"Care colleghe e cari colleghi, signor Ministro, signori relatori, signore e signori, desidero anzitutto ringraziare tutti voi per la partecipazione alla Conferenza odierna prevista dall'articolo 13 del Fiscal Compact. La presenza di un uditorio così numeroso ci conforta sulla validità della scelta di dedicare la prima delle riunioni interparlamentari plenarie che si svolgeranno durante il Semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea alle questioni che sono alla base delle più angosciose preoccupazioni dei nostri cittadini.
Credo che tutti possiamo convenire sulla necessità, o meglio sulla vera e propria urgenza, di trovare risposte adeguate ed efficaci alla crisi economico-finanziaria che si trascina dal 2008 e dalla quale l'Unione europea nel suo complesso fatica a uscire.
Nei giorni scorsi la Camera ha ospitato una lectio magistralis del professor Stiglitz, premio Nobel dell'economia, centrata proprio sulle difficoltà che stanno attraversando le economie europee e sui possibili rimedi a una crisi che sta pericolosamente assumendo le caratteristiche di una vera e propria fase deflattiva. In questo quadro, particolarmente preoccupante è lo scetticismo che sta crescendo e che spesso arriva a forme di sfiducia nel futuro da parte delle generazioni più giovani che incontrano sempre maggiori difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e ad accumulare le competenze necessarie per rafforzare il capitale umano, fattore imprescindibile, accanto all'innovazione, per lo sviluppo.
Mi domando come sia possibile che l'Europa possa assistere impassibile al dramma di tanti, uomini e donne, che si vedono privati del loro lavoro; di tanti giovani costretti a rinviare i progetti di vita per l'impossibilità di trovare un lavoro dignitoso!
Crescono le disuguaglianze e il disagio sociale: l'aumento del voto di protesta in occasione delle recenti elezioni europee ne costituisce uno dei segnali più evidenti.
Una fascia molto ampia di cittadini europei vede l'Europa come la causa cui addebitare la crisi piuttosto che come il fattore decisivo per la sua soluzione.
E' questa una tendenza che accomuna tanto i paesi più duramente colpiti, in cui la sfiducia nei confronti dell'Europa si sta traducendo in una delegittimazione delle istituzioni europee, ma anche i paesi che si trovano in migliori condizioni dove pure si manifestano apertamente sentimenti euroscettici, mettendo così in discussione uno dei principi cardine dell'Europa: la solidarietà tra gli Stati membri.
La crisi, che ha avuto origine da gravi disfunzioni del sistema finanziario, si è presto propagata all'economia reale.
I vincoli del Patto di stabilità e crescita hanno tuttavia indotto, soprattutto all'interno dell'area euro, all'adozione di politiche ispirate a una rigorosa austerità attraverso il contenimento delle spese pubbliche ovvero un aumento della pressione fiscale.
Ne sono usciti sacrificati in primo luogo gli investimenti, decisivi per il rilancio e la modernizzazione delle economie.
La contrazione complessiva della domanda ha poi determinato una crescita della disoccupazione e del lavoro precario.
In alcuni paesi membri i tagli alla spesa pubblica hanno determinato sacrifici talora insopportabili, ridimensionando alcune prestazioni essenziali, a partire da quelle sanitarie.
Occorre essere realisti care colleghe e cari colleghi: gli obiettivi di aumento del tasso di occupazione e di riduzione della povertà fissati con la Strategia Europa 2020 difficilmente saranno raggiunti.
Tali obiettivi presupponevano ben altri tassi di sviluppo mentre, a distanza da più di cinque anni dall'esplosione della crisi, l'Europa rimane, tra le economie avanzate, l'area che registra i più bassi tassi di crescita. Fanno eccezione i paesi che non fanno parte dell'euro, a partire dalla Gran Bretagna e dalla Polonia.
Di fronte all'evidenza di certi dati non si può quindi fare a meno di porsi delle domande sulla efficacia delle strategie europee messe in atto finora.
D'altronde, l'economia non è governata da leggi ineluttabili e neutrali. Le decisioni politiche possono fare la differenza sulle vicende che riguardano lo sviluppo economico e la qualità della vita delle persone.
Ed è ora che la politica torni ad esercitare senza incertezze la sua funzione: che si impegni in una seria riflessione sulle ragioni fondamentali di questa crisi e nella scelta di rimuoverle, voltando magari decisamente pagina rispetto alle politiche fin qui seguite.
Non si tratta, in ogni caso è bene chiarirlo, di mettere in discussione l'impegno per un risanamento delle finanze pubbliche. Le risorse pubbliche vanno sempre amministrate con rigore e serietà.
A mio giudizio, care colleghe e cari colleghi, il dato da cui occorre partire è però l'asimmetria che ha contraddistinto le politiche europee negli ultimi anni.
Se, per un verso, attraverso le regole del Patto di stabilità e l'avvio dell'Unione bancaria si è lavorato per il contenimento del livello di indebitamento, per altro verso, risulta palese che non sono state attivate strategie comuni sufficienti per quanto concerne la crescita e il recupero di competitività.
Le politiche che l'Europa ha messo in campo sono concentrate essenzialmente sul miglior funzionamento dei mercati riducendo in larga misura gli interventi a sostegno dei redditi. Mentre è stato demandato ai singoli Stati membri il compito di mettere in campo misure di crescita a livello meramente nazionale.
Il problema, invece, è proprio l'individuazione di una risposta comune alle sfide della globalizzazione e all'accentuazione della concorrenza internazionale che consenta di prevenire il rischio che l'Europa nel suo complesso sia collocata ai margini delle dinamiche economiche internazionali.
A meno che qualcuno non creda che si possa fare da soli, illudendosi di essere in grado di fronteggiare giganti come la Cina, a prescindere dall'Unione europea! In sostanza, l'Europa si è giustamente occupata della stabilità; non abbastanza della crescita.
Il Semestre di presidenza italiano coincide con una impegnativa fase di rinnovo di alcune istituzioni europee: il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio europeo.
Questa coincidenza può rivelarsi utile per promuovere un dibattito, il più ampio possibile, che coinvolga i cittadini europei e non solo gli accademici e le istituzioni politiche, sulle strategie più adeguate per aggiornare il progetto di integrazione europea.
La ripresa del processo di integrazione non può che partire dalla dimensione economica perché senza sviluppo e senza una crescita che assumano i valori dell'equità e dell'uso efficiente delle risorse, l'Europa è destinata a un malinconico declino.
Si tratta di un compito difficile che deve assumere le esigenze della competitività senza rinunciare ai modelli di economia sociale di mercato propri dell'Europa che vanno sì aggiornati ma non certo abbandonati, costituendo a livello internazionale un parametro di riferimento anche per le economie emergenti.
Colleghe e colleghi, lavorare per aggiornare i paradigmi logorati è un segno di vitalità che stimola l'impegno e la creatività di tutti.
Da più parti si solleva il problema della convenienza dell'Europa a proseguire lungo la strada dell'apertura a oltranza dei mercati che può avvantaggiare maggiormente sistemi economici non europei e arrivare a mettere in discussione anche servizi essenziali per i cittadini.
A titolo di esempio, voglio ricordare le perplessità da più parti espresse con riferimento all'accordo per la liberalizzazione degli scambi e dei servizi noto come TiSA (Trade in Services Agreement). Su questi temi i Parlamenti possono esercitare concretamente un ruolo centrale per la loro funzione di sede di dibattito e di confronto trasparente tra posizioni anche fortemente differenziate.
Colleghe e colleghi, il dibattito che si svolgerà in questi due giorni di lavoro, per la qualità dei partecipanti, risulterà tanto più utile quanto più affronterà senza remore i maggiori profili critici che affliggono le economie europee, senza timore di fare emergere opinioni discordanti ma facendo prevalere l'esigenza comune di ricollocare al centro dell'iniziativa europea il tema di una crescita solida e giusta. Infine, prima di concludere questo mio saluto, desidero ricordare a tutti noi che le questioni che attengono alle regole di funzionamento della Conferenza saranno oggetto di un confronto molto ampio che non si esaurirà in questa occasione ma che vedrà la sua conclusione, qui a Roma, nella Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea nella primavera del 2015.
Auguro quindi una buona prosecuzione dei lavori e ringrazio nuovamente tutti gli intervenuti per il contributo che vorranno fornire".