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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 9 settembre 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   L'VIII Commissione,

   premesso che:

    per diversi decenni la gestione dei rifiuti a Roma si è sorretta sulla discarica di Malagrotta, situata nell'area di Valle Galeria, dove veniva smaltita la quasi totalità dei rifiuti prodotti nella Capitale. Tali rifiuti erano, per di più, allocati in discarica senza trattamento preventivo, ossia come «tal quale», soprattutto per motivi economici in quanto le tariffe di ingresso erano molto basse. Tale modus operandi, purtroppo, ha fatto sì che la questione ambientale e il rispetto delle leggi fossero considerati aspetti marginali;

    la citata discarica, di proprietà dell'imprenditore Manlio Cerroni e gestita dalla società E. Giovi S.r.l., fu attivata nel 1974. Autorizzata allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei fanghi provenienti dagli impianti di depurazione dei liquami urbani, è stata in attività per quasi quarant'anni fino al 1° ottobre 2013, data nella quale sono state interrotte le attività di conferimento dei rifiuti in discarica ma non il trattamento di buona parte dei rifiuti indifferenziati di Roma, Città del Vaticano e Fiumicino;

    all'interno delle aree della citata proprietà E. Giovi, oltre alla discarica, sussistono, pertanto, altre attività collegate al ciclo dei rifiuti, ovvero: due impianti di trattamento meccanico biologico (TMB) dei rifiuti denominati Malagrotta 1 e Malagrotta 2, gestiti dal consorzio Co.La.Ri, e un gassificatore sperimentale per combustibile derivato dai rifiuti (CDR), gestito dal Consorzio Laziale Rifiuti (Co.La.Ri), che non ha mai funzionato correttamente;

    considerata una delle più grandi d'Europa, la discarica di Malagrotta, se pur dismessa, continua a inquinare le falde superficiali e profonde, così come dichiarato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 533 del 4 febbraio 2015, evidenziando come le procedure di messa in sicurezza non sono ancora attive. Priva di sigillatura (capping), di sistemi di contenimento efficaci (corona di pozzi di emungimento per eliminare le dispersioni fisiologiche di percolato attraverso il polder) e di un impianto di recupero e trattamento del percolato, è attualmente una discarica che provoca dispersione sia in falda sia in superficie;

    i professori esperti del dipartimento di ingegneria dell'ambiente, del territorio e delle infrastrutture (Diati) del Politecnico di Torino, Rajandrea Sethi e Maria Chiara Zanetti, incaricati, insieme al professor Giuseppe Genon, deceduto qualche anno fa, di una perizia sulla discarica in questione dal Consiglio di Stato, hanno evidenziato la dispersione di inquinanti in falda, già oggetto di segnalazioni ed esposti di abitanti e comitati locali da diversi anni, con contaminazione delle falde sotterranee. In particolare l'assenza del capping permette alla pioggia di infiltrarsi nella discarica e produrre percolato, con il rischio di tracimazione oltre la barriera di protezione;

    i due esperti, inoltre, hanno stimato un flusso di 9.738 metri cubi di percolato che si disperde in falda ogni anno. La professoressa Zanetti, audita nel novembre 2015 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, ha dichiarato che «la discarica di Malagrotta, ai sensi del decreto n. 152 del 2006, inquina» e che «c'è interferenza tra la discarica e la falda». Dunque, vi è un elevato dislivello tra la quantità dell'acqua all'interno della discarica e quella del sottosuolo che preme sulla barriera e permette al percolato di oltrepassarla e disperdersi;

    secondo quanto emerge dalle analisi dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Lazio (Arpa Lazio), la discarica di Malagrotta ha costituito e costituisce tuttora la causa principale dei fenomeni di inquinamento delle acque e dei terreni circostanti;

    dal 2008 ad oggi, a seguito degli esposti attivati dai cittadini residenti per lo sversamento di percolato nelle canalette di via degli Oleodotti proveniente dalla discarica di Malagrotta, oltre che per l'esito delle indagini del Politecnico di Torino, la procura di Roma ha attivato un procedimento giudiziario per disastro ambientale. La Commissione petizioni europea, a seguito della chiusura della procedura di infrazione per lo sversamento di rifiuto non trattato presso la discarica di Malagrotta, ha attivato una procedura di investigazione sulla «post gestione» dell'ex discarica;

    l'indagine Ispra (ottobre 2010), commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di accertare i livelli di inquinamento nell'atmosfera e nella falda acquifera nell'area Valle Galeria-Malagrotta, ha constatato, infatti, che «[...] il quadro qualitativo delle acque sotterranee nell'area di Malagrotta risulta fortemente compromesso e i dati analizzati mostrano una contaminazione diffusa su tutta l'area causa delle attività industriali [...]»;

    le indagini epidemiologiche effettuate dall'Asl Rm E di Roma e dall'Arpa delineano, inoltre, un quadro piuttosto allarmante, caratterizzato da valori di inquinamento oltre i limiti di legge. Lo studio epidemiologico del rapporto «Epidemiologia, rifiuti, ambiente, salute nel Lazio», considerando i risultati del progetto ERASLazio, effettuato sui residenti entro 7 chilometri dalla discarica di Malagrotta nel periodo 1996-2010, ha rilevato, infatti, un aumento di tumore della laringe e della mammella nelle zone più prossime. È stato, altresì, accertato che rispetto a coloro che abitano lontano dagli impianti dell'area, i residenti più prossimi ricorrono più frequentemente alle cure ospedaliere, in particolare per malattie circolatorie, urinarie e dell'apparato digerente;

    la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, nella «Relazione sul ciclo illecito dei rifiuti di Roma Capitale e fenomeni illeciti nel territorio del Lazio», approvata nella seduta del 20 dicembre 2017, ha ritenuto di dover individuare, a seguito di vari sopralluoghi, il «sito di Valle Galeria» quale zona caratterizzata da fenomeni di grave impatto ambientale, anche ulteriori alla discarica e, dunque, oggetto di un indispensabile progressivo intervento di recupero. La succitata relazione ha confermato, altresì, l'esigenza di un approccio unitario al «sito di Valle Galeria», nel quale l'esistenza di un'ampia realtà di impianti non solo industriali ma anche per il trattamento dei rifiuti è passibile di produrre un «effetto domino», sotto il profilo sia dell'impatto ambientale, sia della sicurezza rispetto al rischio d'incidente rilevante;

    nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbraio 2014 il Rio Galeria esondò proprio all'altezza di Malagrotta coinvolgendo la Raffineria di Roma e lo stabilimento Ama di Ponte Malnome. L'acqua trascinò prodotti petroliferi e rifiuti ospedalieri nelle campagne e nel torrente. Successivamente, furono attivate le necessarie bonifiche dei terreni, ma sta pervenendo ad Arpa Lazio evidenza di inquinamento da idrocarburi nelle falde, come nello stabilimento Ama di Ponte Malnome;

    l'Arpa Lazio, su richiesta della suindicata Commissione, ha redatto una relazione circa le attuali criticità, che ha confermato l'importanza della questione dell'inquinamento ambientale, nonché la configurabilità effettiva di un «sito della Valle Galeria», comprendente impianti oggetto di necessario controllo in ordine alla gestione dei rifiuti, alla bonifica di siti contaminati, alle emissioni in atmosfera e al rischio di incidente rilevante, tutti, peraltro, concentrati in un unico territorio;

    l'area di Valle Galeria, confinante con la discarica di Malagrotta e con i centri abitati di Massimina-Casal Lumbroso, Fontignani, Ponte Malnome, Castel Malnome, Pantano di Grano, Ponte Galeria, comprende, inoltre, numerosi edifici, nonché varie attività agricole e allevamento lungo via di Malagrotta e via di Ponte Galeria; questo permette agli inquinanti di entrare con facilità nella catena alimentare;

    l'intero quadrante della Valle Galeria è caratterizzato da un elevato livello di rischio ambientale e sanitario, tale da far rientrare l'intera zona di Valle Galeria tra le 18 aree italiane ad alto rischio di incidente rilevante ai sensi del decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105 (la cosiddetta legge Seveso III). Tale aspetto è, purtroppo, fortemente aggravato dalla presenza, oltre al sito di gestione dei rifiuti di Malagrotta, di numerose altre attività industriali e impianti inquinanti, tra i quali:

     a) la raffineria di Roma, un complesso industriale costruito nel 1965 che si estende su una superficie di 93 ettari. Tale complesso un tempo era dedicato alla trasformazione del greggio in diversi prodotti combustibili e carburanti ora utilizzato come deposito carburanti con parco serbatoi complessivo di 1.259.500 metri cubi. Il sito era stato sottoposto a messa in sicurezza Misop mediante barriera perimetrale costituita da pozzi di emungimento lungo la sponda destra del Rio Galeria, poiché era stata riscontrata la presenza di una contaminazione nel sottosuolo;

     b) l'inceneritore di rifiuti ospedalieri Ama, ubicato nei pressi di Ponte Malnome. L'inceneritore è in funzione dal 1996 ma attualmente fermo, potenzialmente in corso di revamping, ma con autorizzazione ancora attiva. Il futuro dell'impianto è in corso di definizione, anche se, a causa dell'incendio del Tmb Salario dell'11 dicembre 2018, il sito in menzione dal 7 gennaio 2019 è stato individuato come centro di trasferenza di rifiuti urbani residui, classificati come Eer 200301 (rifiuti solidi urbani non differenziati);

     c) il deposito comune (De.Co Scarl ubicato in località Pantano di Grano a nord ovest della discarica) che si estende su una superficie di 22.000 metri quadrati, delimitata a sud dalla discarica di Malagrotta ed a ovest con via di Malagrotta e il Rio Galeria. Le attività del citato deposito riguardano la ricezione, transito, deposito, stoccaggio, trasformazione e miscelazione di prodotti petroliferi con l'ausilio di 4 oleodotti per la movimentazione dei carburanti dalla raffineria di Roma ed un parco serbatoi da 8500 metri cubi e un ponte di carico autobotti; attività estrattive di cui solo una parte ancora attiva;

     d) il deposito G.p.l. Lampogas s.r.l.;

     e) il deposito carburante Eni s.p.a., Pantano di Grano;

     f) lo stabilimento Energas s.p.a.;

    ad oggi, nonostante il fatto che la discarica non sia più in esercizio, molti cittadini residenti, preoccupati del livello di inquinamento atmosferico raggiunto nel quadrante di Castel Malnome, Massimina, Ponte Galeria, Piana del Sole, Monte Stallonara, Casal Lumbroso e Fiumicino, comprovato anche da numerosi studi, continuano a percepire miasmi ed esalazioni nauseabonde;

    a dispetto del lungo lasso di tempo trascorso dalla cessazione dell'attività della discarica di Malagrotta, la procedura di formale chiusura del sito (che si deve concludere con un provvedimento espresso) appare arenata, in quanto attualmente caratterizzata da un progetto di «capping» approvato nel 2017 ed ancora inattuato (alla data del presente atto);

    al contrario, come anche chiarito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (nella sentenza del 2 dicembre 2014 C-139), la mera dismissione di una discarica (anche qualora si sia provveduto alla copertura dei rifiuti con terra e detriti) non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla normativa di riferimento, posto che il sito può essere considerato definitivamente e formalmente chiuso solo dopo che l'autorità competente abbia eseguito un'ispezione finale sul posto, abbia valutato tutte le relazioni presentate dal gestore ed abbia comunicato a quest'ultimo l'approvazione della chiusura (articolo 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, ed articolo 12, paragrafo 3, del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36);

    l'approvazione della chiusura presuppone (ovviamente) l'integrale esecuzione del progetto di «capping»;

    oltretutto, come espressamente confermato dal commissario Giuseppe Vadalà (nel corso della sua audizione del 30 gennaio 2019 dinnanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati), l'attuale situazione della discarica di Malagrotta espone l'Italia al rischio di una nuova procedura d'infrazione;

    a tale scopo, conviene evidenziare che, nel corso della riunione del 18 febbraio 2019 presso la struttura di missione (Presidenza del Consiglio dei ministri), è emerso che la discarica di Malagrotta sia attualmente oggetto di una procedura di investigazione da parte della Commissione europea per la mancata osservanza delle disposizioni circa la gestione della discarica (EU-Pilot);

    nei mesi scorsi, in occasione della recente fase di commissariamento di impianti ed ex discarica, come disposto dalla Procura di Roma nel dare corso al procedimento giudiziario per disastro ambientale, il dottor Luigi Palumbo ha completato la realizzazione di una parte dei pozzi di emungimento necessari e messo in funzione l'impianto di trattamento del percolato. Rimangono incompiute la sigillatura della superficie sommitale, che limiterebbe la formazione di percolato, il completamento della corona di pozzi di emungimento ed i pozzi esterni necessari a caratterizzare i livelli di inquinamento verso i terreni, anche coltivati, confinanti,

impegna il Governo:

   1) a verificare se sussistano i presupposti normativi necessari per dichiarare l'area della discarica di Malagrotta e tutte le aree inquinate dagli impianti presenti nella Valle Galeria, quale sito di interesse nazionale (Sin), ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;

   2) ad adottare in subordine, iniziative per l'istituzione di una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che svolga la funzione di coordinamento e controllo dei soggetti coinvolti o da coinvolgere nelle attività di bonifica, messa in sicurezza e monitoraggio ambientale della Valle Galeria;

   3) ad adottare le iniziative di competenza affinché si provveda al completamento dell’iter di chiusura della discarica di Malagrotta, atteso che il progetto di copertura finale (capping) della discarica è stato approvato, ma la stessa non è stata definitivamente chiusa ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, e affinché il gestore/proprietario della discarica rispetti gli obblighi e le norme di cui al citato decreto, allo scopo di assicurare la corretta gestione dell'impianto, valutando (in caso di inottemperanza da parte dei soggetti preposti) la sussistenza dei presupposti per l'attivazione del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, comma 2, della Costituzione;

   4) ad adottare, in applicazione delle disposizioni di cui alla parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, tutte le misure e/o le iniziative necessarie al fine di prevenire e/o evitare il rischio di un danno ambientale e/o accertare se il medesimo si sia già verificato, disponendo, in ogni caso, le misure che saranno ritenute necessarie, considerato anche che la discarica di Malagrotta risulta inattiva da oltre cinque anni e che sussiste il serio rischio di condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea;

   5) ad assumere iniziative normative al fine di addivenire all'adozione di una disciplina nazionale in materia di criteri generali per la determinazione delle garanzie finanziarie che i gestori devono prestare con riferimento alla gestione operativa e post operativa delle discariche ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, anche alla luce dell'invito contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale 26 marzo 2014, n. 67, adottando, altresì, specifiche disposizioni tese ad evitare ogni elusione di tale sistema di tutela, anche attraverso la previsione di adeguate ed efficaci forme di controllo e monitoraggio.
(7-00309) «Vignaroli, Ilaria Fontana, Zolezzi, Daga, Deiana, D'Ippolito, Federico, Licatini, Alberto Manca, Maraia, Ricciardi, Rospi, Terzoni, Traversi, Varrica, Vianello».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 875, della legge n. 145 del 2018, così come modificato – da ultimo – dall'articolo 33-ter, comma 5, del decreto-legge n. 34 del 2019, convertito dalla legge n. 58 del 2019, prevede che «al fine di assicurare il necessario concorso delle regioni Friuli Venezia Giulia e Sardegna al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, entro il 15 luglio 2019 sono ridefiniti i complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e ciascuno dei predetti enti, mediante la conclusione di appositi accordi bilaterali (...) In caso di mancata conclusione degli accordi entro il termine previsto dal primo periodo, (...) il contributo complessivo alla finanza pubblica per gli anni dal 2019 al 2021 è determinato in via provvisoria negli importi indicati nella tabella 8 allegata alla presente legge, salva diversa intesa con ciascuno dei predetti enti entro l'esercizio finanziario di riferimento. Per la regione Sardegna, l'importo del concorso previsto dai periodi precedenti è versato al bilancio dello Stato entro il 10 agosto 2019 per l'anno 2019 ed entro il 30 aprile di ciascun anno per gli anni successivi; in mancanza di tale versamento entro il predetto termine, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a recuperare gli importi a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali»;

   tali disposizioni sono state impugnate dalla regione Sardegna: si tratta dell'ennesimo capitolo dell'intricata e conflittuale vicenda dei rapporti finanziari fra lo Stato e la regione, nota come «vertenza entrate», che ha visto le attribuzioni costituzionali e statutarie regionali violate ripetutamente dal legislatore statale;

   a fronte di circostanziate e specifiche richieste finalizzate alla stipula dell'accordo richiamato dalla norma, lo Stato non ha al momento formulato nessuna controproposta;

   con nota prot. 0005719 del 12 luglio 2019 inviata al Presidente del Consiglio dei ministri il presidente della regione Sardegna ha ribadito «la disponibilità della Regione ad incontrare il Governo per definire congiuntamente i termini del nuovo accordo bilaterale in materia di finanza pubblica»;

   lo stesso presidente ha sottolineato che «i recenti accordi sulla finanza pubblica stipulati con le altre autonomie speciali sono andati nella direzione di ridurre le differenze più evidenti dei contributi di ciascuna regione, tenuto conto della dimensione delle singole economie in termini di PIL. Da tale punto di vista, si evidenzia che la Sardegna presenta attualmente una situazione di chiaro svantaggio rispetto alla Sicilia, che è la regione più simile come economia e condizioni geografiche, in quanto l'incidenza su PIL del concorso alla finanza pubblica della Sardegna è pari all'1,60 per cento mentre quello della Sicilia è dell'1,14 per cento. Chiediamo pertanto un primo correttivo che consenta il ricalcolo degli accantonamenti a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali con l'applicazione del medesimo parametro contributo/PIL della Sicilia, che determina una riduzione del nostro contributo di 153 milioni di euro annui»;

   inoltre, «la Sardegna chiede la restituzione delle riserve sulle tasse auto prelevate per le annualità dal 2010 al 2013 e pari complessivamente a euro 12.869.702. Il Tar Sardegna (...) si è invece pronunciato in merito alla compartecipazione al gettito delle imposte sui redditi di capitale, accogliendo il ricorso della Sardegna che chiedeva l'applicazione dei criteri di calcolo del maturato sul territorio regionale definiti nel DM 11 gennaio 2018 anche per gli anni precedenti al 2017 fino al 2010. Gli uffici del Dipartimento Finanze del MEF hanno trasmesso le quantificazioni aggiornate degli arretrati per il periodo 2010-2016 che ammontano a euro 78.631.027, di cui ugualmente si chiede il trasferimento nelle casse regionali»;

   il 1° agosto 2019 dall'incontro tra il presidente e l'assessore alla programmazione della regione Sardegna con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie pro tempore ed il viceministro per l'economia e le finanze pro tempore è emersa la volontà politica da parte del Governo di accogliere le richieste della regione in ordine non solo al ridimensionamento del contributo alla finanza pubblica imposto alla Sardegna, ma anche riguardo ad un più ampio riconoscimento degli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità;

   in particolare, a quanto riferiscono i due rappresentanti della regione è stato assunto un impegno per sottoscrivere un accordo durante i primi giorni di settembre 2019. La recente crisi di Governo non solo mette a repentaglio sul piano politico il dialogo avviato e la rapida stipula del nuovo accordo ma, essendo, spirati i termini di legge sopra citati, riattiva il meccanismo che consente allo Stato di recuperare gli importi a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali e metterebbe a repentaglio il recupero dei crediti e delle somme pregresse dovute alla regione autonoma della Sardegna –:

   se il Governo intenda assumere iniziative di competenza per definire il quadro di rapporti economico-finanziari con la regione mediante un accordo ai sensi dell'articolo 33-ter, comma 5, del decreto-legge n. 34 del 2019, nel rispetto dello statuto per la regione Autonoma della Sardegna, delle sentenze della Corte Costituzionale e del principio di leale collaborazione.
(2-00483) «Cappellacci».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRAIOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 9 agosto 2019, l'escursionista Simon Gautier ha contattato (a seguito di un incidente occorsogli durante un'escursione nel Cilento) il servizio 118 per richiedere soccorso, segnalando, altresì, di essere gravemente ferito e di non saper indicare il luogo in cui si era smarrito. La richiesta di aiuto ha allertato il responsabile del 118 Basilicata (Serafino Rizzo), il quale ha, successivamente, dichiarato di aver immediatamente allertato i soccorsi. Analoga telefonata era già stata effettuata da Simon Gautier, alle ore 9, ai Carabinieri di Lagonegro, che, poi, avevano provveduto a trasferire l'allerta al 118 lucano. Soccorsi, dunque, tempestivi, ben coordinati e, indubbiamente, funzionali al pieno recupero dell'escursionista se solo vi fosse stato anche l'indispensabile servizio di geolocalizzazione, di cui il nostro Paese non è ancora dotato.

   In Italia non è disponibile il sistema tecnologico Advanced Mobile Location (AML), che consente ad uno smartphone l'invio di un sms al 112 (pur in assenza di rete internet) atto a comunicare le coordinate GPS corrispondenti al punto in cui ci si trova. AML è compatibile con qualsiasi telefono nel mondo. È una tecnologia già installata nei telefoni europei, ma va attivata. E per la attivazione occorre che i Governi prendano contatto con Google ed Apple onde sapere a quali numeri di emergenza connettersi, affinché i dati arrivino, in modo automatico e allo stesso momento, a tutte le centrali di emergenza presenti nel Paese: la direttiva europea n. 2009/136/CE, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, Serie L, n. 337 del 18 dicembre 2009 ha previsto servizi di emergenza strutturati ed organizzati per trattare e rispondere alle chiamate, effettuate al 112 (numero di emergenza nazionale) in modo rapido ed efficace. Dieci Paesi su 19 hanno applicato il modello. In Italia – invece – il 112 ha «valenza sostitutiva» e non è stato introdotto in parallelo agli altri numeri. Opera, dunque, con ritardo sui tempi d'intervento in ragione del doppio passaggio tra centrali operative –:

   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative si ritenga opportuno adottare per la rapida attuazione della direttiva europea in tema di geolocalizzazione automatica tramite chiamata a un numero di emergenza.
(5-02703)

Interrogazione a risposta scritta:


   PEZZOPANE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   dal rapporto Comuni rinnovabili 2019 di Legambiente si rileva che, per la prima volta dopo 12 anni, nel 2018, in Italia è calata la crescita di energia rinnovabile, prodotta da fonte solare, eolica e bioenergie;

   anche se l'Italia si conferma tra le nazioni con le maggiori opportunità sul fronte delle rinnovabili grazie a risorse fossil-free diffuse e differenti da Nord a Sud, nel 2018 le installazioni da rinnovabili hanno continuato con ritmi lentissimi, in continuità con gli ultimi cinque anni (una media di 502 megawatt all'anno per il solare e di 342 per l'eolico). Ritmi inadeguati a raggiungere i già limitati obiettivi al 2030 della Strategia energetica nazionale e del nuovo piano energia e clima, la cui versione finale dovrà essere presentata a dicembre a Bruxelles;

   la direttiva europea 2018/2001, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ha definito princìpi e regole per le comunità energetiche e i prosumer produttori-consumatori) di energia da fonti rinnovabili, con l'obiettivo di facilitare gli scambi di energia rinnovabile nei condomini o nei distretti produttivi e in un territorio agricolo;

   la direttiva n. 2018/2001 ridisciplina, quindi, l'intera materia e fissa almeno al 32 per cento l'obiettivo per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo dell'Unione nel 2030. Inoltre, la direttiva accanto a norme relative al sostegno finanziario per l'energia elettrica da fonti rinnovabili, semplifica le procedure amministrative di autorizzazione, disponendo che gli Stati membri adottino misure appropriate per garantirne la semplificazione e lo snellimento e prevede l'istituzione di uno o più sportelli che guidino e assistano il richiedente durante la procedura amministrativa di presentazione della domanda di autorizzazione fino all'adozione di una o più decisioni da parte delle autorità responsabili al termine del processo, fornendogli tutte le informazioni necessarie e coinvolgendo, se del caso, altre autorità amministrative;

   in ogni caso, le procedure autorizzative non potranno superare un periodo di due anni per le centrali elettriche e un anno per gli impianti con una capacità elettrica inferiore a 150 kW. In circostanze straordinarie tali periodi sono prorogabili fino ad un anno. Viene infine rivisitato il sistema di formazione, certificazione e qualificazione degli installatori;

   le nuove disposizioni della direttiva devono essere recepite dagli Stati membri entro 30 giugno 2021 e la sfida è oggi quella di anticipare il recepimento della suddetta direttiva in tempi celeri entro il 2019;

   infatti, tra le ragioni principali del calo, accanto alla riduzione degli incentivi, vi è anche l'esistenza di barriere tecnologiche e burocratiche (autorizzazioni e consenso) che trovano i progetti nei territori. Una situazione che impedisce il pieno sviluppo delle rinnovabili in Italia e che non consente di premiare i sistemi capaci di contribuire alla flessibilità della rete;

   il Parlamento sta esaminando il disegno di legge di delegazione europea 2018, in corso di esame in seconda lettura alla Camera dei deputati (C 1201-B) e non prevede il recepimento della direttiva UE 2018/2001 –:

   se il Governo non ritenga urgente adottare le iniziative di competenza per dare immediata attuazione alla direttiva de-quo sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili, con particolare riguardo alle parti relative all'autoconsumo e alle comunità energetiche rinnovabili.
(4-03561)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA e D'IPPOLITO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   lo smaltimento dei rifiuti in Italia fu regolato organicamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 10 settembre 1982, emanato in attuazione delle direttive Cee n. 75/442 (sui rifiuti pericolosi), n. 76/403 (relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili) e n. 78/319 (relativa ai rifiuti in generale); il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, reca disposizioni in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio;

   in un'inchiesta apparsa il 3 febbraio 2016 sul sito web di L'Espresso si legge, a proposito dell'evoluzione normativa in materia di produzione del combustibile solido secondario (Css), introdotta dal decreto ministeriale del 14 febbraio 2013, n. 22, che è stata compiuta «una rivoluzione tra le ciminiere dei 69 impianti italiani», poiché «anche i cementifici possono bruciare i rifiuti»;

   l'articolo 1, comma 1, del succitato decreto ministeriale, stabilisce che «in applicazione dell'articolo 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2016, n. 152, il presente regolamento stabilisce i criteri specifici da rispettare affinché determinate tipologie di Combustibile solido secondario (Css), come definite dall'articolo 133, comma 1, lettera cc), del decreto legislativo medesimo, cessano di essere qualificate come rifiuto»;

   nel titolo II dello stesso decreto sono contenute le norme per la produzione del Css-combustibile, mentre all'articolo 15 viene istituito un comitato di vigilanza e controllo, i cui membri sono nominati dal Ministro interrogato, con lo specifico compito, tra l'altro, di effettuare un monitoraggio, di «sottoporre eventuali proposte integrative o correttive della normativa», nonché di «intraprendere iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del Css-combustibile»;

   sulle problematiche dei cementifici che bruciano rifiuti si riporta l'esempio dell'impianto della società Cal.Me., nel comune di Marcellinara;

   in data 12 aprile 2016 il comune di Marcellinara ha effettuato un sopralluogo all'impianto di Cal.Me., il 14 aprile 2016 verbalizzandone gli esiti con rilievo di anomalie e perplessità;

   il 19 novembre 2018 il comune di Marcellinara presentava al dipartimento ambiente e territorio della regione Calabria osservazioni critiche circa l'ampliamento della capacità di valorizzazione energetica del Css nell'impianto locale di produzione clinker, con riferimento all'istanza di rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale, ai sensi dell'articolo 27-bis del decreto legislativo n. 152 del 2016;

   il 18 giugno 2019 detto ampliamento riceveva dalla struttura tecnica di valutazione parere di compatibilità ambientale e tecnico favorevole per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale;

   ai fini dello svolgimento di una conferenza di servizi decisoria, poi rinviata, il dirigente generale del suddetto dipartimento convocava, per il 10 luglio, tutti i soggetti istituzionali interessati rispetto al riferito provvedimento autorizzatorio, unitamente alla ditta Cal.Me. Spa;

   il 13 maggio 2019 è apparso su Il Fatto Quotidiano on line che l'8 maggio precedente la Corte europea di giustizia si è espressa «censurando pesantemente il decreto Sblocca Italia del 2014, che prevede una spropositata rete di inceneritori, definiti “insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”, sottratta a ogni regola di comune cautela e, in particolare, ad una valutazione ambientale (Vas) degli effetti, da attuarsi prima della loro costruzione (o dell'ampliamento di quelli esistenti)»;

   gli interroganti hanno assunto una posizione contraria verso detto ampliamento, condividendo peraltro le osservazioni del comune di Marcellinara, anche perché studi scientifici indicano forti rischi d'inquinamento e per la salute con l'utilizzo di simili impianti –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per modificare la specifica normativa e, in ogni caso, a tutela dell'ambiente e della salute pubblica;

   quali proposte di modifiche normative siano finora giunte dal suddetto Comitato e quali informazioni, circa la produzione e l'utilizzo del Css-combustibile, esso abbia finora portato a conoscenza del pubblico.
(4-03553)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   da quanto noto all'interrogante nei giorni scorsi il 6° reparto infrastrutture di Bologna ha emanato una comunicazione avente ad oggetto «(...) l'elaborazione e la liquidazione del trattamento economico di quiescenza»;

   in tale comunicazione, riguardante l'accentramento della gestione delle pratiche relative al trattamento economico del personale militare e civile dell'Esercito italiano presso il Centro nazionale amministrativo Esercito, al punto 2 si legge che: «Nell'ambito delle disposizioni contenute nel suddetto pacchetto d'ordine sono state introdotte nuove procedure disciplinanti il trattamento di quiescenza riguardante il solo personale civile, il quale, prima dell'emanazione della circolare di cui al punto 1 (...), veniva trattato integralmente da parte del servizio amministrativo ed inviato all'Inps almeno 90 giorni prima della data di collocamento in quiescenza dell'amministrato»;

   al punto 3 viene scritto che essendo diventato ente deputato alla trattazione della pratica il Centro nazionale amministrativo Esercito «(...) la tempistica è stata raddoppiata (almeno 180 giorni prima dalla prevista data di collocamento in pensione (...)»;

   la tempistica considerata non pare tenere conto della situazione dei dipendenti prossimi alla pensione che non si troverebbero nella condizione di poter espletare le pratiche necessarie per la domanda di pensionamento nei tempi richiesti, rischiando così di subire notevoli ritardi nella corresponsione del trattamento economico di quiescenza –:

   se l'introduzione delle nuove procedure disciplinanti il trattamento di quiescenza sopra riportate siano state preventivamente concordate e condivise con i competenti organi della Rappresentanza militare;

   se, considerando i gravi disagi economici e le conseguenti difficoltà che dovrebbero affrontare i lavoratori nel caso in cui si dovessero concretizzare ritardi nel ricevimento del trattamento pensionistico (si pensi, ad esempio, alle tante famiglie monoreddito, spesso con familiari a carico, alle numerose famiglie gravate da un mutuo, e ad altre situazioni) siano state previste opportune e mirate iniziative a loro tutela e, in caso di risposta affermativa, di quale natura.
(4-03560)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   il portale Consap, attraverso cui i risparmiatori «azzerati» dalle banche dovrebbero presentare domanda di indennizzo al Fondo indennizzo risparmiatori (Fir) è sostanzialmente in tilt;

   alla stampa locale Valter Rigobon, presidente di Adiconsum Veneto, ha testualmente dichiarato: «il portale è un manicomio»;

   ieri (2 settembre 2019) doveva iniziare ad operare un numero verde attraverso un call center ministeriale, ma nessuno è stato in grado di contattarlo;

   nonostante le rassicurazioni fornite dal Governo pro tempore, che a suo tempo avevano garantito una estrema semplicità per la presentazione della domanda di rimborso, in realtà i dati richiesti sono estremamente complessi, e se non vengono tutti inseriti con precisione la procedura si blocca;

   il portale non appare certamente alla portata di un cittadino medio, tantomeno degli ex soci delle banche popolari venete, che sono per la maggior parte ultra sessantenni;

   la situazione appare aggravata dal fatto che l'articolo 1, comma 501, della legge di bilancio stabilisce che la domanda di indennizzo non rientra nell'ambito delle prestazioni forensi e la consulenza prestata in merito non dà diritto a compenso, e di conseguenza i singoli risparmiatori non possono rivolgersi per un aiuto ad avvocati e consulenti –:

   se, alla luce delle difficoltà registrate dai risparmiatori per accedere al portale Consap, il Governo non ritenga di intervenire, semplificando la procedura per la presentazione delle domande al Fir e assumendo iniziative per rivedere il divieto di compensi per professionisti e consulenti cui possono rivolgersi i risparmiatori per la presentazione delle suddette domande.
(2-00484) «Zanettin».

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il Corriere del Veneto oggi in edicola informa che gli ex soci della Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca stanno ricevendo per posta in questi giorni una lettera del sedicente Movimento diritti europei con sede in Treviso in via Gualpertino da Goderta 41, che propone loro di sottoscrivere un contratto di incarico per l'assistenza alla presentazione delle istanze al Fondo di indennizzo risparmiatori (Fir), in collaborazione con lo studio legale TLC Lawyers di Treviso, che fa capo all'avvocato Sergio Calvetti;

   a fronte dell'attività di assistenza, la proposta di collaborazione prevede che il risparmiatore verserà il 7 per cento di quanto «effettivamente incasserà a conclusione dell'operazione»;

   tale importo equivale, come scritto nel contratto, alle quote di iscrizione all'associazione per gli anni 2019, 2020 e 2021;

   quanto proposto dal Movimento diritti europei pare un tentativo di eludere la ratio dell'articolo 1, comma 501, della legge di bilancio per il 2019, secondo cui «la prestazione di collaborazione nella presentazione della domanda e le attività conseguenti non rientrano nell'ambito delle prestazioni forensi e non danno luogo a compenso»;

   l'interrogante aveva presentato un emendamento alle citata legge di bilancio – emendamento n. 38. 13 – che, dichiarando nulli i patti commissori, avrebbe evitato in radice che i risparmiatori potessero incappare in clausole contrattuali come quelle oggi proposte dal Movimento diritti Europei; emendamento che purtroppo, su richiesta del relatore del provvedimento, è stato ritirato;

   va, altresì, ricordato che la regione Veneto ha già stanziato complessivamente un milione e 100.000 euro a favore delle associazioni e dei comitati che affiancano i risparmiatori danneggiati dal crac di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, con interventi legali e di assistenza –:

   quali siano gli orientamenti del Governo circa la legittimità della clausola contrattuale proposta ai risparmiatori dal Movimento diritti europei;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare che rilevanti quote delle somme erogate dal Fondo di indennizzo risparmiatori vadano a beneficio di determinati studi legali, che si sono accaparrati significative quote di clientela.
(3-00956)

Interrogazione a risposta scritta:


   GABRIELE LORENZONI e MANZO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 18-quater del decreto-legge n. 8 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 45 del 2017, garantisce l'accessibilità al credito di imposta cosiddetto «Mezzogiorno» (finalizzato all'acquisto di beni strumenti nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle regioni del Sud Italia di cui all'articolo 1, commi 98 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, fino al 31 dicembre 2019), anche per gli investimenti delle imprese ubicate nei comuni delle regioni dell'Italia centrale colpite dagli eventi sismici accaduti a far data dal 24 agosto 2016;

   lo stesso articolo al comma 3 stabilisce che tale misura, prevista nel comma 1, venga notificata alla Commissione europea a cura del Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, richiesta già formalizzata da parte della direzione generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese del Ministero dello sviluppo economico;

   con la decisione C(2018) 1661 final, del 6 aprile 2018, la Commissione europea ha dichiarato il credito d'imposta per investimenti nelle regioni dell'Italia centrale colpite dagli eventi sismici, ricalcato sul credito d'imposta «Mezzogiorno», compatibile con il mercato interno alla luce dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera c) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

   la Commissione europea non ha però autorizzato la fruizione del beneficio fiscale per i settori dell'agricoltura, della pesca e dell'acquacoltura in quanto la notifica a cura del Ministero dello sviluppo economico (ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) non copre tali settori economici, di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo;

   peraltro la norma in esame, nel richiedere che la misura fosse notificata alla Commissione europea «a cura del Ministero dello sviluppo economico», avrebbe inteso implicitamente escludere dalla fruizione del beneficio fiscale le imprese dell'agricoltura, della pesca e dell'acquacoltura, in quanto settori non di competenza di tale Ministero;

   a quanto consta all'interrogante nel corso di una riunione tenutasi l'11 dicembre 2018 presso il Ministero dello sviluppo economico, i rappresentanti del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo avrebbero riportato le dichiarazioni raccolte dagli assessorati alle attività agricole delle regioni del cratere sismico (Abruzzo, Marche, Lazio, Umbria) secondo le quali tale misura godrebbe dello scarso interesse degli operatori agricoli di quei territori, oltre a richiedere una modifica normativa per lo stanziamento delle relative risorse e l'onere di notifica e monitoraggio a carico del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo;

   ad oggi nessuna piattaforma risulta attiva presso l'agenzia delle entrate per poter usufruire del credito d'imposta, cosiddetto «sisma 2016» da parte delle imprese –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per mettere nelle dovute condizioni l'Agenzia delle entrate di predisporre sul proprio sito istituzionale la piattaforma informatica necessaria per la richiesta delle agevolazioni legate al credito di imposta per le imprese operanti nell'area dell'Italia centrale colpita dagli eventi sismici del 2016, prima della data di scadenza dell'agevolazione.
(4-03554)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   la mattina di martedì 12 marzo 2019, Ciro Russo, 42enne napoletano ha aggredito, dando fuoco e tentando di ardere viva l'ex moglie, Maria Antonietta Rositani;

   l'uomo era evaso dagli arresti domiciliari, presso l'abitazione dei genitori ad Ercolano, dopo un periodo di custodia cautelare in carcere disposta il 20 gennaio 2018, con provvedimento del Gip di Reggio Calabria, su richiesta della locale procura della Repubblica, a conclusione di indagini condotte dalla squadra mobile reggina per maltrattamenti in famiglia;

   al Russo, oltre alla misura custodiale degli arresti domiciliari e a quella del divieto di avvicinamento alla moglie, l'ordinanza applicativa imponeva anche, a chiare lettere, limiti di comunicazione del detenuto con i soli familiari. Ciò nonostante, risulta agli interpellanti, che Ciro Russo, non solo aveva già violato il divieto di avvicinamento alla distanza di 300 metri, ma aveva altresì palesato pubblicamente — tramite Facebook — la propria intenzione omicida nei confronti di Maria Antonietta;

   malgrado le reiterate ed ininterrotte richieste di aiuto della vittima e le misure imposte dall'autorità giudiziaria, Ciro Russo ha avuto la possibilità di allontanarsi dall'abitazione di Ercolano, percorrendo circa 500 chilometri per realizzare il suo folle proposito di vendetta;

   i genitori del Russo, tra l'altro, stando a quanto da loro stessi dichiarato, avrebbero, una volta riscontrata l'assenza del figlio, tempestivamente dato l'allarme comunicando alle 8:05 alle forze dell'ordine l'accaduto;

   Maria Antonietta Rositani sarebbe stata avvisata dal padre della fuga dell'ex marito, attorno alle 8 e 30: pochi minuti dopo Maria Antonietta ha chiamato, terrorizzata, le forze dell'ordine per chiedere aiuto;

   ad avviso degli interpellanti la vicenda appena riportata mostra la necessità di fare giustizia per Maria Antonietta che presenta ustioni sul 50 per cento del corpo e lotta con tutte le sue forze per tornare alla sua vita, dalla sua famiglia;

   il tragico evento pone all'attenzione dei Ministri interpellati la necessità di intervenire al fine di fare luce su una vicenda che poteva essere evitata anche attraverso l'applicazione del braccialetto elettronico che non avrebbe permesso al soggetto in questione di allontanarsi indisturbatamente dalla propria abitazione e compiere l'orribile delitto –:

   se il Ministro della giustizia non ritenga opportuno attivare, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa;

   quali iniziative, anche di carattere disciplinare, si intendano assumere con riguardo alle diverse autorità preposte alla tutela dell'incolumità fisica della vittima e coinvolte nella vicenda, alla luce della condotta socialmente pericolosa posta in essere da Ciro Russo.
(2-00485) «Cannizzaro, Carfagna, Occhiuto».

Interrogazione a risposta orale:


   GIACCONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 5 settembre 2019 un detenuto sottoposto al regime di «alta sicurezza» ha aggredito violentemente un poliziotto penitenziario presso la casa di reclusione di Asti;

   già con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-01743, tuttora privo di risposta, l'interrogante denunciava la grave situazione in cui operano gli agenti di polizia penitenziaria nel carcere di Asti, da alcuni anni classificato come casa di reclusione ad alta sicurezza, con una popolazione carceraria formata prevalentemente da detenuti «con fine pena mai o gravati da condanne per lunghi anni di detenzione»;

   di fatto la struttura è stata trasformata da struttura puramente detentiva a istituto di massima sicurezza senza una contemporanea e contestuale implementazione nell'organico del personale, che configura una pianta organica deficitaria di figure chiave, come ispettori e sovrintendenti di polizia penitenziaria;

   ne consegue che gli agenti di sicurezza sono oggetto di ripetuti episodi di aggressioni da parte dei detenuti, più volte denunciati a mezzo stampa anche dai sindacati di rappresentanza, con grave pericolo per la propria incolumità, oltre che per l'ordine e la sicurezza pubblica –:

   se e quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare con riguardo a quanto esposto in premessa e, in particolare, se non ritenga di promuovere urgentemente una visita ispettiva da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per verificare l'effettiva situazione di grave disagio e pericolo, oltre che di sottorganico, da tempo denunciata a tutti i livelli.
(3-00955)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAITA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la soppressione di una decina di treni regionali in Liguria a causa dell'indisponibilità di personale di Trenitalia costituisce un grave pregiudizio per la mobilità dei cittadini, e una palese violazione del contratto di servizio che non può passare sotto silenzio;

   in giorni assolutamente critici con tantissimi turisti presenti, provenienti da diverse realtà italiane ed estere, e che si spostano su ferrovia, quanto accaduto costituisce anche un danno di immagine per il territorio e un danno per coloro che hanno la necessità di veder garantiti collegamenti con altre tratte ferroviarie nazionali –:

   in relazione alle criticità evidenziate in premessa quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per evitare il ripetersi di simili gravi e incresciosi episodi che penalizzano la mobilità delle persone.
(5-02705)

Interrogazione a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'area urbana di Bologna sembra destinata, a breve, a essere interessata dal cantiere per la realizzazione della prima linea tranviaria. Quest'ultima, da progetto, è destinata ad attraversare il tessuto urbano di Bologna collegando i quartieri periferici di Borgo Panigale e del Pilastro;

   il progetto del Tram (definito anche metrotramvia), che si estenderà per 15 chilometri passando per il centro, riguarderebbe il collegamento delle aree ubicate nella zona periferica della città metropolitana di Bologna, precisamente dal quartiere Borgo Panigale al quartiere San Donato-San Vitale, ove è ubicato il CAAB;

   su fonti stampa si legge che la prima corsa è prevista nel 2025 e che il progetto preliminare è nelle mani del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al quale sono stati chiesti 740 mila euro di finanziamenti –:

   se risultino esservi altri comuni, oltre a Bologna, che hanno chiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti finanziamenti e/o contributi per la realizzazione di progetti di tramviarizzazione urbana.
(4-03557)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   la un tempo civile e prospera città di Vicenza continua ad essere teatro di un'incessante serie di episodi di microcriminalità, che allarmano ed esasperano sempre più i cittadini onesti;

   l'ultimo episodio, come riportate dai media locali, ha avuto come protagonista un cittadino del Gambia (già colpito da provvedimento di espulsione) che, in concorso con un connazionale, ha ferito nel corso di una rissa a bottigliate un cittadino afgano;

   l'episodio ha avuto luogo al Parco delle Fornaci alle 20,10 domenica 25 agosto 2019;

   l'interpellante si ostina a segnalare al Governo, con atti di sindacato ispettivo, il quadro desolante della sicurezza a Vicenza, nella speranza di un più incisivo intervento repressivo –:

   per quale motivo il cittadino del Gambia, protagonista dell'episodio di violenza sopra riportato, già destinatario di un provvedimento di espulsione non sia stato effettivamente rimpatriato;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire ai cittadini di Vicenza standard di sicurezza maggiormente in linea con la sua tradizione di città prospera e tranquilla.
(2-00482) «Zanettin».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO RUSSO, CARFAGNA, BAGNASCO, BARTOLOZZI, BIANCOFIORE, CASSINELLI, D'ATTIS, D'ETTORE, GIACOMETTO, LABRIOLA, MILANATO, MUSELLA, NAPOLI, NOVELLI, ORSINI, PEREGO DI CREMNAGO, ROTONDI, RUFFINO, SACCANI JOTTI, SARRO, SCOMA, SPENA, MARIA TRIPODI, VIETINA e ZANELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 18 agosto 2019, Simon Gautier, studente francese di 27 anni, disperso da nove giorni in Cilento, è stato trovato senza vita sul fondo di un burrone lungo la costa di Scario;

   il giovane escursionista, il 9 agosto 2019, con una telefonata al 118 aveva lanciato l'allarme raccontando di avere entrambi gli arti rotti senza, però, riuscire a fornire la sua esatta posizione;

   le ricerche, condotte da una task force di vigili del fuoco e del soccorso alpino, sono state circoscritte su un'area di 143 chilometri quadrati identificata dall'ultima cella agganciata dal telefono da cui è partita la telefonata di Gautier al 118: un territorio molto vasto con boschi, macchia mediterranea e rocce frastagliate;

   i soccorsi non sono riusciti a localizzare immediatamente il giovane studente francese, poiché, in Italia le centrali operative 118 sono ancora prive del sistema di geolocalizzazione delle chiamate d'emergenza pur essendo espressamente previsto dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 12 novembre 2009;

   oltre alle numerazioni nazionali di emergenza (113, 112, 115 e 118), la direttiva 2002/22/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 7 marzo 2002 ha introdotto il numero di emergenza unico europeo (112) che, per come è stato implementato nel nostro Paese, ha di fatto pesantemente rallentato, se non paralizzato, la tecnologia di geolocalizzazione sul territorio nazionale;

   nello specifico, il modello attualmente in vigore (definito dalla legge delega 7 agosto 2015, n. 124) prevede la realizzazione di centrali uniche di risposta (CUR) dove confluiscono tutte le chiamate di soccorso che poi vengono trasferire all'ente preposto alla gestione della specifica emergenza;

   le centrali uniche di risposta (Cur) del servizio Nue 112 sono appena dieci e operative in pochissime regioni (Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia orientale, Valle d'Aosta e nelle province autonome di Trento di Bolzano); ove queste ultime non sono presenti, il Servizio Nue 112 è assicurato dalle centrali operative dell'Arma dei Carabinieri;

   a ciò si aggiunge che la direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009, proprio in merito al numero di emergenza unico europeo, stabilisce come sia «opportuno rafforzare l'obbligo di fornire informazioni sulla localizzazione del chiamante in modo da migliorare la protezione dei cittadini. In particolare, le imprese dovrebbero mettere a disposizione dei servizi di emergenza le informazioni relative all'ubicazione del chiamante nel momento in cui la chiamata raggiunge tali servizi indipendentemente dalla tecnologia utilizzata»;

   ad aggravare la situazione si rileva altresì come nel nostro Paese non sia ancora disponibile il sistema tecnologico Advanced Mobile Location (AML), grazie al quale, pur in assenza di rete internet, dallo smartphone di chi richieda il soccorso parte immediatamente un sms al 112 che comunica le coordinate GPS corrispondenti esattamente al punto in cui si trova la vittima;

   ad avviso degli interroganti, la drammatica vicenda del giovane studente francese testé riportata, evidenzia come sia necessario assicurare a tutti i cittadini, che si trovano in una situazione di pericolo, di poter fare affidamento su un sistema di soccorso che sia il più veloce ed efficace possibile –:

   se i Ministri interrogati, alla luce della drammatica vicenda riportata in premessa, non intendano dotare con assoluta celerità tutte le centrali operative dei vari corpi dell'emergenza nazionale, a partire da quelle del 118, di un moderno ed efficace sistema di geolocalizzazione del chiamante, così come previsto dalla normativa europea e nazionale;

   se non intendano assumere iniziative per prevedere l'implementazione armonizzata su tutto il territorio nazionale, delle centrali uniche di risposta Cur, al fine di garantire ai cittadini un sistema di soccorso veloce ed efficace.
(4-03555)


   ZOFFILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è notizia riportata dalle cronache di stampa quella dell'aggressione di una famiglia di Erba, mamma e due adolescenti, da un «branco» mentre era in vacanza in riviera romagnola;

   secondo la ricostruzione pubblicata sulla testata Corriere Romagna, la famiglia era in vacanza a Bellaria Igea Marina e la sera di ferragosto i due adolescenti, di 15 e 18 anni, nel rientrare dopo una serata di divertimento, si fermano in una pasticceria in via Mare Adriatico per un bombolone secondo la tradizione romagnola, quando vengono intercettati da una banda composta da circa dieci albanesi che chiedono una sigaretta;

   dinanzi alla risposta negativa di uno dei ragazzi, la banda ha reagito aggredendo e picchiando i due ragazzi ed anche la madre, accorsa in aiuto dei figli sentendo le loro grida;

   l'aggressione è finita con il 18enne in ospedale con il naso rotto da un pugno e per il fratello e la mamma diversi giorni di prognosi per varie contusioni;

   l'interrogante, nell'esprimere massima solidarietà ai cittadini erbesi, ritiene l'episodio di una gravità inaudita, che evidenzia la necessità di misure severe nei confronti dei tanti stranieri presenti sul territorio italiano per delinquere e bivaccare –:

   se il Ministro sia a conoscenza dell'episodio riportato in premessa e quali iniziative di competenza, e ferme restando le indagini in corso da parte dei carabinieri, intenda adottare per garantire la sicurezza dei nostri concittadini e l'allontanamento dal nostro Paese degli stranieri che delinquono e si macchiano di reati.
(4-03556)


   LATTANZIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   il 7 agosto 2019 Fabrizio Piscitelli – conosciuto esponente della tifoseria della squadra di calcio della Lazio – è stato ucciso in un agguato nel Parco degli Acquedotti di Roma. Piscitelli era conosciuto con il soprannome di «Diabolik» e vantava una lunga militanza nella curva Nord del tifo laziale come capo degli Irriducibili;

   molte sono le condanne nei suoi confronti: diversi i procedimenti penali per droga; una condanna a tre anni e due mesi per la fallita scalata alla Lazio e le minacce al patron biancoceleste Claudio Lotito; la presenza di rapporti costanti con il famoso criminale Massimo Carminati (confermati anche da un video del suo braccio destro Fabio Gaudenzi comparso su internet pochi giorni fa) emersi dalle ordinanze su Mafia Capitale; contatti con i boss del narcotraffico romano, nonché sulla gestione degli affari della piazza della droga a Ponte Milvio e diversi i regolamenti di conti fra Appio e Tuscolano. In sintesi, si parla di un personaggio che pone chiaramente in evidenza la problematica relativa alle infiltrazioni malavitose all'interno dei gruppi di tifoseria organizzata;

   al di là della caratterizzazione negativa del personaggio, tra i diversi messaggi di cordoglio apparsi uno in particolare poneva in evidenza la persistenza di una caratteristica positiva della «vita da ultrà», ossia la forte dimensione di appartenenza ad un gruppo. Nel messaggio, infatti, si diceva che Diabolik avrebbe ora finalmente potuto riabbracciare Gabriele Sandri (altro ultrà ucciso in una sparatoria avvenuta nel 2007, in circostanze completamente differenti ed estranee a situazioni riconnesse alla criminalità organizzata) che egli aveva sempre ricordato negli stadi;

   la presenza di evidenti legami ed infiltrazioni criminali all'interno delle tifoserie organizzate rappresenta un elemento che troppo spesso mette in ombra tutta una serie di aspetti positivi che le curve possono invece alimentare, come il forte senso di appartenenza ad un gruppo, la fratellanza e la collegialità, nonché la definizione di una forte dimensione identitaria; esse rappresentano, inoltre, uno dei pochi spazi di aggregazione ancora accessibili ed in grado di avere grande attrattiva per i giovani. Tali considerazioni diventano fondamentali se si aggiunge il fatto che molto spesso il pubblico appartenente alle tifoserie è caratterizzato da una ampia presenza di giovani e giovanissimi, che necessitano dunque di ricevere stimoli ed esempi da seguire ed imitare che siano positivi;

   per tali motivi diventa assolutamente necessario per le istituzioni intervenire a favore di una più ampia ed articolata azione di sensibilizzazione e di diffusione culturale nelle tifoserie organizzate, perché queste possano essere sempre meno terreno fertile per la criminalità e sempre più orientate ad una diffusione di principi di partecipazione, lealtà sportiva e di pari dignità nell'accesso allo sport, e perché questo sia anche considerato come un momento educativo di partecipazione ad una dimensione di comunità, collaborazione e rispetto dell'altro –:

   quali siano le future progettualità ed azioni che il Governo intende definire nell'ottica di rendere le tifoserie organizzate sempre più orientate alla trasmissione di valori ed approcci collegiali di comunità e, di contro, quali iniziative intenda implementare con l'obiettivo di disincentivare la persistenza di una connessione tra criminalità organizzata e gruppi di tifosi.
(4-03559)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SURIANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con disegno di legge n. 1259 del 23 novembre 2017 è stato indetto un corso- concorso nazionale per il reclutamento di dirigenti scolastici (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale – concorsi, n. 90 del 24 novembre 2017) al fine di coprire 2.425 posti ancora vacanti nelle scuole;

   a luglio 2018 si sono presentati alla prova preselettiva poco più di 24 mila degli iscritti, che erano 34.580. Gli ammessi allo scritto sono stati 8.736 di cui 8.700 previsti dal bando più 36 che risultavano pari merito;

   a fine marzo 2019 sono uscite le graduatorie degli ammessi all'orale; degli 8.736 che hanno affrontato la prova scritta a superarla sono stati 3.795;

   il 2 luglio 2019, sul ricorso numero di registro generale 6233 del 2019, il Tar del Lazio ha pronunciato una sentenza per l'annullamento del concorso ed il punto accolto è quello della incompatibilità di tre commissari;

   in seguito, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha presentato appello al Consiglio di Stato e chiesto la sospensiva della sentenza in via di urgenza ed il 17 ottobre 2019 ci sarà l'udienza per la discussione del ricorso nel merito;

   vanno inoltre considerati gli innumerevoli articoli di stampa, i molti ricorsi, la comunicazione sui social, che sembrano mettere in evidenza una mancanza di trasparenza ed imparzialità nella procedura –:

   quali siano le motivazioni per cui la prova scritta non è stata unica, relativamente a tempistiche e modalità, su tutto il territorio e se risultino fughe di notizie e indiscrezioni prima che siano stati pubblicati i risultati ufficiali della prova scritta;

   se nella correzione delle prove scritte siano stati pienamente rispettati i criteri fissati in materia dalla Commissione del corso-concorso nazionale per titoli ed esami per il reclutamento dei dirigenti scolastici, nel corso della riunione del 25 gennaio 2019;

   quali siano le motivazioni per cui i partecipanti non potevano visionare il proprio elaborato su «istanze on line» se non a partire dall'8 maggio 2019, nonostante era stato preannunciato una tempestiva pubblicazione degli elaborati svolti, della griglia di valutazione e del verbale delle operazioni relative alla correzione;

   se risulti al Governo una mancanza di correttezza e oggettività della procedura di svolgimento delle prove orali nelle 37 sottocommissioni;

   se sia intenzione del Ministro interrogato approfondire come si sia svolto tutto l’iter procedurale previsto dal bando e quali iniziative di competenza intenda adottare in caso di accertate irregolarità.
(5-02701)


   MICELI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   negli scorsi mesi sono stati pubblicati gli avvisi per i ruoli di direttore generale dell'amministrazione centrale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e per quelli di direttore generale degli uffici scolastici regionali di Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia e Liguria, quest'ultimo già oggetto di avviso pubblicato nel dicembre 2018;

   fino a fine luglio 2019 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore, Marco Bussetti non aveva ancora provveduto alle nomine di cui sopra;

   da quanto si apprende anche dagli organi di stampa, il suddetto Ministro pro tempore ha proceduto alle nomine per i citati ruoli all'indomani dell'apertura della crisi di Governo, ricorrendo ad una procedura di riorganizzazione di entità tale da essere più correttamente qualificabile, secondo l'interrogante, come operazione di spoils system;

   sempre secondo gli organi di stampa, tra i nominati per le citate cariche risulterebbero soggetti selezionati in forza di preesistenti rapporti di amicizia, commensalità abituale e collaborazione con la persona del Ministro nominante;

   nel rispetto della normativa vigente, le nomine in questione sono ancora al vaglio della Corte dei Conti –:

   se ed in che modo il Ministro interrogato intenda fare chiarezza sui titoli posseduti dai soggetti nominati e sui criteri di selezione degli stessi e sulle eventuali ragioni che renderebbero le suddette nomine almeno inopportune, anche alla luce dei più recenti sviluppi e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere in merito.
(5-02706)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 232 del 2016, articolo 1, commi da 214 a 218 (cosiddetta ottava salvaguardia) prevedeva dei requisiti per l'accesso all'assegno previdenziale, in funzione delle diverse categorie di provenienza dei lavoratori, che hanno determinato delle evidenti discriminazioni;

   il testo di legge in questione ha previsto una significativa eterogeneità dei termini temporali, utili al riconoscimento del diritto alla pensione che, da una categoria all'altra, si differenzia fino ad oltre cinque anni; pertanto, è necessario intervenire ed uniformare il periodo transitorio entro il quale è riconosciuto il beneficio della salvaguardia, nei confronti di quelle categorie di lavoratori già considerate dalla succitata legge, ma rimaste escluse;

   a titolo di esempio, prendendo il caso di due ex lavoratori, entrambi sessantenni, con pari cumulo contributivo, uno in mobilità e l'altro in contribuzione volontaria o cessato, che hanno raggiunto entrambi i requisiti negli anni dal 2018 o successivi, il primo è stato salvaguardato, mentre l'altro è stato escluso;

   sono circa 6.000 gli esodati che attendono le dovute tutele per accedere al diritto alla pensione, poiché rimasti da anni senza alcun reddito e ulteriormente danneggiati, come predetto, dall'introduzione di criteri e paletti temporali posti per l'accesso alle precedenti salvaguardie, che hanno avuto l'effetto di estrometterli dall'accesso all'assegno previdenziale;

   le iniquità contenute nell'ottava salvaguardia devono quindi essere sanate nei confronti delle stesse categorie contemplate da detto provvedimento. Non esiste, dunque, un problema di individuazione della platea dei beneficiari, poiché le tipologie di lavoratori sono le stesse già oggetto della ottava salvaguardia e quindi agevolmente individuabili dall'Inps;

   ad oggi, irragionevolmente, non è stato adottato alcun provvedimento utile a sanare tale grave situazione, che si protrae ormai da otto anni lasciando nell'indigenza e nella più indicibile disperazione questi ex lavoratori, di fatto, abbandonati dalle istituzioni e privati di ogni reddito;

   quello che deve essere introdotto è un provvedimento legislativo circoscritto a detta platea di persone che, di certo, non può trovare surroga in soluzioni previste dall'attuale regime previdenziale (ad esempio la cosiddetta quota 100) per due ragioni: questi lavoratori, cessati quando le regole erario diverse e più favorevoli, sono ora impossibilitati a raggiungere gli attuali requisiti pensionistici; in ossequio a principi di uguaglianza ed equità vanno riconosciuti gli stessi benefici già concessi agli esodati salvaguardati che, in non pochi casi, vantano requisiti addirittura inferiori –:

   se e quali iniziative intenda adottare urgentemente il Ministro interrogato per riconoscere il diritto alla pensione agli esodati individuabili come ex-lavoratori esclusi dai benefici di cui all'articolo 1, comma 214, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, per carenza di requisiti, non più occupati al 31 dicembre 2011 per avvenuta risoluzione contrattuale a qualsiasi titolo o che, entro tale data, abbiano sottoscritto accordi collettivi o individuali che, come esito finale, prevedevano la cessazione del rapporto lavorativo, i quali maturino i requisiti pensionistici, vigenti prima dell'entrata in vigore del 6 dicembre 2011, entro il 31 dicembre 2021.
(5-02702)

Interrogazione a risposta scritta:


   BATTILOCCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la gestione separata Inps è un fondo pensionistico finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati e nasce con la legge n. 335 del 1995 (articolo 2, comma 26) di riforma del sistema pensionistico, anche nota come «riforma Dini». Scopo della riforma pensionistica fu, fra gli altri, quello di assicurare la tutela previdenziale a categorie di lavoratori fino ad allora escluse. Con tale legge si intervenne essenzialmente in tre modi: disponendo la costituzione di nuovi fondi previdenziali; aggregando alcune categorie di professionisti a casse professionali già esistenti; disponendo l'iscrizione alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, per alcune categorie di lavoratori tra cui: liberi professionisti per i quali non era prevista alcuna cassa previdenziale, la quasi totalità di coloro che operavano forme di collaborazione coordinata e continuativa e i venditori a domicilio;

   in tale contesto contributivo sono stati inseriti anche, ai sensi dell'articolo 86 del Testo unico degli enti locali, i sindaci, i presidenti di provincia, i presidenti di comunità montane, di unioni di comuni e di consorzi fra enti locali, gli assessori provinciali e gli assessori dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, i presidenti dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, i presidenti dei consigli provinciali e presidenti dei consigli circoscrizionali, che alla data di assunzione dell'incarico sono iscritti o continuano ad essere iscritti ad una gestione previdenziale non di lavoro dipendente, ma sono in aspettativa retribuita, oppure a quella di lavoro dipendente;

   l'aliquota contributiva di base per gli amministratori locali, dal 2018, è pari al 33 per cento (articolo 2, comma 57, della legge n. 92 del 2012). A seconda dei casi, inoltre, sono dovute le addizionali dello 0,50 per cento per maternità, assegni familiari, malattia, dello 0,22 per cento (decreto ministeriale 12 luglio 2007) e dello 0,51 per cento (indennità disoccupazione, legge n. 81 del 2017). Questo sistema di versamento dei contributi risulta ampiamente sconveniente per gran parte degli amministratori locali che, come noto, mettono sovente la loro carriera lavorativa in secondo piano per mettersi al servizio della collettività –:

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative per modificare la disciplina richiamata in premessa così da porre fine ai disagi causati dalla medesima agli amministratori locali, già ampiamente svantaggiati.
(4-03551)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   come noto il costo dei farmaci per la cura degli animali è oltremodo oneroso: un farmaco veterinario può infatti costare anche dieci volte di più del suo equivalente per uso umano, anche se il principio attivo è il medesimo;

   ciò ha un inevitabile impatto negativo sul diritto alla salute e il benessere degli animali, soprattutto se si tratta di far fronte a malattie croniche che richiedono l'acquisto di farmaci per tutto l'arco di vita dell'animale;

   la necessità di prendersi cura degli animali malati è evidente che investa anche la tutela della salute pubblica;

   curare il proprio cane o gatto non può essere un lusso di pochi. In tale situazione si rischia che chi non ha i mezzi per l'acquisto dei farmaci necessari sia spinto a comportamenti indegni come lasciare morire l'animale o abbandonarlo;

   l'elevato costo dei farmaci in questione è stato denunciato più volte dai medici veterinari e, in materia, diversi atti di sindacato ispettivo sono stati presentati in Parlamento, tuttavia, ad oggi, nessun provvedimento utile è stato adottato;

   è, dunque, necessario porre in essere immediate iniziative che determinino il superamento di questa situazione insostenibile, in particolare, per ottenere l'abbassamento del costo dei farmaci veterinari salva vita e per terapie di lunga durata, per incentivare modalità di produzione che rendano poi meno oneroso il prezzo del farmaco sul mercato, come favorendo lo sviluppo di confezioni monodose che escluda lo spreco per scadenza dei termini di utilizzo;

   inoltre, si ritiene necessario introdurre un efficace sistema di controllo sui prezzi dei farmaci veterinari condotto da un'autorità di vigilanza, affinché vengano escluse speculazioni –:

   se e quali urgenti iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché si determini una ragionevole diminuzione del prezzo dei farmaci veterinari a tutela del benessere degli animali e della salute pubblica, come espresso in premessa.
(5-02700)


   PAITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con il presente atto di sindacato ispettivo si segnala al Ministro interrogato il grave disservizio che si è registrato presso l'ospedale Sant'Andrea di La Spezia;

   in suddetta struttura il pronto soccorso pediatrico nei giorni scorsi è stato chiuso e i piccoli pazienti e le loro famiglie sono stati costretti a convivere per ore con adulti e anziani, spesso in condizioni molto critiche;

   in considerazione di tale evidente criticità diverse mamme dei piccoli pazienti hanno avanzato una richiesta del tutto ragionevole quale quella di aprire almeno la sala d'attesa del pronto soccorso pediatrico, senza però che la stessa venisse presa in considerazione;

   diversi genitori per ovviare a tale situazione hanno deciso di portare i propri bambini presso strutture sanitarie toscane;

   se il Ministro interrogato risulti essere a conoscenza di quanto riportato in premessa, se non ritenga opportuno avviare una verifica, per quanto di competenza, in ordine al rispetto dei livelli essenziali di assistenza a seguito della chiusura del pronto soccorso pediatrico e della grave decisione di non aprire neppure la sala d'attesa dello stesso reparto al fine di evitare contatti con pazienti più adulti e con patologie critiche.
(5-02704)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARNEVALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   come evidenziato dall'associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell'intestino (A.M.I.C.I. onlus), che riunisce le persone affette da colite ulcerosa e da malattia di Crohn ed i loro familiari vi è, ormai da diverso tempo, una difficoltà oggettiva a trovare sul mercato italiano il farmaco «Questram»;

   tale farmaco è un vecchio farmaco molto economico, non sostituibile con formulazioni analoghe indicato per la riduzione dell'ipercolesterolemia e il trattamento del prurito causato dal blocco parziale delle vie biliari, ma è anche utile per il trattamento della diarrea cronica nelle persone che hanno subito la rimozione dell'ileo, intervento talvolta necessario, ad esempio, nelle complicanze del malattia di Crohn;

   tale medicinale, infatti, permette di ridurre il problema della diarrea poiché lega e porta all'espulsione degli acidi biliari, che nei pazienti ileostomizzati non vengono normalmente riassorbiti dall'intestino;

   la mancanza di tale medicinale nelle farmacie è un problema serio per questi pazienti che sono stati costretti a procurarsi il farmaco in vari modi, ricorrendo, per esempio, all'acquisto all'estero con prezzi molto elevati;

   la carenza di «Questran», farmaco prodotto da Bristol Myers Squibb s.r.l. BMS, è iniziata nell'agosto 2018, a causa di problemi produttivi del principio attivo e avrebbe dovuto concludersi entro febbraio 2019, ma ciò non è avvenuto nonostante le numerose denunce avanzate da A.M.I.C.I. onlus;

   in tutto questo tempo l'Aifa ha solo rilasciato, in data 22 novembre 2018 la determinazione prot. 0128777-22/11/2018-AIFA-AIFA_PQ_PhCC-P che autorizza la ditta produttrice del farmaco «Questram» a distribuire alle strutture sanitarie e ai servizi di farmacia territoriali il farmaco «Questram» (colestyramin) 4g – Pulver till oral suspension 50 dospasar in confezionamento e lingua svedese;

   in data 11 aprile 2019 la ditta Bristol – Myers Squibb S.r.l. ha comunicato che erano ancora disponibili 3637 confezioni (da 50 bustine) in lingua svedese destinate alle strutture sanitarie ed ospedaliere che ne avessero fatto richiesta –:

   quale sia la situazione attuale della produzione in Italia del farmaco in questione e quella relativa alla distribuzione del «Questran» in confezionamento svedese e se il Ministro interrogato non ritenga doveroso assumere iniziative con urgenza al fine di arrivare ad una soluzione definitiva del problema visto che, al momento, a pagare per il disservizio sono i cittadini affetti da malattie infiammatorie croniche dell'intestino, ai quali è negata la possibilità di vedersi garantita una buona qualità della vita quotidiana in mancanza del farmaco in questione.
(4-03552)


   BIGNAMI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel recente accordo Stato-regioni è contenuta una riforma del sistema del pronto soccorso al fine di superare i lunghi tempi di attesa e il cronico sovraffollamento. Tra gli elementi di novità vi è l'introduzione di nuovi codici numerici da 1 a 5 in luogo degli attuali codici colore, per i quali sono stati definiti i tempi massimi di attesa con il codice 1 che prevede l'ingresso immediato e il codice 5 un tempo massimo di 240 minuti;

   l'accordo prevede anche una nuova organizzazione dei flussi di trattamento con i percorsi rapidi di «see and treat» e di «fast track» e percorsi appositi per le patologie tempo-dipendenti;

   in Italia si stima siano circa 25 milioni gli italiani che accedono ogni anno ai pronto soccorso, con un tasso di crescita costante stimato in un 5-6 per cento. Le vere emergenze non superano il 15 per cento degli accessi, quindi più di 7 persone su 10 «ingolfano» gli ospedali per problemi che potrebbero essere risolti nel territorio;

   il ticket per i codici bianchi non sembra aver risolto il problema del sovraffollamento: molte persone preferiscono pagare il ticket piuttosto che aspettare settimane per fare un esame o una visita;

   a parere dell'interrogante, non ha contribuito, negli anni, una politica di risparmio incentrata sulla riduzione dei posti letto e sulla chiusura degli ospedali minori. Dal 2000 ad oggi sono stati soppressi più di 71.000 mila posti letto. L'Italia come posti letto è largamente sotto la media europea. Questo taglio drastico non è stato in nulla compensato con un potenziamento e/o una riorganizzazione del territorio, generando una situazione di ulteriore abbandono (http://www.ansa.it);

   non è da sottovalutare il tema del taglio del personale: dal 2012 al 2017 si stima che si siano persi 26.500 operatori (https://www.quotidanosanita.it);

   la riorganizzazione del pronto soccorso è stata accolta con diverse perplessità. La criticità principale è che mancano all'appello 2000 medici. Senza un adeguamento dell'organico medico nei pronto soccorso appare davvero difficoltoso rispettare i tempi di attesa previsti dall'accordo. Il taglio dei posti letto inoltre rappresenta una criticità anche per lo smistamento e il trattamento dei pazienti che necessitano di ricovero;

   lo stesso dicasi per il sistema dell'emergenza. Molte regioni soffrono di un'inadeguata dotazione di mezzi del 118, in particolare di mezzi con medico a bordo. A Milano, ad esempio, ci sono solo 5 mezzi di soccorso con medico a bordo, tra ambulanze e auto mediche, mentre a Bologna sono solo 2 i mezzi di soccorso con medico. Ma la situazione «è emergenziale un po’ in tutta Italia». «La sofferenza è maggiore negli ospedali del Centro-Sud: in Molise, Sicilia, Calabria, Lazio e Campania, gli ospedali registrano infatti il 30 per cento in meno della dotazione organica rispetto al 2009»;

   da Nord a Sud piovono diffide a tutte le aziende ospedaliere e alle regioni contro l'utilizzo di giovani medici senza specializzazione né concorso, reclutati da cooperative private e non valutati dalle Aziende sanitarie locali –:

   come e con quali tempistiche il Governo intenda superare le criticità di cui in premessa;

   alla luce delle criticità esposte, come si coniughi la nuova organizzazione dei pronto soccorso con l'accertata carenza di medici e se si prevedano iniziative di competenza per favorire piani di assunzione al fine di adeguare gli organici in relazione al fabbisogno.
(4-03558)

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Cannizzaro n. 2-00481 del 21 agosto 2019.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BALDINO, MACINA, DIENI, ALAIMO, BERTI, BILOTTI, MAURIZIO CATTOI, CORNELI, DADONE, FORCINITI, PARISSE, FRANCESCO SILVESTRI, SURIANO, ELISA TRIPODI, BRESCIA, ILARIA FONTANA, LIUZZI, LOMBARDO, LOREFICE, GABRIELE LORENZONI, LOVECCHIO, MAMMÌ, ALBERTO MANCA, MARINO, MARTINCIGLIO, MENGA, MIGLIORINO, MISITI, MELICCHIO, NESCI, PALMISANO, PARENTELA, PAXIA, PERANTONI, PERCONTI, PIGNATONE, RADUZZI, RICCIARDI, TERZONI, ROSPI e TRAVERSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 17 luglio 2019 il procuratore di Reggio Calabria, dottor Giovanni Bombardieri, incontrando i giornalisti insieme al comandante provinciale dei carabinieri Giuseppe Battaglia e commentando i risultati dell'operazione «Altanus», ha affermato che «C'è la necessità di un rafforzamento di uomini e mezzi in Calabria e soprattutto a Reggio, per fronteggiare adeguatamente un fenomeno criminale, qual è la ’ndrangheta, radicata profondamente nel proprio territorio di origine e ormai ampiamente globalizzata (...). Il Governo, riunitosi due volte in Calabria, e le visite del ministro dell'interno costituiscono certamente segnali significativamente positivi della volontà di dare corso ad un'azione decisa contro la ’ndrangheta, ma è altresì necessario che tale consapevolezza trovi sbocchi immediati poiché la dotazione degli organici delle forze di polizia tutte sia all'altezza della sfida. Lo Stato deve intervenire con lo stesso spirito di quanto fece in Sicilia negli anni ’80 contro Cosa Nostra, incrementando il personale destinato alle investigazioni sul territorio. L'organico della Squadra mobile di Reggio Calabria è oggi poco oltre le 160 unità; di converso, a Palermo; in questo momento, l'organico della squadra mobile è di 800 unità»;

   il deficit di organico, denunciato con allarme dal procuratore di Reggio Calabria, risulta ancora più grave se si considera che l'associazione criminale denominata ’ndrangheta è notoriamente fra le più pericolose su scala mondiale; tali preoccupazioni sono state condivise da altri magistrati in prima linea nel contrasto alle mafie, tra i quali il dottor Nicola Gratteri;

   a seguito degli incontri, a cui faceva riferimento il dottor Bombardieri, il Governo si è impegnato nel rafforzamento delle piante organiche, previo espletamento delle diverse procedure concorsuali che, come noto, soggiacciono a tempistiche inidonee a fornire adeguate risposte alle illustrate esigenze;

   dalla recente iniziativa della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie di «desecretazione» degli atti prodotti dalla Commissione medesima è emersa, ad esempio, la frustrazione di Paolo Borsellino che negli anni ’80, in occasione di audizioni presso la predetta Commissione bicamerale, denunciava le scarsità di mezzi di cui si disponeva –:

   se il Ministro interpellato sia a conoscenza delle carenze d'organico patite dalle forze dell'ordine nella regione Calabria e quali iniziative intenda adottare, pur sempre nel rispetto delle procedure concorsuali normativamente previste, per rafforzare l'organico delle stesse forze dell'ordine, con il fine di rendere più efficace il contrasto alle mafie.
(4-03404)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, prendendo spunto dai recenti risultati ottenuti dalle Forze dell'ordine nella lotta alla criminalità organizzata in Calabria, l'interrogante richiama l'attenzione di questa Amministrazione sulla necessità di rafforzare le piante organiche delle Forze di polizia in quella regione, e soprattutto nel suo capoluogo, al fine di fornire risposte sempre più adeguate che rendano maggiormente efficace il contrasto alle mafie.
  In questo contesto, la strategia di risposta delle Forze dell'ordine si è sviluppata lungo due direttrici principali: tenere costantemente aggiornata la mappa delle filiere e delle attività delle mafie e, in secondo luogo, indebolire la forza economica delle cosche mafiose attraverso l'aggressione ai loro patrimoni illeciti.
  Va particolarmente sottolineato, nell'approccio alle tematiche del contrasto alle mafie, e alla ’ndrangheta in particolar modo, che il raggio d'azione delle investigazioni delle Forze dell'ordine, finalizzato a reprimerne i traffici e pervenirne all'arresto degli affiliati, tende a colpire oltre alle loro ramificazioni locali, anche quelle presenti nelle altre regioni italiane, nonché a reciderne le proiezioni internazionali.
  Su tale ultimo aspetto, in particolare, le attività di contrasto si sviluppano anche attraverso una intensa cooperazione di polizia con altri Stati, realizzata con scambi informativi od operativi bilaterali e multilaterali posti in essere mediante INTERPOL, EUROPOL, e l'ausilio di
task force e joint investigation team.
  È di palmare evidenza che la lotta alla criminalità organizzata richieda un importante e costante impegno, sia in termini di uomini che di mezzi, e proprio per questo motivo, l'obiettivo del Ministero dell'interno è quello di assumere, nei prossimi anni, circa 8 mila donne e uomini delle Forze dell'ordine in più, tra Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di’ finanza, oltre ai Vigili del fuoco, al fine di realizzare anche un progetto di riorganizzazione e di rafforzamento degli uffici periferici dell'amministrazione della pubblica sicurezza.
  Per quanto concerne l'attuale consistenza degli organici in Calabria, la Polizia di Stato è presente con 4.220 unità, di cui 2.041 nella sola provincia di Reggio Calabria. Le attuali carenze di organico sono all'attenzione del dipartimento della pubblica sicurezza nell'attuazione del piano di potenziamento e di riorganizzazione del personale a livello nazionale, presentato nei giorni scorsi alle organizzazioni sindacali. Nel frattempo sono state già assegnate ai presidi della regione 177 unità, e altre 156 ne arriveranno entro l'aprile del 2020. Nello specifico, nella provincia di Reggio Calabria sono già operativi 42 Agenti e altri 30 lo saranno entro il mese di aprile 2020.
  Si aggiunge che a livello nazionale, 2.988 nuovi agenti saranno assegnati in tre fasi: 483 agenti entro questo mese di luglio, 654 entro fine anno e 1.851 entro aprile 2020, di cui, 2.094 unità saranno destinate alle questure, tenendo conto della differenza tra personale presente e nuovi organici.
  Si aggiunge inoltre che il nuovo concorso, appena bandito, permetterà di assumere altri 1.515 agenti operativi entro fine 2020, consentendo di destinare complessivamente ai presidi della Polizia di Stato, 4.503 unità.
  L'Arma dei carabinieri opera in Calabria con 5.063 militari, suddivisi nei vari reparti diffusi sull'intero territorio, di cui 1.736 nella provincia di Reggio Calabria. Le carenze registrate nella pianta organica potranno essere gradualmente ripianate con gli arruolamenti straordinari previsti dalle ultime leggi di Bilancio, nonché da quelli che potranno essere disposti con prossimi provvedimenti normativi. Si ricorda al riguardo che è già stata autorizzata l'assunzione di 2.155 unità, cui se ne aggiungeranno, entro il 2023, altre 2.135.
  La Guardia di finanza è presente in Calabria con 2.288 militari, anch'essi in forza ai vari reparti, di cui 710 unità nella provincia di Reggio Calabria. L'assetto del corpo nella regione, al momento, costituisce il massimo sforzo organizzativo possibile. Anche in questo caso il potenziamento dell'attuale dispositivo è in fase di approfondimento e valutazione, nel contesto dei lavori concernenti le prossime manovre di revisione dell'architettura organizzativa dei Reparti territoriali del corpo. Le carenze registrate nei vari ruoli potranno, pertanto, essere ripianate con i frequentatori dei corsi, che termineranno nei mesi di settembre del corrente anno e di febbraio 2020, nonché per effetto dei movimenti che saranno possibili con la prossima pianificazione nazionale.
  Da ultimo, con il «decreto sicurezza
bis», è stato previsto un potenziamento dell'efficacia dell'azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza introducendo misure straordinarie con lo specifico scopo di eliminare l'arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze penali di condanna.
  In particolare, il Ministero della giustizia è autorizzato ad assumere un contingente di 800 unità di personale non dirigenziale, con un impegno di spesa di oltre 28 milioni di euro, al fine di eliminare l'arretrato e dunque di assicurare la piena efficacia dell'attività di prevenzione e repressione dei reati.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nicola Molteni.


   BATTILOCCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   con la legge n. 865 del 1971, al fine di rendere effettivo il diritto alla prima casa, garantendolo alle classi meno abbienti, vennero istituite le figure giuridiche dell'edilizia convenzionata e sovvenzionata per diritto di superficie. La legge menzionata prevede che i comuni italiani, a seguito di esproprio, concedano terreni a cooperative di soggetti aventi i requisiti – tra i quali una soglia di reddito minima e non esser possessore di immobili – oppure diritto di superficie della durata di 99 anni, a società edili per l'edificazione di abitazioni destinate esclusivamente a quei soggetti aventi i requisiti ad un prezzo calmierato. È oggetto del presente atto il diritto all'alienazione che fino al 2011, decorsi cinque anni dalla prima assegnazione, è stato esercitato senza vincoli sui prezzi di vendita;

   nel 2011, la contingenza economica che ha, tra le altre conseguenze, vista l'impennata del differenziale tra Btp e Bund tedeschi, ha imposto manovre nazionali per far fronte al pagamento urgente degli interessi sul debito tra le quali il decreto-legge n. 70 del 2011 convertito dalla legge n. 106 del 2011 che istituì l'istituto dell'affrancazione, statuendo che gli attuali proprietari degli immobili edificati in diritto di superficie possono eliminare il vincolo del prezzo dal loro immobile pagando una somma, l'affrancazione, al Comune della convenzione;

   nel 2015 la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 1813, sintetizzando, ha sancito che il legislatore con la legge n. 106 del 2011, avendo inserito la figura dell'affrancazione, non ha eliminato il vincolo del prezzo per il solo decorso del tempo stabilito e che il complesso normativo in cui è inserita l'affrancazione è teso a garantire un interesse superiore dello Stato che non può essere derogato dal privato cittadino, a prescindere che ne sia consapevole e/o a conoscenza, rendendo nulle tutte le azioni che costituiscono violazioni della norma imperativa, e parzialmente nulli i negozi di compravendita (a mente dell'articolo 1419 del codice civile), e sancendo il diritto a chiedere la restituzione dell'indebito pagato (articolo 2033 del codice civile). La Corte ha inoltre sottolineato che la ratio di base fosse quella di evitare speculazioni sull'edilizia agevolata;

   il quadro sopra descritto porta ad una situazione paradossale, ossia che l'attuale proprietario (acquirente) di un immobile in diritto di superficie è l'unico a poter affrancare l'immobile e al tempo stesso può chiedere la differenza del prezzo al suo venditore, perpetrando di fatto una «speculazione inversa»;

   quella sopra descritta è la situazione in cui versano migliaia di famiglie del collegio elettorale che l'interrogante rappresenta, ma è purtroppo ampiamente diffusa in tutto il Paese –:

   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative normative così da dirimere la paradossale situazione descritta in premessa.
(4-01771)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame sulla base delle informazioni al riguardo acquisite dalla direzione generale per la condizione abitativa, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In esito alla richiesta di esercizio dell'iniziativa normativa in adesione al giudicato della sentenza n. 18135/2015 delle Corte di Cassazione a sezione unite, si riferisce che le criticità segnalate nel testo dell'interrogazione, avente ad oggetto perplessità circa l'istituto dell'affrancazione, hanno trovato risposta nel decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018. n. 136.
  L'articolo 25-
undecies, «Disposizioni in materia di determinazione del prezzo massimo di cessione» del predetto decreto, difatti, ha apportato significative modificazioni al dettato normativo dell'articolo 31, comma 49-bis e 49-quater, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
  Nello specifico, il rinnovato comma 49-
bis stabilisce che i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e delle loro pertinenze, nonché del canone massimo di locazione delle stesse, per la cessione del diritto di proprietà o per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile, per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo determinato dal comune.
  Detta percentuale, è bene precisare in relazione alle circostanze descritte, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze previa intesa in sede di Conferenza unificata.
  Inoltre, il riformulato comma 49-
quater, dispone che in pendenza della rimozione dei vincoli il contratto di trasferimento dell'immobile non produce effetti con riguardo alla differenza tra il prezzo convenuto ed il prezzo vincolato.
  In chiave dirimente al quesito formulato, infine, l'attuale assetto normativo prevede che l'eventuale pretesa di un rimborso della evidenziata differenza, a qualunque titolo richiesto si estingue con la rimozione del vincolo.
  

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale 64 «Porrettana» è stata provvisoriamente chiusa in entrambe le direzioni il 4 febbraio 2019, a causa di un movimento franoso di notevoli dimensioni verificatosi tra le località Pavana (PT) e Ponte della Venturina (BO) in prossimità del confine regionale. Da allora questo tratto particolarmente strategico, in quanto collegamento fondamentale tra due regioni, non è ancora stato riaperto;

   il traffico proveniente da Bologna e diretto a Pistoia è deviato sulla strada provinciale 632 (anch'essa a senso unico alternato a causa di una precedente frana), mentre i veicoli provenienti da Pistoia e diretti a Bologna sono deviati sulla strada statale 66 con uscita dal raccordo di Pistoia in direzione «Le Piastre» per poi proseguire sulla strada provinciale 632 fino a Ponte della Venturina. In alternativa, è consigliata l'autostrada A1 Firenze-Bologna;

   l'Anas ha stanziato un importo di circa tre milioni di euro. L'intervento appare imponente, in quanto la frana ha interessato l'intera pendice della strada fino al torrente sottostante, per una estensione di circa 50 metri;

   il 4 maggio 2019 alcune associazioni di categoria hanno promosso in località Pavana, presso il comune di Sambuca Pistoiese, un incontro pubblico al quale hanno partecipato i sindaci di Sambuca Pistoiese, di Alto Reno Terme, di Pistoia, i vice sindaci di Gaggio Montano e Castel di Casio, il presidente della provincia di Pistoia, i rappresentanti di maggioranza e di minoranza della città metropolitana di Bologna, consiglieri e assessori delle regioni Toscana ed Emilia-Romagna e parlamentari eletti nelle relative circoscrizioni;

   in tale occasione è emerso il tema dell'enorme disagio, per la popolazione tutta, legata all'eccessivo ritardo nel ripristino del manto stradale e per la riapertura del tratto interrotto della strada statale Porrettana fra Pavana e Ponte della Venturina. Tale riapertura, in base a quanto comunicato dall'Anas, sarebbe prevista non prima di fine agosto 2019. Gli operatori economici, tuttavia, temono che il «fine lavori» possa slittare, verosimilmente, a settembre o ottobre 2019, essendo stati segnalati problemi anche in ordine alle autorizzazioni della Sopraintendenza;

   è da sottolineare che i collegamenti sono interrotti dai primi di febbraio 2019 e i tempi stabiliti per la riapertura del tratto appaiono inaccettabili alle comunità coinvolte e agli imprenditori inseriti nel sistema locale di lavoro, rischiando di mettere in ginocchio un intero sistema sociale e imprenditoriale che ruota, comprensibilmente e inevitabilmente, attorno alla garanzia del collegamento dato dalla Porrettana: ad oggi, da stime accertate, il fatturato per diversi operatori economici risulterebbe già gravato da un calo del 30-40 per cento;

   nel corso del predetto incontro è emersa anche la criticità relativa ai pannelli informativi posti lungo le autostrade A1 e A11 che fornirebbero informazioni non esaustive rispetto ai veicoli ammessi al transito;

   è da sottolineare altresì che, a fronte delle piogge delle giornate del 12-13 maggio 2019, la strada statale Porrettana è stata interessata da un altro smottamento, che ha danneggiato parzialmente una carreggiata, a testimonianza dello stato di incuria relativo alla manutenzione –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per velocizzare al massimo l'intervento di cui in premessa, necessario per la riapertura del tratto strategico di collegamento tra due regioni lungo la strada statale Porrettana, ed evitare che il «fine lavori» possa slittare ai mesi di settembre-ottobre 2019;

   quali iniziative di sostegno o eventuali ammortizzatori sociali si intendano predisporre per gli operatori economici danneggiati dalla chiusura del tratto in questione;

   quali iniziative ulteriori si intendano assumere per programmare un'adeguata manutenzione dell'asse stradale in questione una volta superata la fase di emergenza.
(4-02940)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni al riguardo acquisite dalla società ANAS e dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Circa il primo quesito formulato, la predetta società ha comunicato di aver ultimato la progettazione dei lavori di ripristino del corpo stradale franato dalla strada statale 64 Porrettana, in relazione ai quali si è resa necessaria una preliminare fase di inquadramento geologico del sito mediante una specifica campagna geognostica, per il cui avvio è stato necessario attendere l'esaurimento dei movimenti del suolo, che ha richiesto l'esecuzione di indispensabili rilievi topografici e geologici.
  Ciò posto, i lavori sono stati avviati lo scorso 11 giugno e si stima che la strada verrà riaperta al traffico, a senso unico alternato, entro il prossimo mese di agosto; mentre l'apertura dei tratto in entrambi i sensi di marcia sarà possibile entro dicembre del corrente anno.
  Quanto alle risorse necessarie, poi, che ammontano ad un importo di circa 3,5 milioni di euro, si informa che sono state ascritte al fondo «Danni ed Emergenze».
  In ordine al secondo quesito posto, ho sollecitato ANAS affinché adempia in modo tempestivo e puntuale agli obblighi assunti, nel contempo sto valutando di intraprendere ogni opportuna linea di attività idonea ad alleviare i disagi della collettività.
  Infine, in merito al terzo quesito, la citata società ha precisato che lungo l'arteria di mirato interesse, risultano pianificati ulteriori interventi che, tra manutenzione ordinaria e straordinaria, realizzeranno un investimento complessivo pari a 4.6 milioni di euro.
  Tra questi, a titolo esemplificativo, è stato recentemente completato l'intervento di manutenzione straordinaria per il risanamento, della sovrastruttura stradale, in tratti saltuari, tra il chilometro 3+450 e il chilometro 31+110 e risulta già intrapreso l'allestimento dei medesimi lavori tra
il chilometro 0+800 e il chilometro 12+600.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   CORDA e ARESTA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   sulla Gazzetta ufficiale, 4a serie speciale n. 70 del 15 settembre 2017, è stato pubblicato il bando di concorso, per titoli ed esami, relativo al reclutamento di 41 ufficiali in servizio permanente nel ruolo speciale delle Armi dell'Arma aeronautica, Corpo genio e Commissariato;

   i vincitori sono stati convocati, il 22 ottobre 2018, allo svolgimento del corso applicativo di circa 5 mesi presso l'Accademia militare dell'aeronautica di Pozzuoli, composto di due fasi, una militare e una professionale, volto a comporre la graduatoria finale dalla quale verrà determinata l'assegnazione delle destinazioni ai reparti Aeronautica;

   la composizione del voto finale, è caratterizzato da una complessa formula matematica, stabilita dal Comando delle scuole dell'aeronautica militare, e pubblicata nel piano di studi dell'accademia;

   al voto finale contribuisce, oltre al voto degli esami previsti, quello di «attitudine militare», determinante per la valutazione ai fini delle graduatorie di ingresso;

   il voto di «attitudine militare» viene espresso in maniera poco chiara da una commissione nominata dal comandante dell'accademia. Esso racchiude in sé una serie di «voci» riferite alla lealtà, attitudine a prendere decisioni, forma esteriore, formazione militare e altro, come stabilito dalle «linee guida per l'attribuzione del voto di attitudine militare», documento, quest'ultimo, mai reso noto e mai distribuito ai frequentatori se non previa richiesta di accesso agli atti formale, su disposizione del Comando Corsi Vari. Da qui ne consegue la mancanza di trasparenza nei confronti dei frequentatori sulle procedure atte a comporre questo importante voto di «attitudine» che concorre a determinare la vita futura dei frequentatori;

   a quanto consta all'interrogante i criteri per l'attribuzione del voto di attitudine non sono mai stati resi noti ai frequentatori, né sono mai state svolte attività addestrative tali da giustificare un voto in tal senso;

   è evidente che ci si trovi, a giudizio dell'interrogante, davanti ad una situazione poco chiara e caratterizzata da poca trasparenza da parte dell'accademia che non ha reso note le «linee guida» e non ha comunicato ai frequentatori quali sarebbero state le modalità di valutazione, l'oggetto della valutazione e, tanto meno, le attività volte a valutare;

   nell'attribuzione del voto di attitudine militare riferita al 17° Corso per ufficiali in servizio permanente del ruolo speciale emerge, ad avviso dell'interrogante, una estrema ed ingiustificata arbitrarietà della commissione che, di contro, dovrebbe conformarsi a criteri di oggettività, ragionevolezza e logicità al fine di salvaguardare i princìpi di trasparenza, imparzialità e proporzionalità propri dell'amministrazione pubblica;

   l'Accademia, inoltre, è stata di recente oggetto di attenzione da parte della stampa nazionale pervia di alcuni presunti atti di nonnismo denunciati da una ex allieva pilota e sui voti di attitudine militare che hanno determinato l'espulsione dall'accademia militare della giovane, della quale anche il Ministro della difesa si era occupato;

   questa «attitudine», quindi, rappresenta per l'interrogante uno strumento alquanto potente in mano all'accademia, capace di modificare e «limare» le graduatorie finali, non più, quindi sul merito dei risultati degli esami, bensì su altre e sconosciute dinamiche che, ci si auspica, il Ministro interrogato vorrà verificare –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se ritenga di dover intraprendere iniziative nei confronti dello Stato maggiore dell'Aeronautica militare per verificare le eventuali responsabilità o lacune nell'ambito dell'applicazione delle direttive impartite dal Comando scuole dell'Aeronautica militare;

   se ritenga opportuno rimodulare il piano di studi dei corsi applicativi per il personale in ruoli speciali, al fine di dare maggiore importanza e valore alle materie propedeutiche al futuro impiego degli ufficiali frequentatori ed eliminare l'arbitrario voto di attitudine militare da attribuire a militari vincitori di concorso già ampiamente giudicati da apposite commissioni di selezione, composte anche da psicologi specializzati nel mondo del lavoro.
(4-02616)

  Risposta. — L'articolo 595 del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di Ordinamento militare (TUOM - Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, al comma 3 dispone che: «I criteri di valutazione in attitudine militare professionale sono determinati dai Capi di Stato Maggiore di Forza Armata, dal Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri o dall'autorità da essi delegata, in relazione alle esigenze delle singole Forze armate».
  Per l'Aeronautica militare, tali criteri sono riportati nelle «Linee guida per l'attribuzione del voto di attitudine militare» emanato dall'Accademia aeronautica, documento nel quale sono menzionati, in maniera dettagliata e trasparente, tutti gli aspetti che la commissione giudicatrice è tenuta a osservare e valutare: in particolare, il comportamento, la disciplina, la sincerità, la lealtà, l'affidabilità e l'impegno profuso nelle attività formative.
  La necessità della valutazione di tali qualità scaturisce dal fatto che, a differenza di qualsiasi altro dipendente pubblico, il militare è spesso chiamato a operare in condizioni complesse, rischiose e delicate. Una carenza anche in solo uno dei succitati requisiti può pregiudicare il lavoro di squadra e, in un contesto operativo, mettere a rischio la vita di militari e civili.
  Per tali ragioni, questo genere di valutazione, demandato a membri di commissione accuratamente selezionati per
background ed esperienza (in aderenza a quanto stabilito dal comma 4 dell'articolo 595 del Tuom, la commissione è composta «dal comandante dell'istituto di formazione o altra autorità da questi delegata, che la presiede, e da almeno due membri, nominati dal comandante stesso tra gli ufficiali o sottufficiali di inquadramento o insegnanti e istruttori dei valutandi»), risulta irrinunciabile.
  Per quanto riguarda l'accessibilità da parte dei frequentatori alle linee guida e al piano degli studi, tali documenti sono consultabili, senza alcuna necessità di richieste di accesso formale, presso le segreterie dei comandi di corso, nonché presso l'ufficio personale allievi del comando corsi dell'accademia.
  Peraltro, le stesse linee guida sono poste a conoscenza dei frequentatori dei corsi allievi ufficiali piloti di complemento, allievi ufficiali in ferma prefissata/ufficiali in servizio permanente effettivo nei
briefing iniziali tenuti personalmente dai comandanti dei corsi (in particolare, per il 17o corso la presentazione ha avuto luogo il 4 febbraio 2019).
  Per completezza d'informazione, rappresento inoltre che, in merito all'episodio menzionato in premessa riguardante i voti di attitudine militare conseguiti da una ex allieva che ha denunciato presunti atti di nonnismo, la recente ordinanza del Consiglio di Stato, riformando la pronuncia del TAR Lazio, ha, in via cautelare, ammesso con riserva il militare alla frequenza del corso successivo (125°), in pendenza del giudizio di merito.
  Sulla questione dei presunti atti di nonnismo, in esito ai quali sono tuttora in atto gli accertamenti dell'Autorità giudiziaria militare, la specifica inchiesta sommaria disposta dal comandante delle scuole A.M./3a regione aerea ha approfondito il contesto e le caratteristiche dell'evento in parola, allo scopo di evitare il ripetersi di situazioni che potrebbero esporre l'Amministrazione a strumentalizzazioni.
  Nel concludere, il voto di attitudine militare è un elemento che si poggia su precisi riferimenti regolamentari e che risulta fondamentale nell’
iter selettivo del personale soprattutto in prospettiva futura, allorquando le qualità oggetto di valutazione in sede formativa si riveleranno determinanti, nel prosieguo del servizio, per disimpegnare le attività che il militare, in ragione della specificità del suo stesso status, sarà chiamato a svolgere.
La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   COVOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la Motorizzazione civile di Vicenza soffre una grava mancanza di personale, nel senso che il numero di funzionari addetti agli esami per il conseguimento delle patenti di guida e di addetti alle revisioni o collaudi non è sufficiente a coprire le richieste che provengono dal territorio e delle autoscuole vicentine;

   negli ultimi mesi è aumentato il numero di esami e di revisioni o collaudi non effettuati per la cronica mancanza di un sufficiente numero di addetti (36 effettivi a fronte dei 70 previsti), con conseguenti disagi per i cittadini e per le imprese;

   va considerata l'imprescindibilità di garantire il servizio, specie in considerazione degli effetti molto dannosi nell'ambito dei trasporti internazionali che il disagio descritto può causare; si segnala altresì la decisione del Ministero di effettuare un'ispezione nella Motorizzazione di Vicenza, prevista per il 28 marzo 2019 –:

   se il Ministro interrogato, nelle more di una risoluzione definitiva della carenza di organico delle Motorizzazioni civili, non ritenga opportuno – mediante una specifica iniziativa di competenza – intervenire per ripristinare una situazione di normalità nell'erogazione dei servizi presso la Motorizzazione civile di Vicenza.
(4-02563)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni al riguardo acquisite dalla direzione generale del personale e degli affari generali, si riferiscono i seguenti elementi di risposta.
  È bene premettere che, nell'ambito dell'organizzazione degli uffici di questo organo di vertice, l'ufficio della motorizzazione civile di Vicenza (UCM Vicenza) è una sezione dell'ufficio della motorizzazione civile di Verona (UCM Verona), ufficio di livello dirigenziale che coordina anche le sezioni di Padova e Rovigo.
  Tanto premesso, risulta allo scrivente che, all'attualità, vi prestino servizio 35 dipendenti, tra cui 24 unità abilitate allo svolgimento degli esami per il conseguimento delle patenti e 5, incluso il direttore, autorizzate all'esecuzione delle operazioni tecniche di revisione e collaudo dei veicoli.
  Tra i predetti abilitati, sei dipendenti non possono svolgere lavoro straordinario, in quanto
part-time o perché versano nei confronti dell'Amministrazione in uno specifico rapporto di lavoro ad orario differenziato.
  Risulta, altresì, che tale consistenza sia destinata a ridursi, rispettivamente, di 2 e 1 unità, a far data dal 1° ottobre 2019 per il correlato avviamento a quiescenza di altrettanto personale attualmente in organico.
  Ciò posto, trattandosi di una provincia ad alto grado di industrializzazione, non può negarsi un elevato carico di lavoro per il personale dell'ufficio in argomento; basti riferire, a mero titolo esemplificativo, che, nel decorso anno 2018, UCM Vicenza ha eseguito 11.978 revisioni di veicoli, 6.100 collaudi e 13.261 esami di guida.
  Cionondimeno, ogni criticità è affrontata tempestivamente dal personale dipendente e, nello specifico, dai funzionari, i quali, con alto senso di responsabilità, si rendono spesso disponibili anche oltre il regolare orario di lavoro, sopperendo, almeno in parte, alla temporanea carenza di organico.
  Va poi precisato che un sostegno viene fornito dalle risorse in servizio presso le limitrofe province di Belluno e Rovigo, che periodicamente, su base volontaria, turnano nella sede di Vicenza.
  Proprio per risolvere tale problematica, oltre all'autorizzazione per l'assunzione di 200 funzionari ingegneri, ai sensi dell'articolo 1, comma 565, della legge n. 205 del 2017, l'attuale legislatura ha varato l'assunzione di ulteriori 50 unità, nella qualifica di assistente amministrativo, ai sensi dell'articolo 1, comma 372, della legge n. 145 del 2018.
  Inoltre, con l'articolo 15 del decreto-legge n. 109 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 130 del 2018, è stata autorizzata l'assunzione di 110 funzionari e 90 assistenti amministrativi, da ripartire tra il dipartimento trasporti ed il dipartimento infrastrutture.
  In tal senso, a valle delle citate procedure di ampliamento dell'organico, si è già registrata, nel decorso anno 2018, l'assegnazione di 2 nuove unità ad UCM Verona, di cui una destinata ad UCM Vicenza, ed altre 7 posizioni risultano pianificate ad esito delle prove orali delle procedura concorsuale per funzionari ingegneri previste entro il prossimo autunno.
  Infine, circa l'auspicato intervento acceleratore del ripianamento già avviato, si informa che questo organo di vertice ha già provveduto ad estendere al dipartimento della funzione pubblica un'apposita comunicazione, corredata dalla specificazione del numero di dipendenti richiesti e delle professionalità ricercate, atta a consentire la partecipazione al primo concorso unico utile allo scopo.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   D'ORSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 20 ottobre 2010, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea hanno adottato, previa deliberazione secondo la procedura legislativa ordinaria, la direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali che, all'articolo 5, paragrafo 2, stabilisce che: «Al fine di assicurare un servizio di interpretazione e di traduzione adeguato e un accesso efficiente a tale servizio, gli Stati membri si impegnano a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati. Una volta istituiti, tali registri, se del caso, sono messi a disposizione degli avvocati e delle autorità competenti.»;

   da ciò si deduce che gli Stati membri avrebbero dovuto dare attuazione, entro il 27 ottobre 2013 (vedere articolo 9, paragrafo 1 della direttiva), a tale direttiva anche attraverso l'istituzione di un registro di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati che possano assistere, in ogni paese dell'Unione europea, gli imputati che non parlano la lingua di quel Paese;

   nonostante ciò, l'Italia recepisce tale direttiva solo nel 2014, con il decreto legislativo n. 32, non provvedendo però all'istituzione di alcun registro e/o elenco di traduttori e interpreti per i procedimenti penali, lasciando così immutata la situazione precedente per cui chiunque può iscriversi, anche senza laurea, semplicemente dichiarando di conoscere una determinata lingua;

   con il decreto legislativo n. 129 del 23 giugno 2016, vengono emanate delle disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 32, recante attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Tali modifiche lasciano quasi invariato il testo senza addivenire all'istituzione di un vero e proprio registro/elenco di traduttori e interpreti secondo quanto stabilisce l'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva de qua;

   gli interpreti e i traduttori, quali ausiliari del giudice prestano la loro attività nell'interesse generale della giustizia, oltre che in quello comune delle parti;

   nel nostro Paese non parrebbe esistere un registro di traduttori e interpreti indipendenti e qualificati ai sensi di quanto disposto dall'articolo 5 della direttiva europea sopra citata. Da quanto emerge dal combinato disposto degli articoli 67 e 67-bis disposizioni attuative c.p.p., sembra che chiunque possa iscriversi come traduttore o interprete presso un tribunale, semplicemente dichiarando di conoscere una determinata lingua. Infatti, non sarebbe previsto alcun esame e/o verifica del livello di conoscenza della lingua o del grado di esperienza pluriennale lavorativa in tale ambito, nonché del possesso di una laurea magistrale in traduzione e/o interpretazione, ciò a discapito della garanzia e della qualità del servizio della giustizia;

   il compenso dei suddetti professionisti parrebbe, altresì, di gran lunga inferiore rispetto a quello previsto per qualsiasi prestazione lavorativa, ponendosi così in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del lavoro e di equa e adeguata retribuzione delle prestazioni lavorative –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda adottare per modificare l'attuale normativa di recepimento della direttiva 2010/64/UE, perché si istituisca un registro nazionale di traduttori e interpreti indipendenti e qualificati (con la previsione di un compenso dignitoso pari a quello degli altri Paesi europei) al servizio della giustizia e dei cittadini.
(4-02200)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame si chiede di conoscere quali iniziative intenda adottare il Ministero per modificare l'attuale normativa di recepimento della direttiva 2010/64/UE, istituendo un registro nazionale di traduttori e interpreti indipendenti e qualificati e prevedendo per costoro un compenso dignitoso pari a quello previsto negli altri Paesi europei.
  Sul punto va ricordato che la direttiva 2010/64/VE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 «sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali» dispone all'articolo 5 che «al fine di assicurare un servizio di interpretazione e di traduzione adeguato e un accesso efficiente a tale servizio, gli Stati membri si impegnano a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati. Una volta istituiti tali registri, se del caso, sono messi a disposizione degli avvocati e delle autorità competenti».
  Al recepimento di quanto sul punto stabilito dalla direttiva, si è provveduto con il decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 32, poi modificato dal decreto legislativo 23 giugno 2016 n. 129, che ha inciso sulle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271.
  L'articolo 2 comma 1 lettera a) del decreto legislativo n. 32 del 2014 ha modificato l'articolo 67 disp. att. c.p.p., prevedendo che vi fosse sempre anche quella degli esperti in «interpretariato e traduzione» fra le categorie per le quali presso ogni tribunale è istituito un albo.
  Per il reclutamento di detti esperti, al fine di garantirne la professionalità, l'articolo 2 comma 1 lettera b) del decreto sopra menzionato ha previsto che concorrano anche gli organi rappresentativi delle categorie di appartenenza. In tal senso ha modificato l'articolo 68 disp. att. c.p.p., includendo nel comitato deputato a formare l'albo previsto dall'articolo 67 disp. att. c.p.p. – presieduto dal presidente del tribunale e composto da procuratore della Repubblica presso il medesimo tribunale, dal presidente del consiglio dell'ordine forense, nonché dal presidente, o da loro delegati, dell'ordine e del collegio a cui appartiene la categoria di esperti per la quale si deve provvedere – anche il presidente delle «associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate a cui appartiene la categoria di esperti per la quale si deve provvedere».
  Per il tramite di detta figura, quindi, le associazioni rappresentative a livello nazionale degli interpreti e dei traduttori partecipano a tutti i compiti assegnati al comitato, specificamente delineati nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 68 disp. att. c.p.p., con riguardo alla formazione ed alla revisione dell'albo. Integrando il comitato, il rappresentante delle associazioni nazionali degli interpreti e traduttori concorre infatti sia alle decisioni in merito alla richiesta di iscrizione e di cancellazione dall'albo dei singoli soggetti esperti in «interpretariato e traduzione» – che il comitato adotta, eventualmente anche previa assunzione di informazioni, a maggioranza dei voti, con prevalenza in caso di parità del voto del presidente – sia alle procedure per la revisione dell'albo, con cui a cadenza biennale il comitato procede ad espungere dall'albo gli iscritti che, nelle more, abbiano perso i requisiti per l'ammissione o per i quali siano sorti impedimenti a esercitare l'ufficio. A seguito delle modifiche apportate dall'articolo 2 comma 2 decreto legislativo n. 129 del 2016 all'articolo 2 comma 1 del decreto legislativo n. 32 del 2014, è stato poi introdotto l'articolo 67-
bis disp. att. c.p.p., con cui si è disposta la costituzione presso il Ministero della Giustizia di un «elenco nazionale degli interpreti e dei traduttori».
  Tale elenco è composto dai nominativi degli interpreti e dei traduttori iscritti, con le modalità di cui sopra si è detto, in ogni albo dei periti istituito presso ciascun tribunale. L'articolo 67-
bis disp. att. c.p.p. prevede, infatti, che i singoli tribunali trasmettano per via telematica l'elenco degli interpreti e traduttori, aggiornato in formato elettronico, compreso nell'albo di cui all'articolo 67 disp. att. c.p.p., così provvedendo ad alimentare l'elenco nazionale che, come disposto dall'articolo 67-bis comma 2 disp. att. c.p.p., deve essere consultabile, nel rispetto della normativa vigente sul trattamento dei dati personali, «dall'autorità giudiziaria, dagli avvocati e dalla polizia giudiziaria».
  In caso di necessità di nomina di un interprete o di un traduttore, l'articolo 67-
bis disp. att. c.p.p. dispone che l'autorità giudiziaria possa avvalersi esclusivamente dei soggetti iscritti nell'elenco nazionale – senza che abbia, quindi, rilievo l'appartenenza del soggetto all'albo dei periti istituito presso il tribunale nel cui circondario si trova ad operare – consentendo il ricorso ad interpreti o traduttori diversi solo per «specifiche e particolari esigenze».
  Per lo svolgimento delle attività cui è chiamato nel corso del procedimento penale, spettano all'interprete o al traduttore, in qualità di ausiliario del giudice, voci di compenso specificamente elencate nell'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 30 maggio 2002, testo unico in materia di spese di giustizia.
  Oltre alle indennità di viaggio e di soggiorno, spese di viaggio e rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico, l'onorario previsto per tali professionisti è stabilito a tempo. In base all'articolo 4 della legge 8 luglio 1980 n. 319, gli onorari a tempo «sono commisurati al tempo impiegato e vengono determinati in base alle vacazioni»; nel caso in cui la prestazione richiesta assuma carattere urgente, perché per il compimento delle operazioni sia stato fissato un termine inferiore a quindici giorni, all'interprete o al traduttore spetta un incremento dell'onorario che può arrivare, nel caso di termine non superiore a cinque giorni, sino al suo raddoppio. Per ciascun incarico, e salvo che esso sia espletato alla presenza dell'autorità giudiziaria, l'articolo 4 sopra citato prevede che il giudice non possa liquidare più di quattro vacazioni al giorno. Qualora «le prestazioni svolte siano di eccezionale importanza, complessità e difficoltà» l'articolo 52 del Testo Unico in materia di spese di giustizia consente, infine, l'aumento sino al doppio anche degli onorari a tempo.
  La misura del compenso per la prima vacazione, che ha durata pari a due ore, risulta attualmente determinata, con decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002, in euro 14,68 per la prima vacazione e in euro 8,15 per ciascuna delle vacazioni successive.
  Nonostante l'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 preveda un adeguamento periodico di tutti gli onorari spettanti agli ausiliari «in relazione alla variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze», dopo il decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 l'entità degli onorari non è stata più aggiornata.
  Ciò ha comportato che la base tariffaria sulla quale calcolare i compensi degli ausiliari del giudice – che già scontava, come imposto dall'articolo 50, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, la diminuzione derivante dalla natura pubblicistica della prestazione richiesta –, per effetto del suo mancato adeguamento risulti ormai «seriamente sproporzionata per difetto», come ha rilevato anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 192 del 2015, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115 – che introduce la riduzione di un terzo degli importi spettanti all'ausiliario del magistrato, in caso di procedimento penale in cui vi siano persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato – nella parte in cui non esclude che tale diminuzione sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie di cui è stato omesso l'adeguamento previsto dall'articolo 54 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.
  Ricostruita nei seguenti termini la disciplina vigente, il Ministero che rappresento intende riconoscere tutte le prerogative professionali di tale categoria di esperti valutando, se del caso, interventi normativi mirati.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   D'ORSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, ha introdotto l'articolo 149-bis del codice procedura civile che ha previsto le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata da parte degli ufficiali giudiziari;

   il comma 4 dello stesso articolo, stabilisce che «L'ufficiale giudiziario redige la relazione di cui all'articolo 148, primo comma, su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia». Invero, tale decreto ministeriale che dovrebbe individuare i citati strumenti informatici non sarebbe stato ancora emanato, rendendo tale forma di notificazione di difficile realizzazione;

   la norma de qua deve essere letta alla luce delle disposizioni introdotte con il decreto ministeriale 21 febbraio 2011, n. 44 e successive modificazioni, «Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e penale delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione», con il quale si sarebbe ultimato il passaggio dalla Cpecpt (casella di posta elettronica certificata processo telematico) alla Pec (posta elettronica certificata);

   siffatto regolamento non pare dettare delle regole tecniche circa le modalità operative attraverso le quali dovrebbe realizzarsi, concretamente, siffatta attività di notificazione da parte degli ufficiali giudiziari;

   in merito, persistono numerose lacune operative; ad esempio andrebbe chiarito: a) se l'atto da consegnare all'ufficiale giudiziario debba essere anche firmato digitalmente dall'avvocato che ne attesta la conformità all'originale cartaceo, oppure se nel caso di documenti nativi informatici vada solo firmato digitalmente; b) nel caso di un atto di pignoramento presso terzi, se ed in che modo tale atto debba recare le firme digitali di entrambi i soggetti preposti alla redazione dell'atto di pignoramento; c) nel caso dei procedimenti di finita locazione, se l'atto notificato alla casella di posta certificata vada considerato come consegnato a mani proprie;

   il processo e la notificazione telematica sono stati introdotti con il fine di rendere più celere ed efficiente lo svolgimento dei processi;

   persistono numerosi problemi di natura tecnica, frutto, anche, della lacunosità delle norme, oltre che della mancanza di un'adeguata infrastruttura tecnologica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda adottare per implementare l'attuale normativa operativa sulla notificazione a mezzo posta elettronica certificata da parte degli ufficiali giudiziari.
(4-02264)

  Risposta. — Con il sindacato in esame l'interrogante chiede al Ministro della giustizia, quali iniziative di competenza intenda adottare per implementare l'attuale normativa operativa sulla notificazione a mezzo posta elettronica certificata da parte degli ufficiali giudiziari.
  L'occasione è grata per rappresentare che è in corso un'implementazione tecnica dell'infrastruttura del sistema GSU WEB, applicativo in uso agli uffici NEP.
  Attualmente l'infrastruttura è articolata su base nazionale, e tutti gli schemi risiedono nella sala
server di Napoli.
  La futura infrastruttura già attivata presso la sede distrettuale della Corte d'appello di Milano sarà, invece, dispiegata a livello distrettuale presso le sale
server nazionali attualmente dedicate al PCT e consentirà l'invio telematico agli uffici NEP delle istanze di notificazioni da parte di avvocati e uffici giudiziari così come previsto dall'articolo 17 del decreto ministeriale n. 44 del 2011 nonché la possibilità per i medesimi uffici di effettuare le notifiche in modalità telematica a mezzo PEC dando così attuazione al disposto dell'articolo 149-bis codice di procedura civile.
  Si prevede, in particolare, la gestione dei seguenti flussi relativi alle istanze di notificazioni:

   1. flusso di notifica richiesta telematicamente da un avvocato o da un ufficio giudiziario e rivolta ad un destinatario non raggiungibile telematicamente ovvero non dotato di PEC;

   2. flusso di notifica richiesta telematicamente da un avvocato o da un ufficio giudiziario e rivolta ad un destinatario raggiungibile telematicamente ovvero presente in un pubblico elenco (ReGIndE, INI-PEC professionisti, INI-PEC imprese, registro PPAA) e dotato di PEC;

   3. flusso di notifica richiesta da un avvocato direttamente presso l'UNEP presentando l'atto da notificare e la relativa richiesta di notifica in forma cartacea; la notifica è rivolta ad un destinatario dotato di PEC.

  Saranno gestiti telematicamente dal GSU anche i seguenti flussi relativi alle istanze di pignoramento:

   1. flusso di richiesta pignoramento da avvocato ricevuta dall'ufficio NEP in formato telematico per mezzo di PEC e gestito come deposito atto.

   2. flusso di richiesta pignoramento da avvocato ricevuta dall'ufficio NEP in formato cartaceo perché depositato presso lo sportello.

  Il GSU gestirà così sia le richieste di notifica sia da parte degli uffici giudiziari sia da parte degli avvocati.
  Questi flussi, provenienti dagli uffici giudiziari o dagli avvocati, verranno gestiti informaticamente in modo identico ai depositi previsti dal processo civile telematico cioè attraverso la predisposizione di una busta telematica contenente l'atto da notificare e gli eventuali allegati che verrà trasmessa tramite PEC al GSU. Le specifiche tecniche sono dettate dall'articolo 19 del provvedimento del resp. S.I.A. del 16 aprile 2014.
  Dopo la prima implementazione della nuova infrastruttura distrettuale sulla sede della Corte di appello di Milano, sono stati avviati i primi test per le istanze di notificazione provenienti dagli uffici giudiziari. Sulla medesima sede è imminente la sperimentazione dei
tablet da parte degli ufficiali giudiziari di zona per l'espletamento delle attività di notificazione.
  A luglio 2018 sono stati pubblicati sul portale dei servizi telematici gli schemi XSD per consentire alle
software house di aggiornare i propri programmi, utilizzati dagli avvocati, per il deposito telematico delle istanze di notificazione da eseguirsi a cura degli uffici NEP ai sensi dell'articolo citato.
  A breve, appena terminata la formazione del personale ministeriale che dovrà fornire assistenza, sarà messo a disposizione delle
software house private un ambiente di test per verificare il corretto funzionamento degli applicativi dalle medesime predisposte per gli avvocati.
  Il sistema gestisce il pignoramento presso terzi come flusso di notificazione consentendo all'ufficiale giudiziario di inserire nella relazione di notificazioni le previste ingiunzioni ed intimazioni al debitore ed al terzo. Lo scenario attuale prevede, infatti, tipologie generiche di modelli modificabili tramite
editor da parte dell'addetto alla notificazione.
  L'amministrazione sta valutando di implementare nel
tablet una funzione che generi un modello di relata/verbale per ogni atto che faccia riferimento al registro delle esecuzioni creando così degli standard per tutti gli uffici NEP nazionali.
  Completata la preliminare e imprescindibile fase tecnica sarà possibile procedere ad una revisione complessiva delle norme processuali primarie delle regole tecniche e delle relative specifiche.
  Con specifico riferimento alla valenza della notifica PEC come notifica a mani proprie ai sensi dell'articolo 660 del codice civile, questo riveste attualmente profili interpretativi, cui è precluso il sindacato del Ministro.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   D'ORSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   le spettanze dei custodi giudiziari, quali ausiliari del giudice dell'esecuzione nell'ambito delle procedure esecutive immobiliari e/o mobiliari, sono oggetto di specifica disciplina contenuta agli articoli 58 e 59 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, distinta da quella generale, prevista per gli ausiliari del giudice ai sensi dell'articolo 50 del citato decreto;

   in particolare, all'articolo 58 si prescrive che l'indennità per la custodia e la conservazione dei beni oggetto di procedura esecutiva dovuta ai custodi giudiziari è determinata sulla base delle tariffe contenute in tabelle da approvarsi con decreto ministeriale ai sensi del successivo articolo 59, o in via residuale, secondo gli usi locali;

   l'articolo 276 dello stesso decreto, sino all'emanazione del regolamento previsto dall'articolo 59, reca una disciplina transitoria per cui l'indennità è determinata sulla base delle tariffe esistenti presso la prefettura, ridotte secondo equità, e, in via residuale, secondo gli usi locali;

   in attuazione del combinato disposto degli articoli 58 e 59 citati è stato emanato il decreto ministeriale n. 265 del 2 settembre 2006 recante il regolamento relativo alla determinazione dell'indennità spettante al custode dei soli veicoli a motore e dei natanti, stabilendo che per le altre categorie di beni si applichino, in via residuale, gli usi locali;

   successivamente, è stato emanato il decreto ministeriale n. 80 del 15 maggio 2009 relativo ai compensi per le sole attività ordinarie e straordinarie di custodia dei beni immobili, per l'attività di custodia dei beni mobili e per l'attività di custodia presso i locali del debitore;

   il custode giudiziario è una longa manus del giudice, in quanto, sostituendosi al titolare dei beni che gli sono affidati, ha l'obbligo di conservare e amministrare il bene pignorato, oltre che preservarne il valore economico, con la diligenza del buon padre di famiglia secondo le direttive impartitegli dal giudice, essendo responsabile sia civilmente che penalmente e rispondendo dei danni cagionati alle parti;

   in tale ambito, pare mancare una normativa organica dalla quale ricavare dei criteri certi da seguire per la determinazione del compenso spettante ai custodi giudiziari. Infatti, in mancanza tra l'altro di usi locali, la liquidazione del compenso al titolare dell'ufficio del custode verrebbe effettuata dal giudice che lo ha nominato, secondo il proprio prudente apprezzamento, ovvero secondo equità, oppure adottando i criteri per le prestazioni di assistenza stragiudiziale di cui al decreto ministeriale n. 55 del 2014. Quest'ultimi criteri, tra l'altro, sembrano essere non molto attinenti per valutare la complessa attività di gestione dei patrimoni immobiliari e mobiliari svolta dai custodi giudiziari;

   analoghe lacune normative si registrano, inoltre, per la determinazione dei compensi dovuti alla figura del curatore dell'eredità giacente ex articolo 528 del codice civile, nonché al curatore dell'eredità rilasciata ai creditori ex articolo 508 del codice civile ove anche, in questi casi, ci si rimette alla discrezionalità del giudice;

   pare necessario, oltre che utile, stabilire dei criteri certi cui ancorare la determinazione dei compensi, ancorché entro determinati margini di discrezionalità riconosciuta al giudice –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per definire un riordino della materia, al fine di rendere più chiari e certi i criteri per la determinazione dei compensi di tali ausiliari del giudice, colmando, così, le lacune normative sopra esposte.
(4-02268)

  Risposta. — Con riferimento al quesito oggetto dell'interrogazione si ritiene preliminare la ricostruzione dell'attuale quadro normativo di riferimento in materia.
  Preme in particolare evidenziare che, in merito agli ausiliari del giudice (da non confondere con i consulenti tecnici di ufficio, non oggetto della presente trattazione), esistono quattro specifiche e distinte normative relative, rispettivamente, ai custodi giudiziari, ai professionisti delegati alle vendite, agli amministratori giudiziari e ai curatori dell'eredità giacente.
  Per quanto concerne i custodi giudiziari, la materia è dettagliatamente disciplinata dal decreto ministeriale n. 80 del 2009 adottato in attuazione dell'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 secondo il quale «Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, legge 23 agosto 1988, ti. 400, sono approvate le tabelle per la determinazione dell’“indennità di custodia”».
  A far data dall'entrata in vigore di tale decreto, tuttora vigente, è dunque venuta meno la disciplina transitoria richiamata dall'interrogante di cui all'articolo 276 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, secondo la quale «Sino all'emanazione del regolamento previsto dall'articolo 59, l'indennità è determinata sulla base delle tariffe esistenti presso la Prefettura, ridotte secondo equità, e, in via residuale, secondo gli usi locali».

  Sinteticamente, è utile chiarire che la custodia giudiziaria, regolata dagli articoli 61-68 del codice di procedura civile, è un istituto che assume una rilevanza fondamentale nella fase di vendita dell'immobile, poiché la presenza del custode garantisce la visitabilità dell'immobile, oltre a svolgere tutta una serie di attività amministrative, tecniche e commerciali che vanno dalla regolare verifica dello stato manutentivo dell'immobile ai rapporti con il debitore (soprattutto quando questi è anche occupante del bene), dalla presenza alle assemblee di condominio alla riscossione di eventuali canoni di locazione, dall'azione di liberazione del bene ordinata dal giudice all'accompagnamento degli offerenti a visitare l'immobile (fornendo loro documenti e informazioni di interesse).
  Il custode è incaricato dal giudice per mezzo dell'ordinanza di vendita e, in taluni casi, viene nominato anche prima di tale momento, al fine di affiancare l'esperto stimatore al momento dell'accesso all'immobile.
  Possono svolgere la custodia giudiziaria due tipologie di soggetti: liberi professionisti (appartenenti agli ordini di avvocati, notai e dottori commercialisti) purché iscritti nelle medesime liste dei delegati alla vendita istituite presso i tribunali di competenza (e quindi in possesso di ulteriori requisiti di onorabilità, esperienza e competenza) oppure società private che, «con provvedimento ministeriale, sono autorizzati in via generale alla vendita all'incanto dei beni mobili a norma dell'articolo 534 del codice e all'amministrazione giudiziaria dei beni immobili a norma dell'articolo 592 del codice di procedura civile» (Istituti di vendite giudiziarie). Al custode viene di solito riconosciuto, all'atto dell'accettazione dell'incarico, un anticipo spese a carico del creditore procedente.
  Il saldo verrà invece corrisposto solo una volta conclusa la procedura di vendita, dopo la validazione della richiesta di pagamento presentata al giudice e l'approvazione del piano di riparto.
  Come già detto, il testo normativo di riferimento per il calcolo delle competenze del custode è il decreto ministeriale n. 80 del 2009, in forza del quale si matura, a titolo di «compenso unitario», un importo calcolato in percentuali decrescenti sugli scaglioni di prezzo di aggiudicazione dell'immobile (con un compenso minimo pari a 250 euro).
  A questo si aggiunge un compenso per le attività elencate nel decreto che, in virtù della complessità dell'incarico, può essere aumentato fino al 20 per cento oppure diminuito fino alla metà (ad esempio quando l'immobile è libero).
  Il custode ha poi diritto ad un rimborso forfettario per le spese amministrative, pari al 10 per cento del compenso maturato come sopra. Qualora siano presenti dei canoni da incassare, il custode ha diritto a percepire un compenso per «attività straordinarie», in percentuale decrescente sul valore del canone da riscuotere. Qualora poi l'attività di custodia richiedesse ulteriori e più complesse attività (ad esempio accesso forzoso, liberazione, asportazione mobili o autoveicoli, partecipazione alle assemblee di condominio, bonifiche o disinfestazioni, messa in sicurezza, regolarizzazione), normalmente non previste nell'ordinaria gestione di una custodia, è possibile richiedere un aumento del compenso per una percentuale che varia dal 5 per cento al 20 per cento del totale. A questo compenso – su cui, come già specificato, si applica l'imposizione fiscale (IVA) e, per i soli liberi professionisti, anche il contributo per la cassa di previdenza – si deve poi aggiungere, per arrivare alla parcella completa che verrà addebitata alla procedura in prededuzione, anche il rimborso delle spese vive sostenute per lo svolgimento delle attività,
  Il predetto decreto viene utilizzato per il calcolo del compenso della custodia, indipendentemente dal fatto che si tratti di impresa (istituti di vendita giudiziaria) o di libero professionista (avvocato, notaio o dottore commercialista). Una disciplina ad hoc è prevista poi in caso di incapienza della procedura o di interruzione della procedura prima della vendita del bene.
  Un ultimo accenno ad alcune possibili diversità di calcolo dei compensi tra custodi «imprese» (gli istituti di vendita giudiziaria) e custodi liberi professionisti: i primi vengono ricompensati unicamente ai sensi del citato decreto ministeriale n. 80 del 2009 e i rimborsi diversi dalle spese autorizzate dal giudice sono forfetizzati in misura del 10 per cento del totale dei compensi (spese escluse). I predetti, quindi, non hanno titolo per chiedere un rimborso analitico delle spese strettamente collegate all'espletamento del proprio incarico (quali carburanti, trasferte, spese postali generiche, fotocopie). Invece i custodi giudiziari liberi professionisti potranno introdurre tra i rimborsi le singole voci di spesa, tenendo conto anche dei tariffari delle rispettive categorie professionali.
  Alla luce di quanto fin qui esposto, quindi, non sembrano potersi riscontrare lacune normative nella determinazione dei compensi dei custodi giudiziari nelle procedure esecutive.
  Per ciò che riguarda il professionista delegato alle vendite (notaio, avvocato e dottore commercialista), si deve ricordare che la sua nomina, resa sostanzialmente obbligatoria con legge n. 132 del 6 agosto 2015 (essendo riservata al giudice dell'esecuzione la gestione in prima persona solo in certi casi limite), è effettuata con l'ordinanza con cui il giudice incarica il professionista delle operazioni di vendita dell'immobile subastato e, se del caso, anche della custodia, e ciò in quanto i requisiti che un professionista deve avere sono, a differenza degli istituti di vendite giudiziarie, gli stessi richiesti per la delega.
  Per poter dunque svolgere, in qualità di ausiliari del giudice, le funzioni di delegato alla vendita, è necessaria l'iscrizione agli albi ed ordini professionali di notai, avvocati e dottori commercialisti, che inviano (fino a quando non sarà adottato l'albo unico nazionale previsto dal nuovo decreto trasparenza di cui decreto legislativo n. 14 del 2019) al presidente del tribunale di pertinenza appositi elenchi di soggetti autorizzati sulla base dell'esperienza specifica, dei titoli, delle competenze maturate nell'attività, dell'onorabilità professionale.
  Le attività svolte dal professionista delegato sono chiaramente indicate nelle norme, in particolar modo nei codice di procedura civile all'articolo 591-
bis.
  Il delegato alla vendita matura le sue competenze con l'accettazione dell'incarico. L'importo dei compensi da riconoscere al professionista delegato è formato dagli articoli 169-
bis e 179-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, e riguarda le attività dettagliate nell'articolo 591-bis del codice. Com'è noto, l'articolo 179-bis disp. att. codice di procedura civile dispone che la misura del compenso dovuta al professionista delegato per le operazioni di vendita è stabilita con decreto del Ministro della giustizia. Il comma secondo di detta disposizione specifica che esso è liquidato dal giudice dell'esecuzione, che pone a carico della procedura la quota parte relativa «alle operazioni di vendita», mentre il compenso per le attività «successive» grava sull'aggiudicatario.
  In applicazione di questa disposizione era stato emanato il decreto ministeriale 25 maggio 1999, n. 313, il quale determinava direttamente alcune voci del compenso e rinviava alle tariffe professionali per le altre. La disciplina è stata riscritta dal decreto ministeriale 15 ottobre 2015, n. 227, integralmente sostitutivo del decreto ministeriale n. 313 del 1999, di cui ha disposto l'abrogazione. In particolare, la disciplina del compenso spettante al professionista delegato alla vendita immobiliare è contenuta nell'articolo 2, il quale lo determina con riferimento al prezzo di aggiudicazione, distinguendo 3 scaglioni: sotto i 100.000 euro, tra 100.000 e 500.000 euro, sopra i 500.000 euro.
  Il compenso è calcolato poi con riferimento a 4 voci (le quali nella sostanza cercano di ripercorrere le fasi della procedura esecutiva):

   1) per tutte le attività comprese tra il conferimento dell'incarico e la redazione dell'avviso di vendita, ivi incluso lo studio della documentazione ipocatastale;

   2) per tutte le attività svolte successivamente alla redazione dell'avviso di vendita e fino all'aggiudicazione o all'assegnazione;

   3) per tutte le attività svolte nel corso della fase di trasferimento della proprietà;

   4) per tutte le attività svolte nel corso della fase di distribuzione della somma ricavata. Il compenso può essere aumentato o diminuito dal giudice dell'esecuzione del 60 per cento, tenuto conto della complessità delle attività svolte.

  In caso di estinzione anticipata, ai fini della determinazione del compenso si farà riferimento al prezzo previsto per l'ultimo tentativo di vendita (o in mancanza al valore di stima), tenendosi conto solo delle attività svolte. Il comma 4 del medesimo articolo 2 prevede poi che al delegato spetti un rimborso forfettario delle spese generali in misura pari al 10 per cento del compenso, nonché il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, tra le quali devono ritenersi ricompresi i costi degli ausiliari. Infine, il comma 5 ne stabilisce in ogni caso l'importo massimo (comprensiva del rimborso delle spese generali), nella misura del 40 per cento del prezzo di aggiudicazione o del valore di assegnazione.
  L'articolo 2 del decreto ministeriale in esame interviene altresì per fare chiarezza sulla disciplina della determinazione degli oneri a carico dell'aggiudicatario.
  Anche in tale ambito sembra che non possano riscontrarsi rilevanti criticità in ordine alla determinazione del compenso.
  Per ciò che attiene agli amministratori giudiziari previsti dall'articolo 2, comma 13, della legge n. 94 del 2009 e istituiti con il decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14 (recante l'istituzione di apposito albo presso il Ministero della giustizia, essi sono nominati ai sensi all'articolo 35 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (d'ora in poi anche «codice antimafia») con il provvedimento con il quale il Tribunale dispone il sequestro e devono essere scelti, nell'ambito degli iscritti all'apposito albo, secondo criteri di trasparenza, di rotazione degli incarichi e di corrispondenza tra i profili professionali del professionista individuato e la tipologia e l'entità dei beni appresi in via cautelare; l'amministratore giudiziario di aziende sequestrate deve essere scelto fra i soggetti iscritti nell'apposita sezione.
  Con riferimento all'individuazione dei criteri di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari, l'articolo 8 del decreto legislativo n. 14 del 2010 ha rinviato la fissazione degli stessi alla fonte secondaria, prevedendo che «con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare su proposta dei Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera
b) della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari».
  L'articolo 42 del decreto legislativo n. 159 del 2011 ha inoltre delineato la disciplina delle spese, dei compensi e dei rimborsi degli amministratori giudiziari, stabilendo, al comma 4, che la liquidazione dello stesso è disposta con decreto motivato del Tribunale, su relazione del giudice delegato, sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del menzionato decreto legislativo n. 14 del 2010. Il comma 5 disciplina gli acconti, prevedendo che le liquidazioni e i rimborsi di cui al comma 4 sono fatti prima della redazione del conto finale.
  Nelle more dell'adozione del regolamento attuativo, i singoli uffici giudiziari si sono dotati di specifiche regole diversamente ancorate alle previsioni del decreto ministeriale n. 140 del 2012 (con cui è stata disposta l'abolizione delle tariffe professionali e sono state fornite indicazioni per la liquidazione dei compensi relativi alle attività di amministrazione e custodia di beni e aziende sequestrate). In particolare, il decreto ministeriale n. 140 del 2012, in vigore dal 22 agosto 2012, ha fornito talune indicazioni per la liquidazione dei compensi relativi alle attività di amministrazione e custodia di beni e aziende sequestrate. L'impianto normativo in commento aveva natura transitoria, fino all'emanazione dello specifico decreto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 14 del 2010. I precetti contenuti nel decreto ministeriale n. 140 del 2012 avevano, pertanto, il precipuo scopo di fornire parametri oggettivi sulla base dei quali supplire all'abolizione delle tariffe professionali nella liquidazione giudiziale dei compensi. Numerose tuttavia sono state le incertezze interpretative che hanno caratterizzato i primi anni di applicazione del decreto: assenza di riferimenti per le amministrazioni di beni diversi dalle aziende; significato dei riferimenti al reddito lordo; mancata specifica della valenza temporale delle percentuali previste per le aziende; applicabilità alle liquidazioni e alle attività in corso alla data dell'entrata in vigore.
  Si è sviluppato quindi un nutrito dibattito giurisprudenziale e dottrinario sulla scelta dei criteri di determinazione del compenso dell'amministratore giudiziario rivelatosi uno dei temi più controversi nell'ambito della gestione dei sequestri giudiziari in sede penale.
  L'assenza di una normativa di riferimento univoca costituiva, infatti, una grave lacuna della legislazione in materia di amministrazione e gestione dei beni sequestrati che finiva con il creare disparità di trattamento a fronte di identiche prestazioni professionali.
  Successivamente, il regolamento attuativo di cui al decreto legislativo n. 14 del 2010 è stato approvato dal Consiglio dei ministri con il decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 7 ottobre 2015, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 2015, entrando in vigore il 25 novembre 2015 e recante le «modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari» con il quale sono state dettagliatamente elaborate le tariffe assumendo a riferimento le norme relative ai compensi spettanti al curatore fallimentare e al commissario giudiziale, sul presupposto della equiparabilità delle finalità gestorie dell'amministratore con quelle liquidatorie del curatore fallimentare.
  Infine, con riferimento al compenso dei curatori dell'eredità giacente, che deve essere liquidato al momento di cessazione della funzioni della curatela la legge, effettivamente non sono indicati i criteri per determinare concretamente il quantum spettante all'ausiliario del giudice.
  La giurisprudenza, al riguardo, si è dovuta esprimere di frequente ma solo con riferimento ai due aspetti della necessità del contraddittorio per l'istanza e del provvedimento di liquidazione del compenso e della impugnabilità di quest'ultimo direttamente in Cassazione ex articolo 111 Costituzione.

  Inoltre si registrano diversi orientamenti circa l'applicabilità o meno della normativa in materia di compensi a favore dei liquidatori fallimentari, oppure di quella specifica che disciplina la tariffa dell'ordine professionale di appartenenza.
  Allo stato, sulla base di quanto evidenziato, non vi sono allo studio proposte legislative ricognitive o innovative sul tema oggetto di interrogazione.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   DEIDDA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   l'Unione europea sostiene la produzione agricola dei Paesi della Comunità attraverso l'erogazione, ai produttori, di aiuti, contributi e premi che vengono gestiti dagli Stati membri attraverso gli organismi pagatori, istituiti ai sensi del regolamento (CE) n. 885/2006;

   con il decreto legislativo n. 165 del 1999 è stata istituita l'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) per lo svolgimento delle funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore e, in particolare, la medesima è incaricata: a) della vigilanza e del coordinamento degli organismi pagatori ai sensi del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio del 21 giugno 2005; b) della verifica di coerenza della loro attività rispetto alle linee-guida comunitarie; c) della promozione dell'applicazione armonizzata della normativa comunitaria e delle relative procedure di autorizzazione, erogazione e contabilizzazione degli aiuti comunitari da parte degli organismi pagatori, monitorando le relative attività;

   in tale ambito, l'Agea è anche l'organismo pagatore italiano e ha competenza per l'erogazione dei citati premi comunitari, mentre l'autorizzazione allo svolgimento delle funzioni di organismo pagatore, ai sensi dell'articolo 3, commi 2 e 3, del citato decreto legislativo n. 165 del 1999, ad altri organismi istituiti dalle regioni e province autonome deve essere disposta con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo;

   nell'ambito della regione Sardegna è stata istituita l'Argea quale strumento tecnico-specialistico di supporto all'amministrazione regionale nella materia delle politiche agricole, pesca e acquacoltura e, allo stato, la stessa Argea è in attesa del riconoscimento per l'esercizio delle funzioni di organismo pagatore dei fondi agricoli comunitari Feasr e Feaga;

   all'atto del riconoscimento in qualità di organismo pagatore per i fondi Feaga e Feasr, l'Agenzia assumerà, tra gli altri, i seguenti compiti: a) gestione del fascicolo aziendale anche attraverso la delega ad altri soggetti, nelle forme e nei limiti stabiliti dalla normativa; b) esecuzione dei pagamenti dei fondi agricoli comunitari Feasr e Feaga per l'erogazione ai richiedenti dell'importo autorizzato; c) contabilizzazione dei pagamenti e preparazione di sintesi periodiche di spesa, ivi incluse le dichiarazioni mensili, bimestrali e annuali destinate alla Commissione europea;

   il mancato riconoscimento, fino ad oggi, delle citate funzioni di organismo pagatore ha causato, ai danni dei soggetti interessati residenti e/o aventi sede in Sardegna, notevoli difficoltà, in quanto, in presenza di eventuali problemi burocratici connessi alla presentazione delle domande – il cui superamento è apparso assolutamente necessario al fine di poter ottenere il pagamento dei premi in questione – gli stessi soggetti sono stati costretti a recarsi presso gli uffici dell'organismo pagatore avente sede in Roma, con notevole dispendio di risorse economiche e di tempo;

   le funzioni di organismo pagatore sono state già riconosciute in favore di enti istituiti da altre regioni e, in ragione anche dello stato d'insularità della Sardegna e delle difficoltà di collegamento con la penisola, le stesse avrebbero già dovuto essere attribuite anche alla citata Argea, al fine di semplificare i connessi procedimenti amministrativi e rendere più agevole per i cittadini residenti in Sardegna la richiesta e il riconoscimento dei benefici comunitari –:

   quali iniziative intenda porre in essere al fine di procedere al riconoscimento in favore di Argea Sardegna delle funzioni di organismo pagatore, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2009.
(4-02905)

  Risposta. – Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame relativo al riconoscimento dell'agenzia regionale ARGEA Sardegna delle funzioni di organismo pagatore, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2009.
  La regione autonoma della Sardegna, al fine di dotarsi di un proprio organismo pagatore, con la legge regionale n. 13 dell'8 agosto 2006, ha previsto l'istituzione dell'agenzia regionale ARGEA Sardegna e, fin dal 2008, anche se in maniera discontinua e frammentaria, ha posto in essere varie attività finalizzate ad adeguare l'Agenzia ai criteri normativi previsti per operare quale organismo pagatore dei fondi FEAGA e FEASR.
  A decorrere dal 2016, la Regione ha progressivamente adeguato la struttura dell'agenzia per renderla conforme ai requisiti previsti dall'Allegato I del regolamento (UE) n. 907/2014 ed in grado di ottenere il riconoscimento di Organismo pagatore, assistita anche dai competenti uffici del Ministero, attraverso una costante collaborazione con i rappresentanti dell'ARGEA Sardegna in varie modalità ed occasioni, anche attraverso incontri tecnici e scambi di contatti informali; particolare attenzione è stata prestata, tra l'altro, a garantire la corretta ripartizione delle funzioni di organismo pagatore tra le varie sedi dell'ARGEA Sardegna, in relazione alle specificità dei criteri previsti dalla normativa in vigore, viste le criticità connesse proprio al decentramento territoriale dell'agenzia.
  In esito a detta attività preliminare, in data 8 agosto 2018, ARGEA Sardegna ha presentato la richiesta di ottenere il riconoscimento di organismo pagatore per le misure contemplate dal FEAGA SIGC e dal FEASR SIGC e non SIGC, alla direzione generale delle politiche internazionali e dell'Unione europea del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, quale autorità competente ai sensi dell'articolo 1 del regolamento (UE) n. 908/2014, che ha, a sua volta, avviato le procedure per la selezione del soggetto incaricato di effettuare l'esame di pre-riconoscimento previsto dalla citata normativa comunitaria e dal decreto ministeriale 20 novembre 2017.
  In data 8 novembre 2018 è stato, pertanto, affidato l'incarico alla società di revisione Mazars Italia Spa che, il 7 marzo 2019, ha fornito la relazione sull'attività svolta ed il giudizio sul rispetto dei criteri di riconoscimento da parte dell'ARGEA.
  Si è provveduto, altresì, ad acquisire il previsto avviso dell'AGEA-Coordinamento e a verificare il rilascio, da parte della stessa, dell'attestazione di idoneità del sistema informatico dell'ARGEA, procedendo, inoltre, nel mese di aprile 2019, ad uno specifico
audit per verificare in loco quanto realizzato dall'ARGEA per rispettare il più possibile i criteri di cui al citato allegato I.
  In esito all'espletamento di tale complessa attività istruttoria, è stata sia verificata la rispondenza dei requisiti dell'agenzia ai criteri di riconoscimento di cui all'Allegato I del regolamento (UE) n. 907/2014, pur manifestando alcune carenze non incidenti sulla regolarità delle operazioni oggetto di finanziamento dell'Unione europea, che ravvisata la necessità di procedere all'implementazione di attività finalizzate a migliorare talune specifiche condizioni in materia di dotazione di personale, di attività delegate a organismi terzi, di procedure di autorizzazione e di pagamento e di sicurezza dei sistemi di informazione.
  L'Amministrazione, pertanto, con il decreto direttoriale n. 2803 del 14 maggio 2019, ha rilasciato all'ARGEA il riconoscimento, a titolo provvisorio e a decorrere dal 16 ottobre 2019 (inizio dell'esercizio finanziario FEAGA/FEASR 2020), di organismo pagatore per la regione Sardegna per la gestione dei regimi di spesa di cui alla domanda unica, di cui al regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 e dello sviluppo rurale, di cui al regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 (PSR Sardegna 2014-2020).
  Va rilevato, inoltre, che ARGEA Sardegna è tenuta ad implementare le attività indicate nel decreto per migliorare le specifiche condizioni prima citate, secondo le modalità ed i termini prescritti, quali individuati in relazione alla risoluzione delle problematiche riscontrate.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo: Gian Marco Centinaio.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   un recente servizio giornalistico di una nota trasmissione televisiva ha portato ancora una volta alla ribalta lo stato di degrado del quartiere bergamasco di Zingonia, da anni ormai al centro di efferati fatti di cronaca;

   nel corso della trasmissione televisiva, in particolare, il conduttore e la sua troupe hanno documentato una vera e propria organizzazione dedita allo spaccio a cielo aperto di stupefacenti. Per tutta risposta, i pusher filmati hanno recapitato dei proiettili all'indirizzo del conduttore e della sua troupe, con chiaro intento intimidatorio;

   con numerosi atti di sindacato ispettivo, l'interrogante ha già più volte denunciato la situazione indecorosa in cui versa Zingonia. Il Ministro della difesa, peraltro, alla richiesta formulata dal firmatario del presente atto, con l'interrogazione n. 4-01577, di prevedere un incremento dei carabinieri in provincia di Bergamo, ha risposto che al momento non è percorribile il potenziamento auspicato delle risorse organiche;

   tale diniego appare per certi versi inspiegabile visto l'alto tasso di criminalità del quartiere sopra richiamato che, tuttavia, si trova in un punto strategico per l'economia della bergamasca –:

   se il Governo non intenda valutare l'opportunità di dispiegare un contingente di militari con compiti di vigilanza fissa, rientranti nella missione «Strade sicure», al fine sia di fornire un presidio di controllo fisso alle zone sensibili del territorio, sia di liberare indispensabili risorse di polizia e carabinieri da utilizzare nelle funzioni di contrasto alla criminalità, visto che, secondo quanto dichiarato dal ministro della difesa, non verranno implementate ulteriori risorse sul piano della sicurezza nel territorio bergamasco, nonostante l'elevazione a tenenza del presidio di Zingonia.
(4-02439)

  Risposta. — Il piano d'impiego dell'operazione «Strade Sicure», approvato con decreto del Ministro dell'interno di concerto con quello della Difesa, pone a disposizione dei prefetti un contingente di 7050 militari, distribuiti su tutto il territorio nazionale, per il concorso alle Forze di polizia nella prevenzione e contrasto alla criminalità e al terrorismo, attraverso la vigilanza a siti e obiettivi sensibili.
  Nell'ambito di tale operazione la Difesa attualmente impiega nella regione Lombardia circa 900 militari, dei quali 25 nell'area di Bergamo, per la vigilanza dell'aeroporto di Orio al Serio.
  Al riguardo, pur non sussistendo da parte della Difesa preclusioni di sorta ad eventuali rimodulazioni del dispositivo entro il tetto massimo di unità impiegate nell'operazione, rappresento di aver appreso dal Ministero dell'interno che dagli esiti di una recente riunione di coordinamento delle locali Forze di polizia non è emersa, allo stato, la necessità di impiegare personale militare nell'area di Zingonia.
  In tale comprensorio, ha dettagliato il Dicastero, la situazione è alla costante attenzione della prefettura di Bergamo che, attraverso il coordinamento tra Forze di polizia e amministrazioni locali, ha promosso una linea improntata al massimo sforzo operativo, teso ad intensificare l'attività di prevenzione e repressione delle fenomenologie delittuose che caratterizzano l'area, tra le quali lo spaccio di sostanze stupefacenti.
  Nel quadro di tale impegno, dal 2016 ai primi mesi del 2019 l'Arma dei carabinieri ha svolto molteplici operazioni ad alto impatto, mirate soprattutto al contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti e dell'immigrazione clandestina.
  Inoltre, l'elevazione a «Tenenza» della stazione Carabinieri di Zingonia, il 10 gennaio 2019, e il conseguente incremento organico dell'Arma, hanno consentito di accrescere l'attività di prevenzione e di controllo del territorio, consentendo altresì di attivare, nell'area critica di Piazza affari del comune di Verdellino, un presidio fisso giornaliero a cura dell'Arma.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   FRASSINI, RIBOLLA e BELOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con l'interrogazione n. 4-00348 presentata in data 5 giugno 2018, l'interrogante chiedeva conto al Governo della carenza di personale presso l'ufficio della motorizzazione civile della città di Bergamo, a seguito di lamentele e disagi raccolti dagli utenti nell'evasione delle pratiche;

   per far fronte a tale situazione si è intervenuto dapprima a livello strutturale, aumentando la potenzialità delle aule adibite allo svolgimento degli esami quiz informatizzati: dal 5 luglio 2018 il numero dei posti utili per aula è passato da 14 a 30;

   riguardo alla carenza del personale, in risposta alla interrogazione richiamata, il Ministro dichiarò che:

    era stato recentemente bandito un concorso per la figura professionale di funzionario ingegnere, di cui sei destinati alla motorizzazione di Bergamo e alle relative sezioni di Como, Lecco e Sondrio;

    sarebbe stato garantito l'impiego di due operatori alla settimana messi a disposizione dalla sede centrale di Roma;

   nonostante tali rassicurazioni, la situazione rispetto allo scorso anno non è ancora mutata: il numero degli esami calendarizzati dalla Motorizzazione per carenze di personale è diminuito ancor di più e, di conseguenza, i tempi per fare la patente (in media 10 mesi) sono aumentati;

   a breve inoltre andranno in pensione 3 persone di cui 2 esaminatori e ciò comporterà un ulteriore calo di personale e un inevitabile aumento dei disagi per gli utenti –:

   se e quali iniziative di competenza si intendano celermente adottare per risolvere la situazione di cui in premessa, al fine di garantire all'utenza tempi ragionevoli di attesa;

   rispetto al bando nazionale di concorso citato in premessa, se si intenda chiarire quanto tempo trascorrerà dall'assunzione all'effettiva immissione in servizio e se l'impiego presso la motorizzazione civile di Bergamo di due operatori a settimana messi a disposizione dalla sede centrale di Roma sia stato effettivamente perfezionato.
(4-03000)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni al riguardo acquisite dalla direzione generale del personale e degli affari generali, si riferiscono i seguenti elementi di risposta.
  Corre l'obbligo di precisare, in premessa, che sono due le unità di personale in servizio presso l'ufficio della motorizzazione civile di Bergamo (UMC Bergamo), peraltro non appartenenti alla categoria di esaminatore e/o tecnico, che hanno avanzato richiesta di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, l'uno a far data dal 1° settembre 2019 e l'altro dal 1° gennaio 2020.
  Tanto premesso, per quanto attiene al primo quesito formulato, concernente la ragionevolezza dei tempi di attesa dell'utenza interessata alle sedute di quiz informatizzati a valle della ipotizzata riduzione organica, vale la pena evidenziare che il numero dei candidati prenotati nelle predette sedute nei primi sei mesi del corrente anno non risulta in calo, atteso che, nel mese di gennaio sono stati svolti 1.500 quiz informatizzati, a febbraio 1.848, a marzo 1.578, ad aprile 2.072, a maggio 1.904 e nel mese di giugno 1.848.
  Tenuto conto del rilevato
trend costante, pertanto, per il mese di luglio è stata stimata una misura di 1.848 posti.
  Analogamente, circa le prenotazioni degli esami di guida per il conseguimento delle patenti di categoria «A» e «B», si informa che sono state 1.071 nel mese di gennaio, 1.458 a febbraio, 1.521 a marzo, 1.266 ad aprile, 1.698 a maggio e 1.731 a giugno, con fondata previsione di 1.188 posti per il mese di luglio.
  Cionondimeno, al di là dei dati sopra richiamati, è appena il caso di confermare che, il 30 maggio 2019, il direttore generale territoriale competente, in visita ad UMC Bergamo per verificare le problematiche segnalate dal personale ivi assegnato, oltre a fare il punto sulle nuove assunzioni in atto, ha esaminato positivamente la proposta dei dipendenti concernente l'invio di ulteriore personale tecnico ed esaminatore proveniente, secondo opportuna turnazione, dalle sezioni coordinate da UMC di Bergamo, dalla direzione generale territoriale Nord-Ovest e dalla sede centrale.
  Detto intervento, che realizza una iniziativa di carattere eccezionale, consegue un doppio obiettivo, in quanto non solo consente di incrementare il numero delle attività che sarà possibile eseguire, ma assicura anche una correlata riduzione dello straordinario frattanto accumulato del personale tecnico ed esaminatore in forza ad UCM Bergamo.
  Relativamente al secondo quesito posto, poi, si informa che la procedura concorsuale per l'assunzione di 148 ingegneri sta avendo regolare corso.
  In tal senso, le prove preselettive si sono svolte a novembre dell'anno precedente, a febbraio ultimo scorso hanno avuto luogo le prove scritte ed è recentemente terminata la fase di correzione degli elaborati, pertanto a breve sarà possibile concludere le prove orali e procedere all'assunzione dei candidati dichiarati vincitori, di cui 6 unità saranno destinate alle esigenze funzionali di UCM Bergamo e diverse altre a Milano ed uffici limitrofi.
  Si coglie l'occasione per rammentare, infine, che questo organo di vertice procederà, a stretto giro, all'assunzione di ulteriori funzionari ingegneri ed architetti mediante l'intrapreso scorrimento di graduatorie già in essere; tra questi, 2 unità verranno assegnate al predetto ufficio, 2 ad UMC Brescia e 3 ad UMC Milano.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   FRATOIANNI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 2 febbraio 2019, a seguito delle intense piogge e della scarsa manutenzione da parte di Anas, in prossimità della località di Pavana si è verificato un grosso smottamento della strada statale 64 Porrettana, che collega Pistoia a Bologna;

   la strada è stata interamente chiusa alla circolazione, la viabilità alternativa è interdetta ai mezzi superiori a 35 quintali ed è rappresentata da due tracciati distinti;

   il primo è la vecchia strada comunale che passa all'interno dell'abitato di Pavana e che, essendo inidonea a sopportare il flusso di traffico veicolare che percorreva la statale, è utilizzata per un lungo tratto in senso unico alternato;

   tale condizione crea enorme caos specialmente durante il fine settimana, con proteste da parte degli abitanti e il timore che il sindaco possa interdire il traffico ai non residenti;

   il secondo tracciato utilizza due strade provinciali (la strada provinciale 52 e la strada provinciale 51) seguendo un percorso di montagna, che sale fin sul crinale per poi ridiscendere a monte della frana e che, oltre ad essere tortuoso, è più lungo di 7/8 chilometri; a causa di una vecchia frana sulla quale la provincia di Pistoia non è mai intervenuta, anche un tratto della strada provinciale 52 è a senso unico alternato;

   in verità ci sarebbe anche la strada statale 632 Traversa di Pracchia che da Ponte Petri porta a Ponte della Venturina, aggirando completamente la valle della Limentra di Sambuca (dove abitano molte persone), utile soprattutto per chi va da Pistoia a Bologna, ma è molto più lunga, poco agevole e con un tratto a senso unico alternato per una frana avvenuta lo scorso anno;

   in questi mesi si sono svolti alcuni incontri presso la prefettura di Pistoia ai quali hanno partecipato i comuni toscani interessati (Pistoia e Sambuca), l'Anas e la regione Toscana;

   l'Anas aveva promesso il ripristino della strada statale 64 Porrettana entro il mese di aprile, ma in realtà si sarebbe attivata con molto ritardo, tant'è che l'autorizzazione paesaggistica per l'avvio del cantiere, trattandosi di una zona vincolata, è stata richiesta solo il 15 aprile e consegnata, in tempi record, alla fine di aprile;

   nonostante ci siano tutte le autorizzazioni e un finanziamento di 3 milioni di euro, pare che Anas non riesca ad aprire il cantiere prima di giugno 2019;

   Sambuca Pistoiese è una terra di confine tra Toscana ed Emilia e a causa della chiusura della strada statale 64 le attività commerciali sono in profonda sofferenza;

   secondo Confcommercio da quando la strada è chiusa i ricavi sarebbero diminuiti del 40 per cento;

   altrettanti disagi li vivono le poche aziende locali che, costrette a utilizzare il percorso autostradale da Sasso Marconi per il transito dei mezzi sopra i 35 quintali, hanno aumentato i costi per il trasporto dei loro prodotti;

   anche il trasporto pubblico che collega Pistoia e Porretta Terme subisce continue limitazioni e ritardi;

   il timore è che con l'inizio dei lavori a giugno questi si protraggano per l'intera estate, compromettendo in maniera definitiva l'attività turistica, essenziale per l'economia di quel territorio –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Governo affinché vi siano tempi certi e brevi per il ripristino della strada statale 64 Porrettana, oltre alla certezza delle risorse necessarie al completamento dei lavori;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere affinché l'Anas provveda a una maggiore pianificazione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria da effettuare con costanza su tutta la rete stradale della zona;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere a supporto della fragile economia che ruota attorno alla strada statale messa a dura prova dallo smottamento del mese di febbraio 2019.
(4-02909)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni al riguardo acquisite dalla società ANAS e dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Circa il primo quesito formulato, la predetta società ha comunicato di aver ultimato la progettazione dei lavori urgenti di ripristino del corpo stradale franato dalla strada statale 64 Porrettana, in relazione ai quali si è resa necessaria una preliminare fase di inquadramento geologico del sito, attuato mediante una specifica campagna geognostica che ha richiesto l'esecuzione di indispensabili rilievi topografici e geologici.
  Ciò posto, i lavori sono stati avviati lo scorso 11 giugno e si stima che la strada verrò riaperta al traffico, a senso unico alternato, entro il prossimo mese di agosto; mentre l'apertura del tratto in entrambi i sensi di marcia sarà possibile entro dicembre del corrente anno.
  Quanto alle risorse necessarie, poi, che ammontano ad un importo di circa 3,5 milioni di euro, si informa che sono state ascritte al fondo «Danni ed Emergenze».
  In merito al secondo quesito posto, ANAS ha precisato che lungo l'arteria di mirato interesse, nell'anno in corso, sono già stati eseguiti degli interventi e si prevede lo svolgimento anche di ulteriori lavori che, tra manutenzione ordinaria e straordinaria, realizzeranno un investimento complessivo pari a 4,6 milioni di euro.
  Tra questi, a titolo esemplificativo, è stato recentemente completato l'intervento di manutenzione straordinaria per il risanamento della sovrastruttura stradale, in tratti saltuari, tra il chilometro 3+450 e il chilometro 31+110 e risulta già intrapreso l'allestimento dei medesimi lavori tra il chilometro 0+800 e il chilometro 12+600.
  Infine, con riguardo all'ultimo quesito, ho sollecitato ANAS affinché adempia in modo tempestivo e puntuale agli obblighi assunti, nel contempo sto valutando di intraprendere ogni opportuna linea di attività idonea ad alleviare i disagi della collettività.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   GALLO, PARENTELA, SARLI, SPORTIELLO, TESTAMENTO, DI LAURO, MANZO, DEL SESTO e GRIPPA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   le ville vesuviane sono costituite da un complesso di 122 dimore settecentesche, presenti tra le campagne e la costa del golfo di Napoli, nei territori compresi da S. Giovanni a Teduccio a Torre Annunziata e realizzate da noti architetti del 700, tra cui Luigi Vanvitelli e Ferdinando Fuga, che hanno dato vita a opere uniche, prevalentemente in stile tardo barocco;

   la Fondazione Ente ville vesuviane ha lo scopo di conservare e salvaguardare il notevole patrimonio architettonico ed ambientale delle ville vesuviane del XVIII secolo;

   la Fondazione ha sottoposto al Ministero per i beni e le attività culturali un piano strategico annuale delle attività che si intendono svolgere non solo presso le ville sotto la propria tutela, ma anche presso strutture di diversi comuni, che permette di riscoprire anche le dimore di proprietà di soggetti privati, situate in tutto il territorio;

   da anni sono note le condizioni di degrado in cui versa Villa Letizia, una delle monumentali ville del Miglio d'Oro, e il mancato rispetto delle norme di tutela e controllo del patrimonio culturale da parte delle istituzioni preposte;

   tale degrado vide il proprio inizio con i lavori post terremoto, quando le due dipendenze gemelle della Villa, site nei giardini laterali, vennero separate dalla stessa, a seguito della distruzione dei muretti laterali e della loro sostituzione con mura più alte, queste caratterizzate da elementi architettonici delle mura posteriori di confine;

   i lavori di recupero della Villa Letizia sono sempre stati considerati come una straordinaria opportunità per realizzare «un intervento di grande rilevanza sociale e culturale»; una concreta valorizzazione della Villa richiede un notevole impegno di tutti gli attori coinvolti e la necessità di attribuire ad essa una finalità educativa. Al riguardo, si ricordi che in tale area vi è la più alta percentuale registrata di bambini sotto i 5 anni, il cui percorso di formazione potrebbe essere valorizzato grazie al recupero della Villa e alla conoscenza del sito –:

   se il Ministro interrogato ritenga necessario mettere in atto iniziative volte a rafforzare la conservazione delle ville, prevedendo lo stanziamento di ulteriori risorse per la Fondazione Ente ville vesuviane con lo scopo, anche attraverso l'acquisizione delle dimore, di ampliare il numero di edifici monumentali sotto la sua diretta gestione e tutelare dimore di unico valore, come la citata Villa Letizia di Napoli e la Reggia di Portici;

   se ritenga importante adottare iniziative affinché la Fondazione possa esprimere un parere in merito agli eventi previsti nelle ville vesuviane che non siano sotto la propria diretta tutela e gestione, al fine di garantire una maggior tutela;

   quali iniziative intenda adottare per poter attuare il piano strategico annuale proposto dalla Fondazione, opportunamente coordinato e in armonia con le finalità e gli interventi previsti dal Grande Progetto Pompei e dalla risoluzione n. 8/00006 approvata dalla VII Commissione della Camera dei deputati l'8 novembre 2018, comprese le programmazioni di carattere culturale, artistico e musicale di respiro internazionale;

   se intenda adottare iniziative per prevedere risorse ordinarie per la Fondazione oltre a quelle stanziate dalla regione, valutando il possibile inserimento della Fondazione medesima tra le istituzioni beneficiarie del decreto interministeriale di ripartizione dei contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi relativi al prossimo anno finanziario;

   quali urgenti iniziative intenda adottare per valorizzare Villa Letizia e se tra queste intenda considerare delle iniziative di respiro internazionale da svolgersi al suo interno, per favorire contestualmente la rinascita di un territorio noto purtroppo per il degrado che l'assenza istituzionale trasforma in un perfetto pabulum a favore della criminalità.
(4-03428)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto di conoscere quali iniziative e misure questo Ministero intende adottare per la miglior tutela delle ville vesuviane, ed in particolare di Villa Nasti, meglio conosciuta come Villa Letizia che versa in condizione di degrado.
  Nell'atto parlamentare si pone l'accento sull'attività demandata alla «Fondazione Ville Vesuviane» che «ha lo scopo di conservare e salvaguardare il notevole patrimonio architettonico ed ambientale delle ville vesuviane del XVIII secolo» e, quindi, sulla possibilità di fare ricorso alla Fondazione, incrementandone le risorse finanziarie, allo scopo di rafforzare la conservazione e valorizzazione delle ville, ampliando il numero di edifici sotto la diretta gestione della Fondazione.
  Si rammenta che la Fondazione ente ville vesuviane è il risultato della trasformazione in ente con personalità giuridica di diritto privato sottoposto alla vigilanza di questo Ministero (avvenuta nel 2009 ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419) del consorzio di diritto pubblico «Ente Ville Vesuviane» (ente pubblico non economico istituito con la legge n. 578 del 1971, tra Stato, regione Campania, provincia di Napoli e i comuni vesuviani di Napoli, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco), a cui è la Fondazione subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi.
  La Fondazione non persegue fini di lucro ed ha lo scopo di provvedere alla conservazione, al restauro e alla valorizzazione del patrimonio artistico costituito dalle centoventidue ville vesuviane del secolo XVIII, con i relativi parchi e giardini, ricompresi in appositi elenchi redatti ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 578 del 1971.
  Lo Statuto dell'Ente, infatti, approvato con decreto ministeriale 16 luglio 2009, dispone che:

   la Fondazione ente ville vesuviane non persegue scopo di lucro ed ha lo scopo di provvedere alla conservazione, al restauro e alla valorizzazione del patrimonio artistico costituito dalle ville vesuviane del secolo XVIII, con i relativi parchi e giardini, di cui abbia la legittima disponibilità e che siano ricomprese negli elenchi redatti ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 578 del 1971 ed approvati con i decreti ministeriali 19 ottobre 1976 e 7 febbraio 2003;

   la Fondazione provvede alla conservazione ed al restauro degli immobili medesimi, a termini dell'articolo 29 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), previa autorizzazione ai relativi interventi espressa, nei modi di legge, dai competenti uffici del Ministero e nel rispetto delle procedure stabilite in materia dallo stesso Codice;

   la Fondazione provvede a destinare gli immobili medesimi alle finalità per essi stabilite dall'articolo 2 della legge n. 578 del 1971: biblioteche, sale di lettura, musei, luoghi espositivi per mostre d'arte, ferma restando, per la destinazione di detti immobili ad altri usi compatibili «con la (loro) natura di bene artistico» la necessità della preventiva autorizzazione dei competenti uffici ministeriali preposti alla tutela;

   gli immobili di cui al comma 2, salvo in ogni caso il disposto di cui agli articoli 53 e 54 del Codice, non possono essere alienati o gravati da diritti a favore di terzi se non in base ad espressa e specifica autorizzazione del Ministero, ai sensi della vigente normativa in materia di tutela del patrimonio culturale. Gli atti adottati senza la preventiva autorizzazione dei competenti organi ministeriali non possono essere trascritti e sono nulli di pieno diritto;

   la Fondazione promuove studi e pubblicazioni e sostiene le attività di carattere istruttivo ed educativo, finalizzate alla conoscenza e fruizione delle ville vesuviane, nei campi del turismo e dello spettacolo ed in ogni altro campo che sia attinente ai compiti istituzionali;

   è fatto divieto di svolgere attività diverse da quelle istituzionali;

   il patrimonio della Fondazione è formato dai beni costituenti il patrimonio già del Consorzio «Ente per le Ville Vesuviane», e che comunque i suoi beni sono assoggettati alle limitazioni di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 419 del 1999;

   il patrimonio della Fondazione potrà venire incrementato con altre dotazioni, mobiliari e immobiliari, costituite da donazioni, disposizioni testamentarie a titolo di eredità o di legato, oblazioni, nonché da parte degli enti pubblici e privati e da parte di quanti apprezzino e condividano gli scopi della Fondazione ed abbiano volontà di contribuire al loro conseguimento;

   per l'adempimento dei suoi compiti, la fondazione dispone di redditi derivanti dal suo patrimonio; di ogni eventuale contributo od erogazione da parte di terzi, compresi enti pubblici e privati, destinati all'attuazione degli scopi statutari e non espressamente destinati all'incremento del patrimonio; di introiti derivanti da eventuali attività, anche connesse o accessorie a quelle istituzionali, svolte dalla Fondazione, di conferimenti dei soggetti fondatori.

  Si rammenta, inoltre, che il Ministero esercita sulla Fondazione ville vesuviane – per il tramite della direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio – l'attività di vigilanza prevista dall'articolo 1 dello statuto, garantendo, ai sensi delle vigenti disposizioni normative, il corretto assolvimento degli adempimenti contabili ed amministrativi, anche con riferimento alle prescrizioni in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione.
  Per quanto riguarda la richiesta di stanziamento di ulteriori risorse alla Fondazione, si rappresenta che non sono previsti contributi ordinari da parte del Ministero.
  Con un decreto ministeriale del 5 aprile 2018, il Ministero ha stanziato e destinato alla stessa, in via straordinaria, ai sensi dell'articolo 1 comma 317, della legge n. 205 del 2017 euro 50.000,00 per l'anno 2018 per assicurare il funzionamento della Fondazione e al fine di rafforzare la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale interessato.
  Secondo quanto riportato dalla stampa locale, Villa Letizia (che come è noto è di proprietà del comune di Napoli) è al momento destinataria di un progetto per il recupero del parco esterno redatto dal servizio attività tecniche della VI municipalità.
  I lavori, per un totale di trentasettemila euro, riguarderebbero la realizzazione del muro di recinzione più volte vandalizzato e il ripristino delle condizioni di sicurezza del parco: pulizia degli spazi e dei tombini, ripristino delle caditoie rubate, installazione di fontanelle, panchine e cestini portarifiuti.
  Il progetto dovrebbe prevedere inoltre interventi di diserbo, potatura e rivalorizzazione delle numerose essenze arboree presenti nei ventimila metri quadrati di verde davanti all'edificio di Villa Letizia,
  A tale proposito, si richiama la raccomandazione della Corte dei Conti sezione del controllo sugli enti che, nella recente determinazione del febbraio scorso, ha invitato le Fondazioni a «potenziare la ricerca di risorse proprie mediante adeguate strategie che portino ad una conoscenza maggiore del patrimonio artistico e riescano ad attirare fondi anche mediante sponsorizzazioni dal mondo dell'imprenditoria privata».
  Si sottolinea, comunque, che questo Ministero vede con favore e promuoverà, nell'ambito della propria competenza, qualunque accordo interistituzionale finalizzato all'effettivo potenziamento della tutela e valorizzazione di quelle ville vesuviane che, come nel caso di Villa Letizia, pur essendo ricomprese negli elenchi redatti ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 578 del 1971 ed approvati con i decreti ministeriali 19 ottobre 1976 e 7 febbraio 2003, non essendo nella legittima disponibilità della Fondazione vigilata dal Ministero, rischiano di veder pregiudicati quegli strumenti finalizzati al loro effettivo recupero strutturale e funzionale che l'istituzione dell'ente pubblico non economico, a suo tempo disposta con la legge n. 578 del 1971, avrebbe voluto realizzati.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Gianluca Vacca.


   LOVECCHIO, AMITRANO, NESCI, PENNA e NAPPI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207, recante attuazione della delega di cui all'articolo 2, comma 43, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in materia di erogazione di un indennizzo per la cessazione dell'attività commerciale istituisce, all'articolo 1, «un indennizzo per la cessazione definitiva dell'attività commerciale ai soggetti che esercitano, in qualità di titolari o coadiutori, attività commerciale al minuto in sede fissa, anche abbinata ad attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovvero che esercitano attività commerciale su aree pubbliche»;

   in molte delle leggi finanziarie emanate negli anni successivi, la misura in questione, è stata prorogata. Suddetta proroga però, non è avvenuta negli anni 2017 e 2018. La legge di bilancio del 2019, ai commi 283 e 284, ha invece reintrodotto l'indennizzo facendolo divenire una misura strutturale e prevedendo conseguentemente la stabilizzazione del contributo aggiuntivo dello 0,09 per cento destinato, in parte (0,07 per cento), al fondo per la razionalizzazione della rete commerciale. Il contributo è previsto fino al raggiungimento dell'età per la pensione di vecchiaia;

   i requisiti necessari per usufruire del contributo sono: aver compiuto i 62 anni di età, se uomo, oppure 57, se donna, essere iscritto/a al momento della cessazione dell'attività da almeno cinque anni alla gestione Inps commercianti. È inoltre necessario cessare definitivamente l'attività previa consegna in comune della licenza e previa comunicazione al comune della cessazione dell'attività;

   la circolare n. 77 del 24 maggio 2019 dell'Inps specifica che l'indennizzo è previsto a decorrere dal 1° gennaio 2019, ma non specifica la retroattività. Conseguentemente, rimarrebbero esclusi tutti coloro che hanno chiuso le loro attività nel biennio 2017/2018 e che hanno pagato, negli anni precedenti alla chiusura del loro esercizio commerciale il contributo dello 0,09 per cento destinato al fondo per la razionalizzazione della rete commerciale;

   nella suddetta circolare viene inoltre specificato che l'indennizzo per la cessazione dell'attività commerciale, introdotto dalla legge di bilancio 2019, è concesso dall'Istituto nei limiti della disponibilità delle risorse del fondo per la razionalizzazione della rete commerciale e che quindi, nel caso in cui ci fosse l'esaurimento delle risorse e il mancato adeguamento dell'aliquota contributiva, prevista dal comma 284 della legge n. 145 del 2018, non saranno prese in considerazione ulteriori domande di indennizzo secondo le modalità stabilite al comma 5 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 207 del 1996;

   considerato che per coloro che hanno chiuso la loro attività commerciali non è prevista disoccupazione e, la possibilità di trovare un nuovo lavoro è minima anche in relazione all'età dei soggetti in questione, si rischierebbe di causare una grande ingiustizia –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere affinché possano rientrare nella misura reintrodotta dalla legge di bilancio per il 2019, anche coloro che hanno cessato la propria attività commerciale nel biennio 2017/2018, rimanendo esclusi dall'indennizzo per la cessazione definitiva dell'attività commerciale, nonostante, negli anni precedenti, abbiano versato i contributi al fine di poter ottenere l'indennizzo in questione.
(4-03196)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si svolgono talune considerazioni preliminari, utili a comprendere il quadro normativo nel quale l'indennizzo, previsto dall'articolo 1 del decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207, con riferimento alle ipotesi di cessazione dell'attività commerciale, si inserisce.
  Si rappresenta, come pure evidenziato dall'interrogante, che l'erogazione dell'indennizzo in parola è subordinata alla cessazione dell'attività commerciale, alla riconsegna dell'autorizzazione, nonché alla cancellazione del soggetto titolare dell'attività dal registro degli esercenti il commercio e dal registro delle imprese.
  Alla data della presentazione della domanda, i beneficiari devono, inoltre, avere più di 62 anni di età, se uomini, ovvero più di 57 anni di età, se donne, e devono essere iscritti da almeno 5 anni nella gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali presso l'INPS.
  Dal punto di vista storico, dopo il decreto legislativo n. 207 del 1996, che istituì l'indennizzo per il periodo compreso tra il primo gennaio 1996 ed il 31 dicembre 1998, la legge che, in un secondo momento, ha riaperto i termini per la presentazione delle domande di indennizzo è stata la legge 28 dicembre 2001, n. 448, articolo 72, che ha previsto l'applicazione della misura per il periodo compreso tra il primo gennaio 2002 ed il 31 dicembre 2004, senza contemplare, tuttavia, un'efficacia retroattiva della misura.
  Analoga situazione si è verificata nel passaggio tra la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (articolo 1, comma 272) che ha reintrodotto l'indennizzo per il periodo compreso tra il primo gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2007 e la successiva legge 28 gennaio 2009, n. 2 (articolo 19-
ter), che ha previsto l'indennizzo medesimo a far data dal primo gennaio 2009 fino al 31 dicembre 2011.
  Dalla ricostruzione che precede si evince che eventuali periodi non coperti dalla misura in parola, nel susseguirsi degli interventi normativi, non rappresentano un fatto nuovo.
  Ad ogni modo, a riprova definitiva del fatto che la problematica è stata oggetto di massima attenzione da parte del Governo, per effetto dell'articolo 1, commi 283 e 284, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, a decorrere dal primo gennaio 2019 l'indennizzo in parola è diventato misura strutturale. Conseguentemente, è stato stabilizzato l'obbligo di versamento, per gli iscritti alla predetta gestione pensionistica, del contributo aggiuntivo dello 0,09 per cento destinato, in parte, al fondo che finanzia l'indennizzo stesso.
  Essendo divenuta misura strutturale non ci saranno, dunque, in futuro dei vuoti di tutela, ma verrà al contrario sempre garantita la fruizione del beneficio in parola.
  Detto questo tengo però a precisare, conclusivamente, che il quesito posto dagli interroganti vale senz'altro ad attirare l'attenzione del Governo sul tema, perché, anche questo mi preme ribadire, la consapevolezza di aver compiuto un passo significativo non induce certo a rinunciare alla possibilità di compierne ulteriori, ove si riveli possibile, nella direzione di un miglioramento del sistema, ivi compreso un eventuale intervento normativo. In tal senso mi impegno ad effettuare tutte le necessarie verifiche.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Claudio Durigon.


   UBALDO PAGANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il rapporto dell'osservatorio di Antigone, presentato in Senato il 16 maggio 2019, restituisce un quadro allarmante di affollamento carcerario in Italia, che si attesta in media a un tasso del 120 per cento, con punte massime in Puglia (160,5 per cento) e in Lombardia (138,9 per cento);

   tra i 42 gli istituti di pena con un tasso di affollamento superiore al 150 per cento, il carcere di Taranto, con un tasso del 199,7 per cento, è quello con la percentuale di affollamento più alta d'Italia. Difatti, a fronte di 306 posti disponibili risultano attualmente reclusi 612 detenuti, collocati in 282 celle;

   sono sempre più frequenti le notizie di suicidi e tentativi di suicidio nelle carceri italiane;

   il 17 maggio 2019 un detenuto recluso nel carcere di Taranto ha tentato di impiccarsi con una corda rudimentale e solo grazie all'intervento del personale di polizia penitenziaria, la vicenda non ha avuto un tragico epilogo;

   nella casa circondariale di Taranto si segnalano da tempo preoccupanti carenze negli organici dei vari ruoli della polizia penitenziaria, nonché nelle équipe di educatori;

   la Costituzione italiana e le leggi vigenti assicurano alle persone detenute, sebbene limitate della propria libertà personale, la titolarità di alcuni imprescindibili diritti: il principio della pari dignità sociale e il principio personalistico (articolo 2 della Costituzione) impediscono, infatti, di considerare il carcere come luogo in cui vige un regime di extraterritorialità rispetto alle garanzie fondamentali assicurate dallo Stato;

   inoltre, per espresso dettato dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Fondamento che viene ripreso e sancito dalla legge 26 luglio 1975, n. 364 (legge di riforma dell'ordinamento penitenziario), ispirata ai principi di umanità, rispetto della dignità della persona, esclusione delle discriminazioni, restrizioni limitate alle esigenze di disciplina e ordine, proiezione verso il reinserimento sociale e individualizzazione del trattamento;

   vi sono poi i diritti fondamentali riconosciuti da altre norme della Costituzione quale patrimonio di tutti gli esseri umani, quindi anche quali diritti dei detenuti, e che lo Stato in virtù dell'articolo 2 Cost. deve assicurare ad ogni persona, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;

   il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione), parimenti, è assicurato ad ogni persona indipendentemente dalla condizione di libertà o detenzione;

   con decreto del Ministro della giustizia del 5 dicembre 2012, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2012, n. 136, è stato inoltre stabilito il contenuto della «Carta dei diritti dei detenuti e degli internati» di cui all'articolo 69, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, secondo cui il detenuto ha diritto a uno spazio adeguato, non solo al fine di garantire parametri di igiene e salubrità all'interno delle strutture penitenziarie, ma anche allo scopo di assicurare che la pena non si traduca in un trattamento inumano e degradante;

   la realtà delle carceri italiane dimostra, in molti contesti, una palese violazione dei diritti dei detenuti e delle leggi sopra richiamate –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per risolvere la preoccupante questione del sovraffollamento delle carceri italiane e ristabilire un regime di normalità e tutela dei diritti dei detenuti;

   se e quali iniziative intenda promuovere per garantire uno standard di ordine e di sicurezza nel carcere di Taranto, quale conteso carcerario maggiormente in difficoltà di tutto il Paese.
(4-03054)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, nel fare riferimento al tasso di affollamento carcerario in Italia, ed in particolare alla casa circondariale di Taranto, dove il 17 maggio 2019 un detenuto ha tentato il suicidio e dove si segnalano da tempo preoccupanti carenze di organico, chiede di sapere quali iniziative il Ministro della giustizia intenda intraprendere per risolvere la preoccupante questione del sovraffollamento delle carceri italiane e ristabilire un regime di normalità e tutela dei diritti dei detenuti; se e quali iniziative intenda promuovere per garantire uno standard di ordine e di sicurezza nel carcere di Taranto, quale contesto carcerario maggiormente in difficoltà di tutto il Paese.
  Secondo i dati aggiornati al 16 luglio 2019, il numero complessivo dei detenuti nelle carceri italiane è pari a 60.320 su 46.782 posti regolamentari disponibili, per un tasso di affollamento che si attesta sul 128,94 per cento.
  Tale indice medio raggiunge le sue punte estreme nel distretto di Puglia e Basilicata ed in quello della Lombardia.
  Presso la casa circondariale di Taranto sono ristretti, allo stato, un totale di n. 594 soggetti (di cui, n. 85 ascritti al circuito detentivo «Alta Sicurezza»), rispetto a una capienza regolamentare pari a complessivi n. 306 posti disponibili, rilevandosi un indice percentuale di affollamento pari al 194,12 per cento tra i più elevati del Paese.
  A beneficio di un più corretto inquadramento del problema, occorre comunque prendere le mosse da una considerazione preliminare.
  Il tasso di affollamento, nel nostro Paese, è calibrato in base ad un indice dimensionale stabilito in 9 metri quadri per singolo detenuto, come da circolare del 17 novembre 1988 del Ministero della giustizia, emessa sulla base di un decreto del Ministero della salute del 5 luglio 1975.
  Questo indice dimensionale risulta superiore sia rispetto a quello di 3 metri quadri con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo individua la soglia minima al di sotto della quale può configurarsi il trattamento inumano e degradante sia rispetto ai parametri adottati da molti altri Paesi europei.
  Ne consegue che, allineandosi, in ipotesi, a parametri meno stringenti rispetto a quelli italiani, il problema dell'affollamento carcerario assumerebbe una portata sensibilmente più ridotta.
  Tanto premesso in linea generale, va comunque rimarcata la particolare sensibilità di questo Ministero al problema dell'affollamento carcerario ed il fermo proposito di perseguire rimedi concreti ed incisivi che muovono innanzitutto nella direzione dell'incremento qualitativo e quantitativo della capienza detentiva, a garanzia del principio di certezza della pena, svilito dall'acritico ricorso a provvedimenti svuotacarceri che pongono anche seri problemi in termini di sicurezza collettiva, rimettendo in libertà soggetti che non hanno ancora compiuto o completato un adeguato percorso di riabilitazione.
  Il piano di rilancio dell'edilizia penitenziaria, è sorretto sia dal significativo stanziamento di risorse economiche per l'anno in corso, pari a 13 milioni di euro per gli investimenti ed a 23,6 milioni di euro per manutenzione ordinaria e riparazioni, che dal decreto-legge Semplificazione, ossia il decreto-legge, 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12 che, ferme restando le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha attribuito al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria una serie di mirate prerogative quali l'effettuazione di progetti e perizie per la ristrutturazione e la manutenzione, anche straordinaria, degli immobili in uso governativo, nonché per la realizzazione di nuove strutture carcerarie; la gestione delle relative procedure di affidamento e di formazione ed esecuzione dei contratti; la possibilità di individuare immobili nella disponibilità dello Stato o di enti pubblici territoriali e non territoriali, al fine della loro valorizzazione per la realizzazione di strutture carcerarie.
  Sulla scia del nuovo corso inaugurato da tale provvedimento, in proficua collaborazione con l'Agenzia del demanio e il Ministero della difesa, è stato avviato un piano per l'acquisizione e riconversione in istituti penitenziari di una serie di complessi ex militari, caratterizzati da una configurazione di tipo modulare.
  Si tratta di una soluzione operativa che offre all'Amministrazione penitenziaria l'opportunità di implementare il patrimonio immobiliare concesso in uso governativo, favorendo la possibilità di attivare – in tempi più brevi di quelli necessari all'individuazione e acquisizione di suoli privati e costruzioni
ex novo – strutture in grado di poter assicurare efficienza ed economicità sotto il profilo degli investimenti e delle gestioni, nonché efficacia rispetto alla missione istituzionale.
  L'innesco di questo percorso virtuoso ha già dato i suoi frutti con la recente sottoscrizione del protocollo d'intesa con il Ministro della difesa per la riconversione in struttura penitenziaria della Caserma «Cesare Battisti», adiacente all'area delle ex acciaierie di Bagnoli, mentre è in previsione la prossima consegna della caserma Bixio di Casale Monferrato, ed è allo studio la possibilità di riconvertire altre caserme a Grosseto e Bari.
  Per i fini che nella presente sede rilevano, va dato atto che è previsto entro il corrente anno il completamento dei due padiglioni detentivi da 200 posti presso due istituti penitenziari, uno dei quali è proprio quello di Taranto, mentre nel 2018 sono stati già completati, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tre padiglioni detentivi da 200 posti ciascuno presso gli istituti penitenziari di Parma, Lecce e Trani, avviati dal piano carceri; per l'effetto, è in previsione il raggiungimento di 51.500 posti regolamentari.
  Inoltre, nel 2020 è prevista anche l'ultimazione del nuovo padiglione in realizzazione presso la casa di reclusione di Milano «Opera» per ulteriori 400 posti detentivi.
  Dei circa 3.500 posti attualmente risultanti inagibili, circa 1.000 sono già compresi procedimenti e negli interventi avviati con i finanziamenti del piano carceri e con la successiva rimodulazione deliberata dal comitato paritetico per l'edilizia.

  Sono in corso i procedimenti a cura del Ministero delle infrastrutture e dei trasportiper la ricerca dell'area del nuovo istituto penitenziario di Savona e la progettazione e realizzazione di nuove strutture detentive per un totale di circa 3.500 nuovi posti, che, sommati ai 51.500 sopracitati, porterebbero al raggiungimento di un realistico obiettivo di medio termine, entro il 2025, di circa 55.000 posti detentivi.
  A tutto questo, va aggiunto che è stata già espletata un'attività di verifica di disponibilità di aree interne alle cinte murarie degli istituti penitenziari già attivi, finalizzata all'inserimento di nuove strutture modulari, capaci di ospitare 120 detenuti ciascuna, per ulteriori 3.000 nuovi posti complessivi, da realizzarsi sotto la regia di questa Amministrazione, in attuazione dell'articolo 7 del decreto-legge n. 135 del 14 dicembre 2018 sulla semplificazione, utilizzando le risorse da assicurarsi progressivamente nei prossimi anni sul cap. 7300.
  Il programma dei lavori è stato approvato con decreto del Ministro della giustizia 15 marzo 2019, adottato d'intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e pubblicato secondo quanto previsto dall'articolo 21, comma 7, del decreto legislativo n. 50 del 2016.
  Sono già state avviate le procedure urbanistiche per i primi quattro moduli (due a Santa Maria Capua Vetere, uno a Vigevano e uno a Civitavecchia) inseriti nel
programma finanziario 2019 e per altri quattro moduli (due a Rovigo e due a Perugia) che saranno inseriti nel programma finanziario 2020, per complessivi 960 posti detentivi.
  Allo scopo di una razionale gestione dei flussi demografici in contesto carcerario risponde anche il costante monitoraggio dei livelli di presenza/capienza svolto dal dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria che sollecita frequentemente i provveditori regionali all'adozione di provvedimenti perequativi di distribuzione dei detenuti nelle strutture dei territori di competenza, attivandosi direttamente a livello centrale per movimentazioni extra-distretto, qualora ne ricorrano i presupposti.
  Proprio per quanto attiene al distretto di Puglia e Basilicata, al precipuo fine di alleggerirne la consistenza demografica, con provvedimento del 5 febbraio 2019, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha disposto la deroga al criterio della territorialità per i detenuti privi di figli minori degli anni sedici e che siano risultati effettuare un numero di colloqui inferiore a due nel corso dell'anno precedente, nonché per i detenuti appellanti e i detenuti con fine pena a breve scadenza, purché non inferiore a mesi sei.
  Ne sono conseguiti provvedimenti di movimentazione in uscita, adottati nel corso del periodo compreso fra il 15 aprile e l'8 maggio, che hanno interessato complessivamente 82 detenuti media sicurezza destinati a sedi extra distretto caratterizzati da minore sofferenza.
  A seguito delle suddette movimentazioni, il locale provveditorato ha potuto attuare movimentazioni infradistrettuali per una più equa distribuzione dei detenuti nell'ambito del distretto di competenza.
  Da ultimo, fermo restando quanto evidenziato in premessa in punto di spazi minimi, è utile rilevare che il circuito penitenziario si avvale dell'apposito applicativo «Monitoraggio camere di pernottamento e spazi detentivi» – istituito nel 2014 e notevolmente potenziato nel corso del tempo – grazie al quale, attraverso un monitoraggio costante delle strutture, ad implementazione giornaliera, e la generazione di un
alert, l'Amministrazione è messa in condizioni di intervenire in tempo reale per rimuovere eventuali condizioni di difformità rispetto ai parametri indicati dalla C.E.D.U.
  Per quanto attiene alla dotazione organica, va detto che presso la casa circondariale di Taranto risultano effettivamente in servizio un totale di 250 unità, rispetto a una previsione organica di complessive 277 unità, rilevandosi un indice di scopertura pari al 9,7 per cento, come tale al di sotto di molti altri istituti del Paese.
  Le carenze si registrano nei ruoli degli ispettori e dei sovrintendenti, compensate dall'esubero nel ruolo degli agenti/assistenti, rispetto a cui si registra la presenza di 13 unità in più.
  Tanto premesso, deve innanzitutto darsi atto di un primo recente intervento correttivo grazie al transito al ruolo superiore di due neo vice ispettori, già amministrati dalla medesima sede che ha consentito un seppur parziale riequilibrio rispetto al ruolo degli agenti/assistenti.
  Relativamente alla carenza nel ruolo dei sovrintendenti, sono già state attivate le procedure per il concorso interno a complessivi n. 2.851 posti per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo maschile e femminile del corpo, a seguito del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95 in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia.
  Tenuto conto della complessità della procedura, a breve si procederà alla revisione delle graduatorie approvate con provvedimento del direttore generale 18 aprile 2019.
  Tali misure si iscrivono a pieno titolo nel più ampio alveo del significativo potenziamento degli organici a cui sono ispirate le politiche assunzionali perseguite da questo Ministero, come dimostrato da un'azione mirata che fra le sue tappe fondamentali annovera, tra l'altro, la finanziaria per il 2019, legge 30 dicembre 2018, n. 145, articolo 1, commi 382 e 383, con cui il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è stato autorizzato all'assunzione straordinaria di 1.300 unità mediante scorrimento delle graduatorie vigenti; la pubblicazione il 5 marzo 2019 del concorso pubblico a complessivi 754 posti di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria maschile e femminile; l'avviamento, nei prossimi mesi, delle procedure per la copertura dei posti di vice sovrintendenti per l'incremento della dotazione organica nonché per le vacanze disponibili dal 31 dicembre 2017 al 31 dicembre 2018; l'autorizzazione, nei prossimi quattro anni, nel limite delle dotazione organiche, in aggiunta alle facoltà previste a legislazione vigente, di ulteriori assunzioni straordinarie e, precisamente, 513 unità nell'anno 2020; 337 unità nell'anno 2021; 100 unità sia per l'anno 2022 che per l'anno 2023.
  A tali misure vanno ad aggiungersi l'immissione in servizio già dal mese di agosto presso le rispettive sedi di destinazione dei 1162 agenti del 175° corso, mentre è in atto il 176° corso di formazione per i primi 320 candidati aventi diritto, secondo la posizione nelle graduatorie approvate nell'anno 2017. Le restanti 980 unità saranno avviate al 177° corso che avrà inizio il 16 settembre 2019.
  Infine, con specifico riguardo al tentativo di suicidio di un detenuto, a cui si fa riferimento nell'atto di sindacato ispettivo, e più in generale al fenomeno dei suicidi in contesto carcerario, si evidenzia quanto segue.
  A seguito del riordino della sanità penitenziaria che, per effetto della legge n. 419 del 1998, del decreto legislativo n. 230 del 1999 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008, ha trasferito la competenza sulla materia dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al servizio sanitario regionale, il tema del suicidio dei detenuti è stato affrontato in forma congiunta con il Ministero della salute, le regioni e le autonomie locali nell'ambito della Conferenza unificata.
  L'attenzione dell'amministrazione penitenziaria rispetto al fenomeno dei suicidi e degli atti di autolesionismo, nel corso del tempo, si è progressivamente rafforzata nella consapevolezza dell'importanza di affinare, costantemente, le linee di azione volte a prevenire gesti autosoppressivi.
  Il problema è stato avvertito, in tutta la sua rilevanza, già all'indomani dell'insediamento dell'attuale compagine governativa con la definitiva approvazione, il 27 luglio 2018, del piano nazionale di intervento per la prevenzione dei suicidi in carcere da parte della conferenza Stato-regioni e, per l'appunto, del Ministero della giustizia.
  Punti principali del piano nazionale sono gli strumenti di rilevazione del rischio, il presidio delle situazioni potenzialmente critiche ed i protocolli operativi per la gestione dei casi a rischio e per affrontare le urgenze.
  Nello stesso solco va, altresì, ricondotta la nota con cui il 14 agosto 2018, l'ufficio ispettivo, su disposizione del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha predisposto una sorta di decalogo nell'immediatezza di un intervento suicidario, invitando i provveditori regionali;

   a trasmettere una dettagliata relazione sui preliminari aspetti rilevanti della vicenda e sugli immediati provvedimenti adottati;

   ad attivare contestualmente una commissione ispettiva regionale deputata ad accertare, previo nulla osta dell'Autorità giudiziaria, acquisibile anche per le vie brevi circostanze, modalità e cause dell'evento, verificando altresì se siano stati attivati i protocolli operativi per cogliere i sintomi di disagio e prevenire tutte quelle situazioni suscettibili di sfociare in condotte suicidarie;

   a richiedere all'A.G. competente copia degli atti di indagine, una volta conclusa la relativa fase, per poi trasmetterli all'Ufficio ispettivo.

  Da ultimo, con la recente nota del 3 maggio 2019 recante «Inteneriti urgenti in ordine all'acuirsi di problematiche in tema di sicurezza interna riconducibili al disagio psichico», il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha inteso rimarcare la necessità di promuovere su tutto il territorio nazionale la definizione di accordi tra le direzioni penitenziarie e le aziende sanitarie locali, in ossequio a quanto previsto dall'accordo «Linee guida in materia di modalità di erogazione dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari per adulti; implementazione delle reti sanitarie regionali e nazionali», approvato dalla Conferenza unificata in data 22 gennaio 2015 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – serie generale n. 64 del 18 marzo 2015.
  In tal senso va chiarito che è rimesso ai provveditorati regionali l'onere di svolgere un'approfondita attività di monitoraggio dei protocolli adottati, volta a verificare l'efficacia e la qualità della collaborazione con gli enti sanitari del territorio, avendo cura che i modelli organizzativi concordati abbiano ampia diffusione tra tutti gli operatori penitenziari e sanitari tenuti a garantirne l'osservanza dei percorsi.
  Sempre a mente della suddetta nota, i provveditorati regionali effettueranno, altresì, un censimento dei ristretti con problemi di disagio psicologico presenti negli istituti di pena del territorio di competenza, al fine di individuare la sede penitenziaria con la più adeguata offerta sanitaria ove assegnare tali persone, in attesa di possibili soluzioni sul territorio.
  I provveditorati si attiveranno, inoltre, per monitorare i percorsi di realizzazione delle articolazioni per la tutela della salute mentale, qualora l'offerta attualmente disponibile nei territori di competenza non sia adeguata ai bisogni di salute mentale, promuovendo la cultura dell'attenzione alle persone e della collaborazione interistituzionale tra le regioni e le a.s.l. e tra i provveditorati regionali e le direzioni penitenziarie ed orientando le azioni verso lo sviluppo di una rete sinergica anche con le autorità giudiziarie, finalizzata a offrire alla magistratura le possibili soluzioni nel bilanciamento dell'interesse alla sicurezza con l'interesse alla tutela della salute delle persone ristrette.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   PAITA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   sulla Gazzetta Ufficiale, IV Serie speciale – Concorsi ed esami n. 98 del 22 dicembre 2015 è stato pubblicato il bando per il reclutamento di «60 Esperti per il patrimonio culturale»;

   a seguito di questo sono stati selezionati archeologi, archivisti e bibliotecari;

   il 1° gennaio 2017 i selezionati hanno preso servizio come funzionari di area III nei diversi Istituti del Ministero per i beni e le attività culturali italiani con un contratto della durata di 9 mesi;

   dopo una pausa di 7 mesi, il 1° maggio 2018 sono stati richiamati in servizio in virtù di una proroga contrattuale di 8 mesi, resa possibile dallo stanziamento di fondi previsti dalla legge di bilancio 2018;

   dopo altri 2 mesi di pausa, dal 1° marzo 2019 sono nuovamente tornati in servizio, a seguito di un'ulteriore proroga di 9 mesi, come previsto dalla legge n. 145 del 30 dicembre 2018;

   attualmente di questa platea sono in servizio 30 funzionari e, nonostante le assunzioni degli idonei del concorso del 2016, e i passaggi di area per il riconoscimento dei cosiddetti «funzionari ombra» continua ad esservi una carenza strutturale di personale scientifico negli Istituti del Ministero per i beni e le attività culturali;

   nel corso degli ultimi anni si è registrata una costante e sistematica contrazione del personale bibliotecario accentuata anche dall'introduzione di misure di accesso previdenziale anticipato;

   per fare un esempio presso la biblioteca universitaria di Genova alla fine del 2019 rimarranno in servizio solo 6 funzionari bibliotecari, invece dei 17 presenti nel 2017, con evidenti criticità per il funzionamento delle attività della biblioteca stessa;

   il prossimo concorso per funzionari presso il suddetto Ministero secondo quanto annunciato dal Governo sarà bandito nei prossimi mesi, e vi sarà bisogno, come minimo, di un ulteriore anno per espletare selezioni e chiamata in servizio;

   diventa quindi prioritario assicurare continuità alla prosecuzione in servizio del personale selezionato attraverso il reclutamento del 2015 non disperdendo professionalità e tutelando il funzionamento degli uffici nei quali sono attualmente impiegati –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di prevedere una ulteriore proroga contrattuale del personale di cui in premessa anche per il 2020 e se non intenda attivarsi per valutare un processo di stabilizzazione dello stesso in considerazione della evidente carenza di personale e della professionalità di cui sta assicurando il funzionamento di soprintendenze, musei, aree archeologiche, archivi e biblioteche.
(4-03294)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto notizie sull'eventuale proroga dei contratti in essere con i sessanta esperti reclutati nel 2017 da questo Ministero.
  Sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale organizzazione, si rappresenta quanto segue.
  La legge 30 dicembre 2018, n. 145, concernente il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 ed il bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021, all'articolo 1, comma 343, ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2019, nel limite di spesa di 1 milione di euro per l'anno 2019, dei contratti a tempo determinato stipulati dagli istituti e luoghi della cultura di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modifiche, dalla legge dalla 29 luglio 2014, n. 106, a conclusione della procedura selettiva per titoli e colloqui, avviata nel 2015 (
Gazzetta Ufficiale 4° serie speciale concorsi ed esami n. 98 del 22 dicembre 2015), per il reclutamento di n. 60 unità di personale specializzato (i cosiddetti «60 Esperti per il patrimonio culturale»).
  In attuazione di quanto disposto dalla Legge di bilancio 2019, la predetta direzione generale ha quindi provveduto con decreto direttoriale del 16 gennaio 2019, n. 22, a prorogare i summenzionati contratti «per la durata massima di 9 mesi a decorrere dalla sottoscrizione del relativo contratto individuale di lavoro», per n. 33 unità di personale.
  Le 33 unità di personale alle quali si fa riferimento sono quelle che ad oggi restano in servizio a tempo determinato, delle iniziali 60 unità di personale nominate con decreto direttoriale del 2 dicembre 2016.
  Infatti, le ulteriori n. 27 unità di personale sono state assunte dall'Amministrazione in seguito al superamento, da parte loro, del «Concorso 500 Ripam Mibact», di cui all'avviso pubblicato in
Gazzetta Ufficiale 4° serie speciale concorsi ed esami n. 41 del 24 maggio 2016.
  Si precisa che i «60 Esperti per il patrimonio culturale» assunti inizialmente con contratto a tempo determinato per la durata di 9 mesi, hanno ottenuto un primo rinnovo contrattuale, in seguito all'entrata in vigore della Legge di bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205) che all'articolo 1, comma 306 ne disponeva la proroga per l'anno 2018, per un periodo massimo di 36 mesi, anche discontinui, – così come previsto dall'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, richiamato dall'articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – nel limite di spesa previsto di 1 milione di euro.
  Purtroppo a fronte dei rinnovi contrattuali già intervenuti per gli anni 2018 e 2019, l'attuale quadro normativo di riferimento non consente, al momento, la possibilità di addivenire ad una nuova proroga contrattuale per l'anno 2020, né di avviare una procedura di stabilizzazione per le restanti unità di personale.
  Infatti, la citata procedura di selezione è stata avviata nel 2015 e coperta finanziariamente fino ad oggi «al fine di far fronte a esigenze temporanee di rafforzamento dei servizi di accoglienza e di assistenza al pubblico, di miglioramento e di potenziamento degli interventi di tutela, vigilanza e ispezione, protezione e conservazione nonché valorizzazione dei beni culturali, presso gli istituti ed i luoghi della cultura», ovvero per sopperire ad esigenze temporanee ed eccezionali legate all'innegabile carenza di personale.
  Come più volte dichiarato dallo stesso Ministro Bonisoli, è intendimento dell'Amministrazione dei beni culturali ovviare alla grave carenza di personale, che negli anni addietro ha reso appunto necessario il reclutamento di personale attraverso contratti a tempo determinato, mediante l'avvio delle procedure selettive per pubblico concorso che avranno luogo nel triennio 2019-2021.
  A tal proposito, si precisa che l'avvio delle procedure di selezione pubblica interesserà nel triennio 2019-2021 un numero complessivo di 2.052 unità di personale, di cui n. 1.000 unità di personale non dirigenziale (area II e area III) da inquadrare nei ruoli dell'Amministrazione, in considerazione anche di quanto disposto dall'articolo 1, comma 338 della legge 31 dicembre 2018, n. 145, con cui il Ministero per i beni e le attività culturali è stato autorizzato ad esperire procedure concorsuali per l'assunzione, a decorrere dall'anno 2020, di 500 unità di personale non dirigenziale – di cui 250 unità di III area, F1 e 250 unità di II area, F1 e, a decorrere dall'anno 2021, di ulteriori 500 unità – con la medesima ripartizione numerica tra III area e II area.
  In particolare nel 2019 saranno indette due procedure concorsuali volte al reclutamento di:

   n. 1052 unità di personale non dirigenziale di seconda area funzionale da destinare al profilo professionale dedicato all'accoglienza e vigilanza (di cui n. 500 unità reclutate tramite la procedura già autorizzata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 ottobre 2017, n. 152 unità assunte mediante lo scorrimento di graduatorie concorsuali di altre Amministrazioni, già autorizzato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 novembre 2018, n. 400 autorizzate con l'emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attualmente al vaglio degli organi di controllo);

   n. 250 unità di personale delle predette 500 unità già autorizzate con legge di bilancio 2019, con qualifica non dirigenziale di terza area funzionale, da destinare al profilo professionale «funzionario amministrativo».

  Nel 2020, relativamente alle procedure già autorizzate, si prevede altresì di provvedere mediante procedura concorsuale, le cui modalità sono ancora da definire, al reclutamento di:

   n. 500 unità di personale non dirigenziale di seconda area funzionale, il cui reclutamento è stato autorizzato con la Legge di bilancio 2019;

   n. 250 unità di personale con qualifica non dirigenziale di terza area funzionale, da destinare da destinare a profili con professionalità specifica Mibac, anch'essi autorizzati mediante la predetta legge di bilancio.

  Inoltre, sulla base di quanto previsto dalla legge 19 giugno 2019, n. 56 recante interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell'assenteismo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 22 giugno 2019, sarà possibile per il Ministero per i beni e le attività culturali a decorrere dall'anno 2019, procedere all'assunzioni di ulteriori unità di personale, nella misura del 100 per cento della spesa relativa alle cessazioni riferite all'anno precedente.
  In particolare, l'articolo 3 della legge delinea sul punto la possibilità di procedere, sempre in riferimento al triennio 2019-2021, all'assunzione a tempo indeterminato di vincitori o allo scorrimento delle graduatorie vigenti, nel limite massimo dell'80 per cento delle facoltà assunzionali per ciascun anno [comma 4, lettera
a)], ovvero, di dar seguito a procedure concorsuali nel limite massimo dell'80 per cento delle facoltà assunzionali previste per il corrispondente triennio, al netto delle risorse di cui al comma 4 lettera a), del presente articolo, secondo le modalità di cui all'articolo 4, commi 3-quinquies e 3-sexies, del medesimo decreto-legge n. 101 del 2013 e all'articolo 35, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
  Infine lo stesso articolo 3, al comma 3, ha disposto «Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 399, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, a decorrere dall'anno 2019 è consentito il cumulo delle risorse, corrispondenti a economie da cessazione del personale già maturate, destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a cinque anni, a partire dal
budget assunzionale più risalente, nel rispetto del piano dei fabbisogni e della programmazione finanziaria e contabile.».
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Gianluca Vacca.


   PERANTONI, DI SARNO e DORI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con procedimento n. 1195/11 R.g.n.r., il pubblico ministero presso il Tribunale di Tempio Pausania, esercitava l'azione penale per fatti commessi in La Maddalena nel periodo dal settembre 2008 al luglio 2009;

   più precisamente, contestava in imputazione i reati di cui agli articoli 110 c.p., 192 e 256, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (abbandono di rifiuti); 20 lettera b) della legge n. 47 del 1985 in relazione agli articoli 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (opere eseguite in difformità dall'autorizzazione e danno ambientale); 335 c.p. (inadempimento di contratti di pubbliche forniture); 356 c.p. (frode nelle pubbliche forniture); 61 n. 1 e 640 c.p. (truffa aggravata dall'abuso di prestazione d'opera); 323 c.p. (abuso d'ufficio); 314 c.p. (peculato) e 476 c.p. (falsità materiale commessa da pubblico ufficiale;

   chiedeva, quindi, al giudice dell'udienza preliminare presso lo stesso tribunale il rinvio a giudizio per: Della Giovampaola Mauro, Minenza Luigi, Miccichè Riccardo, Mazzola Osvaldo, Fonti Ferdinando, Rinaldo Marco, Canu Matteo, Cuccioletta Patrizio, Olivieri Valeria, Ferro Giuseppe Andrea, Saltari Luciano, Balducci Angelo, Calvi Gian Michele, Mascazzini Gianfranco, imputati dei suddetti reati a vario titolo contestati;

   le gravi ipotesi di reato, connesse tra loro, sarebbero state commesse in occasione della esecuzione dei lavori relativi al «lotto 7 di adeguamento della portualità ricettiva-marittima nell'ambito del "grande evento" G8 La Maddalena 2009» e sarebbero consistite in fraudolenti inadempimenti contrattuali, falsità e peculato per euro 6.812.241,81;

   oltre al danno pecuniario emergente per le casse pubbliche, vi è da sottolineare il fatto che la magistratura aveva contestato anche condotte che avrebbero causato l'aggravamento di quella situazione di inquinamento ambientale che gli imputati, viceversa, avevano l'obbligo contrattuale di risanare;

   non e questa la sede per sollevare la problematica relativa al grave stato di precarietà nel quale si trovano gli uffici giudiziari presso il tribunale di Tempio Pausania (si pensi che si sono succeduti ben tre magistrati dell'ufficio Gup e svariati pubblici ministeri): sta di fatto che la prima udienza preliminare davanti al Gup si è tenuta soltanto nel dicembre 2014, a ben tre anni di distanza dall'iscrizione delle notizie di reato nell'apposito registro; dopo quasi quattro anni di rinvii motivati dalla irregolarità delle notifiche agli imputati, il Gup in data 7 giugno 2018 dichiarava la prescrizione di tutti i reati contestati (ad eccezione del peculato ex articolo 314 c.p., per il quale si dichiarava incompetente per territorio);

   tale è il mortificante epilogo di un processo che avrebbe dovuto accertare gravissime responsabilità per fatti di peculato, truffa, falso ed inquinamento commessi in danno della collettività e che invece, come decine di altri procedimenti, è stato dichiarato improcedibile stante l'intervenuta prescrizione;

   nella fattispecie, appare incomprensibile agli interroganti come per ben quattro anni non sia stato possibile notificare agli imputati la richiesta di rinvio a giudizio ed i successivi provvedimenti di fissazione dell'udienza preliminare, tanto che appare opportuno e necessario verificare se sussistono responsabilità in merito –:

   se sia a conoscenza di tale questione e se intenda valutare se sussistano i presupposti per avviare iniziative ispettive presso il tribunale di Tempio Pausania.
(4-00722)

  Risposta. — Al fine di far chiarezza rispetto ai quesiti posti dagli interroganti, si rappresenta che il Ministero ha già attivato procedure ispettive sul tribunale di Tempio Pausania ed individuato illeciti disciplinari che sono stati prontamente contestati ai responsabili.
  L'occasione è grata per ringraziare gli uffici del Dicastero, in particolare l'ufficio dell'ispettorato e la direzione generale magistrati, per la sempre puntuale e solerte professionalità dimostrata nel vigilare, e individuare le condotte disciplinarmente sussistenti.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   PEZZOPANE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   Anna Beniamino e Silvia Ruggeri, detenute nel carcere dell'Aquila nel reparto di massima sicurezza (A2), sono dal 29 maggio 2019 in sciopero della fame;

   la loro protesta trova origine dalla condizione di totale isolamento in cui si trovano costrette e denunciano una struttura chiusa e dura;

   in una nota di Americo Di Benedetto, consigliere regionale del gruppo consiliare Legnini Presidente, si denunciano condizioni che non sono degne dei principi costituzionali che sovraintendono alla pena, e si torna a chiedere un Garante dei detenuti in Abruzzo «forse l'unica regione in Italia a non averlo»;

   l'istituto penitenziario dell'Aquila non è l'unico della regione Abruzzo a presentare problematiche e questo, ad avviso dell'interrogante, rende quanto mai evidente l'urgenza della nomina del Garante regionale dei detenuti;

   l'episodio dello sciopero della fame di queste due detenute evidenzia, inoltre, la criticità di un carcere come quello dell'Aquila, adibito ormai quasi esclusivamente a detenuti e detenute in regime di «41-bis» ed ora anche con una sezione per detenute in massima sicurezza;

   nel carcere opera personale esperto e capace, ma assolutamente insufficiente al carico di lavoro ed alla gestione di situazioni così impegnative e delicate –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e se non ritenga urgente intervenire, per quanto di competenza, per risolvere la situazione di cui in premessa, anche verificando le condizioni del carcere dell'Aquila e la loro adeguatezza rispetto ai parametri necessari per rendere la pena certa sì ma anche degna di un Paese civile come il nostro.
(4-03114)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, nel fare riferimento allo sciopero della fame intrapreso, a far data dal 29 maggio scorso, da Beniamino Anna e Ruggeri Silvia, detenute nel carcere dell'Aquila ed alle loro ragioni di protesta contro le condizioni di totale isolamento in cui versano e la durezza del regime a cui sono sottoposte, richiamando anche le criticità dovute alla scopertura degli organici del personale ivi in servizio, chiede di sapere se il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti suesposti e se non ritenga urgente intervenire, per quanto di competenza, per risolvere la situazione, anche verificando le condizioni del carcere dell'Aquila e la loro adeguatezza rispetto ai parametri necessari per rendere la pena certa sì, ma anche degna di un Paese civile come il nostro.
  In via del tutto preliminare, si fa rilevare che in data 28 giugno 2019 le detenute a cui si fa riferimento hanno terminato la manifestazione di protesta pacifica dello sciopero della fame, senza dichiarare le motivazioni alla base di tale scelta.
  Le detenute in argomento sono state assegnate alla casa circondariale dell'Aquila il 6 aprile 2019 e inserite nel circuito detentivo «A.S. 2» dove era presente una sola detenuta, tale Sergio Marianna, islamica.
  Giova rimarcare che, proprio al fine di evitare lo stato di isolamento di quest'ultima, veniva disposto il trasferimento di un totale di tre detenute AS2 (anarchiche), tra cui, appunto la Beniamino e la Ruggeri, provenienti dalla casa circondariale femminile «Germana Stefanini» di Roma Rebibbia.
  Tuttavia, emergeva da subito l'incompatibilità caratteriale e ideologica tra le ristrette, sfociata il 17 aprile 2019 nella richiesta della detenuta Sergio di non partecipare ai momenti di socialità e di essere trasferita in altro istituto penitenziario per incompatibilità, richiesta a cui si aggiungeva la manifestazione di protesta pacifica dello sciopero della fame intrapresa dalle detenute Beniamino e Ruggeri tesa ad ottenere il trasferimento ad altra sede penitenziaria, lamentando l'insostenibilità delle condizioni detentive, in particolare, l'allocazione in una sezione di ridotte dimensioni strutturali con presenza di un numero esiguo di ristrette.
  A tale sciopero aderiva successivamente, per solidarietà alle compagne, una terza detenuta, assegnata alla stessa sezione il 20 giugno 2019, tale Savio Natascia che per altro, alla stessa stregua della Beniamino e della Ruggeri, il 28 giugno 2019 desisteva dall'iniziativa di protesta.
  Occorre mettere debitamente in risalto che, durante lo sciopero, sono state impartite precise disposizioni all'autorità dirigente dell'istituto aquilano circa la puntuale osservanza delle disposizioni contenute nelle molteplici circolari dipartimentali emesse sulla tutela della vita e della salute delle persone detenute e internate.
  Il loro stato di salute è stato quotidianamente monitorato dalla direzione dell'istituto penitenziario, con l'ausilio e il supporto del personale dell'area trattamentale ivi presente.
  Sono stati molteplici gli interventi attuati da parte degli operatori trattamentali e sanitari.
  In diversi casi, le detenute hanno rifiutato l'intervento della psichiatra, della psicologa ex articolo 80, della criminologa nonché dei funzionari giuridico pedagogici.
  Al fine di porre in essere tutti gli opportuni accorgimenti di cautela e vigilanza mirati, in via prioritaria, a impedire e prevenire eventi di nocumento sulla propria persona, sono stati emanati, altresì, nei confronti delle detenute in interesse, provvedimenti di «Grande Sorveglianza» che hanno assicurato, insieme alla sorveglianza sanitaria, un'adeguata attività di sostegno psicologico e trattamentale.
  Allo stato, le attività di osservazione e vigilanza delle detenute in trattazione sono affidate al personale di Polizia penitenziaria appartenente al contingente del gruppo operativo mobile, presente per l'espletamento delle attività di vigilanza delle detenute sottoposte al regime detentivo speciale ex articolo 41-
bis O.P.
  Non si ravvisa, pertanto, alcuna criticità rispetto al regime detentivo a cui le stesse sono sottoposte, laddove la limitata socialità che, come richiamato in premessa si è tentato di implementare proprio con i trasferimenti da altre sedi, risulta fisiologicamente correlata all'esiguo numero di persone ivi ristrette.
  Ugualmente è a dirsi con riferimento al profilo logistico-strutturale, rispetto a cui deve evidenziarsi la piena idoneità dei locali in cui è articolata la sezione femminile «Alta Sicurezza 2» della Casa circondariale dell'Aquila che, oltre alle camere di pernottamento, consta di tutti gli spazi e gli ambienti necessari, compresi il locale doccia, l'ambulatorio medico, la saletta socialità, il cortile passeggi, il locale per telefonare e quello per i colloqui.
  Da ultimo, per quanto riguarda il contingente organico presso la Casa circondariale dell'Aquila, si rappresenta che risultano ivi in servizio 160 unità sulle 165 previste in pianta organica.
  Ne deriva un indice di scopertura pari al 3 per cento come tale sensibilmente al di sotto della media nazionale.
  Va altresì evidenziato che le carenze riguardano i profili professionali degli ispettori e dei sovrintendenti, compensate dall'esubero di 18 unità nel ruolo degli agenti/assistenti.
  Tanto premesso, occorre dare atto dei rimedi recentemente apprestati a tale situazione grazie al transito al ruolo superiore di 4 vice-ispettori, già amministrati dalla sede in esame, con conseguente parziale riequilibrio dei ruoli professionali.
  Relativamente alla carenza nel ruolo dei sovrintendenti, per quanto qui di interesse, va debitamente rimarcato che sono già state attivate le procedure per il concorso interno a complessivi n. 2.851 posti per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo maschile e femminile del Corpo, a seguito del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95 in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia.
  Tenuto conto della complessità della procedura, a breve si procederà alla revisione delle graduatorie approvate con Provvedimento del direttore generale 18 aprile 2019.
  Tali misure si iscrivono a pieno titolo nella direzione del significativo potenziamento degli organici a cui sono ispirate le politiche assunzionali perseguite da questo Ministero, come dimostrato da un'azione mirata che fra le sue tappe fondamentali annovera, tra l'altro, la finanziaria per il 2019, legge 30 dicembre 2018, n. 145, articolo 1, commi 382 e 383, con cui il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è stato autorizzato all'assunzione straordinaria di 1.300 unità mediante scorrimento delle graduatorie vigenti; la pubblicazione il 5 marzo 2019 del concorso pubblico a complessivi 754 posti di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria maschile e femminile; l'avviamento, nei prossimi mesi, delle procedure per la copertura dei posti di vice sovrintendenti per l'incremento della dotazione organica nonché per le vacanze disponibili dal 31 dicembre 2017 al 31 dicembre 2018; l'autorizzazione, nei prossimi quattro anni, nel limite delle dotazione organiche, in aggiunta alle facoltà previste a legislazione vigente, di ulteriori assunzioni straordinarie e, precisamente, 513 unità nell'anno 2020; 337 unità nell'anno 2021; 100 unità sia per l'anno 2022 che per l'anno 2023.
  A tali misure vanno ad aggiungersi l'immissione in servizio già dal mese di agosto presso le rispettive sedi di destinazione dei 1.162 agenti del 175° corso, mentre è in atto il 176° corso di formazione per i primi 320 candidati aventi diritto, secondo la posizione nelle graduatorie approvate nell'anno 2017. Le restanti 980 unità saranno avviate al 177° corso che avrà inizio il 16 settembre 2019.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   VERINI e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con la legge n. 125 del 11 ottobre 2018 sono stati, finalmente, ratificati due Trattati di estradizione e di cooperazione giudiziaria in materia penale con gli Emirati arabi uniti;

   l'autorizzazione del Parlamento alla ratifica dei trattati, avvenuta tramite l'approvazione definitiva di un testo unificato della proposta di legge del Governo a guida PD e di quella a firma degli interroganti presentata all'inizio di questa legislatura, e che giunge al termine di una lunga battaglia che ha visto in prima linea associazioni come Libera, l'ex deputato Pd Davide Mattiello e i Ministri dei Governi a guida del Partito democratico, in particolare il Ministro della giustizia pro tempore Orlando, rappresenta un passo fondamentale per permettere il rientro in Italia di alcuni latitanti, tra cui alcuni già condannati in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, oppure alcuni per i quali in Italia è stato già chiesto il rinvio a giudizio per corruzione o altri reati gravissimi;

   ci si riferisce, solo per citare i casi più eclatanti, alle latitanze «d'oro» di Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, per il quale ripetute sono state le richieste di estradizione, tutte rimaste senza risposta nell'attesa della approvazione del Trattato, o come quella del boss Raffaele Imperiale, ritenuto dagli inquirenti uno dei maggiori narcotrafficanti a livello internazionale, il quale, dopo una prima fuga in Spagna dove è stato arrestato dalla polizia locale, si è rifugiato negli Emirati Arabi, a Dubai, nei quali pare condurre una vita fatta di lusso sfrenato in compagnia della sua famiglia;

   i trattati impegnano le parti a consegnare reciprocamente persone ricercate che si trovino sul proprio territorio, a dare corso a un procedimento penale o a consentire l'esecuzione di una condanna definitiva, ed erano già stati firmati nel 2015, ma il successivo recepimento da parte dell'Italia di una direttiva dell'Unione europea aveva di fatto comportato la sospensione degli effetti degli accordi in precedenza firmati: la normativa dell'Unione europea stabilisce, infatti, che qualora si firmi un accordo con uno Stato in cui vige la pena di morte (come nel caso degli Emirati arabi uniti) debba essere esplicitato nel Trattato stesso che, in caso di estradizione verso il Paese contraente, la pena capitale in loco prevista sia commutata in pena detentiva;

   nel febbraio 2017 il Governo italiano è riuscito finalmente a concordare l'adozione di un protocollo interpretativo da allegare al Trattato di estradizione e l'Italia ha così potuto siglare la stesura definitiva dell'accordo, frutto di un delicatissimo e lungo lavoro «sinergico» tra il Governo, che ha lavorato in modo determinante in materia di cooperazione giudiziaria, e in particolare il Ministero della Giustizia, e il Parlamento, con le commissioni giustizia e antimafia;

   ad oggi, però, il trattato di estradizione con gli Emirati non risulta ancora operativo, nonostante la ratifica parlamentare e l'approvazione di una legge dello Stato e questo perché il Governo italiano non avrebbe ancora approntato gli strumenti attuativi del trattato medesimo –:

   quali siano le ragioni che ancora oggi impediscono la operatività di tali fondamentali Trattati in tema di estradizione e di cooperazione giudiziaria in materia penale con gli Emirati arabi uniti e se corrisponda al vero che tali ragioni vadano ricercate nella mancata adozione dei necessari strumenti attuativi; in tal caso, se il Ministro interrogato non ritenga assolutamente necessario quanto urgente adottare le iniziative di competenza per predisporli, al fine di vedere finalmente assicurati alla giustizia italiana pericolosi criminali latitanti e altri personaggi inquisiti e condannati per gravi reati legati alla criminalità organizzata e alle mafie.
(4-02842)

  Risposta. — Al fine di far chiarezza rispetto ai quesiti posti dagli interroganti, si rappresenta che con la legge n. 125 dell'11 ottobre 2018 sono stati ratificati due trattati di estradizione e di cooperazione giudiziaria in materia penale con gli Emirati arabi uniti.
  Il Ministero degli esteri ha comunicato che si è perfezionata la procedura per l'entrata in vigore del trattato di mutua assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Emirati Arabi Uniti, fatto ad Abu Dhabi il 16 settembre 2015 e del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato degli Emirati Arabi Uniti, fatto ad Abu Dhabi il 16 settembre 2015, con scambio di note, fatto ad Abu Dhabi il 27 novembre 2017 ed il 17 gennaio 2018.
  Pertanto il 17 aprile 2019, in conformità ai rispettivi articoli 25 e 24, gli stessi trattati sono entrati in vigore.
  Come noto, infatti, a seguito dell'approvazione è stato necessario – secondo le regole di diritto internazionale – provvedere in via diplomatica allo scambio degli strumenti di ratifica e attendere il decorso del trentesimo giorno successivo al predetto scambio, come stabilito nei due trattati, per l'acquisto della loro efficacia giuridica.
  Dall'entrata in vigore del trattato di mutua assistenza giudiziaria in materia penale e del trattato di estradizione tra l'Italia e gli Emirati Arabi Uniti, firmati a Abu Dhabi il 16 settembre 2015, e ratificati in Italia con legge 11 ottobre 2018, n. 125, gli Emirati Arabi Uniti hanno consegnato all'Italia 3 persone ricercate, e precisamente:

   1) il cittadino italiano Luigi Provini, ricercato in campo internazionale sulla base dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 145 del 2015 R.G.N.R – 3797/2016 R.G.G.I.P., emessa in data 30 novembre 2016 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Monza, per il reato di associazione a delinquere finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti di riciclaggio, appropriazione indebita, frode fiscale ed emissione di false fatture, reati commessi in Italia, Gran Bretagna, Panama, Svizzera e Dubai dal 2007 al 2014;

   2) Abdallah Chakir, cittadino marocchino colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nel 2015 dal gip presso il tribunale di Cuneo per traffico illecito di sostanze stupefacenti;

   3) Boujemaa Benchakour, condannato a 4 anni e 5 mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina dalla Corte di appello di Torino.
   Una quarta persona, Andrea Nucera, per la quale era stata presentata una domanda di estradizione per l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare per i reati di associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, si è consegnata spontaneamente alle autorità italiane pochi giorni prima l'entrata in vigore degli accordi.
   Per quanto attiene, invece, alle richieste di assistenza, dall'entrata in vigore dell'accordo sono state presentate dalle autorità italiane 3 richieste di assistenza, ad oggi rimaste ineseguite ma trasmesse da un periodo di termine troppo breve per apprezzare eventuali inadempienze da parte emiratina.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.