Saluto della Presidente della Camera del deputati, Laura Boldrini:
"Saluto il dottor Nicolò Amato, gli onorevoli Pino Pisicchio e Marco Boato, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, Marco Tarquino, direttore di Avvenire e Alessandra Sardoni giornalista de La7 che modererà la discussione.
Ho accolto molto volentieri l'invito a portare un breve saluto introduttivo a questo incontro per una serie di ragioni.
In primo luogo per la figura dell'autore. Come tutti sapete Nicolò Amato è stato un importante magistrato della Procura di Roma per molti anni, anni molto difficili, e poi per oltre un decennio Direttore del Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria. Ma anche docente di Filosofia del diritto, avvocato, scrittore di saggi e romanzi.
Un uomo che - come si vede anche da ciò che scrive in questo libro, che vi invito a leggere perché ci mette a dura prova, ve lo dico subito - si è sempre ispirato alla più alta cultura giuridica del nostro paese. Ribadisce i principi della terzietà del giudice, del diritto di tutti a un giusto processo, della soggezione del giudice soltanto alla legge e di una concezione della pena che sia proporzionata e finalizzata, come dice la Costituzione, alla rieducazione del condannato.
E' una concezione che ci tengo a sottolineare perché - specialmente in questa legislatura in cui molto ci siamo occupati di pena - abbiamo sentito spesso in Aula commenti secondo i quali è da "buonista" pensare alla rieducazione del condannato. Io invece ritengo che questo sia proprio il cuore, il concetto principale: è nell'interesse della società e della sicurezza collettiva che ci esce dal carcere ne esca migliore di come è entrato. Dunque non ci vedo nulla di "buonista".
Abbiamo adottato diversi provvedimenti, come dicevo. Il cosiddetto "svuota carceri"; la legge che prevede la depenalizzazione per alcuni reati minori, che incentiva le pene detentive non carcerarie e la "messa alla prova" dell'imputato; quella che limita l'applicazione della custodia cautelare in carcere. E poi abbiamo istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale con la nomina, in questa funzione, del dottor Mauro Palma. Anche questo è un provvedimento che era atteso da tempo.
Un'altra ragione per la quale ho piacere di partecipare a questo incontro riguarda il tema del libro, quello della pena di morte. L'autore intanto ci aiuta ad orientarci, facendoci una panoramica dello status quo. Ci fa piacere vedere che 100 Stati l'hanno esclusa dal loro ordinamento, 48 l'hanno abolita di fatto, non avendo eseguito sentenze capitali da oltre 10 anni, 6 hanno scelto formalmente la moratoria e soltanto 37 - anche se sono tanti, rispetto agli altri numeri sono pochi - ancora la mantengono.
Questi dati a me paiono comunque positivi, almeno rispetto al punto di partenza. Ci siamo riusciti grazie ad una grande mobilitazione nel mondo intero. Di una mobilitazione culturale, politica, religiosa: anche le fedi si sono mosse. L'Italia è stata in prima fila in questa battaglia, anche perché le veniva facile, visto che l'articolo 27 della Costituzione non lascia spazio alle interpretazioni: "Non è ammessa la pena di morte", recita lapidario. Del resto non poteva essere altrimenti, essendo noi il Paese di Cesare Beccaria del cui lavoro più noto, "Dei delitti e delle pene", abbiamo celebrato due anni fa il 250° anniversario della pubblicazione.
Questa impostazione si ripete anche nell'Unione europea, e mi fa piacere sottolinearlo. Il rifiuto della pena di morte, infatti, è presente nell'articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: "Nessuno può essere condannato alla pena di morte né giustiziato". E se, come ricorda con ragione nella sua prefazione Marco Boato, Viktor Orban riuscisse a fare in Ungheria quello che più volte ha minacciato di fare, cioè reintrodurre la pena di morte nel suo Paese, l'Ungheria sarebbe immediatamente fuori dall'Unione Europea.
Questa mobilitazione ha toccato anche ambiti che non ti aspetti: è dei giorni scorsi la notizia che la Pfizer, una delle maggiori industrie farmaceutiche del mondo, ha deciso di non fornire più farmaci per iniezioni letali utilizzati per eseguire le condanne a morte, secondo il principio che i farmaci servono per guarire le persone, auspicabilmente per salvare una vita, non per toglierla.
Per noi che ci battiamo per l'abolizione completa della pena di morte non può che essere un elemento positivo. Mi congratulo con la Pfizer per questa scelta.
Ma nel suo libro il professor Amato ce l'ha anche un po' con noi. O perlomeno si rivolge a noi che crediamo fortemente nell'abolizione completa della pena di morte e ci mette alla prova. E lo fa con una serie di casi, con una galleria di quelli che lui chiama "i mostri".
E' oggettivamente una prova, perché i casi che Nicolò Amato porta, le motivazioni, le dichiarazioni di queste persone sono difficili da accettare a livello psicologico. Si tratta di persone non solo dedite al crimine più efferato, ma incapaci di farne a meno, che hanno perfino dimostrato di provare un piacere irrefrenabile nell'uccidere spesso in modo seriale, e ci si chiede se basti privare della libertà queste persone, oppure si debba andare oltre e privare queste persone della vita stessa, perché è giusto farlo.
Di questo interrogativo che ci pone lo ringrazio. Ci invita ad uscire dalla retorica, dal politically correct e ci domanda: di fronte a questi casi che fare? Vi invito a leggere questo libro perché ci fa entrare nella realtà. Nei testi di diritto noi affermiamo, di fronte a chi ha commesso un crimine efferato e lo rivendica, che noi dobbiamo avere la stessa forza di riaffermare quel principio. Ma non è sempre facile. Io ringrazio Nicolò Amato per il contributo che ci ha fornito".