XVIII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
nel nostro Paese la legislazione vigente in materia di minori fuori famiglia ha subito nel corso degli anni una significativa evoluzione: si è passati, infatti, dall'accoglienza presso gli istituti di assistenza pubblici o privati per minori, i cosiddetti orfanotrofi, al collocamento presso comunità di tipo familiare, cosiddette case-famiglia, e all'affido come possibile fase transitoria verso l'adozione vera e propria;
riguardo alla normativa italiana si ricorda principalmente la legge 4 maggio 1983, n. 184, una vera e propria legge quadro in materia di adozione, sensibilmente riformata e successivamente integrata fino alla legge n. 173 del 2015, in materia di continuità affettiva del minore in affidamento. Una normativa che delinea un ampio sistema di misure di tutela, ribadisce, in maniera netta, che il minore ha il primario diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia e comunque come la sottrazione del minore dal proprio nucleo familiare sia da considerarsi come una soluzione limite. L'allontanamento di un figlio dalla famiglia di origine dovrebbe, infatti, sempre costituire l’extrema ratio, praticabile solo nei casi in cui tutte le misure di sostegno al suo nucleo familiare non abbiano dato gli esiti sperati;
la Costituzione prevede l'obbligo della Repubblica di agevolare le famiglie, anche nell'assolvimento dei compiti genitoriali;
la stessa la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (articolo 8), come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, impone agli Stati membri di non ingerirsi nell'ambito della vita privata di ciascuna famiglia e, nel contempo, di adottare misure atte a garantirne il rispetto effettivo, anche prevedendo idonee misure di supporto nell'ambito delle situazioni di criticità genitoriali;
riguardo ai minori in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni, l'indagine del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sugli affidamenti al 31 dicembre 2016 dice che i bambini e i ragazzi che vivono questa condizione, conseguente ad un decreto di allontanamento dal nucleo familiare di origine emesso dall'autorità giudiziaria, sono risultati a fine 2016 pari a 26.615 casi, di cui: 14.012 bambini e ragazzi di 0-17 anni in affidamento familiare a singoli, famiglie e parenti per almeno cinque notti alla settimana; 12.603 bambini e ragazzi di 0-17 anni collocati nei servizi residenziali per minorenni. Nell'affidamento familiare, i tassi sulla popolazione minorile di riferimento più elevati si riscontrano nelle aree del Centro e del Nord del Paese;
con riferimento alla situazione delle accoglienze, la suddetta indagine evidenzia un quadro non del tutto rassicurante delle percentuali di redazione da parte del servizio sociale territoriale di uno specifico progetto. Nell'affidamento familiare, infatti, solamente il 60 per cento dei soggetti dimessi possiede un progetto redatto dal servizio sociale territoriale. Emergono una carenza delle attività dei servizi residenziali per minorenni ed evidenti lacune e fragilità del lavoro di rete tra i soggetti che contribuiscono alla presa in carico del minorenne;
peraltro, la legislazione italiana prevede che le regioni definiscano gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e che siano tenute a verificare periodicamente il rispetto dei medesimi standard;
sta di fatto che la stessa indagine conoscitiva dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza della XVII legislatura, nel suo documento conclusivo del gennaio 2018, ha ricordato le forti differenze nelle regioni italiane rispetto agli standard minimi da rispettare e l'impossibilità di conoscere l'effettiva situazione rispetto al numero di strutture (comunità familiari) presenti sul territorio nazionale e conseguenti numerose segnalazioni di casi di strutture abusive nelle quali venivano perpetrati reati di vario tipo ai danni dei minorenni ospitati;
un'ulteriore forte criticità sottolineata nella citata indagine conoscitiva è stata anche l'eccessiva rapidità nella valutazione circa la necessità dell'allontanamento. Peraltro, il decreto di allontanamento è sine die, nel senso che viene definito provvisorio, ma solo formalmente, perché di fatto, non avendo un tempo determinato di efficacia, può durare anni;
per quanto attiene ad altre criticità emerse, è stato sottolineato come spesso le relazioni di segnalazione elaborate dagli assistenti sociali non siano sempre oggettive e quindi idonee a fornire all'organo giurisdizionale le informazioni necessarie per assumere una decisione corretta. Inoltre, nel corso del procedimento, per legge deve essere nominato un tutore provvisorio che rappresenti il minore, ma nella maggior parte dei casi è nominato a tutela del minore stesso il responsabile del servizio sociale che ha elaborato la relazione di allontanamento, con un evidente conflitto di interessi;
è stato evidenziato come il giudizio di «adeguatezza genitoriale», essendo privo di qualsiasi fondamento scientifico ed essendo basato su opinioni o punti di vista, non dovrebbe essere utilizzato quale criterio fondamentale e decisivo teso a legittimare un provvedimento di allontanamento del minore. Da qui forse la necessità di una revisione di tale giudizio di valore largamente utilizzato dagli operatori sociali e dai giudici minorili per motivare gli allontanamenti;
sarebbe, tra l'altro, necessario verificare, più in generale, le condizioni effettive dei soggetti affidati, anche attraverso un monitoraggio sulle modalità di affido dei minori nel nostro Paese, nonché verificare i rapporti tra istituti e comunità e i soggetti istituzionali competenti, servizi sociali, onlus e altri soggetti sociali che operano nel settore dell'assistenza dei minori, con riguardo ai criteri e alle modalità di assegnazione dei minori in affido;
in questo contesto, si è tragicamente inserita, nei mesi scorsi, l'indagine giudiziaria che il 27 giugno 2019 ha portato a numerose misure cautelari e che ha fatto emergere uno scenario orribile sulla rete dei servizi sociali della Val d'Enza nel reggiano, accusati, tra l'altro, di redigere false relazioni per allontanare bambini dalle famiglie e collocarli in affido retribuito presso amici o conoscenti;
le misure cautelari hanno visto coinvolti politici, medici, assistenti sociali, liberi professionisti, psicologi e psicoterapeuti di una onlus di Torino, coinvolti in un presunto illecito business sull'affidamento di minori tolti alle famiglie per poi mantenerli in affido e sottoporli a un circuito di cure private a pagamento di una onlus piemontese;
l'inchiesta, denominata «Angeli e demoni», sugli affidi illeciti di minori, che vede al centro la rete dei servizi sociali della Val D'Enza, accusati di aver redatto false relazioni per allontanare bambini dalle famiglie e collocarli in affido retribuito da amici e conoscenti, ha chiamato in causa anche figure apicali del territorio reggiano, come il direttore generale dell'Ausl di Reggio Emilia accusato di concorso in abuso d'ufficio, la dirigente dei servizi sociali della Val d'Enza e lo stesso sindaco di Bibbiano;
le indagini hanno mostrato un giro d'affari da centinaia di migliaia di euro di cui beneficiavano alcuni degli indagati, mentre altri si avvantaggiavano a vario titolo dell'indotto derivante dalla gestione dei minori attraverso i finanziamenti regionali grazie ai quali venivano, inoltre, organizzati anche numerosi corsi di formazione e convegni ad appannaggio della predetta onlus. Tra i reati contestati ci sono frode processuale, depistaggio, abuso d'ufficio, maltrattamento su minori, lesioni gravissime, falso in atto pubblico, violenza privata, tentata estorsione, peculato d'uso;
sono state raccolte intercettazioni durante le sedute di psicoterapia effettuate sui bambini e ragazzi, dopo che gli stessi erano stati allontanati dalle rispettive famiglie attraverso le più ingannevoli e disparate attività come: relazioni false, disegni dei bambini artefatti attraverso la mirata «aggiunta» di connotazioni sessuali, terapeuti travestiti da personaggi «cattivi» delle fiabe messi in scena ai minori in rappresentazione dei genitori intenti a fargli del male, falsi ricordi di abusi sessuali ingenerati con gli elettrodi di quella che veniva spacciata ai bambini come «macchinetta dei ricordi». Il tutto durante i lunghi anni nei quali i servizi sociali omettevano di consegnare ai bambini lettere e regali dati dai genitori naturali che i carabinieri hanno trovato e sequestrato in un magazzino dove erano accatastati;
quello che è emerso in questi mesi è un business illecito basato sull'affidamento di minori tolti alle famiglie per poi mantenerli in affido e sottoporli a un circuito di cure private a pagamento di una onlus;
secondo l'accusa, in un incontro fra il direttore generale dell'Ausl di Reggio Emilia, con altri quattro indagati avvenuto il 10 dicembre 2018 in violazione del codice degli appalti del 2016 e delle connesse linee guida dell'anticorruzione, si sarebbe data «illecita prosecuzione» al servizio di psicoterapia che aveva un importo superiore a 40 mila euro, procurando un ingiusto vantaggio al centro studi «Hansel e Gretel»;
sempre secondo l'accusa detti soggetti si sarebbero accordati in due distinti documenti, uno del 21 dicembre 2018, che aveva come preventivo di spesa 57.200 euro nel 2019 e 23.070 nel 2020, e uno del 2-3 gennaio 2019, che aveva per oggetto le medesime prestazioni, «ma con un ulteriore escamotage di spacchettare ulteriormente l'importo complessivo del servizio di psicoterapia per un periodo di sei mesi per l'importo di 28.600 euro». Questo, secondo gli inquirenti, «abbassando fraudolentemente il valore del servizio al di sotto della soglia che avrebbe necessitato di una procedura ad evidenza pubblica»;
peraltro, si evidenzia che si tratta della seconda indagine del 2019 che mette sotto i riflettori persone e procedure dell'amministrazione comunale di Reggio Emilia, dopo gli avvisi di garanzia emessi nel febbraio 2019, che riguardavano 18 dirigenti indagati relativamente a fatti che risalivano al 2013. Anche in quel caso i reati ipotizzati erano di falso ideologico e abuso d'ufficio circa presunte irregolarità nelle procedure di affidamento dei lavori o dei servizi afferenti alla nomina del direttore dell'azienda pubblica di servizi alla persona, nell'affidamento dei servizi legali ed assicurativi del comune e altro;
mentre proseguono i lavori della Commissione d'inchiesta regionale costituita ad hoc, nelle settimane scorse sono venute alla luce alcune conseguenze dell'inchiesta. Una di queste è la crescente difficoltà, segnalata da più parti, nel reperire famiglie affidatarie e l'aumento, tra gli operatori, delle richieste di trasferimento o di cambi di mansione, con assistenti sociali che preferirebbero occuparsi di anziani, piuttosto che di minorenni;
si segnalano, inoltre, le notizie riportate dall'agenzia «Dire» del 16 ottobre 2019, nelle quali si riporta che un consigliere comunale della Lega di Pianoro (Bologna) ha scoperto, nei faldoni trovati in una stanza messa a disposizione dei gruppi politici al Comune di Pianoro, anche informazioni su se stesso bambino, nonché centinaia di bambini «schedati» con informazioni sensibili su situazione familiare, disagi, osservazioni sulla loro psicologia e sul comportamento. Informazioni raccolte sui minori per anni e stipate in armadi senza chiave, potenzialmente accessibili a chiunque;
come riportato dal sito reggioreport.it del 22 ottobre 2019, nei comuni della Val d'Enza, al centro dell'inchiesta «Angeli e demoni», tra il 2015 e il 2016 i bambini tolti alle famiglie e inseriti in struttura erano passati da 18 a 33: quasi il doppio rispetto all'anno precedente. E se nel 2015 nessun bambino era in affidamento, sempre in val d'Enza nel 2016 sono diventati di colpo 104,
impegna il Governo:
1) ad avviare tutte le iniziative normative utili a garantire realmente che la permanenza fuori famiglia rispetti i principi di appropriatezza e temporaneità, per il periodo strettamente necessario e attraverso programmi di sostegno, affinché la famiglia possa recuperare le proprie competenze di cura;
2) ad adottare le opportune iniziative normative volte ad escludere che, nel corso del procedimento di affido, il soggetto nominato come tutore provvisorio che rappresenta il minore possa essere il responsabile del servizio sociale che ha elaborato la relazione di allontanamento;
3) ad adottare iniziative per garantire, in tutte le fasi del procedimento di affido, il pieno diritto del minore e dei genitori ad essere ascoltati;
4) ad adottare iniziative volte a verificare i progetti di affidamento al fine di garantire costanti rapporti di informazione tra il giudice tutelare, il tribunale per i minorenni, gli operatori socio-sanitari delle aziende sanitarie locali e le regioni competenti;
5) ad adottare le iniziative di competenza al fine di garantire una maggiore e più efficace attività ispettiva e di vigilanza, con particolare riguardo ai servizi sociali coinvolti e alle strutture e comunità familiari dove sono collocati i minori;
6) ad adottare iniziative per verificare il pieno rispetto degli standard minimi che le strutture devono garantire e ad avviare le utili iniziative, anche con il pieno coinvolgimento degli enti territoriali, volte a contrastare i tanti casi di strutture abusive nelle quali vengono troppo spesso perpetrati reati di vario tipo ai danni dei minorenni ospitati;
7) ad avviare un monitoraggio e a predisporre un sistema integrato di raccolta dati, con la conseguente necessaria nomina di un responsabile nazionale, al fine di poter conoscere l'effettivo numero e la situazione delle strutture (comunità familiari) operanti sul territorio nazionale; ad adottare iniziative per consentire una maggiore conoscenza della realtà dei minori fuori famiglia in affido temporaneo, sia sotto l'aspetto quantitativo che qualitativo, conoscenza che deve riguardare sia lo stato dei minori durante l'affido che la rete dei servizi sociali preposti;
8) ad adottare iniziative per prevedere, sempre nell'ambito del citato sistema di raccolta dati nazionale e in collaborazione con le regioni, un censimento di tutte le figure preposte al rapporto con i minori che operano nelle Ausl e nella rete dei servizi sociali, anche prevedendo la pubblicazione dei curricula vitae aggiornati nel tempo;
9) a promuovere, per quanto di competenza, una verifica sulla situazione relativa agli organici che operano nella rete dei servizi sociali, al fine di evitare, in caso di carenza di personale, l'esternalizzazione del servizio.
(1-00281) «Fiorini, Gelmini, Spena, Marrocco, Versace, Calabria, Vietina».
La Camera,
premesso che:
gli episodi di violenza sulle donne, che troppo spesso hanno esiti mortali per le vittime, stanno segnando con tragica regolarità le cronache quotidiane: tra il 1° agosto del 2017 e il 31 luglio del 2018, secondo il Censis, sono state 120 le vittime di femminicidio in Italia; è ancora in divenire, invece, l'elenco del 2019. Si rileva, tuttavia, che nei primi tre mesi il trend è in diminuzione;
la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica» detta Convenzione di Istanbul è uno strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo. L'obiettivo di questo strumento è anche quello di combattere e punire le forme di violenza nei confronti delle donne;
la legge n. 119 del 2013, nota come legge anti femminicidio, ha già previsto all'interno del codice una serie di norme aggravanti e di tutele a difesa delle donne e ha altresì esteso l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato a tutte le persone offese dei reati di stalking, maltrattamenti e violenza sessuale indipendentemente dalle loro condizioni reddituali;
invece nel diritto civile il patrocinio a spese dello Stato non prevede deroghe per i casi di violenza. La vittima può infatti richiedere il patrocinio a spese dello Stato solo se ha un reddito inferiore ad euro 11.493,82, compresi i redditi degli altri componenti del nucleo familiare (ad eccezione del marito/compagno);
inoltre, tale norma prevede lo stanziamento di risorse all'interno dei centri anti violenza, che necessitano di una mappatura a livello nazionale;
il 19 luglio 2019 è stata approvata la legge n. 69 composta da 21 articoli dal titolo «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizione in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», cosiddetto «Codice Rosso»; detta legge, tra le altre cose, dà anche piena attuazione alla convenzione di Istanbul proprio con la finalità di porre un efficace ed immediato argine della violenza contro le donne;
l'obiettivo che ha guidato il legislatore è stato quello di predisporre strumenti per consentire allo Stato, di intervenire con tempestività al fine di stroncare sul nascere l'azione criminosa evitando che la stessa, se non interrotta, possa produrre conseguenze drammatiche;
esigenza, questa, perseguita mediante la predisposizione di un procedimento snello ed efficace capace di battere sul tempo gli eventi e di restituire sicurezza e vicinanza alle vittime. Il cardine dell'intervento normativo è l'ascolto della persona offesa entro tre giorni dalla presentazione della denuncia. L'audizione della vittima, svolta senza ritardo dall'autorità giudiziaria ha lo scopo di evitare stasi procedimentali che causerebbero ritardi nell'adozione di provvedimenti a loro tutela;
la chiave del cosiddetto «codice rosso» è la protezione delle vittime; ovviamente, in termini numerici, gli effetti dell'applicazione del contenuto del codice rosso, in particolare il termine di 3 giorni, che sicuramente saranno positivi, si potranno avere solo una volta decorso un congruo tempo rispetto all'entrata e quindi all'effettiva applicazione della norma;
già la Convenzione di Istanbul dedica gli articoli 15 e 50 alla formazione delle figure professionali che vengono in contatto con vittime e autori dei reati di violenza e alla prevenzione e protezione tempestiva di chi subisce tali condotte;
con il codice rosso, la specializzazione del personale delle forze dell'ordine mira a garantire una risposta professionale adeguata alle specificità proprie delle indagini nella delicatissima materia della violenza di cui stiamo parlando. L'obiettivo di detta misura è quello di avere una maggiore uniformità delle capacità di reazione delle denunce. Questa legge, pertanto, punta ad accorciare le distanze tra la giustizia e le donne maltrattate. Il secondo pilastro della riforma è rappresentato dalla repressione del fenomeno oggetto dell'intervento legislativo;
la richiamata Convenzione di Istanbul, all'articolo 45, chiede alle Parti di adottare tutte le misure idonee a garantire che i reati relativi alla violenza sulle donne siano puniti con sanzioni efficaci proporzionate e dissuasive, in considerazione della loro gravità;
in linea con quanto sancito dalla convenzione, anche su questo punto il codice rosso ha rafforzato e irrigidito la risposta punitiva che l'ordinamento penale prevede per tale fenomeno criminoso;
per contrastare il fenomeno della violenza, sarebbe, inoltre, quanto mai indispensabile promuovere ogni provvedimento normativo per introdurre specifici trattamenti terapeutici o farmacologici inibitori della libido;
anche il fenomeno della prostituzione rappresenta una tipologia di violenza ed è una problematica sempre più consistente. Tale considerazione deriva anche dal fatto che i dati esistenti su tale fenomeno, vengono raccolti con estrema difficoltà, poiché il fenomeno è sommerso, e, di conseguenza, è possibile effettuare mere stime ed è possibile solo fare riferimento al numero di donne effettivamente entrate nei percorsi di protezione sociale; ne deriva che rimangono fuori tutte coloro che non hanno avuto la possibilità di emergere in quanto vittime di tratta o che non sono state correttamente identificate come tali;
al fine di monitorare e limitare tale fenomeno sarebbe opportuna l'abolizione della «legge Merlin»,
impegna il Governo:
1) ad assicurare che siano attivati, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, così come previsto dalla medesima, corsi di formazione per la polizia di Stato, per l'Arma dei carabinieri e per il Corpo di polizia penitenziaria al fine di prevenire e perseguire i reati indicati nella legge;
2) a prevedere l'obbligatorietà dei suddetti corsi per il personale individuato dall'amministrazione di appartenenza;
3) ad adottare iniziative per assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati regolarmente senza ritardi e vincolati all'assunzione di impegni precisi, all'individuazione delle priorità e alla valutazione dei risultati ottenuti;
4) ad adottare iniziative per prevedere indicatori per la valutazione, da effettuarsi con cadenza annuale o comunque per ogni ciclo di finanziamento, dell'impatto degli stanziamenti per informare circa le future strategie di intervento, tramite la consultazione delle organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza;
5) a predisporre una sezione all'interno del sito del dipartimento per le pari opportunità volta a rendere accessibile, in tempi rapidi, la rendicontazione completa delle attività finanziate con i fondi della legge n. 119 del 2013, nella quale le amministrazioni regionali e locali possano caricare direttamente e in autonomia la documentazione rilevante (delibere, risultati bandi, reportistica delle attività svolte da parte dei beneficiari dei fondi e altro), facendo sì che tali informazioni siano disponibili in formato «aperto» (open data), e siano uno strumento efficace e incisivo di segnalazione di materiale sessista che non si limiti esclusivamente all'ambito pubblicitario;
6) ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome, anche al fine di stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio;
7) ad assumere iniziative per incoraggiare il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e i mass-media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità, anche promuovendo una comunicazione improntata al pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne e vietando forme di comunicazione che possano indurre una fuorviante percezione dell'immagine femminile;
8) ad assumere iniziative per introdurre, nell'ambito delle istituzioni scolastiche, anche contemplando il potenziamento dell'offerta formativa, percorsi e progetti mirati a garantire pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, con il coinvolgimento delle famiglie al fine di superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione, in tal modo educando le nuove generazioni alla parità tra uomo e donne all'affettività, nonché a definire linee guida che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici i temi dell'educazione alla legalità, del diritto all'integrità dell'identità personale e del contrasto alla violenza sulle donne e allo sfruttamento della prostituzione;
9) ad assumere iniziative normative, volte a prevedere percorsi specifici in carcere per gli autori di reati di violenza sessuale sulle donne e di sfruttamento della prostituzione, inclusi interventi sulla normativa che disciplina l'ordinamento penitenziario volti a rendere obbligatoria per i detenuti per reati contro le donne la destinazione di una percentuale del reddito generato da lavoro in favore del risarcimento delle vittime;
10) ad adottare iniziative per abrogare la «legge Merlin»;
11) a promuovere ogni iniziativa normativa volta a introdurre dei trattamenti terapeutici o farmacologici inibitori della libido;
12) ad adottare iniziative per stanziare adeguate risorse finanziarie al fine di garantire l'erogazione a carico del servizio sanitario nazionale, in esenzione dalla partecipazione al relativo costo, di tutte le attività, prestazioni, servizi, dispositivi e ausili necessari alla diagnosi e al trattamento delle affezioni di carattere fisico e psichico conseguenti ad atti di violenza fisica, oggetto di denuncia all'autorità giudiziaria.
(1-00282) «Tateo, Foscolo, Bisa, Locatelli, Molinari, Cantalamessa, Di Muro, Marchetti, Morrone, Paolini, Potenti, Turri, Boldi, De Martini, Lazzarini, Panizzut, Sutto, Tiramani, Ziello».
La Camera,
premesso che:
varie sono le vicende giudiziarie e le inchieste nazionali sul funzionamento dei servizi sociali, soprattutto in ambito socio-familiare, legato agli affidi in strutture o a tutori dei minori;
in base alle notizie riportate negli ultimi anni dalla stampa e dalla tv, l'opinione pubblica è venuta a conoscenza di varie inchieste giudiziarie delle procure;
infatti, è stata avviata un'inchiesta nel 2018 dalla procura di Reggio Emilia denominata «Angeli e demoni» per verificare i sospetti generati da una grande quantità di denunce presentate dai servizi sociali nei riguardi di altrettanti genitori accusati di essere violenti. In base alle notizie diffuse dai media, le accuse nei riguardi dei responsabili dei servizi sarebbero di falsificazione degli atti e delle relazioni relative alle condizioni dei minori all'interno dei loro ambiti familiari, allo scopo di allontanare gli stessi dalle famiglie d'origine e affidarli ad amici e parenti in cambio di un contributo mensile a quelle, quindi, divenute famiglie affidatarie. I reati contestati a 27 indagati sono di frode processuale, depistaggio, abuso d'ufficio, maltrattamento su minori, lesioni gravissime, falso in atto pubblico, tentata estorsione e peculato d'ufficio;
Il Giornale di Sicilia del 3 gennaio 2019 riporta l'avvio di un'inchiesta dalla procura di Marsala sulla «gestione dei servizi sociali del comune». «L'indagine riguarderebbe la distribuzione degli incarichi agli assistenti sociali, gli appalti aggiudicati alle diverse cooperative in tutti i servizi, alla formazione e alle graduatorie degli assistenti ai “minori non accompagnati”. I riflettori sembrerebbero puntati sul doppio ruolo di funzionari della pubblica amministrazione e politici che hanno interesse per alcune cooperative. I reati che potrebbero essere contestati vanno dall'abuso d'ufficio alla concussione»;
su Ravenna web del 27 ottobre 2019 è uscita la notizia che è stata avviata un'inchiesta dalla procura di Ravenna nell'ottobre 2019, definita da Il Corriere di Romagna «fratellini ribelli», dove la stessa procura ha aperto un fascicolo dopo l'esposto da parte di una coppia allontanata dai suoi tre figli, all'interno del quale si leggono frasi choc attribuite all'assistente sociale: «etnia maltrattante per cultura», bambini che «andrebbero resettati». Sulla base di quella denuncia contro assistenti sociali, dirigenti e comune di Ravenna (a cui fa capo il servizio), il sostituto procuratore Angela Scorza ha aperto un fascicolo ed ha attivato accertamenti sulle «condotte di chi opera nell'intero sistema»;
da notizie stampa (Brindisi Report del 10 maggio 2019) si apprende che è stata avviata anche un'inchiesta dalla procura di Brindisi nel 2014 per «verificare la situazione socio-familiare dei minori ricoverati nelle strutture-case famiglia»;
tante sono le denunce di genitori nei riguardi dei servizi sociali e delle consulenze tecniche d'ufficio, che vengono pubblicate dai media negli ultimi anni, dove si riportano valutazioni non rappresentative della realtà familiare nella quale vivono i minori e che portano ad allontanamenti dei figli da uno dei genitori o addirittura da entrambi, con conseguente trasferimento in strutture-case famiglia;
non sono previste per legge le registrazioni, audio o video, degli incontri protetti tra genitori, minori e assistenti sociali, ma solo relazioni redatte dai medesimi assistenti sociali. Ciò determina la difficoltà di comprovare se quanto relazionato corrisponda a quanto accaduto durante gli incontri sopra citati;
la normativa nazionale di riferimento in materia di diritto minorile, così come le convenzioni internazionali, stabiliscono che il diritto primario del minore è quello di vivere all'interno del suo nucleo familiare. L'affidamento a famiglie affidatarie e il collocamento in casa famiglia deve essere una misura temporanea e non sine die, di supporto alla famiglia per il reintegro del minore nella stessa, una volta superate le conflittualità;
il termine di durata dell'affidamento, previsto per legge, è di massimo ventiquattro mesi, prorogabili con specifiche motivazioni e nell'interesse del minore, di ulteriori dodici mesi;
nonostante i tempi previsti dalla legge, resta sostanzialmente stabile – seppure con una lieve diminuzione – la percentuale dei casi di minorenni presenti in comunità da più di 24 mesi, comunque sempre pari al 23 per cento, ai quali, quindi, viene tolta la possibilità di tornare alla propria famiglia d'origine ove possibile, snaturando così la funzione stessa dell'istituto dell'affido e ledendo il diritto del minore a vivere tutelato in un nucleo familiare;
troppo spesso i decreti provvisori del tribunale minorile, ma anche le sentenze definitive, che decidono sul collocamento del minore in casa famiglia, sono basate esclusivamente sulle relazioni dei servizi sociali;
nonostante numerosi articoli di stampa ed inchieste della magistratura, non sono facilmente reperibili i dati nazionali relativi alle indennità destinate ai tutori, ai rimborsi per le case famiglia e, quindi, a tutte le notevoli somme di danaro che riguardano tali situazioni. Solo nell'inchiesta «Angeli e demoni» si parla di centinaia di migliaia di euro;
secondo stime recenti riportate dai media, i minori fuori dalle loro case d'origine sono quasi 30.000. Ogni minore ospitato in casa famiglia ha un costo che va dai 70 ai 120 euro. Nei casi di minori con gravi disabilità, così come emerge dal dossier di «Casa al plurale», patrocinato dall'assessorato alle politiche sociali, salute, casa ed emergenza abitativa di Roma capitale, la retta giornaliera arriva fino a 268,90 euro;
il sistema legato agli affidi minorili, così come specificato nei vari punti sopra elencati, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, evidenzia gravi carenze e criticità, ma anche pochissimi dati di monitoraggio sul numero esatto e sulle caratteristiche dei minori affidati, sulle tipologie del percorso di accoglienza, sui tempi e sulle modalità di uscita dallo stesso, sui dati degli affidatari, sull'eccessiva discrezionalità attribuita ai servizi sociali, sulla carenza di controlli, sulle frequenti situazioni di «conflitto d'interesse», sullo standard delle strutture e delle comunità ospitanti, sulle somme percepite dalle stesse per provvedere ai minori affidati, sulle indennità spettanti ai tutori che hanno solo un potere legale sul minore. Tutti questi fattori non permettono assolutamente di tutelare il benessere psico-fisico dei minori e delle famiglie,
impegna il Governo:
1) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a monitorare periodicamente i flussi economici che coinvolgono il sistema locale degli affidi, mediante apposite commissioni a livello regionale composte da personale non appartenente alla stessa regione di indagine, che prestino particolare attenzione ad incrementi anomali nelle rette delle case famiglia;
2) ad assumere iniziative per istituire un sistema informativo unitario che contenga: una banca dati dei minorenni privi di un ambiente familiare, basata su indicatori uniformi e comuni a tutto il territorio nazionale, per monitorare il numero e le caratteristiche dei minorenni fuori famiglia, le tipologie del percorso di accoglienza, i tempi e le modalità di uscita dallo stesso; o una banca dati del numero e della tipologia delle strutture di accoglienza; o una banca dati degli affidatari;
3) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire concretamente l'assenza di conflitti d'interesse tra le diverse professionalità dei servizi sociali coinvolti nei procedimenti di affido, disciplinando altresì il regime delle incompatibilità dei giudici onorari e dei loro stretti congiunti, rispetto a incarichi che potrebbero riguardare i profili di necessaria imparzialità e indipendenza, così come già previsto nella delibera del Consiglio superiore della magistratura dell'11 luglio 2018;
4) ad assumere iniziative normative per differenziare i soggetti cui sono demandati compiti valutativi, esecutivi e di controllo dei provvedimenti giudiziali da quelli chiamati a prendere in carico i minorenni e le famiglie per il sostegno genitoriale e per la cura;
5) ad assumere iniziative, anche normative, per assicurare, nel caso di famiglie con problemi economici, la piena applicazione della legge n. 184 del 1983, che stabilisce che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, e affinché, a tal fine, siano disposti interventi concreti di sostegno economico e di aiuto a favore delle famiglie;
6) ad assumere iniziative per garantire l'effettiva temporaneità dell'affidamento, che per legge è di 24 mesi, prorogabili, in maniera tale da abolire al contempo la prassi dell'affido sine die che di fatto, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, snatura l'essenza dell'istituto dell'affido minorile;
7) ad assumere iniziative normative per istituire il difensore del minore per ogni fase del procedimento di affido familiare;
8) ad assumere iniziative normative per rafforzare l'azione di controllo e di ispezione sulle strutture di accoglienza, svincolando in particolare tale controllo dalla sola verifica circa lo stato di abbandono del minorenne ai fini dell'adottabilità;
9) ad assumere le iniziative di competenza affinché tutti gli incontri tra assistenti sociali, tutore, genitori e minore siano debitamente registrati tramite apparecchiature audio o video, al fine di rendere effettivamente oggettivo il contenuto di tali incontri;
10) ad assumere iniziative di competenza per garantire l'ascolto della persona minorenne sia in fase istruttoria che a seguito dell'emissione di un provvedimento a sua tutela, informandola adeguatamente circa le decisioni che la riguardano e assicurando la sua partecipazione alla definizione del progetto educativo.
(1-00283) «Giannone, Benedetti, Benigni, Borghese, Cunial, Cecconi, Gagliardi, Longo, Vizzini, Tasso».
La Camera,
premesso che:
in tema di affidamento dei minori la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on the rights of the child – Crc), adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, sottolinea, fin dal preambolo, come riportato anche dal sito web dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, l'importanza della famiglia nella vita di ogni bambino e adolescente, quale «unità fondamentale della società e di un ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli»;
alla luce di ciò numerosi diritti ruotano attorno a questa istituzione: diritto di conoscere i propri genitori e di essere allevato dagli essi (articolo 7), diritto di non essere separato da loro (articolo 9) e di mantenere rapporti regolari e frequenti con ciascuno di essi (articoli 10 e 11), diritto di trovare sempre e comunque protezione in un ambiente familiare anche qualora, nel proprio superiore interesse, quello di origine non sia idoneo (articoli 20 e 21). Altrettanti doveri incombono, di conseguenza, su coloro che esercitano la responsabilità genitoriale e sullo Stato stesso: dovere dei genitori di dare l'orientamento e i consigli adeguati ai propri figli all'esercizio dei diritti che sono riconosciuti loro dalla Convenzione (articolo 5), dovere dello Stato di fare del proprio meglio per garantire il riconoscimento del principio secondo cui entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l'educazione del bambino o adolescente e il provvedere al suo sviluppo (articolo 18), dovere dei genitori di assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo e dello Stato di adottare adeguati provvedimenti per aiutare coloro che esercitano la responsabilità genitoriale ad attuare questo diritto (articolo 27);
in particolare, il «principio della protezione del fanciullo allontanato dalla famiglia», di cui all'articolo 20 della Convenzione di New York, fissa i principi applicabili ai casi di allontanamento, temporaneo o permanente, del minore dal suo ambiente familiare, stabilendo che questi ha diritto a speciale protezione da parte dello Stato. È, quindi, onere degli Stati garantire a tale minore una forma di cura ed assistenza alternative e, nella scelta di tali soluzioni, l'autorità pubblica deve tenere conto della necessità di garantire una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, culturale e linguistica;
un'analisi specifica deve poi essere riservata alla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 77 del 2003, che detta una disciplina particolareggiata delle procedure giudiziarie che riguardano i fanciulli ed è quindi applicabile anche ai procedimenti di affidamento;
in particolare, la Convenzione riconosce al minore il diritto di essere consultato ad esprimere la propria opinione e di essere informato delle eventuali conseguenze dell'attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione, la possibilità di designare un rappresentante speciale, qualora l'ordinamento interno privi coloro che hanno responsabilità genitoriale della facoltà di rappresentarlo e dall'altra parte pone in capo alle autorità giudiziarie l'obbligo di esaminare con prontezza e in modo sufficiente ed esaustivo le informazioni in vista di una decisione nell'interesse superiore del minore;
la stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza nella relazione sulla sua attività, trasmessa al Parlamento il 29 aprile 2019, afferma «il diritto delle persone di minore età di essere accolte ed educate prioritariamente nella propria famiglia e, se necessario, in un altro ambito familiare di appoggio o sostitutivo»;
esistono, infatti, realtà familiari connotate da gravi difficoltà che, seppur temporaneamente, possono compromettere la crescita serena ed equilibrata delle persone minori di età. In questi casi si ricorre all'istituto dell'affidamento di tipo familiare o, ove ciò non sia possibile, all'inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza, al solo fine di tutelare i bambini e i ragazzi da condizioni pregiudizievoli e, al contempo, sostenere la famiglia d'origine nel recupero delle funzioni genitoriali;
in realtà l'affido – in base alla legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001 – è una soluzione estrema, a cui la giustizia minorile si vede costretta a ricorrere quando la vita e l'educazione di bambini e ragazzi sono a rischio nelle famiglie d'origine per motivi che vanno ben oltre i meri problemi economici;
la stessa legge n. 184 del 1983 non pone un elenco dei motivi per cui si può disporre l'affido; a fornire tali criteri è l'articolo 403 del codice civile, che consente l'allontanamento dei minori dalla famiglia da parte della «pubblica autorità» qualora i minori si trovino in stato di abbandono morale o materiale, vivono «in locali insalubri o pericolosi» o sono allevati da persone incapaci di provvedere alla loro educazione;
le comunità per minorenni hanno cambiato profondamente volto negli ultimi anni: da istituti nei quali i bambini accolti correvano il rischio di diventare meri numeri sono diventate realtà connotate da un'atmosfera familiare e accogliente, nelle quali si articolano interventi e progetti personalizzati in base alle specifiche esigenze dei bambini e dei ragazzi coinvolti;
nell'attesa dell'entrata a regime del Sistema informativo nazionale bambini e adolescenti (Sinba), ad oggi ancora in fase di sperimentazione, che consentirà in futuro di acquisire in modo continuativo dati sui minorenni fuori dalla famiglia, l'Autorità garante, al fine di avere un quadro conoscitivo sul fenomeno, ha continuato a svolgere un'attività di monitoraggio attraverso la raccolta dei dati sui minorenni presenti in comunità e l'analisi delle informazioni che, per legge, ogni sei mesi le strutture di accoglienza sono tenute a comunicare alle procure minorili;
l'attuale legge sull'affido ha attribuito importanti funzioni ai procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni in ordine al monitoraggio delle condizioni dei minorenni ospiti delle comunità, nonché alla vigilanza sulle stesse;
questo ruolo di vigilanza affidato alle procure minorili costituisce il principale strumento di attuazione del diritto di verifica periodica sulle condizioni dei minorenni che vivono fuori dalla famiglia di origine, sancito dall'articolo 25 della Convenzione sui diritti per l'infanzia e l'adolescenza e che l'Autorità garante ha deciso di valorizzare attraverso la prima raccolta sperimentale sui dati dell'accoglienza, relativa ai dati al 31 dicembre 2014 e pubblicata nel 201 5, quella successiva relativa ai dati aggiornati al 31 dicembre 2015, pubblicata nel 2017, da ultimo quella in corso in via di pubblicazione, riferita al biennio 2016 e 2017;
secondo l'ultimo rapporto pubblicato nel 2017 dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza sono 21.035 in Italia i ragazzi che vivono fuori dalla propria famiglia di origine, ospiti delle 3.352 comunità sparse su tutto il territorio nazionale (dati al 31 dicembre 2015). Si tratta in prevalenza di maschi, di età compresa tra i 14 e i 17 anni;
i dati raccolti mettono a fuoco, oltre alla dimensione quantitativa, anche le principali caratteristiche qualitative dell'accoglienza in comunità, poiché le peculiari condizioni di vulnerabilità di questi ragazzi rappresentano un serio «fattore di rischio» per lo sviluppo armonico della loro personalità;
sono, quindi, molteplici le ragioni che portano all'ingresso di una persona minore di età in una comunità. Si va dalle difficoltà educative della famiglia di origine legate a uno stato precario di salute psico-fisica, ai bambini e ai ragazzi vittime di abusi o maltrattamenti, a quelli entrati nel circuito penale, senza tralasciare i minori che fuggono da guerre e povertà, giungendo nel nostro Paese privi di adulti di riferimento e in condizioni di particolare fragilità;
i bisogni di tutela non si esauriscono nelle difficoltà che determinano l'ingresso nella struttura, ma riguardano anche la fase di uscita dal percorso di accoglienza dei ragazzi divenuti maggiorenni;
secondo l'indagine le maggiori criticità nell'accoglienza in comunità sono: 1) la presenza, sul territorio nazionale, di classificazioni differenti delle strutture residenziali per minori, cosa che rende arduo il confronto tra i dati esistenti e, conseguentemente, difficile il monitoraggio del fenomeno; 2) l'esigenza di definire a livello nazionale standard minimi e criteri comuni per le comunità che ospitano i minorenni: importanti passi avanti su questo fronte saranno compiuti con l'approvazione in Conferenza Stato-regioni delle linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, redatte nell'ambito di un tavolo istituzionale che ha visti coinvolti, oltre all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della giustizia, la Conferenza delle regioni e delle province autonome, l'Anci, nonché membri esperti e coordinamenti nazionali; 3) la mancanza di dati completi e aggiornati sui bambini e sui ragazzi collocati nelle strutture residenziali: non esiste, infatti, un'anagrafe dei minori che vivono fuori dalla propria famiglia di origine condivisa fra le diverse istituzioni che se ne occupano;
inoltre, le linee d'indirizzo per le famiglie in situazione di vulnerabilità, approvate in Conferenza unificata il 21 dicembre 2017, sono volte a fornire indicazioni unitarie ai fini della definizione delle azioni possibili per fronteggiare le diverse situazioni di vulnerabilità familiare, nonché favorire la permanenza e/o, nel caso il minore viva già fuori dalla famiglia, la riunificazione di questo con la stessa;
l'accompagnamento di bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità costituisce un ambito fondamentale del lavoro di cura e protezione dell'infanzia, inteso come l'insieme degli interventi che mirano a promuovere condizioni idonee alla crescita, a prevenire i rischi che possono ostacolare il percorso di sviluppo e a preservare e/o proteggere la salute e la sicurezza del bambino, e tale compito compete al servizio sociale locale;
si tratta di una funzione complessa che richiede un puntuale raccordo e la necessità di un approccio globale, che sappia utilizzare tutti gli strumenti normativi e operativi in accordo con le istituzioni e i relativi servizi nell'area della salute pubblica, della scuola, dei servizi educativi per l'infanzia e, in alcuni casi, anche dell'autorità giudiziaria sempre nel rispetto del superiore interesse del minore; tale approccio può essere garantito solo dall'interdisciplinarietà professionale e dalla trasversalità degli interventi;
l'obiettivo delle professioni che si occupano di protezione della famiglia è quello di garantire un servizio di qualità. Pertanto, risulta necessario predisporre una valutazione periodica delle performance delle singole persone che esercitano tali professioni con criteri e procedure uniformi su tutto il territorio nazionale, al fine di contribuire al miglioramento organizzativo, gestionale e qualitativo del lavoro svolto;
il «sostegno di vicinanza», ovverosia la possibilità da parte delle famiglie della stessa comunità locale di attivarsi e di farsi carico dei minori in difficoltà senza che questi vengano allontanati dalle famiglie di origine, è un'esperienza che già in molti territori sta dando ottimi risultati. Si tratta di un intervento in cui le famiglie affidatarie intervengono a sostegno della famiglia d'origine fin quando questa non riesca a superare le proprie difficoltà, senza che il minore sia costretto a subire il doloroso distacco che rischia di condizionare per sempre la sua vita;
nel 2012 la rivista dell’American academy of psychiatry ha definito priva di fondamento scientifico la pas (parental alienation syndrome); l'alienazione parentale non è stata inserita nel Dsm V, neppure nell'Icd-11 e ci sono state ben due sentenze della Corte di cassazione a metterne in discussione la validità scientifica e l'applicazione nelle cause di affidamento dei figli: la n. 7041 del 2013 e la n. 13274 del 2019; l’Apsac (American professional society on the abuse of children) nell'agosto 2019 ha emesso un comunicato ribadendo di ritenere non fondata scientificamente l'alienazione parentale, avvertendo i sostenitori di questa teoria di non sostenere che l'Apsac l'abbia riconosciuta; In Italia lo stesso Ministero della salute e l'Istituto superiore di sanità si sono dichiarati dello stesso parere; ciò nonostante la sindrome da alienazione parentale (definita in tanti modi: «conflitto di lealtà», «sindrome della madre malevola», «rapporto simbiotico») viene ancora utilizzata in alcune decisioni, anche di natura giudiziaria, arrivando anche a interrompere il legame familiare, più di frequente tra la madre e il figlio;
anche se il problema degli affidi dei minori molte volte si intreccia con quello della violenza di genere e della tutela del soggetto vittima di violenza, come i fatti di cronaca insegnano, bisogna prevedere l'allontanamento dei minori dal nucleo familiare solo come ultima ratio e comunque sempre e solo nell'interesse del minore stesso, privilegiandone dove è possibile l'affido presso altri parenti o altri soggetti vicini al nucleo familiare secondo un principio di gradualità delle scelte;
in particolare, in merito ai fatti accaduti nella regione Emilia-Romagna, che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza, la stessa Assemblea regionale, con delibera n. 215 del 27 luglio 2019, ha dato via all'istituzione di una Commissione assembleare speciale d'inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella regione Emilia-Romagna, al fine di poter affrontare i fatti mediante l'analisi dei documenti ufficiali e al riparo da strumentalizzazioni e spettacolarizzazioni nel pieno ed esclusivo interesse delle famiglie e dei bambini coinvolti;
oggetto della Commissione è il tema della tutela dei minori, in particolare degli affidi in ambito regionale, in particolare:
a) servizi sociali anche appaltati a soggetti esterni, quali, ad esempio: le procedure di affidamento dei servizi; la trasparenza e pubblicità delle procedure di affidamento; gli standard qualitativi; i servizi pubblici connessi agli affidi e i privati con cui interagiscono; l'esternalizzazione dei servizi; i fondi regionali interessati, la loro ripartizione, assegnazione ai servizi territoriali e le modalità di spesa locale;
b) metodi seguiti negli affidi di minori e nella presa in carico delle famiglie, quali, ad esempio, il sistema dei controlli sulle consulenze tecniche d'ufficio affidate a psicologi e pedagogisti, sull'operatività degli assistenti sociali, la delega a terzi dei servizi, la competenza degli operatori sociali;
c) il rapporto tra servizi sociali e servizi dell'amministrazione della giustizia minorile (protocolli da seguire nel rapporto con i minori; la valutazione dei servizi sociali negli affidi);
d) il ruolo del Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza ed i suoi rapporti con i servizi sociali territoriali, con gli organi della giustizia minorile e con le forze dell'ordine dedite alle indagini;
si tratta, quindi, di un mandato non volto a identificare reati – non ricorrendone i poteri costituzionali e statutari, né quindi gli strumenti – ma il funzionamento di un sistema di servizi, nel complesso e anche in suoi luoghi specifici, come la Val d'Enza;
in merito è opportuno ricordare che il 27 giugno 2019 i carabinieri di Reggio Emilia hanno dato il via all'operazione denominata «Angeli e demoni» mettendo agli arresti domiciliari 18 persone. La teoria dell'accusa, anche se lo stesso procuratore di Reggio Emilia dottor Marco Mescolini ha specificato che «sotto inchiesta non c'è il sistema dei servizi: sotto inchiesta ci sono delle persone», è che ci sia una sorta di «sistema Bibbiano» di gestione e affidamento dei minori, con funzionari pubblici, assistenti sociali, medici e psicologi – i quali a vario titolo e in vario modo gravitano attorno ai servizi sociali dell'Unione Val d'Enza, consorzio di sette comuni in provincia di Reggio Emilia – che hanno manipolato le testimonianze dei bambini, al fine di sottrarli alle famiglie di origine per affidarli, dietro pagamento, a famiglie di amici o conoscenti;
dalle audizioni svolte in seno alla Commissione sopra citata è emerso che non esiste alcun sistema emiliano-romagnolo che ha come obiettivo primario quello di allontanare i minori dalle proprie famiglie, ma esistono a Bibbiano dei casi in cui si sono verificate anomalie, sulle quali e sulla cui gravità la magistratura sta svolgendo il suo lavoro di accertamento;
inoltre, è emerso chiaramente che in Italia manca un sistema organico di raccolta dati sui minori affidati, così come sono emerse molte criticità riguardo alla formazione degli operatori, al numero di assistenti sociali e psicologi, spesso sotto organico, al sistema di supervisione, che, sicuramente, va potenziato,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative volte a determinare i livelli essenziali delle prestazioni per gli interventi relativi ai minorenni, alle famiglie di origine, agli affidatari e alle strutture di accoglienza, in modo da garantire l'esigibilità dei diritti civili e sociali delle persone di minore età, in linea con quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
2) ad assumere iniziative per adottare un sistema informativo unitario affinché vi sia un database unitario ed aggiornato sui bambini e sui ragazzi collocati nelle strutture residenziali o presso famiglie affidatarie che coinvolga tutte le istituzioni interessate;
3) ad assumere iniziative, in particolare normative, sul rito del procedimento per adeguarlo ai principi del «giusto processo»: garantendo il diritto alla difesa tecnica dei genitori, anche con la nomina obbligatoria di un difensore d'ufficio in caso in cui manchi quello di fiducia, la nomina di un curatore speciale e di un avvocato del minorenne e, nei casi di provvedimenti di allontanamento adottati d'urgenza, prevedendo tempi celeri per assicurare il contraddittorio differito; riformando l'articolo 403 del codice civile, introducendo una procedura di convalida del provvedimento volta a circoscrivere le ipotesi nelle quali è consentito l'intervento d'urgenza della pubblica autorità; disciplinando l'impugnabilità dei provvedimenti, anche se temporanei e la decisione sull'impugnativa in tempi certi e brevi; disciplinando il regime delle incompatibilità dei giudici onorari e dei loro stretti congiunti rispetto a incarichi che potrebbero pregiudicarne i profili di necessaria imparzialità e indipendenza, così come già previsto nella delibera del Consiglio superiore della magistratura del luglio 2018;
4) ad aggiornare le linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, già adottate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché tengano conto delle raccomandazioni contenute nell'indagine conoscitiva della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza sui minori fuori famiglia conclusasi nel 2018;
5) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a predisporre tutte le misure volte ad assicurare una tempestiva e un'adeguata «presa in carico» delle famiglie in difficoltà al fine di promuovere la genitorialità e prevenire gli allontanamenti ove sia certo che non vi siano casi di violenza o di abusi e, qualora l'allontanamento si dovesse rendere necessario, a promuovere un adeguato monitoraggio del percorso per il recupero delle competenze genitoriali, con un costante monitoraggio del progetto educativo del minorenne fuori famiglia;
6) a predisporre le iniziative di competenza volte ad implementare il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (Siuss) con le banche dati sui minori fuori famiglia, strutture di accoglienza e affidatari;
7) ad adottare iniziative per potenziare le piante organiche degli uffici giudiziari che si occupano di procedimenti in materia di responsabilità genitoriale e di quelli in cui sono comunque coinvolti i minorenni;
8) ad assumere le iniziative di competenza volte a predisporre tutte le misure necessarie affinché, pur nel rispetto del diritto di cronaca, sia sempre garantito l'anonimato dei minorenni coinvolti nei casi di affidamento e adozione, evitando sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione, promuovendo nel contempo attività di sensibilizzazione per l'utilizzo di un linguaggio che non sia lesivo della dignità della persona di minore età, che non la riconduca a stereotipi stigmatizzanti o che ne turbi lo sviluppo della personalità;
9) ad assicurare la costituzione e la convocazione dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, così come previsto dalla legge 23 dicembre 1997, n. 451;
10) a predisporre tutte le iniziative di competenza necessarie in merito all'opportunità di regolare più chiaramente la fase di indagine del pubblico ministero minorile, il valore delle segnalazioni/relazioni dei servizi sociali o di altri soggetti, l'informazione delle parti (incluso esplicitamente il minore), il diritto alla difesa dei genitori, anche con l'effettività del gratuito patrocinio, nonché la legale rappresentanza del minore, la costituzione delle prove in dibattimento e, più in generale, il ruolo dei servizi sociali nell'ambito del procedimento, dalla fase istruttoria a quella attuativa dei provvedimenti;
11) a valutare l'opportunità di adottare, per quanto di competenza, iniziative normative e finanziarie volte alla promozione delle misure rientranti nel cosiddetto «sostegno di vicinanza», così come descritto in premessa, e in generale al fine di prevedere una disciplina dettagliata della gradualità dell'intervento di allontanamento dei minori dalle famiglie, iniziando con l'allontanamento dei genitori o tutori problematici dall'abitazione e, solo se tale misura risulti insufficiente, provvedere con altri interventi, quali l'affidamento ad altri parenti o conoscenti e infine l'affidamento, temporaneo, a famiglie affidatarie o comunità;
12) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per escludere la sindrome dell'alienazione parentale come elemento su cui fondare scelte di allontanamento del minore dai contesti familiari;
13) a predisporre iniziative volte a definire meglio i contenuti e le modalità di segnalazione alle autorità giudiziaria minorili, facendo sì che queste siano accompagnate da un progetto educativo e sociale che, ove possibile, coinvolga la presa in carico della famiglia d'origine;
14) a predisporre, per quanto di competenza, iniziative normative affinché nella valutazione dei casi e nella presa in carico del minore e della sua famiglia vi sia la più ampia collegialità multiprofessionale possibile con la presenza a fianco dell'educatore, dello psicologo/neuropsichiatra e dell'assistente sociale;
15) ad adottare, per quanto di competenza, iniziative volte a sostenere gli enti locali nel potenziamento degli organici dei servizi sociali territoriali, favorendo la costituzione in tutti i comuni, singoli o associati, di équipe dedicate alla tutela minori con adeguate competenze sociali e giuridiche, nell'alveo di una più complessa, organica e multiprofessionale presa in carico del minorile e della sua famiglia;
16) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, atte a garantire la formazione e l'aggiornamento continuo del personale che si occupa di protezione della famiglia (psicologi, assistenti sociali, educatori) e una valutazione periodica delle performance dei singoli anche all'interno della équipe multidisciplinare, per assicurare efficienza e qualità del servizio;
17) ad adottare le opportune iniziative di competenza volte a garantire la formazione, l'aggiornamento e il monitoraggio delle competenze e delle strategie educative, evitando così il rischio del «burn out» degli operatori all'interno delle comunità di tipo familiare e, conseguentemente, prevenendo «le condotte di maltrattamento o di abuso di ogni genere»;
18) ad attivarsi, anche attraverso iniziative normative, al fine di rendere ancora più incisivo il contenuto della legge 19 luglio 2019, n. 69, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», cosiddetto codice rosso;
19) ad attivarsi al fine di predisporre ogni utile iniziativa, anche di natura normativa, tesa a delineare una concreta attività di prevenzione del fenomeno della violenza, in particolare intervenendo nell'ambito scolastico e nella formazione delle figure professionali che, in ragione del proprio servizio, possono entrare in contatto con vittime di violenza;
20) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire una separazione dei ruoli nel sistema degli affidi familiari, in modo tale da rendere distinte le figure di coloro che gestiscono il sistema di valutazione sociale delle famiglie rispetto a coloro che gestiscono il collocamento dei minori, stabilendo così un'incompatibilità tra chi decide sull'affido e chi, invece, gestisce le strutture di accoglienza.
(1-00284) «Rizzo Nervo, Bologna, De Filippo, Rostan, Carnevali, Macina, Annibali, Ascari, Piera Aiello, Baldino, Barbuto, Bilotti, Businarolo, Carla Cantone, Cataldi, D'Orso, Di Sarno, Di Stasio, Dori, Fassino, Giuliano, Incerti, Lorenzin, Palmisano, Perantoni, Rossi, Saitta, Salafia, Sarti, Scutellà, Elisa Tripodi».
La Camera,
premesso che:
la violenza contro le donne rappresenta la manifestazione più grave e brutale della disparità storica nei rapporti di forza tra i generi, nonché una evidente violazione dei diritti umani;
seppur il nostro Paese abbia firmato e ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011, ancora oggi vi sono evidenti fattori che ostacolano l'Italia ad una corretta applicazione della medesima Convenzione;
benché non esista un sistema di raccolta dati disaggregato e coordinato, gli ultimi dati Istat fotografano una situazione allarmante: quasi 7 milioni di donne italiane, dai 16 ai 70 anni, hanno subìto almeno una volta nella vita una forma di violenza (20,2 per cento violenza fisica, 21 per cento violenza sessuale con casi nel 5,4 per cento di violenze sessuali gravi, come stupro e tentato stupro). Numeri sconvolgenti se si considera che a praticare le violenze siano stati partner o ex partner: nel dettaglio, su 3 milioni di donne, la violenza è avvenuta nel 5,2 per cento dei casi dall'attuale partner e nel 18,9 per cento dei casi da un ex partner;
seppur la volontà di riscatto e difesa da parte delle vittime di violenza sia altissima, se si considera che il 41,7 per cento delle donne ha lasciato il proprio compagno proprio in seguito alle violenze subite, non esiste un sistema integrato di informazione in merito ai diversi servizi di supporto disponibili e sulle misure legali che le stesse possano richiedere;
eccezion fatta per rarissimi casi virtuosi, ove sia consolidato un lavoro integrato con i servizi specialistici, le donne che subiscono violenza si rivolgono, in prima battuta, ai servizi generali, tra i quali servizi sanitari e il servizio sociale del territorio e solo di rado ricevono informazioni adeguate sui servizi specializzati, pur essendo espressamente previsto dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, approvata dal Governo Berlusconi IV;
le procure e le forze di polizia, il più delle volte, adottano strumenti informativi per le vittime che si traducono, nella maggior parte dei casi, in una mera riproduzione del contenuto normativo, di difficile comprensione per le vittime, raramente fruibili in una lingua diversa dall'italiano e, ove presenti, disponibili solo nel caso in cui la vittima decide di presentare denuncia/querela;
ancora oggi, in Italia, le donne trovano ancor troppi ostacoli sia con le forze dell'ordine, che con professionisti/e dell'ambito sociale e sanitario, dovuti ancora ad una scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza, ma soprattutto al substrato culturale italiano, caratterizzato da profondi stereotipi sessisti e diseguaglianze tra i generi, oltre che pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano situazioni di violenza, cui ancora si tende a non credere;
ancora oggi, secondo i dati Svimez 2019, la condizione femminile in Italia segna una forte differenza con l'Europa: nel 2018 per il nostro Paese aumenta la distanza nel tasso di occupazione femminile dalla media europea, che passa da 11,5 a 13,8 punti percentuali;
la scarsa partecipazione femminile è legata in buona parte all'incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare i tempi della vita lavorativa e familiare, causando anche incertezza economica e una modifica dei comportamenti sociali: si è innescato un circolo vizioso per cui la conciliazione lavoro e vita privata è complicata e il reddito medio delle famiglie non è adeguato per domandare servizi privati per l'infanzia, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la «divisione del lavoro» all'interno delle famiglie è fortemente dicotomica per genere e la partecipazione femminile al mercato del lavoro patologicamente bassa;
la situazione assume contorni ancora più preoccupanti per le donne con problemi di salute o disabilità: ha subito violenze fisiche o sessuali il 36 per cento di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6 per cento di chi ha limitazioni gravi, a fronte dell'11,3 per cento della popolazione femminile generale;
il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio (10 per cento contro 4,7 per cento delle donne senza problemi) e, in questi casi, le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti, amici o conoscenti;
molto spesso, purtroppo, sono proprio gli uomini che si prendono cura di queste donne ad approfittare di loro. Per questo motivo e per la difficoltà delle donne con disabilità psichica/intellettiva non solo a denunciare, ma persino a riconoscere come tali le violenze subite in ambiente domestico, la violenza domestica sulle donne con disabilità, e in particolare disabilità psichica o intellettiva, non viene quasi mai denunciata (solo nel 10 per cento dei casi);
ancora oggi in Italia uno dei problemi principali rimane l'atteggiamento culturale degli operatori/trici del diritto, del sociale, della sanità che mette ancora costantemente in questione la credibilità delle donne; anche se viene sporta denuncia si tende a vedere tale strumento come intento manipolatorio per altri fini (p.e. vantaggi nella separazione) e tanto meno credibili vengono ritenute le donne con disabilità, spesso ritenute «incapaci di intendere» e inattendibili;
per di più le donne con disabilità psichica/intellettiva con maggiori necessità di sostegno possono essere soggette agli istituti giuridici della tutela o della curatela;
dall'indagine Istat 2015 sono emersi segnali di miglioramento rispetto alla situazione fotografata nel 2006, ma le violenze rilevate si sono manifestate con forme più gravi ed è aumentato il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014);
lo strumento della denuncia a disposizione della donna vittima è spesso svuotato del suo significato di rimedio per la tutela dei propri diritti, in quanto gli strumenti previsti dal diritto interno sono raramente applicabili entro un termine ragionevole, oltre ad essere di difficile accesso per l'estrema tecnicità e per l'impreparazione culturale di chi dovrebbe applicarli;
a ciò si aggiunga che le informazioni sui propri diritti e lo strumento della denuncia sono praticamente inaccessibili alle donne con disabilità psico-sociali, oltre che a quelle con disabilità intellettive o sensoriali che utilizzano forme di comunicazione alternative;
il rischio di vittimizzazione secondaria nel tentativo di uscire dalla violenza da parte della donna, e ancor più della donna con disabilità, è alto e riguarda più di un attore coinvolto nei percorsi di uscita dalla violenza, dai servizi sociale e sanitario, alle forze dell'ordine e al sistema giudiziario;
dal momento in cui una donna trova la forza per denunciare la violenza subita deve poter contare su un'adeguata assistenza da parte dello Stato che in questa partita gioca un ruolo cruciale;
purtroppo, per carenza di adeguati finanziamenti, in Italia non tutti i centri antiviolenza dispongono di case rifugio: rispetto ai 258 rifugi citati dal Dipartimento per le pari opportunità, secondo i dati raccolti dalle Ong, ce ne sono 78 (di cui 50 della rete associativa nazionale D.i.Re) per un totale di 627 posti letto;
si tratta di un numero distribuito in maniera piuttosto disomogenea sul territorio nazionale e inadeguato per rispondere ai bisogni e alla sicurezza delle donne che subiscono violenza e in totale violazione della raccomandazione (EG-TFV (2008) 6) che indica come parametro numerico adeguato di alloggi sicuri in rifugi per donne specializzati, disponibili in ogni regione, un posto letto per 10.000 abitanti: secondo la ricerca di Wave, in Italia sarebbero necessari 6.078 posti letto, ne mancano ben 5.451;
a tal proposito, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per non aver protetto una donna e suo figlio dal marito violento, in quanto non c'erano più fondi per ospitarla nella struttura in cui si era rifugiata (Corte EDU, Sezione Prima, sentenza Talpis c. Italia, 2 marzo 2017, ric. n. 41237/14);
nel caso appena citato il dirigente dei servizi sociali di Udine negò i necessari fondi per permettere all'associazione che ospitava la signora Talpis di tenerla presso il rifugio o almeno fornirle una soluzione alternativa di accoglienza con un evidente «rimbalzo» di responsabilità per questioni meramente burocratico-formali tra vari servizi pubblici, tanto che la Corte europea ha affermato che le autorità italiane non hanno assicurato alla signora Talpis una protezione effettiva, favorendo un contesto di impunità nel quale si trovava il marito. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa in data 7 giugno, nella procedura di supervisione delle decisioni della Cedu ha chiesto ulteriori misure individuali e generali;
è opportuno rilevare, altresì, che in molti territori il problema si rileva nella messa in protezione delle donne adulte non accompagnate da figli/e minorenni, o perché non hanno figli/e o per età (troppo piccole, fascia 18-25 anni, o troppo grandi, con figli/e maggiorenni) per le quali gli enti locali non rispondono economicamente creando situazioni di oggettivo rischio per tale target di violenza basata sul genere;
la violenza sulle donne assume diverse sfaccettature e, in Italia, si continua ad ignorare la gravità e l'entità della violenza assistita e delle sue conseguenze, tendendo a colpevolizzare la madre (vittima di violenza), imputandole una responsabilità di cosiddetta «alienazione parentale» quando la stessa cerca dopo la separazione di difendersi dall'ex partner e padre dei figli/e violento;
la violenza assistita non è riconosciuta come reato autonomo, ma inizia ad essere considerata dalla giurisprudenza come reato di maltrattamenti a danno dei/lle minori, ovvero può essere considerata ai sensi della legge n. 119 del 2013, come circostanza aggravante dell'articolo 572 del codice penale a carico dell'autore di violenza quando gli atti sono commessi «in presenza di minore degli anni diciotto»; si tratta evidentemente di previsione insufficiente, di aspetto meramente repressivo, di nessuna rilevanza sul piano civilistico;
ancora oggi da parte dei servizi sociali o dei tribunali l'obiettivo principale è salvaguardare e conservare «il rapporto con la prole», ovvero il legame genitore-figlio/a, sulla base del presupposto che conservare un legame affettivo con un genitore biologico sia di per sé produttivo di effetti benefici, e che agire con violenza nei confronti del proprio partner all'interno di una relazione sentimentale non sia un comportamento indicativo di scarse competenze genitoriali;
spesso l'uomo che ha posto atteggiamenti violenti e aggressivi contro l'ex moglie, a cui è stata addebitata la separazione, non perde l'affidamento dei figli ma soltanto nel caso in cui le condotte lesive siano poste anche nei riguardi dei bambini;
ove esistenti, i centri antiviolenza specializzati e gestiti da Ong di donne offrono interventi e sostegno ai/lle minori vittime in famiglia di violenza assistita e/o diretta. Nella maggior parte dei casi però il sostegno e l'assistenza è demandata ai servizi di supporto generale, che hanno scarsa o nessuna formazione in tema di violenza contro le donne e che interpretano il loro mandato con un presunto «approccio neutro» che comporta mettere sempre – anche nei casi di violenza – i genitori sullo stesso piano, lasciando così ampio spazio al genitore violento di continuare ad agire la sua violenza su figli/e e madre;
in tale contesto, sono purtroppo tanti i/le bambini/e uccisi/e dal padre maltrattante solo per vendetta nei confronti della donna e/o assieme alla donna o in un suicidio allargato: esempio emblematico è il caso di Federico Barakat, ucciso dal padre durante un incontro protetto all'interno della Asl di San Donato Milanese nonostante le ripetute denunce di maltrattamento e stalking presentate dalla madre, accusata peraltro di ostacolare i rapporti tra il padre e il figlio (il caso è all'esame della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo);
dal punto di vista economico, il monitoraggio operato da Actionaid sui fondi antiviolenza nazionali ripartiti tra le regioni per le annualità 2015-2016 e per il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere 2015-2017 ai sensi della legge 15 ottobre 2013, n. 119, mostra evidenti ritardi nella programmazione ed erogazione delle risorse, mettendo a rischio la possibilità concreta per le donne di accedere ai servizi fondamentali per uscire da situazioni di violenza;
benché i fondi antiviolenza per il triennio 2015-2017 ammontino a circa 85,7 milioni euro circa risulterebbero erogati soltanto il 35,9 per cento, pari a circa 30,8 milioni di euro;
analoghi ritardi si registrano sul fronte delle regioni, tanto che, dei fondi destinati ai centri antiviolenza e le case-rifugio (annualità 2015-2016), ad oggi le regioni hanno liquidato infatti solo il 25,9 per cento delle risorse: nello specifico, è stato erogato il 30,6 per cento dei fondi destinati al potenziamento dei centri antiviolenza, delle case rifugio esistenti e degli interventi regionali già operativi e il 17 per cento dei fondi per l'istituzione di nuove strutture;
in merito ai centri antiviolenza, la rilevazione dell'Istat pubblicata il 28 ottobre 2019 e relativa al 2017, evidenzia che si sono rivolte ai centri 43.467 donne (15,5 ogni 10 mila donne); il 67,2 per cento ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10 mila) e tra queste il 63,7 per cento ha figli, minorenni nel 72,8 per cento dei casi;
nel 2017 i fondi pubblici per i centri antiviolenza sono stati 12 milioni di euro, che, se divisi per il numero delle donne accolte secondo l'Istat, ammontano a 76 centesimi: una cifra inadeguata che evidenzia il massiccio ricorso al volontariato da parte dei centri antiviolenza senza il cui supporto sarebbe difficile garantirne il funzionamento;
dal punto di vista legislativo, in passato sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne; non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto di quanto realizzato durante il IV Governo Berlusconi, quando, per la prima volta, è stato posto in essere un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con oltre 18 milioni di euro e teso a realizzare una strategia di contrasto su scala nazionale, con l'obiettivo di ottenere una positiva collaborazione tra i centri antiviolenza delle regioni, il numero verde 1522 e le diverse professionalità esistenti nelle fila delle forze dell'ordine;
con la tipizzazione del reato di stalking, avvenuta nel 2009, il Governo e il Parlamento hanno dimostrato un adeguato livello di attenzione all'individuazione di strategie di contrasto e di prevenzione della violenza, realizzando un importante passo in avanti nel sistema legislativo;
tuttavia, la situazione odierna è ben diversa rispetto agli impegni profusi dai Governi Berlusconi; l'attività dell'attuale Esecutivo appare ai firmatari del presente atto di indirizzo deficitaria e lacunosa e si sta compiendo un grande errore nell'interrompere il percorso virtuoso avviato dall'ultimo Governo Berlusconi che aveva ottenuto risultati notevoli nel contrasto alla violenza sulle donne sulla base del consenso e della proficua collaborazione di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, nonché col sostegno e la preziosa ed attiva collaborazione dei membri del mondo dell'associazionismo dei centri anti-violenza;
benché il 14 novembre 2018 la Camera abbia approvato all'unanimità la mozione sul contrasto della violenza di genere presentata dal gruppo Forza Italia, ancora oggi, mancano interventi concreti volti a dare concreta attuazione a tutti gli impegni profusi nella mozione citata;
per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, il gruppo di Forza Italia, pur condividendo la linea ispiratrice, ha condotto una vera e propria battaglia durante l'esame del cosiddetto codice rosso (legge 19 luglio 2019, n. 69) al fine di apportare dei miglioramenti alla proposta di legge d'iniziativa del Movimento 5 Stelle adottata come testo base dalla Commissione giustizia;
tra le novità introdotte in tema di violenza domestica e di genere sono state recepite importanti proposte avanzate da Forza Italia, che già il 25 luglio 2018, aveva presentato una proposta di legge in materia di tutela e informazione delle vittime di reati violenti e in gran parte recepita dalla legge 19 luglio 2019, n. 69;
il cosiddetto codice rosso (legge 19 luglio 2019, n. 69) è intervenuto sulla necessità di velocizzare l'instaurazione del procedimento e, conseguentemente, accelerare l'eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime attraverso modifiche puntuali al codice penale che risultano fondamentali per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere: a fronte di notizie di reato a delitti di violenza domestica e di genere, la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisce immediatamente al pubblico ministero e quest'ultimo, entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, assume informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato;
in tale contesto, particolare menzione meritano le proposte di Forza Italia approvate in sede parlamentare, tra le quali: l'introduzione di una nuova fattispecie penale, ovvero, l'articolo 612-ter, in materia di diffusioni di immagini o video sessualmente espliciti (sexting e revenge porn); l'introduzione di una fattispecie specifica di reato, diretta a punire la «costrizione o induzione al matrimonio mediante coercizione»; l'aumento della pena di cui all'articolo 609-quater del codice penale se il compimento degli atti sessuali con il minore che non abbia compiuto gli anni quattordici avviene in cambio di denaro o altra utilità, anche solo promessi; l'applicazione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (braccialetti elettronico) nei casi di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; la previsione che in caso di condanna per reati sessuali, la sospensione della pena viene subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero ad hoc;
oltre alle proposte appena citate, la battaglia di Forza Italia è andata ben oltre, attraverso l'approvazione dell'emendamento con cui è stato previsto lo stanziamento di una quota pari a 3 milioni di euro per l'anno 2019 e 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020 da destinare a misure di sostegno e di aiuto economico in favore delle famiglie affidatarie degli orfani per crimini domestici;
proprio in merito allo stanziamento delle risorse in favore degli orfani per crimini domestici (previsto dalla legge n. 4 del 2018), ad oggi non è stato ancora emanato il regolamento volto a stabilire i criteri e le modalità per l'utilizzazione delle risorse in favore degli orfani per crimini domestici e al finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l'inserimento dei medesimi nell'attività lavorativa, svuotando di significato i molteplici interventi in favore degli orfani di crimini domestici lasciandoli, di fatto, senza alcuna tutela effettiva;
a ciò si aggiunga che, a seguito dell'approvazione del cosiddetto codice rosso, l'aumento delle denunce delle vittime di violenza di genere, ha fatto crescere in maniera altrettanto esponenziale il lavoro delle procure senza che siano stati forniti i mezzi e le risorse necessarie per far fronte sia in maniera qualitativa sia quantitativa al nuovo carico di lavoro;
purtroppo, ancora oggi, in troppi casi, accade che un procedimento penale scaturito da una denuncia per violenza domestica proceda completamente staccato dal procedimento civile di separazione e si disponga l'affido condiviso dei figli e/o si impongano diritti di visita che mettono a repentaglio i diritti e la sicurezza della vittima o dei minori;
con particolare riferimento alla risoluzione di conflitti intra familiari, dai dati Istat su separazioni e divorzi in Italia si evince che nel 2005 (prima dell'emanazione della legge n. 54 del 2006) i figli/e affidati alla madre erano l'80,7 per cento nelle separazioni e l'82,7 per cento nei divorzi, mentre, dopo l'entrata in vigore della legge, nel 2009 solo il 12,2 per cento di figli/e è stato affidato alla madre contro un 86,2 per cento in affido condiviso; nel 2015 solo l'8,9 per cento dei figli/e è stato affidato alla madre contro un 89 per cento in affido condiviso;
nei casi di «grave pregiudizio» per il figli/o, l'articolo 330 del codice civile prevede che possa essere dichiarata la decadenza e/o limitata la responsabilità genitoriale del genitore abusante e l'articolo 337-quater del codice civile stabilisce che «il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore»;
la formulazione generica delle disposizioni del codice civile appena citate, che non menzionano espressamente l'ipotesi di violenza nelle sue più diverse forme possibili, ha portato ad una generale disapplicazione di tali previsioni nei casi di violenza assistita, tanto che l'attenzione del giudicante ai fini dell'adozione dei provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità, è rivolta alla sola violenza diretta sul/la minore (con il frequente limite che si tende a non vedere la violenza diretta psicologica) e in più si verifica una «impermeabilità» alla violenza agita da un genitore ai danni dell'altro della quale i/le minori sono stati testimoni (cosiddetta violenza assistita);
in tale contesto, la violenza viene dunque ignorata e ogni richiesta di limitazione della responsabilità genitoriale o di affidamento esclusivo è ritenuta infondata e illegittima: i padri accusati di aver commesso violenza domestica hanno la stessa probabilità dei padri non violenti di ottenere l'affidamento dei figli/e, poiché si dà scarso valore alla violenza agita in ambito domestico, pronosticando che nel futuro saranno superate tali problematiche (con sottovalutazione dei potenziali pericoli sia per le madri che per i figli/e nella futura gestione dei rapporti), nell'idea che la figura paterna non possa mai venir meno;
molto spesso non si individua il pericolo che questo genitore rappresenta e si attua una forma occulta di mediazione e/o conciliazione, davanti ai/le giudici o ai servizi sociali, tesa a trovare comunque un accordo sui diritti e tempi di incontro tra il padre violento e i minori, ed a definire consensualmente il procedimento di separazione: in questo modo si obbliga, implicitamente, la donna a definire il procedimento con una conciliazione, denegando giustizia anche nei casi in cui sia espressamente richiesta l'adozione di provvedimenti giudiziali, con implicita violazione del divieto di mediazione obbligatoria previsto all'articolo 48 della Convenzione;
nel momento in cui le madri sollevano la questione della violenza subita per chiedere protezione anche per i figli/e dal padre violento, rischiano di essere penalizzate venendo considerate come alienanti, vendicative o alla ricerca di vantaggi economici;
nel sistema italiano manca il raccordo tra procedimento penale e procedimento civile, se non limitato alla mera comunicazione dell'esistenza del procedimento penale alla Procura minorile ai sensi dell'articolo 609-decies del codice penale: se da una parte, infatti, tali comunicazioni vengono effettuate, e sono rilevanti ai fini della notizia dell'esistenza di un procedimento penale, dall'altra raramente segue da parte dei tribunali per i minorenni l'emanazione di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, così come avviene anche nei procedimenti avanti al giudice ordinario;
tutto ciò è stato rilevato anche dal Consiglio superiore della magistratura, organo di governo della magistratura che, con risoluzione del 9 maggio 2018, ha individuato la necessità di cooperazione tra magistratura ordinaria, sia penale che civile, e minorile qualora sia pendente un giudizio di separazione o divorzio, per evitare la possibilità di vittimizzazione processuale sul coniuge o sui minori vittime di violenza diretta o assistita con possibile adozione di provvedimenti inconciliabili che riguardano le medesime persone;
di particolare rilevanza vi è il fatto che quando viene attivato un procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni, a seguito di segnalazione di condotte violente agite da un genitore ai danni dell'altro ed in presenza dei figli/e minori comuni, vengano di prassi adottati provvedimenti che dispongono l'affidamento del figlio/a minore al servizio sociale, anziché al genitore non violento;
ciò nell'immaginario comune inevitabilmente induce a sollevare dubbi sull'adeguatezza della capacità genitoriale della vittima, che viene limitata nei suoi poteri e nella gestione dei figli/e, costretta ad interagire con soggetti istituzionali terzi per le varie decisioni relative ai figli/e, nella costante valutazione da parte di soggetti istituzionali con la conseguenza di una sua vittimizzazione secondaria;
le consulenze tecniche d'ufficio disposte dai/lle magistrati/e, unitamente alle verifiche richieste ai servizi sociali in caso di «grave conflittualità», molto spesso, non considerano le violenze esercitate da un genitore sull'altro, così come non tengono conto della violenza assistita dai minori: si opera secondo il principio che il minore debba comunque mantenere relazioni significative con entrambe le figure genitoriali;
le conseguenze di tale condizione sono devastanti per le donne cui è richiesto di tenere un profilo indifferente verso la violenza domestica vissuta, mantenendo un rapporto continuo e corretto con i padri dei/lle minori che le hanno maltrattate: se i/le minori si schierano a difesa della madre o dichiarano di avere paura del padre, la responsabilità ricade quasi sempre sulla madre che viene ritenuta portatrice di negatività verso il padre che trasferisce ai figli/e;
l'attuale disciplina sull'affido condiviso, non prevedendo esplicitamente che nei casi di maltrattamento, abuso dei mezzi di correzione, violenze sessuali, violenze fisiche, debba escludersi tale affido, da un lato viola i diritti dei/lle minori a una vita libera da ogni forma di violenza, dall'altro non tutela le donne vittime di violenza domestica ed anzi le espone ad un incremento del rischio di violenza da parte dell'ex partner a causa della gestione condivisa dei/lle minori imposta dalla legge;
partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno della violenza di genere, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a porre un freno all'incontenibile fenomeno di violenze che, purtroppo, ancora oggi molte donne sono costrette a subire,
impegna il Governo:
1) ad intraprendere le opportune iniziative al fine di prevedere un sistema integrato di rilevazione dei dati, anche giudiziari, che, superando la frammentarietà e la parzialità delle informazioni, generi flussi strutturati d'informazioni fruibili a livello nazionale e locale per le finalità proprie di tutti gli attori istituzionali, politici e sociali, anche disaggregati per le diverse condizioni, in particolare per presenza di disabilità;
2) ad adottare iniziative per prevedere il coordinamento e la coerenza tra interventi nazionali e regionali, coinvolgendo le associazioni di donne che offrono servizi specialistici, con allocazione di risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate e stabili nel tempo per un'attuazione sistematica ed efficace delle azioni, il monitoraggio e la valutazione del loro impatto;
3) a prevedere opportune iniziative volte a promuovere percorsi di assistenza e di supporto psicologico per le donne che hanno subito una violenza e per i parenti delle vittime di femminicidio, nonché specifiche iniziative per incentivare l'inserimento delle vittime di violenza nel mondo del lavoro;
4) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza, intesa soprattutto quale strumento di inclusione sociale;
5) a intraprendere le opportune iniziative al fine di dotare gli uffici giudiziari dei mezzi e delle risorse idonee per rendere efficaci le misure previste dalla legge 19 luglio 2019, n. 69;
6) ad assumere le opportune iniziative al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima;
7) ad effettuare una ricognizione sul numero degli ordini di allontanamento e degli ordini di protezione applicati annualmente dai tribunali in Italia e, in particolar modo, sui tempi di attuazione;
8) ad assumere iniziative al fine di sviluppare e attuare, anche in collaborazione con le associazioni di donne esperte sul tema e dei centri antiviolenza e case rifugio, azioni di formazione specifiche per gli operatori dei servizi generati e, nello specifico, competenze per individuare le donne con disabilità, in particolare con disabilità intellettiva o con difficoltà maggiori di comunicazione, vittime di violenza domestica e che necessitano di protezione per evitare la vittimizzazione secondaria;
9) ad intraprendere le opportune iniziative al fine di prevedere un sistema integrato di informazione a disposizione delle donne in merito alle diverse tipologie di servizi di supporto disponibili e in merito alle misure legali che possono richiedere;
10) ad adottare iniziative per assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati regolarmente senza ritardi per permettere ai servizi specializzati di operare conformemente agli standard internazionali e nazionali in materia di diritti umani, con meccanismi di imputazione delle responsabilità pubbliche rispetto al sostegno e alla protezione forniti alle donne vittime di violenza;
11) ad assumere le iniziative di competenza al fine di rendere omogenea la normativa in tema di procedure per l'accesso e l'ospitalità nelle case rifugio delle donne vittime di violenza, indipendentemente da questioni di reddito delle stesse;
12) ad assumere iniziative al fine di rivedere ed adeguare i meccanismi di finanziamento statali, garantendo su tutto il territorio nazionale una presenza delle case rifugio sufficiente in linea con i parametri internazionali, privilegiando quelle che possono con sicurezza garantire la qualità dei servizi e la loro competenza di genere e sui diritti umani, oltre alla qualità professionale;
13) ad assumere iniziative legislative al fine di prevedere nel codice civile la fattispecie di reato riferita alla violenza intra-familiare come causa di esclusione di affidamento condiviso e la violenza assistita come causa di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale;
14) ad assumere iniziative legislative volte a prevedere agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale il concetto di discriminazione fondata sul genere;
15) ad adottare iniziative per prevedere percorsi costanti di formazione obbligatoria sulla violenza assistita e di genere agli operatori/trici sociali, sanitari e di giustizia;
16) ad assumere le opportune iniziative al fine di promuovere attività di prevenzione della violenza contro le donne attraverso l'attivazione di corsi di difesa personale e di arti marziali, anche in collaborazione con le associazioni operanti nel settore;
17) ad assumere iniziative legislative volte a prevedere nel codice civile la «violenza domestica e violenza assistita» come requisito per definire la contrarietà all'interesse del minore, al fine dell'adozione di provvedimenti di affido esclusivo e provvedimenti di limitazione/decadenza della responsabilità genitoriale;
18) ad intraprendere le opportune iniziative al fine di emanare tempestivamente il decreto recante il regolamento con cui sono stabiliti i criteri e le modalità per l'utilizzazione delle risorse destinate all'erogazione di borse di studio in favore degli orfani per crimini domestici e al finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l'inserimento dei medesimi nell'attività lavorativa, ai sensi dell'articolo 11 della legge 11 gennaio 2018, n. 4.
(1-00285) «Carfagna, Prestigiacomo, Gelmini, Aprea, Anna Lisa Baroni, Bartolozzi, Bergamini, Biancofiore, Brambilla, Calabria, Cristina, Fascina, Ferraioli, Fiorini, Fitzgerald Nissoli, Labriola, Marrocco, Mazzetti, Milanato, Polidori, Polverini, Porchietto, Ravetto, Ripani, Rossello, Ruffino, Saccani Jotti, Santelli, Elvira Savino, Sandra Savino, Siracusano, Spena, Tartaglione, Maria Tripodi, Versace, Vietina, Zanella».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta orale:
D'ORSO, MARTINCIGLIO, CASA e ASCARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:
da tempo, è in circolazione sul mercato nei negozi ludici e store online, sin dalla sua prima edizione, un gioco da tavolo composto da 100 carte illustrate (riservato ad un pubblico adulto e vietato ai minori di anni diciotto) chiamato «Squillo» oggi nella versione «Deluxe Edition» distribuito dalla società «Raven»;
in questo gioco di ruolo – dai contenuti espliciti e violenti – ogni giocatore deve vestire il ruolo di sfruttatore di prostitute che, secondo le regole del gioco, deve gestire l'attività di sfruttamento di prostituzione delle ragazze raffigurate in ognuna delle carte contenute nel gioco. Le ragazze, nel gioco, possono anche essere uccise e i loro organi umani venduti;
in particolare, sul sito web della «Raven Distribution», nella scheda illustrativa del prodotto, si legge così: «SQUILLO è un nuovo gioco di carte dallo spirito estremo e divertente! Qui ogni giocatore ricopre un ruolo (quello di sfruttatore di prostitute) gestendo colpo su colpo le sue ragazze, divise tra escort, battone di strada e giovani promesse, ognuna con una propria particolarità, parcella e ricavato finale in caso di k.o., e... successiva vendita degli organi... Lo scopo è quello di sconfiggere il “pappone” avversario, manovrando le proprie squillo con i limiti e le abilità dettate dalla scheda»;
risultano in commercio altri giochi simili distribuiti sempre dalla «Raven» come «Squillo – Bordello d'Oriente»; «Megere e Meretrici»; «Squillo Time Travels – Deep Space 69»;
il gioco – diventato una specie di cult – sin dalla sua prima uscita è stato ed è, tuttora, fonte di polemiche e di indignazione tra le istituzioni e l'opinione pubblica per il suo carattere violento e sessista, tanto da indurre già, anni addietro, alcuni parlamentari a presentare delle interrogazioni parlamentari e molte associazioni rappresentative della tutela dei diritti delle donne a chiederne il ritiro dal commercio;
inoltre, sebbene riservato a fruitori adulti, è evidente il carattere diseducativo del gioco in questione che, peraltro, banalizzando e deridendo la mercificazione del corpo di donne sfruttate e obbligate a vendere il proprio corpo da soggetti della criminalità organizzata, ne viola la dignità e la intima sofferenza, e rischia di alimentare e incoraggiare eventuali comportamenti violenti e sessisti dei quali spesso alcune donne sono vittime;
pertanto, anche alla luce dell'uscita sul mercato, proprio nel mese di ottobre 2019, di una nuova versione del classico «Squillo» chiamato «Squillo city» – così come preannunciata dall'ideatore del gioco, Immanuel Casto nell'intervista rilasciata il 30 settembre 2019 – si ravvisa la necessità non più procrastinabile di intervenire, onde evitare di depotenziare, tollerando l'esistenza in commercio di questi «giochi», tutte le iniziative dirette a prevenire e a contrastare la violenza di genere sia fisica sia psicologica che verbale in cui il Governo si sta impegnando anche quale battaglia culturale –:
se il Governo sia a conoscenza dei gravi fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza, anche normative, ritenga opportuno adottare affinché sia evitata la diffusione e la vendita sul libero mercato dei giochi di cui in premessa, disponendone anche l'immediato ritiro, in quanto gli stessi violano i princìpi della libertà e della dignità delle donne, prima fra tutte di quelle ridotte in schiavitù dal crimine organizzato.
(3-01102)
Interrogazione a risposta scritta:
ILARIA FONTANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'Italia è stata oggetto in passato di procedura di infrazione europea per l'applicazione degli articoli 3, 4, 5 e 10 della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;
l'articolo 3 della direttiva stabilisce che tutti gli agglomerati siano dotati di impianti di depurazione delle acque reflue urbane;
l'articolo 4 della direttiva stabilisce ulteriormente che le acque reflue siano sottoposte anche a trattamento secondario;
l'articolo 5 della direttiva stabilisce che gli Stati membri devono individuare le aree sensibili ai sensi del relativo allegato II, nelle quali gli scarichi dovranno essere sottoposti a trattamenti più spinti di quelli previsti al precedente articolo 4;
le acque reflue urbane dell'agglomerato di Civita Castellana confluiscono nell'area sensibile della riserva naturale di Nazzano Tevere-Farfa, attraversata dal fiume Tevere e sulla quale insiste un lago formatosi a seguito della realizzazione di una diga nel medio corso del fiume;
per le ragioni espresse, l'agglomerato di Civita Castellana è stato inserito nella procedura di infrazione dell'Unione europea n. 2034 del 2009, per la non conformità a tutti e tre gli articoli 3, 4, e 5 della suddetta direttiva;
con determinazione dirigenziale G15456 del 2017 la regione Lazio ha provveduto ad affidare la verifica preventiva della progettazione delle opere di collettamento dei poli di Civita Castellana, Sutri e Vignanello;
le opere di depurazione delle acque fognarie, relative al polo di Civita Castellana a servizio anche dei comuni di Carbognano, Fabrica di Roma, Corchiano, Nepi, Castel S. Elia, Faleria e Calcata, sono ad oggi parzialmente terminate per quanto concerne il sistema depurativo, mentre non sono state più finanziate dalla regione Lazio, le necessarie opere di collettamento dai territori comunali interessati al centro depurativo di Civita Castellana;
ad oggi, il depuratore costruito e funzionante, riceve soltanto un terzo degli scarichi fognari di Civita Castellana, e nulla dai comuni inizialmente previsti in progetto, lavorando di gran lunga al di sotto della propria potenzialità;
a norma del capo VIII del decreto legislativo n. 300 del 1999, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio sono attribuite la tutela delle risorse idriche e la relativa gestione, la sorveglianza, il monitoraggio e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e all'impatto sull'ambiente, con particolare riferimento alla prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno all'ambiente –:
quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo abbia adottato o intenda adottare e con quali tempistiche per assicurare il completamento delle opere in questione, alla luce delle procedure di infrazione in corso.
(4-04069)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazione a risposta in Commissione:
QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
a seguito dell'acuirsi della guerra civile in Libia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato, con la risoluzione 2420, l'embargo sulle armi della Libia fino al giugno 2020;
secondo l'ultima relazione governativa sull’export italiano di armamenti presentata in Parlamento nel maggio 2019, che riporta i dati di autorizzazione e delle consegne riferiti al 2018, tra i maggiori acquirenti figurano i Paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente. In quest'area, che è la zona di maggior tensione del mondo, è stata destinata la quota maggiore di armamenti: oltre 2,3 miliardi di euro, che rappresentano il 48 per cento delle autorizzazioni all'esportazione;
sempre da tale relazione si evince che, delle suddette licenze rilasciate nel 2018, ce ne sono a favore della Libia per un valore di 4.861.913,16 euro per, tra le altre cose, bombe, missili, siluri e accessori –:
se il Governo non intenda sospendere immediatamente tali licenze per conformarsi all'embargo delle armi in Libia sancito dalle Nazioni Uniti.
(5-03110)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta scritta:
FERRO e LUCA DE CARLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la presenza di ungulati presenti in Italia ha raggiunto numeri incalcolabili;
tale dato è confermato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, in risposta all'interrogazione n. 4-00476 della sottoscritta, ha riconosciuto che «Il cinghiale rappresenta il principale fattore di conflitto tra specie animali e attività dell'uomo in molti contesti nazionali. La rilevanza della tematica è anche legata all'incremento numerico dei cinghiali, passati da 300-500.000 capi nel 2000, a oltre 600.000 nel 2005, fino a superare i 900.000 nel 2010 e, verosimilmente, attestatisi oltre il milione di capi negli ultimi anni... In alcuni contesti del Paese la situazione è diventata particolarmente grave, tale da richiedere interventi urgenti per mitigare in modo efficace gli impatti causati dal cinghiale.»;
i cinghiali rappresentano un problema enorme per gli agricoltori, per la fauna minore, per il territorio ma, oramai, anche per la sicurezza dei cittadini;
il numero di incidenti gravi con morti o feriti per colpa di animali è aumentato dell'81 per cento sulle strade provinciali nel periodo 2010-2018, secondo l'analisi Coldiretti su dati del rapporto Aci-Istat;
la presenza di cinghiali sin dentro le aree altamente antropizzate è oramai quotidiana e crea problemi, oltre a essere altamente rischiosa;
pur a fronte dei dati critici suesposti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare afferma: «Quanto sopra nella consapevolezza che la gestione del cinghiale non rappresenta un fatto emergenziale ma una realtà da gestire in forma continuativa. Si tratta, infatti, di gestire informa sostenibile la presenza di una specie diffusa naturalmente sul territorio, che per la grande capacità di incremento annuo deve necessariamente essere soggetta a gestione costante» –:
quali urgenti iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare il Governo per contrastare il fenomeno crescente dello sviluppo incontrollato dei cinghiali;
quali siano gli esiti del tavolo tecnico attivato nei mesi scorsi da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e Ispra sul tema dei danni causati dalla fauna selvatica, in particolare degli ungulati.
(4-04057)
TERMINI, OLGIATI, SIRAGUSA, GRIPPA, BARZOTTI, TRIPIEDI e BARBUTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la legge quadro sull'inquinamento acustico n. 447 del 1995, all'articolo 10, comma 5, prevede che le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, attuino piani di contenimento e di abbattimento del rumore nel caso del superamento dei valori limite, stabiliti per l'infrastruttura ferroviaria dal decreto del Presidente della Repubblica n. 459 del 1998, secondo le direttive emanate con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) del 29 novembre 2000;
il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti pro tempore – Michele dell'Orco – in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 2-00333 del 12 aprile 2019 – su analoga materia – esponeva che Rete ferroviaria italiana (Rfi), ha riferito di aver elaborato e trasmesso, nei termini previsti agli enti interessati (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regioni, e comuni) la documentazione relativa sia alla mappatura che al piano d'azione di risanamento acustico. Gli interventi di risanamento previsti nel piano sono articolati su un periodo di quindici annualità;
su tale piano, in data 1° luglio 2004, è stata sancita l'intesa in Conferenza unificata, Stato-regioni, come previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 29 novembre 2000, relativamente agli interventi di contenimento previsti nelle prime 4 annualità;
i tempi di realizzazione degli interventi successivi al primo quadriennio si stanno protraendo oltremodo;
in relazione a detto piano, infatti, sono emerse alcune richieste da parte dei comuni; più segnatamente, nei territori comunali di Melegnano e Cerro al Lambro (provincia di Milano) i cittadini, che vivono a ridosso della linea ferroviaria, da anni attendono la realizzazione di adeguati interventi di contenimento e abbattimento, e lamentano, appunto, l'assenza di barriere fonoassorbenti per l'attenuazione del rumore prodotto dal passaggio dei treni;
il piano di contenimento e abbattimento del rumore (Pcar) di Rete ferroviaria italiana prevede nel territorio di Melegnano l'attuazione di cinque interventi pianificati tra il sesto e il quindicesimo anno di attuazione del piano. Per quanto riguarda, invece, il comune di Cerro al Lambro sono previsti due interventi pianificati all'undicesimo anno di attuazione del piano;
gli interventi sopra riportati non rientrano, dunque, tra quelli approvati dalla Conferenza unificata Stato-regioni che, con l'intesa del 1° luglio 2004, si è espressa solo sullo stralcio di piano relativo ai primi quattro anni;
ad oggi, dunque, non è noto lo stato di avanzamento dell’iter autorizzativo del secondo stralcio di piano relativo agli interventi programmati dal quinto al quindicesimo anno;
vi è dunque l'esigenza di definire un ambito certo entro cui ricondurre il percorso di realizzazione degli interventi, anche al fine di evitare rallentamenti nella esecuzione degli stessi –:
se i Ministri interrogati intendano adottare le iniziative di competenza per verificare lo stato dell’iter relativo all'approvazione del piano di contenimento e abbattimento del rumore di Rfi relativamente alle annualità dalla quinta alla quindicesima;
se e quali iniziative di competenza intendano assumere per una puntuale verifica dello stato degli interventi che, su tutto il territorio regionale e nazionale, avrebbe dovuto realizzare Rfi, e in particolare dello stato in cui versano i progetti per l'intervento di risanamento acustico nei comuni di Melegnano e Cerro al Lambro.
(4-04059)
ZUCCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Kme è una società tedesca controllata da Intek Group che opera con tre divisioni nei settori della produzione di rame, ottone e prodotti speciali;
in Italia, la società, con la sede di Fornaci di Barga (Lucca), ricopre un ruolo strategico e di fondamentale importanza per l'intera Valle del Serchio e l'intera provincia di Lucca, generando indotto e reddito, impiegando circa 570 lavoratori e vantando una capacità produttiva di 90.000 tonnellate annue;
da tempo lo stabilimento si trova al centro dell'attenzione mediatica nel tentativo di un rilancio industriale volto a garantire una continuità produttiva e occupazionale;
l'azienda Kme ha deciso di trasformare l'impianto di Fornaci di Barga in un pirogassificatore;
il progetto prevedrebbe un inceneritore di rifiuti a tutti gli effetti che, per quanto riguarda gli inquinanti emessi in atmosfera e i residui tossici solidi, sarebbe assolutamente equivalente agli inceneritori classici. Il combustibile sarebbe composto in primis da scarti di cartiera (scarto pulper, composto al 70 per cento da plastiche, fanghi e code) ma si prevedrebbe la possibilità di ricorso ad altre tipologie di rifiuti, dettagliatamente elencate nel SIA che accompagna il progetto: da quelli dell'alimentare a quelli del tessile e del conciario;
il gassificatore emetterà una gamma di inquinanti che la fonderia attualmente non emette o che comunque non è autorizzata ad emettere, ovvero ammoniaca, acidi gassosi (acido cloridrico e fluoridrico), anidride solforosa, molti tipi di metalli pesanti variamente tossici (mercurio, tallio, arsenico, antimonio, manganese e altri) e idrocarburi policiclici aromatici (IPA, come il benzopirene, un cancerogeno certo);
con molta probabilità la dispersione degli inquinanti, nonché la dimensione degli inquinanti sarà più pericolosa in quanto gli inquinanti aventi natura particolata emessi dal gassificatore saranno per l'87 per cento polveri fini e ultrafini (PM 2.5 e inferiori) mentre tale percentuale è del 50 per cento per quelle di fonderia; è noto in letteratura come le polveri fini e ultrafini siano molto più tossiche in quanto in grado di penetrare le difese naturali dell'apparato respiratorio ed entrare a contatto con tutti gli organi del corpo. Questo impianto rappresenta una bomba ecologica e sanitaria, un modo di agire che va in senso opposto all'economia circolare presente tra le proposte inserite all'interno del nuovo «Patto per lo sviluppo» della regione Toscana siglato dal Presidente Enrico Rossi il 12 luglio 2019 con 19 soggetti rappresentativi delle categorie produttive;
il tutto avverrebbe in un contesto di scarsa dispersione di inquinanti dovuta a fattori orografici e climatici (valle ristretta fra catene montuose, scarsa ventilazione e inversione termica come certificato dalla regione) e di eccessi di mortalità e ricovero certificati su malattie cardiache, respiratorie e renali dall'Ars (Agenzia regionale di sanità) nell'ultimo studio epidemiologico presentato il 3 ottobre 2019 con dati aggiornati al 2015;
il comune di Barga è uno dei più virtuosi della Toscana quanto a raccolta differenziata, dato che col sistema porta a porta ha raggiunto l'85 per cento di tasso di raccolta differenziata. Ci si troverebbe ad avere, quindi, un comune assolutamente virtuoso nella gestione dei rifiuti e «premiato», con un inceneritore di queste dimensioni nel suo territorio;
il settore cartario rappresenta un'eccellenza del territorio lucchese in quanto vanta diverse aziende operanti in questo mercato che però hanno l'annoso problema di dover smaltire gli scarti del pulper;
secondo dati Comieco, il distretto cartario lucchese ricicla circa 1,6 milioni di tonnellate di macero annue, una quantità di scarto all'umido di 70.000 tonnellate –:
quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, nei confronti delle numerose aziende del distretto cartario lucchese per incentivare uno smaltimento del pulper che segua i dettami dell'economia circolare e allo stesso tempo per garantire il mantenimento dei relativi livelli occupazionali.
(4-04068)
DIFESA
Interrogazione a risposta orale:
PERANTONI e SCANU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
dopo la pausa estiva, sono riprese le esercitazioni militari nell'area a terra e in mare del Poligono di Teulada, sulla costa sud occidentale della Sardegna, seconda servitù militare per estensione d'Italia con 7.200 ettari, dopo il poligono del Salto di Quirra-Perdasdefogu (nella Sardegna orientale) di 12.700 ettari;
sono oltre 35 mila gli ettari di territorio sardo sotto vincolo di servitù militare: sull'isola ci sono poligoni missilistici (Perdasdefogu), per esercitazioni a fuoco (Capo Teulada), poligoni per esercitazioni aeree (Capo Frasca);
in occasione delle esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta, uno specchio di mare di oltre 20 mila chilometri quadrati, una superficie quasi pari all'estensione dell'intera Sardegna;
il 6 novembre 2019, un elicottero della Marina militare tipo Sh-101 è precipitato sul ponte del cacciatorpediniere Caio Duilio D554 al termine delle esercitazioni di appontaggio notturno davanti alla costa di Teulada. L'Sh-101 ha effettuato quello che in gergo viene definito «appontaggio pesante» sul ponte di volo poppiero del cacciatorpediniere, rovesciandosi sul fianco;
all'interno c'erano sei membri dell'equipaggio di volo, fortunatamente feriti in maniera non grave. Al momento, non sono note le cause dell'incidente, che sono in fase di accertamento;
l'appontaggio – così come il decollo – da un vascello in navigazione, soprattutto in condizioni notturne, è tra le operazioni più pericolose;
a voler tacere dell'incidenza connessa alle attività svolte nelle aree oggetto di servitù militare, ciò che allo stato preme rilevare è l'elevata pericolosità di tali operazioni, come dimostrato dall'episodio sopra descritto –:
se sia a conoscenza dell'episodio esposto in premessa, quali ne siano state le cause e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire la sicurezza dei militari operanti e della popolazione residente durante le esercitazioni.
(3-01104)
Interrogazione a risposta scritta:
FERRO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
destano preoccupazione le notizie, riportate da fonti di stampa locale, in merito alla funzionalità e alla stessa sopravvivenza della caserma «Ettore Manes» di Castrovillari (Cosenza), dove opera la IV compagnia del 21° reggimento genio pontieri, fortemente a rischio, a causa del progressivo smantellamento della struttura militare;
la carenza del personale e la mancanza di mezzi e materiali sembrerebbero segnali preoccupanti in ordine al depotenziamento e al disinteresse degli organi centrali dello Stato nei confronti di una caserma, fiore all'occhiello della Calabria;
l'infrastruttura, che dal 1994 ospita una Compagnia Genio, dovrebbe essere uno dei presidi più importanti del Mezzogiorno, soggetto ad attività tettoniche, dissesti idrogeologici e alluvioni, non ultima quella che nel 2015 devastò la Sibaritide, in particolare Corigliano-Rossano;
i genieri, oltre a occuparsi della bonifica di ordigni esplosivi, sono specialisti nel supporto alla popolazione in caso di pubbliche calamità, ma oggi il presidio, abbandonato dalle istituzioni, è nell'impossibilità di intervenire anche in caso di allertamento per un evento di piccola entità, avendo, comunque, bisogno di attendere rinforzi e aliquote operative dalla caserma generale «Amico» di Caserta, dove è di stanza il 21° reggimento Genio Guastatori, dal quale dipende la Compagnia Genio di Castrovillari;
l'ombra di una possibile soppressione del reparto ha per anni paralizzato il tessuto economico e sociale della comunità;
altro tema delicato, denunciato dai genieri della caserma «Ettore Manes», è quello dei ricongiungimenti familiari, poiché, nonostante Castrovillari non sia la più gettonata, il che dovrebbe contribuire a una serena gestione dei trasferimenti a domanda, anche quest'anno sarebbe stata accolta una sola domanda su oltre quaranta;
l'Esercito italiano non è un corpo estraneo alla società, ma un pilastro della stessa società civile –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per garantire un presidio di livello in Calabria quale la caserma Ettore Manes dovrebbe essere;
quali siano i motivi della carenza di personale in forza alla caserma «Ettore Manes»;
quali siano i motivi della scarsa destinazione di militari alla struttura di Castrovillari, nonostante vi sia una forte richiesta da parte di militari meridionali, e calabresi in particolare, a svolgere il servizio quanto più possibile vicino ai luoghi d'origine, secondo le previsioni di legge.
(4-04063)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CENTEMERO, BITONCI, CAVANDOLI, COVOLO, GERARDI, GUSMEROLI, ALESSANDRO PAGANO, PATERNOSTER e TARANTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 4-bis decreto-legge n. 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 225 del 2016, aveva previsto, con decorrenza 1° gennaio 2018, l'obbligo dell'emissione della fatturazione elettronica per il tax free shopping;
per poi garantire l'interoperabilità tra il sistema di fatturazione elettronica ed il sistema OTELLO (Online tax refund at exit: light lane optimization) è stata emanata la determinazione 22 maggio 2018, n. 54088, del direttore dell'agenzia delle dogane e monopoli, di concerto con il direttore dell'Agenzia delle entrate;
del predetto articolo 4-bis è rilevante, per gli interroganti, la disposizione recata dal comma 5, in virtù della quale le maggiori entrate derivanti dall'applicazione dell'obbligo di fatturazione elettronica per il tax free shopping dovevano essere destinate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze –:
quale sia stato il gettito per le casse dello Stato, e specificatamente per il Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato istituito, per l'anno 2018 e per il primo semestre 2019, ai sensi dell'articolo 4-bis di cui in premessa.
(5-03104)
UNGARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
i costi per aprire un conto corrente per connazionali non residenti non sono uguali a quelli che bisogna sostenere per aprire un conto corrente ordinario. Si sostiene che questo accada per via delle commissioni più alte e dei maggiori controlli fiscali che questa tipologia di conti correnti richiedono;
anche se si ha la cittadinanza italiana e si è regolarmente iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, per gli italiani non residenti si ha l'obbligo, per effetto del recepimento della normativa comunitaria antiriciclaggio in vigore dal febbraio 2015, di chiudere il conto corrente italiano e trasferire tutte le somme in esso, a patto che tale conto venga aperto presso una banca regolarmente operante in Italia;
la predetta tipologia di rapporto bancario è molto costosa con pesanti limitazioni di operatività: ad esempio, non è concesso il servizio di banca telematica così come sono interdetti altri strumenti di pagamento elettronico, quali quello della carta di credito. Mediamente secondo fonti Abi il costo annuo si aggira intorno ai quattro-cinquecento euro;
molte sono le lamentele pervenute all'interrogante in merito ai citati costi;
pur considerando legittime e assolutamente giuste normative stringenti contro le frodi valutarie e fiscali, si tratta evidentemente di una discriminazione verso una parte di connazionali che spesso per necessità emigra e che, anche per tutelarsi da svalutazioni valutarie o costi di cambio, decide di mantenere i propri risparmi in Italia e magari sostenere un mutuo per pagare una casa acquistata nella Penisola –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga, pur salvaguardando l'assetto delle normativa antiriciclaggio vigente, di adottare iniziative per correggere questa evidente discriminazione economica e nell'accesso al credito, in relazione al verificarsi di determinate condizioni favorevoli e di affidabilità fiscale verso gli italiani residenti all'estero e iscritti all'Aire, stante il fatto che conviene al «sistema Paese» avere depositi monetari per una più facile spesa nel Paese di giacenza, per aumentare la raccolta degli istituti di credito, anche in considerazione degli effetti sul gettito fiscale.
(5-03105)
RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
dal 1° gennaio 2019 si applica un'imposta sostitutiva dell'Irpef e delle addizionali regionali e comunali sui compensi derivanti dall'attività di lezioni private e ripetizioni, svolta dai docenti titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado. Il nuovo regime di tassazione delle lezioni private e delle ripetizioni è stato introdotto dall'articolo 1, commi da 13 a 16, della legge n. 145 del 2018;
l'imposta sostitutiva è pari al 15 per cento e deve essere versata entro il termine stabilito per il pagamento dell'Irpef, la cui disciplina, peraltro, si applica anche per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi e il contenzioso;
è fatta comunque salva la possibilità di optare per l'applicazione dell'Irpef nei modi ordinari;
la risoluzione n. 43 del 2019 precisa che l'opzione deve essere comunicata con la dichiarazione dei redditi relativa all'anno d'imposta cui si riferisce la scelta operata;
l'imposta deve essere versata, con appositi codici di tributo, con le modalità ed entro i termini previsti per il pagamento dell'acconto e del saldo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche –:
se il Governo disponga dei dati riguardanti il numero di contribuenti che hanno optato per l'imposta sostitutiva e il relativo gettito;
se il Governo non ritenga più opportuno, al fine di incentivare ulteriormente l'emersione di materia imponibile in questo come in altri settori, adottare iniziative per introdurre forme di contrasto di interessi tra le parti, promuovendo sistemi di detrazione o deduzione a favore del committente che sostiene la spesa documentata.
(5-03109)
GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta orale:
PALMISANO, PERANTONI e ASCARI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
di recente alcune notizie di cronaca (www.corrieredellacalabria.it dell'8 giugno 2019) hanno riportato all'attenzione dell'opinione pubblica una vicenda che, all'epoca dei fatti, ha destato sgomento per le modalità, di stampo mafioso, con cui fu ucciso, il 9 aprile 2018 a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, di un biologo (incensurato), Matteo Vinci, dilaniato da un'autobomba comandata a distanza, mentre si trovava a bordo della propria auto insieme al padre Francesco, che rimase gravemente ustionato;
la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, in data 26 giugno 2018, ha tratto in arresto i cinque presunti autori della strage, appartenenti al clan Mancuso;
il 16 maggio 2019 la procura della Repubblica competente ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio al giudice dell'udienza preliminare che, nella stessa data, ha emesso il decreto di fissazione dell'udienza preliminare per il 7 giugno 2019;
la notifica alle parti doveva compiersi, ai sensi di legge, entro il 28 maggio 2019, ovvero almeno dieci giorni prima dell'udienza;
consta all'interrogante che, al contrario, la notifica ad uno degli imputati, L.D.G., detenuta agli arresti domiciliari, è stata fatta il 4 giugno 2019 e che il giudice dell'udienza preliminare ha disposto il rinvio dell'udienza al 21 giugno 2019;
in una lettera indirizzata al Ministro della giustizia, in data 31 luglio 2018, il legale della famiglia Vinci, avvocato Giuseppe De Pace, denunciava la grave situazione derivante dal difetto di notifica a uno degli imputati, sottolineando la fase di profonda prostrazione dei genitori di Matteo Vinci, già duramente provati dalla perdita del figlio e allarmati dai possibili esiti del processo e delle sorti dei presunti autori della strage;
nella stessa lettera l'avvocato De Pace chiedeva le motivazioni alla base del difetto di notifica e quelle riguardanti la mancata partecipazione al processo in videoconferenza di uno degli imputati, su disposizione del medico del carcere in cui lo stesso era detenuto –:
se il Ministro interrogato intenda valutare se sussistono i presupposti per assumere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa.
(3-01099)
GIACCONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il penitenziario di Asti, è divenuto da alcuni anni casa di reclusione ad alta sicurezza, con una popolazione carceraria formata prevalentemente da detenuti «con fine pena mai o gravati da condanne per lunghi anni di detenzione», senza che contemporaneamente ci siano stati adeguati miglioramenti e implementazioni nell'organico nel personale;
il 15 novembre 2018 nel carcere un agente penitenziario è stato brutalmente e violentemente aggredito con calci e pugni in testa e allo stomaco, da un detenuto di 34 anni con fine pena nel 2022;
l'agente, prontamente soccorso dai colleghi ha dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso di Asti ed è stato ricoverato in ospedale;
si tratta purtroppo solo dell'ennesimo episodio in cui gli agenti della polizia penitenziaria nel carcere di Asti subiscono in prima persona aggressioni da parte dei detenuti;
inoltre, sempre nel mese di novembre 2018 nel medesimo carcere, pochi giorni prima dell'aggressione all'agente si è registrata una protesta di 40 detenuti, convinti dopo 4 ore di trattativa a rientrare nelle celle dal commissario e comandante Alessia Chiosso;
da diverso tempo i sindacati di categoria protestano chiedendo maggiore sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria, da un lato, attraverso l'adeguamento dell'organico presente presso la casa di reclusione di Asti, attualmente non consono a garantire il normale grado di sicurezza degli agenti stessi, e, dall'altro lato, mediante l'applicazione, con decisione, delle misure necessarie per contrastare e reprimere fenomeni di aggressione similari a quelli esposti;
la pianta organica della casa di reclusione, carente a tutti, i livelli è particolarmente deficitaria di figure chiave come ispettori e sovrintendenti di polizia penitenziaria –:
se e in che termini il Ministro interrogato intenda intervenire con riguardo alla protesta di cui in premessa e a sostegno del personale della casa di reclusione di Asti, al fine di aumentare la sicurezza degli agenti nel penitenziario, nonché per incrementare l'organico presso la medesima struttura.
(3-01100)
Interrogazione a risposta scritta:
DEIDDA, GALANTINO e MASCHIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il terzo e l'ottavo comma dell'articolo 560 del codice di procedura civile prevedono che il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento e, quando l'immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari, il giudice non può mai disporre il rilascio dell'immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento ai sensi dell'articolo 586;
la suindicata formulazione è conseguente all'approvazione della legge 11 febbraio 2019 – di conversione del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 – la quale ha altresì previsto che le disposizioni suddette non si applicano alle esecuzioni iniziate anteriormente alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione;
attualmente, entrato a regime il cosiddetto «fondo salva casa», innovativo ammortizzatore sociale, pensato per aiutare concretamente le famiglie in difficoltà, con l'obiettivo di acquistare gli immobili pignorati e messi all'asta per riaffidarli, in un secondo momento, in locazione, a un canone sostenibile, a coloro che hanno subito il pignoramento dell'abitazione favorendone anche il riacquisto;
allo stato, in relazione all'applicazione della nuova formulazione dell'articolo 560 anche alle procedure esecutive già attive, si stanno registrando orientamenti giurisprudenziali differenti, al punto che alcuni tribunali stanno consentendo anche ai debitori esecutati antecedentemente all'introduzione delle norma di abitare l'immobile anche nel periodo di espletamento dell'asta e fino alla pronuncia del decreto di trasferimento;
dai dati forniti dal Ministero, su scala nazionale, le esecuzioni immobiliari in essere, con probabile conclusione nei prossimi 5 anni, sono stimate in circa 248.000: tale situazione potrebbe comportare, nel prossimo quinquennio, la perdita, per quasi un milione di persone, della propria abitazione, con gravi ripercussioni sul piano sociale, di cui, verosimilmente, dovranno occuparsi i comuni, che, dunque, si troveranno costretti a far fronte a un'emergenza sociale di dimensioni inimmaginabili, senza godere delle adeguate risorse;
la normativa suindicata, nell'escludere le procedure esecutive iniziate anteriormente alla data di introduzione della novella legislativa, appare agli interroganti di dubbia costituzionalità, oltre che socialmente inaccettabile e la permanenza del debitore con la propria famiglia nel medesimo immobile non impedisce, in alcun modo, la prosecuzione dell'azione esecutiva, né la soddisfazione dei creditori, a maggior ragione successivamente all'attivazione del predetto fondo –:
se sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se intenda adottare iniziative normative, anche urgenti, al fine di modificare l'articolo 560 del codice di procedura civile, prevedendone l'applicazione anche alle azioni esecutive iniziate antecedentemente all'entrata in vigore della novella legislativa;
se intenda adottare iniziative per incentivare la partecipazione di ulteriori soggetti al fondo in questione, eventualmente anche prevedendo la sospensione delle procedure esecutive interessate dalla presentazione dell'istanza di accesso al medesimo fondo.
(4-04062)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:
BRAGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
dalla lettura combinata degli articoli 94 e 94-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, come modificati dalla legge n. 55 del 2019, emerge l'obbligatorietà dell'autorizzazione sismica per le casistiche di interventi elencati all'articolo 94-bis, comma 1, lettera a), punto 2 e 3, e lettera b), punto 1, pur se localizzati in zona sismica 3;
poiché la zona sismica 3 è annoverata come zona a media sismicità per essa non si applica l'esclusione dall'obbligo di preventiva autorizzazione sismica di cui all'articolo 94, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
prima dell'entrata in vigore della legge n. 55 del 2019, la zona è stata sempre considerata di grado di sismicità basso e, come nel caso della regione Lombardia, l'obbligo di autorizzazione sismica non è mai stato attribuito agli interventi nei comuni in zona sismica 3 e 4;
la revisione del grado di sismicità, da basso a medio, per la zona 3 determina enormi implicazioni amministrative. Nella sola Lombardia, infatti, i comuni interessati dall'adempimento dell'autorizzazione sismica preventiva, passano dai 57 comuni in zona 2 ai 1.072 comuni in zona sismica 2 e 3;
a seguito del mutato quadro legislativo appare, in particolare, necessario fornire chiarimenti in merito all'obbligatorietà dell'autorizzazione sismica preventiva per le riparazioni e gli interventi locali sulle costruzioni esistenti che siano edifici di interesse strategico od opere infrastrutturali fondamentali per le finalità di protezione civile e che siano edifici ed opere infrastrutturali che possano assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un loro eventuale collasso;
una interpretazione cautelativa del dettato della norma porterebbe a ritenere cogente l'autorizzazione sismica per la casistica dei suddetti interventi –:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per dare soluzione al problema esposto, in relazione alla revisione del grado di sismicità ed alla obbligatorietà dell'autorizzazione sismica preventiva per le fattispecie di edifici ed opere infrastrutturali indicate in premessa.
(5-03111)
MAZZETTI, CORTELAZZO, CASINO, GIACOMETTO, LABRIOLA e RUFFINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
nella città di Prato, il viale Leonardo Da Vinci, comunemente denominato «declassata», è la viabilità principale, di competenza dell'Anas, in direzione est-ovest e divide in due l'intera città. All'altezza del Soccorso, è presente un restringimento della sede stradale, che provoca rallentamenti della circolazione ed evidenti disagi;
nel 2014 l'amministrazione comunale decise di eseguire, in quel punto, il raddoppio delle carreggiate realizzando un sottopasso di circa 700 metri;
nel 2016 il comune ha siglato un accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione e l'Anas. Nell'accordo si dà atto della richiesta di statalizzazione del citato viale, affidando ad Anas la progettazione del sottopasso;
l'Arpat e l'Autorità di bacino hanno nel tempo segnalato forti criticità legate alla realizzazione dell'opera, tanto che in molti hanno proposto il ripristino del progetto preliminare a suo tempo approvato, di viadotto in elevazione. Anche in conseguenza di dette criticità il comune ha deciso che il progetto di interramento venga sottoposto a valutazione di impatto ambientale;
ben un anno fa, il 6 novembre 2018, in risposta all'interrogazione n. 5-00881 presentata dalla firmataria del presente atto, il Sottosegretario all'ambiente e alla tutela del territorio e del mare ha ricordato come l'Arpat, alla luce della documentazione integrativa depositata dal proponente, e ai possibili impatti dell'opera sull'ambiente, sicuramente per la componente idrogeologica, ha ritenuto che ricorrano le condizioni per sottoporre il progetto al procedimento di valutazione d'impatto ambientale –:
se sia stato presentato ed eventualmente con quali caratteristiche il progetto dell'Anas, e se risulti che sia stata avviata la suddetta procedura di valutazione d'impatto ambientale relativa al progetto del sottopasso.
(5-03112)
Interrogazione a risposta in Commissione:
SCHIRÒ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 7 novembre 2019 è entrato in vigore il provvedimento che impone di montare sulle auto i dispositivi di allarme per i seggiolini, i cosiddetti sistemi «antiabbandono», come previsto dal regolamento di attuazione dell'articolo 172 del nuovo codice della strada in materia di dispositivi antiabbandono di bambini di età inferiore a quattro anni (decreto 2 ottobre 2019, n. 122, pubblicato il 23 ottobre sulla Gazzetta Ufficiale);
di conseguenza, dal 7 novembre sono applicabili le sanzioni di cui all'articolo 172 del codice della strada, introdotte dalla legge 1° ottobre 2018, n. 117, e precisamente la sanzione amministrativa da 81 a 326 euro (pagamento entro cinque giorni 56,70 euro) e la decurtazione di 5 punti dalla patente;
per l'attuazione del decreto n. 122, il Ministero dell'interno ha divulgato la circolare esplicativa della direzione centrale delle specialità (6 novembre 2019, Prot.3 00fA/9434/19/109/12/3/4/1);
nella circolare si legge: «I dispositivi devono essere utilizzati nei veicoli appartenenti alle categorie MI, N1, N2 e N3 di cui all'articolo 47 del Codice della Strada immatricolati in Italia o immatricolati all'estero, quando condotti da residenti in Italia, per il trasporto di bambini di età inferiore a 4 anni» –:
se i cittadini italiani iscritti all'Aire – in quanto tali non residenti in Italia – in caso di viaggio in territorio nazionale con bambini di età inferiore a quattro anni siano tenuti o meno a dotare le loro autovetture dei dispositivi di cui al decreto 122 del 2019;
nel caso di controlli da parte delle autorità competenti, quali documenti sia tenuto a presentare il cittadino italiano iscritto all'Aire oppure il cittadino italiano residente all'estero la cui richiesta di iscrizione Aire non è stata ancora finalizzata dalle autorità consolari o dai comuni di provenienza.
(5-03107)
INTERNO
Interrogazione a risposta in Commissione:
GRIBAUDO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, comma 889, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, ha previsto l'attribuzione di un contributo di 250 milioni di euro annui alle 76 province delle regioni a statuto ordinario, per il periodo 2019-2033, per il finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale per la manutenzione di strade e di scuole;
la provincia di Cuneo è quarta in Italia per estensione territoriale, seconda come numero di comuni e con una conformazione orografica caratterizzata dall'80 per cento del territorio a tutti gli effetti montano, «terre alte» nelle quali vive il 30 per cento della popolazione, con ben 3.227 chilometri di strade provinciali. Conta 25.643 studenti e più di 80 edifici scolastici e risulta, ad oggi, classificata al terzultimo posto in tutta la Nazione per il minor contributo assegnato dal decreto 4 marzo 2019 del Ministero dell'interno – euro 1.156.581 per 15 annualità;
il decreto 4 marzo 2019 del Ministero dell'interno recante «Riparto a favore delle Province delle Regioni a statuto ordinario del contributo di 250 milioni di euro destinato al finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale per la manutenzione di strade e di scuole, per ciascuno degli anni dal 2019 al 2033», è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 58 del 9 marzo 2019, prevedendo un riparto delle risorse attribuite secondo i seguenti criteri:
per il 50 per cento, tra le province che presentano una diminuzione della spesa per la manutenzione di strade e di scuole nell'anno 2017 rispetto alla spesa media con riferimento agli anni 2010, 2011 e 2012 e in proporzione a tale diminuzione;
per il restante 50 per cento, in proporzione all'incidenza determinata al 31 dicembre 2018 dalla manovra di finanza pubblica di cui all'articolo 1, comma 418, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e dall'articolo 47 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 1, commi 838 e 839, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, rispetto al gettito dell'anno 2017 dell'imposta sull'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile dei veicoli, dell'imposta provinciale di trascrizione, nonché del fondo sperimentale di riequilibrio;
le spese sostenute dalla provincia di Cuneo per lo sgombero della neve sulle strade degli ultimi anni (tenendo conto che le stagioni invernali 2017-2018 hanno registrato precipitazioni superiori la media) e per il riscaldamento scolastico, sono ampiamente superiori rispetto alle altre province;
la provincia di Cuneo, nonostante sia riuscita – finora e ugualmente – a far fronte alla situazione, con avanzi di gestione e contributi della regione Piemonte, è stata fortemente penalizzata vedendosi attribuire risorse pari ad 1.156.581 euro – su un totale di 250 milioni di euro – circostanza che ha vanificato di fatto tutti gli sforzi fatti in termini economici;
il riparto previsto dal decreto ministeriale 4 marzo 2019 non tiene conto, per esempio, dei chilometri di strade, della popolazione e del numero delle scuole con un delta tra la spesa 2016-2017 (anni particolarmente nevosi) e la media di altri periodi;
la provincia di Cuneo, in qualità di territorio considerato di fatto virtuoso, necessita di parità di trattamento nella fruizione dei diritti allo studio e alla sicurezza stradale; i cittadini devono poter contare su risorse adeguate alle funzioni assegnate e così per i successivi 14 anni a venire –:
se il Ministro interrogato non ritenga necessario valutare l'adozione d'iniziative per una verifica dei criteri utilizzati nel riparto delle risorse da assegnare per la manutenzione di strade e di scuole, al fine di provvedere a una ripartizione più equa e oggettiva delle stesse alle province italiane in relazione alla spesa ordinaria per la manutenzione di strade e scuole per i prossimi 15 anni.
(5-03106)
Interrogazioni a risposta scritta:
CAPARVI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
a maggio 2019 è stato aperto un posto fisso di polizia nel quartiere di Fontivegge nella zona della stazione di Perugia, a seguito dell'intervento dell'ex Sottosegretario per l'interno, Stefano Candiani, il quale ha assecondato le richieste dei cittadini di avere una maggiore sicurezza con un presidio stabile per contrastare il grave degrado e le situazioni di disagio di quel territorio;
il posto di polizia, per essere operante in maniera fissa, avrebbe bisogno di 13 unità di personale, mentre al momento opera solo con 3 risorse che, da sole, sono del tutto insufficienti e non riescono a soddisfare le necessità del quartiere;
del resto, lo stesso prefetto ha dichiarato che per far funzionare il posto fisso a Fontivegge servivano almeno 10/12 agenti di polizia –:
se intenda adottare tempestivamente iniziative per incrementare le unità di personale della polizia di Stato da destinare al posto fisso di polizia alla stazione di Fontivegge a Perugia, al fine di rendere il presidio operativo e funzionante.
(4-04060)
CIRIELLI e PRISCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
nella Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale, concorsi ed esami del 28 dicembre 2018, n. 102, è stato pubblicato il concorso per l'ammissione di 221 borsisti al sesto corso-concorso selettivo di formazione per il conseguimento dell'abilitazione richiesta ai fini dell'iscrizione di 224 segretari comunali nella fascia iniziale dell'Albo nazionale dei segretari comunali e provinciali;
successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale, concorsi ed esami del 26 luglio 2019, è stato pubblicato il concorso per titoli ed esami per il reclutamento di complessive n. 2.329 unità di personale non dirigenziale a tempo indeterminato per il profilo di funzionario da inquadrare nell'area funzionale terza, fascia economica F1, nei ruoli del personale del Ministero della giustizia, ad eccezione della regione Valle d'Aosta;
negli scorsi giorni, per entrambi i concorsi, sono state pubblicate le date in cui avranno luogo le prove preselettive. In particolare, le prove del concorso per 224 segretari comunali e provinciali si svolgeranno il 13 e il 14 novembre prossimi, mentre quelle per il reclutamento di 2.329 funzionari giudiziari si svolgeranno sempre nello stesso mese, dal 12 al 18;
si tratterebbe, pertanto, di due concorsi ministeriali le cui prove si terranno durante le medesime giornate, costringendo i candidati a scegliere di partecipare a uno soltanto;
a parere degli interroganti, tale situazione creerebbe un'inaccettabile ingiustizia per i concorsisti. Difatti, si potrebbe pacificamente sostenere che, in relazione ai requisiti richiesti dal bando (il possesso di specifici titoli di studio) nonché alle materie oggetto di prove del concorso, la categoria di laureati partecipanti ad entrambi i concorsi sia pressoché la medesima;
per di più, gli iscritti alle prove, in sede di compilazione della domanda, hanno anche sostenuto, per entrambi i concorsi, il pagamento di una quota, necessaria per poter prendere parte alla selezione. Ci si chiede, pertanto, se l'impossibilità per i candidati di partecipare a entrambi i concorsi non debba tradursi in un'inopportuna scelta da parte dei Ministeri che avrebbero dovuto garantire la partecipazione agli stessi, anche in relazione all'esborso economico –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda porre in essere per evitare che possa determinarsi una situazione pregiudizievole per i candidati di entrambi i concorsi e affinché non si mortifichino le aspettative e l'impegno di tutti i laureati che lecitamente aspirano a partecipare ad entrambe le selezioni.
(4-04065)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta orale:
BUSINAROLO e PERANTONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il 24 luglio 2018 è stato pubblicato il primo regolamento attuativo del decreto legislativo n. 61 del 13 aprile 2017 (recante «Revisione dei percorsi dell'istruzione professionale nel rispetto dell'articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con il percorso dell'istruzione e formazione professionale, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera d), della legge 13 luglio 2015, n. 107»), ovvero il decreto interministeriale 92 del 24 maggio 2018;
se il riordino degli istituti professionali è pensato, oltre che per combattere la dispersione e l'abbandono scolastico, anche nell'ottica di facilitare l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso competenze che li mettano sullo stesso piano dei colleghi europei, l'Italia, in controtendenza, sta procedendo verso un indebolimento della formazione linguistica, con l'eliminazione della seconda lingua straniera dal biennio di tali istituti;
se è vero che tra i princìpi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 61 del 2017 si dichiara che le istituzioni scolastiche professionali sono «concepite come laboratori di ricerca, sperimentazione ed innovazione didattica», è altrettanto vero che l'acquisizione di competenze innovative non può prescindere dalla conoscenza di almeno due lingue straniere, per garantire agli studenti italiani di essere competitivi con quelli europei;
occorre evidenziare, altresì, che per rafforzare le competenze degli studenti e migliorarne le prospettive di inserimento lavorativo, come previsto dal comma 3 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 61 del 2017, non si può prescindere dalle esigenze del territorio. Molte infatti sono le aziende made in Italy che collaborano con Paesi europei come Germania e Francia, per cui l'utilizzo di lingue, come il francese e il tedesco, per una comunicazione che avvenga in una piattaforma di scambi alla pari, si rende assolutamente necessario;
analoga situazione si verifica anche per altri settori lavorativi, tra cui quelli della gastronomia, della moda e del turismo, per i quali la conoscenza delle lingue straniere rappresenta un valore aggiunto importantissimo;
a seguito della succitata riforma la seconda lingua comunitaria è di fatto scomparsa dai quadri orari del primo biennio, mentre ricompare nel triennio di alcuni indirizzi, ancora troppo pochi rispetto alla concezione di formazione completa, professionalizzante e competitiva dei giovani studenti;
nell'ottica di una ridefinizione della normativa in materia, si ritiene opportuno un intervento urgente diretto a:
a) prevedere il ripristino della 3a ora alle scuole secondarie di primo grado, cancellata dalla cosiddetta «riforma Gelmini» a favore di un'ora di approfondimento della lingua italiana, nonché rendere obbligatoria la seconda lingua straniera anche alle scuole secondarie di secondo grado per garantire la continuità didattica in linea con quanto previsto dalla Carta Europea di Lisbona 2005 a cui l'Italia ha aderito e che mira ad incentivare il plurilinguismo;
b) eliminare dalle scuole secondarie di primo grado l'insegnamento dell'inglese potenziato, che potrebbe essere proposto come extracurriculare attraverso Pon –:
se, alla luce di quanto descritto in premessa, il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, diretta a reintrodurre l'insegnamento delle lingue secondarie comunitarie nell'ambito del nuovo assetto degli istituti professionali, come naturale processo di acquisizione per raggiungere gli obiettivi fissati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nonché a prevedere la reintroduzione della 3a ora nelle scuole secondarie di primo grado, ad eliminare l'insegnamento dell'inglese potenziato nelle stesse e a rendere obbligatoria la seconda lingua straniera anche nelle scuole secondarie di secondo grado al fine di garantire la continuità didattica.
(3-01101)
DEIDDA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il decreto legislativo n. 616 del 2017 e il decreto legislativo n. 59 del 2017 hanno previsto che per l'accesso al concorso pubblico nazionale per docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, occorre acquisire la certificazione in ordine al possesso di almeno 24 Cfu/Cfa nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche;
in particolare, deve essere garantito il possesso di sei crediti in almeno tre dei seguenti ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche;
da quel che risulta, l'Università di Cagliari, oltre a non organizzare i percorsi formativi relativi ai 24 Crediti formativi universitari in questione, non starebbe procedendo al rilascio delle certificazioni avuto riguardo agli esami già sostenuti, con conseguente grave disagio per tutti gli studenti che, pur avendone i requisiti, non sarebbero nella condizione di partecipare ai concorsi in questione;
in particolare, ai sensi dei citati decreti legislativi, risulterebbero valutabili anche gli esami sostenuti durante la carriera universitaria, purché adeguatamente certificati esclusivamente dall'università presso la quale gli stessi sono stati conseguiti;
appare assurdo che gli studenti cagliaritani, per un mero ritardo dell'università locale, debbano essere costretti a ripetere gli esami, presso università telematiche o altre università con ulteriore, ingiustificato aggravio di spese, mentre altre istituzioni universitarie hanno predisposto, per tempo, adeguate finestre periodiche per il rilascio delle predette certificazioni;
a breve dovrebbero essere indetti nuovi concorsi e, dunque, centinaia di laureati rischieranno di trovarsi in una situazione di estrema difficoltà a causa del ritardo imposto dall'università degli studi di Cagliari –:
se sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di consentire, anche agli studenti cagliaritani, di partecipare, senza aggravi, al concorso in questione.
(3-01103)
PARI OPPORTUNITÀ E FAMIGLIA
Interrogazione a risposta scritta:
MAGI. — Al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:
in attuazione alla Comunicazione della Commissione europea n. 173 del 2011 il Governo italiano ha adottato per il periodo 2012-2020 una «Strategia Nazionale per l'inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti» con numerosi programmi realizzati e fondi pubblici destinati alla loro implementazione;
in Italia gli interventi di inclusione sociale e abitativa, rivolti a coloro che abitano nei cosiddetti «campi nomadi» e nelle aree attrezzate del territorio italiano, vengono di norma definiti come provvedimenti «in favore dei rom», «a favore delle comunità di rom e sinti», o — ancora — a favore di «rom, sinti e caminanti», o di «persone di etnia romanì»;
le definizioni di «rom», di «sinto» e di «caminante» non risultano avere una base giuridica chiara, non esistendo nell'ordinamento italiano alcun dispositivo che consenta di individuare con certezza l'appartenenza etnica di una persona, di un nucleo familiare o di un gruppo;
risulta altrettanto difficile far riferimento a definizioni extra-giuridiche, tratte dal linguaggio naturale o da quello delle scienze umane e sociali. È noto infatti come le definizioni «etniche» siano per loro natura oggetto di controversie, mentre a livello scientifico sono sempre più numerose e autorevoli le voci che problematizzano lo stesso concetto di «identità etnica» –:
quali criteri adotti l'Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali (Unar), punto di contatto per l'applicazione della «Strategia Nazionale per l'inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti», per definire oggi in Italia un soggetto come parte dell'etnia dei «rom», dei «sinti» e dei «caminanti» e quindi beneficiario delle azioni e dei programmi previsti dalla Strategia stessa;
qualora il criterio adottato per definire un soggetto come parte dell'etnia «rom», «sinti» e «caminanti» risultasse conforme con l'articolo 3 della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1o febbraio 1995 e ratificata ai sensi della legge 28 agosto 1997, n. 302, e pertanto quello dell'autodichiarazione, quante siano le persone che in Italia, secondo i dati in possesso dell'Unar, si siano rivelati tali, e quali siano le specifiche procedure che hanno portato negli insediamenti riconosciuti formalmente o meno alla formalizzazione di ogni singola autodichiarazione.
(4-04066)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
GALLINELLA, ALBERTO MANCA, DEL SESTO, MAGLIONE, PARENTELA, CADEDDU, CASSESE, GAGNARLI, PIGNATONE, CILLIS e MARZANA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il decreto ministeriale 21 settembre 2005 disciplina la produzione e la vendita di alcuni prodotti di salumeria; in particolare, al capo I, tratta delle caratteristiche del prosciutto cotto, dalla denominazione agli ingredienti, dalla metodologia di produzione alle modalità di vendita;
il suddetto decreto è stato poi modificato con il decreto ministeriale 26 maggio 2016 ma senza intervenire in maniera specifica sull'etichettatura dei prodotti, rinviando, di fatto, al regolamento n. 1169/2011;
l'allegato VI, punto 6) del regolamento succitato prevede, in particolare, che se l'acqua aggiunta in «prodotti e preparazioni a base di carne sotto forma di tagli (anche da arrosto), fette, porzioni di carne o carcasse» rappresenta più del 5 per cento del peso del prodotto finito deve essere indicata accanto alla denominazione di vendita dell'alimento;
tale norma nasce a tutela del consumatore e contro le pratiche sleali e illegali, in particolare quando a prodotti a base di carne sotto forma di tagli, fette, porzioni o carcasse è stata aggiunta acqua non giustificata da ragioni tecnologiche, durante il processo di fabbricazione; ciò perché tale aggiunta di acqua può anche aumentare il peso dei preparati di carne o di prodotti della pesca, e quindi l'indicazione della sua presenza nella denominazione di questi alimenti permette al consumatore di distinguerli immediatamente;
nel caso del prosciutto la funzione dell'acqua nella sua produzione è tecnologicamente giustificata — si vedano gli articoli 3 e 4 del decreto ministeriale 21 settembre 2005 — in quanto l'aggiunta di salamoia (sale e acqua) è necessaria per distribuire il sale stesso ed altri ingredienti in modo omogeneo nel prodotto attraverso l'acqua; non esiste infatti, altro modo per iniettare nella coscia di suino la salamoia in soluzione acquosa;
inoltre, il parametro Upsd, previsto dall'articolo 4 dello stesso decreto del 2005, consente di avere una stima della quantità di umidità su prodotto finito, sgrassato e deadditivato, e fa in modo che l'acqua abbia realmente una finalità tecnologica;
è evidente quindi che, in alcuni casi, l'acqua può costituire più del 5 per cento del peso del prodotto finale prosciutto cotto, ma il consumatore ne è già correttamente informato attraverso la menzione «acqua» nell'elenco degli ingredienti;
scrivere nella denominazione di vendita del prodotto prosciutto cotto, la dicitura «con acqua», oltre che non utile allo scopo del regolamento comunitario, appare altresì lesivo dell'immagine di un prodotto di eccellenza e di qualità, quale il prosciutto cotto italiano;
in Francia la disposizione comunitaria non è considerata applicabile ai prosciutti cotti, disciplinati dal «Code des Usages de laCharcuterie», il codice di produzione volontario, che regolamenta i principali prodotti di salumeria francese, sostenendo che i prosciutti cotti disciplinati dal codice sono necessariamente di qualità grazie alla loro regolamentazione, e il loro metodo di produzione è noto ai consumatori;
il «Jambon cult standard» è certamente, ad avviso degli interroganti, qualitativamente inferiore rispetto al «prosciutto cotto standard» italiano, sono infatti ammessi ingredienti quali la cotenna tal quale o disidratata e le proteine di sangue di maiale, che in Italia non si usano e che assorbono una maggiore aggiunta di acqua, che non viene rilevata: ogni punto di proteina consente l'aggiunta di 3 o 4 punti di acqua –:
se, per le ragioni su esposte, a tutela del prodotto italiano «prosciutto cotto» e considerata la finalità specifica della disposizione di cui al punto 6, allegato VI, del regolamento 1169/2011, non ritenga necessario adottare iniziative normative, per quanto di competenza, per escludere il prosciutto cotto dall'applicazione di tale disposizione.
(5-03108)
POLITICHE GIOVANILI E SPORT
Interrogazione a risposta scritta:
CARBONARO. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
da notizie di stampa apparse sul «Cordiere di Bologna» del 6 novembre 2019, si apprende di un increscioso episodio avvenuto allo stadio Dall'Ara durante la partita di serie A, Bologna-Inter, disputata il 2 novembre 2019;
secondo quanto riportato, alcuni tifosi dell'Inter avrebbero intonato cori offensivi e irridenti la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, in cui persero la vita 85 persone a causa dell'orribile attentato terrorista di matrice neofascista;
altri episodi di razzismo e antisemitismo si susseguono con inquietante regolarità negli stadi italiani, attraverso cori oltraggiosi e ostensione di striscioni e bandiere con simboli nazisti e neofascisti;
la giustizia sportiva appare spesso troppo indulgente e disattenta verso questi episodi che si ripetono ormai da anni;
a giudizio degli interroganti è quanto mai urgente porre un freno al dilagare di questi episodi attraverso provvedimenti sanzionatori esemplari verso i tifosi e le società sportive che tollerano tali comportamenti. È altresì urgente predisporre programmi di prevenzione e informazione in collaborazione con le società sportive –:
se e quali iniziative urgenti di competenze, anche normative, i Ministri interrogati intendano assumere al riguardo, anche promuovendo un potenziamento delle misure sanzionatorie e di prevenzione, per contrastare il diffondersi di episodi di intolleranza e di razzismo, oltraggiosi della memoria delle vittime delle stragi e dei valori della Repubblica.
(4-04061)
SALUTE
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
la fibromialgia è una malattia che colpisce prevalentemente le donne, rispetto agli uomini, con un rapporto pari a circa 9:1. La malattia colpisce approssimativamente 2/3 milioni di italiani e la fascia di età più colpita si estende dai 25 ai 55 anni. Dal 1992 l'organizzazione mondiale della sanità con la Dichiarazione di Copenhagen elenca la fibromialgia tra le «Malattie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo» (ICD-10);
la fibromialgia è una sindrome dolorosa cronica da sensibilizzazione centrale caratterizzata dalla disfunzione dei circuiti neurologici preposti all'elaborazione degli impulsi provenienti dalle afferenze del dolore dalla periferia al cervello. La predetta patologia si manifesta, secondo i principali criteri diagnostici, con dolore muscolo-scheletrico diffuso e con la presenza di specifiche aree dolorose alla digito-pressione (tender points), l'affaticamento costante, una rigidità generalizzata, l'insonnia e un sonno non ristoratore, il mal di testa, la vescica iperattiva, la dismenorrea, l'ipersensibilità al freddo, il cosiddetto fenomeno di Raynoud, la sindrome delle gambe senza riposo, l'intorpidimento, il formicolio atipico, il prurito, la sensazione di pressione e di stringimento, una scarsa resistenza all'esercizio fisico e una generale sensazione di debolezza, confusione mentale, alterazione della memoria e della concentrazione, dolori addominali e colon irritabile, dispepsia, intolleranza al caldo, secchezza delle mucose, sintomi urinari e genitali;
questi sintomi limitano la persona che ne soffre nell'eseguire attività normali e incidono sulle capacità lavorative e sulla qualità della vita. Lo stress, l'ansia, la depressione hanno una netta correlazione con questa patologia e molti pazienti fibromialgici presentano sintomi associabili a malattie autoimmuni, come la tiroidite di Hashimoto, il lupus eritematoso sistemico, l'artrite reumatoide e la sindrome di Sjoegren;
nonostante la fibromialgia sia una condizione grave che colpisce un elevato numero di persone e andrebbe trattata, per l'ampio spettro di sintomatologie, con approccio multidisciplinare, essa non è riconosciuta come malattia invalidante;
le persone che ne soffrono non ricevono cure adeguate. La difficoltà diagnostica da spesso il via a un percorso che si protrae per anni ed è costoso. Anche se non esiste una cura specifica, essendo una malattia cronica, la fibromialgia richiede trattamenti multidisciplinari a lungo termine, farmacologici convenzionali e non convenzionali;
essendo la sua caratteristica principale il dolore, i malati di fibromialgia dovrebbero rientrare nella categoria delle persone che necessitano di terapia del dolore e dei livelli essenziali di assistenza, secondo l'articolo 32 della Costituzione. Quindi è compito dello Stato riconoscere a chi soffre di fibromialgia le cure, le spese mediche, gli esami diagnostici necessari, come per le malattie invalidanti;
sono passati ventisei anni dall'inserimento da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità della fibromialgia nel manuale di classificazione internazionale delle malattie e, nonostante organizzazioni mediche di carattere internazionale la ritengano una malattia cronica, ancora oggi non tutti i Paesi europei, tra questo l'Italia, condividono tale posizione;
nelle scorse legislature sono stati presentati numerosi atti parlamentari e le associazioni dei malati e le famiglie con forza hanno chiesto la garanzia dei loro diritti, ma nonostante numerosi incontri istituzionali è stato comunicato loro che per il riconoscimento della malattia c'è bisogno di ulteriori studi i cosiddetti «CUT OFF» che vengono forniti dalle associazioni gratuitamente e viene richiesto un «consensus conference» fornito sempre gratuitamente. Tale consensus è stato validato scientificamente dalle Università di Pisa e Ancona;
il 20 settembre 2018 il dottor Andrea Urbani (direttore della programmazione sanitaria, Presidente del collegio permanente per la revisione dei Livelli essenziali di assistenza), del Ministero della salute ha confermato alle associazioni che la documentazione fornita era valida e quindi la fase scientifica si poteva ritenere superata. A questo punto andrebbe individuata la copertura economica;
il 10 ottobre 2018, in audizione al Senato il dottor Urbani ha depositato una memoria in cui si dice che lo studio della Società italiana di reumatologia (Sir) sui gradi di severità della malattia è in via di pubblicazione in quanto sono stati acquisiti i risultati;
successivamente, il Centro nazionale per l'eccellenza delle cure dell'istituto superiore di sanità (Cnec-Iss) ha inaspettatamente espresso parere negativo, ritenendo insufficiente la documentazione presentata a sostegno della domanda di inserimento della fibromialgia nei livelli essenziali di assistenza e segnalando la necessità di ulteriori conferme e approfondimenti. Il Ministero della salute, a seguito del parere dell'Iss, a quanto consta agli interpellanti, avrebbe richiesto alla Società italiana di reumatologia (Sir) di effettuare in sei mesi ulteriori approfondimenti in 15 centri selezionati su tutto il territorio nazionale disponibili a monitorare un migliaio di pazienti;
ad oggi non ci sono notizie certe sullo studio che dovrebbe effettuare la Società italiana di reumatologia –:
se corrisponda al vero che il Ministero della salute abbia disposto l'affidamento alla società italiana di reumatologia degli ulteriori studi sui gradi di severità della fibromialgia e a che punto siano tali studi e in caso affermativo, quali siano i 15 centri di riferimento individuati sul territorio nazionale;
quali associazioni di pazienti siano state coinvolte per lo studio di ricerca;
se non ritenga necessario adottare le iniziative di competenza per procedere in tempi rapidi al riconoscimento della fibromialgia come malattia invalidante.
(2-00552) «Fassina, Rostan».
Interrogazioni a risposta scritta:
FERRO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana garantisce il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività;
nei giorni scorsi una donna di 67 anni è morta all'ospedale Annunziata di Cosenza;
da quanto si apprende da notizie di stampa, la donna sarebbe morta su una barella al pronto soccorso senza che nessuno se ne accorgesse e, da una prima ricostruzione, il personale addetto si sarebbe reso conto del decesso soltanto perché i familiari della paziente continuavano a telefonare, ma la donna non rispondeva;
la procura della Repubblica di Cosenza ha già avviato le indagini sulla vicenda per chiarire l'esatta dinamica dei fatti;
il depauperamento degli organici, conseguente alla crisi economica e all'imposizione del vincolo nazionale della spesa per il personale sanitario fissato con la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), ha avuto come inevitabile esito la mancanza di medici specialisti all'interno del Servizio sanitario nazionale e l'accelerazione del loro pensionamento –:
quali iniziative urgenti intenda attivare il Governo, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per garantire, così come previsto dall'articolo 32 della Costituzione, il diritto alla salute dei cittadini calabresi attraverso strutture sanitarie adeguate agli standard di un Paese civile e idonee a prestare la necessaria assistenza, salvaguardando la dignità umana.
(4-04058)
BRAMBILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi, a Messina, come riferisce la Gazzetta del Sud è stata annunciata, grazie a una convenzione fra il Ministero della salute e l'assessorato alla Salute della regione siciliana, la realizzazione di un delfinario dove bambini con problemi potranno avvalersi della cosiddetta «delfino-terapia» presso l'Ircss-Piemonte Centro Neurolesi Bonino Pulejo;
all'iniziativa pubblica, a Messina, come si legge nelle cronache locali e come annunciato dalla locandina, era presente il funzionario Domenico Monteleone del Ministero della Salute, ufficio VIII alimentazione animale, della direzione generale sanità animale e farmaci veterinari;
le linee guida nazionali per gli interventi assistiti con animali (Iaa) approvate dal ministero della salute, specificano che «gli animali impiegati negli Interventi assistiti appartengono a specie domestiche in grado di instaurare relazioni sociali con l'uomo», non a specie selvatiche;
studi scientifici dimostrano come il nuoto con i delfini di individui con deficit neurologici, o di soggetti affetti da patologie fisiche di varia natura, non produca effetti che non possano essere ottenuti con terapie cliniche o con progetti innovativi realizzati grazie alle nuove tecnologie (come quelle relative alla realtà virtuale) ed evidenziano rischi sanitari e problemi di sicurezza: i delfini, anche quando nati in cattività, rimangono animali selvatici e sono stati documentati più casi di aggressione nelle attività di nuoto, probabilmente causati anche dell'impossibilità di sottrarsi al contatto con le persone;
il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute, delle politiche agricole alimentari e forestali 20 dicembre 2017 che autorizzava il contatto tra pubblico e delfini è stato sospeso dal Tar del Lazio il 10 maggio 2019 su istanza della Lav, sentenza confermata dal Consiglio di stato il 26 luglio 2019 con ordinanza n. 3821 –:
quali iniziative di competenza si intendano intraprendere per evitare uno sperpero di denaro pubblico nella realizzazione di un delfinario che non potrà essere utilizzato.
(4-04067)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta scritta:
FEDERICO e TESTAMENTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
con decreto del Ministero dello sviluppo economico n. 55/02/2011 del 14 luglio 2011 la Edison s.p.a. è stata autorizzata a realizzare una centrale termoelettrica a ciclo combinato alimentata a gas naturale di potenza elettrica pari a circa 810 Megawatt nel territorio del comune di Presenzio (CE);
i termini per l'avvio dei lavori e, conseguentemente, di validità dell'autorizzazione unica sono stati prorogati più volte, in particolare con l'ultimo provvedimento di proroga n. 55/01/2018 PR del 28 dicembre 2018 la validità del decreto n. 55 febbraio 2011 è stata prorogata al 14 dicembre 2021;
con delibera della giunta della regione Campania n. 103 del 19 marzo 2019 è stata formalizzata l'intesa con il Ministero dello sviluppo economico in merito alla variante di progetto della centrale in questione;
la realizzazione di tale impianto crea preoccupazione nella popolazione residente nella limitrofa area del venafrano, sulla quale insistono già due inceneritori e un cementificio, che comportano un elevato fattore di pressione ambientale;
vanno considerati gli impegni internazionali assunti dal nostro Paese in merito al contrasto ai cambiamenti climatici e al processo di riduzione dell'utilizzo delle fonti fossili per la produzione di energia, nonché le previsioni inserite nel Piano nazionale energia e clima –:
quali valutazioni siano state effettuate in merito alla opportunità di autorizzare la centrale termoelettrica di Presenzano, considerati gli impegni di riduzione dell'utilizzo di fonti fossili e la preoccupazione della popolazione residente.
(4-04064)
Apposizione di una firma ad una mozione.
La mozione Pella e altri n. 1-00082, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Perego Di Cremnago.
Pubblicazione di testi riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Bellucci n. 1-00090, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 97 dell'8 dicembre 2018.
La Camera,
premesso che:
il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite (con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999), e l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha invitato i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della violenza di genere;
la «Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne» (Cedaw), adottata nel 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, rappresenta il principale testo internazionale sui diritti delle donne ed impegna gli Stati a sancire la parità di genere nelle loro legislazioni nazionali ed a garantire alle donne efficace protezione contro le discriminazioni e, altresì, ad adottare misure per eliminare tutte le forme di discriminazione;
la quarta conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne (Pechino, 1995) segna un passaggio storico e culturale fondamentale, con la proclamazione che i diritti delle donne sono diritti umani e che la violenza di genere costituisce una violazione dei diritti fondamentali delle donne;
numerose convenzioni dell'Onu e carte regionali prescrivono responsabilità istituzionali ed impegni precisi per gli Stati sottoscrittori, anche nell'adozione di misure atte a cambiare la cultura degli stereotipi e dei pregiudizi, cultura che è alla base delle violenze sulle donne, nonché l'adozione di strumenti di protezione delle vittime;
la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei ministri dei Paesi aderenti al Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, impegna gli Stati firmatari, con norme giuridicamente vincolanti ed armonizzate al livello europeo, a prevenire ed a contrastare le violenze contro le donne ed a proteggere e sostenere le vittime contro qualsiasi forma di violenza e, in particolare, a prevenire la violenza domestica, a proteggere le vittime, a perseguire i trasgressori, riaffermando la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e come forma di discriminazione;
i più recenti dati dell'Istat («Informazioni statistiche per l'Agenda 2030 in Italia») evidenziano che la violenza sulle donne è un fenomeno sommerso e strutturale e che sono in aumento i casi di violenze; l'Eures stima un aumento degli omicidi di donne, uno ogni due giorni e mezzo, e che i femminicidi (ovvero gli omicidi di donne in ragione del loro genere) rappresentano frequentemente l'atto ultimo ed estremo di una catena persecutoria di violenze e di sopraffazioni di natura psicologica, fisica, sessuale, economica, lavorativa e sociale;
i dati forniti annualmente dall'Organizzazione mondiale della sanità confermano che la violenza di genere costituisce una questione strutturale, un fenomeno di dimensioni globali, un flagello che rappresenta la prima causa di morte delle donne. Una «malattia sociale», trasversale a tutte le latitudini geografiche, alle appartenenze etniche, ai ceti sociali, alle religioni ed alle età;
l'Italia ha un corpo giuridico articolato e consolidato per combattere il fenomeno delle violenze di genere: la legge n. 66 del 1996, recante «Norme contro la violenza sessuale», sancisce che gli atti di violenza sessuale non sono più «reati contro la moralità pubblica ed il buoncostume», ma «reati contro la persona»; la legge n. 38 del 2009, di conversione del decreto-legge n. 11 del 2009, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», introduce una nuova fattispecie di reato (articolo 612-bis del codice penale), punisce le minacce insistenti, le molestie assillanti e le violenze che, per la loro sequenza continuativa e modalità aggressiva, incidono sulla tranquillità e sull'incolumità personali e violano la sfera privata; la legge n. 119 del 2013, di conversione del decreto-legge n. 93 del 2013, reca norme per la prevenzione ed il contrasto della violenza domestica e di genere;
la legge n. 119 del 2013, in attuazione dell'articolo 5 della Convenzione di Istanbul, prevede l'adozione di un piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere e relativi stanziamenti. Il piano prevede una pluralità di azioni: campagne di pubblica informazione e sensibilizzazione; promozione in ambito scolastico delle corrette relazioni tra i sessi, nonché di tematiche antiviolenza e antidiscriminazione; potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza e protezione delle vittime di violenza di genere e di stalking; formazione specializzata degli operatori; collaborazione tra istituzioni; raccolta ed elaborazione dei dati; previsione di specifiche azioni positive;
il piano straordinario prevede, altresì, il coinvolgimento delle associazioni impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza presenti sul territorio;
da ultimo, la legge 19 luglio 2019, n. 69, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», ha modificato la disciplina penale, sia sostanziale che processuale, della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzione;
a tre mesi dall'entrata in vigore del cosiddetto codice rosso, però, il bilancio della dottrina e, in particolare, degli avvocati matrimonialisti, non è positivo e la media delle donne vittime di violenza domestica rimane ancora troppo alta: una ogni due giorni;
alla base di questo amaro giudizio ci sono diverse considerazioni: non si riesce a capire che le leggi devono essere accompagnate da grandi investimenti economici, che consentano di sanare, ad esempio, la carenza di personale, piaga irrisolta dell'Italia, perché se, da un lato, si accelerano le procedure e si inaspriscono le pene, dall'altro è indispensabile rafforzare gli organici;
il codice rosso non potrà mai portare davvero risultati se i centri anti-violenza chiudono e se la pianta organica dei magistrati vede una carenza di almeno duemila unità. Il magistrato, di fatto, non ha la possibilità di sentire la vittima di violenza domestica entro tre giorni dalla denuncia, come disposto per legge, circostanza su cui, comunque, Fratelli d'Italia aveva chiesto l'introduzione della scelta da parte della vittima nell'applicazione del termine cogente al fine del rispetto dei temi emotivi della donna, se il carico di lavoro è eccessivo per il numero di magistrati in servizio,
impegna il Governo:
1) ad attuare in maniera efficace tutto quanto previsto dal piano d'azione nazionale straordinario e di durata biennale, con l'obiettivo di raggiungerne la piena applicazione;
2) ad assumere le iniziative attuative del piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017-2020), monitorando la loro ricaduta, la valutazione dei risultati ottenuti e l'effettiva efficacia per le donne vittime di violenza ed i loro figli;
3) ad intraprendere tutte le opportune iniziative di competenza al fine di garantire la protezione delle donne e dei loro figli;
4) a promuovere una parità effettiva e sostanziale tra uomo e donna attraverso azioni di sensibilizzazione e l'adozione di specifici programmi di educazione scolastica finalizzati alla prevenzione della violenza, nonché alla diffusione di linee guida per una comunicazione improntata al rispetto delle differenze di genere;
5) ad adottare strategie efficaci per prevenire tutte le forme di violenza contro le donne: fisica, psicologica, sessuale, lavorativa ed economica;
6) ad assumere opportune iniziative volte a promuovere percorsi di assistenza e di supporto psicologico per le donne che hanno subito una violenza e per i parenti delle vittime di femminicidio, anche attraverso lo sviluppo di una capillare rete di servizi socio-sanitari e assistenziali dotati di specifiche professionalità come psicologi e psicoterapeuti;
7) a sostenere la donna al fine di garantirle la libera scelta e di rispettarne i tempi di elaborazione emotiva e psicologica, rispetto all'obbligo del magistrato di sentirla entro tre giorni dalla denuncia, assicurando altresì un adeguato contesto nell'audizione e il supporto di figure professionali in grado di sostenerla emotivamente;
8) ad adottare iniziative per prevedere percorsi di specializzazione per avvocati, magistrati e forze dell'ordine, perché la velocità delle decisioni può fare la differenza tra la vita e la morte;
9) a favorire specifiche iniziative per incentivare l'inserimento delle vittime di violenza nel mondo del lavoro;
10) ad adottare iniziative per garantire che le risorse ripartite nella Conferenza Stato-regioni (a cominciare da quelle stabilite nella Conferenza del maggio 2018) siano erogate con regolarità e puntualità, assicurando il funzionamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio presenti sul territorio ed eliminando le disparità regionali nell'offerta dei servizi alle vittime di violenza;
11) ad adottare iniziative per verificare i costi economici e sociosanitari della violenza, nonché procedere alla raccolta dei dati relativi agli omicidi di donne con motivazione di genere;
12) ad informare il Parlamento sulle attività della cabina di regia prevista per dare impulso alle politiche di prevenzione e contrasto della violenza, nonché sul neonato Comitato tecnico antiviolenza costituito con decreto del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle pari opportunità e alle politiche giovanili;
13) ad adottare ogni iniziativa di competenza per favorire l'attuazione della legge n. 4 del 2018, che tutela gli orfani di crimini domestici, al fine di renderla pienamente operativa;
14) a non adottare iniziative volte a ridurre le risorse destinate al fondo per le politiche relative alle pari opportunità e, più in generale, a tutte le politiche per la prevenzione ed il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne e per la promozione di un'effettiva parità di genere.
(1-00090) (Nuova formulazione) «Bellucci, Meloni, Rampelli, Lollobrigida, Acquaroli, Bucalo, Butti, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Ferro, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi, Ciaburro».
Si pubblica il testo riformulato della mozione Muroni n. 1-00181, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 173 del 10 maggio 2019.
La Camera,
premesso che:
il tempo è finito. La crisi ambientale, sociale ed economica è un dato assodato. La convinzione è diffusa, ma la politica non ha ancora affrontato, se non con frasi fatte, questi tre macro temi;
i cambiamenti climatici sono in atto, come dimostrato dalla comunità scientifica internazionale riunita nell’Intergovernmental panal on climate change (Ipcc), e sono determinati dall'attività umana, in particolare dall'uso dei combustibili fossili, e rischiano di compromettere in maniera irreversibile la sicurezza e la sopravvivenza stessa del pianeta e degli esseri viventi;
eventi climatici estremi sono all'origine di conflitti e migrazioni di massa che sconvolgono la vita di milioni di persone; la distruzione delle risorse naturali e il livello di inquinamento degli oceani, del suolo e dell'aria hanno impatti devastanti sulla salute umana, sugli ecosistemi e biodiversità, sulle attività produttive e sulle infrastrutture;
nel 2018 si sono contati 850 disastri naturali soprattutto alluvioni, inondazioni, frane (46 per cento) e uragani e tempeste (42 per cento). Il conto da pagare per questi disastri è stato particolarmente alto: 160 miliardi di dollari. Questo è quanto emerge dal Rapporto annuale sui disastri naturali e ambientali realizzato dal colosso assicurativo Munich Re che mostra come gli eventi meteorologici estremi diventino sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico. Le perdite complessive dei cicloni tropicali nel 2018 sono state particolarmente alte, circa 57 miliardi di dollari;
in Europa i disastri naturali del 2018 sono stati simili a quelli registrati negli anni 2014, 2015 e 2017, con un totale di 113 eventi con perdite di 16 miliardi di euro. Le perdite maggiori sono state causate dalla siccità che è costata circa 4 miliardi di dollari;
uno studio internazionale pubblicato dalla rivista scientifica Climate ha precisato che i danni per le inondazioni in Europa potrebbero arrivare a costare 17 miliardi di euro all'anno, qualora le temperature medie dovessero salire di 3 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto alla media pre-industriale. Mentre il numero di cittadini che subiranno le conseguenze delle piene potrebbe raggiungere le 780 mila unità, in crescita del 123 per cento rispetto ad oggi. Il problema, dunque, non riguarderebbe solo il sud del mondo;
non ci sono solo le conseguenze ambientali, ci sono anche le conseguenze sociali derivanti dagli effetti dei cambiamenti climatici. Con la pubblicazione, il 19 marzo 2018, del rapporto, la Banca mondiale ha lanciato un nuovo allarme sulle conseguenze sociali dei cambiamenti climatici. Entro il 2050, infatti, potrebbe arrivare a quota 143 milioni il numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case per colpa dei fenomeni meteorologici estremi o delle condizioni ambientali diventate invivibili;
tale conferma arriva anche dal documento, intitolato «Groundswell – Preparing for internal climate migration», che indica l'Africa subsahariana, l'Asia meridionale e l'America Latina come le tre macro-aree più a rischio. I cambiamenti climatici incidono già oggi sulle migrazioni di esseri umani e il fenomeno potrebbe intensificarsi in futuro; il documento realizza una serie di proiezioni sul numero di migranti climatici. Tali scenari sono stati realizzati grazie ad un modello ad hoc, costruito incrociando indicatori come la crescita della temperatura media, l'evoluzione delle precipitazioni, la risalita del livello dei mari, nonché dati demografici e socio-economici. Su tale base sono stati individuati tre possibili scenari: quello peggiore prevede 86 milioni di migranti in Africa subsahariana, 40 milioni nell'Asia meridionale e 17 milioni in America Latina. Ad esempio, in una nazione come l'Etiopia, la cui economia si basa soprattutto sull'agricoltura e nel quale si prevede una crescita demografica fortissima nei prossimi decenni, il calo della resa della terra rappresenterà la principale causa di emigrazione;
si può affermare che il cambiamento climatico, l'inquinamento e la distruzione ambientale hanno esacerbato le sistemiche ingiustizie sociali, ambientali ed economiche costituendo di fatto una minaccia diretta, perché incidono sulla stabilità economica, ambientale e sociale, agendo come un moltiplicatore di minacce;
in Italia la situazione non è migliore, anzi. Il 2018 è stato l'anno più caldo per il nostro Paese dal 1800 e si assiste al susseguirsi di record che non possono lasciare indifferenti. Nubifragi, siccità, ondate di calore sempre più forti e prolungate, fenomeni meteorologici sempre più intensi ed estremi, dovuti in primis ai cambiamenti climatici, stanno causando danni ai territori e alle città, indietro nelle politiche di adattamento al clima, e alla salute dei cittadini;
soltanto lo scorso anno sono state 32 le vittime in 148 eventi estremi che si sono succeduti lungo tutta la penisola; 66 sono i casi di allagamenti da piogge intense; 41 casi, invece, di danni da trombe d'aria, 23 di danni alle infrastrutture e 20 esondazioni fluviali;
questi fenomeni dovrebbero dimostrare anche ai negazionisti dei cambiamenti climatici che non si sta più parlando di maltempo ma di una emergenza climatica che ormai è diventata anche una vera questione di sicurezza nazionale e globale. La neve e la grandine cadute nel maggio 2019 in piena primavera hanno provocato danni enormi all'agricoltura; non è solo un evento storico ma un chiaro segnale di come il clima sia cambiato; si viene da un inverno che ha registrato livelli preoccupanti di siccità con una quantità enorme di incendi delle aree boschive: fino al 30 marzo 2019 sono stati 101 gli incendi che hanno distrutto 3.400 ettari di bosco, censiti dal sistema di monitoraggio europeo Effis e per trovare una situazione simile bisogna andare indietro nel tempo fino al 1800 secondo il Cnr;
si continua a parlare di maltempo, come se fosse tutto legato all'arrivo fortuito di una perturbazione. La verità è che ogni anomalia conferma che si è in una situazione di emergenza climatica con forti ripercussioni sull'economia del Paese, ma anche sulla vita e sulla spesa delle persone. Per fare solo due esempi: a Lucca, una grandinata improvvisa ha distrutto il 60 per cento della produzione di fragole, insalata, pomodori, pere, mele, albicocche, ciliegie. In Val Tiberina le intense piogge hanno messo in ginocchio la produzione di tabacco finalizzata alla produzione dei sigari toscani: le radici sono andate letteralmente in asfissia. Insomma, la produzione agricola è andata in gran parte perduta o seriamente lesionata. E questo oltre ad essere una rovina per gli agricoltori, farà lievitare i costi finali di questi prodotti;
secondo i dati della Coldiretti gli sbalzi termici anomali degli ultimi dieci anni sono costati 14 miliardi di euro, quasi uno e mezzo all'anno. Si tratta di una catastrofe che deve essere da lezione. Non si può continuare a sperare che fenomeni del genere si ripetano, è tempo di agire;
la crisi climatica è la sfida del nostro tempo, affrontarla significa rispondere anche alle crisi economica e sociale. Nel nostro Paese sono diversi gli aspetti della crisi economica e sociale che si dipanano lungo quattro direttrici: una lunga recessione, un debito pubblico in continua crescita, una pressione fiscale in costante aumento e più alta della media europea, una disoccupazione (febbraio 2019) al 10,7 per cento con quella giovanile al 32,8 per cento;
crisi ambientale, crisi economica e crisi sociale camminano insieme e le soluzioni pure. Per questo in Italia, come per tutte le nazioni del pianeta, solo intervenendo in un'ottica globale e ambientale, si possono affrontare le sfide climatiche ed economiche, sociali ed ambientali che ci aspettano;
secondo la Fondazione per lo sviluppo sostenibile in Italia è possibile dare un forte impulso ad uno sviluppo sostenibile e a un aumento importante dell'occupazione – che potrebbe raggiungere 800.000 addetti in sei anni – affrontando con misure adeguate alcune grandi problematiche ambientali. Tra queste: la crisi climatica, con la riduzione dei consumi di energia nelle case, nelle scuole e negli uffici e con un forte aumento delle energie rinnovabili; i forti impatti generati dallo spreco di risorse e dallo smaltimento dei rifiuti, accelerando il cambiamento verso l'economia circolare; il miglioramento delle città con un programma rigenerazione urbana; un percorso per una mobilità sostenibile. La Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in collaborazione con gli economisti di Cles Srl, ha calcolato che realizzando le misure per raggiungere questi i 5 obiettivi green si attiverebbero circa 190 miliardi di investimenti con circa 682 miliardi di aumento della produzione e 242 miliardi di valore aggiunto, creando circa 800.000 nuovi posti di lavoro al 2025;
sulla base delle indagini realizzate da Unioncamere e Fondazione Symbola c'è stata una domanda di green jobs pari a quasi 474.000 contratti attivati, il 10,4 per cento del totale delle figure professionali richieste per il 2018. Si tratta di ingegneri energetici, agricoltori biologici, esperti di acquisti verdi, tecnici meccatronici, installatori di impianti termici a basso impatto. Nel manifatturiero si sfiora il 15 per cento. Se si guarda alle competenze trasversali che le imprese si aspettano di trovare nei lavoratori previsti in assunzione, riscontriamo un'aspettativa sistematicamente più elevata nell'ambito dei green jobs, rispetto alle altre figure professionali: ciò vale per la capacità comunicativa (scritta e orale), per l'attitudine a lavorare in gruppo, la capacità di risolvere problemi, quella di lavorare in autonomia per la propensione alla flessibilità e all'adattamento. Focalizzando infine l'attenzione sui soli dipendenti e scendendo nel dettaglio delle aree aziendali, si nota come in quella della progettazione e della ricerca e sviluppo il 63,5 per cento dei nuovi contratti nel 2018 siano green, a dimostrazione del legame sempre più stretto tra green economy e innovazione aziendale;
è del tutto evidente, invece, che il nostro Paese sta puntando ancora oggi su logiche di aumenti indistinti di consumi e produzioni, invece di virare di 180° verso questo nuovo modo di concepire lo sviluppo sostenibile, come richiesto anche dalle centinaia di migliaia di giovani e di studenti italiani e di tutto il mondo, sull'esempio della studentessa svedese Greta Thunberg, che stanno quasi quotidianamente invadendo le piazze per chiedere ai rispettivi Capi di Stato un impegno più forte per contrastare i cambiamenti climatici e salvare il pianeta;
per combattere i cambiamenti climatici – come richiesto anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – arrestare la recessione, la crisi economica e sociale, sviluppare l'economia circolare, ridurre il degrado degli ecosistemi, valorizzare le potenzialità del nostro Paese non si può che passare attraverso un piano decennale denominato «Green New Deal» che metta politiche e misure di stimolo antirecessione al centro di un «nuovo patto per uno sviluppo» in modo da affrontare le «molteplici crisi» dell'Italia;
il «Green New Deal» deve sviluppare una serie di misure che coinvolgono tutti i principali settori: dall'energia alle infrastrutture, dalle manifatture all'agricoltura, dai trasporti alle costruzioni;
per far questo bisogna investire in innovazione e ricerca, green economy, riduzione delle diseguaglianze. È davvero ipocrita e inaccettabile continuare a trasferire ogni anno miliardi di euro (19 miliardi secondo l'ultimo catalogo SAD pubblicato dal Ministero dell'ambiente) a sostegno di petrolio, gas e carbone quando il mondo intero, Italia compresa, soffrono già gli impatti di alluvioni, siccità e ondate di calore;
investire in innovazione e ricerca e in green economy vuol dire attuare un piano di investimenti che permetta al nostro Paese di realizzare principalmente due obiettivi: produrre il 100 per cento di energia da fonti rinnovabili entro il 2050 e abbattere del 50 per cento le emissioni di gas serra rispetto all'epoca preindustriale entro il 2030;
occorre dar vita ad una serie di programmi nazionali di investimenti:
1) per l'efficienza energetica e la riqualificazione energetica degli edifici;
2) per le infrastrutture sostenibili e le manifatture;
3) per i trasporti e la mobilità sostenibile;
4) per il rischio idrogeologico e sismico e il consumo del suolo;
5) per la rigenerazione urbana e la ristrutturazione ecologica e sociale delle città;
6) per la qualità dell'acqua e il risparmio di risorse idriche;
7) per la crescita dell'agricoltura di qualità e per le produzioni biologiche;
8) per la gestione dei rifiuti, le attività di riciclo e recupero e l'uso di prodotti provenienti dal riciclo;
9) per l'occupazione giovanile;
10) per il risanamento e riqualificazione ambientale degli impianti e delle produzioni ad elevato impatto;
l'individuazione dei fondi per il «Green New Deal» deve avvenire: attraverso la revisione della spesa pubblica in chiave green, eliminando i sussidi ambientalmente dannosi che hanno effetti negativi per l'ambiente; introducendo un contributo ecologico per favorire il perseguimento di un progressivo contenimento delle emissioni di anidride carbonica derivanti dal consumo di combustibili fossili impiegati in processi di combustione; introducendo un fisco «green» che tassi le attività inquinanti e il consumo di ambiente secondo il principio del «chi inquina paga», in modo da far arrivare l'eco-gettito dal 6 per cento attuale al 12,5 per cento; dal risparmio sugli armamenti militari;
si ha tempo fino al 2030 secondo gli scienziati dell'Onu del Ipcc per contenere l'aumento della temperatura globale entro 1,5°C e molti parlamenti di Paesi europei hanno dichiarato lo stato di emergenza climatica; è ora che anche l'Italia lo faccia;
la portata e l'urgenza della crisi climatica richiedono con forza, in Italia e in Europa, un più forte impulso all'affermazione di un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale e sulla lotta alle disuguaglianze anche generazionali, derivanti dall'esposizione agli impatti dei cambiamenti climatici; la sostenibilità ambientale, ancora oggi percepita come vincolo, rappresenta al contrario, se interpretata in modo positivo e di concerto con gli attori economici e sociali, una straordinaria opportunità di sviluppo, innovazione e competitività per il tessuto industriale e produttivo;
in questo drammatico contesto l'Italia ha la possibilità di assumere un ruolo da protagonista sui temi del cambiamento climatico, della tutela del paesaggio e del suolo, della transizione verso forme di energia sostenibili ed ecologiche, coniugandole con il sostegno alle nuove tecnologie e alle azioni delle comunità locali, della società civile, delle istituzioni universitarie in modo da uscire dalla crisi climatica, economica e sociale e arrestare la marea dell'euroscetticismo, della paura e del populismo. Per fare questo il nostro Paese deve fare una sola scelta: puntare su «Green New Deal» che metta davvero al centro l'ambiente e il tema dei mutamenti climatici, accelerando il cambiamento in questa direzione. Quanto alle modalità, occorre puntare prima di tutto su un'economia decarbonizzata e circolare, ridisegnando la fiscalità in chiave green (differenziando l'Iva, introducendo una carbon tax ed eliminando i sussidi alle fonti fossili) per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi, accelerando nella transizione energetica e nelle politiche di adattamento al clima e rilanciando la cooperazione internazionale mettendo al centro il Mediterraneo e l'Africa in un progetto comune che vada oltre gli interessi dei singoli Stati e delle imprese;
per questo il nostro Paese deve avere il coraggio di prendere decisioni più incisive in questa direzione e al contempo rilanciare sul piano dei diritti e sulle politiche di integrazione, per smetterla di rincorrere chi punta su muri e respingimenti. Non è un problema di risorse ma di scelte, l'Italia deve scegliere di eliminare i sussidi alle fonti fossili e di cancellare i privilegi fiscali di cui godono le multinazionali. Bisogna integrare le risorse nazionali con quelle previste dal prossimo Quadro pluriennale europeo (sino a 480 miliardi di euro per il periodo 2021-2027) prevedendo di destinarle all'azione climatica in modo da realizzare un pacchetto di investimenti pubblici sufficiente per iniziare a dare gambe ad un vero «Green New Deal»;
è positivo che nel programma il Governo, al punto 7, dei 29 punti programmatici, intenda «realizzare un Green New Deal, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti a inserire la protezione dell'ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale. Tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell'ambiente, il progressivo e sempre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici. Occorre adottare misure che incentivino prassi socialmente responsabili da parte delle imprese; perseguire la piena attuazione della eco-innovazione; introdurre un apposito fondo che valga a orientare, anche su base pluriennale, le iniziative imprenditoriali in questa direzione. È necessario promuovere lo sviluppo tecnologico e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più efficace la “transizione ecologica” e indirizzare l'intero sistema produttivo verso un'economia circolare, che favorisca la cultura del riciclo e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto»; queste sono tutte questioni che, se affrontate adeguatamente, rappresenterebbero una vera svolta e che è necessario porre in essere concretamente,
impegna il Governo:
1) ad adottare le iniziative di competenza per riconoscere immediatamente lo stato di emergenza climatica nel nostro Paese;
2) ad adottare iniziative per raggiungere entro il 2050 la produzione del 100 per cento di energia da fonti rinnovabili e la riduzione del 50 per cento delle emissioni di gas serra rispetto all'epoca preindustriale entro il 2030;
3) a realizzare un piano decennale denominato «Green New Deal» che coinvolga tutte quelle forze ambientaliste, sociali, imprenditoriali ed economiche disposte a lavorare insieme per vincere la triplice sfida climatica, economica e sociale e dar vita a una serie di programmi nazionali, assumendo iniziative:
a) per realizzare la transizione energetica per ridurre le emissioni di anidride carbonica in tutti i settori produttivi, attraverso il miglioramento dell'efficienza energetica, l'utilizzo di fonti rinnovabili, il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e il progressivo superamento della dipendenza dai combustibili fossili;
b) per realizzare un piano strutturale di messa in sicurezza del territorio, con politiche di prevenzione e mitigazione del rischio e di adattamento ai cambiamenti climatici;
c) per realizzare un grande programma di investimenti pubblici orientati ai princìpi della sostenibilità ambientale, con azioni di riqualificazione energetica e messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici e privati, politiche di rigenerazione urbana delle città, di tutela dei beni culturali, paesaggistici e degli ecosistemi, di contrasto al nuovo consumo di suolo e all'abusivismo edilizio;
d) per accompagnare la transizione verso un modello di economia circolare basato su un uso efficiente delle risorse naturali, su una corretta gestione dell'acqua e su un virtuoso ciclo dei rifiuti che punti alla riduzione della loro produzione e al recupero di materia ed energia;
e) per favorire la transizione verso un sistema di trasporto sostenibile e la mobilità elettrica, destinando il 50 per cento degli investimenti in infrastrutture per la mobilità sostenibile nelle città e per il trasporto pubblico collettivo e condiviso, in modo da raggiungere l'obiettivo della completa decarbonizzazione – emissioni zero – del settore;
f) per promuovere uno sviluppo della filiera agricola, biologica e delle buone pratiche agronomiche, in modo da tutelare le risorse sotto il profilo qualitativo e quantitativo, aumentare e mantenere la qualità del territorio, la fertilità organica del suolo ed il sequestro di carbonio; per adottare gli strumenti necessari per preservare le colture tradizionali e biologiche da commistioni e contaminazioni con colture geneticamente modificate, tutelando altresì peculiarità e specificità produttive; per rafforzare le regole comunitarie per l'etichettatura di alimenti e mangimi con presenza di organismi geneticamente modificati (OGM), assicurando la massima trasparenza;
g) per incentivare l'occupazione giovanile attraverso l'introduzione, per cinque anni, di incentivi e agevolazioni fiscali per le imprese che assumono a tempo indeterminato giovani (età non superiore a 35 anni) nei seguenti settori: protezione del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico e sismico; ricerca e sviluppo e produzioni di biocarburanti di seconda e terza generazione; ricerca e sviluppo e produzioni e installazione di tecnologie nel solare termico, solare a concentrazione, solare termo-dinamico, solare fotovoltaico, biomasse, biogas e geotermia; incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia nei settori civile e terziario, compresi gli interventi di social housing;
h) per procedere, per il risanamento e la riqualificazione ambientale degli impianti e delle produzioni ad elevato impatto, nella graduale riduzione, fino all'azzeramento, degli incentivi ai combustibili fossili e i sussidi ambientalmente dannosi; per introdurre un contributo ecologico per favorire il perseguimento di un progressivo contenimento delle emissioni di anidride carbonica derivanti al consumo di combustibili fossili impiegati in processi di combustione; per destinare, a fronte del gettito ricavato, risorse pubbliche di pari entità, alla realizzazione degli interventi del «Green New Deal»;
4) ad assumere iniziative, nelle competenti sedi europee, per l'adozione di una carbon tax europea da applicare ai settori non Ets e per adottare una tassazione sul carburante degli aerei, così come già deciso dal Governo francese dal 2020;
5) ad adottare le iniziative di competenza affinché l'ENI avvii una strategia di diversificazione investendo con decisione sulle energie rinnovabili, come stanno facendo altre Oil companies, in modo da ridurre il rischio di rimanere con stranded assets ed aprire contemporaneamente nuove aree di business.
(1-00181) (Nuova formulazione) «Muroni, Fornaro, Bersani, Conte, Epifani, Fassina, Fratoianni, Palazzotto, Pastorino, Rostan, Stumpo».
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta immediata in Commissione Centemero n. 5-02953 del 22 ottobre 2019;
interrogazione a risposta in Commissione Noja n. 5-02980 del 23 ottobre 2019;
interrogazione a risposta immediata in Commissione Ungaro n. 5-03089 del 6 novembre 2019.
Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
interrogazione a risposta scritta Giaccone n. 4-01743 del 28 novembre 2018 in interrogazione a risposta orale n. 3-01100;
interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-01455 del 13 febbraio 2019 in interrogazione a risposta orale n. 3-01101;
interrogazione a risposta orale Ilaria Fontana n. 3-00620 del 19 marzo 2019 in interrogazione a risposta scritta n. 4-04069;
interrogazione a risposta in Commissione Palmisano n. 5-02384 del 27 giugno 2019 in interrogazione a risposta orale n. 3-01099;
interrogazione a risposta orale Zucconi n. 3-00957 dell'11 settembre 2019 in interrogazione a risposta scritta n. 4-04068.