XVIII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 666 di lunedì 28 marzo 2022
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANDREA MANDELLI
La seduta comincia alle 13.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 25 marzo 2022.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Baldelli, Barelli, Bergamini, Boschi, Brescia, Brunetta, Butti, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, Critelli, D'Inca', D'Uva, Dadone, De Maria, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Maggioni, Magi, Marattin, Marin, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Mule', Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Paolini, Parolo, Perantoni, Rampelli, Ribolla, Rizzo, Romaniello, Rotta, Ruocco, Sani, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Serracchiani, Serritella, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Speranza, Suriano, Sut, Tabacci, Tasso, Tateo, Vignaroli, Zanettin e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente 107, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dall'Osso. Ne ha facoltà.
MATTEO DALL'OSSO (FI). Grazie, Presidente. Chiedo al Ministro per le Disabilità Stefani, al Ministro del Lavoro Orlando e al Ministro per la Pubblica amministrazione Brunetta di adottare ogni strumento utile in riferimento al decreto del 24 marzo 2022 per prorogare lo stato di emergenza alle persone fragili. Possibile che, a fronte di 3,4 miliardi di euro stanziati nel PNRR, non si sia trovato un euro per garantire la salute dei chemioterapici, degli immunodepressi, delle persone con disabilità ex legge n. 104 del 1992? Il COVID sta ancora contagiando soprattutto le persone fragili. Perché non prorogare il lavoro agile e lo smart working per le categorie fragili? Non costerebbe nulla. Il 1° aprile è vicinissimo e queste persone sono, appunto, fragili. Chiedo a tutti i deputati di unirsi a me in questa richiesta, di assoluto buonsenso.
PRESIDENTE. Onorevole Dall'Osso, in Aula abbiamo il sottosegretario Bergamini, che sicuramente ha preso nota della sua richiesta.
Discussione della proposta di legge costituzionale: Fornaro ed altri: Modifica all'articolo 57 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica (A.C. 2238-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale n. 2238-A: Modifica all'articolo 57 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 25 marzo 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 25 marzo 2022).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 2238-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.
La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Fornaro.
FEDERICO FORNARO , Relatore. Grazie, signor Presidente. Rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, la proposta di riforma costituzionale all'esame dell'Aula consta di un solo articolo. L'attuale testo vigente dell'articolo 57, comma 1, dice: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvo i seggi assegnati alla circoscrizione Estero”. In questa proposta di modifica il comma verrebbe novellato come segue: “Il Senato della Repubblica è eletto su base circoscrizionale”. È corretto osservare, anche per dar conto di un impegno importante - si tenga conto che questa proposta di legge costituzionale, a prima firma del sottoscritto e dei colleghi Boschi, Delrio, Gebhard, Francesco Silvestri, Ceccanti, Marco Di Maio e Macina, risale al 6 novembre 2019 -, che è stato svolto un lavoro in Commissione che ha portato alla soppressione sia dell'articolo 2 sia dell'articolo 3 del testo originario.
L'articolo 2 riguardava una modifica dell'articolo 83 della Costituzione sui delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica. Rispetto al testo originario della Costituzione, che prevede tre delegati per ogni regione, si riduceva a due il numero dei delegati, in modo da rendere coerente questo numero con la riduzione del numero dei parlamentari, che è stata confermata con referendum popolare. Alla luce, però, delle audizioni, ed anche di una discussione e di un confronto all'interno della Commissione, si è ritenuto di soprassedere a questa modifica - che, ripeto, aveva a motivo solamente la ricostituzione di una proporzionalità rispetto al taglio del numero dei parlamentari - per un problema più legato all'aritmetica, ai numeri, che non ad altre questioni. Ovvero, mentre nella previsione costituzionale dei tre si rispettava, come prevedeva il testo dell'articolo 83, la rappresentanza delle minoranze, con due, di fatto, non si riusciva a dare adeguata rappresentanza alle maggioranze, perché ovviamente la maggioranza veniva, di fatto, equiparata alla minoranza e, in qualche modo, si sterilizzava il contributo politico delle regioni all'elezione del Presidente della Repubblica. Per queste ragioni si è deciso di soprassedere, e quindi di lasciare inalterato il numero di tre delegati per ogni regione in occasione dell'elezione del Presidente della Repubblica.
L'articolo 3 era una norma transitoria, a garanzia del fatto che non si potessero alterare, in qualche modo, le regole del gioco alla vigilia dell'elezione del Presidente della Repubblica, che abbiamo poi eletto nel gennaio di quest'anno, ma soprattutto era una norma dettata dal fatto che, quando è stata presentata questa proposta di legge, non era ancora completato l'iter dell'approvazione della riforma costituzionale del taglio dei parlamentari. Alla luce dell'avvenuta approvazione, e quindi dello scorrere del tempo, l'entrata in vigore ed efficacia, di fatto, dell'articolo 3, di questa norma transitoria, non aveva più senso. Qual è l'obiettivo?
Lo dico subito con grande chiarezza: l'obiettivo di questa norma è di lasciare maggiore libertà al legislatore - gli estensori del dossier parlano di maggiore flessibilità - per la scrittura della legge elettorale; non necessariamente, ovviamente, di una nuova legge elettorale, ma di una legge elettorale, perché stiamo parlando della Costituzione. Ricordo che, per scelta dei costituenti, la legge elettorale non è parte della Costituzione ed è una scelta fatta dalle principali Costituzioni europee; l'unica che fa eccezione, non a caso, è una delle ultime che è stata scritta ed è quella spagnola che, invece, introduce il principio della formula proporzionale già in Costituzione. Quindi, alla luce di questo, l'obiettivo, come dicevo, è lasciare flessibilità nella scrittura.
Chiarisco subito un oggetto di discussione, immagino, anche in quest'Aula, oltre che in Commissione. Questo testo non introduce alcun obbligo, ossia l'eventuale approvazione di questa riforma in automatico non determina la necessità di approvare una nuova legge elettorale. C'è un tema, però, che credo quest'Aula debba tener conto, avendo approvato questa normativa, cioè la diminuzione del numero dei parlamentari ha prodotto un'oggettiva compressione della rappresentanza territoriale e politica, in particolare, al Senato, anche qui, non per una scelta del legislatore, ma per la legge dei numeri.
È evidente che il combinato disposto, ad esempio, della legge elettorale vigente e la riduzione del numero dei parlamentari pone in alcune regioni, quelle più piccole, un oggettivo problema di compressione, come dicevo, della rappresentanza.
Ma c'è di più, c'è un'altra questione che è un po' all'origine anche delle valutazioni che hanno portato alla stesura di questa proposta di riforma. La Corte costituzionale, nella famosa sentenza n. 1 del 2014, ha evidenziato come l'attribuzione su base regionale realizzi l'effetto che la maggioranza in seno all'Assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto, nell'insieme, sostanzialmente omogenea.
Questa è l'altra questione di tipo sistemico, a cui questa proposta di riforma prova a dare una risposta. Nella stesura delle leggi elettorali, dal 1948 in avanti, quindi dopo quella per l'elezione dell'Assemblea costituente, non vi era stata particolare attenzione all'omogeneità delle due leggi. Ad esempio, anche con il sistema proporzionale dal 1948 al 1992 erano differenti le modalità di elezioni tra Camera e Senato e, soprattutto, l'attribuzione dei seggi mentre alla Camera avviene a livello nazionale e nelle circoscrizioni, con recupero dei resti a livello nazionale, nel caso del Senato si ferma a livello della regione, provocando gli effetti sistemici che credo tutti voi ricorderete.
In particolare, il caso più eclatante fu quello delle elezioni del 2013, quelle che si sono svolte con il cosiddetto Porcellum, poi giustamente censurato dalla Corte costituzionale per un eccesso di disproporzionalità. Ebbene, in quelle elezioni, a parità di voti, la coalizione vincitrice alla Camera, con il premio di maggioranza, ottenne l'autosufficienza, cioè il 55 per cento dei seggi; con gli stessi voti, al Senato, per il meccanismo di attribuzione del premio a livello regionale, invece, non ebbe la maggioranza, con tutte le conseguenze di instabilità.
Che cosa potrà fare, se vorrà, il legislatore una volta approvata questa proposta di legge costituzionale? Intanto, prevedere un recupero dei resti a livello nazionale. Questo consentirebbe una maggiore omogeneità ma, soprattutto - osservandolo da un altro punto di vista - eviterebbe che anche un solo voto vada perduto. Ad esempio, nelle regioni dove oggi è prevista l'elezione di massimo tre senatori, cito la Basilicata per tutte, che è quella che ha perso di più, perché prima ne eleggeva sette, a legislazione vigente, uno eletto nel collegio uninominale, due nella quota proporzionale, anche se si introducesse la formula proporzionale per la trasformazione dei voti in seggi, con tre eletti, non un piccolo partito, ma un partito attorno al 15 per cento rischierebbe di non vedere rappresentanti in Senato; leggendolo dall'altra parte, il votante di un partito non piccolo, ma di un partito medio-grande non avrebbe rappresentanza.
Il recupero dei resti a livello nazionale consente, invece, di sanare quello che personalmente considero, comunque, un vulnus, visto il numero esiguo perché - rispondo qui all'obiezione - esistono sistemi proporzionali: il modello spagnolo per tutti o, per andare a fare un po' di archeologia elettorale, la prima legge proporzionale italiana, quella del 1919, in cui l'attribuzione dei seggi avviene a livello circoscrizionale, senza recupero dei resti. Stiamo parlando di circoscrizioni di dimensioni varie, ma non così piccole, tolti casi estremi – ce ne è una, se non ricordo male quella di Ceuta, in cui viene eletto un solo rappresentante alle Cortes -in buona sostanza, questo è un problema.
Inoltre, in secondo luogo, cosa si può fare? Qualora il legislatore intendesse ripristinare un modello misto, quindi di base proporzionale con un correttivo di stabilità rappresentato dal premio di maggioranza, ovviamente tenuto conto delle sentenze della Corte e, quindi, di evitare eccessi di disproporzionalità, in quel caso, il legislatore potrebbe considerare l'attribuzione di un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione vincente di tipo nazionale e poi ribaltato sulle diverse regioni, superando quel problema che prima ricordavo.
Terzo. Di fatto è già stata introdotta, a mio giudizio con qualche dubbio di costituzionalità, a legislazione vigente, la soglia di sbarramento nazionale, che è già stata introdotta in occasione del Rosatellum, sebbene la dicitura dell'elezione a base regionale qualche dubbio lo fa venire, di fatto sul doppio sbarramento che viene introdotto. Al Senato c'è una sorta di doppio sbarramento, cioè puoi superare il 3 per cento a livello nazionale, ma non avere, poi, comunque, l'attribuzione del seggio a livello regionale; o, viceversa, per assurdo, avere una regione, il 20 per cento, il 25 per cento di quella popolazione, ma, se non si raggiunge il 3 per cento a livello nazionale, non c'è l'attribuzione dei seggi. Insomma, se il legislatore vorrà, lo ripeto, si potrà scrivere una legge elettorale che cerchi di far tesoro delle esperienze degli ultimi anni e introdurre dei correttivi a queste leggi.
In definitiva - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente -, l'obiettivo di fondo è poter avere leggi elettorali, per la Camera e per il Senato, simili, omogenee. Si tenga anche conto che, nel frattempo, noi abbiamo parificato anche l'elettorato attivo a 18 anni, quindi superando anche l'ultimo elemento di differenziazione significativa; rimane quello dell'elettorato passivo, ma che non incide nella formazione del risultato elettorale.
Sostanzialmente, perché c'è questa necessità? Perché leggi elettorali per Camera e Senato omogenee e simili consentono stabilità, aumentano la possibilità che, attraverso le elezioni, come output finale, vi siano anche maggioranze stabili e, quindi, Esecutivi stabili che, come, purtroppo, è stato, anche con una legge che aveva una torsione maggioritaria molto forte, ripeto, come il Porcellum, non si è riusciti a dare.
In ultimo - questo mi consentirete di dirlo, i colleghi della Commissione lo avranno sentito dire già in Commissione più volte, però ci tengo - questa è una modifica che non è pensata contro qualcuno, non è una modifica che, a priori, favorisce questa o quella coalizione, questo o quel partito.
Può invece - ed è l'auspicio dei proponenti - consentire di dare migliore rappresentanza - e ne abbiamo molto bisogno - sia territoriale che politica e maggiore omogeneità alle maggioranze di Camera e Senato e, quindi, maggiore stabilità agli Esecutivi. Insomma, io credo e spero, pur in presenza di voti e di posizioni differenti che credo quest'Aula poi legittimamente registrerà, che ci possa essere nelle letture successive un ulteriore avvicinamento e da questo punto di vista credo che ci sia la possibilità eventualmente anche di ulteriori interventi nella formulazione dell'articolo che viene modificato, perché - ripeto - l'obiettivo è un obiettivo sistemico, è un obiettivo per mettere nelle condizioni di scrivere leggi elettorali che diano, da un lato, rappresentanza e, dall'altro, garantiscano la stabilità degli Esecutivi; entrambi valori di carattere costituzionale.
PRESIDENTE. La rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. È iscritto a parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.
FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, non me ne vorrà se, un po' per mia personale resistenza su questi temi architettonici, un po' per evitare il millantato credito e la mitomania, che per un parlamentare sono sempre in agguato, mi appoggerò ad alcune considerazioni provvistemi dall'onorevole Ceccanti, la cui preclara dottrina supplirà con generosità alle mie lacune.
Se non ho male inteso, la cosiddetta “riforma Fornaro”, eroe eponimo di questa proposta di legge, prende le mosse dalla sciagurata - questo ce lo metto io, che pure l'ho votata; e che Dio sempre mi perdoni - riduzione del numero dei parlamentari. Il Senato, eletto su base regionale in presenza di un numero minimo di senatori, che si è considerevolmente ridotto in alcune regioni, sconta - eufemisticamente - alcuni problemi di pluralismo della rappresentanza. Di per sé questa modifica, che la sostituisce con una base circoscrizionale - lo ha ricordato benissimo il relatore -, non impone nulla, anzi concede margini superiori al legislatore ordinario che possa e voglia porsi questo problema. Essa tuttavia, Presidente, richiama anche una seria questione di sistema: finché entrambe le Camere separatamente danno - questo è quello che penso - la fiducia al Governo è nostro dovere e nostro compito favorire la formazione di maggioranze quanto più omogenee possibili in entrambe le Assemblee. Così si fece già nel 1963 - sentite il Ceccanti che scorre impetuoso dentro di me -, quando la durata temporale delle Assemblee fu allineata a cinque anni anche per il Senato, che in origine ne durava sei. Parimenti, su sollecitazione degli organi di garanzia, la “legge Rosato” fu voluta identica in entrambe le Camere e così in questa legislatura abbiamo allineato gli elettorati attivi a diciott'anni. Credo sia nell'interesse di tutti, Presidente: dà un effetto di stabilizzazione, richiamato, avere la certezza di esiti elettorali conformi nelle due Camere evitando asimmetrie e distorsioni, tanto più che non mi pare alle viste, dopo l'occasione sprecata per il referendum del 2016, un superamento del bicameralismo paritario. Poi si parlerà, se del caso, di riforma elettorale, la quale, ove mai questo Parlamento fosse in grado di proporla ed approvarla entro i limiti di questa accidentata legislatura, potrebbe fondarsi su un terreno più solido proprio in virtù di miniriforme e aggiustamenti, insomma della sintonia fine di provvedimenti come quello che stiamo discutendo oggi in quest'Aula. Questo piccolo ragionevole cambiamento di buonsenso, Presidente, consentirebbe un passetto avanti nella direzione di una maggiore chiarezza e leggibilità del quadro istituzionale e di coerenza del disegno riformatore. “Non sprechiamola questa occasione, convinciamocene insieme”, mi sprona a concludere, con la sua phronesis, l'onorevole Ceccanti che mi abita. A me, Presidente, a questo punto non resta altro che scusarmi per la brevità di queste considerazioni e di ringraziare lei e i colleghi per la pazienza concessami (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galantino. Ne ha facoltà.
DAVIDE GALANTINO (FDI). Grazie, Presidente. Sottosegretario Bergamini, onorevoli colleghi, buon pomeriggio. Mi si consenta di fare una breve considerazione di merito sulla conduzione dei lavori di Commissione, anche a nome dei colleghi Prisco e Montaruli.
Va dato atto anche al relatore, l'onorevole Fornaro, di aver condotto i lavori, seppure da posizioni diverse, nel pieno coinvolgimento dell'opposizione, con un approccio dialettico corretto con tutti i componenti della Commissione. È un metodo che ha portato, per esempio, all'abrogazione all'unanimità dell'articolo 2 della proposta di legge in discussione. Va, infatti, dato atto al collega di aver posto, già all'atto del taglio del numero dei parlamentari, il tema del proporzionamento del peso dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica. È evidente, infatti, che aver ridotto il numero dei parlamentari modificherà il peso dei delegati regionali per l'elezione del Capo dello Stato, se il sistema di elezione del prossimo Presidente dovesse rimanere questo. Sappiamo, perciò, che il peso proporzionale della componente territoriale rispetto a Camera e Senato è aumentato in ogni caso rispetto alle ipotesi emerse in discussione che vedevano diverse possibili soluzioni, e anche Fratelli d'Italia ha condiviso la linea conservatrice dello status quo.
Diversamente, si sarebbe potuto accedere ad un'ipotesi che riducesse proporzionalmente il numero dei delegati, quindi a due, uno di maggioranza e uno di opposizione contro gli attuali tre, con l'effetto di neutralizzare il peso della rappresentanza regionale, e questo sarebbe stato sbagliato oltre che ingiusto. L'altra ipotesi emersa, quella di far rappresentare le regioni solo dal Presidente in quanto eletto direttamente dai cittadini, avrebbe obiettivamente mortificato il peso e il ruolo dei territori, in particolare quello delle rispettive opposizioni. Certo, va anche detto che la scelta meno peggiore, cioè lasciare l'attuale composizione, rappresenta un accrescimento del peso della componente regionale. Anche queste ultime considerazioni confermano l'utilità e la necessità della proposta di Fratelli d'Italia di elezione diretta del Capo dello Stato, così che possano essere superati anche questi problemi tecnici emersi nel corso della discussione in sede referente della presente proposta, ma già in occasione del taglio dei parlamentari, senza una riforma in chiave presidenzialista e senza un'organica riforma della Parte seconda della Costituzione, quest'ultima rischia di essere solo un abbaglio di populismo. Ricordo che Fratelli d'Italia è stata l'unica forza di opposizione ad aver votato quella riforma per tutte e quattro le letture. Quindi, per intenderci, non siamo certo noi ad essere tacciabili di non condividerne il contenuto. Ma torniamo alla riforma proposta. Ci sono due considerazioni che vanno comunque svolte. Nel metodo, per cui si continua con interventi puntuali a voler modificare la Costituzione senza un disegno organico del dove si vuole andare a parare. Questo è pericoloso e grave, perché rischia di mandare in cortocircuito il funzionamento della Carta che, come i costituzionalisti ci ricordano, dovrebbe funzionare come un orologio svizzero, fatto di meccanismi perfetti, pesi e contrappesi in grado di mantenere in equilibrio il nostro ordinamento. Si può fare tutto e Fratelli d'Italia è tra i partiti che propongono una modificazione di aggiornamento alla Carta, a nostro avviso in chiave presidenzialista, ma questa ha un equilibrio e una sua organicità complessiva. Poi arriviamo al testo finale, prodotto a seguito di un ulteriore emendamento del relatore, che di fatto cancella anche la finalità iniziale della proposta. Ricordo, infatti, all'Aula che la proposta si componeva di due colonne: una era la composizione della delegazione delle regioni per l'elezione del Capo dello Stato, di cui abbiamo detto prima; l'altra era la modificazione dell'attuale assetto ordinamentale per le elezioni del Senato, che doveva, nell'intenzione dei proponenti, eliminare la coincidenza della base territoriale, in specie regionale per l'elezione del Senato, consentendo di fatto di avere delle circoscrizioni più ampie delle singole regioni, così, sempre secondo i proponenti, da attenuare gli effetti del taglio dei parlamentari soprattutto per le regioni più piccole.
L'emendamento del relatore, in realtà, trasforma la base territoriale del Senato in circoscrizione unica nazionale. Ora non sappiamo se questo voglia sottendere altri obiettivi oggi nascosti. Da un lato, se si annulla la diversa composizione della base elettorale del Senato e della Camera, anche alla luce dell'allineamento del limite di età per l'elettorato attivo, si potrebbe ipotizzare che si vada per l'abolizione di una delle due Camere. Allora, si abbia il coraggio di proporre questo e non uno snaturamento per gradi della Costituzione.
Diversamente, se l'intento è solo strategico e finalizzato, come più volte abbiamo detto, ad aprire le porte a un sistema elettorale proporzionale su base nazionale, allora si dica anche questo con altrettanta chiarezza. Ovviamente, è nota la posizione di Fratelli d'Italia su questo punto: non possiamo che essere fortemente contrari, avendo Giorgia Meloni sempre detto che per Fratelli d'Italia, che fa della coerenza e della chiarezza le sue bandiere comportamentali, non si può tornare indietro di mezzo secolo, alla prima Repubblica. Un ritorno al proporzionale, per noi, sarebbe vergognoso, l'ennesimo tentativo di consentire di stare al Governo a chi ha perso le elezioni. Noi siamo per il maggioritario, anche se il proporzionale potrebbe assegnarci qualche seggio in più; lo diciamo e lo ripetiamo con chiarezza: il centrodestra è storicamente per il maggioritario, perché riteniamo che le maggioranze minestrone, come possiamo, ancora una volta, vedere dimostrato con questa maggioranza che sostiene il Governo Draghi, non rispondono alle reali esigenze del Paese. L'Italia ha, anzi, bisogno di maggioranze coese, almeno su valori di fondo, ha bisogno di una linea politica chiara, di una visione comune e non di compromessi al ribasso per tenersi appesi al seggio e alla legislatura. Quindi, se questa riforma serve a questo, noi non possiamo condividerlo.
Concludo, Presidente, andando a sottolineare la necessità che si dia vita a una fase costituente per riformare la Parte II della Costituzione e, se serve, anche il ruolo del Senato, ma in una visione organica dell'ordinamento che deve funzionare per le nuove esigenze di questa epoca difficile, per gli anni a venire. Su questo, Fratelli d'Italia si è anche fatto carico di presentare al Senato, a firma del presidente La Russa, la proposta di Costituente della Fondazione Einaudi; non è quello che volete, ma credo che sia di questo che dovremmo discutere, anche con urgenza, in questo scampolo di legislatura, perché la prossima possa determinare le riforme, anche alla Carta costituzionale, necessarie a rendere il nostro sistema istituzionale, il nostro Paese più moderno e al passo con i tempi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ettore. Ne ha facoltà.
FELICE MAURIZIO D'ETTORE (CI). Grazie, Presidente. Qui, stiamo affrontando una proposta di legge costituzionale che aveva, come ha detto l'onorevole Fornaro, un più ampio spettro, in relazione ad un'oggettiva questione che è stata già ricordata dagli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, quella degli effetti sul sistema della riduzione dei parlamentari - un effetto sul sistema costituzionale nel suo complesso, un effetto sul sistema della rappresentanza -, e, poi, alla questione, connessa, della governabilità; questioni che vengono messe insieme, ma che sono, appunto, connesse. Il primo tema, principale, è quello della rappresentatività con riguardo ai territori e della rappresentatività con riguardo alla distribuzione dei seggi che dipende, poi, anche dalla legge elettorale, come giustamente ha ricordato l'onorevole Fornaro. Perché i temi sono connessi? Perché la governabilità non è il tema presupposto dalla disciplina costituzionale, è il tema della ricaduta della rappresentatività in base alla Costituzione e, quindi, alla norma di grado superiore e alla norma, naturalmente e necessariamente di attuazione costituzionale, che è la legge elettorale.
Concordo anch'io sul lavoro di Commissione che è stato portato avanti dal collega Fornaro in maniera puntuale, dettagliata, informata e, soprattutto, in un contraddittorio sereno e capace di giungere anche a una sostanziale “decapitazione” del testo, già succinto, ma che prevedeva anche ulteriori interventi dipendenti da questa riduzione dei parlamentari, come la diminuzione del numero dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica, quindi, questioni ulteriori - centrali anche queste -, ma che abbiamo deciso, insieme, di sopprimere.
Qual è, ora, il tema centrale, rispetto alla proposta? Il collega Fornaro, correttamente e giustamente, non può non collegare il filo costituzionale della riduzione dei parlamentari alla rappresentatività, alla legge elettorale, alla considerazione costituzionale, non esplicita, ma orientata, di quella che può essere la disposizione elettorale. Alcuni ordinamenti lo prevedono, come quello spagnolo o anche altri, di Paesi extraeuropei, ma con riferimenti diretti o indiretti; il nostro si è sempre ritenuto che avesse almeno una connotazione proporzionale; chi dice che il nostro sistema non lo avesse dice qualcosa che emerge dai lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, dove c'era questo indirizzo di natura proporzionale. L'attuale legge elettorale non è maggioritaria, lo ripeto, non è maggioritaria, sfatiamo questo elemento; è sostanzialmente una legge proporzionale con un correttivo maggioritario che, accostato alla riduzione dei parlamentari, avrà esiti devastanti nella prossima elezione del 2023. Io penso che questo sia un esito sicuro; basta ragionare solo sul caso della Basilicata, di cui parlava il collega, ma possiamo parlare anche di altre regioni, abbiamo fatto l'esempio dell'Emilia-Romagna rispetto al Piemonte, potrei fare l'esempio della Calabria o di altre regioni dove ci sono elezioni che riguardano senatori che potrebbero, sulla carta, in base ai collegi uninominali, rappresentare un milione di persone o forse più. Come? Non si comprende come. Rispetto a quali funzioni, a quale caratteristica di un bicameralismo perfetto - almeno sulla carta - che rimane tale?
Quindi, è evidente che questa revisione costituzionale non può non collegarsi a un ragionamento di significato anche sulla legge elettorale; il contenuto di significato del primo comma dell'articolo 57 della Costituzione, come verrebbe sostituito da questa disciplina costituzionale proposta, sarebbe che il Senato della Repubblica è eletto su base circoscrizionale; già richiamare la circoscrizione rispetto alla base regionale significa già orientarsi verso la ratio, lo scopo dell'elezione, che è quello di determinare la rappresentanza territoriale e, quindi, di presupporre l'esistenza - o la prossima valutazione - del regime elettorale più indicato in funzione della riduzione dei parlamentari. Come pensare che questa non sia una connessione diretta, nell'era di Internet, in cui si parla di connessioni massive di dati? Qui, basta una connessione semplice, un'informazione semplificata, non arrivo - collega Sensi - alle vette del professor Ceccanti, ma stando, più umilmente e con circospezione, ad affrontare questo tema dico che è un collegamento opportuno. Pertanto, se non si chiarisce questo, diventa complicato arrivare a questa modificazione semplicemente facendo riferimento alla circoscrizione. È vero che, come dice il collega Fornaro, non si pongono obblighi con questa eventuale revisione costituzionale in ordine alla legge elettorale; su questo non c'è dubbio, non si pongono obblighi, ma si presuppone un percorso, un orientamento che deve essere, in qualche modo, esplicato, che deve far parte di quell'humus nel quale, dalla maggioranza e, poi, dalle opposizioni, si comprende cosa vuole fare questo Parlamento in ordine alla legge elettorale, perché se manteniamo questa legge elettorale con questa revisione il caos sarà assicurato. Infatti, a quel punto, dovremmo fare una modifica alla legge elettorale del Senato per le circoscrizioni e stabilire cosa intendiamo per circoscrizione. So bene che l'intento non è quello della lista o della cifra unica elettorale nazionale, però, se vogliamo rendere omogenee tutte le riforme che abbiamo fatto, che hanno riguardato anche l'elettorato attivo, dovremmo, a questo punto, pensare anche a questa ipotesi e, quindi, se passiamo a questa ipotesi, è difficile staccarsi dal contenuto proprio di significato delle norme precedenti, che era quello della base regionale, per portarci a un esito diverso sul Senato, ridotto. È un tema politico, come tutte le questioni costituzionali.
Anche qui, rispetto al pensare che le questioni costituzionali non presuppongano una valutazione di natura politica, mi permetto di ricordare che il diritto e la politica trovano il loro legame immediato, diretto e istantaneo proprio nella produzione normativa, ancor più nella produzione di natura costituzionale, che presuppone, poi, un intervento sulla rappresentanza e sulla legge elettorale, o, quantomeno, un orientamento di massima. Non lo può dare, questa revisione. Invece, sarei dell'avviso di cominciare a dare un orientamento e a discutere su quale sia la volontà delle Camere in ordine alla legge elettorale, perché, altrimenti, sarà un intervento - come è stato definito - revisionistico a monadi alternate, cioè monadi o pezzettini vari, fuori dal sistema, che intervengono su parti della Costituzione, in questo caso in maniera meno pervasiva, ma comunque sulla base di un iter, assunto in questi mesi e in questi anni, che sta anche determinando, secondo me, un'involuzione del sistema costituzionale sulla base di revisioni che non sono, almeno palesemente, collegate, ma che, in realtà, poi, paiono rispondere a un disegno più ampio. Ecco, penso che questa revisione debba accompagnarsi a una valutazione di più ampio respiro, anche con riguardo all'elezione del Presidente da Repubblica, e anche con riguardo alla questione dell'orientamento sulla legge elettorale, perché è totalmente presupposto in questo. La stessa riduzione dei parlamentari, il mantenimento del bicameralismo perfetto, almeno sulla carta, impone un ragionamento di questo tipo. Dire “no, non ragioniamo più su questo tema”, è complicato. È complicato non ragionare più su questo tema, perché noi abbiamo, in questo momento, una legge elettorale sulla quale dovremo intervenire, anche se passa questa revisione, per determinare, sui collegi uninominali e sul Senato, qual è l'assunzione di responsabilità del Parlamento in ordine alla configurazione dei collegi, e quindi, probabilmente, se lasciamo questa legge, sappiamo quale può essere poi il risultato rispetto a questa modificazione. Allora, io credo che, se si parla di base circoscrizionale e basta, è vero che la formula può essere considerata non ambigua, ma spesso, quando le formule hanno natura elastica, e questa della base circoscrizionale ha natura elastica, mantengono uno spazio interpretativo molto ampio, che, nell'ambito costituzionale, è tipologico, ma non può diventare elemento strutturale della norma. E l'elasticità che questa nozione della base circoscrizionale lascia poi al legislatore ordinario, secondo me, è molto ampia, rispetto alla presunzione e alla presupposizione del tema della rappresentanza e della garanzia della rappresentanza su una base territoriale omogenea, almeno determinata. Il tema della rappresentanza territoriale omogenea è da non escludere, ovviamente. Non è che qui viene esclusa, ma, in ordine alla rappresentanza territoriale omogenea fra Camera e Senato, bisogna trovare un criterio, tenendo conto, però, che il Senato della Repubblica è nato, nel nostro ordinamento, sulla base regionale e sulla base di un diverso specifico orientamento del bicameralismo perfetto. Non è un dato di storia costituzionale, è un dato di humus costituzionale, su cui è costruita la nostra norma fondamentale. Su questo non c'è dubbio.
In Commissione abbiamo anche presentato emendamenti sui quali l'onorevole Fornaro ci chiedeva ulteriori chiarimenti, tenendo conto di questa elasticità della nozione della base circoscrizionale. C'era un intendimento su quegli emendamenti: sforzarsi di determinare un'omogeneità territoriale, quello era il tema, con formulazioni che potevano essere meglio articolate. Ma io ho sentito, nell'intervento del collega Fornaro - che tanto impegno ha messo in questa norma, perché questa singola norma, di due righe, presuppone un'argomentazione e un ragionamento molto più ampi - un'apertura non solo a eventuali nuove proposte emendative, ma ad una articolazione che potrebbe essere mossa in questo criterio di elasticità, secondo noi, o attraverso una migliore e più approfondita determinazione, sul piano tecnico, dell'omogeneità territoriale. Questo è il senso; sulle modalità siamo disponibili a discutere, fermo restando che non si può pensare - lo ripeto - che la riduzione del numero dei parlamentari, rispetto alla connotazione regionale del Senato, debba continuare senza alcun avviso o avvertenza sulla legge elettorale. Il tutto è collegato naturalmente: la legge elettorale ha una natura necessariamente costituzionale. Ogni volta che siamo intervenuti sui parlamentari, sull'elettorato attivo, sul Senato, ora sulla base circoscrizionale, ci siamo resi conto che dialoghiamo con una materia oscura, che, però, esiste e che è la legge elettorale. Sembra quasi che per noi sia materia oscura. Ma c'è un'energia palese, quella delle norme che andiamo via via prospettando e approvando, che ci dice, ci comunica che le norme hanno tutte un contenuto di significato - che non è solo il dato letterale, ma è la più ampia elasticità e compresenza del precetto - e che ci dice: dovete pure pensare alla legge elettorale. Ossia, sembra quasi che ce lo dica, questa norma: che fate? Ma che, non ci pensate? E allora, o si dice: va bene così, manteniamo questa legge, che non è maggioritaria, che ha semplicemente un correttivo di natura maggioritaria, è una specie di “frizzi e lazzi” di natura maggioritaria, non c'è niente di sostanzialmente maggioritario, ma c'è una base proporzionale molto ampia, con un elemento che porta a una maggiore coesione delle coalizioni, sulla base della scelta migliore ai fini della prevalenza in un collegio, maggioritario o meno, perché questo, poi, è il senso della costruzione di quella percentuale del 3 per cento di seggi di natura uninominale.
E, allora, dobbiamo capire cosa vogliamo fare. Se pensiamo che questa revisione si accompagni esclusivamente all'attuale legge elettorale, bisogna pensare, qui, a un meccanismo diverso. Ossia, se noi percepiamo che non c'è alcuna volontà di cambiare la legge elettorale, e quindi manteniamo questa legge elettorale, il riferimento alla base circoscrizionale deve essere ulteriormente definito. Se noi pensiamo, invece, che non ci sia questa necessità - non c'è alcun obbligo, dice il collega Fornaro - di mantenere questa legge elettorale, ma si pensa a qualcos'altro, allora dobbiamo vedere come questa base circoscrizionale, questo contenuto di significato dell'enunciato legislativo costituzionale possa essere mantenuto o meno. Questo è il tema. Se, invece, pensiamo che tutto questo sia scisso dalla legge elettorale, allora diventa veramente problematico. Certo, se si mantiene la base regionale sic et simpliciter, con questa riduzione dei parlamentari al Senato e con questa legge elettorale, la catastrofe è pronta per il 2023, è pronta: non avremo una rappresentanza effettiva, non avremo governabilità. Non è che ci voglia un algoritmo predittivo o l'intelligenza artificiale, basta l'intelligenza naturale per capirlo. Poi, se vogliamo individuare un algoritmo predittivo e costruirlo - ormai vanno di moda - vedrete le simulazioni e quello che viene fuori, almeno con riferimento ai dati elettorali attuali: in termini volgari - scusi, Presidente, se lo dico -, il casino elettorale, ma nel senso tecnico, etimologico, del termine, perché poi bisogna anche dirlo. E forse questo è l'intento di alcune forze politiche; probabilmente c'è questo intento di arrivare a un dopo che è come il prima e che non ha mai un futuro, dove chi perde le elezioni riesce sempre a governare in qualche modo, ossia non si sa come, ma riesce sempre a governare. Lo dico con tutto il rispetto eh, non sto accusando nessuno, vale da una parte e dall'altra, perché, poi, i movimenti che abbiamo visto in questa legislatura sono talmente variegati che c'è chi alza il dito e accusa qualcun altro; tranne, ovviamente, i colleghi di Fratelli d'Italia, tutti gli altri è bene che stiano zitti, perché quello che è avvenuto è stato, come dire, il risultato di una Costituzione vivente che è andato oltre il vivente, è andato nell'irrealtà, in quella materia oscura che veramente nessuno più comprende, tanto meno i cittadini.
Questo è di tutta evidenza. Nessuno può alzare il dito, qui ogni tanto qualcuno si alza e lo fa ma nemmeno io mi permetto di farlo, correttamente non alzo il dito, ma vedo tanti colleghi che lo fanno, ma facessero meno retorica e pensassero più a studiarsi i testi e a parlare di cose che conoscono senza andare in televisione a raccontare le novelle. Infatti, tanti raccontano le novelle in televisione; ci sono casi veramente stratosferici di novelle, specialmente le novelle normative, gente che va in TV e parla di un mondo che non c'è, dicendo cose che non esistono nelle Aule parlamentari e che stanno solo nella testa dell'interlocutore televisivo. Quindi, diamo un'immagine all'esterno, che è totalmente contraria a quello che avviene nelle Aule parlamentari, il che è veramente surreale.
Proprio qui siamo nel mondo dell'irrealtà. Io ho colto questo accenno del collega Fornaro a un'ipotesi modificativa. Io mi sono limitato, umilmente, con circospezione e con una volontà di non esagerare, rispetto a quelli che potrebbero essere anche i tentativi di non andare avanti con questa modificazione, semplicemente a un ragionamento che coglie i limiti di questa nozione, così come è posta, in funzione di un'omogeneità - e io penso che sia necessaria questa omogeneità - nella individuazione di criteri in Costituzione, che orientino poi le scelte in materia di legge elettorale. L'auspicio è quello di una definizione concreta normativa della base circoscrizionale. Si potrebbe obiettare: attenzione, una definizione potrebbe lasciare spazio ad ulteriori equivoci. Sì, ma una definizione tecnica - in vista della scelta sulla legge elettorale, è bene che quantomeno in maggioranza si cominci a capire qualcosa - può determinare il portato del precetto costituzionale. Anzi, come ho già detto, anche se è un tema costituzionale e, quindi, molto più ampio, quantomeno la maggioranza, deve cominciare a ragionare su questo e capire: quali sono gli orientamenti? Cosa vogliamo fare rispetto alla riduzione dei parlamentari, al bicameralismo perfetto e alla legge elettorale? Se non si capisce questo, diventa complicato riuscire a comprendere come muoverci. Potrebbe andare benissimo questa elasticità e apertura della nozione, quasi una norma in bianco sulla base circoscrizionale che ha cambiato la base regionale in circoscrizionale; poi, vedetevela voi. Questo è il senso della questione. Le norme costituzionali, con un spazio così ampio di interpretazione, mi sembra siano oggettivamente tipiche del diritto costituzionale, però credo che nel caso delle leggi elettorali della rappresentanza della governabilità il testo debba essere maggiormente definito, senza arrivare a dare già un tracciato sulla scelta elettorale, ma quantomeno in modo da comprendere quello che la maggioranza vuole fare. Infatti poi è difficile rispondere all'opposizione - in questo caso Fratelli d'Italia - che dice che con “circoscrizionale” si potrebbe intendere anche la lista unica nazionale e la cifra nazionale e che possiamo pensare anche a questo. Non è così e io so che non è così, anche nella valutazione tecnica; però, attenzione, non è così per noi, ma può esser così per qualcun altro dopo di noi. Forse, si tratta di andare a definire e a determinare questi ambiti tecnicamente, in un contenuto di significato chiaro, sulla base di un'omogeneità del rapporto tra elettori, corpo elettorale e seggi da ripartire tra Camera e Senato; io penso che, se questo è l'orientamento, facciamolo. Ma, se non stiamo anche pensando alla direttrice elettorale, diventa assolutamente impossibile trovare soluzioni. Noi siamo pronti - lo ribadisco al collega Fornaro e l'ho detto anche in sede di riunione di maggioranza - a qualsiasi modificazione. Anche se in Commissione è passata con un voto, sono contento che sia arrivata in Aula, perché quando si parla di legge costituzionale è meglio arrivare in Aula. Siamo arrivati con un parere negativo sulla elezione diretta del Presidente della Repubblica, un errore, secondo me, che ha fatto la Commissione, grave, al di là delle responsabilità politiche, ma grave, perché su quel tema si poteva arrivare tutti per discutere e poi trovare delle soluzioni, se c'erano, dopodiché ciascuno votare come riteneva più opportuno; ma sarebbe stato un modo per aprire un dibattito - che comunque c'è stato - di più ampio respiro.
Su questo tema, ripeto, non si tratta di due righe e di una semplice revisione costituzionale. Si tratta di qualcosa in più, come abbiamo detto in sede di Commissione. Io convengo con l'opposizione che, se la maggioranza non si chiarisce quello che ha in testa, diventa complicato poi chiedere un voto di più ampio margine sulla revisione costituzionale. Già all'interno della maggioranza ci sono notevoli, non tanto discussioni, quanto sensibilità diverse. Ci sono sensibilità diverse e accenti un po' più acuti, da parte di qualcuno, rispetto ad altri. Da parte nostra non c'è nessuna volontà di intralciare la revisione costituzionale, ma semplicemente la volontà di trovare questo contenuto di significato tecnico più specifico, con riguardo alla base circoscrizionale, alla territorialità e omogeneità del riferimento territoriale, per arrivare a un testo che comunque presupponga una direttrice elettorale, che in qualche modo deve essere discussa. Se tutto questo non c'è, ognuno prenderà decisioni anche autonomamente, ma sulle revisioni costituzionali mi sembra il percorso peggiore quello della autonoma indipendenza. Ci mancherebbe, è tipica della volontà dei gruppi, ma, in questo caso, la revisione costituzionale deve raggiungere il più ampio consenso possibile, perché - ripeto - tratta un argomento che non è una monade di sistema, ma sistematica, perché questa norma ha una valenza sistematica, sulla quale non si può non convenire. Quindi, dobbiamo trovare quel dettaglio tecnico che ci consenta di trovare il più ampio consenso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gentile. Ne ha facoltà.
ANDREA GENTILE (FI). Grazie Presidente. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi e colleghe, il progetto di legge costituzionale al nostro vaglio ha ad oggetto la modifica dell'articolo 57 della Costituzione, in materia di base elettorale per l'elezione del Senato della Repubblica. In particolare, la modifica prevista all'articolo 1 della proposta in esame sopprime il principio di elezione a base regionale del Senato - previsto dal vigente primo comma del citato articolo 57 della Costituzione -, sostituendolo con il diverso criterio su base circoscrizionale. Al fine di comprendere la portata di tale riforma, è necessario svolgere una breve premessa sui lavori dell'Assemblea costituente, per poi ripercorrere il percorso compiuto dall'articolo 57, anche in tempi recenti, esaminando le ricadute applicative della disposizione in questione. Già secondo Costantino Mortati, la problematica relativa al modus di composizione della seconda Camera è stata una di quelle che, unitamente alla tematica ad esso connessa dell'ordinamento regionale, ha più a lungo e più intensamente occupato i lavori dell'Assemblea costituente. Si tratta evidentemente di scelte di base della forma di Stato, destinate ad influenzare in modo duraturo il relativo assetto costituzionale. Come è noto, in Assemblea costituente vi erano forze politiche a favore del monocameralismo e altre che invece prediligevano un sistema di tipo bicamerale. Tra queste ultime, tuttavia, non vi fu accordo in ordine alla tipologia di bicameralismo da introdurre; infatti, taluni proponevano una seconda Camera per la rappresentanza territoriale, altri suggerivano di tener conto della rappresentanza di interessi e delle categorie, altri infine, ancora speravano di recuperare, in almeno un ramo del Parlamento, un sistema elettorale di tipo uninominale. Il compromesso di fondo, come è noto, venne raggiunto con un sistema bicamerale paritario, composto da due Camere aventi le medesime funzioni. Nella configurazione del Senato vi fu, tuttavia, un riconoscimento ai fattori della rappresentanza regionale, tramite l'introduzione, nell'articolo 57 della Carta, dell'inciso che prevede che il Senato sia eletto a base regionale. La disposizione in questione, dunque, si può considerare come il residuo di una diversa e più ampia forma di rappresentanza delle autonomie, che alcuni padri costituenti avevano in mente. Sempre lo stesso Mortati, in particolare, ebbe modo, durante i lavori dell'Assemblea, di sostenere che “base regionale” significa collegamento stabile ed istituzionale fra l'ordinamento regionale e il Senato.
Tale collegamento è sembrato a tutti costituire un elemento essenziale della riforma regionale tale da potersi svolgere con applicazioni molteplici e, in particolare, con due particolari applicazioni espressamente consacrate nell'originario articolo 55 e, cioè, in primo luogo, con quella relativa al metodo di scrutinio indiretto ad opera dei consigli regionali, che è stata poi esclusa, e, in secondo luogo, con quella che si realizza attraverso l'attribuzione di un numero fisso di senatori.
Questa, dunque, in breve, la genesi della disposizione che oggi si vuole modificare. Bisogna, altresì, considerare che la storia di questa disposizione, sebbene l'articolo 57 sia stato modificato più volte, non ha mai visto intaccato il principio della elezione a base regionale. Solo la legge costituzionale n. 1 del 2001, istitutiva di una circoscrizione estero per l'elezione delle due Camere, ha modificato il primo comma della disposizione in questione, prevedendo che il Senato sia eletto ancora a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione estero. In definitiva, a parte la scelta del legislatore costituzionale del ‘63 di passare da un numero variabile di membri del Senato, in ragione di una certa frazione della popolazione, a un numero fisso, si può dire che le successive revisioni dell'articolo 57 non hanno fatto altro che adeguare il numero minimo dei senatori per ogni regione e la ripartizione dei seggi tra regioni alle modifiche costituzionali sopraggiunte. Il solo elemento testuale in grado di fornire un significato certo all'inciso “eletto a base regionale” è, dunque, costituito dalla previsione del numero minimo di senatori per ciascuna regione. Tale inciso sul carattere regionale dell'elezione senatoriale non sembra però aver mai trovato approfondito vaglio in dottrina che, tradizionalmente, si è limitata a interpretarlo nel senso di far coincidere regioni e circoscrizioni, come pare potersi enucleare anche dei testi legislativi succedutisi dal 1948 ad oggi. Il medesimo inciso ha, tuttavia, più volte condizionato, in alterne vicende, nella storia recente il sistema elettorale italiano. Si pensi alla cosiddetta legge truffa, approvata nel '53, che prevedeva un premio di maggioranza calcolato su base nazionale per la sola Camera dei deputati, mentre il Senato, estraneo alla riforma, continuava a essere eletto a base regionale. Si pensi, poi, in particolare, a quanto è avvenuto con la legge Calderoli del 2005 che assegnava il premio di maggioranza su base regionale.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, giudicò costituzionalmente illegittima quella disposizione. Infatti, questa affermò come quella disciplina, stabilendo che l'attribuzione del premio di maggioranza fosse su scala regionale, producesse l'effetto che la maggioranza in seno all'Assemblea del Senato fosse il risultato casuale di una somma di premi regionali in grado di rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell'insieme sostanzialmente omogenea.
In base alla relazione illustrativa della presente proposta che siamo qui chiamati a valutare oggi, la modifica della base elettorale del Senato sarebbe funzionale a rafforzare la rappresentatività di tale ramo del Parlamento in vista dell'entrata in vigore del testo di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari, di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2020. In sede referente, poi, è stato sottolineato ancora come la modifica prevista sia volta ad assicurare maggiore flessibilità alla legislazione elettorale, consentendo, oltre alla soglia nazionale già prevista dalla legge n. 165 del 2017, l'eventuale attribuzione dei seggi o di una parte di essi a livello nazionale e un premio di maggioranza a livello nazionale. Ebbene, Presidente, pur apprezzando lo sforzo elaborativo profuso dal relatore nel tenere insieme le diverse sensibilità sul tema alla ricerca di un disegno complessivo e di un disegno unitario, per diverse ragioni riteniamo di dover esprimere un giudizio contrario rispetto a questa riforma. In primo luogo, quando venne scritto il testo originale della Costituzione si pensava di dedicare uno dei due rami del Parlamento, appunto il Senato, alle norme che interessavano esclusivamente gli interessi regionali, per non far perdere allo Stato il contatto diretto e reale con i singoli territori.
In questo senso, rimuovere l'inciso dell'elezione a base regionale del Senato significa rescindere definitivamente ogni punto di contatto tra Parlamento e regioni che, invece, si configurano quali istituzioni quanto mai vitali ed operose nella vita democratica e politica della Repubblica italiana. In secondo luogo, riteniamo che non sia opportuno, in particolare in tale ultima parte della legislatura, approvare parziali modifiche costituzionali, posto che ogni parte della Costituzione si tiene l'una con l'altra e che la sua revisione complessiva necessita di una più ampia visione di insieme, di una più ampia visione sistematica. Inoltre, poiché, di recente, è stata approvata una riforma particolarmente incisiva, come quella sulla riduzione del numero dei parlamentari, a nostro avviso non sarebbe ragionevole operare altre modifiche costituzionali concernenti la base di elezione del Parlamento. Difatti, ogni riforma, a maggior ragione quelle di carattere costituzionale, necessita non solo di una corretta attuazione, ma anche di un periodo di adattamento alla realtà, in particolare al fine di verificarne le ripercussioni sulle modalità di funzionamento delle Camere e sulla stessa forma di governo, senza dimenticare poi che anche la proposta al nostro esame oggi richiederebbe, una volta approvata, un nuovo ed ulteriore intervento a livello di legislazione ordinaria. Dunque, Presidente, il combinato disposto dato dalla conseguente rimozione dell'elezione del Senato a base regionale unitamente all'applicazione delle nuove norme sulla riduzione del numero dei parlamentari, nell'anzidetto contesto poc'anzi specificato, rischierebbe di produrre notevoli margini di incertezza proprio perché favorirebbe la creazione di un ingorgo di disposizioni i cui impatti applicativi in termini di governabilità e di rappresentatività sul nostro assetto costituzionale risulterebbero di difficile previsione. In terzo luogo, un ulteriore ragione può essere individuata nella recente evoluzione del percorso del bicameralismo italiano. Nell'ultimo periodo, infatti, sembra si stia andando verso una sempre maggiore e tendenziale omologazione normativa tra le due Camere. Dopo l'approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2020 e con la riduzione del numero dei parlamentari, difatti, poi si è proceduto ad abbassare l'età minima per poter votare per il Senato. In precedenza, come ben noto, era necessario aver compiuto i 25 anni di età; oggi, basta anche la maggiore età. Si tratta dell'affermazione di un'esigenza, ormai divenuta improcrastinabile, che parifica la base elettorale per le due Camere. In linea teorica, l'eliminazione delle differenze tra le due Camere ha anche l'obiettivo di scongiurare i rischi, che si sono posti nella storia repubblicana, come l'incubo di un'insuperabile divaricazione fra maggioranze. Tuttavia, oggi, nel contesto attuale, che dobbiamo necessariamente considerare proprio per evitare rischi del genere, riteniamo che la riforma della base elettorale costituisca, in questo senso, già un passo sufficiente e che sia opportuno preservare, in questa fase, l'originario disposto dell'articolo 57 voluto dal legislatore costituente, in quanto si può notare come la sola considerazione della regione quale circoscrizione elettorale, nel senso squisitamente tecnico di sede di redistribuzione dei seggi, non abbia di per sé prodotto effetti tali da rendere la composizione politica dell'Assemblea strutturalmente disomogenea a quella dell'altra Camera. A produrre, invece, i citati effetti distorsivi è stata la previsione del premio di maggioranza calcolato su base regionale che, però, presuppone un qualcosa in più ovvero la stessa traduzione dei voti in seggi su base regionale concepita quale soluzione obbligata in forza del disposto costituzionale. Tuttavia, quest'ultima, invero, non pare essere, a nostro avviso, la direzione interpretativa dei Padri costituenti all'epoca dell'emanazione della legge fondamentale. È, dunque, sulla scorta di tali considerazioni che, se così stanno le cose, annunciamo il voto contrario di Forza Italia con riguardo alla modifica costituzionale in oggetto.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 2238-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, il relatore, onorevole Fornaro.
FEDERICO FORNARO, Relatore. Molto brevemente, solo per chiarire un passaggio e ringraziare i colleghi che sono intervenuti.
In particolare, collega Galantino, ci tengo su questo punto, la previsione che il Senato sia eletto a base circoscrizionale non presuppone in alcun modo elezioni in un'unica circoscrizione nazionale, non è nelle previsioni. La Camera, di fatto, è eletta su base circoscrizionale e ovviamente c'è una rappresentanza dei territori. Cosa diversa è la possibilità di prevedere un collegio unico nazionale dove rifluiscano e dove, per esempio, sono rifluiti dal 1948 al 1992 i resti, ossia i voti che non hanno determinato il raggiungimento del quoziente a livello di circoscrizione, ma sono due cose differenti. Non si può prevedere, con una dicitura costituzionale come quella che viene proposta, un'unica circoscrizione nazionale, questo tengo a precisarlo. Sul resto, ringrazio per i contributi.
PRESIDENTE. Il sottosegretario Freni si riserva la facoltà di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Lupi e Schullian n. 1-00540 e Vianello ed altri n. 1-00545 concernenti iniziative in materia di energia nucleare di nuova generazione (ore 14,11).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lupi e Schullian n. 1-00540 (Nuova formulazione) e Vianello ed altri n. 1-00545 (Nuova formulazione) concernenti iniziative in materia di energia nucleare di nuova generazione (Vedi l'allegato A).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).
Avverto che è stata presentata la mozione Masi ed altri n. 1-00614 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole D'Ippolito, che illustrerà anche la mozione Masi n. 1-00614, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE D'IPPOLITO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, abbiamo letto la mozione sul ritorno al nucleare presentata dall'onorevole Lupi, che muove da presupposti inattuali e che, seppur dello scorso 4 novembre, oggi può ritenersi fuori del tempo e del nuovo scenario internazionale cui siamo inevitabilmente legati sul piano dei rapporti, degli impegni, dell'economia e dell'energia. Brevemente, sul punto mi limito a evidenziare che l'onorevole Lupi segnalava che i Ministri dell'economia e dell'industria di dieci Paesi dell'Unione europea, Francia e Stati dell'Est, avevano pubblicato un documento, il 10 ottobre 2021, per chiedere che l'energia nucleare fosse compresa nelle fonti di energia pulita all'interno della tassonomia degli investimenti verdi della Commissione europea.
Rammento che lo scorso 2 febbraio la Commissione europea ha adottato un atto, non ancora entrato in vigore, che, all'interno della tassonomia europea, considera anche l'energia nucleare e il gas come opzioni per facilitare la transizione energetica verso fonti di energia pulita e raggiungere l'obiettivo di azzerare le emissioni di CO2. Per completezza, ricordo che Paesi come la Germania, la Spagna e l'Austria non sono d'accordo nell'etichettare gas e nucleare come sostenibili, al contrario della Francia, che ha a disposizione 19 centrali nucleari, e di altri Paesi dell'Est Europa. Nella sua mozione dello scorso novembre, l'onorevole Lupi rimarcava che pure il Giappone, a 10 anni dall'incidente di Fukushima, per raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nel 2050 prosegue nel suo intento di riavviare gli impianti già localizzati sul proprio territorio e di costruirne di nuovi. Invero, il collega dimenticava che il Giappone ha già realizzato la centrale a idrogeno solare più grande del mondo, proprio a Fukushima, città simbolo di uno dei maggiori disastri nucleari. L'impianto in parola servirà a produrre energia pulitissima. Entro il 2050 l'obiettivo di Tokyo è riuscire a coprire con l'idrogeno il 18 per cento della produzione energetica del Paese, con una riduzione di tonnellate di anidride carbonica pari a 6 miliardi. Per questo obiettivo il Ministero dell'industria giapponese ha creato un fondo green, con un investimento di 19 miliardi di dollari.
Nella sua mozione, l'onorevole Lupi riferiva dello sviluppo di reattori nucleari di nuova generazione nei maggiori Paesi del mondo e con numerosi partner industriali europei, volti all'avvio della produzione di energia già nel 2024, ma né l'onorevole Lupi né io potevamo prevedere la guerra della Russia all'Ucraina che, iniziata il 24 febbraio 2022, ci induce a ripensare molte questioni e ad escludere che possano esservi centrali nucleari sicure o controllabili nella gestione e nel contenimento di eventuali fughe di materiale radioattivo. Ce lo insegnano le vicende degli impianti di Chernobyl e di Zaporizhzhya, che tante apprensioni hanno generato nell'intero Paese. Conosciamo il quadro generale, che provo a riassumere come segue. L'Unione europea ha avviato il programma di transizione ecologica e punta a garantire la ripresa e la resilienza con piani nazionali indirizzati verso questo obiettivo specifico.
La pandemia da COVID e la guerra all'Ucraina ci mettono di fronte alla realtà; alla necessità, cioè, di concretare in tempi più veloci autosufficienza energetica, sostenibilità e tutela ambientale. Gli obiettivi del Green Deal e i problemi di clima e ambiente avevano già dato una scossa. A luglio 2021 è stato presentato il pacchetto “Fit for 55”. Nello specifico, l'Italia dovrà indirizzare il sistema energetico verso il raggiungimento al 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino ai livelli prossimi al 95 e 100 per cento nel 2050. Per favorire interventi sostenibili, nel luglio 2020 è entrato in vigore il regolamento (UE) 2020/852, che ha introdotto nel sistema normativo europeo la tassonomia delle attività economiche ecocompatibili. Al riguardo, la Commissione europea ha previsto condizioni molto rigide per gli investimenti privati nel settore del nucleare. Nel concreto, sono state ammesse soltanto soluzioni progettuali che abbiano adeguate risorse finanziarie per lo smantellamento. Inoltre, è necessario che siano già operativi impianti di smaltimento dei rifiuti a bassa attività e che esista un piano dettagliato per rendere operativa, entro il 2050, una soluzione per le scorie ad alta radioattività. Il problema dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro smantellamento è molto attuale, specie in Italia. Allo stato, non c'è una soluzione concreta per i loro smaltimenti. Rifiuti e scorie degli impianti nucleari chiusi dal 1990 sono in parte dislocati sul territorio nazionale; stanno in 19 siti temporanei e, in parte, sono collocati all'estero, ma torneranno in Italia una volta riprocessati. Al momento, è in corso l'iter per l'individuazione del sito idoneo a ospitare il deposito nazionale di stoccaggio dei rifiuti radioattivi; peraltro, in proposito non risultano autocandidature da parte delle località già indicate.
I reattori attualmente esistenti, di seconda e terza generazione, sono stati costruiti in prevalenza tra il 1980 e il 1990, come l'impianto di Montalto di Castro e il noto reattore di Fukushima, in Giappone. A partire dal 2000, sono stati progettati soprattutto reattori di terza generazione, come gli AP1000 negli Stati Uniti, il VVER-1200 in Russia e gli EPR francesi. Per quanto concerne gli impianti di quarta generazione, si tratta di una tecnologia che sfrutta l'energia ricavabile dalla scissione di atomi, ma va precisato che essa ancora non è così sviluppata da consentire un utilizzo industriale e da garantire condizioni di sicurezza, soprattutto nel caso dei reattori di tipo fast breeder.
Nel mondo, l'unico impianto dimostrativo del genere su scala industriale si trova a Shidaowan nella provincia di Shandong, collegato alla rete ed entrato in funzione soltanto nello scorso mese di dicembre. Quanto alle tecnologie a fusione, attualmente il reattore più avanzato è ITER in fase di costruzione, a Cadarache, nel sud della Francia. È un progetto sostenuto e finanziato da Unione europea, Cina, Stati Uniti, Corea, India, Giappone e Russia. Proprio lo scorso 1° marzo, ne è stata disposta la sospensione da parte dell'Autorità francese per la sicurezza nucleare, che ha mosso rilievi sull'affidabilità del modello e a motivo del rischio per il personale di esporsi a radiazioni. Nelle previsioni più ottimistiche, i risultati delle attuali sperimentazioni vedranno la luce non prima di 30 anni. Peraltro, la storia della fusione nucleare che attraversa il Novecento, secolo di intuizioni e di speranze scientifiche, ci fornisce due dati. Il primo: le applicazioni militari della fusione civile sono un inconveniente importante. Il secondo: l'inevitabile attivazione radioattiva delle strutture di un reattore a fusione lo è ancora di più. Contrariamente al nucleo solido di un reattore a fissione, il combustibile tenue di un reattore a fusione a confinamento magnetico è trasparente ai neutroni che produce. Esso diventa, quindi, un potente generatore di neutroni che vengono arrestati solo dalla prima parete solida che incontrano. La sostanza è che la ricerca sperimentale e applicata ha ancora bisogno di molto tempo, tuttavia, voglio qui sottolineare che noi siamo sempre aperti alle soluzioni che possono derivare dallo sviluppo scientifico e tecnologico. Con franchezza, non abbiamo pregiudizi, né pregiudizi ideologici, né di altro tipo, e non siamo contrari al cammino ancora molto lungo verso una fusione nucleare sicura, pienamente ed economicamente sostenibile per l'umanità e per il Pianeta, ma si tratta di un obiettivo di là da venire. Ora dobbiamo misurarci con la realtà, cercando in maniera responsabile e unitaria di governare l'emergenza, che non è semplice, né consentire scontri ideologici o decisioni sganciate dalle crisi in atto, energetica, economica, ambientale e di tenuta della salute pubblica.
Parliamo di dati. Secondo quanto emerso dallo studio del 2020 curato da WNISR, nello stesso anno di riferimento, produrre un kilowattora di elettricità è costato, in media, nel mondo, 3,7 centesimi di dollaro, di cui, con l'eolico, 4 centesimi di dollaro, e, con il nucleare, 16,3 centesimi di dollaro. Anche le stime di Lazard, autorevole istituzione finanziaria, confermano che la nuova capacità nucleare richiede investimenti molto più alti, soprattutto, nella fase iniziale. Tra l'altro, secondo le stesse stime, i relativi tempi di messa in funzione sono molto più lunghi rispetto a quelli richiesti per le fonti rinnovabili, pari ad almeno 4 volte tanto, a parità di energia generata. Inoltre, i costi del nucleare seguono una tendenza all'aumento, mentre quelli delle rinnovabili sono in continua diminuzione, soprattutto, in una prospettiva di ulteriore crescita del settore tracciata dagli impegni assunti nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, la cosiddetta COP26.
Nel 1987, dopo la tragedia di Chernobyl, gli italiani si erano già espressi chiaramente, votando su 3 proposte referendarie per scongiurare la costruzione di impianti nucleari. Oggi un ritorno dell'Italia al nucleare distrarrebbe le risorse economiche destinate allo sviluppo delle fonti rinnovabili e al miglioramento dell'efficienza energetica. Queste tecnologie hanno già dimostrato di innovare in modo significativo il sistema energetico nazionale e di dar vita ad una struttura imprenditoriale capace di creare nuove competenze e nuovi posti di lavoro richiesti da tutta la filiera, con un grande indotto legato al settore. Tra l'altro, i costi connessi al decommissioning, cioè allo smantellamento delle centrali elettronucleari non più in attività, alla chiusura del ciclo del combustibile e alle attività correlate, compiti che dal 1999 sono affidati alla Sogin, sono inclusi tra le voci che per legge compongono gli oneri generali afferenti al sistema elettrico. Tali oneri sono posti a carico delle utenze, tuttavia, a più di 20 anni, solo il 30 per cento dei lavori di smantellamento nucleare risulta concluso. Pertanto, è evidente che tornare ad investire nel nucleare comporta un costo economico per i cittadini e ostacoli meccanismi di partecipazione alla produzione di energia su base democratica. Con il nucleare il cittadino si allontanerebbe dal ruolo di prosumer, cioè colui che autoproduce e autoconsuma l'energia, così riducendo i costi in bolletta, la quantità di CO2 emessa in atmosfera e la dipendenza delle forniture dai Paesi esteri. Il nucleare sarebbe, da ultimo, deresponsabilizzante e inattuale per quanto finora significato. Inoltre, esso fermerebbe il percorso di coinvolgimento e consapevolezza individuale e collettiva, cui mirano gli investimenti sulle rinnovabili e l'intera transizione energetica sospinta dal PNRR. Pertanto, noi chiediamo con convinzione che il Governo si impegni: primo, ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a imprimere un maggiore impulso nell'individuazione e nella perimetrazione di aree idonee destinate all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo prefissati, nonché a sostenere la ricerca verso soluzioni tecnologiche innovative che consentano di ottimizzare lo sfruttamento delle medesime fonti, dei sistemi di accumulo, anche al fine di calmierare i prezzi dell'energia nel lungo periodo; secondo, a proseguire nella ricerca tecnologica per lo sviluppo dell'energia da fusione, in particolare sul confinamento magnetico, nell'ambito dei programmi di collaborazione con istituti e università a livello internazionale; terzo, ad adoperarsi affinché siano adottate misure volte al rapido superamento degli eventuali conflitti tra gli enti pubblici che intervengono nelle procedure di valutazione ambientale, al fine di pervenire in tempi certi al rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti rinnovabili per l'intera potenza attualmente disponibile. Chiediamo anche - e concludo - che, parallelamente, il Governo si impegni a proseguire nel percorso di semplificazione delle procedure autorizzatorie attraverso l'indicazione di regole chiare per gli enti locali e per gli operatori, in linea con i principi e i criteri eventualmente individuati dalle regioni, per la loro corretta installazione sulle superfici e aree ritenute idonee ai fini della migliore integrazione sul territorio.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Fregolent. Ne ha facoltà.
SILVIA FREGOLENT (IV). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, se c'è un'eccezione positiva a questa crisi energetica è che, per la prima volta, essa ci mette di fronte ai limiti che il nostro Paese ha accumulato in questi anni. Oggi non abbiamo più scuse.
Abbiamo visto cosa hanno voluto dire i “no” a prescindere, cosa hanno voluto dire politiche energetiche sbagliate, anche referendum i cui esiti sono stati oggetto, forse, più dell'emotività che della razionalità e non parlo soltanto del referendum sul nucleare - ben due volte dopo due tragedie importanti come quelle di Chernobyl e Fukushima, mentre chissà che cosa sarebbe accaduto se questi referendum non fossero avvenuti in seguito a due incidenti nucleari - ma anche al referendum del 2016.
Perché parto da lì? Perché oggi scontiamo come Paese un ritardo storico dovuto a una serie di incongruenze. In quest'Aula sento da molte parti dire che non è il gas, non è il nucleare, non sono le energie tradizionali a essere la soluzione per la crisi energetica, ma sono le rinnovabili. Ebbene, poi nei territori le stesse persone, che qui dicono queste frasi così importanti, hanno rappresentanti locali che fanno esattamente l'opposto. È successo nel Lazio ed è successo in Abruzzo ultimamente, con la Consulta che è dovuta intervenire per sbloccare le autorizzazioni sulle rinnovabili. Allora, delle due l'una: o noi vogliamo superare definitivamente l'emergenza, l'emergenza totale dal punto di vista dell'approvvigionamento di energia, e abbiamo oggi l'opportunità di farlo anche grazie alle risorse del PNRR, oppure la storia per l'ennesima volta ci passerà a fianco senza che questa venga colta.
Nel settembre del 2021, durante la scuola di formazione di Italia Viva “Meritare l'Europa”, il Ministro Cingolani, appena nominato, disse che in Europa ci sarebbe stato il riconoscimento nella tassonomia verde sia del gas che del nucleare. Ovviamente fu accusato da molte associazioni ambientaliste, comprese alcune forze politiche che seggono in quest'Aula, di rivolere un ritorno al nucleare che era stato, appunto, bocciato da ben due referendum.
In realtà, il discorso del Ministro Cingolani era un discorso molto più profondo. Se l'Europa prevede come tassonomia verde il nucleare, allora vorrà dire che il nucleare di quarta generazione entrerà a far parte del comparto delle energie green e, quindi, vorrà dire che gli Stati che già adesso hanno il nucleare saranno avvantaggiati, anche solo nei costi di produzione dell'energia, rispetto all'Italia e vorrà dire che ancora una volta loro esporteranno energia e noi la dovremo comprare. Perché - sì! - noi abbiamo anche detto “no” al nucleare, ma noi continuiamo a importare dalla Francia l'energia nucleare. Io, che sono in Piemonte, ogni volta che penso che, appunto, il referendum per ben due volte ha portato alla bocciatura dell'energia nucleare per la sicurezza degli italiani e che poco di là dalle montagne ci sono ben due centrali mi viene un po' da sorridere (la sicurezza è sempre una questione di chilometri).
Ebbene, noi importiamo l'energia nucleare. Allora, perché non far parte di quel know-how di ricerca che sta per arrivare al nucleare di quarta generazione, che prevede piccoli reattori e scorie limitate? Sembra una cosa futuribile e futuristica. Infatti, dicono: “Perché spendere soldi in una ricerca che vedrà l'esito fra dieci anni?”. Anche qui vuol dire non conoscere la realtà. Oggi ENI ha già investimenti negli Stati Uniti e in Europa e la ricerca è già avanzata per il nucleare di quarta generazione. Ma poi abbiamo le nostre startup, perché ogni volta che noi cerchiamo di giustificare i nostri “no” arrabattando pseudo-motivazioni scientifiche sviliamo quello che già sta succedendo nel nostro Paese. Vorrei parlare di una startup, la Newcleo, che ha sede a Milano, che è una startup che si autofinanzia e non ha bisogno dei finanziamenti pubblici e ha già previsto un nuovo tipo di nucleare, con molte meno scorie, e ha già vinto delle gare, sia in Gran Bretagna che in Francia, per modificare i reattori nucleari di prima generazione in reattori nucleari avanzati. È una tecnologia italiana: ingegneri presi dal politecnico di Milano e di Torino. Quindi, il nostro know-how, non soltanto intellettivo, ma anche ingegneristico, esiste già! Perché non lavora in Italia? Perché sa benissimo, purtroppo, che i “no” e le difficoltà burocratiche che prevede, appunto, il nostro sistema di regole farebbe sì che passerebbero troppi anni per avere l'autorizzazione. D'altronde, passano troppi anni per avere l'autorizzazione anche per le rinnovabili e basta parlare con chi è nel settore: cinque anni per il solare e sette anni per l'eolico. Vuol dire che quando noi diciamo “no” al nucleare non riusciamo neanche a dire “sì” in tempi coerenti e concreti alle rinnovabili.
Allora, ringrazio l'onorevole Lupi, che è il firmatario di una delle mozioni di cui Italia Viva condivide alcuni aspetti (magari in altri è stato un po' troppo frettoloso e avveniristico, però su alcuni aspetti è molto interessante), per aver riportato alla discussione oggi in Aula un tema che deve essere affrontato mi auguro con razionalità e non con emotività, perché per ben due volte forse i cittadini hanno deciso con emotività. Oggi abbiamo una crisi, dovuta prima alla ripartenza post-COVID e dopo a questa terribile crisi ucraina, che ha dimostrato la nostra inconsistenza nel mix energetico e ha dimostrato, insomma, che oggi dobbiamo fare quelle scelte che servono per il futuro. C'è un'emergenza immediata che deve essere risolta con le misure che stiamo prendendo in corso e poi c'è una prospettiva di lungo raggio. Queste devono essere affrontate da una classe politica matura, che deve aver imparato che con i “no” non abbiamo fatto bene al Paese. Probabilmente si sono presi dei voti immediati, ma poi nel lungo termine il Paese ha capito che forse questo è stato un errore. Ringrazio e mi auguro, appunto, che questa mozione vada avanti il più presto possibile e si giunga al voto complessivo sulla mozione del collega Lupi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zucconi. Ne ha facoltà.
RICCARDO ZUCCONI (FDI). Grazie, Presidente. Colleghi, l'Italia è l'unica Nazione appartenente al G8 che non possiede impianti nucleari per la generazione di energia e, nonostante questo, più del 10 per cento dell'energia che consumiamo viene prodotta proprio da importazioni di energia nucleare, prevalentemente francese.
Lo stop al nucleare italiano è stato sancito da due referendum popolari, come ricordato, cioè quello del 1987 e quello del 2011. Dal 1987 l'Italia sta sostenendo i lavori e le spese di smantellamento dei suoi nove siti nucleari. Il 30 giugno 2020 il nuovo presidente di Sogin ha presentato un piano per lo smantellamento del 75 per cento dei siti italiani, il cui costo complessivo è di 2,3 miliardi di euro. Oltre a questo, non è stato ancora creato - lo ricordiamo - un deposito nazionale per i rifiuti nucleari, il cui iter si è fermato due legislazioni fa. Questo si traduce in enormi costi aggiuntivi, dato che l'unica alternativa sarebbe quella di esportare i rifiuti e non sarebbe certamente un'alternativa congrua - diciamo - anche dal punto di vista della tutela ambientale. Anche nell'ipotesi che l'Italia cambi idea e si ritorni a usare l'energia nucleare, queste centrali non sarebbero comunque utilizzabili perché superate e messe fuori dal mercato in senso tecnologico. Al netto dei diversi punti di vista, lo stop al nucleare ha oggettivamente precluso all'Italia un'importante fonte energetica e ha favorito, tra l'altro, anche un vero e proprio esodo di professionisti, di ingegneri e di tecnici nucleari specializzati.
Attualmente le politiche di transizione energetica hanno fatto tornare in auge questa tecnologia, in quanto non rilascia fumi climalteranti e il combustibile ha un costo molto basso, mentre invece è elevatissimo il costo di realizzazione degli impianti. Sempre recentemente il Ministro per la Transizione ecologica Cingolani ha aperto alla realizzazione dei cosiddetti mini-reattori modulari, una tecnologia, ancora in fase di sviluppo, che sostanzialmente parcellizza gli svantaggi della produzione atomica (ma anche i vantaggi, per la verità).
Bisogna anche dire che le centrali nucleari di quarta generazione, che sono attualmente oggetto di dibattito, non sono certamente assimilabili a quelle del passato, tanto meno alle centrali che hanno avuto gravi incidenti, come quelle di Fukushima e di Chernobyl. Il punto, però, è che queste centrali vedranno la luce eventualmente non prima di quindici o venti anni, cosa che porta questo argomento, secondo noi, fuori da ogni decisione politica di medio periodo (soprattutto di breve).
Rispetto a questa tecnologia, il reattore a confinamento magnetico, in cui sta investendo principalmente ENI, risulta una possibile soluzione sia dal lato del problema delle scorie che da quello dell'approvvigionamento del combustibile. Questa ipotesi, per quanto valida e tecnicamente e teoricamente applicabile, risulta ancora lontana nel tempo, ma riteniamo che una classe politica che sia doverosamente attenta debba assolutamente prendere in considerazione lo sviluppo di questa tecnologia. Osserviamo ancora che, in merito al nucleare tradizionale, di vecchia generazione, ci sono varie criticità da riprendere in considerazione, anche sulla base delle mozioni presentate: innanzitutto, la difficoltà di smaltire – lo abbiamo visto - le scorie radioattive che tutte le centrali atomiche producono, indipendentemente dalla loro tecnologia o dimensione; i tempi lunghi di realizzazione delle stesse; lo sfavore delle popolazioni più prossime all'insediamento di un'eventuale centrale nucleare – e, in questo caso, dobbiamo dire, pur comprendendo che a volte sono legittime le proteste dei cittadini in questo caso, se noi applichiamo a tutte le varie possibilità di realizzare degli impianti un processo che viene identificato oggi con l'acronimo NIMBY, allora dai rigassificatori, ai termovalorizzatori, alle centrali di produzione di energia elettrica, noi ci giochiamo il futuro, e apparentemente riconosciamo alcuni diritti quando priviamo di altri diritti intere future generazioni -; ancora, l'impossibilità, ad oggi, di garantire il rischio zero, soprattutto per il nucleare di vecchia generazione; rimane, infine, l'ostacolo normativo posto dai due referendum popolari che, in tempi diversi, hanno reso impossibile la produzione di energia nucleare in Italia.
Non c'è alcuna preclusione ideologica da parte nostra, dunque, rispetto all'energia nucleare, ma solo valutazioni pratiche che fanno pendere la bilancia di un piano ideale per l'approvvigionamento energetico, soprattutto nel breve e medio periodo, verso altro tipo di fonti, tenendo in considerazione anche certamente, come ricordava la collega Fregolent, la linea intrapresa da ENI. Si ritiene giusto investire attenzioni e adeguate risorse nella ricerca sul nucleare, così da continuare a essere nuovamente presenti sul tema, guidando la futura evoluzione e dicendo la nostra su un tema di interesse mondiale. Del resto, noi siamo un po' la patria del nucleare, ricordiamo Amaldi, Pontecorvo e Majorana. In ogni caso, considerata la situazione, in questo senso sono quanto mai opportune le collaborazioni che alcune imprese come ENI hanno avviato con Paesi vicini anche per la gestione e lo sfruttamento delle attuali centrali nucleari, parlo della Slovenia, solo per fare un esempio.
In sintesi, noi giudichiamo ormai incolmabile il gap rispetto alla produzione di energia da centrali nucleari a fissione mentre, ove l'indirizzo fosse quello di avviarsi su strade innovative, quali quelle intraprese da ENI, appunto, per la ricerca di produzione dal nucleare di fusione, riteniamo che tale strada sia da supportare, anche tenendo conto che il nucleare e il gas – ricordo il discorso sulla tassonomia - sono stati riconosciuti dall'Unione europea come finanziabili dallo Stato. In ogni caso, noi ribadiamo come l'approccio debba essere assolutamente tecnologico e non ideologico, evidenziando che le scelte che dobbiamo compiere - e urgentemente, secondo noi, dobbiamo compierle, quindi, è bene che sia stato posto al centro dell'attenzione questo argomento - non devono assolutamente essere influenzate da vani discorsi ideologici. Noi dobbiamo ascoltare la scienza e la tecnologia, perché, come abbiamo visto, anche problemi geopolitici possono far sì che, non essendosi l'Italia attrezzata per arrivare a una autosufficienza energetica, poi ne venga condizionata anche dal punto di vista politico.
Quindi, in questo senso ci vuole attenzione, non riprendere strade vecchie che ormai sono state superate e noi non riusciremmo mai a metterci in pari sulla produzione energetica da vecchio nucleare e, anche ove ci arrivassimo, ormai sarebbe probabilmente superata. Sì all'innovazione e alla ricerca sulle nuove produzioni energetiche da nucleare, sempre tenendo in considerazione appunto - e lo ripeto - che il discorso della salute pubblica, ma anche delle indicazioni tecnologiche che ci vengono dalla scienza devono assolutamente prevalere, per senso di responsabilità, su quelle ideologiche (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è, quindi, rinviato ad altra seduta.
Discussione della Relazione sull'attività svolta dal 1° gennaio 2021 al 9 febbraio 2022, approvata dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. (Doc. XXXIV, n. 8) (ore 14,48).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della Relazione sull'attività svolta dal 1° gennaio 2021 al 9 febbraio 2022, approvata dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Doc. XXXIV, n. 8).
Avverto che è in distribuzione una nuova ripartizione dei tempi rispetto a quella pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico dello scorso 18 marzo 2022 (Vedi l'allegato A), in cui si prevede un ampliamento dei tempi a disposizione dei gruppi pari alla metà del tempo originariamente previsto.
Avverto, inoltre, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.
(Discussione - Doc. XXXIV, n. 8)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di intervenire la deputata Federica Dieni, vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
FEDERICA DIENI, Vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Grazie, Presidente. Colleghi, sottosegretario, la discussione della Relazione annuale del Copasir assume un significato molto importante, oltre che per l'attuale contesto geopolitico entro cui si inserisce, anche perché, per la prima volta, un documento di questa portata sulla sicurezza nazionale viene discusso da entrambe le Camere. Voglio ringraziare tutti i colleghi e componenti del Comitato per l'estrema sensibilità e attenzione mostrata su quei temi che investono nodi cruciali per la sicurezza nazionale, nonché per lo spirito di collaborazione con il quale queste tematiche sono state affrontate.
La Relazione che vado a delineare è molto vasta e per questo motivo ritengo doveroso soffermarmi su quei temi per i quali l'azione di impulso e di stimolo da parte del Copasir è stata accolta. Diamo atto, infatti, che molte nostre segnalazioni, anticipate ovviamente dal Comitato e relative ai principali asset strategici dello Stato, hanno poi trovato risposta concreta con l'azione di Governo. Inoltre, voglio anche, sin d'ora, affermare che sulla sicurezza aerospaziale e la difesa europea stiamo realizzando altre Relazioni che, nelle prossime settimane, invieremo alle Camere.
Uno degli ambiti sul quale si è avuto diretto riscontro da parte del Governo è proprio quello del golden power, il cui esercizio è stato notevolmente esteso nel 2021, a partire dal settore delle telecomunicazioni più avanzate, quindi, il 5G, rispetto al quale abbiamo elaborato una Relazione nella prima parte della legislatura, che è stata poi approvata nella seduta dell'11 dicembre 2019. In un assetto economico aperto alla concorrenza internazionale e integrato a livello europeo, il ricorso al golden power costituisce un presidio pubblico centrale su aree in cui lo Stato vanta interessi vitali in campo economico, e non solo, ma ciò non basta, specie per le piccole e medie imprese o le start up, all'avanguardia ma spesso non dotate di strumenti organizzativi interni adeguati a monitorare i rischi, serve una politica industriale che punti a preservare e rafforzare gli atti strategici. Il golden power è uno strumento ovviamente che interviene ex post e un caso emblematico che abbiamo affrontato nella Relazione è quello dell'azienda di Pordenone, Alpi Aviation, impegnata nella realizzazione di droni militari, per la quale, qualche giorno fa, il Governo italiano è intervenuto, esercitando il potere, appunto, di golden power. Allo stesso modo, anche per l'ambito energetico abbiamo anticipato - con una Relazione, quella sulla sicurezza energetica nell'attuale fase di transizione ecologica, di cui sono stata relatrice, che ha avuto un diretto riscontro - alcune soluzioni adottate in questi giorni o che si stanno per adottare appunto in questo settore. In estrema sintesi, abbiamo individuato alcune vulnerabilità, quali la forte dipendenza energetica e la bassa diversificazione, un quadro normativo assai complesso, con un'eccessiva burocratizzazione degli iter autorizzativi per la costruzione di quegli impianti fondamentali per lo sviluppo del FER, l'esistenza di una disciplina legislativa che mette a repentaglio i nostri asset strategici e la carenza di investimenti programmatici.
A più riprese, lo stesso Ministro Cingolani ha affermato che l'Italia è un sistema fortemente dipendente dal gas naturale, che contribuisce con il 40,6 per cento al mix energetico nazionale; il 42 per cento del gas ovviamente proviene dalla Russia.
A tal proposito, le raccomandazioni del Copasir sono state nel breve periodo, incrementare le importazioni da realtà che sono più direttamente vicine a noi, come Algeria, Qatar, Azerbaijan; nel medio periodo, puntare sull'efficientamento energetico in termini di miglioramento di quello che abbiamo; nel lungo periodo sarà poi necessario incentivare lo sviluppo di fonti rinnovabili nell'ottica di raggiungere un'indipendenza energetica, puntando soprattutto sull'idrogeno, la cui produzione sostenibile è diventata priorità di investimento all'interno del Piano Next Generation EU.
Pur sottolineando quanto le fonti rinnovabili siano fondamentali nel processo di transizione energetica, ai sensi della sicurezza energetica è indispensabile definire la più corretta strategia di diversificazione di approvvigionamento che fornisca garanzie di continuità, in considerazione della ciclicità di alcune fonti energetiche, specie il solare e l'eolico.
In questa fase emergenziale, le misure adottate finora dal Governo sono in linea con quanto individuato ed esposto nella Relazione. Al fine di ovviare alla complessità dell'iter autorizzativo, con conseguenti effetti su tempi esecutivi, ad esempio, nella realizzazione di impianti eolici o fotovoltaici, la raccomandazione da parte del Copasir è stata quella di valutare l'opportunità di conferire in via esclusiva allo Stato, in determinate condizioni, le autorizzazioni alla realizzazione degli impianti.
Per quanto riguarda, invece, il problema dell'eccessiva liberalizzazione, un'importante focus da parte del Comitato è stato rivolto al settore idroelettrico, nel quale l'Italia risulta essere l'unico Paese europeo, in questa fase, ad aver adottato una disciplina per l'assegnazione delle concessioni idroelettriche orientata ad una completa liberalizzazione e apertura della concorrenza, così come previsto dall'articolo 5 del “decreto Concorrenza”, che in questo momento è in Commissione al Senato.
In questo caso, abbiamo avanzato una nostra raccomandazione, che è quella di favorire una revisione della disciplina per posizionare il settore nella corretta dimensione strategica del Paese, garantendo una protezione degli asset, un coinvolgimento dei sei territori interessati degli impianti di produzione e distribuzione, e una prospettiva industriale per la realizzazione di importanti investimenti. Infine, per quel che concerne la carenza di investimenti programmatici, oltre al ruolo del PNRR, il Copasir ha suggerito un intervento di Cassa depositi e prestiti, a sostegno delle filiere industriali coinvolte nel processo di transizione, ad esempio per la produzione di batterie nel settore automotive. La sicurezza energetica è un tassello cruciale da presidiare all'interno di una complessiva strategia di difesa dell'interesse nazionale che, in questo come in altri settori di rilievo per il sistema economico e industriale del Paese, andrebbe costruita e sviluppata. In questa prospettiva, il Copasir ha ribadito l'esigenza di un rafforzamento della cosiddetta intelligence economica a sostegno di un settore così decisivo, mediante un approccio non solo più difensivo e protettivo, ma anche proattivo e propositivo.
Sulla base di quanto esposto, uno degli obiettivi principali da raggiungere, come detto, è la diversificazione delle fonti energetiche e delle sedi di approvvigionamento per superare o, quantomeno, attenuare lo stato di dipendenza rispetto ad altri Paesi. Per questo motivo è importante che l'Italia possa costruire un Piano di sicurezza energetica nazionale, fondamentale ad incrementare la sua competitività in questo ambito.
Un altro ambito sul quale si è avuto un diretto riscontro da parte del Governo rispetto alle indicazioni fornite dal Comitato è quello della sicurezza cibernetica. A tal proposito, con la prima Relazione del Copasir sulle politiche e gli strumenti per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica, abbiamo confermato come il ruolo strategico e ormai irrinunciabile delle reti di telecomunicazioni più avanzate (5G), come anche delle infrastrutture di nuova generazione, esiga una difesa costante rispetto a insidie e minacce che rischiano di esporre tali presidi a una vulnerabilità accentuata. In tal senso, anche grazie al costante impulso del Comitato, i necessari sistemi di protezione hanno negli ultimi anni acquisito un significativo potenziamento con l'istituzione del perimetro nazionale sulla sicurezza cibernetica, a salvaguardia delle infrastrutture critiche, materiali e immateriali, e con la creazione, nel giugno del 2021, dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, che sta consentendo al nostro Paese di ridurre il divario, non più sostenibile in questo delicato settore, rispetto agli altri Paesi europei. La creazione di questa struttura si inserisce esattamente nel contesto europeo, in quanto il suo compito centrale sarà anche quello di raccordo col Cybersecurity Competence Centre, il Centro europeo industriale, tecnologico e di ricerca sulla cybersicurezza che ha sede proprio a Bucarest, aspetto questo fondamentale nell'ambito dei rapporti di sicurezza che intercorrono tra i due Paesi europei.
Non solo, ma questa collaborazione risponde esattamente all'obiettivo di tutela degli asset strategici definiti dal perimetro di sicurezza nazionale, che può e deve essere assicurata dallo sviluppo di tecnologie nazionali ed europee. Dunque, come per il settore energetico, anche per la cybersicurezza è fondamentale il concetto di resilienza, inteso come capacità di continuare ad erogare un servizio-funzione essenziale per la sicurezza dello Stato.
Questa continuità di operato rischia, però, di essere compromessa se manteniamo un approccio esclusivamente difensivo, senza invece premunirci di agire in maniera più attiva. È, dunque, arrivato il momento di predisporre una difesa attiva nell'ambito cibernetico, prevedendo sempre più il ricorso ad azioni asimmetriche e all'uso dell'intelligence accanto alla dimensione esclusivamente militare. La superiorità che Paesi esteri come la Russia posseggono nell'ambito della cybersicurezza si sta rivelando una vera e propria minaccia per la sicurezza delle nostre pubbliche amministrazioni, come il caso dell'antivirus Kaspersky che si sta trasformando in un vero e proprio cavallo di Troia.
Proprio in relazione alla difesa della pubblica amministrazione, all'interno della Relazione abbiamo sottolineato l'importanza di creare un cloud nazionale per la pubblica amministrazione, centrale per l'architettura di difesa dello Stato, come è emerso in modo eclatante in alcuni casi di attacco informatico, come quello che ha colpito la regione Lazio.
Dunque, la creazione di un Polo strategico nazionale, avvalendosi di strumenti sotto il completo controllo pubblico, destinato a ospitare dati e servizi digitali strategici del Paese, unitamente al presidio rappresentato dalla neocostituita Agenzia per la cybersicurezza nazionale, rappresentano elementi indispensabili affinché il necessario processo di digitalizzazione del Paese si svolga con la massima tutela della sicurezza nazionale.
Voglio fare, poi, un accenno al tema dello jihadismo. Un'altra indicazione che è stata recepita dal Parlamento è la norma penale che punisce la detenzione di materiale a fini terroristici, contenuta nella Relazione, su una più efficace azione di contrasto al fenomeno della radicalizzazione di matrice jihadista, di cui sono stata correlatrice insieme al collega Enrico Borghi; relazione presentata a seguito della rovinosa ritirata in Afghanistan. Questa indicazione è stata recepita dalla Commissione affari costituzionali, compiendo quindi un passo avanti in questo senso.
In conclusione, il tema della sicurezza nazionale è sempre più centrale: è un concetto che non è più limitato al solo confine territoriale e al tradizionale dominio fisico su nuove popolazioni, ma si estende a più settori e apparati di uno Stato, come quello tecnologico, commerciale e industriale, la conquista dei quali permette ad uno Stato avversario di spostare sul proprio territorio expertise, moneta e conoscenze.
Queste nuove attività definiscono i confini di una nuova forma di guerra, quella ibrida, basata su disinformazione e attacchi cibernetici, tutto volto a destabilizzare il potenziale tecnologico, industriale e commerciale di ogni Paese. Tanto più questa tipologia di guerra ibrida continuerà a imporsi, tanto più la necessità di un'intelligence economica sarà centrale. È per questa ragione che un ampio capitolo della Relazione è dedicato al concetto di intelligence economica, rispetto al quale siamo giunti alla conclusione che sia indispensabile mettere a regime questo assetto.
All'interno del Comitato, abbiamo già ritenuto necessario iniziare ad avere un dibattito per valutare le opportune modifiche da approntare alla legge n. 124 del 2007, al fine di aggiornarla e renderla più efficace.
Mi auguro, quindi, che quanto esposto possa stimolare una discussione sul valore del tema della sicurezza nazionale nelle sue varie declinazioni. Con questo contributo abbiamo cercato di portare all'attenzione del Parlamento questo importante tema, che è ovviamente onnicomprensivo, su cui è necessario che si discuta e si abbia un dibattito pubblico. Speriamo che da questa Relazione, che è molto vasta, ci possano essere spunti dai quali, comunque, poter partire anche in un'ottica di modifica della legge. Vi ringrazio per l'attenzione e sarò molto attenta alle osservazioni che verranno formulate in quest'Aula.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Losacco. Ne ha facoltà.
ALBERTO LOSACCO (PD). Grazie, Presidente. Come è noto, questa Relazione è stata ultimata e presentata prima della guerra in Ucraina; tuttavia coglie tutti gli elementi di debolezza del nostro sistema, che si sono dispiegati con lo scoppio del conflitto. Quindi, più che un limite, è un attestato della bontà del lavoro svolto dal Comitato.
Il primo punto, già emerso con forza allo scoppio della pandemia, è la necessità di tutelare le imprese strategiche per l'interesse nazionale. Il Partito Democratico chiese e si impegnò per un rafforzamento del golden power; quella decisione si è rivelata corretta rispetto ad alcuni tentativi di acquisizione da parte di soggetti stranieri, dietro i quali si poteva intravedere la longa manus di altri Paesi. Anche grazie alle indicazioni del Comitato, il Governo Draghi ha pensato bene di estendere il golden power al settore finanziario e bancario e ad alcuni asset che hanno assunto dimensione strategica, come la filiera sanitaria. Tuttavia, per quanto utile da solo il golden power non basta; occorre sviluppare un'intelligenza economica, simile a quella di altri Paesi europei per tutelare la produzione tecnologica, le università, gli ambiti della ricerca. È un tessuto che non è solo quello dei grandi gruppi, ma vede numerose piccole imprese all'avanguardia sui terreni dell'innovazione. Pertanto, serve un'azione costante di monitoraggio e anche di orientamento per tutti quei settori che costituiscono la filiera dell'interesse nazionale.
Il secondo punto, anche questo diventato di stringente attualità con il conflitto, è quello della cybersicurezza. Con la costituzione dell'Agenzia nazionale, si è fatto un importante passo in avanti, ma è evidente che dobbiamo investire con maggior forza sul sistema universitario. La vicenda degli antivirus russi, adoperati dalla pubblica amministrazione, ci dice che l'Italia è chiamata ad avere una maggiore autonomia nella gestione delle proprie infrastrutture digitali. Inoltre, sappiamo che molti attacchi non nascono da ragioni politiche, ma sono azioni di stampo criminale. Pensiamo al tentativo di cryptolocker ai danni di Trenitalia.
A fronte di tutte queste minacce bisogna rivedere una serie di regole di ingaggio. Anche su questo, il PD ha formulato una proposta che prevede la possibilità di reazione ai cyberattacchi, con l'obiettivo di modificare la nostra postura difensiva e renderla più efficace rispetto ad alcuni alert che l'Agenzia nazionale ha lanciato in queste settimane.
Il terzo punto riguarda l'autonomia energetica. Appare evidente che, se in questi anni avessimo avuto una lettura più attenta del quadro geopolitico, non avremmo chiuso un rapporto così stretto con un solo Paese per l'approvvigionamento di gas. Allo stesso modo, si sarebbe compreso che, contro il TAP, accanto a una protesta sincera, ve ne era un'altra, dettata dall'interesse di non modificare lo status quo di dipendenza energetica dalla Russia e, forse, anche quella parte sincera avrebbe compreso la reale partita che si stava giocando e dove si trovava, oggi, come allora, l'interesse nazionale. Naturalmente, per tutto questo, sarebbe di grande aiuto la costituzione della Difesa europea. Se il COVID ci ha ricordato la necessità del debito comune, questa guerra ci pone un altro irrisolto del processo di integrazione. Qualche segnale si intravede. Ad esempio, finalmente, i Ministri della Difesa degli Stati membri possono incontrarsi e discutere, cosa che, fino a poco tempo fa, era più complicata da fare. Poi, c'è il fatto nuovo degli investimenti militari. Certo, ci sono numerosi nodi da sciogliere, ad esempio, come si costituisce una gestione paritaria, avendo tra noi un Paese come la Francia, che dispone di armi nucleari, o se questa deve essere materia affidata alla Commissione o, come appare più sensato, ai Capi di Governo dei Paesi membri. Ad ogni modo, bisogna andare con sempre più convinzione lungo questa strada. I tempi che viviamo e che vivremo ce lo impongono (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.
FEDERICO MOLLICONE (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, autorità delegata Gabrielli, questa relazione, integrata dalla relazione del senatore Urso e dal vicepresidente Dieni, che abbiamo appena ascoltato - ringrazio anche gli altri componenti del Comitato -, è sicuramente densa e dimostra tante cose. Dobbiamo innanzitutto essere grati al Copasir per aver lavorato intensamente su dossier di varia natura e per aver portato in Aula questo documento - che prima veniva meramente depositato - rendendolo vivo ed impulso dell'attività parlamentare. È, quindi, un bene che si sia discusso, anche se inizialmente lo si voleva fare solo al Senato mentre, essendo il Parlamento un organismo bicamerale, è normale che venga fatto anche alla Camera.
Colleghi, sicurezza nazionale è una definizione densa, perché l'elaborazione strategica ha una sua densità che merita di essere esplicitata nelle diverse componenti. La relazione si concentra sulla cybersicurezza in primis, perché è l'ambito su cui più ci si doveva aggiornare e recuperare il tempo perso, purtroppo, anche dall'Europa. La costituzione dell'Agenzia è la nostra linea del Piave, nel contesto di grande volatilità geopolitica che viviamo e che i tempi che stiamo vivendo hanno dimostrato, anche sugli scenari virtuali e sulla guerra elettronica, dalla minaccia eterogenea del phishing e dei ransomware, fino alla minaccia immateriale della disinformazione e dei deepfake, che io ho avuto modo di conoscere in prima persona, andando a visitare come membro della bilaterale delle Repubbliche baltiche a inizio legislatura, nel centro NATO di Riga, dove fanno monitoraggio e vigilanza sulla guerra elettronica. Vedendo alcuni esempi di deepfake, ci siamo resi conto quanto il rischio sia non solo ormai attuale, ma anche assolutamente incontrastabile, se non prevenuto. Si aggiunge poi l'esposizione dei nostri sistemi informatici, pubblici e privati, a tecnologie di Paesi ostili, come l'attualità ci ha prepotentemente ricordato negli ultimi tempi. Lodevole, quindi, è stata l'azione del Copasir che ha richiesto un controllo parlamentare in sede di redazione del decreto istitutivo e importanti sono stati gli spunti del Parlamento, tra cui Roma, come capitale della cybersicurezza, e la necessità di investire come ecosistema per superare la dipendenza tecnologica. In questo senso, nel percorso di conversione, è stato recepito un emendamento per garantire la connessione con l'industria nazionale, istituendo organi consultivi all'interno dell'Agenzia. Rilevanti sono stati poi gli spunti legati alla minaccia predatoria di Nazioni concorrenti verso le nostre aziende, anche nel campo delle TLC, nonché la necessità di estendere la disciplina della golden power, temi che rappresentano la volontà del Copasir - e aggiungerei del Parlamento - di garantire, anche in Italia, una cultura sulla intelligence economica, spesso mancante, come abbiamo ascoltato anche dagli interventi che mi hanno preceduto. A questo riguardo, la necessità di un cloud nazionale, cassaforte dei nostri dati di natura pubblica, ci vede favorevoli, così come quella della costituzione di una rete unica della banda larga, su cui esiste una nostra mozione approvata da tutto il Parlamento. Ci preme, però, sottolineare, anche dinanzi all'autorità delegata, la preoccupazione per la cessione di RAI Way che, da gioiello tecnologico nazionale, era stato indicato, su analisi dello scorso CdA, come componente della rete unica. Sempre nel senso dell'interesse nazionale, va salvaguardato l'impegno di spesa nel settore aerospaziale, nel campo della ricerca applicata. Un inciso su RAI Way, delegato Gabrielli: è importante che ci sia un'azione di monitoraggio. Noi abbiamo ottenuto la convocazione immediata del Ministro Giorgetti in Vigilanza RAI, di cui pure faccio parte, ma le segnalo che la RAI, a dispetto di quello che il Parlamento aveva deciso come indicazione e come indirizzo al Governo, senza piano industriale, sta vendendo e ha venduto, con un decreto che, di fatto, è operativo, la maggioranza in RAI Way, che risulta essere, invece, strutturale per la rete Unica. Ciò non ha alcun senso, né industriale, né tantomeno per la sicurezza nazionale, in un tempo di emergenza come questo, in cui, invece, forse, le telecomunicazioni dovrebbero essere gestite sempre di più centralmente dalla Nazione. Su questo vi diamo un alert e, magari, vi manderemo anche gli atti relativi della vigilanza RAI.
Con riferimento alla sicurezza energetica, il rapporto del Copasir parla di minacce asimmetriche, anche nel mondo dell'energia. La tempesta dei prezzi energetici che, da mesi, scuote i mercati europei ha colpito con particolare violenza il comparto italiano. L'energia come arma geopolitica è ormai allo stato dei fatti. Bisogna combinare l'hardware, le infrastrutture, con la politica energetica che, appunto, rappresenta il software. Su questi aspetti anche il Comitato ha indicato l'urgenza di adottare un Piano nazionale di sicurezza energetica, puntando a un'adeguata autonomia tecnologica e anche produttiva nazionale nel campo energetico, attraverso il rafforzamento delle filiere nazionali di industria e di ricerca. Questi sono temi che noi di Fratelli d'Italia proponiamo da inizio legislatura, come quello del mix energetico, perché non si può costruire un'autonomia energetica cominciando dal momento in cui esplode la crisi geopolitica, come sta avvenendo, ma bisogna farlo anticipatamente.
Ancora, la questione del segreto di Stato. Citando il meritorio lavoro di desecretazione del presidente Marilotti, non possiamo non sottolineare la necessità di riforma del segreto eteronomo e del segreto funzionale, ostacoli alla ricerca della verità storica e giudiziaria. Non abbiamo ancora accesso a fonti documentali cruciali come i cablogrammi di Giovannone o sul “lodo Moro”, l'accordo di “santuarizzazione” del nostro territorio in cambio del libero passaggio di uomini e armi palestinesi. Anche su questo il Copasir sta facendo un grande lavoro. Molti documenti necessitano tuttora di autorizzazione dell'ente originario, spesso decaduto; penso, ad esempio, ai servizi segreti sovietici o della Germania dell'Est, la cui successione è dubbia. La desecretazione degli atti risponde concretamente alla richiesta avanzata dalle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi per fare piena luce e giustizia. Vorremmo poi che venisse accolto l'auspicio, che il Copasir ha rinnovato, sulla desecretazione, seguendo le indicazioni già del presidente della Commissione “Moro 2”, Fioroni.
Non so, sinceramente, come non poter dare un giudizio positivo sul lavoro del Copasir. Colleghi, sulla sicurezza nazionale si ha bisogno di una orchestra di riflessioni per affrontare con lucidità lo stato di incertezza della nostra società, con minacce sempre più inquietanti e laceranti. La Relazione del Copasir ci fornisce una mappa e un sestante. Per dirla con Jünger e Heidegger, siamo oltre la linea, siamo oltre il meridiano zero, passato il quale non valgono più i vecchi strumenti di navigazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zucconi. Ne ha facoltà.
RICCARDO ZUCCONI (FDI). Grazie, Presidente. Partiamo, intanto, dal doveroso riconoscimento dell'ottimo lavoro compiuto dal Copasir. In questi pochi secondi che ho a disposizione non posso certamente trattare il contenuto di una Relazione che giudichiamo estremamente positiva ed esaustiva di tanti argomenti. Dalla lettura della Relazione, per esempio, si evinceva come il Copasir avesse già indicato, nelle sue relazioni, il pericolo sulla postura aggressiva di alcuni Paesi, segnatamente della Russia in Ucraina e, più in generale, in Europa, nel Mediterraneo allargato, nei Balcani, in Libia e nel Sahel. Quindi, questa relazione credo che vada ripresa in considerazione anche su altri argomenti. Il Governo, in alcuni casi, ci pare aver seguito le indicazioni che provengono dalla relazione; in altri casi, meno. Parlo, ad esempio, del sistema delle intercettazioni: noi siamo sottoposti a una procedura di infrazione europea soprattutto per quanto riguarda la conservazione e la distruzione. In questo caso, ci pare che il Governo non stia facendo nulla. Allo stesso modo, nella Relazione, il Copasir stabilisce la qualifica di asset strategico, ad esempio, per le concessioni idroelettriche. Mi pare che anche su questo punto - non c'è nemmeno più una procedura di infrazione - il Governo dovrebbe attivarsi per metterle in sicurezza.
In generale, vogliamo cogliere l'occasione per dire che in futuro, secondo la nostra opinione, secondo Fratelli d'Italia, questa Relazione dovrebbe essere svolta stabilmente nelle Aule sia del Senato sia della Camera, considerata la sua pregnanza e, direi, anche i dati che mette a disposizione per una discussione generale che, come potete constatare, anche nei tempi è piuttosto costretta.
Il nostro gruppo valuta in modo assolutamente positivo la Relazione e ci auguriamo, quindi, che si possa arrivare in merito a una posizione unitaria anche rispetto alle risposte che dovremo dare in base a questa Relazione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
(Annunzio di una risoluzione - Doc. XXXIV, n. 8)
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Dieni, Maurizio Cattoi, Raffaele Volpi, Enrico Borghi, Vito, Foti e Rosato n. 6-00217 (Vedi l'allegato A), che è in distribuzione.
Il rappresentate del Governo, anche al fine di esprimere il parere sulla risoluzione presentata, si riserva di intervenire in altra seduta.
Il seguito del dibattito è quindi riserve è rinviato ad altra seduta
Interventi di fine seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà, per due minuti.
FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Avrebbe compiuto 35 anni oggi Mario Paciolla, giornalista, attivista, cooperante, ragazzo che “è stato suicidato” un anno e mezzo fa, in circostanze abbacinanti, nella loro oscurità. La famiglia, tutta la sua comunità, tante associazioni chiedono ogni giorno verità per Mario Paciolla, luce nell'intrigo di reticenze, silenzi, connivenze che vorrebbero lasciare al buio la sua morte, le cause, i mandanti, la regia per cui oggi Mario non è qui per il suo compleanno.
Aspettiamo ancora, Presidente, che si trovi il coraggio, quello che lui aveva, di parlare, la forza della magistratura di accertare, come per Giulio Regeni, responsabilità e colpe, la determinazione del Governo italiano di andare fino in fondo, la dignità di una Organizzazione come le Nazioni Unite, di fare i conti con la memoria di Mario.
Oggi, in Parlamento, in tempi foschi di guerra, ricordiamo l'uomo di pace, i suoi interrogativi senza risposta, l'ansia di giustizia, la sua, la nostra (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, pochi minuti fa la Novaja Gazeta ha annunciato la sospensione della pubblicazione sia on line sia cartacea della testata. Continua così l'offensiva di Putin contro la libera stampa. Nei giorni scorsi, lo abbiamo constatato anche in Italia con le parole inaccettabili rivolte dall'ambasciatore Razov nei confronti del direttore Giannini e della redazione de La Stampa. Si spegne così una delle voci più libere della stampa russa.
Nel 2021, il direttore, Dimitrij Muratov, ha vinto il Premio Nobel per la pace. È il giornale di Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006 proprio per aver raccontato l'orrore della guerra in Cecenia. Da oggi, questa voce non ci sarà più fino alla fine dell'invasione e non potrà continuare a raccontare l'orrore della guerra in Ucraina, una guerra che Putin obbliga i russi a chiamare “operazione militare speciale”. Per questo, non possiamo assolutamente voltarci dall'altra parte e dobbiamo far sentire, anche da quest'Aula, ai liberi giornalisti russi, al direttore Muratov e a tutta la redazione della Novaja Gazeta tutta la vicinanza, il sostegno e la solidarietà dell'Italia e dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 29 marzo 2022 - Ore 9,30:
1. Svolgimento di interrogazioni .
(ore 12)
2. Informativa urgente del Governo concernente iniziative a sostegno della filiera agricola, agroalimentare e della pesca in relazione all'aumento dei costi dell'energia e delle materie prime e agli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina.
(ore 15)
3. Seguito della discussione delle mozioni Meloni ed altri n. 1-00485 e Fiorini, Orrico, Benamati, Perego di Cremnago, Mor, Timbro ed altri n. 1-00598 concernenti iniziative a sostegno del settore della moda .
4. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00572, Porchietto ed altri n. 1-00580, Benamati ed altri n. 1-00582, Chiazzese ed altri n. 1-00583, Lollobrigida ed altri n. 1-00587 e Moretto ed altri n. 1-00595 concernenti misure a sostegno del comparto automobilistico .
5. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BRUNO BOSSIO e MAGI; FERRARESI ed altri; DELMASTRO DELLE VEDOVE ed altri; PAOLINI ed altri: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia. (C. 1951-3106-3184-3315-A)
Relatore: PERANTONI.
6. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
FERRARI ed altri; DEIDDA ed altri; GIOVANNI RUSSO ed altri; DEL MONACO ed altri; DEL MONACO ed altri; FERRARI ed altri: Disposizioni di revisione del modello di Forze armate interamente professionali, di proroga del termine per la riduzione delle dotazioni dell'Esercito italiano, della Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e dell'Aeronautica militare, nonché in materia di avanzamento degli ufficiali. Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale. (C. 1870-1934-2045-2051-2802-2993-A)
Relatori: ARESTA e FERRARI.
7. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
FIANO ed altri; PEREGO DI CREMNAGO ed altri: Misure per la prevenzione dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 243-3357-A)
Relatore: FIANO.
8. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
S. 865 - D'INIZIATIVA POPOLARE: Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità. (Approvata, in prima deliberazione, dal Senato). (C. 3353)
Relatrice: ALAIMO.
9. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
MELONI ed altri: Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. (C. 716-A)
Relatori: BRESCIA, per la maggioranza; PRISCO, di minoranza.
10. Seguito della discussione della proposta di legge:
CORDA ed altri: Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato). (C. 875-B)
Relatore: ARESTA.
11. Seguito della discussione delle mozioni Scerra ed altri n. 1-00586 e Valentini ed altri n. 1-00610 concernenti iniziative in materia di disciplina di bilancio e governance economica dell'Unione europea .
12. Seguito della discussione delle mozioni Gadda ed altri n. 1-00573, Baldino ed altri n. 1-00611 e Bonomo ed altri n. 1-00612 concernenti iniziative in materia di Servizio civile universale .
13. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
FORNARO ed altri: Modifica all'articolo 57 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica. (C. 2238-A)
Relatore: FORNARO.
14. Seguito della discussione delle mozioni Lupi e Schullian n. 1-00540, Vianello ed altri n. 1-00545 e Masi ed altri 1-00614, concernenti iniziative in materia di energia nucleare di nuova generazione .
15. Seguito della discussione della Relazione sull'attività svolta dal 1° gennaio 2021 al 9 febbraio 2022, approvata dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. (Doc. XXXIV, n. 8)
La seduta termina alle 15,20.