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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Giovedì 19 maggio 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Casa Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI INNOVAZIONE DIDATTICA, ANCHE LEGATA ALL'USO DI NUOVE TECNOLOGIE

Audizione, in videoconferenza, di Roberto Ricci, presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI); di Stefano Versari, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione; di Antonella Iunti, direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria e di Ettore Acerra, direttore generale dell'ufficio scolastico della Campania.
Casa Vittoria , Presidente ... 3 
Ricci Roberto , presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (intervento da remoto) ... 3 
Casa Vittoria , Presidente ... 4 
Versari Stefano , capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione (intervento da remoto) ... 5 
Casa Vittoria , Presidente ... 7 
Iunti Antonella , direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria (intervento da remoto) ... 7 
Casa Vittoria , Presidente ... 9 
Acerra Ettore , direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale della Campania (intervento da remoto) ... 9 
Casa Vittoria , Presidente ... 11 
Fusacchia Alessandro (Misto-MAIE-PSI-FE)  ... 11 
Aprea Valentina (FI)  ... 13 
Vacca Gianluca (M5S)  ... 14 
Melicchio Alessandro (M5S)  ... 16 
Casa Vittoria , Presidente ... 16 
Versari Stefano , capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione (intervento da remoto) ... 17 
Iunti Antonella , direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria (intervento da remoto) ... 18 
Acerra Ettore , direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale della Campania (intervento da remoto) ... 19 
Casa Vittoria , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Europa Verde-Verdi Europei: Misto-EV-VE;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea: Misto-M-PP-RCSE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
VITTORIA CASA

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Roberto Ricci, presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI); di Stefano Versari, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione; di Antonella Iunti, direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria e di Ettore Acerra, direttore generale dell'ufficio scolastico della Campania.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, l'audizione di Roberto Ricci, presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI); di Stefano Versari, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione; di Antonella Iunti, direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria e di Ettore Acerra, direttore generale dell'ufficio scolastico della Campania. Saluto e ringrazio i nostri auditi per essere intervenuti. Saluto anche i colleghi, quelli presenti e quelli che partecipano da remoto. Ricordo che, dopo l'intervento dei nostri ospiti, darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente i nostri auditi potranno rispondere alle domande. Do quindi la parola a Roberto RICCI, presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI).

  ROBERTO RICCI, presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (intervento da remoto). Buonasera a tutte e a tutti. Grazie agli onorevoli deputati per questa opportunità. Il punto che, relativamente al tema oggetto di audizione, come Istituto nazionale INVALSI, riteniamo opportuno mettere in luce riguarda lo stato delle competenze digitali dei nostri giovani per come esse sono o possono essere misurate e poi, come seconda parte del mio breve intervento, quali potrebbero essere, dal punto di vista tecnico per la parte che ci compete, le azioni da intraprendere al fine della promozione delle competenze digitali.
  Nel 2018, quindi piuttosto recentemente, l'Italia ha partecipato a una ricerca internazionale che va sotto il nome di «ICILS» (International computer and information literacy study): una ricerca estremamente prestigiosa, promossa dalla IEA (International association for the evaluation of educational achievement) che a livello internazionale è il soggetto più accreditato per la rilevazione in ambito educativo. Questa ricerca vuole misurare le competenze digitali dei ragazzi di 13 anni e mezzo, quindi per noi la terza classe della scuola secondaria di primo grado, secondo un quadro di riferimento attestato a livello internazionale e riconosciuto da tutti come il punto di arrivo allo stato delle cose della ricerca Pag. 4internazionale. Questa ricerca ha un tale prestigio che, nel 2023, l'Unione europea utilizzerà i suoi esiti come indicatore comunitario per misurare i livelli di competenza dei giovani, in questo caso al termine del primo ciclo di istruzione.
  Purtroppo, gli esiti di questa rilevazione nel 2018 sono stati molto preoccupanti, posizionando gli allievi italiani all'ultimo posto dei Paesi oggetto di osservazione. Nel 2018 non ci furono tutti i Paesi dell'Unione, mentre nel 2023, quando ci sarà la nuova edizione, lo saranno tutti. Comunque, nel 2018, i maggiori Paesi come Germania, Spagna, Francia, erano già parte di questa rilevazione. L'esito è piuttosto preoccupante poiché la ricerca non prende in esame aspetti meramente operativi quali il salvataggio di un file o aspetti di questo tipo, ma le competenze digitali in un senso profondo, ovvero le competenze che gli studenti devono avere per muoversi autonomamente e consapevolmente nel mondo del web e nel mondo tecnologico che li circonda. Ritengo che di questo dato dobbiamo fare tesoro. Inoltre, il JRC (Joint Research Centre), che è un centro di ricerca sempre dell'Unione europea, lancia un grido di allarme piuttosto preoccupante per l'Italia. Se vogliamo vedere, come io credo sia opportuno fare, in modo propositivo questo esito che certamente non è incoraggiante, il quadro di riferimento di questa ricerca, – disponibile sul sito INVALSI anche con una traduzione degli aspetti essenziali in italiano – fornisce la possibilità di agire concretamente a partire da quando lo si voglia, con strade operative ottimamente praticabili e, soprattutto, frutto della migliore ricerca internazionale. Tutti noi sappiamo che se l'accordo sull'opportunità di sviluppare competenze digitali può facilmente far raggiungere l'unanimità da parte di tutti coloro che ne discutono, il tema diventa più complesso quando si vanno a declinare concretamente le azioni da intraprendere per promuovere queste competenze: quindi, che cosa si debba intendere a livello scolastico e, soprattutto, come si possano aiutare i docenti e le scuole in generale a iniziare o a potenziare questo percorso.
  Credo che la grande potenzialità del quadro di riferimento di questa ricerca sia la sua spendibilità operativa, guidata da una solidissima ricerca scientifica, che può essere di grande aiuto. Viceversa, come l'edizione del 2018 ci ha detto in modo molto chiaro, lo svantaggio dei nostri giovani è veramente preoccupante, anche perché esso va a rafforzare differenze già esistenti nel Paese. Di fronte a risultati tutt'altro che incoraggianti di tutti i ragazzi delle scuole italiane che hanno partecipato, purtroppo, nelle condizioni di maggiore svantaggio sociale, economico, geografico e culturale, questo problema è decisamente più accentuato.
  Concludo dicendo che l'esito di questa rilevazione, presa a riferimento dall'Unione europea come standard e come parametro di riferimento, pone un altro tema sul quale dovremmo tutti riflettere, rispetto al quale l'INVALSI, nella sua funzione di ente a supporto dello sviluppo e del sostegno del sistema scolastico e di supporto tecnico al Ministero dell'istruzione, è a totale disposizione: pur di fronte a risultati medi piuttosto bassi, suscita ancora più preoccupazione la quasi totale assenza di allievi eccellenti su questa dimensione. Mentre nelle rilevazioni nazionali e le rilevazioni PISA (Programme for International Student Assessment), pur con alcuni problemi, riusciamo a individuare allievi che raggiungono livelli di eccellenza, purtroppo su queste competenze quei livelli sono quasi totalmente disattesi dagli allievi delle scuole italiane. Non voglio, per convinzione o per deformazione professionale, dipingere tutto a tinte fosche, ma ritengo che sia necessario operare al più presto soprattutto anche capitalizzando, non solo a mio giudizio, una strada suggerita che è molto valida e praticabile, anche migliorabile, certamente; ma non siamo certamente, lungo questa direzione, all'anno zero. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Ricci, la ringrazio del suo intervento. Do la parola al dottor Stefano Versari, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione. Prego, dottor Versari.

Pag. 5

  STEFANO VERSARI, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione (intervento da remoto). Buongiorno alla presidente, l'onorevole Casa, e a tutti i parlamentari. Cerco di fare un punto senza numeri e senza dati, ma semplicemente una riflessione a volo d'uccello su dove siamo e dove stiamo andando.
  Riassumo tutto in otto punti velocissimi. Il primo punto è la strumentazione, poiché potremmo dire che il digitale non si fa a mani nude. Da questo punto di vista, la crescita delle dotazioni digitali e della connettività delle istituzioni scolastiche negli ultimi 10 anni è stata estremamente significativa. In questo momento l'utilizzo del registro elettronico è nel 99 per cento delle istituzioni scolastiche: era il 10 per cento in meno nel 2017 e nel 2018. Le aule cablate sono circa il 78 per cento, quelle connesse il 94 per cento e quelle in grado di svolgere didattica digitale con BYOD (bring your own device) il 68 per cento. Da questo punto di vista le dotazioni delle scuole sono cresciute, anche in ragione dell'epidemia COVID-19, in maniera adeguata, anzi in maniera significativa. Ciò di cui bisogna rendersi conto è che non è più sufficiente pensare solo al tema dell'hardware, ma bisogna fare coesistere le tre chiavi di volta: l'hardware, il software, quindi le piattaforme e le dotazioni informatiche, e il setting, cioè la sistemazione e l'adeguatezza dei locali. La stessa aula informatica con i computer fissi sostanzialmente è una collocazione, un setting superato. Dobbiamo pensare a queste tre dinamiche in maniera congiunta.
  Il secondo tema è quello della connettività, dove per «connettività» intendiamo la rete e i device, cioè la rete e il computer, che può essere fisso, un tablet, altri strumenti, o anche BYOD, cioè lo smartphone dello studente. Da questo punto di vista fu coniato nel terremoto del 2012 in Emilia un termine che vale per tutto il Paese «connectio sine qua non», che esprime che senza connettività non si realizza né l'innovazione digitale, né la didattica digitale integrata. Direi che il Piano nazionale BUL (banda ultra larga) 2020-2023 stia consentendo – è consultabile online lo sviluppo delle realizzazioni – la possibilità, oltre a tutto quello che già era stato fatto, dell'idea di una banda larga presente in ogni punto di erogazione del servizio. Questo è fondamentale affinché si possa realizzare una didattica digitale integrata, effettiva nel sistema scolastico.
  Il terzo punto è il tema delle competenze digitali che potremmo tradurre in dimestichezza e spirito critico. Ci pare che si stia definendo sempre di più il quadro entro cui collocare queste competenze digitali. Da questo punto di vista è stata definita una codifica europea pubblicata dalla Commissione europea, la cui ultima versione è uscita pochi giorni or sono, la DigCompEdu, che si riferisce alle competenze digitali per chi si occupa professionalmente di educazione. Credo che sia una strada che dobbiamo intraprendere di riconoscimento di competenze specifiche per l'insegnamento. Al di là delle competenze ulteriori che possono essere possedute, queste sono più generaliste, che nei casi prevalenti sono necessarie. Al contempo, si sta realizzando l'integrazione con competenze digitali e altre competenze non significative, per arrivare all'idea di un curriculum del XXI secolo. Sono strade già in itinere, in parte codificate e in parte no, ma comunque in corso di svolgimento.
  L'altro elemento che sembra che stia passando dal punto di vista culturale è quello dell'abbandono della dicotomia digitale versus analogico. La strada che si sta sostanzialmente affermando è quella dell'interazione fra l'analogico, che significherebbe immateriale, e il digitale che significa l'online, il virtuale. Da questo punto di vista ci sono significativi apporti anche del mondo filosofico che ci suggeriscono di andare in questa direzione di integrazione.
  Il quarto punto è quello del coding, del making e della didattica del fare. Non sto a farvi l'elenco – poi consegneremo alcune relazioni –, ma la scuola italiana è fra le prime al mondo ad aver importato nelle nostre scuole una serie di innovazioni oltreoceano provenienti dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. L'obiettivo è quello di declinare una serie di Pag. 6modalità didattiche digitali già definite sui vari gradi di istruzione, per la primaria con tinkering, con l'informatica, unplugged, fino alle superiori, con il making, eccetera. Qual è l'idea di fondo? Di fronte alla pervasività oggettiva del digitale nella vita quotidiana, siamo convinti di dover insistere perché gli studenti non perdano di vista l'approccio costruttivo e creativo, la capacità di essere creatori attivi di soluzioni e costruttori digitali con l'utilizzo delle strumentazioni di cui dispongono, ovvero declinare al meglio gli strumenti che comunque tutti loro di fatto posseggono.
  Una questione aperta, importante anche per la dimensione politica, è una sorta di dicotomia che percepiamo fra una tendenza alla disciplinarizzazione degli insegnamenti del digitale a fronte della necessità, che a noi come mondo scuola pare più coerente e opportuna, dell'uso del digitale dal punto di vista strumentale: quindi il digitale utilizzato strumentalmente per costruire un quadro complessivo di crescita dell'alunno e non la disciplinarizzazione degli insegnamenti. Questo è un rischio ancora maggiore nella scuola primaria e nella scuola dell'infanzia, perché la disciplinarizzazione degli insegnamenti, anche con insegnanti specialisti sulle varie metodologie digitali, rischia di frantumare l'unitarietà dell'insegnamento che è definito per la scuola primaria dalle indicazioni nazionali.
  Il quinto punto è quello dell'inclusione. Il digitale è uno strumento potentissimo, lo stiamo sempre più sperimentando, perché consente la declinazione e l'attuazione di numerosi strumenti compensativi rispetto alla disabilità e rispetto al limite. Il digitale può essere uno strumento compensativo per la disabilità, così come anche l'utilizzo del digitale per tutta la classe, anche per evitare l'etichettatura, il marchio e lo stigma di chi utilizza lo strumento digitale in relazione alla propria difficoltà specifica. Su questo ancora c'è qualche limite di pensiero che va maturato culturalmente.
  Bisognerà riflettere di più sul tema del BYOD, cioè sull'utilizzo del proprio strumento nella didattica digitale. Perché è opportuno? Perché l'utilizzo del proprio strumento facilita la didattica digitale in quanto ognuno conosce lo smartphone o il tablet che possiede. Allo stesso tempo questa impostazione può scontrarsi con il ripensamento dell'utilizzo degli strumenti individuali connessi durante l'orario scolastico. Anche in questo caso ci sono due problematiche diverse: il tema della connessione durante l'orario è pericoloso, ma diventa una potenzialità nel momento in cui si riesce a guidare l'utilizzo del proprio strumento per la didattica digitale integrata.
  Il tema della pandemia è ben noto: ha consentito oggettivamente uno sviluppo enorme delle potenzialità nell'utilizzo degli strumenti, non solo per le assegnazioni che sono venute dal Parlamento, ma anche proprio per la crescita impetuosa di competenze, soprattutto anche dal punto di vista dei docenti. Bisogna verificare e cercare di contenere – è una preoccupazione che abbiamo – una sorta di rischio di riflusso: la didattica in presenza, che è fondamentale, non significa didattica senza digitale, poiché il digitale è utilissimo per la didattica in presenza, proprio per l'utilizzo innovativo delle strumentazioni di cui oggi possiamo disporre.
  L'ultimo punto è la formazione. Percepiamo sicuramente la necessità di una formazione universitaria di sistema strutturata sul digitale, al di là della formazione disciplinare che in alcuni percorsi viene comunque acquisita. Sarebbe auspicabile prevedere un portfolio del docente – faremo delle riflessioni da questo punto di vista –, utilizzando il DigCompEdu, ovvero quel quadro europeo delle competenze dei docenti.
  Concludo dicendo che, dal punto di vista del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) c'è l'assegnazione di un'enorme quantità di fondi: per la didattica digitale, 800 milioni, per le scuole 4.0, 2,1 milioni e per le nuove competenze, 1,1 milioni. Il superamento della DAD (didattica a distanza) non deve significare il superamento della didattica digitale integrata, anzi dobbiamo tesaurizzare le esperienze e le competenze acquisite in questi due difficili anni di pandemia. Vi ringrazio.

Pag. 7

  PRESIDENTE. Siamo noi che la ringraziamo, dottor Versari. Do la parola ad Antonella Iunti, direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria. Prego, professoressa.

  ANTONELLA IUNTI, direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria (intervento da remoto). Buon pomeriggio a tutti. Innanzitutto ringrazio per l'invito. Saluto lei, presidente, e tutti gli onorevoli deputati presenti e soprattutto vi ringrazio per avere coinvolto la Calabria, vista l'attenzione nell'ambito dell'indagine conoscitiva in essere.
  La tematica è abbastanza delicata per un territorio critico come è la Calabria. Lo dico fin dal principio come incipit nel mio intervento, perché, nonostante mi sia insediata da poco, dall'analisi dei dati di cui sono in possesso, il quadro riguardante la Calabria non è obiettivamente tra i migliori, tenendo anche conto che se mi rapporto con i dati critici che evidenziava il dottor Ricci, dato il contesto nazionale, la Calabria anche in rapporto ai dati INVALSI, si colloca all'ultimo posto, in tutte le graduatorie relativamente agli ordini e gradi di istruzione, delle prove INVALSI. Sicuramente è un territorio che ha tante criticità che vanno risolte e una di queste attiene anche all'innovazione didattica.
  Prima di arrivare a fare il quadro, volevo toccare un punto dal quale non posso prescindere, perché la scuola calabrese rappresenta le criticità del contesto territoriale in cui si colloca. Sicuramente vi è un problema di adeguamento e di spinta del sistema scolastico all'innovazione che va accompagnato, perché è veramente in forte ritardo. Abbiamo alcune punte di eccellenza, ma rispetto al totale delle scuole calabresi, che sono 360, ci attestiamo sempre su una percentuale bassa tra le scuole che sperimentano metodologie didattiche innovative.
  Il contesto territoriale non aiuta e non facilita. Semplifico questo tema in quattro punti fondamentali. Un punto sicuramente è legato al discorso – che accomuna la Calabria a molte altre regioni – delle aree interne, di difficoltà di un contesto geografico di non facile gestione, che isola molte realtà e non facilita lo sviluppo di determinati territori. In Calabria le aree interne sono molte e a questo si accompagna un'altra criticità calabrese legata anche alle infrastrutture e ai trasporti, che in Calabria è particolare accentuata. La Calabria è quasi totalmente priva di infrastrutture; i trasporti non sono facili nemmeno nei territori principali e, a maggior ragione, mettere in comunicazione i territori all'interno, più svantaggiati, diventa un problema.
  Il servizio scolastico è visto come un presidio fondamentale per evitare la povertà educativa, la dispersione scolastica e lo spopolamento dei territori; però questo non facilita quelle realtà non supportate da infrastrutture e trasporti.
  L'altro problema – il terzo punto che caratterizza la Calabria – sono le tecnologie e gli arredi digitali. Se un territorio, a prescindere dalla scuola, non è supportato da tecnologie e infrastrutture digitali, la scuola ne risente direttamente e indirettamente. Il problema è anche di tipo territoriale. Il rapporto CENSIS (Centro studi investimenti sociali) sulla comunicazione digitale colloca la Calabria tra le ultime regioni per utilizzo del digitale, della comunicazione digitale, che caratterizza sia la scuola che tutte le altre amministrazioni pubbliche.
  A queste si aggiunge un'altra caratteristica specifica della Calabria, di cui ho preso atto da quando mi sono insediata, ovvero la necessità di un maggiore lavoro interistituzionale. Quando si parla di digitalizzazione, innovazione e di rapporto con le infrastrutture e i trasporti, si richiede una collaborazione tra tutti i soggetti istituzionali del territorio. L'innovazione non può essere rimessa esclusivamente alle scuole, in mancanza di presupposti. Ci vuole un rafforzamento anche nell'interazione tra soggetti come comuni, regioni e province. Inoltre, molti comuni, anche importanti, in Calabria sono commissariati e questo è un altro degli altri aspetti che rende difficile la gestione.
  Lo dico come quadro generale per far comprendere le difficoltà anche attuative dell'innovazione digitale, il che non esclude Pag. 8che la scuola debba farsi parte attiva; ma, forse, la scuola potrebbe essere vista, al contrario, come uno strumento di impulso positivo per lo sviluppo del territorio e su questo dovremmo lavorare. Non le nego, presidente, che da fare c'è molto, perché le scuole fanno, ma vanno accompagnate, poiché questi presupposti non facilitano il tutto.
  Un altro dei problemi fondamentali è l'approccio culturale al cambiamento. Abbiamo parlato di innovazione didattica e di innovazione digitale. Se faccio un passaggio pre-pandemia e post-pandemia, è per far capire che effettivamente il periodo pandemico ha portato almeno un aspetto positivo e una spinta anche in Calabria: prima della pandemia, su 360 scuole, solo un centinaio avevano avviato realmente un processo di sviluppo e di innovazione, sia dal punto di vista tecnologico che didattico. Con la pandemia, la spinta all'adeguamento almeno tecnologico e digitale ha fatto sì che ad oggi il 70 per cento delle scuole calabresi, quindi all'incirca 250, si sono dotate di strumentazione, hanno migliorato gli ambienti scolastici e hanno potenziato le reti, anche attraverso risorse sia europee che nazionali. Questo sicuramente è stato un grande impulso. Tuttavia, devo dire che all'impulso dell'innovazione tecnologica non corrisponde necessariamente un'innovazione didattica; infatti, se ci può essere innovazione didattica attraverso l'innovazione tecnologica, non necessariamente l'innovazione dal punto di vista delle strumentazioni comporta innovazione didattica. L'innovazione didattica comporta un cambiamento culturale che vede come soggetti fondamentali i docenti. Un processo di cambiamento culturale non di poco conto va accompagnato: si continua a pensare che si passa dal libro allo strumento tecnologico o al computer, ma non è proprio questo. Questo è quello che è emerso dai dati che ho raccolto anche in vista di questa occasione, che mi ha dato lo spunto per conoscere meglio anche il mio territorio, tenendo conto che mi sono insediata da poco. Vi sono scuole che spiccano – lo dico anche orgogliosamente – in contesti nazionali e internazionali, ma saranno 20, 30 e in alcuni casi 50; ma, su 360, è un numero irrisorio, perché l'eccellenza, a volte rispetto allo zero di alcuni territori, annulla l'esito e la percentuale di innovazione didattica in Calabria.
  Sicuramente gli ambiti di innovazione sono accompagnati anche dalle politiche ministeriali attraverso le équipe formative. Il PNSD (Piano nazionale scuola digitale) introdotto nel 2015 ha dato un grandissimo impulso e l'istituzione delle équipe formative ha aiutato, perché sono un grandissimo punto di riferimento. Da settembre, da quest'anno scolastico, anche con una ripresa in presenza, hanno richiesto interventi 226 scuole su 360, il che significa che si inizia in qualche modo a comprendere l'importanza dell'innovazione. Si richiede soprattutto supporto per la creazione di ambienti digitali; quindi, si inizia a comprendere anche l'importanza del setting, come diceva il capo dipartimento Versari, che è uno degli elementi fondamentali. Un problema della Calabria, poi, è anche quello dell'edilizia scolastica. Vi sono diversi problemi relativi all'accompagnamento dell'edilizia e del cambiamento del setting scolastico anche in vista dell'adeguamento dell'innovazione. Sicuramente l'équipe formativa sta aiutando, però il problema che rilevo, è che spesso l'innovazione è rimessa all'autonomia scolastica, alla spontanea adesione delle scuole e anche alla buona volontà dei docenti di sperimentare metodologie didattiche innovative. Questo, secondo me, è un passaggio fondamentale, perché se l'obiettivo 4 dell'Agenda ONU 2030 parla di un'istruzione che va garantita in termini di qualità, equità e inclusività, se questo è rimesso in un contesto territoriale che è a macchia di leopardo per quanto riguarda la connettività e le strutture, dipenderà dalla buona volontà di dirigenti scolastici e docenti che si fanno parte attiva, non essendoci obblighi, ma soltanto spontanee adesioni all'innovazione. La formazione, al di là del Piano di formazione nazionale previsto per i docenti neoassunti che sono obbligati alla formazione, è tutta spontanea. Dall'inizio di questo anno scolastico, l'équipe formativa ha formato più di 3 mila docenti, ma in Calabria ne abbiamo 32 o 33 Pag. 9mila. È ovvio che su un numero così alto, a parte i neoassunti, la formazione, che è uno strumento strategico per il cambiamento culturale, non vede un'adesione spontanea. Allo stesso modo, realtà scolastiche che spiccavano per l'innovazione didattica, non appena va in pensione il docente che per anni ha accompagnato quel progetto, vedono quel progetto perdere rilevanza. Questo dimostra che il ruolo strategico dipende molto dalla figura del docente che cambia approccio culturale, perché abbiamo detto che l'innovazione didattica dipende da due aspetti: approccio educativo nuovo del docente e nuova metodologia di apprendimento da parte del discente. L'apprendimento non può prescindere, anzi il presupposto è che ci sia un cambiamento metodologico da parte dei docenti e, secondo me, il punto nevralgico rimane quello.
  Un altro problema che voglio evidenziare, in termini di approccio culturale, è che bisogna condividere. L'innovazione didattica nasce da un approccio di buone prassi, di sperimentazione e di documentazione: da questa nascono le buone prassi che si condividono. Se non si documenta e se non si traccia la sperimentazione non si può avviare un processo di innovazione, tant'è che le stesse avanguardie educative nascono da una condivisione. L'INDIRE (Istituto nazionale di documentazione innovazione e ricerca educativa) promuove l'innovazione del mondo scuola: ribadisco che in Calabria solo 73 su 360 scuole aderiscono al movimento di avanguardie educative: questo per far capire la platea ristretta delle scuole aderenti. Ho scoperto che per lo stesso Premio scuola digitale, connesso al Piano nazionale scuola digitale istituito dal Ministero, vi è stata un'adesione bassissima delle scuole regionali: l'ultima edizione del Premio ha visto 66 scuole su 360, un dato molto basso. Ho cercato di capire il perché di questo numero molto basso e quello che emerge tra le tante criticità è che spesso le scuole sperimentano, ma la sperimentazione rimane chiusa nel quartiere scolastico, non viene diffusa e non viene condivisa. Per poter partecipare al Premio scuola digitale è necessario che la scuola documenti, che il docente sperimenti e che tracci quell'innovazione. Se questo non avviene, è un impedimento anche indicativo di quello che succede: l'innovazione deve passare attraverso una condivisione che evidenzi buone prassi, che poi si consolidino per diventare sperimentazioni strutturate sul territorio regionale, poi magari nazionale e, attraverso i soggetti deputati, magari diffuso. Tutto questo ovviamente non avviene. È una caratteristica anche del territorio che gestisco che va molto stimolato, perché non c'è la tendenza all'apertura. Forse alcuni territori e alcune regioni sono più aperti, tendono a condividere e hanno influenze all'apertura e alla condivisione, ma la Calabria sicuramente non si caratterizza per una apertura particolare, va molto spinta nella progettualità e va accompagnata.
  Il quadro che ne emerge sicuramente non è roseo. Anche se mi baso sui dati INVALSI – vedremo quelli del 2022 – temo che non ci sarà un cambiamento. Ho avuto anche la fortuna di confrontarmi con il dottor Ricci, qualche tempo fa. Vi è la necessità di un accompagnamento della Calabria per capire come cambiare l'approccio all'innovazione, al cambiamento e alla necessità di adeguare l'apprendimento dei ragazzi alle richieste della società. È un percorso che richiede tempo, ma che va sicuramente spinto e accompagnato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottoressa. Do la parola a Ettore Acerra, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale della Campania. Prego, dottor Acerra.

  ETTORE ACERRA, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale della Campania (intervento da remoto). Buon pomeriggio. Grazie a tutti. I ringraziamenti non sono solo formali, perché avere la possibilità di poter illustrare davanti alla presidente e ai deputati alcune caratteristiche della regione che in questo momento dirigo è un'occasione speciale e veramente vi ringrazio.
  Molte cose sono state dette, in particolare il capo dipartimento ha richiamato alcuni punti fondamentali, quindi su alcuni di questi non tornerò. Sappiamo tutti che Pag. 10la Campania, che è la seconda regione d'Italia in quanto a numero di scuole e numero di alunni e studenti, è una regione estremamente complessa, caratterizzata, come sapete, da un'area metropolitana molto forte, quella di Napoli, che è oggetto di una particolare attenzione. La settimana scorsa è stato firmato dal Ministro il Patto educativo per l'area metropolitana di Napoli, un territorio caratterizzato da una forte complessità, ma anche da grande diversificazione fra diverse aree, perché abbiamo anche in Campania molte aree interne con grosse differenze anche nei risultati, in termini di competenze. È una regione che – questo già lo sapete – ha una forte caratterizzazione e il termine «a macchia di leopardo», che ha usato la collega Iunti, credo si attagli perfettamente anche alla Campania, per alcuni aspetti, più di altre regioni.
  Riprendo alcune cose che sono state dette per specificarle e contestualizzarle. Molto correttamente il capo dipartimento parlava di tre fattori, hardware, software e setting per quanto riguarda l'innovazione digitale. Sono assolutamente d'accordo con lui e voglio sottolineare il fatto che mentre gli investimenti degli ultimi anni hanno consentito per l'hardware e il software di fare grossi passi avanti quantitativi, per il setting ancora non ci siamo. La Campania, come molte altre regioni, ha grossissimi problemi di edilizia scolastica, di trasformazione degli ambienti di apprendimento per seguire il processo di innovazione anche dal punto di vista dei laboratori come sono tradizionalmente concepiti. Dal punto di vista degli ambienti di apprendimento c'è molto da fare.
  Vorrei fare una considerazione anche sull'organizzazione della rete scolastica della Campania, anche se potrebbe sembrare un fattore estraneo all'argomento di cui stiamo parlando. Vorrei sottolineare che l'estrema dispersione e frammentazione dei punti di erogazione del servizio sul territorio regionale se da una parte consente di avvicinare l'offerta formativa alle comunità anche più distanti, da un'altra parte provoca oggettive difficoltà nell'omogeneizzare la qualità e la quantità delle strutture, delle infrastrutture e del software. Negli ultimi anni il piano di razionalizzazione della rete scolastica è rimasto abbastanza fermo e su questo, insieme all'ente regione, si sta facendo un ragionamento, perché bisogna capire quali siano le scelte più adatte per i territori: se ragionare per poli da rafforzare molto, anche dal punto di vista delle infrastrutture digitali, oppure se conservare l'attuale distribuzione sul territorio.
  Non voglio tornare su cose che già sono state dette, però voglio sottolineare alcuni aspetti che possono essere interessanti per quanto riguarda la realtà campana. La collega Iunti sottolineava già l'importanza dell'azione dell'équipe formativa territoriale nell'ambito del PNSD. L'opera dell'équipe formativa territoriale, soprattutto in periodo di pandemia, è stata fondamentale. Alcuni dati dell'ultimo trimestre ci dicono che l'équipe formativa territoriale, che in Campania è formata da 25 docenti, ha raggiunto 557 scuole e circa 6.500 docenti: in tempo di pandemia questa équipe formativa ha svolto un ruolo fondamentale nell'accompagnamento delle scuole in alcuni settori come il coding, le piattaforme learning, la robotica, la cittadinanza digitale, ma non sto qua a elencarle tutte.
  Nell'ambito del Piano nazionale scuola digitale sta partendo il progetto Innovamenti, un progetto di particolare interesse a mio parere che finora ha visto aderire 244 scuole: a fine maggio ci sarà un primo momento di riflessione su questo progetto che trovo estremamente interessante. Brevemente torno su alcuni dati per quanto riguarda gli investimenti che sono stati fatti. Il capo dipartimento Versari parlava dell'investimento sulla banda ultra larga, un investimento molto forte che in Campania ha visto 546 progetti approvati e 127 interventi sinora realizzati. È importantissimo, perché prima si parlava di connettività e con il programma sulla banda ultra larga vi saranno alcuni passi avanti. Si diceva ancora più giustamente che l'innovazione tecnologica non corrisponde necessariamente all'innovazione didattica, quindi dobbiamo cercare di far camminare insieme questi due aspetti.Pag. 11
  Oltre all'attività dell'équipe formativa territoriale, vorrei sottolineare l'attività dell'équipe regionale per quanto riguarda l'attuazione del Piano di formazione regionale. Questo Piano di formazione regionale negli ultimi tre anni ha raggiunto 30 mila insegnanti, più 10.800 neoassunti. Sono numeri importanti – naturalmente non sono tutti –, ma su questo bisogna investire sempre di più. Tenendo presente che sono d'accordo con la collega quando dice che l'autonomia scolastica è una bellissima cosa, certe volte molti di questi interventi e molte di queste azioni non coinvolgono tutte le comunità scolastiche e alle volte c'è anche una difficoltà a ottenere una ricaduta della formazione di alcuni insegnanti su tutta la comunità scolastica. Ritengo che i processi di accompagnamento e di formazione siano molto interessanti.
  Volevo segnalare che l'équipe formativa che si occupa della formazione regionale dei docenti sta ragionando su un nuovo profilo, che nei piani attuativi della formazione in Campania è stato studiato, ovvero quello di una specie di docente senior – non so come definirlo – che loro vorrebbero denominare «conductor», detto alla latina, nella sua accezione di guida esperta che facilita il contatto con l'esempio di buone pratiche e l'incontro con ambienti di insegnamento e apprendimento in cui si realizzano progetti di innovazione didattica e metodologica. Questa è una delle esperienze che può essere considerata più interessante.
  Come la collega, anch'io ho fatto un'indagine, un ripasso di alcuni numeri riguardanti le iniziative particolarmente significative. Sulle avanguardie educative, che è un'iniziativa importante, vi sono in Campania 181 scuole che adottano il manifesto di avanguardie educative. Non sono tantissime, sono circa il 20 per cento, ma è una percentuale importante. Segnalo anche la diffusione molto forte in Campania delle scuole che adottano i progetti eTwinning, che nel periodo della pandemia sono stati un'occasione preziosa per poter conservare e rafforzare i rapporti soprattutto con i Paesi stranieri. In Campania sono stati attivati 4531 progetti da dieci anni a questa parte, di cui 500 solo nell'anno 2021, coinvolgendo 1230 scuole. Siccome in Campania ci sono 980 scuole in tutto, alcune hanno aderito a più progetti.
  Chiudo facendo una riflessione sulla questione della pandemia o comunque di quello che possiamo ereditare dalla pandemia. L'Ufficio scolastico regionale della Campania, quando io ancora non c'ero, ha formato una task force, per poter accompagnare le scuole nel periodo della pandemia, che, come sapete, in Campania ha visto un numero di giorni di DAD superiore rispetto alla media nazionale. Questa task force ha prodotto una pubblicazione che non vuole essere un manuale, ma una pubblicazione di accompagnamento che si chiama Una bussola per le istituzioni scolastiche, dell'inizio del 2021, ancora pubblicata sul sito, che ritengo particolarmente interessante, anche perché contiene alcune best practice che sono veramente un esempio per tutte le scuole.
  Questo, al momento, è il quadro della Campania. Sicuramente non è un quadro semplice; anzi – anche qui sono d'accordo con la collega – penso che anche le rilevazioni standardizzate nazionali di quest'anno non ci porteranno a grossi miglioramenti, ma speriamo bene. Credo che ci sia una grossa attenzione non solo del sistema scuola, ma di tutte le istituzioni e il Patto educativo per l'area metropolitana ne è un esempio. Credo che abbiamo il dovere di pensare positivo e di fare tutto il possibile per migliorare la situazione e per combattere le cosiddette «povertà educative» che costituiscono veramente una piaga delle nostre regioni meridionali. Vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Acerra. Do la parola all'onorevole Fusacchia che è stato il proponente dell'indagine conoscitiva. Prego, onorevole Fusacchia.

  ALESSANDRO FUSACCHIA (intervento da remoto). Grazie, presidente. Volevo ringraziare i quattro colleghi che sono intervenuti, perché, come ci eravamo detti, per questa indagine anche la prospettiva del lato istituzionale è fondamentale. Avevamo Pag. 12audito una serie di persone e di realtà prima della pandemia e stiamo facendo questo doppio giro e questo supplemento di indagine, perché nel frattempo è cambiato il mondo, come voi stessi avete evidenziato.
  Volevo fare un veloce commento e un paio di domande. Il commento è che concordo molto con quello che diceva il dottor Versari. La DAD non è piaciuta a nessuno; ma, come si direbbe, «non buttiamo il bambino con l'acqua sporca». Capiamo che la scuola è presenza, è fisicità, è corpo, ma allo stesso tempo la tecnologia ci può aiutare a fare tante cose che prima non si potevano fare, su cui è maturata una nuova consapevolezza.
  La seconda cosa che volevo dire e che mi sembra un punto dirimente di quello che ha toccato Versari è questo dibattito che oggettivamente ritorna fra «devo fare l'ora di digitale oppure il digitale è traversale»? È una domanda che volevo fare al capo dipartimento. Siamo tutti dalla stessa parte, o almeno sono abbastanza convinto che lo siamo – credo che qualche collega non la pensi allo stesso modo – sul ragionamento per cui, quando si tratta di questioni di genere e di questioni di tecnologia, evitare di ghettizzarle in un ambito è fondamentale. Il problema, caro Versari, è che, siccome il problema è di tutti, non è più di nessuno. Quali sono le due criticità che vedo? Sposando in pieno l'approccio che sentivo prima, come facciamo ad assicurarci che qualcuno insegni queste competenze digitali di base ai vari livelli? Altrimenti diamo tutti per scontato che c'è una specie di apprendimento naturale e su questo c'è una domanda che volevo fare a Ricci. La seconda domanda è: a quel punto come facciamo a misurarle e a valutarle? Se diventano una strumentazione orizzontale e sono il nuovo alfabeto – però, per l'alfabetizzazione di base c'è un processo per cui qualcuno insegna a leggere, a scrivere e a fare di conto – come strutturiamo e misuriamo questa nuova alfabetizzazione, partendo dall'assunto che sono d'accordo che deve essere orizzontale a tutte le materie, a tutti gli ordini e gradi di istruzione e a tutti gli insegnanti? Abbiamo visto un miglioramento in questi due/tre anni di pandemia, che poi è un nodo su cui vogliamo concentrare l'indagine, per quello che riguarda la preparazione dei docenti, l'attenzione dei docenti, il cambio culturale che il corpo docente inteso in senso complessivo deve avere per poter avere un nuovo atteggiamento rispetto a questo? Questo lo collego anche a un punto che sollevava la dottoressa Iunti. Sulla formazione dei docenti abbiamo numeri sicuramente insufficienti, perché ovviamente dovrebbe riguardare tutti; ma, soprattutto, è molto chiara la distinzione tra i neoassunti e il corpo docente che già abbiamo. Anche lì che valutazione fate della qualità di questa formazione? Effettivamente è uno strumento che cambia la storia personale di un docente? Fatta questa formazione, a prescindere dal livello di partenza e livello di uscita, c'è stato un piccolo cambio culturale e soprattutto un significativo aumento della capacità di gestire certe strumentazioni, certi ambienti digitali oppure – vorrei che fossimo onesti tra di noi – continua a essere un grande esercizio che produce piccoli effetti e per la gran parte è un esercizio – lo dico con rispetto per la parola che sto per usare – amministrativo e procedurale, ma che non cambia nella sostanza?
  La penultima domanda è una nota molto specifica per il dottor Ricci, il presidente dell'INVALSI. Rispetto al rapporto ICIS che citava, quindi al rapporto sulle competenze digitali, volevo capire se abbiamo dati a disposizione sulle fonti della preparazione e dell'apprendimento dei ragazzi. Quando parliamo di digitale, di competenze digitali, oltre a misurare i risultati, le competenze e le capacità, secondo me a maggior ragione, sarebbe molto utile capire dove i bambini, i ragazzi, le ragazze, nelle diverse fasce di età, imparano queste cose; perché è evidente che le imparano in tanti posti e in tanti mondi che non sono solo nella scuola. C'è una capacità pubblica, intesa delle istituzioni pubbliche, di misurare o comunque monitorare e magari in certi casi anche incoraggiare forme di apprendimento per cui l'apprendimento del digitale non è da fare come si faceva un tempo, ma va indirizzato,Pag. 13 va incoraggiato, essendoci più fonti di apprendimento e preparazione?
  Passo all'ultima cosa che volevo chiedere. Mi ha molto colpito questo punto delle équipe formative e lo collego a questo ragionamento. Ho capito che stanno facendo alcune cose – torno alla domanda di prima, quindi quanto poi sono efficaci nel trasferimento di conoscenza, di competenza, che poi è il nodo vero di tutto – però ho capito anche che queste équipe formative fanno abbastanza, ma non tutto quello che servirebbe. Volevo chiedere alla filiera ministeriale, al capo dipartimento e ai due direttori degli uffici scolastici regionali: è una questione di risorse scarse? Abbiamo poche équipe formative e quindi servirebbe metterne di più in campo in termini di risorse umane, capacità e preparazione oppure c'è un blocco strutturale di altra natura che non ha nulla a che vedere con quanti sono e quello che fanno, per cui si fa fatica a procedere a un passo più veloce?
  Mi ha colpito molto quello che diceva la dottoressa Iunti su un dramma che, francamente, non è solo della scuola, ma di tutte le organizzazioni complesse e non solo italiane, ovvero la memoria che si perde quando uno va in pensione, come anche quello della memoria che non esiste e che non viene creata quando si fa una sperimentazione. Cosa ci possiamo inventare da un punto di vista istituzionale e strutturale per ovviare almeno in parte a un problema gigantesco di tutto il Paese? Le aziende perdono pensionati d'oro, nel senso che se ne vanno con le loro conoscenze, però questo problema a un certo punto andrà affrontato. La domanda è: c'è un margine per ragionare – questo forse lo chiedo più al capo dipartimento – su qualche forma di sperimentazione? Perché oggi abbiamo tutta la tecnologia non solo per fare le nostre audizioni a distanza o le lezioni in classe a distanza, ma abbiamo fior fiori di start up, di tecnologia, di designer e di competenze creative di vario tipo. A fronte del problema, come affrontiamo il fatto che con chi va in pensione nella scuola si perde quel capitale che spesso è decisivo per quella scuola o per sperimentazioni interessanti che vengono fatte e non restano? È possibile che il Ministero e il Governo, con la spinta del Parlamento, non riescano a fare qualche sperimentazione su questo e a capire come preservare la memoria e fare questo trasferimento di memoria? Che cosa ci possiamo inventare su questo? Grazie, presidente.

  VALENTINA APREA. Grazie, presidente. Ringrazio i nostri auditi, soprattutto per i ruoli che ricoprono e che oggi ci hanno fatto un po' capire lo stato dell'arte. Credo che abbiamo bisogno di condividere una consapevolezza: la scuola italiana – non tutta – non educa al futuro, e siamo nel 2022. Siccome sappiamo che i ragazzi che sono già nelle nostre classi lasceranno la scuola secondaria superiore nel 2035, poi andranno all'università e si troveranno nel 2040, quando dovranno poi entrare nel mercato del lavoro, noi dobbiamo accettare l'idea che oggi, in questo tempo, dobbiamo trasformare tutta la nostra scuola in una scuola del futuro, perché non possiamo sapere come si vivrà tra 13 o 16 anni, ma sappiamo che la tecnologia non abbandonerà né questo mondo, né le nostre società, né la vita di tutti i giorni, men che mai quella di chi lavorerà. Quindi la scuola non può più aspettare.
  Devo essere chiara: mi spiace ancora sentire parlare di sperimentazione e mi spiace ancora sentire parlare di chi è avanti e di chi è indietro, perché se è vero e sappiamo che regioni come la Campania e la Calabria hanno situazioni difficili, allora dobbiamo fare i conti, per esempio, con la dispersione scolastica esplicita e implicita e cominciare proprio da quelle zone a cambiare l'educazione, a fare della scuola digitale e della scuola del terzo millennio la nuova sfida. Ora non abbiamo più alibi, perché prima si diceva che mancano le risorse, ma le strumentazioni, come ha detto bene Versari, stanno arrivando e bisogna saperle usare. Stiamo cambiando i setting e stiamo destinando tantissimi miliardi per innovare le scuole, l'edilizia e la revisione scolastica. Di che cosa abbiamo bisogno? Di una nuova generazione di docenti, non solo di neoimmessi, ma docenti che sappiano insegnare diversamente, decidendoPag. 14 di non fare più gli insegnanti, ma motivatori dell'apprendimento, ovvero tutor e coach di ragazzi che devono apprendere anche attraverso gli strumenti digitali del terzo millennio, che è una cosa completamente diversa dall'insegnante che abbiamo conosciuto finora. Fra un po' non avremo più neanche quest'alibi, perché stiamo per destinare 800 milioni per la formazione digitale dei docenti della scuola italiana.
  Che cosa mi aspetto dai vertici istituzionali? Un piano di intervento capillare che nei fatti è massiccio, poiché 800 milioni che vengono destinati da qui al 2026 per la formazione digitale mi pare una cosa considerevole e importante. Da dove partiamo? Quali sono quelle zone che più di altre hanno bisogno di cambiare modalità di insegnamento e di apprendimento? Come facciamo a tenere sotto controllo quei fenomeni da contrastare come la dispersione scolastica implicita ed esplicita, soprattutto quella implicita? Sappiamo che in alcune regioni anche i ragazzi che hanno studiato alla fine non sanno leggere e scrivere, non comprendono un testo in lingua italiana. Non voglio prendere il posto del dottor Ricci, che saluto e ringrazio per quello che ci ha detto, anche se ci ha detto chiaramente che siamo all'ultimo posto tra i Paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e che il digitale divide è pazzesco.
  Quello che vorrei dire è che basta fare sperimentazione e voglio sapere se c'è questo piano. In quanto tempo riusciremo a formare tutti i docenti della scuola italiana, atteso che stanno per arrivare 800 milioni di euro per questa formazione digitale? Ce la faremo a rendere obbligatorio, come dice il documento del PNRR, lo studio del coding dall'anno scolastico 2023/2024, a partire non dalla scuola dell'infanzia, ma almeno dalla scuola primaria? Ce la faremo a rendere la scuola più multidisciplinare e meno disciplinare e fare in modo che anche la valutazione non sia più incentrata solo sulle conoscenze – lo ha accennato un po' in un passaggio il dottore Versari – , ma sulle competenze e anche su quelle non cognitive, cioè formare la persona e tutte quelle capacità di problem solving, di ascolto e di lavorare in team, che presuppongono non già una classe e un insegnante, ma un'organizzazione e un setting di apprendimento completamente diversi?
  In questo processo che abbiamo iniziato, abbiamo ascoltato sia esperienze molto avanzate che istituzioni e fondazioni che hanno già lavorato per introdurre questi metodi. Abbiamo ascoltato anche INDIRE piuttosto che dirigenti delle scuole innovative. Per 20 anni abbiamo sperimentato, ma oggi non abbiamo più tempo di scegliere chi mandare avanti. Quando avremo la roadmap di questa trasformazione, atteso che non ci sono più alibi e che ci sono tutte le leggi e tutti i finanziamenti che dovrebbero consentire questo upgrade nella scuola italiana? Che tempi ci diamo? Grazie.

  GIANLUCA VACCA. Grazie, presidente. Ringrazio anch'io gli auditi per questo quadro. Come dicevano i miei colleghi, abbiamo iniziato questo percorso di approfondimento su un tema che tutti quanti noi – la Commissione l'ha detto varie volte – riteniamo centrale per il futuro del nostro sistema Paese, non soltanto del mondo scuola, poiché parliamo del futuro proprio del sistema Paese e dell'Italia. Concordo con gli interventi che sono stati fatti dai colleghi che mi hanno preceduto. Sono entrato in Parlamento in questa Commissione circa 10 anni fa e prima ero un docente molto attento a questi temi, ho fatto master e ho fatto formazione specifica su innovazione digitale, ma confesso che la scuola che vedo adesso sia come parlamentare, come politico che segue in prima persona questi temi, ma anche come genitore con un figlio che ha frequentato le elementari e si appresta a entrare nella scuola secondaria di primo grado, purtroppo non è molto diversa dalla scuola di dieci anni fa. Penso che la collega Aprea abbia centrato bene il problema. Noi continuiamo a parlare di progetti, di piani e di interventi straordinari, ma credo che la scuola farà veramente il salto di qualità quando l'approccio al digitale, quindi gli strumenti digitali, quando i linguaggi digitaliPag. 15 diventeranno routine, diventeranno la normalità e non la straordinarietà.
  Alcune regioni, grazie all'approccio che hanno avuto su determinati temi, sono un po' più avanti per quanto riguarda sperimentazioni, innovazioni e utilizzo delle nuove tecnologie. Bisogna iniziare a non parlare più di sperimentazione. La sperimentazione non è su quello di cui stiamo parlando oggi, poiché la sperimentazione, nei Paesi che già hanno acquisito certe metodologie e un certo approccio alla scuola e alla formazione, viene fatta su altro. Oggi i primi strumenti che i docenti hanno per entrare in classe sono ancora il libro e il quaderno. Ovviamente non tutti, poiché ci sono anche docenti particolarmente preparati, più attenti a questo e più sensibili. Tuttavia, lo standard – i vostri numeri ce lo hanno confermato – è ancora quello di un corpo docente che non è formato per l'utilizzo delle nuove tecnologie come strumenti ampiamente condivisi: non sto colpevolizzando i docenti, ma la fotografia che abbiamo delle nostre scuole è questa. È un quadro molto eterogeneo dal punto di vista territoriale e qua c'è un altro tema su cui bisogna lavorare – il PNRR è una grande occasione –, ovvero quello della situazione eterogenea nei vari territori. Il rischio, nel quadro che ci è stato dipinto di due regioni come la Calabria e la Campania, è che l'innovazione digitale sia partita, sia già a sistema in regioni che erano già più avanti e più facilitate nell'utilizzo di alcuni paradigmi e che, invece, altre regioni per motivi sociali, storici, culturali, di infrastrutture, restino indietro e che il divario aumenti invece di diminuire.
  Il primo tema, come abbiamo evidenziato anche noi come Commissione in vari atti di indirizzo, è quello di utilizzare queste tante risorse che arriveranno. Abbiamo visto che il Ministero sta cercando di improntare i temi di intervento proprio sul principio di diminuire i divari territoriali e cercare di colmare alcuni gap che ci sono tra i territori.
  Il secondo tema, come si diceva, è quello di fare in modo che l'approccio tecnologico, l'innovazione e tutto ciò che riguarda il digitale diventi non uno strumento aggiuntivo, ma che cambi il paradigma dell'insegnamento e del fare scuola. Sappiamo benissimo che non si tratta di avere uno strumento in più o in meno nella didattica, non è soltanto questo. Conoscere e utilizzare i linguaggi digitali vuol dire stravolgere il paradigma di insegnamento, i paradigmi cognitivi, stravolgere e cambiare il modo in cui si approccia e si utilizzano i linguaggi con cui si comunica con i ragazzi e con cui si fa scuola. Questo vuol dire fare una scuola diversa rispetto a quella tradizionale italiana.
  Innanzitutto dobbiamo agire sulla formazione iniziale dei docenti, di chi entrerà nelle nostre scuole. Questo è importantissimo – le risorse del PNRR dovranno essere impiegate benissimo anche per questo – così come fare un grandissimo piano di formazione del corpo docente in servizio, perché sappiamo benissimo che spesso i progetti migliori o le scuole che sono più attente lo fanno proprio perché ci sono docenti che negli anni hanno avuto una sensibilità maggiore, che hanno acquisito competenze, passioni che hanno messo al servizio della scuola. Quando poi questi docenti non ci sono più – perché vengono trasferiti o perché vanno in pensione – la scuola rischia di perdere quell'impronta. Dobbiamo fare in modo che, invece, l'innovazione e l'utilizzo degli strumenti digitali non siano soltanto sulle spalle di un singolo docente o di un gruppo di docenti, ma che diventino un patrimonio di tutto il corpo docente e di tutta la comunità della scuola. Questa è la sfida e questo lo potremo avere soltanto quando avremo un piano di formazione per tutto il corpo docente, sia in ingresso che in itinere.
  Concludo con questa ultima osservazione. Credo che questo tocchi un altro argomento e un'altra questione, ovvero il ripensamento anche dei piani di studio e dei curricula all'interno delle nostre scuole. Non si tratta soltanto di aggiungere strumenti didattici ai nostri docenti o nelle nostre scuole e imparare a utilizzarli (la didattica digitale non è soltanto quello), ma si tratta di ripensare proprio l'insegnamento. Credo che sia importante anche avviare una riflessione sui cicli scolastici. Pag. 16Siamo a fine legislatura e come Parlamento potremo fare ben poco, perché queste sono riflessioni che devono maturare in più anni, ma credo che sia importante avviarle con riferimento ai cicli delle nostre scuole, alle materie, agli insegnamenti, alle discipline e ai saperi. Nonostante gli sforzi che sono stati fatti negli ultimi anni, noi siamo ancora fermi alla suddivisione dei saperi della scuola tradizionale italiana. Occorre che la riflessione non si riduca all'introduzione di materie aggiuntive, ma che sia un ripensamento proprio dell'insegnamento dei saperi all'interno delle nostre scuole. Quando avverrà quello si arriverà a una consapevolezza maggiore anche nell'utilizzo dei linguaggi digitali e degli strumenti digitali.

  ALESSANDRO MELICCHIO. Grazie, presidente. Un ringraziamento anche ai soggetti auditi per le loro relazioni. Personalmente ritengo che la pandemia, che ci ha messo di fronte una serie di problematiche importanti, debba essere anche la ragione per tornare non al mondo di prima, ma a un mondo migliore e, in questo caso, a una scuola migliore, proprio in virtù degli sforzi che la situazione sanitaria ha chiesto a tutto il sistema Paese. Durante la pandemia abbiamo visto sicuramente i limiti degli strumenti tecnologici digitali del nostro Paese e abbiamo visto che non è possibile sostituirli a quelli tradizionali, perché se la DAD ci ha permesso di portare avanti la formazione dei nostri studenti, ha prodotto anche una formazione peggiore rispetto a quella garantita dai sistemi tradizionali. Sicuramente se vogliamo una scuola migliore di quella precedente alla pandemia, gli strumenti come la DAD devono continuare a esistere, ma come sostegno e supporto e non in maniera sostitutiva.
  La dottoressa Iunti ha detto qualcosa di estremamente importante, ovvero che l'innovazione didattica non è solo innovazione digitale e che non può valere in entrambe le direzioni. Per anni abbiamo parlato di innovazione della didattica, anche con strumenti che di tecnologico avevano poco, come l'inversione delle classi o le classi 2.0 o 4.0, che vedevano le sedute innovative al centro di questo – i pedagogisti ce ne hanno parlato per oltre un decennio – ma, purtroppo, quando c'è stata l'occasione di innovare le nostre scuole, questa è diventata un terreno di scontro politico. Sono sicuro che hanno contribuito e contribuirà anche quello al miglioramento delle nostre scuole.
  Da calabrese voglio concludere dicendo che, sicuramente, nella mia regione esistono problemi, ma esistono tanti buoni esempi e diverse eccellenze. Quei problemi non devono essere una scusa per trincerarsi dietro a un cattivo risultato, perché sappiamo – ne abbiamo gli esempi – che chi vuole fare, fa, e fa buona didattica. Sicuramente gli organi dello Stato, il Ministero, il Parlamento devono garantire un controllo su chi non fa, magari anche pensando a strumenti normativi che permettano di incentivare a fare di più e a mettersi sullo stesso piano dei loro stessi corregionali che comunque rispettano degli standard di tutto il Paese.
  Chiudo con due note positive. È in corso al Senato la prima lettura per la conversione in legge di un decreto-legge importante sul reclutamento scolastico. Anche in riferimento alle problematiche sulla formazione dei docenti, sicuramente quel decreto-legge si può e si deve migliorare durante la fase di conversione, però secondo me ha il merito di pensare a una formazione continua dei docenti non penalizzante, ma incentivante. A mio avviso, c'è un'intuizione su cui lavorare per migliorarla, ma che può dare grossi frutti proprio in virtù del fatto che abbiamo esempi, come ci è stato riportato, di personale docente che fa la formazione anche al di sotto del 10 per cento di tutta la popolazione. Inoltre, abbiamo la grande occasione dei tanti investimenti che ci sono in questo momento, mai come prima d'ora, perché digital divide è un problema che esiste, ma che è su tutto il territorio nazionale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Non ho più iscritti. Comunico che il dottor Ricci si è dovuto allontanare per un altro impegno istituzionale, ma c'è con noi la dottoressa Maria Teresa Marzano che è responsabile della comunicazione dell'INVALSI, che ha preso nota delle nostre domande e il dottor Ricci, poi, ci farà avere le risposte per Pag. 17iscritto. Do la parola agli auditi per le repliche. Comincerei con il dottor Versari. Prego.

  STEFANO VERSARI, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione (intervento da remoto). Ringrazio la presidente e i parlamentari intervenuti, gli onorevoli Fusacchia, Aprea, Vacca e Melicchio. Provo a rispondere in maniera estemporanea, perché, come sempre accade, ci si ricorda delle ultime domande, ma mi sono appuntato le prime.
  Direi che non è vero che non sia cambiato nulla in dieci anni. È chiaro che ognuno di noi parla secondo la percezione, ma tutte le ricerche che abbiamo fatto su cosa è avvenuto con l'emergenza COVID-19 ci dicono che gli insegnanti si sono attivati, in maniera confusa, estemporanea e anche un po' pasticciata in alcuni casi, ma dalla sera alla mattina. La scuola italiana – anche negli altri Paesi, ma parlo della scuola italiana – è oggettivamente stata in grado di partire di fronte a una situazione di confusione totale e, nei mesi successivi, ha migliorato notevolmente e progressivamente le competenze nell'utilizzo delle tecnologie digitali nei termini che dicevo prima di dimestichezza e spirito critico. Questo lo dicono le numerosissime ricerche che sono state svolte.
  Un'altra delle questioni che veniva posta – qui stiamo facendo delle riflessioni, quindi un confronto e vi ringrazio perché è un arricchimento per noi, per me e per i colleghi – dall'onorevole Vacca, che si connette anche con quella posta dall'onorevole Fusacchia, riguarda il fatto che sia necessario cambiare il paradigma e che non si tratta di sovrapposizione di nuovi strumenti da aggiungere alla scuola che rimane così come era prima. Deve cambiare il paradigma. L'onorevole Fusacchia molto pragmaticamente si chiedeva: «Sì, ma quando cambia il paradigma? Quali sono i tempi?». Non vi rispondo su questo, ma rispondo con un dato perché non ho la sfera di cristallo. Vi ricordo un pensiero di un filosofo degli anni Sessanta che tuttora è scientificamente ritenuto condivisibile e come pensiero affermato. Mi riferisco al pensiero questo di Thomas Khun che scriveva in primo luogo che i cambiamenti di paradigma non sorgono direttamente con le rivoluzioni scientifiche, ma quando il paradigma dominante in cui opera quella che lui chiamava la «scienza normale» – la quotidianità deve fare scuola nel nostro caso – viene reso incompatibile con nuovi fenomeni, facilitando l'adozione di un nuovo paradigma. Intanto dobbiamo pensare non alla rivoluzione del digitale, che c'è, ma a come cambia il paradigma, ovvero alla quotidianità. Che cosa chiede di ripensare il nuovo paradigma? I concetti base, i metodi e i problemi. Inoltre, concludendo, osserva che il cambiamento di paradigma è più drammatico nelle scienze che sembrano stabili e mature. Se ci pensate, abbiamo descritto il fare scuola. È più drammatico il cambiamento di paradigma nella scuola, perché nella scuola sembra che l'insegnamento sia, come metodologia, stabile e maturo. È così, ma non può più essere così.
  Quali sono le condizioni per cui realisticamente potrà cambiare il paradigma? Le condizioni sono quelle che sostanzialmente come Parlamento avete in gioco in questo momento. Siamo l'unico Paese tra i Paesi sviluppati che non ha un percorso formativo per i docenti della scuola secondaria. Non lo abbiamo e non c'è mai stato. Fare il docente richiede competenze che non sono solo quelle della disciplina che insegna, ma ulteriori molteplici competenze che noi non insegniamo. Le insegniamo dalla scuola primaria, con scienza della formazione primaria, ma non le insegniamo nella scuola secondaria. Questo è il dato su cui ci muoviamo: abbiamo una rivoluzione epocale che chiede di cambiare la scienza normale dell'insegnamento, ma non abbiamo il modo per cambiare il paradigma, non tanto le competenze solo disciplinari.
  Come si può procedere? Sicuramente facendo finalmente la scuola della formazione secondaria. Nella scuola della formazione secondaria si tratterà di introdurre competenze anche disciplinari, dal punto di vista delle competenze digitali, necessarie per l'insegnamento, per rovesciare il paradigma dell'insegnamento, ma questo Pag. 18richiede tempo. Che cosa possiamo fare nel frattempo? Intanto fare quello, perché chiede tempo, ma se non lo facciamo mai, non le cambieremo mai. Occorre anche cambiare il setting. Guardavo in questi giorni, per un intervento che devo fare sul tempo pieno, un libricino ingiallito del 1973 – sono cinquant'anni – dove si pone la necessità, come primo momento di una programmazione, dell'edilizia scolastica nell'ambito del territorio, come piano di sviluppo della comunità per una maggiore aderenza della scuola alla comunità territoriale. Sono cose che ci stiamo dicendo adesso, ma erano state scritte 50 anni fa e probabilmente anche prima. Il setting va cambiato e il contesto territoriale con cui si innesta la scuola va valorizzato. Noi parliamo di scuola aperta, oltre che di scuola all'aperto, ma questo setting va cambiato perché si possono raccogliere patrimoni di competenza che altrimenti perdiamo.
  L'ultima considerazione sempre su questo tema delle competenze digitali è: come facciamo adesso, al di là della valorizzazione del capitale sociale? Si fa come si deve fare. Siccome non si tratta di insegnare la disciplina digitale, che andrà insegnata se si fa informatica e se si fanno alcuni corsi, ma si tratta di imparare a utilizzare il digitale nell'insegnamento della propria disciplina, l'unica maniera è la formazione dei docenti disciplinaristi all'utilizzo del digitale. Abbiamo esperienze validissime a livello nazionale nelle scuole del nostro Paese di disciplinaristi economisti, insegnanti di musica, insegnanti di scuola dell'infanzia e insegnanti di scuola alberghiera che, a partire dalla propria disciplina, si sono inoltrati nell'acquisizione delle competenze digitali per curvare l'insegnamento della propria disciplina con l'insegnamento del digitale. Come misureremo queste competenze? Credo che potremo misurare solo con la crescita degli apprendimenti.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Aprea su che cosa sarà fatto con il PNRR, bisogna che la domanda venga posta all'unità di missione appositamente destinata a gestire le risorse del PNRR per il Ministero dell'istruzione. Grazie.

  ANTONELLA IUNTI, direttrice generale dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria (intervento da remoto). Grazie mille. Rifacendomi alle domande dell'onorevole Fusacchia in merito al discorso sui pensionamenti, ricollegandosi a quello che avevo detto io e a come tracciare la sperimentazione, mi permetto di aggiungere qualcosa a quanto detto dal capo dipartimento. Il problema del pensionamento nasce dal discorso della volontarietà. Se si supera il discorso della sperimentazione... Lo so che continuo a parlare di sperimentazione, come molti hanno evidenziato, compresa l'onorevole Aprea, ma in realtà non essendoci una strutturazione delle metodologie didattiche innovative in modo costante e stabile all'interno delle istituzioni scolastiche, tutto quello che si fa rimane ancora come sperimentazione ed è tutto rimesso alla volontarietà. Pertanto, se va via il docente, il concetto di pensione è collegato al discorso della volontarietà. Se si strutturano, anche attraverso la documentazione, questo vuol dire condivisione e vuol dire che anche all'interno della stessa istituzione scolastica il progetto non è rimesso a un solo docente, ma c'è una condivisione. Magari tra gli insegnanti o attraverso una rete, creando buone prassi, la documentazione fa sì che anche se qualcuno va via, ne rimane traccia e si può in qualche modo strutturare. La buona prassi serve per dare avvio a una strutturazione. Questo nasce da un altro passaggio culturale, ovvero che fare sperimentazione seria non vuol dire soltanto applicare qualcosa alla scuola, ma pensare in prospettiva, quindi cambiare un modo di ragionare e di fare scuola.
  Il discorso che è stato fatto della disciplinarizzazione del digitale, rifacendomi alle parole del capo dipartimento, è un po' tornare al discorso di continuare a pensare in modo anacronistico. Il fatto che si disciplinarizzi tutto, vuol dire quello che dicevo prima. Si pensa che la sostituzione del libro con lo strumento informatico o digitale in realtà cambi la metodologia, ma non è quello, è un approccio diverso. Il vero cambiamento nasce con l'accompagnamento del corpo docente a una formazione che va resa innovativa. Anche la formazione del Pag. 19personale docente deve essere stimolante, deve prevedere un coinvolgimento e avere un valore. Come si prospetta attualmente, i docenti non amano un'imposizione della formazione – lo dico in maniera onesta –, però se si cambia approccio anche alla formazione, se la si rende stimolante e coinvolgente e se si incide su quell'aspetto, probabilmente avremmo una possibilità di cambiamento culturale all'interno della scuola.
  L'altra cosa che volevo dire è in riferimento all'onorevole Melicchio quando parlava della Calabria, perché mi riferisco al mio territorio. Quando si dice di non trincerarsi dietro alle difficoltà territoriali per non fare, spero che si sia colto nelle mie parole che bisogna spingere le scuole, perché le scuole possono essere uno strumento di cambiamento per il territorio, consapevoli che non bisogna trincerarsi dietro alle difficoltà. Penso, però, che anche gli altri soggetti istituzionali debbano consentire alla scuola di avere gli strumenti, perché senza quelli, al di là di tutto, molto spesso la buona volontà delle scuole trova dei limiti, delle difficoltà strutturali. Indubbiamente, al di là della buona volontà, ci sono comunque delle difficoltà. Bisogna essere consapevoli che non bisogna trincerarsi e questo è un problema della Calabria, poiché spesso ci giustifichiamo dietro le difficoltà per non fare. Le mie parole non devono essere lette in quel modo, poiché sono convinta che la scuola abbia un suo ruolo e possa fare comunque da volano per il cambiamento del territorio calabrese. Grazie.

  ETTORE ACERRA, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale della Campania (intervento da remoto). Grazie. Cercherò di essere particolarmente breve, perché molte delle tematiche sono state affrontate. Mi permetto di richiamare brevemente quello che diceva il dottor Versari, traendo spunto da quel libricino del 1973. In questo Paese si parla di alcune cose da troppo tempo. Secondo me, almeno per l'esperienza non solo campana, ma anche di altre regioni, quello delle strutture dell'edilizia scolastica è uno dei problemi principali. Per fare un esempio, l'intero comune di Napoli – parlo delle dieci municipalità – non ha un solo ambiente destinato in esclusiva alla mensa per il tempo pieno. Scusatemi l'espressione poco elegante, ma ci si arrangia. Ribadisco che questo deve essere uno dei temi da affrontare. Noi abbiamo un convitato di pietra costituito dal contributo, dalla correlazione e dall'interazione con gli enti locali, ma su questo non torno.
  Ho un'altra cosa brevissima da dire, riprendendo sia quello che ha detto l'onorevole Fusacchia, sia quello che ha detto l'onorevole Aprea quando parlava della scuola del futuro. Probabilmente uno degli aspetti che può favorire l'innovazione didattica in generale, non solo l'innovazione didattica in campo digitale, è una riflessione più approfondita sulla questione della valutazione degli apprendimenti. Alle volte la nostra scuola, a mio parere, non riflette abbastanza su quanto sia importante il processo valutativo che, come dicono le indicazioni nazionali per il primo ciclo, precede, segue e accompagna il processo di insegnamento-apprendimento. A mio parere, su questo aspetto, dovremmo fare dei passi avanti. Faccio l'esempio, ritornando al digitale del registro elettronico e faccio a me stesso una domanda provocatoria. Il registro elettronico in questi anni ha aiutato la valutazione degli apprendimenti? A mio parere, poco. Rischio di essere impopolare e mi scuso con il capo dipartimento; ma se si utilizza il registro elettronico solo come riproduzione, magari più rigida, del registro cartaceo, la cosa non va avanti. Credo che sulla formazione dei docenti e sulle priorità di tutto il sistema scuola una riflessione ancora più approfondita sulla valutazione degli apprendimenti debba essere fatta. Faccio un esempio: nella legge n. 107 del 2015, mentre per il primo ciclo di istruzione c'è una delega completa su valutazione ed esami di Stato, sul secondo ciclo di istruzione c'era solo la delega sugli esami di Stato e questo ha rallentato la riflessione e l'approfondimento sulla valutazione degli apprendimenti. Credo che questo sia uno dei problemi o una delle risorse – mettiamolo in termini di risorse e opportunità – che tutto il sistema scuola, non solo quello della Campania, della Calabria Pag. 20o delle regioni che sono più in ritardo, può avere.
  Faccio un ultimo esempio. Quando è stato predisposto il decreto legislativo n. 61 del 2017 sull'istruzione professionale, è stata fatta una scommessa, ovvero quella di costruire i curricula e i piani di studi in termini di competenze di uscita che non sono correlate alle discipline direttamente, ma sono le discipline che devono partire dalle competenze, sostanzialmente rovesciando una logica che è propria della nostra scuola tradizionale. Se questo tentativo stia riuscendo o meno, non saprei dirlo perché sono trascorsi troppi pochi anni dall'applicazione del decreto legislativo n. 61 e del regolamento attuativo n. 92, ma anche su questo credo che una riflessione il nostro sistema scuola possa e debba farla. Grazie a tutti voi.

  PRESIDENTE. Grazie per i vostri contributi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.