"Quest'anno, per la prima volta, celebriamo la giornata dedicata a Nelson Mandela senza di lui, una figura - per citare un'altra grande protagonista della storia sudafricana scomparsa di recente, Nadine Gordimer - "all'epicentro del nostro tempo". Lo era in vita, e lo è tuttora. Mandela dimostrò di saper guidare un popolo, di non poter essere piegato, ma riuscì anche a non cedere alla vendetta, perfino nei confronti delle persone - cito sempre Gordimer - che "avevano creato la prigione che era l'apartheid". Seppe, infine, lasciare il potere una volta raggiunti i primi obiettivi che si era prefissato: la creazione di uno Stato democratico e di una 'rainbow nation - la 'nazione arcobaleno' - dove tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dall'orientamento sessuale, fossero ritenuti eguali. Di lui, oggi, avremmo ancora bisogno. Avremmo bisogno del suo sguardo acuto e delle sue capacità di superare le barriere dell'odio per giungere alla riconciliazione. Avremmo bisogno, però, anche del suo slancio vitale, del suo sorriso contagioso, della volontà di celebrare un Paese ed un continente che, per troppo tempo, sono stati, per l'Occidente, nient'altro che terra di conquista o luogo esotico, infestato da violenze, carestie ed epidemie. Anche oggi, quando l'Africa subsahariana cresce a ritmi sostenuti; quando città sconvolte dalla guerra appena tre anni fa, come Abidjan, risorgono come centri economici e culturali; quando una nuova classe media in espansione rivoluziona i modelli sociali e le pratiche imprenditoriali in tutto il continente, i nostri mezzi d'informazione sembrano non interessarsene, ricordandosi dell'Africa solo in occasione dell'insorgere di guerre, del diffondersi di virus letali o dell'intensificarsi dei flussi migratori diretti in Europa. Le immagini più recenti che riguardano l'Africa trasmesse dai nostri telegiornali sono state, infatti, quelle delle ragazze nigeriane rapite da Boko Haram e dei tentativi di contenere la trasmissione dell'Ebola in Africa occidentale. A quest'attenzione così ristretta e selettiva si affianca, purtroppo, un'incapacità - da parte di chi guida i Paesi occidentali - di intervenire con efficacia per cercare di porre fine ai conflitti; di sostenere realmente le transizioni democratiche, le istituzioni rappresentative ed i mezzi d'informazione liberi; di investire di più e meglio non per depredare i territori, ma per creare benessere tra le popolazioni locali. Oggi, in Italia, si parla di 'emergenza' quando giungono qui alcune migliaia di rifugiati e di migranti. Si parla di 'invasione' quando i rifugiati che vivono nel nostro Paese sono 78mila. L'Africa, di rifugiati e sfollati interni, ne ospita circa 14 milioni. In uno Stato fragile con una popolazione di dodici milioni di persone, come il Ciad, hanno trovato rifugio quasi mezzo milione di persone. E, dunque, è dall'Africa che dobbiamo imparare, è all'Africa che dobbiamo guardare, quando parliamo di ospitalità, di generosità, di responsabilità. E' all'Africa che dobbiamo guardare, anche perché il 22% - oltre un quinto - dei migranti residenti in Italia proviene da questo continente e nelle nostre scuole vi sono bambini con storie e radici italo-africane. Infine, è all'Africa che dovremmo guardare - come dicevo pocanzi - per ridare nuovi orizzonti alle nostre economie, avviluppate da troppo tempo nella spirale recessiva. Appena il 5% delle esportazioni italiane è destinato al continente africano ed in Africa giunge solo il 7% dei nostri investimenti. L'enorme disparità rispetto all'attivismo di altri Paesi, soprattutto emergenti, è lampante. Perfino negli Stati cui siamo legati dalla vicinanza geografica o da vincoli storici, come quelli dell'Africa settentrionale o del Corno, i nostri imprenditori sono poco presenti, lasciando spazio a quelli di altri paesi. L'Europa e l'Africa - così vicine, così interconnesse - devono riavvicinarsi in uno scambio alla pari che può solo portare benefici per entrambi. L'Italia può avere un ruolo di traino in questo avvicinamento all'Africa. Per la nostra storia, per quel braccio ristretto di mare - ristretto e drammatico - che ci separa dalla sponde africane e per la nostra tradizionale vocazione diplomatica alla mediazione ed alla terzietà. E, in questo momento, lo può avere, infine, in quanto Presidente di turno del Consiglio dell'Unione europea, in una fase cruciale sia per il continente africano, che per quello europeo. Abbiamo compiuto alcuni passi in questa direzione, ma molto rimane da fare. Con la convinzione che, ricordando le parole di Madiba: "It always seems impossible until it's done", "Sembra sempre impossibile finché non lo si fa"."