"La visita ufficiale in Libano mi impedisce di essere con voi oggi per partecipare alla discussione sui volumi di Enzo Collotti e di Alberto Burgio. Me ne dispiace davvero poiché l'incontro che avete promosso costituisce un'occasione preziosa per riflettere su una questione essenziale per la storia e la coscienza civile del Paese. In particolare dopo il cinquantesimo anniversario delle leggi razziali la storiografia ha approfondito con impegno e rigore gli aspetti centrali di questa tragedia. Ma in Italia, sinora, non era ancora stato posto l'interrogativo di come fu possibile, di fronte alla legislazione dell'annientamento civile di una parte dei cittadini dello Stato, che la stragrande maggioranza dei cittadini avesse adottato una posizione di silenziosa indifferenza. Nella coscienza collettiva del Paese le storie della persecuzione antiebraica sono largamente conosciute nei loro aspetti più spettacolarmente drammatici. Ma sono largamente sconosciute nei loro aspetti di quotidiana tragedia e di quotidiano approfittamento. Furono questi approfittamenti e questi silenzi che crearono il clima idoneo allo scivolamento progressivo verso la barbarie. Ma ci dà fastidio parlarne. Perchè parlarne vuol dire mettere in discussione il mito dell'estraneità italiana alla persecuzione antiebraica. Sappiamo che ci furono molte manifestazioni di rischiosa e forte solidarietà Molti ebrei furono ospitati da amici non ebrei o nascosti in conventi. Ma non fu questo il comportamento prevalente. La Resistenza contro il nazi-fascismo e la Liberazione hanno riscattato integralmente l'Italia. Ma una società adulta, matura, come noi siamo, deve riflettere sui grandi errori commessi nella propria storia. Oggi vi sono le condizioni politiche, culturali e sociali per affrontare con responsabilità un discorso pubblico e civile sul tema della passività e dell'indifferenza rispetto alle discriminazioni antiebraiche. Tuttavia, queste riflessioni hanno un senso se non si risolvono in una sorta di atto di espiazione collettiva o di sterile autodenigrazione, ma divengono sforzo di conoscenza ed anche impegno per rendere più forti i valori civili e più rispettata la dignità delle persone. I due libri presentati oggi qui alla Camera costituiscono un contributo importante della ricerca storiografica in questa direzione. Essi ci permettono di conoscere le modalità con cui fu possibile inserire nel tessuto sociale del Paese una legislazione discriminatoria e di comprendere alcuni dei meccanismi che resero concretamente applicabili ed "efficienti" quelle misure. Inoltre, l'analisi prospettica sul razzismo in Italia, ci aiuta a capire quali fossero gli ambiti sociali, scientifici e culturali che, ancor prima delle leggi razziali, svilupparono teorie e ragionamenti di tipo razzistico e discriminatorio. Senza l'affermazione del principio di discriminazione, che è la base delle teorie pseudoscientifiche della razza, quelle leggi non avrebbero potuto essere concepite e, soprattutto, non avrebbero potuto funzionare. Oggi il principio di non discriminazione, l'impegno contro la disuguaglianza e per l'inclusione, sono il nucleo irrinunciabile di valori che segnano l'identità dell'Italia e dell'Europa, sono i valori non mediabili, radicati dalla Lotta di Liberazione europea al nazifascismo, attorno ai quali realizzare un nuovo impegno per dare concretezza quotidiana alla democrazia, in ogni Stato."