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Comunicati stampa

27/01/2015
Celebrazione del Giorno della Memoria - Intervento della Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini
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Saluto il Presidente Piero Grasso, il Vice Presidente del Senato Maurizio Gasparri, la ministra Stefania Giannini, il ministro Giuliano Poletti, il sottosegretario Graziano Delrio, il Presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e tutte le autorità intervenute alla celebrazione del Giorno della memoria che quest'anno cade nel settantesimo anniversario dell'apertura dei cancelli di Auschwitz.

Saluto le ragazze e i ragazzi di molte scuole d'Italia presenti oggi così numerosi e rivolgo a loro un particolare e affettuoso benvenuto nell'Aula di Montecitorio. Un caldo benvenuto rivolgo inoltre ai rappresentanti delle diverse comunità ebraiche presenti, così come ai rappresentanti delle comunità Rom e Sinti. Ringrazio la giornalista Maria Concetta Mattei che conduce questo incontro.

L'11 gennaio scorso, mentre Parigi e la Francia erano teatro di grandi manifestazioni all'indomani delle stragi compiute alla redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato kasher, a Roma, nel Tempio maggiore, la Comunità ebraica festeggiava i 57 anni di matrimonio di Sami e Selma Modiano.

La cerimonia romana è stata, in un certo senso, una risposta simbolica sia all'odio antisemita nazista di ieri che alla violenza terroristica di oggi.

Sami Modiano, che abbiamo visto anche nel video poco fa, il 27 gennaio del 1945 era ad Auschwitz e venne liberato dai soldati russi: "Quando i russi sono arrivati - cito dal suo racconto - questi soldati duri che ammazzavano e si facevano ammazzare, combattenti abituati a tutto, si sono trovati davanti a una scena che nemmeno loro riuscivano a sopportare. Erano impietriti davanti a montagne di cadaveri e a degli scheletri che camminavano. Io ero un uomo libero, ma in me non c'è stato nemmeno un secondo di allegria. Io mi sono sentito subito colpevole, un privilegiato. Uscire vivo da Birkenau… io volevo stare dalla parte di mio papà".

Stare dalla parte di suo padre significava essere morto. Questo senso di colpa ha accompagnato per anni tanti sopravvissuti ai campi di sterminio, segnandoli profondamente. Per lunghi decenni molti non riuscirono a parlarne temendo di non essere creduti e compresi, temendo di doversi giustificare per essere sopravvissuti al genocidio che aveva portato alla morte milioni di ebrei, di antifascisti, di omosessuali, di disabili, di Rom e di Sinti.

Sami Modiano, Shlomo Venezia, Piero Terracina, Nedo Fiano e come loro tanti altri hanno avuto il coraggio e la forza di scalfire il muro dell'indifferenza e di rivivere il loro inferno, rievocandolo, raccontandolo alle generazioni più giovani, rivelando l'indicibile e abbattendo quello stesso silenzio che aveva contribuito non poco all'orrore della Shoah.

In tanti, infatti, avevano preferito voltare lo sguardo altrove, tacere e non prendere atto di quanto stava accadendo.

Ne ha parlato Elie Wiesel, intellettuale e premio Nobel per la pace, proprio in quest'aula, cinque anni fa, quando ha detto: "il silenzio non aiuta mai la vittima: il silenzio aiuta l'aggressore". Come ieri si voleva ignorare ciò che succedeva a pochi chilometri da Cracovia o sotto la stazione centrale di Milano -il famigerato binario 21, da cui partivano i treni dei deportati - oggi si vuole ignorare ciò che succede in tante parti del mondo, consumate da guerre e da stermini, su basi etniche o religiose.

Eppure le vicende drammatiche di quei Paesi pesano sul nostro presente e determineranno sempre di più anche il nostro futuro. Il mondo, ragazzi, è cambiato enormemente in questi settant'anni. Gli europei, che si erano combattuti tra loro per secoli, dopo il secondo conflitto mondiale giurarono "mai più guerre tra noi" e per questo vollero dar vita ad istituzioni comuni fino alla nascita dell'Unione Europea. Guai, a chi sottovaluta la grande conquista della pace che è stata garantita in questi decenni nel nostro continente.

Ma questo traguardo non ci può indurre ad ignorare quel che è avvenuto e che avviene in altri paesi, anche vicini ai confini europei. Cito ancora il discorso tenuto da Elie Wiesel in quest'aula il 27 gennaio 2010, "I testimoni hanno parlato e poco o niente è cambiato nel mondo. Il mondo si è rifiutato di sentire, di ascoltare, si è rifiutato di imparare, altrimenti come possiamo comprendere la Cambogia, il Ruanda, la Bosnia, il Darfur, come possiamo comprendere l'antisemitismo oggi? Se Auschwitz non ha guarito il mondo dall'antisemitismo, cosa potrà farlo?".

È certamente triste e preoccupante constatare che a settanta anni di distanza dall'apertura dei cancelli di Auschwitz molti ebrei stiano lasciando l'Europa perché percepiscono un rischio per la propria sicurezza.

In un momento così delicato ritengo che sia importante ribadire la nostra più forte rassicurazione che faremo di tutto per garantire loro una esistenza tranquilla e serena. Così come dobbiamo contrastare chi semina odio antisemita approfittando anche di strumenti come il web.

Un ultimo pensiero voglio dedicarlo a Carlo Finzi: valente funzionario della Camera, che per molti anni ha lavorato proprio in quest'aula come direttore del Servizio Resoconti e degli studi legislativi.

Nel 1936, due anni prima delle leggi razziali, fu costretto al pensionamento dal regime fascista. Il 16 ottobre del 1943 venne catturato e portato nel lager di Auschwitz-Birkenau dove fu mandato immediatamente alla morte. Desidero concludere con un'ultima citazione, di un altro dei sopravvissuti ad Auschwitz, Nedo Fiano, padre del nostro collega Emanuele, che ha detto: "Il delitto è stato commesso, però l'esistenza dei miei figli e dei miei nipoti sta a dimostrare che nonostante tutto la vita è continuata e la partita l'hanno persa proprio loro".

Affinché si possa vincere definitivamente la partita è importante che quest'aula oggi sia piena di tanti ragazzi ed è a voi che mi rivolgo: prendete in mano il testimone della storia. Se voi non dimenticherete e se imparerete da quanto accaduto, potremo finalmente trasformare la nostra società, fatta di tante culture e religioni, in una società realmente fondata sul dialogo, sul confronto, sul rispetto reciproco e la pari dignità delle sue diverse componenti.

Per fare questo, occorre tutta la vostra intelligenza e la vostra lungimiranza.

Questa giornata del 27 gennaio deve rappresentare per voi un monito da vivere sempre, in tutte le situazioni in cui sarete chiamati a confrontarvi con realtà sociali complesse e spesso ingiuste, in un mondo che a tratti sembra aver dimenticato perfino la tragedia della Shoah.

La forza del ricordo sarà la vostra forza.

Il vostro impegno sarà l'energia vitale della nostra democrazia.

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