Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 10 aprile 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, ratificata dall'Italia con la legge 11 marzo 1952, n. 153, riconosce che il genocidio ha inflitto gravi perdite all'umanità in tutte le epoche storiche;

    la Sottocommissione per i diritti umani delle Nazioni Unite nel 1973 riconobbe che lo sterminio di oltre un milione e mezzo di armeni nell'impero ottomano avvenuto negli anni 1915-1917 era da considerarsi il primo genocidio del XX secolo, ai sensi della predetta Convenzione;

    più di venti Paesi del mondo hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno;

    il Parlamento europeo, con la «Risoluzione su una soluzione politica del problema armeno», adottata il 18 giugno 1987, riconobbe che i tragici eventi del 1915-1917 occorsi agli armeni nel territorio ottomano costituivano genocidio e ritenne, altresì, che il rifiuto da parte del Governo turco di riconoscere il genocidio commesso dai «Giovani turchi» rappresentava un ostacolo all'adesione della Turchia alla Comunità europea;

    con la risoluzione del 12 marzo 2015, inerente alla «Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2013», in vista del 100° anniversario di detto genocidio, il Parlamento europeo chiese a tutti gli Stati membri di provvedere al suo riconoscimento (paragrafo 77);

    con la risoluzione del 15 aprile 2015 sul centenario del genocidio armeno, il Parlamento europeo, considerando l'importanza di mantenere vivo il ricordo del passato e ritenendo fondamentali verità e memoria per la riconciliazione tra i popoli, invitava nuovamente la Turchia a riconoscere il genocidio armeno, «aprendo così la strada a un'autentica riconciliazione tra il popolo turco e il popolo armeno». Il Parlamento europeo invitava, altresì, Armenia e Turchia «a concentrarsi su un'agenda che metta in primo piano la cooperazione tra i popoli» ed «a procedere alla normalizzazione delle loro relazioni, ratificando e attuando senza condizioni preliminari i protocolli sull'istituzione di relazioni diplomatiche, aprendo la frontiera e migliorando attivamente le proprie relazioni, con particolare riferimento alla cooperazione transfrontaliera e all'integrazione economica»;

    tra i Paesi membri dell'Unione europea hanno dato seguito alla richiesta del Parlamento europeo: Austria, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e lo stesso ha fatto la Svizzera;

    Sua Santità Papa Francesco, il 12 aprile 2015, in occasione di una solenne celebrazione in San Pietro, ricordava il massacro degli armeni perpetrato dall'Impero ottomano ritenuto «il primo genocidio del XX secolo». Il Pontefice richiamava quanto già espresso nel 2001 da Papa Giovanni Paolo II, che, in una dichiarazione congiunta con il Patriarca Karekin II, aveva utilizzato il termine «genocidio» per definire il massacro della popolazione armena avvenuto da parte dell'Impero ottomano a partire dal 1915;

    il riconoscimento e la memoria delle persecuzioni e degli orrori occorsi nel XX secolo deve costituire un monito perenne, affinché il Parlamento sia per sempre baluardo della libertà umana e della dignità della persona secondo i princìpi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica,

impegna il Governo

1) a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale.
(1-00173) «Delmastro Delle Vedove, Mollicone, Frassinetti, Zucconi, Foti».


   La Camera,

   premesso che:

    il diritto alla mensa in ambito scolastico, seppur non direttamente citato dal diritto internazionale e, in particolare, dalla Convenzione dell'Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, è da considerarsi strettamente connesso al diritto alla salute e all'accesso all'istruzione;

    la mensa è un momento educativo, in cui attraverso il cibo si trasmettono importanti valori tra cui l'integrazione, la socializzazione, la prevenzione e l'educazione alimentare. È il momento in cui tutti i bambini devono insieme, nessuno escluso, poter accedere ad un pasto sano, caldo e di qualità;

    il momento del pasto fa parte, infatti, del progetto educativo e – indipendentemente dalle risorse della famiglia – deve essere garantito a tutti i bambini;

    è durante il «tempo mensa» che le scuole devono prestare particolare attenzione per favorire: 1) l'educazione alimentare, con riferimenti all'igiene e alla salute; 2) l'educazione relazionale, con il riconoscimento dei ruoli e delle diversità; 3) l'educazione comportamentale, attraverso la condivisione e il rispetto delle regole. In tal senso, i servizi di ristorazione scolastica, contribuendo a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla salute, all'assistenza e all'istruzione, dovrebbero essere considerati servizi pubblici essenziali;

    l'attuale normativa, che qualifica la mensa come un servizio pubblico a domanda individuale, utilizzato a richiesta dell'utente, porta ogni amministrazione comunale a decidere se e come organizzare il servizio con piena discrezionalità gestionale e compatibilmente con le proprie esigenze di bilancio; cosa che spesso comporta l'attivazione di politiche restrittive che poco hanno a che vedere con le finalità educative dell'offrire una mensa a tutti i bambini e che, sempre più spesso, fanno ricadere sulle loro spalle le difficoltà economiche;

    di contro, la mensa dovrebbe essere riconosciuta come un servizio pubblico essenziale, garantendo così la possibilità a ogni alunno, in qualsiasi comune abiti e qualsiasi sia la condizione economica della famiglia di provenienza, di accedervi con le stesse possibilità;

    con la raccomandazione 2013/112/VE «Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale» del 20 febbraio 2013 la Commissione europea sollecita gli Stati membri a mettere al centro dell'agenda politica il tema dell'infanzia e degli investimenti per combattere la povertà dei bambini, al fine di garantire a tutti di crescere uguali, nonché a utilizzare gli strumenti esistenti in favore dei minori svantaggiati, come il Fondo di aiuti europei agli indigenti, istituito nel 2012, il Programma di distribuzione di frutta e latte nelle scuole, attivo dal 2009, il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo regionale;

    la mensa non è un luogo dove ognuno si limita a mangiare ma, al contrario rappresenta un momento in cui si trasmettono importanti valori tra cui l'integrazione, la socializzazione, la prevenzione. Per tali motivi il suddetto piano prevede tra le azioni per il contrasto della povertà dei bambini e delle famiglie, nell'obiettivo specifico di rafforzare l'influenza del sistema educativo per il contrasto del disagio sociale, un'azione esclusivamente dedicata all'accesso alla mensa scolastica;

    nel corso della scorsa legislatura, i Governi precedenti hanno più volte riconosciuto l'importanza della mensa e la necessità di mettere in campo forme di monitoraggio per verificare sistematicamente se siano garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione con riferimento ai minori e, in particolare, per accertare come gli enti locali garantiscano un servizio refezione;

    il 19 novembre 2013, in occasione della Giornata internazionale dell'infanzia e dell'adolescenza, la Camera dei deputati approvava mozioni di diversi Gruppi contro la povertà minorile. Con quella del Partito Democratico, in particolare, si impegnava il Governo pro tempore a diverse azioni tra le quali l'impegno ad assumere iniziative volte ad evitare che finanziamenti e obiettivi concordati con le regioni e con gli enti locali venissero disattesi, al fine di garantire i diritti di cittadinanza come, ad esempio, il diritto all'istruzione, alla fruizione delle mense e al trasporto scolastico;

    tale orientamento viene in seguito riportato nel IV Piano nazionale infanzia del 2016, per il quale l'alimentazione a scuola è riconosciuta come «fattore cruciale per l'apprendimento, lo sviluppo fisico e la socialità» e diviene ancor più indispensabile per i bambini a rischio di esclusione sociale;

    si verificano – sempre più spesso – casi di esclusione dal servizio mensa dei bambini che provengono da famiglie in condizioni economiche difficili che non riescono a sostenere il costo delle rette;

    anche in caso di morosità della famiglia, il minore non dovrebbe essere escluso da un momento fondamentale per la sua educazione e la sua salute;

    l'esclusione dal servizio è per i presentatori del presente atto di indirizzo una sconfitta educativa importante;

    in Italia oltre 1 milione e 200 mila bambini e ragazzi vivono in povertà assoluta e il doppio in condizioni di povertà relativa. In un contesto simile il servizio di mensa scolastica dovrebbe garantire a tutti i minori almeno un pasto proteico al giorno, aiutando le tante famiglie in difficoltà;

    Save the Children, per il quarto anno consecutivo denuncia, attraverso il rapporto «(Non) Tutti a Mensa», le disparità di accesso al servizio mensa nelle scuole primarie e la mancanza di equità;

    nel rapporto, l'Organizzazione ha analizzato le prassi per le scuole primarie relative alla mensa scolastica in Italia, prendendo in esame 45 comuni capoluogo di provincia con più di 100 mila abitanti valutando l'accesso, le tariffe, agevolazioni ed esenzioni, il trattamento delle famiglie morose e l'eventuale esclusione dei bambini dal servizio. In Italia la refezione scolastica non è riconosciuta come un servizio pubblico essenziale. Perciò, l'erogazione della mensa non si presenta omogenea ed uniforme: a fronte di 13 comuni che offrono il servizio a più del 95 per cento degli alunni (tra questi Milano, Prato, Bologna, Cagliari, Forlì, Monza e Bolzano alla totalità o quasi degli alunni), altri 15 garantiscono l'accesso alla mensa a meno del 40 per cento degli alunni frequentanti le scuole primarie. Ma purtroppo all'interno del panorama esistono anche quei comuni che offrono il servizio mensa a meno del 10 per cento degli alunni, come Siracusa (0,88 per cento), Palermo (2,60 per cento), Catania (6 per cento), Foggia (8 per cento) e Taranto (11 per cento);

    quanto alle tariffe, sono 33 i comuni che prevedono l'esenzione totale legata a qualche tipo di svantaggio sociale, di questi 9 solo su segnalazione e valutazione dei servizi sociali; 5 la prevedono per composizione familiare (in base al numero dei figli). Solo 19 comuni sui 45 esaminati riconoscono un'esenzione alle famiglie in situazione di povertà, sotto una certa soglia Isee. Il comune di Salerno e quello di Vicenza addirittura non prevedono alcun tipo di esenzione. Tutti i comuni presi in esame applicano agevolazioni su base economica, ponendo ognuno una soglia Isee differente; 37 di loro modulano le tariffe a seconda della composizione familiare; 28 comuni sulla base di disagi sociali, perdita del lavoro o segnalazione dei servizi. Tra questi i comuni di Bergamo, Bologna, Padova e Palermo riducono la tariffa per i nuclei familiari con disabilità;

    nei comuni presi in esame, le tariffe massime variano dai 2,5 euro (Perugia) ai 7,2 euro (Ravenna), le tariffe minime passano da 0,30 euro (Palermo) ad un massimo di 6 euro (Rimini). Il risultato di queste differenze è che una famiglia con un figlio in disagio economico (Isee 5.000 euro), sarebbe esentata dal pagamento solo in 10 comuni, mentre tra i restanti commi le tariffe applicate variano da 0,35 euro a pasto di Salerno ai 6 euro di Rimini. In 26 comuni, tra cui quest'ultimo, si garantisce però l'esenzione, e dunque tariffa 0 euro, per le famiglie in condizioni di necessità economiche se segnalate dai servizi sociali. Infine, anche la compartecipazione delle famiglie ai costi è disomogenea: varia da un massimo nei comuni di Bergamo (95 per cento), Forlì (96,7 per cento) a un minimo dichiarato da Reggio Calabria (20 per cento), Cagliari (27,48 per cento), Bari (30 per cento), Napoli (30,75 per cento) e Perugia (35 per cento);

    il quadro che emerge dal monitoraggio mostra una possibile correlazione tra dispersione scolastica, tempo pieno a scuola e presenza del servizio di ristorazione scolastica. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sul numero di bambini che non usufruiscono del servizio mensa in Italia rimangono senza servizio percentuali altissime di alunni in Sicilia (80 per cento), Puglia (73 per cento), Molise (70 per cento), Campania (65 per cento) e Calabria (63 per cento). Il mancato accesso al servizio mensa, superiore al 50 per cento degli alunni in ben 9 regioni italiane, è allarmante: 1 bambino su 2 in queste regioni non ha la possibilità di usufruire del servizio mensa e dunque dell'opportunità che esso richiama in termini non solo nutrizionali, ma anche educativi. L'Italia, infatti, registra una media del 68 per cento delle classi senza tempo pieno, con percentuali superiori all'80 per cento nelle regioni del Sud come Sicilia (91 per cento) e Molise (94 per cento), Campania (85 per cento), Abruzzo e Puglia (84 per cento). Campania, Calabria, Puglia e Sicilia sono dunque ai primi posti per la maggiore percentuale di alunni che non usufruiscono del servizio mensa, del tempo pieno e sono le stesse regioni in cui la dispersione scolastica raggiunge i picchi più alti;

    dal suddetto rapporto è emerso, dunque, che la difficoltà di accesso per le famiglie economicamente meno abbienti è aggravata molto spesso dalla mancata presenza di agevolazioni: 10 comuni su 45 non prevedono un'esenzione specifica garantita per tutti, per reddito, composizione familiare o motivi di carattere sociale. 8 di questi 11 comuni prevedono la possibilità di esenzione solo nei casi di disagio accertato, tramite la segnalazione da parte dei servizi sociali. Le riduzioni tariffarie, invece, sono previste in tutti i comuni, ma i criteri applicati sono disomogenei: 40 comuni su 45 applicano le riduzioni per disagio economico, ponendo ognuno una soglia Isee differente; 35 comuni modulano le tariffe a seconda della composizione familiare; 13 comuni sulla base di disagi sociali o segnalazione dei servizi, mentre 4 comuni riducono la tariffa per i nuclei familiari con disabilità;

    una mensa accessibile a tutti, con un servizio di qualità e uno spazio adeguato, svolge un compito cruciale nella lotta alla povertà, oltre a garantire la possibilità di attivazione del tempo pieno, combattendo efficacemente la dispersione scolastica. Per questo, riconoscere il servizio di refezione scolastica come un servizio pubblico essenziale dovrebbe essere una priorità;

    recenti dati diffusi dai rapporti di enti e associazioni lanciano l'allarme sul continuo divario crescente tra Settentrione e Mezzogiorno in termini di investimenti, carenza di servizi a supporto delle famiglie e lo scarso apporto degli enti locali per quanto riguarda mense, trasporti, sussidi didattici, asili nido;

    l'articolo 1, commi 728 e 729, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, intende incrementare il tempo pieno nella scuola primaria prevedendo l'incremento di soli 2.000 posti aggiuntivi nella scuola primaria;

    mediamente nelle classi non a tempo pieno della scuola primaria operano su ogni classe 1,5 docenti. Invece nelle classi a tempo pieno i docenti sono due. Quindi, per trasformare a tempo pieno tutte le 86.658 classi aperte oggi solo al mattino occorrerebbe aggiungere una mezza unità di personale a classe, circa 43.329 docenti;

    appare, dunque, urgente l'assunzione di responsabilità da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del Ministero della salute, dall'Anci e delle regioni;

    in Francia, nell'ambito del piano nazionale contro la povertà, ha preso il via la sperimentazione della mensa a un euro e delle «colazioni gratuite» nelle scuole. Si tratta di una misura che affronta alle radici la disuguaglianza e che prevede che i comuni committenti ricevano un aiuto di Stato di due euro a pasto, che addebiteranno agli utenti a 1 euro,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative – per quanto di competenza – in collaborazione con gli enti locali, volte a tutelare il diritto alla ristorazione di tutti gli alunni, affinché sia garantita l'equità, la salute dei bambini e il principio di solidarietà;

2) ad adottare iniziative per riconoscere il diritto al servizio di mensa scolastica come un livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e in attuazione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, che sancisce, in particolare, il diritto dei bambini a un'alimentazione sana e adeguata per garantire loro il miglior stato di salute possibile;

3) ad adottare iniziative per riconoscere i servizi di ristorazione scolastica, che costituiscono un momento sociale e di continuità didattica basato sulla condivisione, come parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche attraverso il piano dell'offerta formativa previsto dall'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275 e, in particolare, dell'educazione alimentare di cui all'articolo 1, comma 7, lettera g), della legge 13 luglio 2015, n. 107, ormai nota come riforma della «Buona scuola»;

4) ad assumere iniziative volte – per quanto di competenza – a fornire pasti di elevata qualità nutrizionale, adeguati alle diverse esigenze nutrizionali, psicologiche e relazionali della comunità infantile, e a garantire, in deroga al regime di compartecipazione alla spesa di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 63, l'effettività del diritto universale all'accesso al servizio di mensa per tutti gli alunni delle scuole primarie statali che attivano il tempo pieno, istituendo presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un Fondo per garantire il servizio di ristorazione nella scuola primaria, alle famiglie incapienti;

5) ad assumere iniziative – per quanto di competenza – volte ad avviare un piano assunzionale di almeno 40 mila posti aggiuntivi, rispetto alle previsioni di cui l'articolo 1, commi 728 e 729 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge bilancio 2019), e ad estendere la disponibilità delle strutture e dei servizi, necessari all'ampliamento del tempo pieno.
(1-00174) «Rotta, Delrio, Gribaudo, Carnevali, Enrico Borghi, De Maria, Fiano, Lepri, Morani, Pezzopane, Viscomi, Ascani, De Filippo, Anzaldi, Ciampi, Di Giorgi, Franceschini, Piccoli Nardelli, Prestipino, Rossi, Campana, Ubaldo Pagano, Pini, Rizzo Nervo, Schirò, Siani».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUTTI, FIDANZA e ROTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   l'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) ha recentemente presentato le modalità di «trasferimento dei dati della PA verso il cloud»;

   secondo AgID dal 1° aprile 2019 la pubblica amministrazione può acquisire solo servizi cloud dai cloud service provider qualificati e pubblicati sul «catalogo dei servizi cloud qualificati per la PA», da essa stessa prodotto;

   il citato catalogo è un breve elenco di multinazionali, note nel mercato del cloud, con l'aggiunta di una ristretta oligarchia di società nazionali;

   da questo elenco si evince, ad avviso degli interroganti, come società pubbliche che erogano servizi di information technology (It) per il variegato mondo della pubblica amministrazione, operando in nome e per conto dello Stato, siano sostanzialmente ignorate. Secondo l'AgID, quindi, se un ente locale volesse spostare i propri dati in cloud avvalendosi di strutture pubbliche, non potrebbe farlo;

   il piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione prevede che AgID: 1) si occupi di individuare un insieme di infrastrutture fisiche esistenti di proprietà della pubblica amministrazione che verranno elette a poli strategici stazionali; 2) definisca il percorso della pubblica amministrazione verso il modello cloud, anche attraverso le risorse rese disponibili dai Psn e le risorse messe a disposizione tramite SPC-Cloud; 3) definisca un processo di qualificazione dei Psn; 4) definisca regole e procedure per la qualificazione di altri cloud service provider;

   appare evidente come AgID abbia considerato solo quest'ultimo punto 4) delle sue competenze;

   il citato piano territoriale prevede di razionalizzare, ovvero riqualificare la spesa Ict delle amministrazioni in coerenza con gli obiettivi della legge di bilancio, per cui tutte le pubbliche amministrazioni che dispongono di infrastrutture fisiche in qualsiasi forma contrattuale dovranno partecipare al censimento effettuato da AgID sulla base del quale saranno individuate le infrastrutture fisiche delle pubbliche amministrazioni candidate a ricoprire il ruolo di Psn o classificabili nelle seguenti categorie: gruppo A – Data center di qualità non eleggibili a Psn, oppure con carenze infrastrutturali o organizzative considerate minori; gruppo B – data center che non garantiscono requisiti minimi di affidabilità e sicurezza dal punto di vista infrastrutturale e/o organizzativo, o non garantiscono la continuità dei servizi;

   AgID non sembra, secondo l'interrogante, tenere in considerazione quanto stabilito nel piano triennale –:

   quale sia l'orientamento del Governo in ordine a quanto esposto in premessa;

   quale risposta intenda dare AgID agli erogatori di servizi di information technology (It) per la pubblica amministrazione, che hanno lavorato per sottoporsi al processo di qualificazione previsto, rispetto a quelle che appaiono agli interroganti evidenti e paradossali contraddizioni;

   quale calendario adotterà AgID per la pianificazione dei Psn ignorati;

   quale sia l'orientamento del Governo relativamente alla importante questione della strategicità dei dati delle pubbliche amministrazioni italiane, cioè riguardanti i cittadini e la stessa pubblica amministrazione visto che, seguendo l'atteggiamento, ad avviso degli interroganti miope, di AgID rischiano di finire sotto la gestione dei privati, aprendo a dubbi circa la privacy e la gestione virtuosa in materia di cybersecurity;

   quale sarà il futuro dei poli strategici nazionali.
(5-01903)


   PRISCO, ACQUAROLI e TRANCASSINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 34 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016», ha dettato disposizioni finalizzate «ad assicurare la massima trasparenza nel conferimento degli incarichi di progettazione e direzione dei lavori per la fase della ricostruzione attraverso l'istituzione di un elenco speciale dei professionisti abilitati, denominato “elenco speciale”»;

   i requisiti per l'iscrizione nell'elenco speciale sono stati poi definiti con l'ordinanza 9 gennaio 2017, n. 12, che, all'articolo 4, ha previsto che possano presentare domanda di iscrizione i professionisti rientranti in una delle categorie previste dall'articolo 5, paragrafo §1, lettera G) dell'Allegato «A» dell'ordinanza medesima, e «tutti coloro i quali, nell'ambito dell'attività di ricostruzione sia pubblica che privata, siano chiamati a svolgere prestazioni specialistiche, connesse o comunque afferenti l'attività di progettazione o di direzione lavori, la cui effettuazione richiede obbligatoriamente l'iscrizione in un elenco tenuto da una pubblica amministrazione o da un ente pubblico»;

   l'iscrizione in uno di tali elenchi deve essere attestata nella domanda di iscrizione;

   sono risultati esclusi dalla possibilità di essere inseriti nell'elenco speciale gli archeologi, professionisti che non hanno un albo professionale, ma le cui competenze sono invece obbligatoriamente richieste, ad esempio, durante le fasi di scavo e ricostruzione, per le quali è spesso necessaria sia la relazione di archeologia preventiva sia la presenza di un archeologo professionista;

   il paradosso appare tanto più inspiegabile ove si consideri che gli archeologi a cui è preclusa la possibilità di iscriversi nell'elenco speciale sono quegli stessi professionisti che risaltano invece regolarmente iscritti negli elenchi istituiti presso il Ministero per i beni e le attività culturali, in base al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che ha disposto che gli interventi operativi di tutela, protezione, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali siano affidati alla responsabilità e all'attuazione di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologie applicate ai beni culturali, storici dell'arte;

   la vicenda assume noi contorni discutibili se si considera che, sulla base di segnalazioni giunte all'interrogante, sembra che gli stessi uffici del commissario straordinario suggerirebbero, alle categorie non rappresentate in appositi albi, di inserirsi nell'elenco speciale dichiarando iscrizioni fittizie ad altri albi professionali per bypassare il sistema, contingenza questa espressamente riportata, da uno dei professionisti iscritti, nella propria scheda di iscrizione all'elenco speciale, scheda accessibile a chiunque;

   ad aggravare ulteriormente la circostanza dell'esclusione delle citate categorie, a settembre 2018, per la sola categoria dei restauratori di beni culturali, è stata inserita nell'Elenco speciale la possibilità di specificare l'opzione soggettiva «restauratori di beni culturali», prevedendo solo per tali professionisti, tra quelli accreditati presso il Ministero dei beni e delle attività culturali, la possibilità di iscriversi all'elenco, introducendo una ingiustificata disparità nel riconoscimento della professione –:

   di quali elementi disponga in merito ai fatti esposti in premessa e se corrisponda al vero che gli uffici del commissario straordinario suggeriscano di attestare comunque il possesso dei titoli di cui in premessa per ovviare al problema esposto;

   se del caso, quali urgenti accertamenti intenda promuovere in merito e se, contestualmente, non intenda adottare iniziative per sanare urgentemente tale situazione, dando mandato al commissario straordinario di provvedere a inserire una opzione soggettiva di qualifica professionale per tutte le categorie riconosciute dal codice dei beni culturali e del paesaggio, come già fatto per la categoria dei restauratori.
(5-01905)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETTARIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il sistema di vigilanza previsto dalla Banca centrale europea sugli istituti di credito ha dimostrato, negli ultimi anni, dei risultati non soddisfacenti;

   i singoli Stati membri dell'Unione europea stanno cooperando nell'implementazione dell'Unione bancaria europea;

   recentemente sono tuttavia emerse tutte le falle del sistema del bail-in e, in numerosi articoli di stampa, si apprende che due colossi del sistema bancario tedesco – Duetsche Bank e Commerzbank – avrebbero avviato l’iter per una fusione per evitare il fallimento, con un forte coinvolgimento del Governo tedesco che è azionista al 15,6 per cento della Commerzbank;

   inoltre, il 29 marzo 2019, la Svezia è stata sconvolta dallo scandalo del riciclaggio di denaro da parte della Swedbank. L'attività illecita è venuta alla luce, non da un'indagine della magistratura locale, ma da un'inchiesta del Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti e dalla Sec. Riguarda la più grande operazione di riciclaggio mai registrata in Europa: 135 miliardi di euro. L'accusa è di frode aggravata e di insider trading. Il ceo Bonnesen Swedbank è stata licenziata in seguito alle perquisizioni della polizia nella sede centrale dell'istituto. Non si tratta di una piccola banca che, al fine di poter far quadrare i propri conti, si cimenta in «operazioni border line». Tutt'altro Swedbank è il principale istituto di credito svedese ed è rappresentativo di una realtà molto solida: nei recenti stress test Eba, grazie ai suoi ratio patrimoniali, occupava il terzo posto per «Cet1 – Scenario avverso 2020» sia Fully loaded che Transitional Cet1. Inoltre, nel corso degli ultimi dieci anni, ha registrato una perdita d'esercizio solo nel 2009 (con il Paese in recessione), mentre tra il 2011 e il 2018 gli utili sono praticamente raddoppiati;

   sul tema del riciclaggio nell'Unione europea si è espresso recentemente il Parlamento europeo che rende noto come ci sia preoccupazione per quanto accaduto finora. Consultando la risoluzione del Parlamento europeo del 26 marzo 2019 sui reati finanziari, l'evasione fiscale e l'elusione fiscale (2018/2121 (INI)) – al punto 235 di quest'ultima – si legge: «Osserva con preoccupazione che il caso “Troika Laundromat” ha anche rivelato pubblicamente come 4,6 miliardi di USD provenienti non solo dalla Russia siano passati attraverso banche e imprese europee; sottolinea che al centro dello scandalo c'è la Troika Dialog, già una delle maggiori banche d'investimento private russe, e la rete che potrebbe aver permesso all’élite russa al potere di usare segretamente i proventi illeciti per acquisire azioni di società statali, acquistare beni immobili sia in Russia che all'estero e beni di lusso; deplora inoltre il fatto che diverse banche europee sarebbero state coinvolte in tali operazioni sospette, ovvero Swedbank AB, Nordea Bank Abp, ING Groep NV, Credit Agricole SA, Deutsche Bank AG, KBC Group NV, Raiffeisen Bank International AG, ABN Amro Group NV, Cooperatieve Rabobank U.A. e l'unità olandese di Turkiye Garanti Bankasi A.S.». L'elenco degli istituti di credito coinvolti in questa «deplorevole azione» è ampio –:

   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e quale tipo di presenza abbiano questi istituti di credito nel sistema economico nazionale;

   se il Governo non ritenga doveroso intraprendere iniziative, per quanto di competenza, per implementare e migliorare il sistema di vigilanza bancaria all'interno dell'Unione europea e dell'Unione economica e monetaria.
(4-02702)


   BIGNAMI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da fonti stampa si apprende che il comune di Pieve di Cento (BO) ha destinato una piccola cappella del Cimitero anche per funerali non cattolici;

   al fine di celebrare funerali laici o di altre religioni, vi sarebbe in progetto l'installazione di un sistema motorizzato per oscurare, con dei teli, simulacri e simboli cattolici;

   la scelta appare alquanto singolare, a parere dell'interrogante, in quanto, come ribadito a mezzo stampa dall'amministrazione comunale, le religioni monoteiste prevedono già la sepoltura in appositi cimiteri;

   l'oscurare i simboli cattolici all'interno del cimitero comunale potrebbe, pertanto, apparire come una lesione della dignità dei defunti o dei cittadini che si recano in visita ai propri cari;

   i rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi ai sensi dell'articolo 7 della Costituzione;

   la legge 25 marzo 1985, n. 121, «Modifiche al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929», ribadisce e conferma il valore della cultura religiosa e sancisce che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano –:

   se intenda acquisire elementi conoscitivi in relazione a quanto esposto in premessa;

   se intenda adottare iniziative, dal punto di vista normativo, al fine di tutelare, all'interno dei luoghi sacri quali i cimiteri, la simbologia religiosa del cattolicesimo, riconosciuta ai sensi di legge quale patrimonio storico del popolo italiano.
(4-02704)


   NOBILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 2 aprile 2019 il sindaco di Roma Virginia Raggi, durante la presentazione della tappa romana del mondiale di Formula-E, che si terrà il prossimo 13 aprile 2019, ha annunciato che: «Grazie alla collaborazione con Huawei installeremo nuove telecamere a San Lorenzo e Piazza Vittorio, dopo quelle già presenti al Colosseo. Sempre più tecnologia perché Roma diventi sempre più una città smart»;

   appare dunque nota la volontà dell'amministrazione Raggi di porre San Lorenzo e l'Esquilino – due aree del centro della Capitale – sotto l'occhio attento delle telecamere anti-vandali made in China;

   il presidente di Huawei Italia, Luigi De Vecchis ha dichiarato che: «Le nuove telecamere garantiranno sicurezza a più livelli. Possono essere utilizzate per l'ordine pubblico, come nel caso di episodi di vandalismo su monumenti o opere d'arte, o anche per la tutela ambientale, come per esempio il monitoraggio degli alberi più a rischio»;

   la società cinese Huawei è coinvolta nello sviluppo delle reti italiane, come testimoniano le partnership con Wind-Tre, Vodafone e TIM e una copertura delle loro tecnologie tra il 20 e il 30 per cento delle reti;

   il gruppo risulta essere al centro di rilevanti tensioni ed accuse internazionali circa quanto riportato dagli organi di informazione sulla base di alcuni report dell’intelligence statunitense secondo i quali avrebbe nascosto dei software nelle proprie infrastrutture per consentire al Governo cinese di appropriarsi di dati sensibili trasmessi attraverso le reti;

   in ordine a tale ratio, è opportuno considerare potenzialmente rischioso che 50 telecamere – donate dal colosso cinese al Campidoglio – potranno incrociare i volti registrati con le banche dati della Polizia e potranno avere accesso al riconoscimento dei cittadini romani;

   invero, ai sensi del decreto legislativo n. 196 del 2003, Codice di protezione dei dati personali (codice Privacy), aggiornato l'8 agosto 2018, in modo da adeguare la normativa italiana al regolamento europeo in materia di tutela dei dati personali (GDPR), deve essere garantito erga omnes il diritto alla riservatezza e al trattamento protetto dei dati sensibili,

   inoltre, in base ad un'interpretazione evolutiva degli articoli 2, 14, 15 e 21 della Costituzione italiana, il diritto alla privacy appare ormai ricompreso tra i diritti inviolabili dell'uomo –:

   se siano stati considerati i potenziali rischi derivanti dall'affidamento della videosorveglianza, della sicurezza e del trattamento dei dati sensibili dei cittadini romani al colosso cinese Huawei – attualmente al centro di polemiche e tensioni internazionali circa il suo rapporto con il Governo cinese e circa l'utilizzo dei suoi Software – e se si intenda assumere ogni iniziativa di competenza per garantire la tutela dei dati personali dei cittadini romani.
(4-02716)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con sentenza del 28 febbraio 2018, n. 1229, il Consiglio di Stato ha stabilito che spetta allo Stato, e non alle regioni, individuare i casi e le condizioni in cui un rifiuto può essere considerato «end ofwaste», al termine di un processo di recupero: da allora è passato quasi un anno, ma la normativa nazionale in materia, nonostante le ripetute promesse, non è stata modificata, con evidente limitazione dei progressi sul fronte dell'economia circolare, lasciando presagire — nei casi peggiori — conseguenze anche in termini d'igiene urbana;

   soprattutto il mondo delle imprese del riciclo chiede la definizione di regole «endof waste» non solo nazionali ma anche europee e ciò per evidenti motivi di concorrenza e di mercato;

   la realtà dei fatti dice che, a livello europeo, risultano emanati solo tre regolamenti «end of waste» e, a livello nazionale, solamente due decreti, mentre ne servirebbero decine e, ciò nonostante, resterebbe scoperta tutta l'area dell'ecoinnovazione. Dalla sentenza del Consiglio di Stato è passato un anno e si è praticamente allo stesso punto, a dimostrazione della complessità della materia;

   nel pacchetto di direttive europee sull'economia circolare per l’«end of waste» sono previste tutte e tre le opzioni, ossia criteri nazionali, criteri europei (ove necessari) e il sistema «caso per caso», ossia l’«end of waste» deciso nell'ambito delle autorizzazioni ai singoli impianti, rilasciate dagli organi competenti in base all'ordinamento dello Stato. Questi ultimi, nell'ordinamento nazionale, sono appunto le regioni –:

   se intenda adottare — in attesa della eventuale emanazione di linee guida statali e degli auspicati decreti «end of waste» nazionali — idonee iniziative anche di carattere normativo, volte a consentire alle regioni di rinnovare le autorizzazioni a produrre «end of waste» in scadenza, autorizzando impianti innovativi, destinati diversamente all'estero, con significative perdite per la nostra Nazione sotto ogni profilo.
(5-01892)


   MORGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'Albo nazionale gestori ambientali è stato istituito dal decreto legislativo n. 152 del 2006 in continuità, quanto a funzioni, con l'Albo nazionale gestori rifiuti disciplinato dal decreto legislativo n. 22 del 1997 e istituito ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441;

   l'Albo è articolato in un Comitato nazionale (con sede presso il medesimo Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e in sezioni regionali e provinciali, con sedi presso le camere di commercio dei capoluoghi di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano;

   l'iscrizione all'Albo è una conditio sine qua non per esercitare le attività di gestione di rifiuti come specificate dall'articolo 8 del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 3 giugno 2014, n. 120, fra le quali rientrano quelle di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali, trasporti trasnfrontalieri, intermediazione rifiuti, bonifica siti, distribuzione e installazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Aee);

   nell'ottobre 2017 risultavano iscritte all'Albo ben 156.722 imprese;

   l'iscrizione e il rinnovo dell'iscrizione all'Albo, ai sensi dell'articolo 15, comma 10, del citato decreto ministeriale sono subordinate all'accettazione di una garanzia finanziaria da parte della sezione regionale dell'Albo;

   le sezioni regionali dell'Albo che sono state nominate a gennaio 2014 dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono scadute il 25 gennaio 2019 e hanno continuato ad operare in regime di prorogatio per ulteriori 45 giorni e quindi fino al 10 marzo 2019;

   da tale data vi è una paralisi completa che impedisce alle imprese che hanno ottenuto il provvedimento di iscrizione e/o rinnovo da parte della sezione regionale e hanno presentato la fidejussione richiesta di poter continuare l'attività, in mancanza dell'accettazione della medesima;

   tutto ciò sta comportando gravi danni a numerose imprese con l'evidente rischio di perdita di commesse e di posti di lavoro e di richiesta di risarcimento dei danni provocati dall'inadempienza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   mai, in questi decenni, si era verificata una situazione di inoperatività dell'Albo per mancanza dei decreti di nomina ministeriale delle sezioni regionali, un atto previsto dalla legge e i cui termini erano da sempre noti –:

   quali siano le cause dell'inammissibile ritardo e in quali tempi il Ministro interrogato intenda provvedere a ottemperare all'obbligo di legge e porre fine a una situazione di danno alle imprese che comporta anche il rischio di richieste di risarcimento a carico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
(5-01899)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CUNIAL e RADUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   le risorse idriche superficiali e sotterranee della Valbrenta e del Veneto tutto sono sempre più a rischio;

   la discarica Melagon, in comune di Asiago (così come la Baktall, già dichiarata esaurita), è da tempo al centro di polemiche per il possibile pericolo ambientale, i cui aspetti negativi potrebbero coinvolgere il bacino di Oliera che fornisce l'acqua a gran parte del Veneto e all'Altopiano di Asiago. Nel bacino di Oliera confluiscono, infatti, le precipitazioni assorbite dal terreno montano attraverso le grotte che uniscono l'Altopiano al fondovalle e dal quale un sistema di pompaggio rifornisce d'acqua lo stesso Altopiano; già nel 1998 la Federazione speleologica veneta aveva dato parere negativo relativamente alla conversione dell'area, passata poi da ex cava a discarica per rifiuti solidi urbani;

   la Guardia di finanza, coordinata dalla procura, ha posto sotto sequestro due aree della Safond Martini di Montecchio Precalcino le cui falde sono risultate inquinate da metalli pesanti (cromo, nichel, piombo, cadmio, zinco), mercurio e idrocarburi. Le aree sono ampie rispettivamente 106.000 e 50.000 metri quadrati. I finanzieri hanno accertato che l'area maggiore sarebbe contaminata da idrocarburi e mercurio, sopra la soglia di tolleranza, in zone confinate e limitate, mentre nell'altra area vi sarebbero superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione, in vaste superfici e con volumetria rilevante. Precedentemente nella stessa area era attiva una fonderia che avrebbe sotterrato abusivamente rifiuti speciali pericolosi, compromettendo suolo e sottosuolo, e minando le falde acquifere;

   secondo i dati raccolti da F. B. consulente ambientale già ispettore di Arpav, il comparto delle discariche dismesse nella zona di San Vitale a Montecchio Maggiore potrebbe essere una vera e propria bomba ecologica;

   i rifiuti rinvenuti durante i lavori di realizzazione della Pedemontana veneta nel comune di Montecchio Maggiore fanno pensare a un inquinamento molto più serio di quello conosciuto fino ad oggi;

   secondo quanto sostenuto dall'ex boss della camorra Nunzio Perrella durante un reportage realizzato da Vicenzatoday.it, nel sottosuolo sotto l'oasi di Casale sarebbe stato «sepolto di tutto» e la situazione sarebbe molto più preoccupante di quanto le autorità non abbiano rilevato. E lo stesso sarebbe avvenuto nei campi agricoli di Torri di Quartesolo a ridosso di via Zanella in prossimità della A4;

   nella medesima zona, a cavallo tra le province di Vicenza, Verona e Padova, la falda acquifera più grande d'Europa risulta già irreversibilmente compromessa dai Pfas, a causa degli scarichi della fabbrica Miteni –:

   se e come i Ministri interrogati intendano contribuire, per quanto di competenza, a far luce su questi fatti;

   se i Ministri interrogati intendano verificare, anche promuovendo un intervento del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato ed il livello dell'inquinamento di tali siti e accertarne le cause, collocandole nel tempo, in modo da poter procedere alla messa in sicurezza;

   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di competenza, per salvaguardare l'integrità ambientale e la salute della collettività, considerato che fattori esterni, anche di tipo sismico e di tracimazione in particolare per la discarica Melagon, potrebbero condurre a un potenziale disastro ambientale, inquinando le acque del secondo bacino acquifero più importante d'Europa.
(4-02710)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la zona definita come Delta del Po (che include le province di Venezia, Rovigo e Ravenna) è stata riconosciuta nel «Piano d'azione nazionale per il contrasto agli illeciti contro gli uccelli selvatici» come blackspot per l'attività venatoria illegale, ovvero un'area in cui il fenomeno del bracconaggio risulta particolarmente intenso;

   la caccia agli anatidi nell'area umida più importante ed estesa d'Italia viene praticata nella cosiddetta «acqua libera», all'interno di appostamenti da caccia galleggianti, detti «botti», normalmente accessibili con natanti, e nelle cosiddette «Valli», ovvero aziende faunistiche venatorie, a tutti gli effetti dei fondi chiusi, all'interno delle quali possono cacciare solo persone provviste di licenza, specificatamente invitate dai proprietari delle valli; all'interno di ogni Valle sono autorizzati circa una ventina di appostamenti fissi, dove si esercita la caccia normalmente per un giorno alla settimana;

   secondo il «disciplinare di concessione per le aziende faunistico venatorie vallive della regione Veneto», posto come allegato A della DGR n. 3701 del 20 novembre 2007, tuttora in essere, al punto 6, lettera f), l'accesso alle Valli ai fini di controllo dell'attività venatoria viene realizzato attraverso comunicazione telefonica, quando il cancello sia chiuso: «[Il concessionario deve] garantire agli organi di vigilanza l'agevole e immediato accesso all'Azienda, tutti i giorni di caccia e nell'arco di caccia stabilito dal calendario venatorio, per lo svolgimento dei compiti istituzionali; in particolare: presso l'accesso principale il cancello dovrà rimanere aperto o apribile entro 10 minuti dalla chiamata ad un numero telefonico (cellulare o fisso) che all'uopo deve essere comunicato all'Amministrazione provinciale. Presso gli eventuali accessi secondari risultanti dalla cartografia agli atti dell'Ufficio, o comunque da comunicarsi alla Provincia, sempre nei giorni di caccia e nell'arco dell'orario stabilito dal calendario venatorio regionale, il cancello dovrà essere se non aperto, apribile entro 30 minuti dalla chiamata»;

   è evidente che nessun controllo efficace può venire svolto quando al controllato viene dato un preavviso minimo di 10 minuti;

   considerato quanto sopra, la legge nazionale n. 157 del 1992 che disciplina l'attività venatoria, stabilisce all'articolo 28, comma 1, che i soggetti preposti alla vigilanza venatoria, ai sensi dell'articolo 27, possono chiedere a qualsiasi persona trovata in possesso di armi o arnesi atti alla caccia, in esercizio o in attitudine di caccia, la esibizione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, del tesserino di cui all'articolo 12, comma 12, del contrassegno della polizza di assicurazione nonché della fauna selvatica abbattuta o catturata; non è fatta menzione di preavvisi, telefonate o campanelli interposti fra l'agente accertatore e il controllato, ma anzi proprio per evitare situazioni di caccia non controllabile, l'articolo 15, comma 8, esplicita che «L'esercizio venatorio è vietato a chiunque nei fondi chiusi da muro o da rete metallica o da altra effettiva chiusura, di altezza non inferiore a metri 1,20, o da corsi o specchi d'acqua perenni il cui letto abbia la profondità di almeno metri 1,50 e la larghezza di almeno 3 metri», situazioni che si verificano esattamente in questi termini nelle Valli di caccia –:

   se, sulla base di quanto esposto in premessa, non ritenga di adottare, per quanto di competenza, iniziative volte a disciplinare in modo più stringente l'avviso per «chiamata telefonica» che non appare una modalità sufficiente di controllo dell'attività venatoria nelle aziende venatorie faunistiche vallive;

   anche in base a quanto stabilito dalla legge n. 157 del 1992 in merito alla vigilanza venatoria;

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per rendere efficaci i controlli dell'attività venatoria nel blackspot «Delta del Po».
(4-02712)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   SARRO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   nel centro storico di Napoli, inglobata nell'imponente Palazzo San Giacomo che ospita la sede comunale, sorge la splendida chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, edificata nel XVI secolo;

   il complesso monumentale di proprietà della «Real Arciconfraternita e Monte del Santissimo Sacramento de’ Nobili Spagnoli», antico e prestigioso sodalizio che, con spirito caritatevole, persegue le benemerite finalità dell'istituzione;

   da oltre un anno la Real Arciconfraternita ha promosso una campagna di raccolta fondi tra privati per finanziare interventi manutentivi della Basilica Pontificia la cui realizzazione, ad oggi, ha consentito il recupero di molte delle cappelle presenti nell'edificio sacro, della navata centrale e, soprattutto, delle pregevoli opere d'arte in esse custodite;

   si apprende da articoli di stampa che l'antico pozzo allocato in una corte interna completamente circondata dalle finestre degli uffici di Palazzo San Giacomo, sede del municipio, è divenuto, negli ultimi anni, ricettacolo di rifiuti di ogni sorta (lattine, bicchieri di plastica, vasetti di yogurt, bottiglie e, perfino, assorbenti e altro);

   analogo sversamento incontrollato di rifiuti ha interessato il tetto della Basilica, determinando l'occlusione delle pluviali con inevitabili infiltrazioni;

   la descritta situazione di degrado che rischia di vanificare gli interventi già realizzati all'interno della Basilica, compromette seriamente il definitivo recupero dell'edificio che, viceversa, proprio perché tra i più significativi monumenti della città, merita di essere restituito quanto prima alla fruizione collettiva –:

   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, per garantire l'effettiva preservazione della Basilica di San Giacomo dei Nobili Spagnoli in Napoli, ponendo termine agli indecorosi inconvenienti segnalati, e per consentire quanto prima la definitiva riapertura dell'edificio sacro.
(4-02700)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni, soprattutto dall'inizio della crisi economica del 2008, la realtà socio-economica dell'Appennino bolognese vive una situazione caratterizzata da molteplici difficoltà a livello demografico ed imprenditoriale;

   la progressiva chiusura delle attività commerciali congiuntamente all'elevata pressione fiscale arreca la perdita di una forma e modalità di presidio del territorio e ne riduce sensibilmente l'attrattività per chi volesse investire nelle zone appenniniche;

   un ulteriore elemento di impoverimento del territorio appenninico può indubbiamente scaturire dalla chiusura di uno sportello bancario;

   nella frazione di Silla, ubicata nel comune di Gaggio Montano (Bologna), di recente è stata chiusa da almeno un anno la filiale bancaria di Unicredit;

   la chiusura di una filiale bancaria può comportare il progressivo calo dell'attrattività di un territorio, penalizzando anche il commercio e le attività economiche, le quali vivono già una situazione critica a causa degli affitti elevati e dei problemi di viabilità nelle arterie principali;

   le filiali bancarie, soprattutto in territori molto piccoli, rappresentano un presidio strategico sia per i turisti che per i residenti, in particolare anziani, che hanno in tal modo la possibilità di usufruire di servizi oggi a tutti gli effetti indispensabili –:

   se il Ministro interrogato intenda porre in essere ogni iniziativa di competenza anche di carattere normativo, volta a facilitare l'insediamento di filiali bancarie, anche di piccole banche rurali, nei territori montani come quello della frazione di Silla, nel comune di Gaggio Montano;

   se il Ministro interrogato intenda porre in essere iniziative normative volte a tutelare e a preservare la presenza delle filiali bancarie nelle zone rurali e appenniniche, a maggior ragione se si tratta dell'unico presidio bancario della zona, al fine di evitare l'impoverimento e la perdita di attrattività delle aree montane e marginali.
(4-02706)


   VARCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 29 febbraio 2019 il Ministero dell'economia e delle finanze, dipartimento del tesoro, ha pubblicato un avviso pubblico di manifestazione di interesse per incarichi di consulenza a titolo gratuito sul diritto – nazionale ed europeo – societario, bancario, dei mercati e intermediari finanziari;

   la prevista gratuità del compenso è in aperto contrasto rispetto a quanto disposto dalla normativa vigente e, precisamente, dal regolamento, di cui al decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, così come integrato dal decreto ministeriale 8 marzo 2018, n. 37, recante determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge n. 247 del 31 dicembre 2012 (nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense);

   l'articolo 19-quaterdecies, comma 3, del decreto-legge n. 148 del 16 ottobre 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 172 del 4 dicembre 2017, ha esteso la disciplina dell'equo compenso, di cui all'articolo 13-bis della citata legge n. 247 del 1° dicembre 2012, a enti e pubbliche amministrazioni, in relazione alle prestazioni rese dai professionisti;

   ove un professionista avvocato accettasse questo tipo di incarico contravverrebbe agli articoli 9, 19, 25, 29 e 37 del codice deontologico vigente rischiando le più gravi sanzioni disciplinari;

   all'esito di grandi polemiche sull'avviso in parola, il Ministero dell'economia e delle finanze ha pubblicato una nuova nota, in data 8 marzo 2019, precisando che il bando è rivolto principalmente a personalità del mondo accademico e che «la parola consulenza gratuita pure se richiamata nel bando, non è da intendersi come rapporto di lavoro o fornitura di un servizio professionale che come tale sarebbe regolato dalle procedure del Codice degli Appalti»;

   la precisazione da parte del Ministero non consente, ad avviso dell'interrogante di ritenere superate le criticità che in tanti avevano rilevato, tanto più che la terminologia adoperata nell'avviso appare approssimativa e, comunque, non si rinviene nell'avviso uno specifico appello alle personalità dell'università e della ricerca –:

   come si intenda tutelare i professionisti interessati all'avviso contestato ai quali si richiede di accettare la clausola vessatoria della gratuità del compenso, escludendo quindi anche la corresponsione delle spese vive previste dal decreto ministeriale n. 55 del 2014 e obbligando di fatto il professionista a pagare per lavorare;

   quali iniziative il Governo intenda adottare per regolare d'ora in avanti la materia degli affidamenti a professionisti esterni alla pubblica amministrazione, atteso che il disposto normativo già menzionato non ha trovato, nel caso di specie, pedissequa applicazione nella pubblica amministrazione.
(4-02714)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 1° agosto 2013 è stato emanato dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria pro tempore il provvedimento (P.c.d.) Mobilità a domanda dei ruoli direttivi del Corpo di polizia penitenziaria (protocollo n. GDAP-0279684-2013), che regolamenta, dal punto di vista amministrativo, la procedura di mobilità del personale oggi appartenente alla carriera dei funzionari del Corpo di polizia penitenziaria;

   in data 19 luglio 2018 è stata avviata dall'amministrazione penitenziaria una procedura di mobilità straordinaria a domanda del personale appartenenti ai ruoli direttivi del Corpo di polizia penitenziaria per ricoprire l'incarico di comandante di reparto in quaranta istituti penitenziari privi del titolare e in quattro istituti penali minorili privi del titolare nonché per l'assegnazione a nove centri per la giustizia minorile del dipartimento per la giustizia minorile e di comunità;

   in data 18 ottobre 2018 è stata notificata ai partecipanti all'interpello la graduatoria provvisoria per titoli prevista dall'articolo 6 del citato P.c.d.;

   tra i mesi di novembre 2018 e gennaio 2019 sono stati compiuti tutti i colloqui previsti dal citato P.c.d., all'articolo 16, comma 3, per l'assegnazione degli incarichi di comandante di reparto negli istituti per adulti indicati dall'amministrazione penitenziaria;

   l'amministrazione penitenziaria, a quanto consta all'interrogante, non ha pubblicato la graduatoria definitiva di merito prevista dall'articolo 16 del citato P.c.d.;

   l'amministrazione penitenziaria non ha dato ulteriori comunicazioni circa l'esito della procedura amministrativa avviata dalla medesima, né agli interessati, né alle organizzazioni sindacali del Corpo;

   i partecipanti all'interpello straordinario probabili vincitori del medesimo – funzionari e dirigenti del Corpo – hanno l'interesse a raggiungere le nuove sedi di servizio, sia per ragioni di ricongiungimento familiare, sia per espletamento del periodo di comando utile alla progressione nella carriera. Tale interesse appare meritevole di attenzione e tutela da parte dell'amministrazione penitenziaria, perché incide sull'efficienza del servizio e sul benessere del personale –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione ai fatti esposti in premessa, specie con riferimento al mancato conferimento degli incarichi di comando dei reparti in importanti istituti penitenziari, quali Alessandria (C.R.), Cosenza, Cuneo, Brescia, Saluzzo, Siracusa, Voghera;

   se non ritenga opportuno adoperarsi affinché si concluda celermente la procedura amministrativa straordinaria avviata dall'amministrazione penitenziaria.
(4-02696)


   CONTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   l'ufficio del giudice di pace istituito con la legge n. 374 del 1991, che ne ha disciplinato l'accesso con apposito concorso per titoli e tirocinio semestrale, è sorto come ufficio autonomo con un proprio coordinatore, con competenza di primo grado, in alcune materie, concorrente, in altre esclusiva determinata ex lege (articolo 7 del codice di procedura penale, decreto legislativo n. 274 del 2000, decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni e integrazioni;

   i giudici di pace assegnati all'ufficio non hanno funzione vicaria e sostitutiva del magistrato ordinario, ma sono titolari di ruolo e funzione ex articolo 1 dell'ordinamento giudiziario; sono stati nominati con rapporti a termine, tuttavia successivamente prorogati nel tempo, ben oltre il periodo inizialmente previsto, per sopperire a esigenze stabili dello Stato e, pertanto, attualmente sono di fatto già permanentemente incardinati nel proprio ufficio;

   i giudici di pace sono circa un migliaio e amministrano il 70 per cento del contenzioso;

   la legge n. 57 del 2016 interviene sulla loro condizione, unificando tale figura a quella della magistratura onoraria (Got e Vpo), poi abrogando in buona parte la legge n. 374 del 1991 e riformando il sistema;

   nello specifico, la legge n. 57 del 2016 elimina la figura del coordinatore, sottoponendolo a vigilanza e controllo del presidente del tribunale; abbassa il limite di età del rapporto di servizio a 68 anni; aumenta notevolmente la competenza trasformando, però, il rapporto da full time in part time e diminuendo drasticamente i compensi; conserva, infatti, invariato il sistema di pagamento a cottimo e procede nel contempo all'immissione in servizio di un notevole numero di nuovi giudici; elimina le garanzie del procedimento disciplinare e lascia i giudici di pace privi di previdenza e assistenza; istituisce l'ufficio del processo in cui saranno destinati unitamente a cancellieri e tirocinanti anche i giudici di pace;

   in vari incontri tra rappresentanti del Governo e sindacati, questi ultimi hanno suggerito modifiche normative per ovviare alle criticità della legge n. 57 del 2016, relative principalmente allo status giuridico di questi giudici, che non sono state recepite dal Ministero, con la conseguenza che le ipotesi di riforma proposte non hanno trovato il consenso delle due associazioni (Magip e Coordinamento magistratura di pace) che più specificamente rappresentano giudici di pace;

   in particolare, nelle note sindacali si evidenzia che la nuova normativa sottolinea l'onorarietà e la temporaneità dell'incarico e accentua i caratteri di subordinazione; accentua altresì la disparità di trattamento tra cosiddetti togati e giudici di pace che, pur svolgendo il medesimo lavoro con stesse modalità, restano vincolati all'osservanza di tutti i doveri propri dei togati ma privi delle più elementari tutele;

   negli ultimi 15 mesi, i giudici di pace hanno scioperato 11 volte per 115 giorni con slittamento di milioni di cause; un nuovo sciopero è stato proclamato dalle associazioni citate per il periodo dal 6 al 17 maggio 2019;

   giova ricordare che secondo i dati del Consiglio d'Europa, l'Italia è fanalino di coda in Europa nella risoluzione delle cause civili (occorrono in media 532 giorni per una sentenza di primo grado in campo civile e commerciale, contro una media europea di 237 giorni) e penali (386 giorni per una sentenza di primo grado, contro la media europea di 133 giorni) –:

   se e quali iniziative intenda adottare sui temi esposti in premessa, nello specifico, rivedendo la disciplina dell'ufficio del giudice di pace recata dalla riforma di cui alla legge n. 57 del 2010, ripristinandone l'autonomia e riconoscendo dignità e valore alla funzione e al ruolo dei giudici medesimi.
(4-02703)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GARIGLIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il territorio di Carmagnola (comune che ricade nella città metropolitana di Torino) soffre da anni di un considerevole inquinamento atmosferico, documentato da centraline di rilevazione installate sul territorio dall'Arpa e dalla città Metropolitana, causato dall'elevato volume di traffico in attraversamento che si riversa sulla rete stradale urbana;

   proprio per decongestionare i volumi di traffico e risolvere quindi gravi criticità logistiche, di inquinamento atmosferico, di mobilità sicura ed ambientali che perdurano da circa 20 anni, nel mese di dicembre 2018 è stata sottoscritta una convenzione tra regione Piemonte, la città metropolitana, il comune di Carmagnola e la Società Autostrada dei Fiori per il finanziamento e la realizzazione della variante est di Carmagnola (primo lotto di adduzione all'esistente casello di Carmagnola sulla A6 Torino-Savona), subordinandoli all'aggiornamento dell'atto convenzionale con il concessionario;

   secondo l'accordo tale intervento, del costo complessivo di 8,5 milioni di euro, è stato cofinanziato dalla regione (proprio su indicazione dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ha seguito costantemente l’iter della convenzione) per 500 mila euro, mentre la restante parte è a carico del concessionario. In base a tale convenzione i lavori avrebbero dovuto essere inaugurati entro il 2021;

   secondo quanto si apprende da organi di stampa il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe inviato nel mese di aprile 2019 una nota agli enti interessati dichiarando che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non può procedere alla «sottoscrizione della convenzione» per ragioni tecniche;

   i tavoli tecnici preparatori della convenzione, nei quali erano stati coinvolti funzionari del Ministero stesso, avevano finora dato sempre esito positivo;

   il Ministero ha quindi interrotto unilateralmente, ad avviso dell'interrogante, senza fornire motivazioni plausibili e articolate, l’iter realizzativo di una infrastruttura necessaria per la salute pubblica, la mobilità e la salvaguardia dell'ambiente di un vasto territorio;

   «La città di Carmagnola ha l'assoluta necessità della tangenziale. Non può essere ulteriormente procrastinata nel tempo la sua realizzazione» ha dichiarato il sindaco di Carmagnola, Ivana Gaveglio. «Se la nota inviata dal Ministero delle Infrastrutture — con la quale il Mit dichiara di non poter procedere alla sottoscrizione della Convenzione — individua un dettaglio tecnico — come auspico che sia — sicuramente gli uffici faranno quanto necessario per superarlo. Se invece il problema è politico, verrà portato all'attenzione di tutti gli schieramenti perché davvero quest'opera indispensabile non può essere al servizio né tantomeno essere sacrificata per fini politici» –:

   per quali effettivi e giustificati motivi il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non firmando la convenzione citata in premessa, abbia di fatto bloccato la realizzazione della variante est di Carmagnola e quali iniziative urgenti intenda assumere affinché venga completato in tempi brevi l’iter per la realizzazione di una infrastruttura necessaria per la salute pubblica, la mobilità e la salvaguardia dell'ambiente di un vasto territorio.
(5-01901)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da tempo, come riportano gli organi di informazione, per quanto concerne l'aeroporto Ridolfi di Forlì si registra un conflitto tra la società di gestione e il Governo, con la prima che lamenta ritardi burocratici tali ormai da far svanire la possibilità di riaprire prima dell'estate, e il secondo, rappresentato dal sottosegretario per la giustizia Jacopo Morrone che invece parla di documentazione incompleta presentata da FA Srl;

   il sindaco di Forlì ha inviato una lettera al Governo chiedendo certezze sul presidio dei vigili del fuoco all'aeroporto Ridolfi di Forlì rappresentando al Ministero dell'interno le preoccupazioni della società di gestione FA Srl, in particolare sul presidio del personale anti-incendio;

   il sindaco di Forlì non entrando in alcuno modo nel confronto in atto ha semplicemente rilevato come sia doveroso per il Ministero garantire i tempi e modi per la presenza dei vigili del fuoco, dal momento che non si ha certezza ora che a procedure completate da FA ci sia effettivamente il servizio, che va organizzato e che è presente in altri aeroporti inattivi;

   per il sindaco c'è un'evidente interesse pubblico in merito al servizio dei vigili del fuoco al Ridolfi, in quanto si tratta di una conseguenza del bando indetto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, poiché se il Ministero ha dato l'ok alla ripartenza dell'aeroporto, questo comporta come conseguenza quella di essere dotato di servizi antincendio –:

   se e quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di assicurare la presenza del presidio antincendio del Corpo dei vigili del fuoco presso l'aeroporto Ridolfi di Forlì e se vi siano tempi certi per garantire le condizioni necessarie a una rapida riapertura della struttura aeroportuale.
(5-01898)


   TOPO, MIGLIORE e SIANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'8 gennaio 2019 è stata nominata una commissione di accesso, ai sensi degli articoli 143 e seguenti del decreto legislativo n. 267 del 2000, per verificare l'esistenza di possibili condizionamenti e/o infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella vita amministrativa e politica del comune di Arzano, in provincia di Napoli;

   tuttavia, il 22 febbraio 2019, a seguito delle dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali, si è determinato lo scioglimento anticipato del consiglio comunale di Arzano, eletto nella primavera del 2017, e con decreto prefettizio del 25 marzo 2019 sono state indette le nuove elezioni per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale;

   mentre le elezioni si svolgeranno domenica 26 maggio 2019, la presentazione delle candidature a sindaco e a consigliere comunale andranno necessariamente presentate entro le ore 12 di sabato 27 aprile 2019;

   a parere dell'interrogante, appare assolutamente necessario garantire che l'imminente campagna elettorale possa svolgersi in un clima sereno e soprattutto sgombro da possibili supposizioni sull'esito del delicato compito della commissione d'accesso e sulle sue determinazioni –:

   se la commissione d'accesso abbia concluso i suoi lavori o se abbia avanzato una richiesta di proroga per un supplemento di indagine e, in caso di mancata richiesta di proroga, se il Ministro interrogato non intenda adottare le iniziative di competenza ai fini della trasparenza del confronto elettorale, affinché siano rese note le conclusioni della commissione e le conseguenti determinazioni nel più breve tempo possibile e comunque prima del termine previsto per la presentazione delle liste per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di Arzano.
(5-01906)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni si è diffusa la notizia dell'ipotesi di chiusura del distaccamento di polizia stradale di Casalecchio di Reno (Bologna), in via Bazzanese, un presidio storico presente sul territorio dal 1960;

   a seguito della chiusura si sarebbe inoltre ipotizzato l'accorpamento con un altro ufficio, quello della sottosezione di Bologna in via del Lavoro, che ha competenze in materia autostradale, con il risultato di una competenza «mista» e con il rischio che i carichi di lavoro per l'A1 e l'A14 possano completamente assorbire le potenzialità dell'ufficio, stravolgendo gli obiettivi per i quali il distaccamento di via Bazzanese era nato;

   sono comprensibili i timori della popolazione che vorrebbe, invece, veder aumentare i presidi delle forze dell'ordine e le unità presenti sul territorio, dato l'aumento di episodi di criminalità comune, come furti e rapine –:

   se l'ipotesi di chiusura del distaccamento di polizia stradale di Casalecchio di Reno sia confermata, unitamente a quella del suo accorpamento con l'ufficio della sottosezione di via del Lavoro;

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per potenziare i presidi delle forze dell'ordine sul territorio di Casalecchio di Reno, anche in termini di unità operative, scongiurando chiusure di uffici strategici come quello di via Bazzanese.
(4-02697)


   NESCI, SAPIA, PARENTELA e D'IPPOLITO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-16060 del 27 marzo 2017, si rappresentava che, nel gennaio 2017, Pietro Dattilo iniziò ad Amantea (Cosenza) l'attività da revisore dei conti municipali, prendendo cognizione, per quanto apparso in un articolo del gennaio 2017 sulla testata web «Tirreno news», «delle riserve poste dalla Corte dei conti sui bilanci consuntivi del 2011-2012», in cui si legge – a pagina 5 – di uno stato di «deficitarietà strutturale», che il ripetuto e ampio ricorso all'anticipazione di cassa «rivela una situazione patologica che deve essere affrontata e risolta senza indugio e che non può protrarsi a tempo indeterminato» e che, «anche in sede di controllo sui rendiconti 2008 e 2009, sono emerse criticità in merito al riconoscimento di ingenti debiti fuori bilancio dal parte del Comune» amanteano, per il quale, con successiva deliberazione commissariale, è stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario;

   tali accertamenti della Corte rivelano una gestione nebulosa, anche per quanto riguarda il personale, si legge a pagina 17 della relativa deliberazione n. 293/2012;

   nella citata interrogazione si riassumeva che, da atti della regione Calabria e del comune di Amantea, risultano, rispettivamente, liquidazioni e pareri favorevoli per attività di volontariato dell'associazione «Il sorriso», colpita da informazione antimafia che ne ipotizza possibili condizionamenti mafiosi e influenze di Franco La Rupa, già sindaco di Amantea, su cui il provvedimento riporta un quadro indiziario di suggellato rapporto con l'organizzazione criminale;

   in un articolo del 17 ottobre 2018, apparso sulla testata on lineCorriere della Calabria, si riferisce di sei sequestri di beni per un valore totale di oltre 14 milioni di euro, 9 dei quali sarebbero riconducibili all'ex consigliere regionale ed ex sindaco di Amantea Franco La Rupa, condannato per scambio elettorale politico-mafioso;

   le suddette misure patrimoniali hanno riguardato complessivamente sedici persone, tra esponenti di spicco e soggetti considerati contigui alle cosche di ’ndrangheta dei Cerra-Torcasio-Gualtieri e dei Giampà di Lamezia Terme, ai Gallace-Gallelli di Guardavalle e agli Anello di Filadelfia;

   nel giugno 2017, il consigliere comunale di Amantea, Marcello Socievole, fu arrestato, nell'ambito di un'inchiesta della procura di Paola che ottenne la stessa misura cautelare per lo stesso La Rupa, per voto di scambio, tentata estorsione e tentata violenza privata, sicché il sindaco Mario Pizzino gli ritirò la delega speciale ai fondi comunitari, alle energie rinnovabili, ai mercati e alle infrastrutture sportive, che gli aveva affidato;

   in un corposo dossier – predisposto dalle consigliere comunali di Amantea del Movimento 5 Stelle, Francesca Menichino e Francesca Sicoli, e trasmesso alla prefettura di Cosenza in data 22 agosto 2017 – sulle difficoltà di bilancio del comune di Amantea, pure contenente elementi sui rapporti politici locali, emerge, stando a un appello elettorale ivi contenuto, che la «Lista Azzurra» a sostegno del candidato sindaco Mario Pizzino, attuale primo cittadino del comune di Amantea, fu ispirata dal suddetto La Rupa, il che appare confermato da ricostruzioni giornalistiche presenti nello stesso dossier;

   stando agli elementi qui riassunti e alla luce dei provvedimenti riguardanti il La Rupa, a giudizio degli interroganti appare urgente verificare, tramite accesso ex articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, se sussistano elementi tali da valutare lo scioglimento dell'ente per eventuali infiltrazioni mafiose –:

   se il Governo non intenda promuovere d'urgenza l'accesso al comune di Amantea ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e apposite verifiche, per quanto di competenza, sulla situazione finanziaria dell'ente, alla luce del dissesto in atto.
(4-02698)


   GALIZIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 24 marzo 2019 si è tenuta la competizione podistica denominata «Stramilano» che ha interessato la città di Milano;

   secondo quanto riportato dalla stampa all'evento sportivo avrebbero preso parte circa 60.000 corridori;

   il quotidiano «Il Giorno — Milano» in data 25 marzo 2019 ha dato notizia, documentando con foto e video, di alcune criticità in merito alla sicurezza dell'evento. In particolare, è stato riferito che molte intersezioni/varchi stradali non erano presidiati da forze dell'ordine, essendo state apposte solo transenne, le quali sono state facilmente aggirate dagli automobilisti; è stato, inoltre, provato che in alcuni punti il flusso veicolare ha intersecato la maratona, costituendo un chiaro pericolo per i partecipanti all'evento, e in un caso una ragazza è stata investita da un motociclo; in ultimo, è stato comunicato che in alcune intersezioni stradali, in luogo delle forze dell'ordine, erano presenti dei meri addetti alle segnalazioni aggiuntive, senza la contestuale presenza di operatori di polizia stradale, e ciò ha comportato una riduzione degli standard di sicurezza, in considerazione della mancanza in capo a tali addetti, dell'esperienza e della professionalità degli organi di polizia stradale preposti alla regolazione della viabilità –:

   se il Ministro interrogato sia informato sui citati accadimenti e quali iniziative intenda adottare per evitare che tali fatti si ripetano, considerato che la città di Milano nel corso dell'anno è interessata in numerose occasioni da simili eventi, nonché per scongiurare che la mancanza di presidio da parte delle forze dell'ordine in alcuni punti della manifestazione possa determinare per i suoi partecipanti un ulteriore e grave pericolo di altra natura, nella malaugurata ipotesi che vi siano dei malintenzionati alla guida di veicoli.
(4-02705)


   TRANCASSINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel campo nomadi di via Salviati a Roma si assiste ormai da tempo alla commissione di reati, quali ricettazione, riciclaggio, spaccio, riduzione in schiavitù dei bambini, prostituzione e, all'interno dello stesso, si verificano con grandissima frequenza roghi tossici, che avvelenano l'aria a tutto danno dei residenti della zona;

   nel campo, inoltre, sono stati arrestati alcuni latitanti che ivi si nascondevano dalle forze di polizia, e anche i recenti episodi della morte della giovane cinese e del rogo del camper di Centocelle sarebbero tutti riconducibili a questo insediamento;

   il Ministro dell'interno si è recato almeno due volte presso tale campo nomadi, nel maggio del 2016 e nel marzo del 2018, occasione nella quale, con riferimento alla situazione del campo, ha dichiarato «qui di regolare non c'è nulla»;

   se un campo è abusivo va sgomberato, mentre se è regolare ma, come nel caso di quello di via Salviati a Tor Sapienza, al suo interno si verifica la frequente commissione di reati, va chiuso per motivi di ordine pubblico;

   purtroppo, tanto il sindaco Raggi, quanto la maggioranza politica che governa anche il municipio di competenza, non hanno sinora adottato alcuna concreta iniziativa contro la dilagante illegalità nel campo e a tutela dei residenti, posto che l'invio di un presidio esterno di militari non ha bloccato il proliferare dei roghi, che, anzi, si teme che con l'arrivo della stagione calda si aggraverà ulteriormente, sia in termini di frequenza sia, di conseguenza, per il danno alla salubrità dell'aria nella zona;

   nella Capitale continuano a proliferare non solo insediamenti abusivi di nomadi e immigrati irregolari ma anche luoghi di culto islamico adibiti a tale finalità senza alcuna autorizzazione e all'interno di locali non idonei, in spregio alle più elementari norme di sicurezza –:

   se sia informato dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di adottare con urgenza ogni iniziativa di competenza per sgomberare i campi abusivi e ripristinare la legalità all'interno di quelli regolari, nonché per contrastare il dilagare delle moschee abusive.
(4-02709)


   BORDONALI, CECCHETTI, MORELLI e IEZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la Stramilano è una manifestazione podistica ideata nel 1972 da Renato Cepparo, che si tiene a Milano con cadenza annuale nella stagione primaverile;

   per il 2019 l'evento si è svolto il 24 marzo; e, secondo quanto riportato a mezzo stampa, a tale evento sportivo avrebbero partecipato circa 60.000 runners;

   nella notizia riportata dal quotidiano Il Giorno edizione di Milano del 25 marzo 2019 corredata anche da diverse fotografie, si evidenziavano criticità relative alla sicurezza dell'evento;

   nello specifico sembra che alcuni varchi stradali non fossero presidiati dalle forze dell'ordine, bensì erano solamente delimitati da transenne, peraltro facilmente eluse dagli automobilisti, in alcuni punti addirittura interferendo con la maratona stessa rappresentando un concreto pericolo per i runners;

   sempre l'articolo di stampa citato riferisce di una ragazza investita da un motociclo;

   la mancanza degli organi di polizia stradale ha indubbiamente costituito una riduzione degli standard di sicurezza, attesa l'esperienza e la professionalità che li contraddistingue nella gestione della viabilità –:

   se e di quali elementi il Ministro interrogato disponga in merito ai fatti riportati in premessa;

   se e quali iniziative di competenza, qualora gli episodi riportati trovassero conferma, il Ministro intenda adottare per garantire, in città come Milano, interessata da diversi eventi simili nel corso dell'anno, l'incolumità e la sicurezza delle persone che partecipano a manifestazioni di rilievo.
(4-02715)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRESTIPINO, FRAGOMELI, FERRI, MICELI, PAGANI, UBALDO PAGANO, PIZZETTI, FASSINO, GAVINO MANCA e SERRACCHIANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nella giornata dell'8 aprile 2019 gli organi di informazione hanno riportato la notizia di una bambina costretta a mangiare il contenuto di una scatoletta di tonno e di un pacchetto di cracker nella mensa scolastica di una scuola elementare in provincia di Verona, poiché i genitori non risultano in regola con il pagamento dei buoni pasto;

   tale episodio ha portato alla evidente discriminazione della bambina, che si è vista servire un pasto diverso e dal minore apporto nutrizionale rispetto agli altri bambini che frequentano la sua scuola ed erano presenti a mensa;

   ciò pare essere accaduto anche per scelta dell'amministrazione del comune di Minerbe, dove si trova la scuola elementare interessata;

   situazioni come quella descritta, già accadute nel recente passato, provocano un grave turbamento in tutti i bambini presenti e sono contrarie al diritto alla dignità che deve essere garantito ed insegnato come valore ad ogni bambino;

   oltre al grave squilibrio alimentare causato ai bambini esclusi dal servizio delle mense scolastiche, obbligati a consumare un pasto freddo e insufficiente, casi simili contrastano con i diritti civili e sociali e con le finalità generali dell'istruzione;

   la sempre più frequente povertà minorile non può essere ragione di discriminazione ed emarginazione, violando l'articolo 3 della Costituzione e l'articolo 3 della Convenzione dell'Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989, ratificata dall'Italia nel 1991, secondo la quale «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»;

   le situazioni di difficoltà economica non devono essere di ostacolo agli obiettivi educativi e di sviluppo del senso di solidarietà sociale, che appartengono all'istituzione scolastica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e sia in possesso di dati precisi sul grave fenomeno dell'esclusione dei minori dai servizi delle mense scolastiche;

   se non ritenga opportuno promuovere un monitoraggio dei servizi di mensa scolastica, per fare sì che essi vengano garantiti a tutti ed in modo uniforme;

   se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per tutelare, in caso di povertà, i bambini che frequentano la scuola dell'obbligo e prevenire forme di umiliazione come quella illustrata in premessa.
(5-01893)


   TESTAMENTO, LATTANZIO, NITTI, MARZANA, MELICCHIO, VILLANI, MARIANI e FRATE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica del 3 novembre 1999, n. 509, sono stati introdotti nell'ordinamento universitario il corso di laurea triennale in «scienze del turismo (ora denominato L 15)» e la laurea di secondo livello in «progettazione e gestione dei sistemi turistici (LM 49)». I laureati in progettazione e gestione dei sistemi turistici acquisiscono competenze nella gestione di prodotti e servizi turistici, nella pianificazione delle strategie turistico-culturali di una destinazione turistica, nella gestione delle imprese turistiche al fine di integrare le aziende ricettive con i servizi culturali e ambientali e nella promozione, commercializzazione e gestione di prodotti turistici anche con l'ausilio delle nuove tecnologie multimediali;

   nonostante nei concorsi pubblici vengano richieste competenze corrispondenti a quelle acquisite dai laureati delle classi di laurea L15 e LM49, risulta agli interroganti che in molte situazioni non ci sia il riconoscimento dei due sopra citati corsi di laurea nell'ambito dei bandi di assunzione delle pubbliche amministrazioni, impedendo di fatto a molti laureati, giovani e meno giovani, di poter concorrere a posizioni lavorative idonee alla preparazione e competenze da loro acquisite;

   il problema si presenta anche per l'accesso all'insegnamento nelle scuole secondarie, perché nel decreto ministeriale n. 22 del 5 febbraio 2005, riportante l'elenco delle lauree ammesse all'insegnamento, le classi di lauree L15 e LM49 non compaiono;

   la mancata equipollenza dei sopra citati corsi di laurea impedisce a molti laureati di poter intraprendere carriere lavorative inerenti al corso di studi, costringendoli ad accettare le più disparate offerte di lavoro, anche nell'ambito turistico, per le quali non è necessaria una preparazione uguale a quella, invece, garantita da chi ha frequentato i corsi di laurea L15 e LM49 –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative di competenza per prevedere all'equiparazione dei corsi di laurea L15 e LM49, al fine di consentire la partecipazione ai concorsi pubblici anche a coloro che hanno conseguito la laurea in «scienze del turismo» e «progettazione e gestione dei sistemi turistici»;

   se e quando intenda procedere all'aggiornamento dell'allegato A del decreto ministeriale n. 22 del 2005 consentendo anche ai laureati di cui sopra di poter accedere all'insegnamento.
(5-01897)


   GAGLIARDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 18 ottobre 2018 si è svolta la prova scritta del corso-concorso nazionale per titoli ed esami finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali bandito con decreto del direttore generale n. 1259 del 23 novembre 2017;

   l'elenco degli ammessi a sostenere tale prova è stato reso pubblico con decreto del direttore n. 1134 del 24 luglio 2018, peraltro in violazione con l'articolo 5 dello stesso decreto del direttore che ammette la possibilità di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni per i soli vizi di legittimità, ovvero ricorso giurisdizionale al T.A.R. Lazio entro 60 giorni decorrenti dalla pubblicazione sul sito internet del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   sono molte le irregolarità denunciate dai candidati in merito alle modalità di svolgimento della prova: la prova non sarebbe stata unica e non si sarebbe svolta in contemporanea su tutto il territorio nazionale, sia per quanto riguarda il giorno che l'orario di inizio, non rispettandosi in tal modo lo stesso bando di indizione; il regolamento è stato modificato nel corso delle fasi concorsuali; sono state assunte condotte diverse in merito alla possibilità di consultare i testi di legge, cosicché in alcune regioni gli uffici scolastici regionali hanno dato indicazioni precise in merito, mentre in altre è stata lasciata la decisione all'iniziativa degli addetti alla vigilanza; le dotazioni informatica delle scuole sedi delle prove non sarebbero state adeguate alle tipologie di quesiti in relazione al tempo necessario per risolverli a causa dell'obsolescenza e del cattivo funzionamento (caduta di connessione, tastiere malfunzionanti);

   in particolare, tra le prove d'esame svolte il 18 ottobre 2018 e quelle che si sono svolte il 13 dicembre 2018 non c'è stata alcuna modifica dei quadri di riferimento e dei testi di lingua straniera utilizzati per l'esame, con evidente disparità tra i candidati che hanno sostenuto la prova prima, sia in termini di tempi di preparazione alla prova che in termini di maggiori possibilità di conoscenza dei contenuti;

   il Codacons ha lanciato un ricorso al Tar del Lazio finalizzato a impugnare il decreto del direttore generale n. 395 del 27 marzo 2019 con il quale è stato pubblicato l'elenco nominativo dei candidati ammessi alla prova orale –:

   se il Ministro interrogato intenda verificare sollecitamente la presenza di eventuali irregolarità nello svolgimento dell'esame sopracitato nonché, alla luce dei princìpi di massima trasparenza dell'azione amministrativa, se intenda procedere:

    alla pubblicazione dei dati relativi alla percentuale di ammessi per ciascuna commissione;

    alla pubblicazione della percentuale di ammessi di ciascuna commissione per ogni settimana di correzione;

    all'avvio di un'attività di verifica delle operazioni di correzione, nominando una nuova commissione che proceda ad una nuova correzione dei compiti;

    a una verifica dell'abbinamento codice-candidato.
(5-01904)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da fonti stampa si apprende di almeno due recenti episodi occorsi in due scuole di Bologna e provincia nelle quali in due diverse occasioni, è stata fatta cantare e ballare «Bella ciao» ai bambini;

   il primo episodio si è verificato in un asilo nido comunale di Bologna: un genitore ha raccontato di essersi recato a prendere il figlio all'asilo e di essere rimasto interdetto nel sentire «Bella ciao» da uno stereo. I bambini avevano infatti cantato e ballato sulle note della canzone dopo aver mangiato;

   in una scuola elementare di Castel San Pietro Terme (BO), invece, «Bella ciao» è stata cantata all'inaugurazione della mensa prima dell'inno nazionale. Anche in questo caso si sono registrate diverse proteste da parte dei genitori;

   il canto «Bella ciao» è di fatto un canto di guerra, fortemente divisivo ed espressione, a parere dell'interrogante, di una lettura storica a senso unico. Il fatto che sia divisivo è testimoniato dalle diverse proteste dei genitori in relazione ai fatti accaduti e dalle numerose segnalazioni giunte anche all'interrogante;

   il canto, evidentemente di natura politica, non dovrebbe pertanto, a parere dell'interrogante, entrare in alcun modo nelle classi scolastiche se non altro perché la politica stessa dovrebbe restare fuori dalla scuola. Non necessita di commenti, invece, il fatto che «Bella ciao» sia stata cantata addirittura prima dell'inno nazionale –:

   se intenda acquisire elementi conoscitivi in relazione a quanto esposto in premessa, valutando l'adozione di eventuali iniziative di competenza al riguardo;

   se intenda adottare iniziative – dal punto di visto normativo o, se non sussistano i presupposti, con una circolare specifica – al fine di evitare che la scuola diventi, direttamente o indirettamente, luogo di propaganda politica.
(4-02707)


   MURONI e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   una bambina davanti a suoi compagni di scuola che mangiavano il normale pasto, si è vista arrivare una scatoletta di tonno e un pacchetto di cracker: un provvedimento preso da gestori della mensa e dal comune dopo che i suoi genitori non erano stati in grado di pagare regolarmente la retta;

   l'episodio è accaduto nei giorni scorsi alla scuola elementare «Giacomo Zanella» di Minerbe, paese in provincia di Verona, a un'alunna figlia di una famiglia straniera. Primo a raccontarlo il quotidiano «L'Arena», riferendo anche che la piccola, umiliata da quanto accaduto sotto gli occhi dei compagni, è scoppiata a piangere;

   era stata proprio l'amministrazione comunale a decidere, dopo numerosi solleciti al pagamento verso la famiglia. «Non intendiamo ovviamente discriminare nessuno e i bambini non sono stati lasciati senza pasto, ma siamo arrivati a decine di persone che non pagavano e dovevamo far qualcosa», questo quanto affermano dal comune di Minerbe;

   sempre secondo il quotidiano L'Arena, non sarebbe nemmeno la prima volta: casi del genere sarebbero avvenuti anche alla fine dello scorso anno. «Qualche volta è capitato che le insegnanti rinunciassero al proprio pasto per darlo ai bambini indigenti», ha confidato una maestra al giornale, come riportato in un articolo pubblicato dal «Il Fatto Quotidiano»;

   l'amministrazione comunale, però, non rinnega la sua scelta. Il vicesindaco con delega alle politiche famigliari, si è detto «umanamente dispiaciuto per quanto accaduto» e ha giustificato l'episodio come «un caso limite». Una motivazione, a giudizio degli interroganti, del tutto indecente; se l'amministrazione comunale intende colpire eventuali furbetti, metta in atto le procedure per rivalersi eventualmente sui genitori e non sui bambini;

   questo episodio è ancora più grave, perché la frequentazione della mensa crea un momento di socializzazione importante che aumenta il senso di appartenenza dei bambini a una comunità fondamentale qual è quella scolastica, compromettendo la caratteristica di equità, uguaglianza e solidarietà che deve avere il sistema scolastico;

   a tal proposito si ricorda che nel rapporto dell'Istat 2016, luglio 2017, si evidenzia che nel nostro Paese la povertà dei bambini è una vera emergenza: sono 1.292.000 i bambini che vivono in condizione di povertà assoluta: 1 minore su 8. Sono 161.000 in più (+14 per cento) rispetto alleino precedente. Le famiglie con figli minori in povertà assoluta sono quadruplicate: la loro incidenza sul totale delle persone colpite da povertà assoluta è passata dal 2,4 per cento (2007) al 9,9 per cento (2016). I minori in povertà relativa: sono 2.297.000 nel 2016 e rappresentano il 22,3 per cento della popolazione in questa condizione (20,2 per cento nel 2015) –:

   se, non ritengano opportuno assumere tutte le iniziative necessarie, per quanto di competenza, per acquisire un quadro dettagliato della vicenda di cui in premessa e per individuare una soluzione univoca e definitiva a una problematica che investe i minori in condizioni di grave indigenza, garantendo loro il diritto alla mensa scolastica gratuita, anche alla luce dei dati sopra riportati, che indicano come molte famiglie non possono neppure offrire ai propri figli pasti adeguati, in quanto componenti di famiglie in povertà assoluta.
(4-02708)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   a novembre 2018 il signor Jonathan Trupia è stato condannato a otto anni di reclusioni con rito abbreviato per abusi sessuali su 26 minori consumati nella sua veste di insegnante di inglese presso la scuola dell'infanzia «Casa dei Bambini» di Largo Bastia n. 1 per lavoratrici della Banca d'Italia e gestita dall'Opera nazionale Montessori;

   incredibilmente il signor Jonathan Trupia, originario della Tanzania, era stato assunto presso l'istituto scolastico dell'opera Montessori sulla base di un solo certificato di abilitazione all'insegnamento della lingua inglese rilasciato a seguito di un corso intensivo svolto in istituto privato in Pukhet (Thailandia) e nonostante fosse privo di una laurea;

   i genitori hanno lamentato le modalità di reclutamento del signor Trupia;

   sono state presentate ulteriori 18 denunce per abusi sessuali da parte di altri genitori che hanno ricevuto altrettante propalazioni da parte dei figli minori;

   a quanto consta all'interrogante, il signor Trupia era stato già «arruolato» dall'O.n.m. nella gestione dell'asilo presso la Farnesina, chiuso per «ristrutturazione» pochi mesi prima dell'assunzione del predetto presso l'asilo della Banca d'Italia;

   l'interrogante ha già presentato un'interrogazione sui motivi della chiusura dell'asilo della Farnesina gestito dall'Opera nazionale Montessori e sul fatto che fosse prevista la copresenza di insegnati, secondo le migliori pratiche;

   la conferma dell'incarico al «maestro» Trupia nell'altro asilo sopra richiamato e le sue scarne credenziali non possono che destare perplessità;

   l'articolo 1 dello Statuto dell'O.n.m. prevede che la stessa ricerca e cura rapporti e contatti con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

   ai sensi dell'articolo 2 dello Statuto dell'O.n.m. che è eretta in ente morale con regio decreto e dotata di personalità giuridica, è sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   ai sensi della legge 3 marzo 1983 e successive modificazioni, l'O.n.m. riceve un contributo statale ed è sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   ai sensi dell'articolo 14 del medesimo statuto, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nominano due membri del consiglio direttivo dell'O.n.m.;

   l'O.n.m. cura e redige una relazione annuale indirizzandola al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:

   se, nella relazione annuale relativa all'anno 2017, l'O.n.m. abbia tempestivamente e debitamente segnalato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca i gravissimi fatti accaduti nella scuola dell'infanzia «Casa dei Bambini»;

   se, nella relazione annuale relativa all'anno 2018, l'O.n.m. abbia tempestivamente e debitamente segnalato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la condanna emessa a carico di Trupia per violenza sessuale commessa ai danni dei minori della «Casa, dei Bambini»;

   se nelle relazioni annuali l'O.n.m. abbia segnalato, sempre in relazione al signor Trupia, eventuali problematiche nella gestione dell'asilo della Farnesina;

   se il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia posto in essere gli accertamenti disposti dalla legge e volti a riscontrare la sussistenza e la permanenza dei requisiti in capo alla scuola paritaria dell'infanzia «Casa dei Bambini» gestita dall'O.n.m.;

   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca fosse a conoscenza dell'assunzione del signor Trupia e della conduzione da parte dello stesso di corsi di inglese, pur avendo conseguito un'abilitazione all'insegnamento di dubbia idoneità;

   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sappia quali funzioni svolgesse il signor Trupia presso l'asilo della Farnesina;

   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per l'ipotesi che fosse stato portato a conoscenza dei gravissimi fatti di cui alla presente interrogazione, abbia assunto iniziative «di tipo sanzionatorio» in relazione alla convenzione in essere con l'O.n.m. e relativa alla «Casa dei Bambini» ed in relazione al riconoscimento della stessa quale scuola paritaria disposto con decreto ministeriale n. 9352/1 ai sensi e per gli effetti della legge n. 62 del 2000.
(4-02713)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   FATUZZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, reca disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni. In particolare, l'articolo 14 reca disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi, meglio nota come «quota 100»;

   la misura sperimentale, valida solo per il triennio 2019-2021, permette l'accesso anticipato al trattamento previdenziale secondo la combinazione del requisito contributivo e di quello anagrafico;

   con messaggio del direttore generale dell'Inps, n. 1008 dell'11 marzo 2019, è stato disposto che «esclusivamente per le pensioni quota 100 con decorrenza 1° aprile 2019, atteso il meccanismo della prima finestra utile, si ritiene opportuno consentire in via straordinaria di procedere alla liquidazione provvisoria sulla base delle dichiarazioni di cessazione contenute nella domanda, al ricorrere dei prescritti requisiti»;

   come pubblicato su diversi organi di informazione a livello nazionale l'Inps avrebbe sostanzialmente indicato una corsia preferenziale per la liquidazione delle pensioni cosiddetta «quota 100», introducendo una doppia giornata per il pagamento degli assegni (il 1° e il 7 aprile) e prevedendo misure premiali per i dipendenti dell'Istituto che evadono più velocemente le richieste di prepensionamento;

   tale percorso facilitato, se non propriamente incentivato, alla lavorazione delle richieste di pensionamento «quota 100» secondo alcuni commentatori avrebbe un diretto effetto «imbuto», cioè un effetto di notevole rallentamento nella lavorazione da parte degli uffici dell'Inps delle pratiche e delle richieste che sono pervenute e perverranno al di fuori della sperimentazione contenuta nel richiamato decreto-legge n. 4 del 2019 –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della ratio alla base della decisione assunta dai vertici dell'Inps nel messaggio di cui in premessa;

   come si spieghi la discriminazione operata dall'Istituto nazionale per la previdenza sociale nel trattare le richieste di pensionamento «quota 100» a discapito delle richieste di pensionamento giunte comunque ai sensi della normativa vigente, anche se al di fuori delle recenti disposizioni del decreto-legge n. 4 del 2019.
(3-00689)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MULÈ e FATUZZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, reca disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni. In particolare, l'articolo 14 reca disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi, meglio nota come «quota 100»;

   la misura sperimentale, valida solo per il triennio 2019-2021, permette l'accesso anticipato al trattamento previdenziale secondo la combinazione del requisito contributivo e di quello anagrafico;

   con messaggio del direttore generale dell'Inps, n. 1008 dell'11 marzo 2019, è stato disposto che «esclusivamente per le pensioni quota 100 con decorrenza 1° aprile 2019, atteso il meccanismo della prima finestra utile, si ritiene opportuno consentire in via straordinaria di procedere alla liquidazione provvisoria sulla base delle dichiarazioni di cessazione contenute nella domanda, al ricorrere dei prescritti requisiti»;

   come riportato da svariati organi di informazione a livello nazionale, l'Inps avrebbe indicato sostanzialmente una corsia preferenziale per la liquidazione delle pensioni cosiddette «quota 100» introducendo una doppia giornata per il pagamento degli assegni (il 1° e il 7 aprile) e prevedendo misure premiali per i dipendenti dell'istituto che evadono più velocemente le richieste di prepensionamento;

   tale percorso facilitato, se non propriamente incentivato, alla lavorazione delle richieste di pensionamento «quota 100» avrebbe secondo alcuni commentatori un diretto effetto «imbuto», cioè un effetto di notevole rallentamento nella lavorazione da parte degli uffici dell'Inps delle pratiche e delle richieste che sono pervenute e perverranno al di fuori della sperimentazione contenuta nel richiamato decreto-legge n. 4 del 2019;

   a titolo esemplificativo, gli interroganti segnalano il caso della famiglia Squillace-Totero: risulta infatti che a seguito del decesso della signora A. M. S. G., avvenuto il 31 luglio 2018 quando era ancora in servizio, i familiari hanno regolarmente presentato richiesta di pensione indiretta, in data 13 settembre 2018;

   ad oggi non risulta agli interroganti che la richiamata richiesta sia stata evasa dagli uffici dell'Inps rappresentando di fatto un'anomalia che a questo punto troverebbe quale causa principale, se non motivo ulteriore del prolungamento del ritardo, proprio la indicazione di agevolare l'elaborazione delle richieste di «quota 100» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di altri casi analoghi a quello della famiglia richiamata in premessa;

   se il Ministro interrogato intenda promuovere iniziative urgenti affinché l'istituto garantisca la regolare evasione della pratica richiamata in premessa;

   se il Ministro interrogato intenda fornire ogni utile elemento circa quella che appare una possibile discriminazione operata dall'istituto nazionale per la previdenza sociale nel trattare le richieste di pensionamento relative a «quota 100» a discapito delle richieste di pensionamento giunte comunque ai sensi della normativa vigente anche se al di fuori delle recenti disposizioni del decreto-legge n. 4 del 2019.
(5-01896)


   AMITRANO, SEGNERI, INVIDIA, SIRAGUSA, TUCCI, PALLINI, CUBEDDU, DE LORENZO, GIANNONE, COSTANZO, CIPRINI, TRIPIEDI, VILLANI, DAVIDE AIELLO e PERCONTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   nel contratto di Governo, firmato dalle due principali forze politiche di maggioranza, viene dato ampio spazio all'introduzione di politiche efficaci per la famiglia, in particolare per favorire la conciliazione dei tempi della famiglia con i tempi del lavoro, attraverso sostegni reddituali, quali eventuali rimborsi per gli asili nido, e misure che favoriscano la partecipazione in egual misura della madre lavoratrice e del padre lavoratore alla gestione della famiglia;

   è oramai prossima la data entro cui dovrà essere presentato il documento di economia e finanza (Def); che, quest'anno, assume un ruolo peculiare, considerato che il precedente Def 2018 era stato presentato nella fase di avvio della XVIII legislatura, privo del quadro programmatico;

   è notizia recente che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Di Maio, abbia annunciato alla stampa una serie di aiuti alle famiglie sul modello francese;

   nella legge di bilancio 2019 sono state confermate importanti misure del cosiddetto «pacchetto famiglia» a sostegno della genitorialità e della natalità, quali il «bonus mamma domani», l'incremento del «bonus asilo nido» e del «bonus bebè», la modifica del congedo di maternità e la proroga del congedo obbligatorio per i padri;

   inoltre nella legge di bilancio è stata anche introdotta la possibilità per le madri lavoratrici di accedere o richiedere in via prioritaria lo smart working, nei tre anni successivi al congedo di maternità;

   le suddette misure, però, mantengono ancora in alcuni casi, in particolare con riferimento al congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente e i vari bonus a sostegno della natalità, il carattere di «misure una tantum», soggette a proroga di anno in anno, e legate ad una disponibilità temporanea di fondi pubblici;

   tale carattere sperimentale non consente di valutare realmente l'impatto e i benefici sociali in termini di sostegno alla genitorialità e all'incremento demografico, dal momento che gli stessi genitori lavoratori, non sempre usufruiscono degli stessi benefici, poiché essi non hanno carattere di diritto stabile e permanente;

   l'introduzione di misure efficienti e stabili a favore delle famiglie e dei genitori lavoratori rappresenta dunque uno degli obiettivi primari per un potenziamento del welfare statale e per incoraggiare il Paese ad uscire dalla crisi economica –:

   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati stiano predisponendo in vista della presentazione del documento di economia e finanza, al fine di promuovere e garantire l'adozione di efficaci misure per la tutela, il sostegno e il benessere complessivo della famiglia, e, in particolare, se e in che termini si ritenga di adottare iniziative per stabilizzare alcune misure aventi carattere sperimentale a favore dei genitori lavoratori.
(5-01900)


   GRIBAUDO, SERRACCHIANI, CARLA CANTONE, LACARRA, LEPRI, MURA, VISCOMI e ZAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   gli esodati ancora non coperti dalle otto misure di salvaguardia approvate negli anni scorsi sono stimati in una piccola platea di 6.000 lavoratori rimasti senza occupazione, senza ammortizzatori sociali e senza pensione; molti di questi, donne in particolare, non hanno ora contributi sufficienti per raggiungere le soluzioni attualmente disponibili per il pensionamento, come «Ape social» «Opzione donna», «quota 100» e pensione anticipata;

   nel recente decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, un provvedimento che complessivamente comporta oneri per circa 11 miliardi di euro nel 2019, 16,4 miliardi di euro nel 2020 e circa 17 miliardi di euro nel 2021, non si è riuscito a trovare i margini finanziari per consentire a soli 6.000 lavoratori di poter accedere alla pensione con le regole «pre-Fornero»;

   nel corso del question time tenutosi in Commissione lavoro il 14 febbraio 2019, il sottosegretario Claudio Durigon ha risposto a un'interrogazione riguardante la risoluzione delle problematiche degli esodati affermando che la difficoltà sarebbe quella di certificare il possesso al mese di dicembre 2011 dei requisiti necessari a beneficiare dei provvedimenti di salvaguardia;

   lo stesso giorno, nel corso della trasmissione televisiva «L'Aria che tira», l'onorevole Molinari ha fatto leggere in diretta una lettera della direttrice generale dell'Inps Gabriella De Michele, riportante proprio la data di presentazione dell'interrogazione suddetta, che tra l'altro recita: «con riferimento al question time indicato in oggetto, si ribadisce che l'istituto non ha evidenziato categorie di esodati che non siano stati raggiunti da precedenti provvedimenti di salvaguardia. Ulteriori misure rientrano nelle scelte politiche del legislatore così come la definizione delle relative platee»;

   questa affermazione da parte del direttore generale dell'Inps, che accrediterebbe l'idea che non sussistano più esodati, emersa in pubblico con modalità, ad avviso degli interroganti, del tutto irrituali e interpreta al contrario dallo stesso sottosegretario Claudio Durigon in apparizioni televisive e articoli di stampa anziché utilizzarla correttamente nella risposta all'interrogazione, porta invece gli interroganti ad affermare che i dati sugli esodati non ancora salvaguardati devono essere ricercati fra coloro che hanno presentato domanda non accolta nelle precedenti otto salvaguardie;

   tale ricerca dovrebbe essere effettuata utilizzando il codice fiscale per riconoscere il requisito dell'età ed eliminando le domande duplicate e le domande di coloro che non sono considerabili esodati, perché usciti dal lavoro dopo la «legge Fornero», con data di ultima contribuzione lavorativa posteriore al 31 dicembre 2011 (se non preceduta da accordi in azienda o da periodi di cassa integrazione guadagni straordinaria, indennità di disoccupazione o altri ammortizzatori sociali), suddividendo gli individui fra le seguenti tipologie di lavoratori: lavoratori collocati in mobilità o con trattamento speciale edile; lavoratori in regime di prosecuzione volontaria; lavoratori in prosecuzione volontaria senza versamento; lavoratori cessati con accordi entro il 30 giugno 2012; lavoratori cessati con accordi dopo il 30 giugno 2012 ed entro 31 dicembre 2012; lavoratori cessati unilaterali (licenziati); lavoratori in congedo per figli disabili; lavoratori con contratti a tempo determinato e somministrazione –:

   quale sia il numero di certificazioni rilasciate dagli ispettorati territoriali del lavoro tramite le lettere di accoglimento delle domande per le categorie dei lavoratori cessati con accordi entro il 30 giugno 2012, cessati con accordi dopo il 30 giugno 2012 ed entro il 31 dicembre 2012, e dei lavoratori cessati unilaterali (licenziati);

   quale sia il numero complementare delle domande non accolte, suddivise per tipologie, di coloro che si sono rivolti direttamente all'Inps e non agli ispettorati territoriali del lavoro;

   se il Governo intenda promuovere soluzioni per chiudere l'annosa vicenda degli ultimi 6.000 esodati in maniera definitiva e attraverso quale iniziativa normativa, quali modalità e tempistiche.
(5-01902)

Interrogazioni a risposta scritta:


   UBALDO PAGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il comma 355 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, prevede «con riferimento ai nati a decorrere dal 1o gennaio 2016, per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati [...] un buono di 1.000 euro su base annua e parametrato a undici mensilità [...] corrisposto dall'INPS al genitore richiedente, previa presentazione di idonea documentazione attestante l'iscrizione e il pagamento della retta a strutture pubbliche o private»;

   sul sito dell'Inps è specificato che «per asili nido privati autorizzati» si intendono le strutture che abbiano ottenuto l'autorizzazione all'apertura e al funzionamento da parte dell'ente locale competente, a seguito della verifica del rispetto di tutti i requisiti tecnico-strutturali, igienico-sanitari, pedagogici e di qualità previsti dalle vigenti normative nazionale e locale, ai fini dello svolgimento del servizio educativo di asilo nido. Sono, pertanto, escluse dal rimborso le spese sostenute per i servizi educativi integrativi all'asilo nido (esempio ludoteche);

   il regolamento regionale della Puglia 18 gennaio 2007, n. 04, attuativo della legge regionale 10 luglio 2006, n. 19, recante «Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini di Puglia», disciplina:

    all'articolo 53, l'asilo nido o nido d'infanzia come «struttura autorizzata per la erogazione di un servizio educativo e sociale per bambini in età compresa tra i 3 e i 36 mesi, quando abbia le caratteristiche e rispetti gli standard strutturali e qualitativi» richiesti;

    all'articolo 90, il centro ludico prima infanzia come «struttura autorizzata per la erogazione di un servizio educativo e sociale per bambini in età compresa tra i 3 e i 36 mesi, quando abbia le caratteristiche e rispetti gli standard strutturali e qualitativi» richiesti, peraltro analoghi a quelli domandati per gli asili nido;

    all'articolo 89, le ludoteche, aventi caratteristiche molto differenti rispetto alle strutture di cui agli articoli 53 e 90;

   fino all'anno scolastico 2017/2018, i genitori di bambini frequentanti un centro ludico di prima infanzia in Puglia hanno potuto usufruire del beneficio ai sensi del comma 355 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2006;

   dall'anno scolastico 2018/2019 alcuni di questi genitori (non tutti) hanno visto rigettarsi la domanda presentata all'Inps, in quanto i loro figli risultano frequentanti di una struttura ex articolo 90 del regolamento 04/2007 e non ex articolo 53 dello stesso regolamento;

   ad oggi, quindi, vi sono situazioni di grande disparità tra genitori che usufruiscono del «bonus asilo nido» e genitori cui è stato negato il beneficio, sebbene siano genitori di bambini frequentanti la stessa struttura ex articolo 90 del citato regolamento;

   la difformità con cui le domande sono esaminate dai funzionari dell'Inps probabilmente discende dalla confusione generata tra la dicitura dell'articolo 89 e quella dell'articolo 90, che porta erroneamente ad assimilare il centro ludico di prima infanzia (effettivamente un «asilo nido autorizzato» a norma di legge e dunque rientrante nella categoria prevista dalla legge n. 232 del 2016) alla ludoteca –:

   se il Ministro interrogato intenda intraprendere le iniziative di competenza affinché le direzioni generali regionali dell'Inps:

    a) riconoscere l'effettiva equiparazione tra gli asili nido e i centri ludici di prima infanzia ai fini del riconoscimento del «bonus asilo», con particolare riferimento al caso della Puglia;

    b) effettuino un'attenta valutazione per ciascuna regione delle strutture beneficiarie di tale intervento in considerazione della differente regolamentazione delle strutture che erogano servizi sostitutivi al nido;

   in considerazione della circostanza che, attualmente, molte istanze sono trattate con disparità, come s'intenda scongiurare nel lungo periodo rischi di contenzioso nei confronti dell'Inps.
(4-02699)


   SCANU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   con decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, è stata istituita la figura del consigliere di parità;

   i compiti e le funzioni di questa figura istituzionale rivestono un'importanza fondamentale ai fini di garantire il rispetto dei principi di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici;

   in particolare, essa si occupa di rilevare le situazioni di squilibrio di genere, promuovere azioni positive attraverso l'individuazione di risorse comunitarie, nazionali e locali adatte allo scopo, sostenere le politiche attive del lavoro, rilevare le violazioni alla normativa in materia di parità contro le discriminazioni;

   la norma in questione prevedeva la messa a disposizione di sedi ed attrezzature e di un fondo nazionale vincolato per le spese relative ai pagamenti di compensi, indennità, rimborsi e remunerazione dei permessi dei consiglieri e delle consigliere, nonché per il finanziamento delle relative attività;

   tuttavia, da diversi anni i consiglieri e le consigliere a livello locale, in particolare a livello provinciale, lamentano gravi difficoltà nell'esercitare la loro funzione;

   spesso le suindicate persone esercitano il loro delicato ruolo senza percepire un'adeguata indennità e retribuzione;

   in alcuni contesti regionali e provinciali si sono verificati casi di totale assenza di retribuzione con criticità rispetto all'ente locale di riferimento;

   sono stati segnalati casi disparità di trattamento tra i consiglieri, a seconda della disponibilità e della volontà dell'ente;

   in alcuni territori sono state riscontrate difficoltà nel farsi assegnare dall'ente di riferimento i locali e la strumentazione idonea per lo svolgimento delle funzioni;

   per l'effetto della «riforma Delrio», del fondo nazionale rimane soltanto un residuo;

   in molte regioni permane incertezza relativamente alla disponibilità degli importi e alle relative modalità di utilizzo –:

   quali siano gli elementi in possesso del Governo sulla questione riportata in premessa;

   quali iniziative intenda adottare il Governo, per quanto di competenza, per garantire ai consiglieri e alle consigliere di parità la piena dignità nello svolgimento delle loro funzioni;

   se non ritenga di adottare iniziative per ripristinare la dotazione del fondo nazionale vincolato per consentire il sereno e ordinato svolgimento delle funzioni di questo importante organismo istituzionale, con particolare riguardo alla dimensione locale;

   quali eventuali ulteriori iniziative intenda intraprendere per far fronte alla questione.
(4-02711)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELLICANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   alla luce dell'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, il quale ha disposto che con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, siano fissati gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il Ministro della salute ha emanato il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70;

   all'interno del decreto vengono definiti tre tipi di presidi:

    presidi ospedalieri di base (bacino di utenza 80.000-150.000 abitanti), dotati di pronto soccorso e delle seguenti specialità: medicina interna, chirurgia generale, ortopedia, anestesia e servizi di supporto in rete di guardia attiva e/o in regime di pronta disponibilità sulle 24 ore (h.24) di radiologia, laboratorio, emoteca. Devono essere dotati, inoltre, di letti di «osservazione breve intensiva»;

    presidi ospedalieri di II livello (bacino di utenza 150.000-300.000 abitanti), dotati delle seguenti specialità oltre a quelle presenti nei presidi di base: ostetricia e ginecologia (se prevista per numero di parti/anno), pediatria, cardiologia con unità di terapia intensiva cardiologica (U.t.i.c.), neurologia, psichiatria, oncologia, oculistica, otorinolaringoiatria, urologia;

    presidi ospedalieri di II livello (bacino di utenza 600.000-1.200.000 abitanti), dotati d dipartimento emergenza urgenza e accettazione di secondo livello e di strutture che attengono anche alle discipline più complesse;

   sempre nel decreto si esplicitano alcune procedure come quelle per le soglie minime di volume di attività, quelle di rischio di esito, quelle per le modalità di integrazione fra ospedali e fra ospedale e territorio e si dà il compito alla regione di procedere alla ridefinizione della rete ospedaliera e a un riassetto dell'assistenza primaria, di quella domiciliare e di quella residenziale;

   in relazione a tale decreto ministeriale, la giunta regionale del Veneto, in data 13 marzo 2019, ha approvato la delibera 22-2019 «Schede di dotazione ospedaliere e delle strutture sanitarie di cure intermedie delle Aziende Ulss», che classifica l'ospedale civile di Venezia quale «presidio ospedaliero di base», operando, sostanzialmente, un declassamento della struttura stessa, in precedenza riconosciuta quale «presidio ospedaliero di rete», con un ridimensionamento nella qualità e quantità dei servizi erogati;

   la decisione di declassare tale struttura ospedaliera non tiene conto della specificità lagunare del territorio di Venezia, né dell'aspetto turistico con milioni di accessi annui nella città storica, né della presenza di studenti universitari fuorisede, costante continua che nell'ospedale civile di Venezia ha un suo punto di riferimento –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e se non ritenga doveroso promuovere una modifica del decreto ministeriale n. 70 del 2015, in quanto esso non tiene conto delle specificità territoriali, delle epidemiologie, della demografia, del tessuto sociale;

   se il Ministro, nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, intenda intervenire urgentemente per affrontare, con tempestività, le criticità sanitarie dell'area veneziana non solo attraverso un tavolo tecnico di confronto con la regione Veneto e le altre istituzioni locali interessate, ma anche adottando iniziative per una deroga all'applicazione, nella medesima area territoriale, delle disposizioni di cui al decreto ministeriale n. 70 del 2015.
(5-01891)


   PELLICANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 13 marzo 2019 la giunta regionale Veneta ha approvato la delibera 22-2019 «Schede di dotazione ospedaliera delle strutture sanitarie di cure intermedie delle Aziende Ulss», ora all'esame della V commissione del consiglio regionale del Veneto che predispone una riorganizzazione delle strutture sanitarie regionali;

   rispetto alla programmazione del 2013, vengono tagliati 511 posti letto negli ospedali pubblici (da 14.576 a 14.065) e aumentati di 173 i posti letto negli ospedali privati accreditati (da 2.942 a 3.115);

   se, da un lato, non possono che essere concentrati negli hub i servizi e i reparti «ultraspecialistici», dall'altro, non ha alcun senso potenziare e accentrare negli hub anche servizi e reparti gestibili in ospedali spoke o addirittura in ospedali di base;

   alcuni ospedali di importanza fondamentale per i servizi ai cittadini e con una storia importante vengono declassati a ospedali di base;

   in particolare, la regione Veneto, nella riorganizzazione nel suo complesso dell'Usl 3 Serenissima ha cancellato 169 posti letto e nella geografia degli ospedali più penalizzati, per riduzione di posti letto e primariati, vi sono Mirano e Dolo, con i presidi di Venezia e Chioggia declassati a ospedali di base, e la struttura di Mestre che, potenziata, diventa il solo punto di riferimento provinciale;

   in particolare, l'ospedale di Dolo risulta il più penalizzato con la perdita di 104 posti letto e 4 primariati: 15 posti letto tagliati tra Ostetricia e ginecologia (Dolo conta circa 600 parti l'anno) e 14 posti letto in pediatria; a ciò si aggiunge la riduzione da 8 a 12 posti in patologia neonatale;

   l'ospedale di Dolo è secondo solo a Mestre per accessi al pronto soccorso: 44 mila all'anno. Esso è riferimento per tutta la Riviera del Brenta, che conta 130 mila abitanti;

   a Mirano è prevista una riduzione di 49 posti letto e la sforbiciata più vistosa è in area chirurgica che passa da 85 a 48 posti letto;

   infine, Chioggia viene declassato a ospedale di base con la perdita di 55 posti letto, in particolare in area chirurgica (-27) e medica (-14) e con la perdita di due primariati: nefrologia e laboratorio di analisi; così come accade per l'ospedale civile di Venezia riclassificato come ospedale di base, pur sostanzialmente non perdendo posti letto, ma con il rischio di minori risorse per il futuro;

   l'unico ospedale che in questa logica di riorganizzazione dell'Usl 3 Serenissima esce potenziato è quello di Mestre che guadagna 39 posti letto (da 568 a 607) e tre primariati: malattie infettive, chirurgia senologica e neuropsichiatria infantile;

   tale riorganizzazione non tiene conto in alcun modo delle specificità territoriali e del bacino di utenza con la presenza di numerosi turisti né delle caratteristiche demografiche della popolazione, con un'incidenza delle classi di età anziane tra le più alte del Veneto né risulta funzionale a garantire alcun tipo di risparmio al sistema sanitario regionale o vantaggio alcuno in termini organizzativi o gestionali;

   infine, risulta secondo l'interrogante errata la previsione degli ospedali di zona, contraria alle norme programmatorie e a quanto previsto dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 riguarda al range del numero di posti letto, al tipo di specialità presenti e al tipo di apicalità –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della riorganizzazione del sistema sanitario veneto e in particolare della rete ospedaliera di cui in premessa e se nel rispetto delle funzioni regionali in materia sanitaria, non ritenga doveroso ed urgente adottare le iniziative di competenza per monitorare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, affinché sia tutelato il diritto alla salute così come sancito dall'articolo 32 della Costituzione.
(5-01894)


   PELLICANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la città di Chioggia ha caratteristiche morfologiche, socio-economiche, culturali speciali e, la salvaguardia di Venezia, Chioggia e della laguna sono riconosciute quale problema di preminente interesse nazionale ai sensi della legge 16 ottobre 1973, n. 171, e successive modifiche;

   la qualità e la certezza di prospettiva sulle prestazioni del servizio sanitario rappresentano, con tutta evidenza, una delle principali condizioni per garantire la vitalità «socio-economica» della città e del suo territorio contiguo e delle persone che la vivono nell'ambito delle rispettive relazioni e, quindi, con priorità ai suoi residenti ma anche agli innumerevoli turisti che la visitano in tutto l'arco dell'anno; la sua programmazione sanitaria deve tener conto della specificità dei due centri storici e del suo territorio lagunare, nonché delle conseguenti problematiche relative agli scarsi collegamenti viari con tutto il suo entroterra;

   la filiera turistica veneta, che ogni anno raggiunge straordinari risultati, ha in Venezia, Chioggia e la realtà lagunare un forte profilo di immagine e un ampio segmento del turismo orienta la propria decisione circa la località da visitare, sulla base anche della qualità del servizio sanitario locale e del presidio ospedaliero più vicino;

   in data 13 marzo 2019 la giunta regionale ha approvato la delibera n. 22-2019 «Schede di dotazione ospedaliera delle strutture sanitarie di cure intermedie delle Aziende Ulss», ora all'esame della V commissione del consiglio regionale del Veneto, che ha classificato l'ospedale di Chioggia quale «presidio ospedaliero di base», operando sostanzialmente un declassamento della struttura stessa, in precedenza riconosciuta quale «presidio ospedaliero di rete» con una preoccupante prospettiva di ridimensionamento della qualità e quantità dei servizi erogati ed erogandi;

   nelle medesime schede si provvede a un taglio di 52 posti letto e alla soppressione di 2 posizioni apicali (primario di nefrologia e dialisi e di laboratorio analisi);

   l'ospedale di Chioggia rappresenta il nodo centrale del sistema sanitario di tutta l'area a sud della città metropolitana, fino ad estendersi nei comuni confinanti con l'area polesana e della saccisica, ma la stessa città di Chioggia dista 50 chilometri dall'ospedale hub di Mestre e per arrivarci bisogna percorrere unicamente la strada statale Romea che è tra le più intasate e pericolose d'Italia;

   la suddetta classificazione non risulta funzionale a garantire risparmi notevoli al sistema sanitario regionale, né vantaggio alcuno in termini organizzativi o gestionali, prefigurando invece, uno svilimento, nel medio e lungo periodo, del ruolo dell'ospedale di Chioggia, dei suoi servizi e del suo personale;

   infine, il piano socio-sanitario e le schede ospedaliere hanno previsto nelle loro premesse generali che tali strutture sono ospedali di rete-spoke, con bacino di popolazione di circa 200.000 abitanti o comunque presìdi territoriali fondamentali laddove ci siano evidenti difficoltà infrastrutturali per raggiungere l’hub di riferimento da parte delle popolazioni e/o diventino durante la stagione turistica (come, ad esempio, lo spoke di Chioggia) indispensabili per l'attività di emergenza e assistenza; la scelta di classificare l'ospedale di Chioggia come presidio di base non riconosce né valorizza gli interventi di rilancio finora compiuti dalla regione Veneto attraverso l'azienda sanitaria –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della declassificazione dell'ospedale di Chioggia quale «presidio ospedaliero di base» e se non ritenga, nel rispetto delle funzioni regionali in materia sanitaria, di adottare con urgenza ogni iniziativa di competenza volta a monitorare i livelli essenziali di assistenza, al fine di tutelare il diritto alla salute così come sancito dall'articolo 32 della Costituzione.
(5-01895)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   MURONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   tra i compiti della Sogin c'è anche quello di garantire la sicurezza degli impianti e delle strutture, la salute dei lavoratori e della popolazione, la salvaguardia dell'ambiente. Per questo il sistema regolatorio riconosce a carico dei consumatori elettrici dei «costi obbligatori»;

   questi, secondo la delibera Autorità di regolazione per energia reti e ambiente 606-2018, per l'anno 2018 sono pari a 66,5 milioni di euro, 7,5 milioni in più del 2017;

   il piano a vita intera presentato dall'attuale amministratore delegato a novembre 2017, rinvia al 2036 la fine del decommissioning, ritardandolo sino a 13 anni nei diversi siti, rispetto alle previsioni del 2013, e aumenta la stima dei costi complessivi di circa 800 milioni di euro, portandola a 7,25 miliardi, tutti prelevati dalla bolletta elettrica. Di questi 800 milioni di aumento 200 sono dovuti proprio a maggiori costi di mantenimento in sicurezza;

   dal 2001 al 2018 Sogin è costata ai consumatori elettrici 4 miliardi di euro, di cui 2 miliardi per il funzionamento della società e per il mantenimento in sicurezza, e solo 780 milioni per il condizionamento dei rifiuti pregressi e per lo smantellamento;

   per il sito Bosco Marengo (AL), dove aveva sede la «Fabbricazioni Nucleari», la conclusione dei lavori di smantellamento delle strutture, sino al raggiungimento del «brown field», è ancora rinviata. Nel 2008 era prevista per il 2009, nel 2010 per il 2012, nel 2013 per fine 2013, nel 2014 per il 2016;

   l'amministratore delegato a novembre 2016 dichiarò in Senato che i lavori sarebbero stati conclusi «al più entro il primo semestre 2017»; poi il 20 dicembre 2018 ha dichiarato sempre in Senato che il brown field sarebbe avvenuto a fine 2018;

   ad oggi i lavori ancora continuano: questo dimostra il totale stallo gestionale di Sogin;

   ad agosto 2014 nel corso di lavori nel sito è stata rinvenuta una quantità imprecisata di materiale industriale di scarto abusivamente interrato, come riporta il sito web del Movimento medicina democratica Onlus di Alessandria;

   dalla documentazione presentata da Sogin al tavolo della trasparenza, 26 novembre 2014, si evince che Sogin ha effettuato una campagna di indagini geofisiche accertando l'effettiva presenza diffusa di materiali interrati nel sottosuolo;

   dopo alcuni accertamenti preliminari, nel 2015 Sogin ha comunicato la non rilevanza radiologica e chimica dei materiali rinvenuti, mentre per altri approfondimenti c'è stato un rinvio;

   dopo quattro anni non è ancora ufficialmente noto il livello di pericolo radiologico e chimico dell'area e delle aree confinanti, utilizzate, in buona parte, per scopi agroalimentari;

   sulla vicenda la procura di Alessandria ha aperto un'inchiesta che non risulta ancora conclusa;

   sull'argomento l'interrogante ha già presentato tre interrogazioni n. 4-02278, n. 4-00421 e n. 4-01996 a cui non è stata data risposta –:

   se corrisponda al vero che nel corso del 2017, su campioni d'acqua prelevati da pozzi nelle campagne nei pressi del sito di Bosco Marengo, e recentemente sulle acque di falda, siano state eseguite analisi chimiche;

   se tali analisi abbiano rilevato la presenza di inquinanti chimici, in particolare solventi clorurati, che venivano utilizzati per la preparazione del combustibile nucleare;

   quale sia il livello misurato di solventi clorurati e se rispetti la normativa vigente sull'inquinamento ambientale;

   se la rimozione dei materiali interrati e di altri manufatti contaminati eventualmente presenti nel sito sia adeguatamente prevista e quale sia la tempistica nel decommissioning del sito;

   se non ritengano opportuno adottare con urgenza ogni iniziative di competenza affinché siano eseguite ulteriori analisi chimiche sulle acque di falda, chiarendo il reale stato del decommissioning e il grado di pericolosità nell'area.
(4-02701)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Lupi e altri n. 1-00166, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 aprile 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalle deputate: Gebhard, Emanuela Rossini.

  La mozione Calabria e altri n. 1-00169, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sozzani.

  La mozione Formentini e altri n. 1-00139, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Angiola.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Baldelli e altri n. 7-00223, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 aprile 2019, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Stumpo, Fidanza.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rostan n. 5-01492, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 febbraio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Occhionero.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Paita e altri n. 5-01873, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalle deputate: Serracchiani, Morani.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Sapia e altri n. 3-00688, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Incà.

  L'interrogazione a risposta scritta Fidanza n. 4-02694, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rotelli.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Valentini n. 1-00172 del 9 aprile 2019.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interpellanza urgente Buompane n. 2-00336 del 2 aprile 2019;

   interrogazione a risposta scritta Pastorino n. 4-02685 del 8 aprile 2019.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Nesci e altri n. 5-00870 del 31 ottobre 2018 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02698.