggioranza per approvare la legge popolare come prevalente sulle altre. Il che significa che un 26 per cento del corpo elettorale farà passare una legge verso cui il 49 per cento ha detto che non gli andava bene e il 25 per cento ha detto che gliene andava bene un'altra. Il 26 per cento deciderà per più del 75 per cento. Qui non è uno vale uno, qui è uno vale uno solo se ha votato “sì” e se io fossi il Presidente Mattarella, solo per questo motivo, solo per questa palese e plateale violazione della Costituzione e della parità di voto, non la controfirmerei questa proposta!
Il mio gruppo parlamentare ha ritenuto inutile lottare in Commissione per arredo, emendamenti di puro arredo. Facciamo i complimenti al collega Ceccanti per aver modificato il quorum, ma noi abbiamo capito che era chiara la volontà della maggioranza di andare per la sua strada, assenza affrontare i vulnus che ho appena indicato, quindi né la costituzionalità, né il tema delle leggi di spesa, né il principio delle materie, né il principio della doppia preferenza su cui insisterò e insisterò anche domani. Allora, non abbiamo accettato compromessi, l'unica ratio delle nostre proposte emendative è che è stata un'occasione per discutere e osteggiare questa proposta; noi abbiamo depositato, anche per quest'Aula, emendamenti di resistenza. Noi faremo resistenza, perché abbiamo ritenuto più dignitoso e riteniamo più dignitoso lottare per la difesa della Carta costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Occhionero. Ne ha facoltà.
GIUSEPPINA OCCHIONERO (LEU). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, membri del Governo, l'hanno già detto, meglio di me e prima di me, i colleghi che sono già intervenuti in questo dibattito, lo spirito che muove questa riforma ci vede d'accordo e riteniamo corretto rafforzare la partecipazione popolare al processo legislativo. Perché, però, si compia e si realizzi compiutamente questa finalità è necessario che il testo venga adeguato al dettato costituzionale, in fondo lo dice anche l'articolo 1 della nostra Costituzione: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme previste dalla Costituzione. Ed è necessario, soprattutto, che il testo di riforma non acuisca quell'enorme divario che c'è già tra istituzioni e cittadini. Se fosse un testo raffazzonato, imposto dalla maggioranza solamente per contrapporre la democrazia plebiscitaria a una democrazia rappresentativa, non solo non ci troverebbe d'accordo, ma creerebbe un grave danno a quello che è l'impianto fondamentale della nostra Repubblica e cioè la democrazia rappresentativa. A questo punto voglio aprire una breve finestra sull'Unione europea; l'articolo 10 del Trattato dell'Unione europea dice chiaramente che l'Unione europea è una democrazia rappresentativa.
È necessario certamente aprire una riflessione su quella che è la possibilità e la necessità forse di introdurre una consultazione popolare con finalità consultiva anche rispetto ai trattati fondamentali, ma tutto ciò deve avvenire - come è stato già detto - nell'ottica di un mero rafforzamento della partecipazione popolare al processo legislativo.
In Commissione il dibattito è stato ampio e articolato, piuttosto attento e puntuale anche a quelle che erano le osservazioni delle opposizioni, e soprattutto si è concentrato su tre elementi che sono stati anche già in maniera egregia sviscerati durante il dibattito e che, quindi, mi limiterò a riprendere in maniera piuttosto veloce.
In particolare, il quorum approvativo, che rende la consultazione referendaria valida, ci consente di evitare che le proposte di legge siano il frutto magari di lobby ben strutturate e fornite di adeguati mezzi e, soprattutto, di evitare che magari l'astensione possa essere, diciamo, la risoluzione al procedimento referendario. Quindi, ci ha trovato pienamente d'accordo questa introduzione e, pertanto, mi sento di ringraziare anche tutti i commissari che hanno lavorato egregiamente in Commissione.
Purtroppo, però, ci sono altri due aspetti che non hanno trovato ancora una risposta per noi soddisfacente e mi riferisco all'introduzione della necessaria limitazione di materia, perché riteniamo corretto armonizzare l'articolo 71 con l'articolo 75 della Costituzione ed evitare un “baco” all'interno della nostra Costituzione. È necessario, quindi, che le materie escluse dall'articolo 75 non possano rientrare nell'articolo 71: mi riferisco, ad esempio, alla tutela delle minoranze, alla materia penale, alle leggi tributarie. Temiamo che questa ostinazione da parte della maggioranza, che non voglia introdurre la limitazione di materia, possa in realtà aprire la strada a pericolose avventure a scapito dei conti pubblici o del ruolo che l'Italia ha in materia internazionale o nell'ambito e nel campo dei diritti dei cittadini. Ecco, recuperare chiarezza su questo punto lo riteniamo indispensabile.
E poi c'è un altro aspetto che non ha trovato ancora una risposta soddisfacente secondo noi e che forse tocca il punto più politico di tutta la questione e che si infila tra le maglie di una eccessiva frizione tra la piazza e il Palazzo: noi riteniamo - l'abbiamo già detto - necessario rafforzare la partecipazione popolare al processo legislativo, ma senza che si acuiscano quelle differenze tra piazza, istituzioni e Palazzo.
E, allora, ecco, rifletto brevemente su un punto. Abbiamo già detto diverse volte quello che il testo di riforma, purtroppo, prevede quando la proposta di legge che promana dal Parlamento sia diversa dalla proposta dei comitati promotori, nonostante i nostri emendamenti siano volti nella direzione di introdurre la necessità che un organo terzo come la Corte Costituzionale possa risolvere di fatto il dubbio sulla diversità - perché sappiamo tutti in quest'Aula che, a volte, un testo può essere formalmente diverso per esigenze di drafting parlamentare o di coerenza con altre norme ma che poi magari lo spirito sia adeguato e comunque coerente con quella che è l'iniziativa popolare della stessa proposta di legge - perché l'unico organo in grado di garantirci un'interpretazione neutra è un organo terzo, la Corte costituzionale, e su questo punto invitiamo ancora adesso la relatrice a riflettere sulla necessità di rivedere questo aspetto del tutto dirimente per noi rispetto alla vicenda.
E, allora, ecco, noi abbiamo cercato di partecipare a questo dibattito in maniera fortemente collaborativa perché - lo ribadisco - per noi l'innesto della democrazia diretta sulla democrazia rappresentativa è fondamentale per un miglioramento del testo e dell'impianto democratico della nostra istituzione repubblicana, però non faremo sconti sul campo della demagogia perché non vorremmo che, ancora una volta, con una riforma a costo zero si illudano i cittadini.
Ecco, io rifletto anche su questo punto: è necessario, secondo noi, ricucire la frattura che c'è tra i cittadini e le istituzioni, però facciamo attenzione perché non credo che solamente attraverso questo tipo di riforma poi sia possibile far nascere nuovamente quel senso di fiducia nei cittadini e forse, molto spesso, ci dimentichiamo di riflettere in questo senso.
E' vero che stiamo assistendo ad una crisi della democrazia rappresentativa, ma essa forse affonda le radici anche nelle difficoltà economiche e sociali dei nostri tempi e, allora, dobbiamo riprendere quel senso di esclusione di tutti quei cittadini che si sentono lontani dai processi istituzionali o anche quel sentimento di abbandono che vive chi magari non ha il lavoro nella nostra società.
E, allora, io vi invito a questa riflessione: attenzione a non nascondere l'incapacità di dare risposte adeguate anche sul campo economico e occupazionale attraverso delle riforme costituzionali che, se non adeguatamente costruite intorno alla Costituzione, possano non solo fare demagogia a basso prezzo, ma anche creare davvero un enorme problema per la nostra democrazia rappresentativa.
Quindi, io invito ancora una volta la nostra maggioranza a superare - come ha detto già bene l'onorevole Speranza - quella rigida contrapposizione tra maggioranza e opposizione e cercare una sintesi costruttiva per migliorare, nella maniera più opportuna, questo testo di riforma (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. Sospendiamo a questo punto la seduta che riprenderà alle ore 15, per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
A partire dalle ore 16 riprenderà la discussione generale della proposta di legge in oggetto, in materia di iniziativa legislativa popolare. La seduta è sospesa.
La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 15.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO
Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro per i Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, la Ministra per il Sud e il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, la Ministra della Difesa e il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Invito gli oratori ad un rigoroso rispetto dei tempi, considerata la diretta televisiva in corso.
(Iniziative volte ad accelerare la ricostruzione nei territori colpiti dal sisma del 2016, nonché per consentire l'accesso ai benefici previsti per le aree depresse e ai fondi strutturali europei – n. 3-00429)
PRESIDENTE. Passiamo alla prima interrogazione all'ordine del giorno, Polidori ed altri n. 3-00429 (Vedi l'allegato A).
Chiedo alla deputata Polidori se intenda illustrare la sua interrogazione o se si riservi di intervenire in sede di replica.
CATIA POLIDORI (FI). Grazie, Presidente. Signor Ministro, a due anni e mezzo dal sisma che colpì l'Italia centrale, ci corre l'obbligo di chiedere informazioni sullo stato dei lavori. Per la verità, noi sappiamo molto dello stato dei lavori, lo conosciamo bene: ci sono ancora sostanzialmente un cumulo di macerie e della ricostruzione, purtroppo, nemmeno l'ombra; sono pochi i cantieri, sono poche le risorse, troppe difficoltà interpretative e burocratiche.
Tra le tante cose, manca la predisposizione di una serie di misure, anche tramite ordinanze commissariali, per la semplificazione e l'accelerazione della ricostruzione privata; manca l'adeguamento dell'organico degli uffici speciali per la ricostruzione.
Noi, a tal proposito, vorremmo sapere quali iniziative intenda mettere in atto il Governo per accelerare la ricostruzione e se non intenda avviare in maniera opportuna un confronto con l'Unione europea per l'inserimento delle aree del cratere tra quelle che possono accedere ai benefici delle aree depresse, così anche ai fondi strutturali.
PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro, ha facoltà di rispondere.
RICCARDO FRACCARO, Ministro per i Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta.
Signor Presidente, colleghi deputati, con riferimento al quesito posto dagli interroganti, ricordo preliminarmente che questo Governo, sin dal suo insediamento, ha ritenuto di dover intervenire a favore dei territori colpiti dal sisma del 2016.
In particolare, tra le numerose iniziative, ricordo la proroga al 31 dicembre 2020 della struttura commissariale e la proroga della zona franca urbana al 2019 e al 2020; interventi in favore della ripresa produttiva delle imprese del settore turistico, dei servizi connessi ai pubblici esercizi e del commercio e artigianato; la contribuzione al 100 per cento nella ricostruzione privata per l'eliminazione delle barriere architettoniche e l'adeguamento energetico antincendio.
Quanto alle misure fiscali, mi preme ricordare la sospensione del versamento dei tributi; l'esenzione da IRPEF e IRES fino alla definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati e, comunque, fino all'anno d'imposta 2020; l'esclusione ai fini dell'accertamento dell'ISEE nel calcolo del patrimonio immobiliare degli immobili e dei fabbricati di proprietà distrutti o dichiarati non agibili in seguito a calamità naturali; e, infine, la sospensione del canone Rai fino al 31 dicembre 2020.
Le risorse economiche messe in campo sono notevoli e fino ad oggi non si è mai posto il problema della carenza di fondi, quanto piuttosto di stratificazione di norme e di procedure che hanno creato un quadro incerto.
A tale riguardo, il Governo intende intervenire nell'ottica di una semplificazione complessiva, che consenta uno snellimento dei procedimenti per l'avvio della ricostruzione, con una riduzione di tempi che non vada, però, a detrimento delle necessarie misure a verifica della legalità.
In particolare, questo Governo intende semplificare le procedure per la presentazione delle domande relative agli immobili con danni lievi, potenziare gli uffici speciali per la ricostruzione, ridurre i tempi obbligatori necessari allo svolgimento delle gare relative all'edilizia pubblica e sollecitare, infine, i soggetti attuatori agli interventi di viabilità necessari non solo per la messa in sicurezza, ma anche per il potenziamento della viabilità stradale e ferroviaria.
Il Governo, per risolvere le problematiche relative al sisma del 2016, ritiene fondamentale l'adozione di un testo unico delle leggi relative alla ricostruzione post-sisma che, oltre a semplificare e riordinare in un unico testo normativo tutte le norme attualmente in vigore, permetta a questo Paese di dotarsi di un'eccellente capacità di risposta non solo all'emergenza ma anche al post-emergenza e alla ricostruzione.
Per quanto riguarda, infine, la richiesta dell'interrogante di avviare un confronto con l'Unione europea per l'inserimento delle aree del cratere fra quelle che possono accedere ai benefici delle aree depresse e agli interventi dei fondi strutturali preciso che, con l'aggiustamento tecnico del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, nel 2016, sono state destinate nuove risorse europee all'Italia. A valere su queste risorse aggiuntive, 200 milioni sono stati destinati ad Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria colpite dal sisma del 2016; è stato, inoltre, sancito l'impegno del Governo a garantire interamente il cofinanziamento di risorse aggiuntive a mezzo del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, portando dunque le risorse dedicate alle regioni colpite dal sisma a 400 milioni di euro. Oltre al rispetto dei regolamenti europei e dei fondi strutturali e di investimento europei, cosiddetti fondi SIE, le risorse aggiuntive hanno il vincolo di essere programmate prioritariamente per interventi all'interno del cratere.
PRESIDENTE. La deputata Polidori ha facoltà di replicare.
CATIA POLIDORI (FI). Grazie, Presidente. Signor Ministro, noi siamo assolutamente insoddisfatti della sua risposta: tante buone intenzioni e tante proroghe, come lei ha appena letto, di quello che in realtà era già stato fatto. Sono tutte misure assolutamente incapaci di far ripartire la ricostruzione o di mettere la prima pietra, perché va detto, laddove la ricostruzione non è assolutamente partita.
Questo in realtà, il terremoto, è il simbolo dell'Italia che non riesce a ripartire e, quindi, ci permetta di sorridere sul tanto vaneggiato - e “vaneggiato” è la parola che voglio utilizzare - boom economico di cui parla Di Maio. A riflettori spenti, sono svaniti anche i selfie e tutte le dirette televisive, ma, ahimè, signor Ministro, è svanito anche il commissario. Dov'è finito? Dove l'avete messo? Ha firmato una sola ordinanza - l'ordinanza n. 70 -, si è fatto vedere per tre minuti, dico tre minuti di numero, nelle zone terremotate (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente) e non risponde al telefono ai sindaci né, tanto meno, ai comitati.
Anche noi siamo stati seduti o, perlomeno alcuni di noi, sui banchi di quel Governo e io, Ministro, al posto suo non l'avrei letta questa relazione; avrei avuto di certo un sussulto di dignità.
Chiedo a lei e ai funzionari che l'hanno scritta: ma avete mai visto la disperazione di queste persone negli occhi? Vi siete mai resi conto dell'impoverimento non solo economico? E che faremo, anzi, meglio, che farete? Al sussidio di cittadinanza, all'obolo di cittadinanza vorrete anche aggiungere probabilmente l'obolo al terremoto. Voi rispondete ad un dramma di queste dimensioni con delle armi di dissuasione di massa: infiocchettate delle cose fatte, le sparate a livello mediatico sperando di buttare fumo negli occhi, ma questa gente vive in situazioni drammatiche: i bambini disegnano i topi e le muffe dentro le case, non disegnano case normali, e sono sotto zero in questo momento.
Siete riusciti a parlare di tutto, di qualsiasi cosa: avete fatto dirette sulla neve, vi siete fatti un selfie con Battisti, ma non siete riusciti mai, e dico mai, a parlare del terremoto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Questa cosa non solo non ve la perdoneranno i terremotati, non ve la perdoneremo noi. E ho un triste presagio, signor Ministro, che, secondo me, a breve, non ve la perdonerà tutta l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
(Iniziative di competenza in merito a recenti vicende relative all'acquisizione di Stx France da parte di Fincantieri – n. 3-00430)
PRESIDENTE. Il deputato Tondo ha facoltà di illustrare l'interrogazione Lupi ed altri n. 3-00430 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.
RENZO TONDO (MISTO-NCI-USEI). Grazie, Presidente. Il tema che pongo è una questione credo molto importante, perché riguarda l'acquisizione di Stx da parte di Fincantieri. Credo che meriterebbe un dibattito ampio, anche perché riguarda il destino del Paese e di una delle aziende più importanti di questo Paese.
È un percorso che dura da due anni, in cui l'amministratore delegato Bono, con tenacia, pazienza e competenza, ha verificato se ci fosse la necessità della notifica all'Unione europea. Al termine di questi due anni, si è appreso per fortuna che della notifica non c'era bisogno e, quindi, si è andati avanti con l'operazione di acquisizione che, però, è ancora ferma. Perché è ferma? Perché Fincantieri ha dovuto notificare a Germania e Francia l'opportunità di questa operazione. Questi due Paesi, in conflitto anche con le normative europee, salvaguardando le proprie normative, confliggenti addirittura con quelle europee, hanno chiesto il rinvio alla Commissione europea dell'operazione. Questo è incomprensibile, perché l'operazione Fincantieri vale 5 o 6 miliardi di euro del fatturato di Fincantieri. Altre operazioni, come Airbus, sono state fatte per 70 miliardi di euro, la Thales per 16 miliardi di euro. Perché all'Italia viene riservato questo trattamento sfavorevole su un percorso che, come si può capire, mette in difficoltà, oppure si capisce che la difficoltà sta nei tedeschi che non vogliono vedere la concorrenza per la loro Meyer Werft? Io credo che questo sia un tema importante per il Paese e sia necessario dare una risposta per sapere da che parte andiamo.
PRESIDENTE. Il Ministro Riccardo Fraccaro, ha facoltà di rispondere.
RICCARDO FRACCARO, Ministro per i Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, risponderò all'interrogazione sulla base degli elementi forniti dal Ministero dello sviluppo economico.
In primo luogo, desidero assicurare che la vicenda dell'acquisizione da parte di Fincantieri di Chantiers de l'Atlantique, ex Stx, è all'attenzione del Governo. L'accordo siglato durante il vertice di Lione del 27 settembre 2017 e suggellato dalla firma del 2 febbraio 2018 tra Fincantieri e lo Stato francese, prevedeva che il gruppo italiano ottenesse dallo Stato francese il 50 per cento dei cantieri di Saint-Nazaire più, in prestito per 12 anni, un ulteriore 1 per cento, acquisendone di fatto il controllo. Tale alleanza è stata ribadita durante l'incontro del 1° agosto 2018 tra il Ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e il Ministro dell'economia francese, Le Maire. I Ministri interessati hanno concordato sulla necessità di sviluppare e attuare una più ambiziosa politica industriale europea, che permetta all'industria di generare più posti di lavoro e di rendere le imprese ancora più competitive sui mercati mondiali. Riguardo ai cantieri dell'Atlantico e al lavoro intrapreso da Fincantieri Naval Group, è stato ribadito l'impegno ad attuare l'accordo di settembre 2017 su Stx.
Come evidenziato dagli onorevoli interroganti, la società Fincantieri, a maggio 2018, ha notificato l'operazione di acquisizione alla Commissione europea, al fine di ottenere il via libera che avrebbe consentito la nascita di una realtà europea della cantieristica navale, oltre che dare nuova vita ai cantieri francesi. L'Antitrust europeo ha ritenuto di non dover procedere all'esame della suddetta proposta e ha respinto il dossier delle autorità nazionali. A seguito di ciò, però, l'Antitrust francese e quella tedesca hanno presentato domanda di rinvio, a norma dell'articolo 22, paragrafo 1, del regolamento europeo sulle concentrazioni, chiedendo alla Commissione di esaminare comunque la proposta di acquisizione dei cantieri. La circostanza che la Commissione chiederà a Fincantieri di notificare l'operazione potrebbe far slittare i tempi di acquisizione di Stx, e forse cambiare anche i contenuti dell'operazione, posto che dall'analisi di Bruxelles potrebbe emergere la necessità di modificare i termini dell'accordo, qualora si riscontrassero dubbi in materia di concorrenza.
Un rallentamento dell'operazione non sarebbe però in linea con gli obiettivi del Governo, che ha una precisa strategia per il futuro dell'industria e della manifattura italiana, dopo che, negli ultimi vent'anni, il Paese ha dismesso asset produttivi per 170 miliardi di euro. Infatti, è fuor di ogni dubbio l'impegno attuale del Governo ad adottare misure per la salvaguardia e lo sviluppo della politica industriale. Una prova in tal senso è rappresentata dalle numerose misure a sostegno dello sviluppo economico e dell'occupazione nel nostro Paese, che sono state da ultimo previste anche nella legge di bilancio 2019. Il Governo monitorerà la situazione, affinché non vi siano atti di sciacallaggio nei confronti delle grandi imprese del nostro settore produttivo, come appunto la Fincantieri, potenzialmente colosso della cantieristica a livello mondiale, garantendo comunque parità di regole e condizioni di mercato per tutti i Paesi dell'Unione europea.
PRESIDENTE. Il deputato Tondo ha facoltà di replicare.
RENZO TONDO (MISTO-NCI-USEI). Presidente, prendo atto della risposta del Governo, e credo nell'impegno del Ministro. Certamente, se questa è una questione di carattere strategico, sarebbe stato importante che fosse stato qui a rispondere il Ministro per lo Sviluppo economico, ma va bene lo stesso. Credo che ci troviamo di fronte a una questione importantissima, perché se questa vicenda non va in porto un asset strategico, non italiano ma europeo, rischia di andare a farsi benedire. Credo si sia dimostrato anche in questo caso come l'alleanza franco-tedesca ci metta spesso in difficoltà, perché, ripeto, alla Fincantieri, che fattura 5 o 6 miliardi di euro, viene impedito di fare questa operazione, mentre l'Airbus, franco-tedesca, che fattura 70 miliardi di euro, sta acquisendo sul mercato europeo tutte le aziende che interessano, e Thales, che vale 16 miliardi di euro, sta facendo lo stesso. A noi viene riservato un trattamento che credo sia assolutamente da cancellare. Bisogna che in questo caso il Governo, il Ministro o il Presidente del Consiglio si facciano forza, perché il lavoro che è stato fatto con competenza dal presidente Bono e da Fincantieri, che è un'azienda di eccellenza del nostro Paese, non possa andare disperso. Ci sono le possibilità di salvare questa operazione e soprattutto di cambiare la normativa europea, perché c'è un dato: l'Antitrust, come funziona adesso, è assolutamente da cambiare, perché non possiamo competere con mercati cinesi e degli Stati Uniti con regole che ci costringono ad essere piccoli. Dobbiamo essere grandi e abbiamo la possibilità di farlo.
(Iniziative volte alla piena operatività e alla razionalizzazione delle zone economiche speciali, con particolare riferimento al Mezzogiorno – n. 3-00431)
PRESIDENTE. Il deputato Leonardo Salvatore Penna ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00431 (Vedi l'allegato A).
LEONARDO SALVATORE PENNA (M5S). Signor Presidente, signora Ministro, lo scopo delle zone economiche speciali (ZES) è quello di creare condizioni favorevoli in termini di benefici economici, finanziari e amministrativi che consentano lo sviluppo delle imprese già operanti e l'insediamento di nuove imprese. L'istituzione delle ZES, strumento già diffuso all'estero, rappresenta un'occasione di crescita e di sviluppo per aumentare la capacità competitiva e il potenziale attrattivo del Mezzogiorno, con positive ricadute anche in termini occupazionali e di innovazione sui territori interessati.
Per rendere immediatamente operativo il riconoscimento di tali benefici a favore delle ZES già definite, nonché per l'individuazione e la pianificazione di quelle non ancora attivate, appare necessario procedere con le necessarie misure di semplificazione e la rimozione di eventuali ostacoli alla loro effettiva attivazione. Pertanto, le chiediamo, signora Ministro, quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere il Governo, al fine di rendere pienamente operative le zone economiche speciali, ciascuna secondo le caratteristiche dei propri territori e del proprio tessuto economico, anche con riferimento a una semplificazione dei criteri per la loro individuazione e di quelli relativi alle rispettive autorità di gestione, nonché a un eventuale ricorso all'accorpamento delle stesse ZES nelle regioni del Mezzogiorno.
PRESIDENTE. La Ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ha facoltà di rispondere.
BARBARA LEZZI, Ministra per il Sud. Presidente, onorevoli deputati, ringrazio l'onorevole Penna per il suo quesito, che mi consente di ricordare quale sia lo stato di uno dei primi temi cui mi sono dedicata fin dai primi giorni dell'insediamento. Ho infatti avviato subito un dialogo costante e diretto con le regioni che hanno presentato o che stanno per presentare delle proposte di istituzione delle ZES, al fine di garantire che siano messe in atto concrete strategie di sviluppo del tessuto imprenditoriale coinvolto. Come evidenziato dall'onorevole, il “decreto-legge Mezzogiorno”, approvato dalla Camera dei Deputati nell'agosto del 2017, ha introdotto per la prima volta, in un quadro normativo organico in merito, la possibilità di istituire anche nel nostro Paese le zone economiche speciali.
Il provvedimento ha permesso di avviare un percorso che ha comportato la successiva predisposizione del DPCM recante regolamento ed istituzione di ZES. A seguire, l'11 maggio 2018, con due distinti DPCM, sono state istituite le prime due zone economiche speciali, nella regione Campania e nella regione Calabria, che nelle scorse settimane hanno completato l'iter di istituzione grazie alla nomina dei componenti dei rispettivi comitati di indirizzo. È in via di definizione la richiesta di istituzione della ZES Ionica (Puglia, Basilicata), mentre è all'esame degli uffici competenti del Ministero dell'Economia e del Ministero delle Infrastrutture il piano della ZES Sardegna. Segnalo che anche le regioni Abruzzo e Molise stanno ultimando la stesura del piano. Preciso che al fine di favorire la crescita economica delle aree identificate e da identificare, il Governo attribuisce profonda attenzione al tema delle zone economiche speciali, in quanto oggetto di importanti e possibili scelte strategiche di riforma economica che sono poste in essere attualmente nel nostro Paese. A questo proposito, condividendo la strategicità di rendere davvero operative le ZES e le zone logistiche semplificate, ho lavorato insieme ai senatori del MoVimento ad una proposta di emendamento al decreto-legge che attui in concreto la semplificazione burocratica per queste zone. La proposta è stata presentata ed ora attendiamo la sua approvazione, per consentire finalmente alle ZES e alle zone semplificate di cambiare marcia. Nel dettaglio, l'emendamento consente di accelerare l'individuazione di misure di semplificazione nelle aree ZES e nelle zone logistiche mediante la modifica della fonte primaria, ovvero il “decreto Mezzogiorno” n. 91 del 2017. Si è deciso di procedere, intervenendo in questo modo, al fine di rendere immediatamente operativa la misura, accelerando l'individuazione di misure di semplificazione nelle aree ZES e zone logistiche speciali che fino ad oggi non hanno trovato applicazione a causa della previsione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un atto amministrativo che, come ci insegna quest'Aula, non ha forza di legge.
Alla luce di quanto esposto, ringrazio l'onorevole per avermi offerto la possibilità di illustrare la posizione del Governo, che è proprio quella di favorire una politica volta a superare gli ostacoli e le criticità che fino ad oggi hanno rallentato l'operatività di queste aree. Sarà mia cura, fin d'ora, tenere costantemente aggiornato il Parlamento - laddove richiesto - sugli sviluppi delle nuove iniziative che rappresentano un'occasione di crescita e sviluppo per il nostro territorio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. La deputata Galizia, cofirmataria dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.
FRANCESCA GALIZIA (M5S). Presidente, grazie signora Ministro, le manifesto innanzitutto la mia soddisfazione per il lavoro che lei sta portando avanti per lo sviluppo del Sud. Tutti apprezziamo molto il suo impegno messo nella realizzazione della semplificazione burocratica per le zone economiche speciali, volte a renderle operative in tempi più brevi rispetto a quelli attuali, e abbiamo accolto con entusiasmo l'annuncio dell'emendamento presentato al “decreto semplificazioni”. Con tale emendamento si introduce per le zone economiche speciali e le zone logistiche speciali un nuovo meccanismo, che garantirà sia l'individuazione di misure di semplificazione sia l'accesso agli interventi di urbanizzazione primaria più rapidi e tempestivi alle imprese insediate in queste aree.
Stiamo parlando di aree del Sud, collegate a zone portuali, che saranno destinatarie di importanti benefici fiscali e semplificazioni amministrative e che comporteranno un significativo sviluppo delle imprese già insediate o potenzialmente insediabili, attraendo anche investimenti dall'estero.
Le ZES rappresentano, pertanto, un importantissimo strumento con il quale rilanciare il nostro sud. Con le ZES sarà possibile avviare nelle regioni del Sud - Calabria, Campania, Sicilia, Basilicata e Puglia, ma anche Abruzzo, Molise e Sardegna - una crescita della competitività ed un generale rafforzamento di tutto il tessuto produttivo, attraverso l'aumento degli investimenti anche stranieri, l'aumento delle esportazioni, la creazione di nuovi posti di lavoro, l'aumento dell'innovazione.
Grazie al suo impegno, signora Ministro, sarà fatto un altro importante passo in avanti in tema di sburocratizzazione e consentirà di semplificare notevolmente la procedura di accesso a tutti quei servizi ritenuti essenziali per il Sud. Riuscendo, infatti, ad accedere ai servizi in maniera più diretta e facilitata, potremo iniziare a sperare in una nuova dinamica territoriale, in grado di colmare quel divario ormai conclamato e storico tra Nord e Sud (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
(Posizione del Governo in merito alla situazione in Siria, alla luce del ritiro delle truppe americane e della ripresa dell'attività diplomatica in loco, tramite l'ambasciata italiana a Damasco – n. 3-00432)
PRESIDENTE. La deputata Lia Quartapelle Procopio ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00432 (Vedi l'allegato A).
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (PD). Grazie Presidente, Ministro, bastano due numeri a descrivere la situazione della guerra civile in Siria scatenata da Assad: dodici milioni di siriani che non vivono più nelle loro case, mezzo milione di morti. Dobbiamo avere presente questi numeri perché la situazione sul terreno sta cambiando, si sta aprendo una nuova fase dal punto di vista militare, Assad sta vincendo, gli americani si stanno ritirando, la situazione curda sta complicandosi ulteriormente. In questo contesto ci sono notizie di una possibile riapertura della nostra ambasciata, da dove è stato ritirato il nostro ambasciatore nel 2012, di concerto con i partner europei, alle prime notizie dei morti civili. E quindi le chiediamo, da un lato, qual è la sua valutazione sulla situazione in Siria, che cosa pensiamo noi di fare per aiutare ricostruzione pace e, in secondo luogo, che tipo di atteggiamento intendiamo tenere di accordo con i partner europei nei confronti del regime siriano, che resta un regime che si è macchiato di crimini contro l'umanità orrendi.
PRESIDENTE. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi, ha facoltà di rispondere.
ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Sappiamo tutti che la soluzione del conflitto in Siria e la conseguente ricostruzione del Paese possono essere assicurate soltanto attraverso un processo che sia in linea con la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, la n. 2254. Dunque, sul versante diplomatico l'Italia ha l'obiettivo di facilitare la ripresa dei negoziati a Ginevra, fare in modo che sia assicurata la massima collaborazione al nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite. Le tensioni dei giorni scorsi, la perdurante instabilità in Siria e gli altri sviluppi in atto nell'area impongono di aumentare il livello di attenzione. Noi auspichiamo che il Comitato costituzionale incaricato di riformare la Costituzione siriana in un'ottica democratica possa iniziare presto i propri lavori, così come più volte auspicato dalla comunità internazionale. In riferimento all'annuncio americano di ritirare le truppe in Siria, il Segretario di Stato, Pompeo, il Consigliere per la sicurezza nazionale, Bolton, mi hanno ribadito la volontà di proseguire la lotta contro Daesh e l'intenzione di procedere in modo graduale e in consultazione con i Paesi amici. Per quanto riguarda la nostra presenza diplomatica a Damasco, considerato l'insieme dei più recenti sviluppi in Siria, stiamo valutando ogni ipotesi, incluso l'eventuale innalzamento del livello del nostro rappresentante diplomatico presso l'ambasciata stessa. Come chiarisce la parola valutare, si tratta di un'iniziativa di analisi, diretta a metterci in condizione di poter disporre di ogni elemento al fine di essere pronti, se necessario, a discutere i modi dovuti e adottare le decisioni migliori.
Il recente avvicendamento dell'incaricato d'affari non incide su questi intenti, bensì è dovuto al fatto che il suo predecessore era rimasto in servizio oltre il termine consentito. Il nuovo incaricato continuerà, analogamente al predecessore, ad essere basato a Beirut, ad attenersi strettamente alle posizioni convenute in sede di Unione europea. Segnalo anche che siamo estremamente attenti agli aspetti umanitari, abbiamo stanziato importanti cifre per iniziative di assistenza, in particolare nel 2018, 27,1 milioni. È stato ed è dovere del Governo permettere al Paese di essere pronto ad ogni ulteriore possibile sviluppo nell'area.
PRESIDENTE. Il deputato Piero Fassino, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.
PIERO FASSINO (PD). Signor Presidente, grazie signor Ministro, entriamo nel nono anno della guerra civile in Siria, basterebbe ricordare che la guerra mondiale è durata sei, e sappiamo bene che è una tragedia senza fine, che ha prodotto sofferenze inenarrabili, migrazioni di massa, distruzioni del Paese, la collega Quartapelle ha già ricordato le cifre. Ora, noi vediamo con grande preoccupazione il rischio di un aggravamento ulteriore, perché il disimpegno americano, la tentazione della Turchia di invadere un pezzo del nord della Siria, la solitudine dei curdi, la ripresa dell'Isis, sono tutti fattori che possono non solo aggravare ulteriormente la situazione, ma allontanare ancora di più la ricerca di una soluzione dopo nove anni di tragedia. E quindi, certo, io convengo con quanto lei ha detto, bisogna alzare il livello di attenzione; livello di attenzione significa anche, però, assumere una serie di iniziative. Risulta evidente, a questo punto, che sempre di più dobbiamo lavorare per una soluzione negoziata perché non c'è soluzione militare a questa crisi. E credo che la prossima conferenza dell'Unione europea di aprile sulla crisi siriana debba essere l'occasione per una assertiva presenza dell'Italia a concorrere a una soluzione negoziata.
Chiediamo nel contempo che il Governo italiano renda evidente la contrarietà a qualsiasi iniziativa della Turchia che possa invadere il territorio siriano, così come credo che dobbiamo assicurare, anche da parte del nostro Paese, una continua attenzione a che i curdi, che sono stati il principale argine nei confronti di Daesh-ISIS, non vengano a trovarsi in una condizione di isolamento e di indebolimento.
E infine, sull'ambasciata, lei ha detto che si tratta di un'analisi, di una verifica, io credo che ci siano due elementi, che le sottopongo e prego di considerare. Primo: non sia una decisione unilaterale, ma sia una decisione convenuta con gli altri partner europei, quanto meno i partner europei più presenti sul terreno. Secondo: che non sia una decisione incondizionata; lei ha fatto riferimento al Comitato costituzionale, di cui auspichiamo la ripresa, una condizione per tornare sul terreno è che ci sia questo. E poi ci sono, secondo Amnesty International, 82 mila prigionieri politici: non si può riaprire un'ambasciata se non c'è qualche segno significativo in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
(Intendimenti in ordine all'invio di un contingente militare nella zona di Castel Volturno (Caserta) a supporto delle forze di polizia impiegate nella lotta alla mafia nigeriana – n. 3-00433)
PRESIDENTE. La deputata Giorgia Meloni ha facoltà di illustrare l'interrogazione Lollobrigida ed altri n. 3-00433 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmataria.
GIORGIA MELONI (FDI). Grazie, Presidente. Ministro Trenta, da mesi Fratelli d'Italia cerca di accendere i riflettori sul tema della presenza della mafia nigeriana in Italia e, segnatamente, a Castel Volturno. Considerata oggi una delle organizzazioni criminali più pericolose e feroci del mondo, la mafia nigeriana si sta rendendo famosa per pratiche come l'istigazione alla prostituzione, la tratta di esseri umani al fine dello sfruttamento della prostituzione anche minorile, chiaramente spaccio di droga; l'ultima notizia, che ha interessato addirittura l'FBI, è che la mafia nigeriana pare aver portato in Italia questa pratica drammatica del traffico di esseri umani al fine di omicidio ed espianto per vendita illegale dei loro organi. E alcuni servizi di intelligence internazionale dicono che la prassi di questa organizzazione criminale è quella di utilizzare, come possiamo dire, migliaia di persone organizzate sul piano paramilitare per occupare interi territori, e a noi pare sia quello che sta accadendo a Castel Volturno.
Chiediamo che cosa lo Stato italiano intenda fare per riprendere il controllo del suo territorio e, segnatamente, chiediamo l'invio dell'esercito a Castel Volturno per riprendere il controllo del nostro territorio (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. La Ministra della difesa, Elisabetta Trenta, ha facoltà di rispondere.
ELISABETTA TRENTA, Ministra della Difesa. Grazie, Presidente. In merito all'impiego delle Forze armate sul territorio nazionale in concorso alle forze di polizia, il quadro normativo vigente prevede un contingente posto a disposizione dei prefetti delle province per esigenze di prevenzione e contrasto alla criminalità e al terrorismo mediante attività di vigilanza: l'operazione “Strade sicure” ricordata dallo stesso interrogante. Nell'ambito di tale operazione, le Forze armate impiegano attualmente oltre 7 mila militari in attività di vigilanza, congiuntamente alle forze di polizia o in via esclusiva, di siti e obiettivi sensibili e di centri per l'immigrazione. Per ciò che attiene in particolare all'area di Caserta, inclusa l'esigenza Terra dei fuochi, sono già impegnate oltre 200 unità dell'esercito, in massima parte appartenenti alla Brigata Garibaldi.
In merito al quesito posto dall'interrogante, ferma restando la competenza primaria del Ministero dell'interno sulla valutazione in merito ad un'eventuale rimodulazione di tale dispositivo, anche in senso incrementale, nell'area in questione, confermo la disponibilità del mio Dicastero a supportare eventuali determinazioni in tal senso, nel rispetto del tetto massimo di unità impiegate nell'operazione, stabilito dal vigente decreto interministeriale Interno-Difesa. Da informazioni acquisite dal Ministero dell'interno, le forze di polizia hanno concluso svariate operazioni di contrasto al fenomeno della mafia nigeriana, oltre che a Castel Volturno anche nelle province di Caserta e Napoli, e in diverse altre regioni del Paese. Inoltre, il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha intensificato la collaborazione investigativa con le autorità nigeriane per il controllo dei flussi migratori e per il contrasto del connesso fenomeno della tratta degli esseri umani.
Accanto all'azione delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria, il Governo è già impegnato nell'area di Castel Volturno in un'azione di risanamento ad ampio spettro che mira a riaffermare il principio di legalità, a migliorare la situazione ambientale e della salute pubblica, a consentire l'inserimento nel tessuto sociale e produttivo degli stranieri in posizione regolare.
In tale direzione, è in fase di attuazione, sotto il coordinamento del prefetto di Caserta, commissario di Governo per il risanamento dell'area in questione, un progetto che coinvolge le istituzioni locali e che ha già prodotto importanti risultati, tra i quali la demolizione di immobili abusivi, il recupero di beni confiscati e la realizzazione di un diffuso sistema di videosorveglianza.
PRESIDENTE. La deputata Meloni ha facoltà di replicare.
GIORGIA MELONI (FDI). Ministro, la ringrazio per la sua disponibilità, disponibilità del Ministero della difesa ad utilizzare uomini dell'Esercito se il Ministero dell'interno intenderà farlo. Interrogheremo il Ministro Salvini per sapere se ci sia questo intendimento da parte del Governo italiano. Noi riteniamo che assolutamente l'intendimento debba esserci. Riteniamo che il lavoro fin qui svolto, evidentemente, non sia stato sufficiente su quel territorio, cioè l'attività di prevenzione della quale lei parla, nella quale attualmente noi impieghiamo il personale militare, è evidentemente superata: lì la prevenzione non ha funzionato. Si stima che a Castel Volturno ci siano fino a 25 mila immigrati clandestini, che ci siano 22 mila case occupate a italiani che ci pagano l'IMU sopra da immigrati clandestini, e che ci sia un controllo ormai totale da parte di un'organizzazione criminale internazionale che a casa nostra ha deciso di mettersi a fare il traffico di esseri umani, di organi, di donne portate in Italia e costrette a prostituirsi con i riti vudù, nel silenzio totale e generale dei grandi sostenitori dell'accoglienza e anche dei grandi sostenitori dell'antimafia, però un giorno sì e un giorno no, perché l'antimafia si fa se la mafia è italiana, ma se invece è nigeriana facciamo finta di non vederla (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Mi piacerebbe sapere dove sono i De Magistris e i Saviano quando si parla di questi temi.
Allora noi pensiamo che se c'è un'organizzazione paramilitare che ha deciso di occupare un pezzo di territorio italiano per farci la capitale dello sfruttamento di esseri umani e dell'espianto di organi, lo Stato italiano debba rispondere con fermezza e quella fermezza chiede l'Esercito, perché l'Esercito italiano serve anche a questo: serve al controllo dei confini e serve a difendere il territorio nazionale dagli invasori. Finora il Governo non intende utilizzarlo più di tanto a questo scopo; non volete usare l'Esercito per attivare il blocco navale al largo delle coste della Libia; non volete usare l'esercito per potenziare “Strade sicure”. Non sono poi d'accordo - mi perdoni, Ministro - quando dice “…fermo restando il tetto massimo”. Noi abbiamo chiesto più volte il potenziamento di “Strade sicure”, cioè degli strumenti che consentono l'utilizzo dell'Esercito per questi scopi e non per altri: qualcuno vuole mandare i militari a tappare le buche della Raggi, che la Raggi non è capace di tappare da sola…
PRESIDENTE. Concluda.
GIORGIA MELONI (FDI). …invece noi pensiamo che la Raggi si debba tappare le buche e i militari debbano andare a cacciare la mafia nigeriana da Castel Volturno (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
(Iniziative di competenza volte a far fronte alla situazione emergenziale nella gestione dei rifiuti dell'area metropolitana di Roma – n. 3-00434)
PRESIDENTE. Il deputato Stefano Fassina ha facoltà di illustrare l'interrogazione Muroni ed altri n. 3-00434 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.
STEFANO FASSINA (LEU). Presidente, è nota la condizione del ciclo dei rifiuti a Roma: è rubricata sotto il termine “emergenza”, ma che è un termine riduttivo. A Roma siamo di fronte a condizioni strutturali di insostenibilità del ciclo dei rifiuti, cioè la quantità e la qualità dei rifiuti prodotti non trovano negli impianti a Roma adeguati strumenti per essere trattati.
In questo quadro, AMA ha un bilancio non approvato, a causa di una conflittualità tra amministrazione comunale e azienda. Si è prodotto un fatto molto grave, cioè l'incendio del TMB Salario, che ha aggravato lo scenario di insostenibilità ma non l'ha determinato.
Nei giorni scorsi la sindaca di Roma, in qualità di presidente della città metropolitana, ha fornito alla regione le aree idonee ad ospitare impianti di trattamento dei rifiuti senza un coinvolgimento dei sindaci della città metropolitana. Lei ha istituito, molto opportunamente, una cabina di regia per affrontare il problema, di fronte ad un quadro che ha obiettivi che condividiamo pienamente, perché noi vogliamo realizzare con la massima determinazione possibile l'economia circolare e chiudere il ciclo dei rifiuti a Roma in un quadro di autosufficienza; tuttavia.…
PRESIDENTE. Concluda.
STEFANO FASSINA (LEU). …vi è uno scarto tra gli obiettivi, le iniziative, le politiche e gli strumenti messi in campo. Chiediamo a lei che cosa intenda fare rispetto a questo scenario, che è sempre più drammatico.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Sergio Costa, ha facoltà di rispondere.
SERGIO COSTA, Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare. Presidente, ringrazio gli interroganti. Premetto che ovviamente il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella materia specifica non ha competenza, ma era giusto che intervenisse, a mio parere, proprio perché si partiva da una situazione di sofferenza più che di emergenza - per motivi schiettamente amministrativi lo chiarisco - dove era necessario assicurare una transizione da un sistema di gestione dei rifiuti inconciliabile con il futuro che ci aspetta, appunto l'economia circolare, come lei ha giustamente poc'anzi richiamato, che passa attraverso la differenziata, che era invece un elemento assolutamente sconosciuto fino a poco tempo fa. Adesso i dati della cabina di regia mi riportano circa 250 mila kit consegnati della raccolta porta a porta rispetto a zero, praticamente, com'era prima: questo è un elemento secondo me significativo.
La transizione però passa anche attraverso poi l'individuazione di zone, di impianti e di quale tipologia di impianti, che è una competenza mista tra il comune, la città metropolitana in modo specifico, e poi, ovviamente, la regione Lazio nel caso di specie, che nel caso specifico - ricordiamo - ha l'obbligo di approntare il piano regionale dei rifiuti, che è atteso da sei anni. Questi sono i due elementi. La cabina di regia serve proprio a fare da pontiere tra i soggetti istituzionali, per individuare i percorsi: fatta a livello tecnico (con tecnici di ognuno di questi enti), fatta a livello politico (con l'aggiunta anche del signor prefetto della prefettura di Roma), proprio per dare il senso della compiutezza della verifica territoriale.
In questo senso, ovviamente, si è anche affrontata la vicenda del TMB e dei 750 metri cubi giornalieri di rifiuti che devono, invece, andare altrove. Noi stiamo prestando la nostra assistenza tecnica: dove siamo arrivati in questo momento? Siamo arrivati - e non faccio una valutazione politica ma squisitamente tecnica rispetto alla sua giusta osservazione - al fatto che finalmente le aree bianche sono state individuate dalla città metropolitana, al di là del percorso seguito, mentre, dall'altra parte, c'è stata l'assicurazione che la regione Lazio, nel giro di un mese da oggi, dovrebbe chiudere con la presentazione del piano regionale dei rifiuti, che poi va in VAS (valutazione ambientale strategica), quindi con la partecipazione di tutti quanti i cittadini, che mi sembra anche questa una buona cosa.
E, quindi, probabilmente la transizione finalmente incomincia a vedere la luce.
PRESIDENTE. La deputata Muroni ha facoltà di replicare.
ROSSELLA MURONI (LEU). Grazie, Presidente. Grazie, signor Ministro, per la sua risposta. L'emergenza c'è perché il 5 gennaio i presidi del Lazio hanno minacciato il comune di lasciare chiuse le scuole perché i ragazzi e le ragazze delle scuole romane rischiavano di essere assediati dai ratti e dai rifiuti di fronte ai cancelli delle scuole di Roma. Questa è una cosa che non era mai successa ed è una pagina davvero indegna per la capitale di un Paese come il nostro. Ecco, io credo che dovremmo partire da qui.
Io l'ho incontrata anche, signor Ministro, in occasione dell'incendio al TMB Salario. Lei è venuto, assolutamente in maniera opportuna, con il sindaco e addirittura con il presidente della Commissione ecomafie a sottolineare, io credo, che lì si era creata una situazione davvero emergenziale. Ecco, quello che non funziona - e chiediamo al suo Ministero di impegnarsi in maniera importante - è il fatto che i cittadini romani sono rimasti all'interno di un ping pong, di un ricatto reciproco tra livelli istituzionali diversi e questo è insopportabile.
A fronte di questa situazione ieri la sindaca Raggi ha finalmente ricevuto i sindaci dell'area metropolitana. Ecco, io le dico che bisogna passare dalla partecipazione. Infatti, l'economia circolare non può essere realizzata a discapito della partecipazione dei territori. Bisogna fare gli impianti ma bisogna anche ascoltare i sindaci perché, Ministro Costa, questa città nell'ultimo anno è cresciuta dell'1 per cento per quanto riguarda la raccolta differenziata; eppure, la raccolta differenziata si può fare anche a Roma. Noi romani non abbiamo un limite antropologico alla raccolta differenziata, visto che dal 2013 al 2015 siamo cresciuti del 10 per cento. Noi stiamo chiedendo ai sindaci dell'area metropolitana di risolvere il problema romano della gestione dei rifiuti a fronte del 41 per cento della raccolta differenziata e lo stiamo facendo a discapito di comuni assolutamente virtuosi. Infatti, Castelnuovo di Porto raccoglie in maniera differenziata l'84 per cento dei rifiuti, Filacciano il 71 e Cerveteri il 67 per cento, solo per fare degli esempi.
Dunque, io le suggerisco di coinvolgere lei questi sindaci all'interno della cabina di regia, perché forse sindaci che amministrano bene il loro territorio e gestiscono in maniera corretta la filiera dei rifiuti sul territorio dovrebbero avere…
PRESIDENTE. Concluda.
ROSSELLA MURONI (LEU). …non solo diritto di parola ma forse anche dare quelle competenze che evidentemente al comune di Roma in questo momento mancano assolutamente (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
(Iniziative urgenti in materia di governo degli enti parco nazionali, con particolare riferimento alle nomine dei relativi presidenti – n. 3-00435)
PRESIDENTE. Il deputato Giuseppe Cesare Donina ha facoltà di illustrare l'interrogazione Molinari ed altri n. 3-00435 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.
GIUSEPPE CESARE DONINA (LEGA). Grazie, Presidente. Mi rivolgo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Premetto che sempre più numerose notizie di stampa provenienti dal territorio avanzano critiche sul quadro dell'applicazione, da parte del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle norme in materia di governo degli enti parco nazionale e delle aree marine protette previsto dalla legge quadro n. 394 del 1991. Infatti, lo scenario che emerge è quello di un gravissimo ritardo degli adempimenti previsti per individuare le figure dei presidenti attraverso l'intesa con le regioni competenti territorialmente. Dalle Cinque Terre all'Aspromonte, passando per le Dolomiti bellunesi e la Val d'Agri, una linea continua di inefficienze amministrative e di inerzia politica attraversa l'Italia. Diversi sono gli episodi curiosi in questa vicenda tra i quali spiace menzionare quello che, secondo quanto riportato dalla stampa, è avvenuto presso il Parco dei Monti Sibillini, con l'annuncio della nomina del presidente con modalità che appaiono agli interroganti quanto meno irrituali.
Per quanto riguarda il Parco del Gargano, invece la stampa ha dato notizia di una procedura di selezione nella quale sarebbero stati vagliati ben 15 curricula, procedura peraltro non espressamente prevista dalla disciplina vigente. Discorso a parte merita la vicenda dei recenti commissariamenti degli enti parco come la Sila e la Val d'Agri, per i quali si è fatto ricorso a professionalità provenienti dalla stessa amministrazione, pur meritoria, di provenienza del Ministro interrogato.
PRESIDENTE. Concluda.
GIUSEPPE CESARE DONINA (LEGA). Si chiede, pertanto, quali azioni e provvedimenti urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per completare al più presto la governance degli enti parco nazionali attraverso le dovute intese con le presidenze regionali per assicurare l'efficienza e l'efficacia dell'azione di coordinamento di questi enti sul territorio.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Sergio Costa, ha facoltà di rispondere.
SERGIO COSTA, Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare. Grazie agli interroganti e grazie al Presidente. Ringrazio anche perché questa interrogazione mi dà l'opportunità di segnare un po' una linea e un percorso che stiamo affrontando che, secondo me, è molto, molto robusto e molto serio. Mi spiego meglio. Lei sa molto bene, come ha citato, che nel momento in cui si individua un presidente, questo è individuato con l'accordo, appunto, tra il Ministero dell'ambiente, nel caso di specie ovviamente, e la regione competente per quel territorio o se sono più regioni, come gli interregionali, i più presidenti. La Corte costituzionale più volte ha sollevato la questione, chiedendo che, quando questo accordo non si raggiunge, deve essere sollecitato ulteriormente, cioè non c'è un vincolo di tempo.
Perché chiarisco questo? Perché per me è uno degli elementi fondamentali che ho concordato con i due sottosegretari in una linea assolutamente trasparente e principalmente condivisa, con i due sottosegretari all'ambiente, dicevo, cioè l'onorevole Vannia Gava e l'onorevole Salvatore Micillo, che ringrazio per aver insieme individuato questo percorso. Si tratta proprio di tenere talmente alto il livello curricolare che chi fa il presidente sia a un livello indiscutibile, al di là delle appartenenze e dei colori, perché deve avere una visione ampia. Questa cosa è stata appunto condivisa e trasmessa e io l'ho partecipata dal giugno-luglio 2018 - quindi, appena giurato - per iscritto a tutti i presidenti delle regioni ove c'era questa necessità, cosa che precedentemente non necessariamente avveniva e di cui non c'è, tra l'altro, memoria scritta (quindi, per dimostrare il carteggio come funziona).
In questo senso, quindi, il percorso è forse leggermente più lento ma è più robusto perché consente anche in questo accordo, in questa linea condivisa come Ministero e come orientamento politico del Ministero, di sentire sempre le comunità locali, quindi rappresentate dai sindaci, cioè gli enti esponenziali e, ovviamente, le associazioni rappresentative di quel determinato territorio. Questa cosa è un tessuto più lento probabilmente però poi individua la persona, secondo me, che è migliore e - ripeto - senza alcuna colorazione o alcuna appartenenza. Inoltre, il legame con i curriculum è proprio legato ad un'analisi tecnica ma principalmente di visione politica di polis, ovverosia valorizzazione, tutela e crescita di quei territori che a volte, come lei sa, sono territori anche un attimino marginalizzati e che noi dobbiamo, invece, considerare quasi come dei poli attrattivi e degli scrigni della natura.
PRESIDENTE. Il deputato Giuseppe Cesare Donina ha facoltà di replicare.
GIUSEPPE CESARE DONINA (LEGA). Grazie, Ministro. Ovviamente anche per noi la prerogativa su certi temi è quella di sentire sempre i territori di riferimento, le regioni o altri enti territoriali. Quindi, la premessa va bene. Sollecitiamo, comunque, un percorso abbastanza celere senza rallentare troppo il percorso perché certi enti, che sono in commissariamento, necessitano, appunto, di una leadership e di una testa per poter poi riprendere a camminare.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 16.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI.
La seduta, sospesa alle 15,50, è ripresa alle 16.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Si riprende la discussione della proposta di legge costituzionale n. 1173-A.
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali della proposta di legge costituzionale n. 1173-A: Modifiche all'articolo 71 della Costituzione, in materia di iniziativa legislativa popolare, e alla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e delle abbinate proposte di legge costituzionale nn. 726-727-1447.
(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 1173-A)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maria Elena Boschi. Ne ha facoltà.
MARIA ELENA BOSCHI (PD). Grazie, Presidente. La maggioranza ha presentato due autonome proposte di legge costituzionale: una che è oggetto della discussione di quest'oggi che mira a intervenire sull'articolo 71 della Costituzione e anche sull'articolo 75 ed un'autonoma proposta di riforma che è oggetto dell'esame del Senato sulla riduzione del numero dei parlamentari e che ovviamente discuteremo quando sarà sottoposta all'attenzione di questo ramo del Parlamento. È importante ricordare che, pur essendo legittimamente due distinte proposte di legge, c'è comunque un filo rosso che tiene unite nell'intenzione della maggioranza e, quindi ovviamente anche del Governo che le appoggia, sostiene e dà ad esse centralità nell'agenda e nello stesso calendario dei lavori d'Aula, le proposte di riforma costituzionale, un filo rosso che tiene insieme le due iniziative. Il rischio, andando ad esaminare singolarmente le tessere del puzzle che la maggioranza sta cercando di comporre, è perdere di vista il disegno, il quadro d'insieme. Entrambe le proposte minano in qualche modo la centralità del Parlamento. Dopo aver ascoltato per mesi ma anche, nella legislatura precedente, per anni i richiami dell'attuale maggioranza di Governo in modo particolare del MoVimento 5 Stelle sul ruolo del Parlamento e sulla centralità della democrazia parlamentare, le iniziative di riforma che provengono dai banchi della maggioranza vanno in direzione totalmente opposta. Dunque credo che sia importante comunque non perdere di vista il disegno che la maggioranza sta portando avanti e che, tutto sommato, con una certa sincerità è stato reso esplicito anche da uno dei leader di riferimento del MoVimento 5 Stelle e in qualche modo anche il titolare, se così si può dire, del MoVimento 5 Stelle cioè Casaleggio in quanto proprietario della S.r.l. che gestisce anche i parlamentari del MoVimento 5 Stelle, quando apertamente e pubblicamente ha dichiarato che la prospettiva è quella di un superamento del Parlamento, che nei fatti abbiamo visto già in atto proprio con la condotta che in Aula tengono il Governo e la maggioranza. L'abbiamo visto anche in quest'Aula proprio in occasione della discussione della legge di bilancio ed è ancora più chiaro nel momento in cui leggiamo la proposta di riforma costituzionale riguardante proprio l'articolo 71 e quindi la possibilità di sostituire al ruolo del Parlamento lo strumento del referendum propositivo. Ovviamente il Partito Democratico è sempre stato favorevole alla prospettiva dell'introduzione nella nostra Costituzione dei referendum propositivi non soltanto in questa legislatura attraverso iniziative legislative di colleghi del Partito Democratico ma anche, nella passata legislatura, ricordiamo bene che, a prescindere poi dall'esito del referendum costituzionale, la stessa proposta di riforma costituzionale prevedeva l'introduzione di referendum propositivi ma con limiti e, quindi, anche una delimitazione degli effetti che essi avrebbero potuto avere, rimessa ovviamente ad una disciplina di dettaglio che il Parlamento avrebbe dovuto stabilire. In questo caso la scelta della maggioranza è stata quella di indicare già nel testo, quindi già nella proposta avanzata, la possibilità di prevedere referendum propositivi senza alcun limite di materia, quindi sostanzialmente di poter intervenire su qualsiasi settore ivi compreso il diritto penale e la procedura penale e anche tutta la materia che attiene ovviamente alle entrate e alle spese pubbliche e quindi al bilancio dello Stato.
Ovviamente tutti noi sappiamo bene per esperienza diretta quanto queste materie siano delicate non soltanto perché spesso incrociano sentimenti, stati d'animo, emotività dettati da fatti di cronaca contingenti che possono poi portare ad assumere alcuni orientamenti soprattutto nell'ambito del diritto penale o della procedura penale che rischiano, se non sufficientemente ponderati, di aprire varchi di illegittimità costituzionale ma soprattutto elementi di illiberalità nel nostro ordinamento e quanto possa essere rischioso, dal punto di vista della tenuta dei conti pubblici e del bilancio dello Stato, la possibilità di rimettere a referendum propositivi materie che attengono alle entrate e alle spese dello Stato. Del resto quando analoghi tentativi sono stati compiuti in altre realtà pur diverse da quella italiana come, ad esempio, lo Stato della California abbiamo visto che la scelta di intervenire su questi settori ha portato per molti anni a effetti negativi proprio sul bilancio dello Stato. Dunque dobbiamo prestare molta attenzione - lo dico senza enfasi retorica ma davvero con una preoccupazione responsabile - alle scelte che stiamo compiendo in quest'Aula e che compiremo nei prossimi giorni quando passeremo alle votazioni della proposta di riforma costituzionale per l'impatto e l'effetto che avrà sul nostro sistema costituzionale e che avrà anche indirettamente sulla forma di Governo che abbiamo scelto nella nostra Costituzione.
Al tempo stesso non ci sembra che i controlli e le garanzie che possono essere effettuati attraverso la valutazione della Corte costituzionale, una volta raccolte le 200.000 firme previste per poi arrivare alle 500.000 necessarie per avanzare un'iniziativa legislativa popolare, non ci sembra che il vaglio di legittimità da parte della Corte costituzionale, essendo limitato soltanto alla valutazione dei principi fondamentali e non quindi ad una verifica puntuale di tutto il testo costituzionale, di legittimità, di compatibilità con tutto il testo della nostra Costituzione garantisca, sia sufficiente a tutelare i diritti fondamentali dei cittadini e quindi a tutelare anche il nostro ordinamento costituzionale. Il rischio vero è che, pur essendo condivisibile l'intento di ampliare gli strumenti, che a mio avviso non sono nemmeno limitativi della democrazia rappresentativa ma piuttosto integrativi della democrazia rappresentativa, si rischi di mettere in discussione l'intero sistema democratico del nostro Paese proprio perché non ci sono limiti, contrappesi, garanzie nell'ambito della riforma costituzionale che la maggioranza sta portando avanti. Risulta particolarmente rischiosa proprio per il sistema democratico la possibilità che, attraverso un referendum, nonostante l'approvazione di una diversa legge sulla stessa materia da parte del Parlamento così come previsto nei diciotto mesi di tempo, sia rimessa la scelta sul perseguire o meno il testo iniziale proposto attraverso la raccolta delle firme da parte dei cittadini ad un gruppo ristretto di persone e non certo alla maggioranza dei cittadini italiani, non certo ai 500.000 cittadini che hanno sottoscritto l'iniziativa legislativa, ma al comitato che in qualche modo si è fatto promotore dell'iniziativa e del referendum che può essere composto anche da meno di dieci persone o anche da due persone, perché non c'è un limite minimo. Dunque il rischio è che si faccia passare per una scelta di democrazia, di ampliamento degli strumenti a disposizione dei cittadini quella che in realtà sarà una valutazione, una scelta di pochissimi soggetti che possono essere anche portatori di interessi per quanto riguarda la iniziativa legislativa che perseguono. Soprattutto c'è un ulteriore rischio che ovviamente è quello di bloccare di fatto l'attività parlamentare perché sappiamo che non sono previsti limiti per la possibilità di sottoscrivere iniziative legislative proposte nello stesso anno per un medesimo cittadino. Un gruppo quindi organizzato di 500.000 persone - pensiamo ad associazioni, movimenti, sindacati che possono avere a cuore più argomenti - possono più o meno con gli stessi soggetti, con le stesse 500 mila persone proporre anche varie iniziative, numerose iniziative nello stesso anno con l'obbligo per il Parlamento di prenderle in esame e di approvarle nei diciotto mesi successivi, salvo in caso contrario arrivare al referendum in automatico. Ebbene in questo modo chi avesse intenti illiberali e antidemocratici potrebbe utilizzare tale strumento per bloccare di fatto l'ordinaria attività del Parlamento e in realtà la maggioranza stessa oggi dovrebbe essere preoccupata rispetto al rischio di uno stallo nel funzionamento delle nostre istituzioni.
Noi lo siamo, pur essendo oggi opposizione, perché riteniamo che comunque si debba preservare quello che è il valore del Parlamento e la possibilità che ci sia una scelta democratica da parte degli eletti, e non un blocco da parte, magari, di blocchi di potere, centri di potere che arrivano dall'esterno e che fanno attività di ostruzionismo, indirettamente, all'attività parlamentare. Ecco perché noi teniamo a rimarcare, come Partito Democratico, che questa riforma costituzionale non è stata scritta insieme alle opposizioni. Questa è una proposta di riforma che viene dai banchi della maggioranza e che noi consideriamo esclusivamente una riforma della maggioranza, sebbene sia stato approvato un emendamento proposto dal Partito Democratico, che rivendichiamo, perché ha sicuramente rappresentato un passo in avanti importante, stabilendo un quorum minimo sia per il referendum propositivo nell'ambito dell'articolo 71 sia per il referendum abrogativo diverso da quello attuale, ma comunque rimane una riforma che il Partito Democratico non condivide, a cui si oppone fermamente e che di sicuro non può essere narrata, come ha cercato di fare anche il Ministro Fraccaro, come una riforma condivisa, come una riforma che proviene da un lavoro comune di maggioranza e opposizione.
Motivi per cui, in modo molto serio, responsabile, ma altrettanto fermo, il Partito Democratico si oppone a questa riforma; lo ha fatto in Commissione e continuerà a farlo anche in questa sede, è quello che si trasformi la nostra democrazia in una grande piattaforma di Rousseau. E questo probabilmente è il retropensiero che il MoVimento 5 Stelle ha, il modello di riferimento che il MoVimento 5 Stelle meglio conosce e che cerca di riproporre su scala nazionale. Noi sappiamo benissimo che senza una legislazione, peraltro, che disciplini in modo puntuale anche i limiti della campagna referendaria, che cerchi di disciplinare in modo trasparente anche le informazioni che possono essere veicolate, l'utilizzo dei social network per le campagne di informazioni connesse, il rischio è che davvero ci possa essere un'iniziativa da parte dei cittadini che non è frutto di una libera valutazione, di una valutazione ponderata, ma che può essere influenzata da strumenti esterni.
Ecco perché vediamo con particolare preoccupazione questa proposta, che ha sicuramente un aspetto affascinante, che sicuramente ha, anche per i cittadini, la possibilità di essere mascherata come una prerogativa, un'occasione in più che si offre alla loro partecipazione, ma che nei fatti si trasformerà esattamente nel contrario, rimetterà alla scelta di pochissimi i destini di milioni di cittadini italiani. Pochissimi, peraltro, nemmeno eletti, come avviene, ovviamente, per chi siede in Parlamento, ma che sono autoproclamati componenti di questi comitati promotori. Allora, dal momento che noi riteniamo che la nostra democrazia non possa diventare il campo da gioco della Casaleggio Associati attraverso l'estensione della piattaforma Rousseau su scala nazionale, dal momento che crediamo che non si possano decidere le sorti dei cittadini, delle imprese e delle famiglie italiane attraverso iniziative legislative rimesse quasi ad una sorta di votazione da Grande Fratello, con gli sms, proprio perché pensiamo che la democrazia debba essere tutelata e preservata a maggior ragione dai banchi delle opposizioni, ma noi crediamo che il Governo dovrebbe avere a cuore altrettanto, così come la maggioranza, la democrazia, riteniamo anche che, essendo una prima lettura, essendo un primo passaggio, la maggioranza e il Governo hanno ancora la possibilità di modificare questo testo, di ascoltare le proposte che sono arrivate dai banchi delle opposizioni e che le opposizioni continuano a portare avanti, e modificare profondamente questa proposta, che, ripeto, è condivisibile nell'intento di ampliare gli strumenti che possano integrare la nostra democrazia rappresentativa, ma che così rappresenta un'eterogenesi dei fini e sicuramente ci porta a limitare la nostra democrazia, e certo non ad ampliarla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fatuzzo, che non è presente in Aula; si intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare il deputato Stumpo, che non è presente in Aula; si intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare il deputato Marco Di Maio. Ne ha facoltà.
MARCO DI MAIO (PD). Grazie, Presidente. Questo disegno di legge ci preoccupa, lo riteniamo una bomba ad orologeria che viene messa nelle fondamenta del nostro ordinamento repubblicano, basato sul principio della democrazia rappresentativa, ed è una bomba destinata a esplodere ogni qual volta si metteranno in conflitto, in contrapposizione, il Parlamento con i comitati referendari, generando una conflittualità che, come dimostra la storia, non ha mai portato a nulla di buono. Non siamo affatto contrari a intervenire sulla materia referendaria, anzi, abbiamo fatto proposte concrete in questa legislatura e nella precedente che andavano e vanno nella direzione di fornire strumenti e potenziare la partecipazione popolare al percorso legislativo; proposte alle quali questa maggioranza, che all'epoca non era maggioranza, si oppose, votando “no” in Parlamento e nella successiva consultazione popolare; proposte che avrebbero davvero dato più strumenti in mano ai cittadini senza snaturare le fondamenta del nostro ordinamento democratico.
La riforma, infatti, prevedeva, se avesse vinto il “sì” in quel 4 dicembre del 2016, che il Parlamento avesse l'obbligo di discutere e deliberare sulle proposte di legge d'iniziativa popolare firmate da 150 mila cittadini. Sarebbero stati introdotti i referendum propositivi e di indirizzo, si sarebbe abbassato il quorum per i referendum abrogativi, non più il 50 per cento degli aventi diritto, ma il 50 per cento dei votanti alle ultime elezioni, in media circa il 35 per cento del corpo elettorale. A tutto questo, lo ripeto, la maggioranza di oggi votò “no”. Questa premessa è necessaria per ribadire che non siamo contrari a intervenire per rafforzare gli strumenti di partecipazione popolare; semplicemente, siamo contrari alla ricetta che ci proponete con questo testo di legge. Ci preoccupa questa riforma anche perché si accompagna a dichiarazioni e comportamenti che avete messo in campo in tempi recenti che vanno nella direzione di smantellare la democrazia rappresentativa.
Potremmo citare le autorevoli dichiarazioni dei capi del MoVimento 5 Stelle sulla inutilità del Parlamento e sulla possibilità di scegliere deputati e senatori tramite sorteggio, oppure quello che avete fatto con la legge di bilancio appena approvata il 30 dicembre scorso, senza consentire, per la prima volta nella storia, al Parlamento, sia alle opposizioni che alla maggioranza, di modificare nemmeno un comma degli oltre 1.100 articoli e commi di cui era composta la legge di bilancio. Non lo avete permesso a nessun parlamentare ed è la prima volta che questo accadeva. Il modello della presunta democrazia diretta che voi proponete, magari in futuro da attuare attraverso il voto su uno smartphone o comodamente dal proprio divano di casa, è già stato sperimentato in altre forme nella storia dell'uomo ed è sempre stato abbandonato successivamente perché non efficace. Quasi sempre la democrazia diretta, poi, ha finito con lo sfociare in derive autoritarie, talvolta anche violente, e probabilmente, non lo mettiamo in dubbio, non è questo il vostro obiettivo, ma è ciò a cui, dovete rendervene conto, rischiate di portarci con questa pseudoriforma. Che cosa prevede il testo che stiamo discutendo? Intanto, attribuisce una maggiore forza alle proposte di legge di iniziativa popolare sottoscritte da almeno 500 mila elettori; oggi ne bastano 50 mila e ricordavo che avete votato “no” a una proposta che proponeva di portarle solo a 150 mila.
Tutte le proposte di legge capaci di raccogliere quel livello di consenso, cioè 500 mila elettori, una volta passato il vaglio di legittimità della Corte costituzionale e un controllo formale da parte della Corte di cassazione, dovranno essere approvate dalle due Camere tassativamente entro diciotto mesi. Se questo non dovesse avvenire a causa di qualsiasi motivo, sia politico che contingente, che impedisse al Parlamento di potere, in tempi brevi, arrivare al recepimento, si passerà direttamente a una consultazione referendaria obbligatoria. Se poi le Camere dovessero approvare la proposta di iniziativa popolare in un testo diverso da quello presentato dai 500 mila sottoscrittori e se il comitato non accettasse la versione uscita dal Parlamento, il referendum verrebbe indetto su entrambi i testi. In quel caso l'elettore favorevole alla nuova legge avrebbe la facoltà di indicare il testo che preferisce e verrebbe approvato quello che ha ottenuto più voti. Gli unici limiti di materia previsti dal testo che ci proponete sono: se la proposta non rispetta i principi e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, nonché dal diritto europeo e internazionale, ed è sparito il riferimento ai vincoli, ed era molto più stringente, che era previsto nel testo originario; se ad iniziativa riservata; se presuppone intese o accordi; se richiede una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione; se non provvede ai mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri che essa comporti; se non ha un contenuto omogeneo. Questi sono gli unici limiti che sono previsti.
In Commissione abbiamo agito perseguendo l'obiettivo di ridurre il danno, di cercare di ridurre il danno di questo provvedimento, e abbiamo ottenuto una modifica, pur importante, che prevede che la consultazione sarà valida solo se il numero di voti favorevoli sarà pari a un quarto, cioè al 25 per cento del corpo elettorale, all'incirca 12 milioni e 500 mila persone.
È una toppa, però, insufficiente a coprire la voragine con la quale andrete a squarciare il nostro ordinamento repubblicano, il nostro ordinamento democratico. E sono almeno dieci i motivi per i quali questa legge per noi è inaccettabile; il primo: non ci sono chiari limiti di materia, si potrà svolgere tramite referendum propositivo una consultazione pubblica, aperta a tutti, che sarebbe, però, preclusa dai limiti previsti, invece, per i referendum abrogativi. Ad esempio, si potrebbe svolgere un referendum sull'introduzione di nuove tasse o sull'eliminazione di alcune tasse, proponendo come copertura semplicemente l'aumento di altre tasse, oppure dell'IVA, come per la verità avete già fatto con l'ultima legge di bilancio. Si potrebbe proporre un referendum per nuove norme in materia penale che potrebbero essere fortemente condizionate dall'emotività della fase in cui si svolgerà quella consultazione, paradossalmente, arrivando fino alla riproposizione anche della pena capitale, cosa non esclusa dai limiti di materia.
Una semplificazione eccessiva è il secondo motivo per il quale per noi questa legge è inaccettabile. Si chiederà, infatti, ai cittadini di esprimersi con un “sì” o con un “no” su questioni molto complesse, dandole in pasto a una propaganda spicciola e a campagne referendarie che andranno avanti a suon di slogan.
Il terzo motivo: un sistema di voto che viola la segretezza del voto. Il referendum sulla proposta popolare ha un meccanismo di voto che è paradossale. L'elettore si troverebbe tre schede nella cabina elettorale. Una per dire “sì” o “no” alla proposta del comitato referendario, una per dire “sì” o “no” alla legge votata dal Parlamento e una terza scheda per dire quale delle due leggi si preferirebbe se entrambe superassero il quorum di approvazione, con una eccezione: potranno votare sulla terza scheda solo coloro che avranno votato “sì” in entrambe le due altre schede. E come si farà a sapere chi ha votato “sì” se l'espressione del voto deve essere libera e segreta? Non potete pensare di controllare il voto delle persone, sarebbe una grossa violazione, non solo della Costituzione, ma anche di un diritto fondamentale.
Il quarto motivo è che si intacca la forma di Governo. L'iniziativa popolare e il referendum propositivo, così come concepiti da questa proposta di legge, incideranno anche sulla forma del nostro ordinamento repubblicano, sulla nostra forma di Governo parlamentare, perché la maggioranza del Parlamento potrebbe approvare una legge di iniziativa popolare, modificandone il testo, ovviamente a maggioranza, e a quel punto il comitato promotore ne potrebbe richiedere comunque il referendum perché non soddisfatto dalle modifiche e se il popolo boccerà la proposta avanzata dalla maggioranza parlamentare essa sarà politicamente sfiduciata. Certo, non lo sarà sotto il profilo giuridico, ma politicamente sarà così e pensate che questo non avrà conseguenze? Pensate che questo strumento non diventerà solo uno strumento di partecipazione, ma anche uno strumento di lotta politica da parte, a volte, della maggioranza, a volte, dell'opposizione, a seconda delle convenienze?
Il quinto motivo: si vanno a intaccare i poteri del Capo dello Stato. L'articolo 74 della Costituzione afferma: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”. In caso di proposta popolare che dovesse prevalere, rispetto a quella approvata dal Parlamento, a chi eventualmente il Presidente della Repubblica dovrebbe rivolgere il proprio messaggio e chiedere una nuova deliberazione? Domanda a cui è difficile rispondere.
Si incrina l'equilibrio previsto dai costituenti, sesto motivo di contrarietà. La scelta della forma di democrazia rappresentativa, individuata dalle madri e dai padri costituenti, tra il 1946 e il 1948, è inserita all'interno di un impianto perfettamente coerente dell'intero nostro ordinamento, non solo perché prevede l'elezione a suffragio universale dei propri rappresentanti in Parlamento, ma anche perché tutti i principali organi costituzionali sono eletti con votazioni di secondo o terzo grado, ciò vale per il Presidente della Repubblica, vale per la Corte costituzionale e per il Consiglio superiore della magistratura. Scardinare il sistema della democrazia rappresentativa significa anche incrinare il rapporto tra questi organi costituzionali.
Settimo motivo di contrarietà: si delegittimano istituzioni terze e di garanzia. Con il referendum abrogativo se il Parlamento interviene su una materia oggetto di referendum prima che si apra la campagna referendaria, la Corte di Cassazione valuta se le norme introdotte dal Parlamento siano sufficienti a rispondere al quesito referendario. È una procedura di garanzia per tutti, è una procedura che garantisce anche le istanze dei comitati referendari ed è una procedura che abbiamo visto attuata, ad esempio, nel referendum sui voucher.
Non ho bisogno di elencare, qui, i criteri, le modalità e le personalità che compongono la Corte di cassazione; è chiaro che con il referendum propositivo, invece, la valutazione sulle norme approvate dal Parlamento non sarà più affidata ad esperti, giuristi, persone che hanno accesso agli strumenti necessari per fare tutte le valutazioni che richiede una scelta di questo tipo, ma sarà affidata ai comitati referendari che, anche qualora dovessero essere composti dalle menti più illuminate del nostro Paese, non avranno mai gli strumenti di valutazione, ad esempio, di impatto economico, che può avere un organo dello Stato. E questo è solo un esempio delle numerose delegittimazioni che sono contenute in questo testo rispetto a organi costituzionalmente previsti.
L'ottavo motivo: il rischio di ingolfare il Parlamento e i cittadini. Non c'è un limite al numero di consultazioni che si possono svolgere nell'arco di un anno o di una legislatura, al numero di proposte popolari che devono essere esaminate, a come l'iniziativa popolare si deve intrecciare con quella legislativa che - ancora non è stata intaccata - spetta principalmente al Parlamento e al Governo. Il risultato rischia di essere quello di svolgere molte consultazioni nell'arco di un breve periodo di tempo, arrivando a svilire lo strumento stesso del referendum e a inibire, da un certo punto di vista, anche la partecipazione.
Nono motivo di contrarietà: i modelli di riferimento sono inadeguati. La maggioranza che propone questa legge costituzionale cita come casi di ispirazione la Svizzera e la California, Stati nei quali non c'è un sistema di Governo come il nostro, basato sulla fiducia che deve essere ottenuta dal Governo da parte del Parlamento. La Svizzera, poi, prevede la possibilità di iniziative popolari solo per le materie costituzionali e non per qualsiasi tema, come previsto da questo testo.
Il decimo ed ultimo argomento di contrarietà: si consegna il potere legislativo nelle mani di minoranze organizzate. Con questa legge, deve essere chiaro, si porrà il potere legislativo anche a corpi esterni a quelli previsti dalla nostra Costituzione, anche nelle mani di minoranze ben organizzate, magari ben dotate di mezzi soprattutto economici per poter arrivare ai criteri richiesti per chiedere, poi, una consultazione popolare. Siete stati eletti facendo la battaglia contro chi, voi, definivate essere amico delle lobby, finite col fare una legge che favorirà le lobby e i poteri forti, così come li chiamate. Rendetevi conto di quello che state facendo, fermatevi e cercate di correggere questo provvedimento, cercate di correggere questa legge, cercate di ascoltare non solo e non tanto ciò che vi stanno dicendo le opposizioni, con sfumature diverse, ma con molte richieste di modifica, ma anche quello che dicono gli esperti della materia, coloro che stanno studiando da anni questi temi. Non siete soli, la Costituzione non è vostra, le istituzioni non sono vostre. Fermatevi e rendetevi conto di quello che state facendo; è una modifica costituzionale e cercate di avere l'umiltà anche di ascoltare i suggerimenti che vengono dai banchi dell'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Maurizio Felice D'Ettore. Ne ha facoltà.
FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). Presidente, veramente è Felice Maurizio D'Ettore, ma va bene uguale. In genere un parlamentare, soprattutto di prima elezione, nel momento in cui parla di una riforma costituzionale e si occupa di una riforma costituzionale, in un momento nel quale c'è pure una scolaresca presente, pensa che sia il momento più alto del suo impegno e lo fa in un'Aula nella quale, come dire, soprattutto la maggioranza dimostra una scarsissima attenzione alla discussione generale, perché questa non è una semplice discussione generale, questa è la discussione generale su una revisione costituzionale, cioè il compito più alto che abbiamo, finché ce lo consentirete voi della maggioranza, e che possiamo svolgere, come parlamentari. Questa riforma, perché tale è questa proposta di revisione costituzionale, che riguarda l'articolo 71, sembra riguardare il referendum, in realtà è solo uno specchietto per le allodole il referendum, la volontà e la ratio di questa riforma sono ben diverse. Da un punto di vista tecnico, come formulazione tecnica di queste norme, questa è la sublimazione della inettitudine a cinque stelle, perché peggio di così, non si poteva scrivere questa revisione costituzionale. Ma dietro a questa incapacità di formulare un testo - e, quindi, vi consiglio se avete dei consulenti che pagate di licenziarli o se invece lavorano gratis di rimandarli a casa -, dietro questa sublimazione della incapacità a scrivere testi, c'è però una plastica dimostrazione dell'antimateria costituzionale.
Avete creato l'antimateria costituzionale, perché la ratio di questo provvedimento per voi è quella di creare una Costituzione flessibile. Voi volete che la nostra Costituzione rigida, che si può modificare solo con il procedimento di revisione costituzionale, trovi un pertugio attraverso questo sistema: la proposta di legge popolare. È quella a cui puntate, perché voi pensate di poter essere maggioranza e certamente non andrete ai referendum. Visto che non c'è un numero massimo di presentazione né una materia definita o materie definite in maniera chiara, voi tranquillamente presenterete una serie di proposte che possono modificare l'assetto costituzionale di questo Paese, le approverete con la vostra maggioranza - questo è il senso della riforma - e lo farete senza bisogno di referendum, rendendo flessibile anche la Carta. Perché? Perché voi sapete bene che, scrivendo in una norma - o, meglio, voi non lo sapete, ma qualche mente sopraffina ve l'ha fatta pensare, scritta male, ma qualcuno ve l'ha fatta pensare - riferirsi semplicemente ai principi e diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione significa non riferirsi a tutte le norme costituzionali.
E significa anche che, a quel punto, la Corte costituzionale, che voi chiamate ad esprimere con un giudizio di ammissibilità dopo e con un giudizio preventivo che, invece, non ammettete, se vi è il supporto di 200 mila elettori - quindi, probabilmente, non si farà mai questo giudizio preventivo di costituzionalità -, si troverà di fronte a che cosa, semmai vi fosse un testo modificato? Si troverà di fronte a dover decidere che la legge popolare sostenuta, votata, che ha passato il referendum, non è ammissibile, anche se comincia a toccare qualcosa? Sentivo oggi citare da qualche vostro parlamentare Zagrebelsky, che sicuramente sarà non molto soddisfatto di queste citazioni, ma, per esempio, ricordo il vincolo interno a ogni norma costituzionale, il vincolo interno a ogni norma ordinaria. Ogni norma ordinaria ha un vincolo interno di rispetto della tavola dei valori costituzionali, ma siete voi, con questa riforma, a far rientrare un'antimateria costituzionale che dialoga non con il resto della Costituzione, ma fa da sé autonomamente, decide autonomamente, delibera autonomamente; imporrete anche agli altri organi costituzionali la decisione che viene dalla legge popolare.
È questa la vera ratio profonda del vostro provvedimento: modificare l'assetto costituzionale, i valori costituzionali, il diritto costituzionale vivente attraverso questo meccanismo della legge popolare. Il referendum è un di più, è uno specchietto per le allodole, non è quello lo scopo a cui voi siete diretti.
Ma è evidente che create anche meccanismi tecnici del tutto incomprensibili: incomprensibili a prima lettura, incomprensibili sul piano tecnico, incomprensibili sul piano della regolamentazione costituzionale, sul piano del diritto costituzionale, ma ben comprensibili invece su un altro piano, della ratio fondamentale, che è quella di modificare l'assetto del sistema, anche quello costituzionale, dei principi e della tavola dei valori a vostro piacimento. Ad un certo punto voi parlate di una ipotesi, ma è un'ipotesi estrema, perché la vera idea vostra è quella di essere maggioranza, di approvare tutti i testi di legge popolari che volete e di far sì che il Parlamento dica: l'hanno proposta gli elettori, l'hanno proposta 500 mila elettori, è una legge popolare, come si fa? Non modifichiamo niente, approvate via via tutto quello che avviene, senza limiti di materia e senza limiti di numero di proposte che anche un solo comitato può proporre, perché un comitato può proporre venti proposte. Quindi, 500 mila elettori firmano, fate firmare al banchino, forse introdurrete la firma digitale, e fate in modo che venti proposte siano presentate. Il Parlamento lo ingolfate, ma è quello che volete e potete dire: il nostro programma è così chiaro che i cittadini ci vengono dietro. Questa è la vera finalità che dovreste esprimere in maniera chiara in quest'Aula.
Ma nell'ipotesi che vi fosse un trattamento diverso e un testo diverso, poi non si capisce, vuol dire testo diverso approvato, avete costruito una nuova forma di produzione normativa. Cioè, voi avete un testo che non è adottato, che è approvato, che di fatto è legge, che però è come sospeso al giudizio di ammissibilità e poi al referendum; quindi, un testo diverso rispetto alla legge popolare. A quel punto, in tal caso, il referendum porta l'elettore a esprimersi in due modi: a favore di ambedue le proposte, quella popolare e quella che nasce dal procedimento legislativo ordinario del Parlamento, con il trattamento che può derivare anche da una serie di emendamenti e proposte emendative che modificano. A quel punto, però, è possibile esprimere un'altra preferenza, scegliendo fra le due ipotesi, ma non c'è nessun voto contrario però. Voto contrario no: per la prima volta, un elettore è chiamato a votare ad un referendum la prima ipotesi mondiale e, quindi, non può dire no. Il voto contrario non è ammesso, però cosa può fare? Come diceva prima la collega Ravetto, può benissimo votare una, l'altra, esprimere la preferenza e, poi, creare un meccanismo abbastanza contorto nel quale, sostanzialmente, una minoranza determina la volontà. La volontà generale, quella che era di Rousseau - e la piattaforma Rousseau - la costruite in questo modo: attraverso un meccanismo contorto, cervellotico, ma che dietro di sé ha una finalità: quella comunque di elevare il quorum e consentire che quella proposta passi. E fate in modo che nessuno possa dire di no: dice, va bene, uno sta a casa e non va a votare il referendum. E no, io voglio andare a votare e votare contro. Non mi consentite di votare contro, non c'è il voto contrario. Non c'è: con la formulazione che avete fatto non c'è. Rimettete, poi, ad un'eventuale legge successiva rinforzata in qualche modo la disciplina. No: la legge successiva deve essere costituzionale anche quella; la legge dovrebbe essere costituzionale anche quella, perché modificate l'assetto del sistema.
E vi ricordo, visto che a voi non interessa - penso interessi ormai a pochi ricordarlo - che parliamo di Costituzione, e chi ha fatto questa Costituzione l'ha fatta in un periodo storico ben preciso, l'hanno fatta persone che avevano una capacità di riflessione forse anche sopra la nostra. Ebbene, chi era per il referendum propositivo, e lo era in maniera chiara, come Mortati, che era chiaramente per il referendum propositivo, in sede di lavori della Commissione per la Costituzione, la seconda Sottocommissione, la relazione sul potere legislativo, da sostenitore disse con chiarezza che l'istituto anche del referendum propositivo può essere un congegno di integrazione e d'impulso rispetto all'indirizzo politico e alla produzione legislativa, ma restando ben saldo nelle mani delle Camere il potere legislativo di cui all'articolo 70 e seguenti. Perché questo? Perché il nostro assetto costituzionale, così come è predisposto, e voi questo non volete comprenderlo, non è che è contrario alla democrazia partecipativa: molto semplicemente l'assetto dei rapporti fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta è un principio supremo dell'ordinamento, quindi non è sottoponibile a revisione costituzionale.
Voi non potete farla questa revisione: la potete fare, se la fate, seguendo i criteri con i quali il legislatore costituente, il primo legislatore costituente, ha creato i meccanismi del referendum abrogativo. Anche perché voi inserite in questo procedimento la possibilità che il referendum propositivo abbia un contenuto abrogativo e, quindi, superate le norme sul referendum abrogativo, perché anche questo può essere il risultato della vostra attività.
PRESIDENTE. Concluda.
FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). Un giovane studioso, De Lungo, che mi fa piacere citare, nel ricordare in uno scritto, che è di prossima pubblicazione, sull'educazione alla cittadinanza digitale…un minuto, tanto siamo solo noi qui dentro, non c'è nessuno (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Partito Democratico).
PRESIDENTE. Collega, ha nove secondi. Prego.
FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). Mi faccia finire…
PRESIDENTE. Gliene lascio qualcuno in più, ma questo è il tempo che ha.
FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). E lo so, ma cito un giovane studioso di diritto costituzionale, diamogli questa possibilità, che, forse, capisce più di noi che stiamo qui dentro da soli a parlarci fra amici e non dovrebbe essere così, visto che parliamo della riforma costituzionale. Ci dice che proprio questi sistemi, compresa la cittadinanza digitale, sulla base di un portato storico, della storia del diritto costituzionale, semplicemente, cosa fanno? Attivano élite politiche, economico-sociali interessate tecnicamente, e preparate, a preordinare i flussi di consenso e le opinioni da se stessi impostati, favorendo che cosa? Il costante ricorso alla provocatio ad populum. Sulla base di che cosa? Sulla base di quello che è il contingente, il temporaneo, non il sistema, non la proiezione dell'attività politica, che è quella che dovrebbe essere mantenuta all'interno delle Camere, ma favorendo quello che è il contingente, l'estemporaneo, il quotidiano. Questo è un classico dei referendum propositivi e proprio per questo ci devono essere correttivi sui quorum, sulla rappresentanza, sui rapporti fra rappresentanza diretta e indiretta. Quindi, avete una possibilità: volete diventare legislatori costituenti? Fatelo insieme a tutti noi, ma con dei correttivi che provengono dagli emendamenti che abbiamo presentato. È possibile la democrazia diretta, ma non la democrazia diretta che confligge con il sistema costituzionale attuale; l'assetto attuale che noi abbiamo confligge con la vostra antimateria costituzionale, con quello che voi in questo momento state proponendo. Potete portare al vostro obiettivo della legge popolare e del referendum propositivo: fatelo almeno accogliendo qualche nostro emendamento. Vedo che sorridete, siete tutti contenti e felici, tanto avete la maggioranza, fate finta che siete pronti a dialogare con noi.
Ma siete pronti a dialogare e a discutere? Siete pronti finalmente a comprendere che toccate la materia costituzionale, che non è roba vostra ma è del popolo italiano, che noi rappresentiamo in questo momento e che abbiamo diritto di difendere? Oppure volete semplicemente portarla in fondo perché è un orpello che dovete in qualche modo dimostrare ai vostri elettori anche in campagna elettorale (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente)? Cosa avete in mente? Spiegatelo! Qual è la ratio vera di questo provvedimento? Se siete in buonafede - termine che dice Sisto non va utilizzato, ma io dico buonafede, non Bonafede - e se, come penso e credo, avete anche un Premier che è un giurista - che non avrebbe mai scritto questa porcheria da solo, l'avete scritta voi - è evidente che l'unico modo è quello di trattare, insieme a tutte le altre forze politiche, sulla vostra idea - perché siete maggioranza - sulla vostra proposizione, ma per arrivare a un testo che sia efficace da un punto di vista tecnico, che abbia una ratio esplicitata, che consenta veramente ai cittadini di esprimersi e dia alla volontà popolare di trovare una giusta coniugazione con la democrazia rappresentativa (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Enrico Borghi. Ne ha facoltà.
ENRICO BORGHI (PD). Signora Presidente, onorevoli colleghi, se siamo qui a discutere di questi temi, che arrivano a valle di lunghe discussioni nel corso dei trent'anni che abbiamo alle spalle in ordine al modo di riorganizzare le forme della nostra democrazia, è perché, evidentemente, il modo con il quale noi organizziamo la nostra vita pubblica porta con sé qualche elemento di malattia e perché le innovazioni tecnologiche, le evoluzioni storiche, le trasformazioni sociali ci inducono a interrogarci sull'attualità delle forme delle istituzioni rappresentative. È inutile negarlo: siamo in un momento di crisi, etimologicamente intesa come trasformazione, come cambiamento, come mutazione di pelle. Allora, nei momenti di crisi occorre tornare ai fondamentali ed essere spietatamente sinceri nelle motivazioni per le quali si adducono proposte di riforma. Noi abbiamo notato un velo di ipocrisia nella proposta della maggioranza, che in queste Aule ha voluto indorare la pillola presentandosi come una sorta di strumento finalizzato all'embrassons-nous, mentre, in realtà, alla radice, alla base delle proposte che stanno sul tavolo vi è l'idea di rappresentare e di intendere la democrazia rappresentativa come un ingombro, come uno strumento ormai logoro, da sostituire. Del resto, il proprietario del MoVimento 5 Stelle non ha mai taciuto il fatto che il Parlamento debba essere sostituito dalla rete.
Signor Ministro Fraccaro, lei ha avuto l'ardire di autodefinirsi Ministro della democrazia diretta: beh, le consiglieremmo di maneggiare con cura queste parole, perché finirebbe per diventare il Ministro della democrazia diretta da altri, da persone che sono fuori da questa sede della sovranità o che addirittura sono fuori dai confini della nostra nazione, della nostra Repubblica. Signor Ministro e signori colleghi, la rappresentanza, il concetto di rappresentanza, ha sostanziato la struttura delle democrazie moderne perché l'idea e il concetto della democrazia diretta, intesa come un rapporto immediato tra il pubblico e i singoli soggetti privati, è una utopia e i grandi tentativi utopici - ce lo racconta la storia ed è singolare che dobbiamo ricordare questi aspetti oggi, a cinquant'anni esatti dal sacrificio di Jan Palach in piazza San Venceslao a Praga - che si sono posti il tema di porre la volontà generale come elemento di risoluzione del rapporto tra singolo e pluralità, in realtà, hanno rivelato la loro origine di ideologie autoritarie.
La volontà generale, a cui faceva riferimento anche prima il collega che mi ha preceduto, tanto evocata da Rousseau, pone un tema che la democrazia ha affrontato e ha risolto, che è il tema del limite e degli strumenti della rappresentanza come luogo della sintesi.
Signori colleghi del MoVimento 5 Stelle, voi maneggiate parole impegnative, parole pesanti, a volte parole immense: ci avete presentato qui un decreto e l'avete ribattezzato “decreto dignità”; siete saliti su un balcone e ci avete annunciato l'abolizione per legge della povertà; forse, immaginate che sia imminente un prossimo provvedimento per l'istituzione della felicità, col che, forse, potremmo definitivamente ritenere concluso l'iter storico di un Parlamento di questa natura. Bisogna maneggiarle con cura queste parole, perché la storia ci insegna che, per il troppo amore per il conseguimento della felicità, per l'abbattimento della povertà, gli uomini si sono talmente infervorati che poi hanno ritenuto, alla fine, che ogni fine fosse lecito, quindi sono passati alle vie di fatto e quindi si sono uccisi tra loro. Se, infatti, il fine della volontà generale è lecito, è lecito anche passare alle conseguenze successive.
Le democrazie rappresentative si sono fatte tali e non dirette sostanzialmente per due ordini di motivi, proprio per impedire questa radice autoritaria. Il primo: l'esigenza di contemperare il rapporto tra pubblico e privato, e tra singolare e plurale nel quadro del bene comune; il secondo, di dare spazio a ciò che si aggrega liberamente e autonomamente nella società.
Allora, signori del Governo, qui c'è un punto antropologico che noi dobbiamo sciogliere, perché questa idea che voi volete introdurre parte dal presupposto che noi siamo tutti delle monadi, che attraverso lo strumento della rete, dell'innovazione tecnologica, possiamo concorrere in via individuale alla formazione degli interessi generali e collettivi: non è così! L'articolo 2 della nostra Costituzione, quello che parla dei diritti e dei doveri, ci dice che i nostri diritti esistono in quanto singoli e in quanto appartenenti a delle formazioni sociali. L'esercizio della nostra personalità e l'attuazione del binomio tra i diritti e i doveri non si attua solo individualmente, ma si attua dentro le formazioni sociali, che sono quelle istituzionali (i comuni, le province, le regioni) e quelle sociali (la scuola, il luogo di lavoro, i contesti sociali, le associazioni, i sindacati, i partiti): è così! È attraverso questi strumenti che noi attuiamo l'ultimo comma dell'articolo 2, che impone inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Quindi, la democrazia intesa come governo del popolo non è la somma di tante monadi individuali e abbandonate a se stesse, non è la sintesi di tante solitudini, ma è la rappresentanza e la composizione di spazi di libertà sociali. Quindi si pone il tema di come organizzare questa rappresentanza, perché gli ordinamenti liberali hanno voluto che fosse il Parlamento il luogo dalla composizione di questa rappresentanza, come duplice elemento della limitazione del potere del sovrano (pensate al Bill of Rights) e come luogo di mediazione degli interessi (No taxation without representation). Quindi, il compito è inevitabilmente riferito ai partiti, intesi come li declina l'articolo 49 dalla nostra Costituzione, quelli che voi sostenete essere obsoleti e che debbono essere eliminati da questo tentativo di riforma: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I partiti sono l'espressione del diritto della libertà dei singoli, sono la manifestazione del pluralismo e sono una delle basi dell'ordinamento democratico e, in questa sede, mediante i gruppi, passano dalla parzialità alla composizione dell'interesse generale, effettuano la mediazione tra diverse idee di società e di Stato e interpretano il concetto del bene comune.
È stato evocato prima Costantino Mortati. Costantino Mortati in quest'Aula definì i partiti la società che si fa Stato.
Bene, allora se noi viviamo un momento di crisi, perché è noto quali siano i limiti e i problemi dei partiti, i guasti, i limiti, le problematiche, ma non sta forse qui il problema della nostra vita pubblica? Non sta forse nell'esigenza di applicare finalmente l'articolo 49 della Costituzione e di riprogettare i partiti come luogo del dialogo fra i cittadini, e non come sovrastrutture che si impongono alla società? È questo lo strumento, signori del Governo, per colmare il divario tra lo Stato e il popolo.
E, invece, voi qui fate un errore, preferite una via di fuga. Per non affrontare questo nodo che inevitabilmente farebbe venire a galla molti limiti e molte contraddizioni della vostra natura di partito, pensate di scaricare tutto sulla riprogettazione delle istituzioni, sulla modifica della natura della nostra democrazia: da rappresentativa si vuole diventi diretta senza mediazioni, senza sintesi, senza compromessi, sostanzialmente senza coesione. Con questo strumento si aprono le porte all'idea che minoranze urlanti e organizzate si possano imporre, sostituendo l'interesse generale con i corporativismi.
E non sarà un caso che nella nostra storia patria quando questa logica si è imposta, questa Camera, da Camera dei deputati, è stata definita Camera dei fasci e delle corporazioni. Perché alla fine, alla radice, dentro questo strumento che oggi ci portate all'attenzione, vi è una corrente antica dalla nostra vita patria: la corrente di un antiparlamentarismo che, dai tempi della Destra storica fino ad arrivare al fascismo, ha attraversato le linee della destra conservatrice, reazionaria e autoritaria dal nostro Paese.
Prezzolini, ai tempi della guerra di Libia, definiva il Parlamento un'istituzione transitoria nella storia della nazione: sono le stesse cose che ci raccontano Casaleggio e Grillo nelle loro periodiche allocuzioni. Insomma, per voi la rete deve sostituire il Parlamento.
Noi non siamo di questa opinione, e noi non intendiamo avallare uno strumento che imposti la nostra vita pubblica su queste basi, perché sono basi regressive che fintamente si dicono aperte alla partecipazione, ma che in realtà concentrano in poche mani gli strumenti e le leve del potere.
Vedete, signori del Governo, alle vostre spalle qui vi sono tutta una serie di importanti passaggi della nostra storia patria: vi sono i plebisciti, vi sono i voti dell'Assemblea costituente e vi è l'approvazione della Costituzione della Repubblica. Ebbene, voi ci volete riportare nella prima fase, quella in cui il potere veniva definito da pochi, e poi, una volta che si definivano gli assetti, si chiamava il popolo a ratificare le scelte che erano già state definite. Allora lo si chiamava “plebiscito”, adesso la volete chiamare “democrazia diretta”: in realtà, è un'involuzione del nostro modo con il quale vogliamo stare insieme come comunità nazionale.
Noi non crediamo alla sostituzione di una forma democratica che ci vuole trasformare tutti in monadi, in soggetti atomizzati, che sono soli davanti al mondo, davanti ai mercati, davanti allo strapotere della tecnologia e della finanza, che molto spesso si toccano e si legano fra di loro. Noi siamo invece dell'idea che una democrazia si fonda sulla comunità e non sulla solitudine, e una comunità agisce per rappresentanza e agisce per delega, ed è su questo che dovremmo concentrarci per dare un senso di modernità a questi strumenti. Sarà certamente un'azione molto complessa, ma noi non ci esimeremo da questa battaglia che faremo qui e faremo nel Paese. Sarà una battaglia che consentirà anche di far comprendere che vi è un'opposizione e un'alternativa a questo modo di pensare, e sarà una strada attraverso la quale conosceremo forse la nostra statura: perché, come diceva Emily Dickinson, noi conosceremo la nostra statura solo quando verremo chiamati alla prova, e sotto questo profilo siamo pronti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pierantonio Zanettin. Ne ha facoltà.
PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Presidente, onorevole Ministro Fraccaro, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, Forza Italia è molto preoccupata per questa iniziativa di legge costituzionale: essa tende evidentemente a contrapporre popolo a “palazzo”, a delegittimare il Parlamento e persegue il fine ultimo di indebolire e distruggere la nostra democrazia liberale rappresentativa.
Riconosciamo la coerenza dell'azione politica del MoVimento 5 Stelle. Colleghi, siete entrati in Parlamento con il fine di aprirlo come una scatoletta di tonno, e questo testo di legge ha proprio questo obiettivo: scardinare il ruolo e la centralità del Parlamento, titolare del potere legislativo, per assegnarlo alla pancia del Paese.
Beppe Grillo ipotizza di estrarre a sorte i parlamentari; Casaleggio pensa di sostituire i Parlamenti nazionali con piattaforme informatiche, che interpretano la volontà popolare; i colleghi grillini accettano un rigido vincolo di mandato accompagnato da pesanti penali economiche in caso di dissenso: sono tutti chiari sintomi di questo disegno eversivo.
Con la stessa logica viene portato oggi in quest'Aula un testo di legge di riforma costituzionale che mira ad un disordinato assalto alla dirigenza del potere legislativo, in un'epoca storica che appare, ahimè, dominata dall'approssimazione culturale, dal dilettantismo e dal rifiuto dei saperi e delle esperienze. L'intento astratto è forse pure condivisibile; ma senza le necessarie cautele, che mi pare la maggioranza non abbia la minima intenzione di introdurre, se approvato, questo testo si tradurrà - è fin troppo facile fare previsioni - nel dominio politico delle piattaforme social, delle lobby, delle minoranze militanti ed organizzate, dei gilet gialli di turno.
È vero, la democrazia rappresentativa, i Parlamenti, i partiti sono in crisi in tutto il mondo; tuttavia è noto, parafrasando un celebre statista, che la democrazia è la peggior forma di Governo, eccezion fatta per tutte le altre. Non possiamo, inoltre, dimenticare che questa nostra democrazia liberale ha garantito pace e prosperità al mondo occidentale, tutela dei diritti dei più deboli e delle minoranze; costituisce ancora un faro ed un esempio per tanti popoli, che anche oggi vivono sotto regimi illiberali o sotto le “democrature”.
Il MoVimento 5 Stelle è divenuto la prima forza politica ed è arrivato al Governo del Paese proprio attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa, che ora mira a distruggere. La scorsa legislatura, colleghi del MoVimento 5 Stelle, avete difeso con le unghie e i denti la nostra Costituzione repubblicana, sostenendo che era la più bella del mondo; ora, invece, puntate a demolirla minandone i principi fondamentali.
Questo testo di legge si affianca alla vostra volontà, ad esempio, di ridurre il numero dei parlamentari, così come i loro emolumenti. In astratto sono tutte misure anche condivisibili: a patto che, però, tendano a valorizzare e ad onorare la funzione, nello spirito di considerare che il munus publicum costituisce la più alta forma di carità, secondo una celebre frase di San Paolo VI. Invero, tutto l'impianto di queste vostre iniziative, accompagnate dai deliri social, tende invece a delegittimare la funzione parlamentare, a sminuirne il valore, a svilire il contributo delle coscienze libere e forti.
La critica estrema al parlamentarismo e ai suoi riti ha caratterizzato anche in passato la storia politica del vecchio continente: penso alla Repubblica di Weimar e al nostro primo dopoguerra, con quali esiti credo sia noto a tutti.
Per tali motivi considero questo testo pericoloso per la democrazia del nostro Paese, e non esito a denunciarne oggi il carattere eversivo. Si sostiene, senza averne precisa contezza, che la democrazia diretta è già in vigore in altri Paesi occidentali e ciò non ha determinato particolari effetti negativi. Si cita, a sproposito, ad esempio la Svizzera.
È un'autentica mistificazione: la Svizzera prevede sì il referendum propositivo, ma solo per eventuali riforme di natura costituzionale, sulle quali gli spazi di manovra sono comunque limitati e l'interesse dell'opinione pubblica è ovviamente alto. Tutt'altro, quindi, rispetto a un referendum propositivo, come nel testo oggi all'esame dell'Aula, che si applica pressoché in ogni ambito legislativo. La Svizzera prevede anche il referendum facoltativo che, però, può essere richiesto da 50 mila cittadini elettori su leggi federali già approvate, che è tutt'altro rispetto a quello che stiamo discutendo oggi. Si cita parimenti a sproposito la California, ma in questo caso il quesito referendario per ovvi motivi non può riguardare le questioni federali, le più significative dal punto di vista politico e, comunque, esclude un articolato inemendabile, come nella proposta oggi all'esame dell'Aula, ma un quesito scritto da un'autorità giurisdizionale terza.
Venerdì è stato approvato in Commissione affari costituzionali un emendamento a prima firma dell'onorevole Forciniti che ha cancellato dal testo base i vincoli europei e internazionali e ha conseguentemente stabilito che il referendum propositivo non è ammissibile solo se la proposta non rispetta i principi fondamentali garantiti dalla Costituzione nonché dal diritto europeo e internazionale. Non esito a definire eversiva questa modifica normativa. I principi fondamentali del diritto europeo, infatti, hanno una portata decisamente meno ampia dei vincoli europei e internazionali. Il testo uscito dalla Commissione potrebbe legittimare, ad esempio, una proposta referendaria che reintroduca la lira e determini conseguentemente l'uscita dall'euro. L'adesione dell'Italia all'euro è oggetto di un trattato europeo - vincolo - ma non è certamente un principio fondamentale del diritto europeo, tant'è che alcuni Paesi aderiscono all'Unione europea mantenendo la propria moneta nazionale (la Polonia e la Danimarca, ad esempio). A rigor di logica anche l'adesione alla NATO potrebbe essere messa in discussione. Sarebbe sufficiente che il comitato promotore del referendum proponesse una normativa in contrasto con quella derivante dall'alleanza militare con gli Stati Uniti.
L'onorevole Ceccanti, che è un illustre costituzionalista, in alcune dichiarazioni rese alla stampa ha sostenuto che la Corte costituzionale potrebbe comunque dichiarare inammissibili i referendum su queste materie, invocando i principi dell'articolo 11 della Costituzione. Personalmente non condivido tali sue rassicuranti conclusioni. Invero, l'articolo 11 della Costituzione “consente (…) alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Mi pare quanto meno opinabile che la reintroduzione della lira o l'uscita dalla NATO mettano in discussione pace e giustizia fra le nazioni. Sono scelte politiche del tutto condivisibili e strategiche per il nostro Paese e che io sottoscrivo pienamente ma certamente non ineluttabili. Non si comprende, poi, perché la Corte costituzionale dovrebbe porsi in contrasto con un legislatore costituzionale che ha scelto consapevolmente - e di tale scelta questi lavori parlamentari faranno testo - di eliminare i vincoli sostituendoli, appunto, con i principi fondamentali. E aggiungo che sarebbe comunque irresponsabile sul piano parlamentare scaricare sulla Corte costituzionale il compito di fissare in via giurisprudenziale contorni e limiti della riforma. Questo, invece, è un dovere del legislatore costituzionale e a questo compito siamo chiamati noi oggi.
In realtà, appare evidente che la maggioranza gialloverde sta creando i presupposti per avviare il nostro Paese a una deriva populista e peronista che non può che preoccuparci come liberali e democratici. In Commissione avevo presentato alcuni emendamenti a mia prima firma per sancire, in modo inequivocabile, che il referendum propositivo non potrebbe mai avere per oggetto materie riservate alla competenza esclusiva o concorrente delle regioni. Ovviamente tali emendamenti sono stati respinti. Sostiene la relatrice che il principio sarebbe già presente nel testo al nostro esame, che esclude questi quesiti referendari che contrastano con i principi e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Tuttavia, non condivido tale conclusione. Infatti, basti considerare che la Costituzione si divide in Principi fondamentali - articoli da 1 a 12 -, Parte I, Diritti e doveri dei cittadini - articoli da 13 a 54 - e Parte seconda, Ordinamento della Repubblica, con gli articoli da 55 a 139. Gli articoli 116 e 117, oggetto dei miei emendamenti, non sono ricompresi tra i Principi fondamentali e neppure nella parte della Costituzione che disciplina i diritti.
Il testo votato e uscito dalla Commissione quindi rimane troppo ambiguo e generico e tradisce un impianto a carattere centralistico che appare in contrasto con l'istanza di maggiore autonomia sancita dai referendum del 22 ottobre 2017. Credo, non a caso, che la parola regione non venga mai citata nel testo al nostro esame.
Chi parla è stato eletto nel collegio uninominale di Vicenza. Voglio oggi ricordare, con orgoglio, che nella provincia di Vicenza vi è stata la più alta partecipazione tra tutte le province coinvolte in occasione del referendum del 22 ottobre 2017. Pensate, colleghi, che a quella consultazione, puramente consultiva e in astratto priva di concreti effetti giuridici, a Vicenza hanno partecipato più cittadini che alle recenti elezioni comunali celebrate il 10 giugno scorso e questo dimostra quanto sia sentita e condivisa nei nostri territori la tematica dell'autonomia. Per questo ripresenterò gli emendamenti in Aula che avete bocciato. Le speranze di tanti veneti e lombardi non possono essere dimenticate e tradite in questo passaggio cruciale.
Come Forza Italia da garantisti abbiamo chiesto ancora che dalle materie di possibile referendum vengano esclusi il diritto e la procedura penale. Sono materie molto delicate nelle quali le guarentigie dei cittadini, in un'epoca dominata da un preoccupante giustizialismo giacobino, possono essere calpestate. Questa discussione avviene proprio all'indomani della oscena e scomposta sceneggiata messa in atto dai Ministri dell'interno e della giustizia in occasione del rimpatrio di Cesare Battisti, così lontana nello stile dallo spirito e dagli insegnamenti di Cesare Beccaria.
Proprio in tempi così foschi sul piano culturale gli spiriti liberi devono rimanere vigili affinché i diritti civili di tutti rimangano adeguatamente tutelati. Per questo nei prossimi passaggi d'Aula noi insisteremo in questa nostra richiesta e ripresenteremo i nostri emendamenti. Forza Italia si batterà nelle Aule parlamentari e nel Paese con ogni energia perché i principi dello Stato di diritto e della nostra Costituzione repubblicana, frutto dei sacrifici di tanti, vengano preservati da questa vostra offensiva illiberale (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Anna Macina. Ne ha facoltà.
ANNA MACINA (M5S). Grazie, Presidente. Lo scopo dell'intervento è di condividere alcune riflessioni sul quorum. La presenza di un quorum strutturale o partecipativo per il referendum comporta l'esistenza di una condizione di validità sicché i “sì” e i “no”, pur espressi da coloro che si sono recati alle urne per esprimere la loro posizione, in assenza del raggiungimento del quorum non hanno alcun valore e non possono spiegare alcun effetto. Ecco perché diventa importante l'introduzione del quorum approvativo che, ricordiamo, è il risultato del recepimento di un emendamento dell'opposizione e che, però, lascia il segno dello spirito collaborativo che ha contraddistinto il lavoro da noi svolto in Commissione. Ciò che si è voluto costruire è stato un percorso quanto più condiviso e partecipato nella consapevolezza che, come già ricordato da chi mi ha preceduto in discussione, la Costituzione è di tutti e sulle sue modifiche questa maggioranza è aperta e disponibile tanto all'ascolto quanto all'accoglimento delle proposte. La prova è proprio nel recepimento anche delle riflessioni avute in sede di audizioni dai contributi di alto valore degli auditi in Commissione affari costituzionali. E, allora, qual è il risultato che si raggiunge? Si impediscono tutte le pratiche e le campagne elettorali che hanno e che avrebbero incoraggiato l'astensionismo e per di più si garantisce che le proposte popolari diventino legge nel caso di un ampio consenso tra i cittadini, superando quindi i timori espressi a vario titolo.
Non è una notizia che si apprende solo oggi che il quorum previsto dalla Costituzione abbia mostrato tutti i suoi limiti e abbia prestato il fianco a comportamenti e campagne elettorali tese non ad invogliare la partecipazione alla vita pubblica di questo Paese ma all'astensione, lasciando passare il concetto che si è legittimati a disinteressarsi della cosa pubblica e che il potere in mano agli astensionisti è un'arma più potente della stessa partecipazione al voto. La neutralizzazione della volontà espressa da coloro che non si sono disinteressati, da coloro che alle urne si sono recati, da coloro che hanno scelto di non andare al mare ma di esercitare il diritto di esprimere la propria posizione, ecco con il quorum approvativo si azzerano e si neutralizzano queste logiche e si esilia, ponendolo fuori dal gioco democratico, chi scommette sull'astensionismo. L'introduzione del quorum approvativo innesca un meccanismo che invita alla partecipazione al voto sia di chi è favorevole sia di chi è contrario.
Sottolineo anche che per essere approvata la proposta referendaria deve ottenere più di 12 milioni di voti. E, quindi, come è possibile che una lobby o che dei professionisti della firma, così come sono stati ricordati in quest'Aula, possano influenzare o addirittura comandare?
Riteniamo che sia una paura infondata su cui soffia chi si oppone all'introduzione di uno strumento innovativo che attribuisce ai cittadini uno strumento di democrazia e di dialogo con il Parlamento.
E, ancora, il problema si risolve all'origine con la trasparenza dei finanziamenti e una corretta informazione e ciò vale, in virtù delle nuove norme sulla trasparenza ai partiti e ai movimenti politici appena approvate qualche mese fa, anche per la democrazia rappresentativa e, quindi, è un falso problema.
Tuttavia, è bene ricordare, a titolo meramente esemplificativo, i dati della consultazione referendaria sulle trivelle del 2016 per la quale non si raggiunse il quorum partecipativo di fatto neutralizzando la volontà di coloro che invece avevano espresso la loro volontà, avevano espresso la loro posizione sui quesiti referendari.
Questo è un grande e innovativo risultato perché si potenziano gli strumenti di democrazia diretta che - è bene ricordarlo e sottolinearlo - vengono armonicamente integrati nel sistema della democrazia rappresentativa. Si offrono ai cittadini nuove opportunità di partecipazione politica e al Parlamento si offre la ricchezza di nuovi strumenti di dialogo con i cittadini nel dichiarato intento di porre rimedio anche allo scollamento fra politica e cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, la Presidenza concederà, in via straordinaria, ai colleghi Stumpo e Fatuzzo di intervenire per un tempo di cinque minuti.
È iscritto a parlare il collega Stumpo. Ne ha facoltà.
NICOLA STUMPO (LEU). Grazie, Presidente. Grazie anche per avermi concesso di intervenire, nonostante ci sia stato un ritardo nel presentarmi prima. Cercherò, nei cinque minuti, di illustrare alcuni temi di criticità che rinvengo in quello che finora è stato un lavoro svolto in Commissione che ha visto una discussione, per quello che ho letto, che ha impegnato diversi costituzionalisti in un accordo in cui si è cercato di intervenire su un punto mirato, non in modo complessivo.
Però, lasciatemi dire che, almeno dal mio punto di vista, non ho apprezzato il fatto che, su due punti della Costituzione, di cui si sta discutendo, lo si stia facendo nei due rami in modo separato, proprio perché questi due temi, che apparentemente possono sembrare slegati tra di loro, in realtà non lo sono per questioni che poi potremmo trovare nel merito. Infatti, alcuni dei punti che poi sottolineerò nel mio breve intervento non sono secondari: il numero dei parlamentari per la funzione che avranno nell'elezione del Presidente della Repubblica e il ruolo del Presidente della Repubblica per tutto quello che comporta gli equilibri tra pesi e contrappesi dello Stato.
Non si può dire, quindi, di tenere slegate questioni che sono parte della nostra Costituzione e che dovrebbero, a mio modo di vedere, stare dentro un'unica discussione perché la vicenda che riguarda il numero dei parlamentari - ne parleremo più approfonditamente quando tornerà da questa parte, purtroppo non avremmo potuto farlo oggi - non è slegata da questa vicenda.
Noi stiamo chiedendo con forza che uno dei punti su cui vi chiediamo di ragionare sia il ruolo della Corte costituzionale in modo attivo in merito alle vicende in questione, alla possibilità di presentazione delle leggi di iniziativa popolare, di iniziative di democrazia diretta. Il ruolo del Presidente della Repubblica in materia non è secondario, ma di questo dirò.
Tuttavia ora, entrando di più nel merito delle questioni, tendo a fare un ragionamento che non può essere superato soltanto con le buone intenzioni. Abbiamo tre articoli della Costituzione, partendo dall'articolo 71 che può essere modificato; l'articolo 75 che, invece, garantisce in merito alle proposte referendarie abrogative e l'articolo 81 che tiene dentro tutto il complesso dell'operazione. Ma nel momento in cui noi, modificando l'articolo 81, diamo vita a una giurisprudenza attiva, quindi non più abrogativa, siamo sicuri che tutto ciò che è vietato nell'articolo 81 è immediatamente vietato per le proposte di iniziativa popolare? Domani mattina chiunque di noi può presentare un disegno di legge che entra in quelle materie perché è normale. I parlamentari, infatti, vengono eletti per fare questo mestiere; ma se noi attribuiamo ai cittadini attraverso un comitato, attraverso una raccolta di firme, la possibilità di fare proposte attive, non stiamo quindi più nell'alveo di proposte che tolgono pezzi di legislazione ma immettono pezzi di legislazione, allora il conflitto tra tre articoli non secondari della nostra Costituzione è evidente.
Dunque, forse, bisogna lavorare insieme per trovare un punto d'equilibrio più avanzato che impedisca di creare una contrapposizione tra articoli della Costituzione e tra poteri dello Stato.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
NICOLA STUMPO (LEU). Mi avvio a concludere. Allo stesso modo, ritengo che sia indispensabile fare un ragionamento serio sul numero delle proposte perché non possiamo pensare di ingolfare il Parlamento e lo dico con rispetto verso i cittadini che ci eleggono, ma c'è bisogno di non sovrapporre troppo il lavoro che arriva…
PRESIDENTE. La prego di concludere.
NICOLA STUMPO (LEU). Concludo davvero. Infine, vi è un'altra questione: purtroppo, cinque minuti sono davvero poco per dire tutto quello che uno avrebbe voluto dire, ma porto un esempio. Se quattro comitati dovessero scrivere quattro testi di legge su quattro argomenti simili, chi fa il coordinamento dei testi, e poi facciamo quattro referendum? E quale di essi è legge, quale abroga quella successiva? Il referendum successivo? Insomma, ci sono ancora delle questioni. Infine, lo dico perché…
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.
NICOLA STUMPO (LEU). Ho chiuso davvero, Presidente, grazie. Il 4 dicembre c'è stato un referendum in cui gli italiani hanno chiesto di prestare attenzione alla nostra Costituzione, di non mettere mano ad essa troppo facilmente. Per tale ragione, penso che forse bisognerebbe avere una collegialità e che, qualsiasi sia la proposta che si faccia, tenga conto, questo sì, del rispetto che gli italiani hanno chiesto nel tutelare la nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fatuzzo. Ne ha facoltà. Anche lei, collega, ha cinque minuti.
CARLO FATUZZO (FI). La ringrazio, Presidente, anche per avermi dato la parola. In questo momento stanno parlando due Fatuzzo: un Fatuzzo favorevole al referendum propositivo e un Fatuzzo contrario, nel contempo, al referendum costitutivo.
Cercherò - non è facile - di spiegare la differenza. Intanto, mi viene in mente il titolo di un articolo del Corriere della Sera del 1978, ben quarant'anni fa, il cui titolo era appunto “Il ragionier referendum colpisce ancora”: il ragionier referendum ero io, Carlo Fatuzzo, unico che è riuscito a presentare dieci referendum abrogativi di dieci leggi regionali della regione Lombardia, uno dei quali venne poi celebrato.
Questo per dire che so di che cosa stiamo parlando; so cosa significa raccogliere le firme. Detto tra parentesi, come vennero celebrati questi referendum, immediatamente la regione Lombardia moltiplicò da 20.000 a 160.000 il minimo delle firme perché scrissero: se un Fatuzzo qualunque riesce a presentare dieci referendum, è meglio che provvediamo immediatamente.
Ma debbo dire che c'è qui un convitato di pietra, cioè l'assenteismo che da tantissimi anni verifichiamo nei referendum nazionali. Sono sempre meno coloro che vanno a votare nei referendum e, soprattutto, dimentichiamo qualcosa di scaramantico: negli ultimi tempi chi ha promosso dei referendum, alla fine, se l'è vista brutta non solo in Italia ma anche in altri Stati, non ultima la Gran Bretagna.
Quindi direi e consiglierei agli amici Cinquestelle di riflettere su questa iniziativa e vi dico subito che una lobby per presentare proposte referendarie di legge, la costituirò io immediatamente, non appena verrà firmata dal Presidente della Repubblica questa legge definitivamente, perché i pensionati non vedono l'ora di poter presentare proposte che poi vengano sicuramente discusse relativamente, ad esempio, al cumulo dei redditi fra coniugi, relativamente alla indennità di accompagnamento estremamente bassa rispetto al necessario, relativamente al grado della percentuale di reversibilità, perché il 60 per cento è ritenuto insufficiente, e via discorrendo. Quello che credo è che il MoVimento 5 Stelle stia facendo autogol, vale a dire che il referendum viene utilizzato da sempre in tutti gli Stati dalle minoranze, da chi non è in Parlamento, mai da una maggioranza. Ma se una maggioranza, questa maggioranza, vuole approvare una legge, l'approva, ha i voti per approvarla.
A che pro un referendum? A meno che ci siano dei contrasti, e noi sappiamo che tra 5 Stelle e Lega non c'è nessun contrasto, quindi non gli verrà mai in mente di sollevare il popolo per celebrare un referendum. E, allora, perché questa proposta, perché questo referendum? Per un amore verso i cittadini, verso i pensionati? Per una simpatia verso di me, che sarei favorevole di principio e sono di principio favorevole? Non credo. Credo che, senza volerlo, coloro che voteranno a favore di questa proposta lo facciano pensando quello che molti hanno detto, cioè che in quattro e quattr'otto si raccolgono 500 mila firme, come se niente fosse. Non lo hanno mai fatto, evidentemente, non ci hanno mai provato; è sempre più difficile, la stessa Lega ha raccolto le 500 mila firme a fatica per abrogare la legge Fornero, per poche centinaia di firme è riuscita e, tra l'altro, poi si è trovata nella difficoltà della interpretazione della Corte Costituzionale e non ha celebrato nulla. Quindi, vuol dire che c'è, a mio parere, un'ingenuità, una non conoscenza dei fatti, perché ritengo che questo istituto, che dovesse essere approvato, non farà che nuocere ai componenti dell'attuale maggioranza. Decidete voi, quindi, se io sia favorevole o contrario, e comunque sempre viva i pensionati, pensionati all'attacco!
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 1173-A)
PRESIDENTE. Avverto che i relatori di minoranza hanno esaurito il tempo a disposizione. Il relatore Ceccanti voleva intervenire per un breve ringraziamento? Prego.
STEFANO CECCANTI (PD), Relatore di minoranza. Volevo ringraziare il Servizio studi, che ha aggiornato alla data di oggi il dossier, che è disponibile anche qui in Aula, soprattutto perché a pagina 26 ha riprodotto la scheda svizzera, in cui fa vedere chiaramente che alla terza domanda tutti gli elettori possono votare.
PRESIDENTE. Ovviamente, la Presidenza si associa ai ringraziamenti. Ha facoltà di replicare la relatrice per la maggioranza, deputata Fabiana Dadone. Prego.
FABIANA DADONE (M5S). Relatrice per la maggioranza. Grazie, Presidente. Molto brevemente, vorrei unirmi ai ringraziamenti, in realtà, ai deputati che hanno partecipato a questo dibattito. È stato, come in Commissione, un dibattito ricco e approfondito, sotto alcuni aspetti molto costruttivo e, soprattutto, che ha fornito nuovi spunti di riflessione, e, seppure nella normale dinamica politica ci siano state delle critiche, alcuni, la maggior parte dei deputati hanno mantenuto un atteggiamento di collaborazione e di spunti propositivi nei confronti della maggioranza. Accetto tutti gli inviti a riflettere che mi sono giunti. Spero che negli emendamenti troverò le risposte a quelle che sono le problematiche ancora da sciogliere e che domani riusciremo a fornire delle soluzioni. Grazie ancora.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 1173-A)
PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Sisto ed altri n. 1 e la questione pregiudiziale di merito Migliore ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A), che saranno esaminate e poste in votazione nella seduta di domani, prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.
Interventi di fine seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fatuzzo. Ne ha facoltà.
CARLO FATUZZO (FI). Sono già passati dieci secondi, la prego di graziameli, Presidente, se necessario, ma mi ha telefonato, nell'orario tra le 14 e le 15 di oggi, che ero in una televisione privata di Roma, una telespettatrice, tale Rosi, telefonava da Milano, la quale mi ha chiesto: ma lei che adesso è in Parlamento, discute le leggi, finalmente l'ho rivista in televisione dopo nove mesi che non è venuto, perché era sempre a Roma, riesce a dirmi se con il reddito di cittadinanza o con qualcos'altro che state discutendo io possa risolvere il mio problema? Il mio problema, come lei sa, onorevole Fatuzzo - ha continuato - è che ho 57 anni di età, sono disoccupata, non ho alcun reddito, sono separata, vivo in casa in affitto, può essere che io riesca ad avere questi 780 euro al mese? Non so, le ho risposto, discuteremo la settimana prossima. Mi auguro, spero di poterle dare una risposta favorevole. Non ho problema a dire ai 5 Stelle “bravi che avete presentato questa proposta”, se ci sarà qualcuno che ne trarrà un beneficio, ci mancherebbe ancora. Solo che ho dovuto dire fino adesso che non so come andrà a finire, ma, comunque, sempre viva i pensionati, pensionati, all'attacco!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zan. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO ZAN (PD). Grazie, Presidente. Ho predisposto un'interrogazione al Ministro degli Affari esteri sui fatti che stanno accadendo in questi giorni in Cecenia contro le persone LGBT: notizie confermate da Novaja Gazeta, unico quotidiano indipendente russo, parlano almeno di due persone assassinate e di decine di arresti. Stiamo assistendo a persecuzioni contro donne e uomini ritenuti omosessuali, arrestati e deportati in un campo di prigionia nella città di Argun e qui torturati fino alla morte. Nelle scorse ore il Ministro Tria era in Russia per incontrare il Primo Ministro Medvedev e il Governo non ha alzato un dito, non ha aperto bocca per chiedere chiarimenti e spiegazioni su una gravissima violazione della Convenzione europea dei diritti umani, che, peraltro, sia la Russia che la Cecenia hanno sottoscritto. Voglio sperare, Presidente, che il rispetto dei diritti umani, e nel caso specifico dei diritti LGBT, non sia considerata dal MoVimento 5 Stelle e dalla Lega una questione troppo scomoda da porre a Putin…
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
ALESSANDRO ZAN (PD). …per il quale non sono mai mancati apprezzamenti bipartisan o, peggio, che la questione sia considerata dal Governo e dai partiti di maggioranza di scarsa importanza, di serie B. Il Governo italiano deve intervenire nelle opportune sedi internazionali per il ripristino della tutela dei diritti umani. Un silenzio su queste violenze deve essere considerato come complicità verso il dittatore ceceno fondamentalista Kadyrov, che ha imposto la sharia e ha negato l'esistenza stessa delle persone omosessuali in Cecenia, con il pieno appoggio di Putin.
PRESIDENTE. Collega, deve concludere.
ALESSANDRO ZAN (PD). Il Ministro Salvini, e concludo, e penso che interessi anche a lei, Presidente, questo tema, ripete come un disco rotto che chi fugge da guerre e persecuzioni in Italia è il benvenuto. È la buona volta di mantenere le promesse: intervenite, applicate la Costituzione e salvate le persone, altrimenti sarete complici di questa tragedia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Siani. Ne ha facoltà.
PAOLO SIANI (PD). Grazie, Presidente. Devo ancora una volta denunciare l'ennesimo episodio spiacevole accaduto a Napoli, dopo gli otto episodi avvenuti ad Afragola, del racket contro commercianti napoletani. Devo denunciare l'ennesimo episodio contro Gino Sorbillo, pizzeria storica napoletana. Noi siamo certi che le forze dell'ordine prenderanno questi delinquenti e siamo certi che Gino Sorbillo continuerà a fare la sua ottima pizza, ma vorremmo adesso fare di più. Vorremmo chiedere che il Ministro del Lavoro, il Ministro della cultura, il Ministro della scuola vengano al Sud per fare un vero Piano Marshall per l'infanzia a Napoli, perché soltanto se noi investiamo sul futuro dei bambini di Napoli, sui giovani di Napoli dando loro un lavoro, potremo battere finalmente questo racket.
Per questo credo che sia un'emergenza vera e che questo sia l'unico modo, oltre alla repressione che avverrà certamente, per dare una speranza a Napoli e ai giovani napoletani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Conny Giordano. Ne ha facoltà.
CONNY GIORDANO (M5S). La bomba esplosa ieri notte contro la storica pizzeria Sorbillo ha scosso finalmente l'opinione pubblica. Dico “finalmente”, perché prima di questo ordigno ve n'erano stati altri presso altri esercenti, probabilmente meno famosi, probabilmente meno importanti o perché fatti esplodere in periferia, in quelle periferie che in questi anni sono state abbandonate a loro stesse. Basti pensare che, in meno di un mese, ad Afragola, ve ne sono stati ben otto, otto ordigni che, come giustamente hanno sottolineato prima di me i colleghi Iolanda Di Stasio e Vincenzo Spadafora, non possono lasciarci indifferenti.
Il Ministro dell'interno ha da poco annunciato che sarà proprio in quei luoghi, una notizia da cogliere positivamente, perché proprio questi territori, quelli in cui sono nata e cresciuta, hanno estremo bisogno di sentire la presenza dello Stato. Infatti, si tratta di territori dove, non possiamo nasconderlo, l'anti-Stato è riuscito troppo spesso ad intrufolarsi all'interno della macchina burocratica, non certo a suon di bombe, ma attraverso i colletti bianchi. Basti considerare che, dal 1991, in Campania, i consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa sono stati circa un centinaio, numeri che danno l'idea di quanto il fenomeno malavitoso sia radicato all'interno della società.
Abbiamo, quindi, la responsabilità di far sentire forte la presenza dello Stato, perché non basta gridare che la mafia e la camorra sono una montagna di merda, così come non sono bastate le passerelle dei Governi precedenti. Stavolta, infatti, la presenza dello Stato dovrà di certo esplicarsi in maggiori uomini e mezzi per contrastare l'illegalità, ma non potrà prescindere dalla creazione di una nuova visione di città e di società; una società che non emargini gli ultimi, in modo che questi non costituiscano terreno fertile per la malavita, ma soprattutto una società che sia capace di creare opportunità culturali, sociali ed economiche diverse, in grado di valorizzare la parte positiva del territorio, composta da tutti coloro che non hanno avuto paura di denunciare e che quotidianamente lottano contro l'illegalità, piccola o grande (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Angela Raffa. Ne ha facoltà.
ANGELA RAFFA (M5S). Presidente, colleghi, ieri alle quattro del mattino, sull'autostrada 18, Messina-Catania, in direzione Messina all'altezza di Scaletta Zanclea, in un grave incidente, sono morte tre persone e altre quattro sono rimaste ferite.
Tra le vittime c'è anche un agente della Polstrada; si trovava sul posto per fare i rilevamenti per un incidente che era appena avvenuto tra un tir e un'auto, tir che, dopo aver perso il controllo a causa del manto stradale viscido per la mancanza di asfalto drenante, occupava entrambe le carreggiate. L'agente è stato travolto, finendo oltre il guard-rail, da un ulteriore tir che ha causato un tamponamento a catena con altri quattro camion, un'auto e una moto. Anche questo secondo incidente sembrerebbe sia stato causato da una pessima condizione della pavimentazione stradale che, come è chiaro, non rende assolutamente sicura l'autostrada per la circolazione dei cittadini. Bisogna immediatamente prendere provvedimenti.
L'agente si chiamava Angelo Spadaro, aveva 55 anni, era di Santa Teresa di Riva, ed è morto in servizio. Il collega che si trovava insieme a lui è rimasto gravemente ferito.
Angelo Spadaro era benvoluto e viene ricordato oggi per il suo animo gentile e generoso. È una grave perdita per tutta la comunità di Santa Teresa, oltre che per le forze dell'ordine tutte. Gli altri due morti sono una signora rimasta incastrata nelle lamiere della sua auto e un camionista sbalzato fuori dal suo mezzo dopo la collisione. I quattro feriti, fortunatamente, sono fuori pericolo.
Dopo l'ennesimo incidente su questa autostrada, io da cittadina che giornalmente la percorre e per tutti i cittadini che come me la percorrono, voglio sicurezza. Il tratto in questione è in concessione al Consorzio autostrade siciliane, messo in mora dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per le gravi criticità riscontrate.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
ANGELA RAFFA (M5S). Come abbiamo scritto nel “decreto Genova” dobbiamo iniziare a prevenire e, quindi, agire prima che accadano queste tragedie. La Sicilia non può più aspettare; pretendiamo che si prendano immediati provvedimenti, affinché le autostrade siano sicure. Queste rappresentano i principali collegamenti dell'isola, sia per il trasporto commerciale che passeggero e turistico. Ci aspettiamo tutti che, dopo questa tragedia, che non doveva assolutamente accadere, si prendano decisioni che vengono rimandate e che i cittadini aspettano da troppo tempo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Luca Rizzo Nervo. Ne ha facoltà.
LUCA RIZZO NERVO (PD). Grazie, Presidente. Intervengo per parlare ancora di Industria Italiana Autobus, impresa storica, partecipata dallo Stato, che ha assunto l'eredità di due storiche aziende come BredaMenarini e Irisbus e che vive da tempo una situazione di difficoltà.
Due settimane fa ho portato all'attenzione dell'Aula la straordinaria ipocrisia che si è consumata con la vendita del pacchetto azionario di questa impresa in mani turche, dopo mesi in cui il Governo ha riempito le pagine dei giornali di annunci di un'imminente nazionalizzazione della stessa. Abbiamo presentato interrogazioni per capire ciò che nessuno, lavoratori, sindacati e Parlamento, riesce a capire e, cioè, quali siano le reali intenzioni del Governo e se considera questa impresa un'impresa strategica oppure no.
Oggi, a queste domande inevase si aggiunge un'altra seria preoccupazione. Nei giorni scorsi, infatti, sarebbero dovuti arrivare sui conti dei 150 lavoratori bolognesi dello stabilimento ex BredaMenarini, i soldi dell'ultima busta paga, dopo quelli arrivati a metà dicembre. Non risulta invece arrivato alcunché, né vi è alcun tipo di rassicurazione giunta ai lavoratori e alle rappresentanze sindacali.
Si tratta di una situazione che perpetua le fatiche di questi ultimi mesi, che si aggiunge al nulla di fatto prodotto dall'incontro al Ministero del lavoro della scorsa settimana per definire l'attivazione della cassa integrazione per l'altro stabilimento di Flumeri.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
LUCA RIZZO NERVO (PD). Concludo. Insomma, c'è bisogno che il Governo, il Vicepresidente Di Maio, dopo mesi di “annuncite” e di balbettii, prenda in mano la situazione con un'idea, un'iniziativa, quando non, non sia mai, un piano industriale. Il tempo è scaduto, il tempo è ora; non si possono esporre ancora, per ignavia, quei lavoratori e le loro famiglie ad ulteriori incertezze e alle fatiche che già da troppo tempo affrontano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Filippo Sensi. Ne ha facoltà.
FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Come è dolorosamente noto, dal mese di novembre a oggi a Roma, sono morte dieci persone, una ogni tre giorni, nel 2019. Persone - che, poi, per capirci, chiamiamo clochard, senza tetto, persone, dico io e insisto - morte per il freddo, coinvolte in roghi o in incidenti stradali.
Davide, Stanislao, Nereo, Nicolae i nomi di alcuni di loro. Persone lasciate sole, troppo sole, in una città che talvolta, spesso, sembra avere perso il senso di sé e degli altri. Le associazioni di volontariato parlano di carneficina, di mancanza di ripari e assistenza.
Leggo che il Campidoglio, come al solito, duole dirlo, tardivamente, starebbe pensando a una sorta di obbligo di accoglienza notturna.
Confesso, Presidente, che, fatta da chi amministra nel modo che abbiamo tutti davanti agli occhi questa città, una simile soluzione mi fa quasi paura, non mi rassicura affatto; ma non sono a caccia di responsabili, piuttosto di responsabilità, da parte di tutti, ricordando a chi guida questa città che i poveri non sono un fardello o un bottino da spartire (ogni riferimento al penoso caso delle monetine della Fontana di Trevi è tutt'altro che casuale), e a tutti noi, ognuno con la propria sensibilità e responsabilità, appunto, che di solitudine, di freddo e di invisibilità si muore e si continua a morire a Roma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Raffaele Trano. Ne ha facoltà.
RAFFAELE TRANO (M5S). Presidente, le coste basse e sabbiose in Italia, da molti decenni sono soggette a elevati fenomeni di erosione. Storicamente gli interventi di difesa sono stati basati sulla costruzione di opere rigide, quali scogliere, pennelli, difese radenti, che hanno risolto il problema nella zona di intervento, ma causato una generale accelerazione dei processi di erosione lungo i tratti litorali limitrofi. Il conseguente moltiplicarsi di tali opere mirate a porre riparo ai danni creati dai precedenti interventi ha prodotto una deleteria destabilizzazione delle coste e, conseguentemente, una forte vulnerabilità delle stesse.
Alcune regioni, nonostante abbiano contribuito all'elaborazione delle linee guida nazionali per la difesa della costa dai fenomeni di erosione, secondo le quali sono da escludere opere rigide e aggettanti in mare, continuano invece ad autorizzare tali erronei interventi. Si spendono sciaguratamente denari pubblici per opere che producono danni molto superiori ai benefici.
Il noto geologo Mario Tozzi, in un'intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo, ha fatto rilevare che la principale causa dei dissesti sulla costa romana è dovuta alla costruzione del nuovo porto turistico di Fiumicino e alla realizzazione di difese delle spiagge con opere assolutamente improprie, quale scogliere e pennelli rocciosi ed ha consigliato il blocco di qualsiasi opera portuale e di difesa rigida sull'intera costa laziale.
Già nel 2008, il Protocollo di Madrid, approvato dagli Stati membri della Convenzione di Barcellona, si è posto come obiettivo la preservazione delle zone costiere a vantaggio delle generazioni presenti e future, assicurando la conservazione dell'integrità degli ecosistemi, dei paesaggi e della geomorfologia del litorale, obiettivo da raggiungere mediante l'esecuzione di valutazioni preliminari dei rischi, associati alle varie attività umane e infrastrutture, in modo da prevenirne e ridurne gli impatti negativi sulle zone costiere.
Tornando all'Italia, troppi progetti non sono stati corredati da valutazioni di incidenza su area di vaste opere aggettanti in mare.
Talvolta si è proceduto furbescamente per evitare di mettere in rilievo la presenza in un'area di studio di adeguata ampiezza di aree protette e (sic) suscettibili di subire dissesti. La terra su cui viviamo non l'abbiamo ereditata dei nostri padri, l'abbiamo presa in prestito dai nostri figli: per questo credo che sia giunto il momento di osare, consapevoli che senza interventi sostenibili non ci sarà futuro per l'ecosistema marino né per gli arenili (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Sospendo, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 17,50.
La seduta, sospesa alle 17,40, è ripresa alle 17,50.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Giovedì 17 gennaio 2019 - Ore 9,30:
1. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità e della questione pregiudiziale di merito presentate):
D'UVA ed altri: Modifiche all'articolo 71 della Costituzione, in materia di iniziativa legislativa popolare, e alla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1.
(C. 1173-A)
e delle abbinate proposte di legge costituzionale: CECCANTI ed altri; CECCANTI ed altri; MAGI. (C. 726-727-1447)
Relatori: DADONE, per la maggioranza; CECCANTI, SISTO e SPERANZA, di minoranza.
La seduta termina alle 17,52.