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Comunicati stampa

07/07/2015
Relazione annuale 2015 dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Saluto introduttivo della Presidente della Camera, Laura Boldrini
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Benvenuti a tutti e a tutte. Saluto il Presidente del Senato, Pietro Grasso, e i parlamentari presenti. Ringrazio il Presidente dell'Agcom, Angelo Marcello Cardani, e gli altri componenti dell'Autorità, che presentano qui a Montecitorio la loro Relazione annuale sul sistema della comunicazione in Italia.

Ho avuto la possibilità di scorrere il testo in anticipo, e mi ha colpito l'uso frequente fatto dal Presidente Cardani di un'espressione-chiave. La Relazione parla almeno 3 volte di "coesione sociale". Sì, di questo si tratta quando parliamo di comunicazione. Per questa ragione ha senso che il lavoro dell'Autorità venga presentato in sede parlamentare: perché siamo chiamati a chiederci se il modo in cui la comunicazione si evolve - tumultuoso, imprevedibile, per molti aspetti affascinante, per quelli della mia generazione ancora sorprendente - giovi o no al nostro stare insieme, se aiuti a colmare i divari vecchi, di tipo economico-sociale o territoriale, oppure se ne stia producendo di nuovi. Questo a me pare essere il "filo" più importante con il quale legare l'analisi dei mutamenti in corso. E questo filo userò nelle mie brevi osservazioni riguardanti i diversi settori.

Parto dalla Rete perché ci tengo a darvi conto di un lavoro comune fatto qui a Montecitorio nell'anno intercorso dalla precedente Relazione. A luglio 2014 avevamo appena costituito la Commissione per i diritti e i doveri in Internet. L'avevamo fatta nascere perché ci sembrava decisamente anacronistico che un fenomeno che ormai permea in maniera profondissima e irreversibile molti aspetti della nostra vita di ogni giorno continuasse ad essere ignorato in sede istituzionale. E avevamo ben chiaro quanto fosse superficiale ed "ideologica" la tesi secondo la quale bisogna astenersi da ogni intervento sulla Rete per non violarne la spontanea libertà. Tutti abbiamo capito da tempo che, se non ci sono regole, non c'è la libertà di tutti: c'è la regola del più forte. Che si tratti del più forte dal punto di vista politico: come alcuni Stati, anche Stati democratici, che del loro potere fanno uso talvolta assai spregiudicato. Oppure del più forte dal punto di vista economico, i cosiddetti "over the top", che hanno cambiato in questi ultimi anni anche il mercato italiano, le scelte dei cittadini, le classifiche della raccolta pubblicitaria. La Commissione costituita un anno fa, composta da esperti del settore (coordinati dal professor Rodotà) e da deputati di tutti i gruppi, ha definito un insieme di principi basati su un corretto bilanciamento dei diversi diritti ed interessi coinvolti. Sulla prima bozza abbiamo ascoltato molti soggetti rilevanti: a gennaio scorso è venuto in audizione anche il Presidente Cardani a fare le sue osservazioni. Poi sul testo si è aperta una consultazione in Rete, che è servita a raccogliere nuovi suggerimenti da gruppi sociali organizzati e singoli cittadini. Ora puntiamo a chiudere il lavoro in Commissione: entro questo mese la Dichiarazione dovrebbe assumere forma definitiva, per poi andare in Aula e diventare un atto di indirizzo che impegni il Governo a promuovere in tutte le sedi internazionali i principi contenuti nella Carta e a sostenere la necessità di definire una cornice per così dire "costituzionale".

Il Presidente Cardani ci ricorderà tra poco quanti punti di Pil valga la digitalizzazione, secondo le stime dell'Unione europea, e quali siano i ritardi italiani nella realizzazione della banda larga e della banda ultralarga. A me, in termini assai meno specialistici, capita di parlare spesso di una fatidica curva nei pressi della casa della mia famiglia nelle Marche. Quella curva è, nella sua zona, un autentico spartiacque tra la modernità e l'arretratezza, tra lo sviluppo e la stagnazione. Perché prima della curva arriva Internet, dopo no. E così l'agriturismo che sta a valle può vedere crescere i suoi volumi di affari, mentre l'impresa simile che sta a monte è costretta a veder calare la clientela perché non può beneficiare di Internet: quando le persone chiamano per prenotare vogliono anche sapere se c'è il wi-fi. Ciascuno di noi avrà in mente esperienze personali analoghe. E' a tutti chiaro che questo è uno dei temi decisivi per far davvero ripartire il Paese. Ed è anche uno dei terreni cruciali sui quali il soggetto pubblico può assolvere ad un importante ruolo di stimolo e di traino, può essere fattore, appunto, di "coesione sociale": sia per evitare che la modernizzazione tecnologica continui a lasciar fuori territori periferici o poco popolati, dove il privato trova scarsamente conveniente investire; sia per sviluppare un'opera di alfabetizzazione digitale - di giovani e meno giovani - che permetta a tutti, quale che sia il loro ceto sociale, di parlare questa nuova indispensabile lingua.

I dati riguardanti il mondo dell'informazione parlano di una crisi pesante, che si protrae da anni, in particolare per quotidiani e periodici. Ma forse a questa crisi non diamo la necessaria rilevanza perché le notizie ci arrivano addosso da ogni dove, con i nuovi mezzi. Ci sembra di essere costantemente aggiornati, e dunque pensiamo di poter fare a meno dei mezzi di informazione più classici. A me pare invece che il costante declino della diffusione dei giornali - dove il calo delle copie cartacee non è compensato dalla crescita della versione digitale - meriti qualche preoccupazione e qualche riflessione in più, proprio dal punto di vista della coesione sociale. I giornali non sono soltanto fornitori di notizie. Sono anche luoghi di formazione vera dell'opinione pubblica, spesso in modo più articolato di quanto non consentano i tempi e i toni del dibattito televisivo. E dunque mi rivolgo ad una platea che oggi vede riuniti qui tutti gli attori rilevanti del settore editoriale per chiedere se stiamo facendo tutto il possibile perché ai giornali di qualsiasi orientamento, intesi come strumento di crescita culturale e di vera cittadinanza, possano appassionarsi i ragazzi e le ragazze, i potenziali nuovi lettori che oggi mancano all'appello.

La televisione invece si conferma - a dispetto di certe analisi sbrigative e superficiali di qualche anno fa che ne avevano decretato l'imminente scomparsa - mezzo dalla diffusione ancora capillare, determinante nel dibattito pubblico, pur se chiamata ora a competere con i nuovi giganti del digitale. Un solo punto voglio richiamare qui, prima di ascoltare insieme a voi il Presidente Cardani. Sta completando il mandato l'attuale governo della Rai, al Senato si è avviata la discussione sulla riforma del servizio pubblico, e nei primi mesi del 2016 scadrà la concessione tra lo Stato e viale Mazzini. E' il momento giusto, da molti punti di vista, per dirci quello che tutti noi vogliamo dal servizio pubblico. Ho sentito discutere abbastanza del modello della cosiddetta governance, ma spero che nelle prossime settimane si allarghi il dibattito sui compiti, vecchi e nuovi, che alla Rai si pensa di assegnare. E torno al criterio-guida della coesione sociale: devono essere affidate o no, al servizio pubblico che verrà, missioni specifiche - ad esempio - sui temi della alfabetizzazione digitale, della cittadinanza, dell'inclusione culturale, della lotta alle diseguaglianze, della parità di genere? E' una discussione dall'esito non scontato, che però non può più essere rinviata. Bisogna cogliere l'occasione per una nuova, diffusa, partecipata legittimazione del servizio pubblico, sulla base della quale avviare anche l'azione di contrasto ad un'evasione del canone alta come in nessun altro Paese d'Europa.

E rimanendo in tema di coesione sociale, a tutta l'emittenza, pubblica e privata, proprio per la sua capacità di arrivare ovunque, chiedo di sentire una particolare responsabilità nel modo in cui propone ai cittadini temi di grande impatto sociale. Da alcuni mesi questioni come il terrorismo, l'immigrazione, la condizione delle minoranze nel nostro Paese sono al centro del dibattito politico e mediatico. Ritengo fondamentale che soprattutto i media a più elevata diffusione abbiano l'accortezza di alzare lo sguardo oltre i confini nazionali; sappiano non soltanto contare gli arrivi, ma anche spiegare da dove e perché si parte; raccontare la quantità crescente di conflitti che esplodono nel mondo, le cui conseguenze, sia pur in minima parte, ci arrivano addosso, che noi lo si voglia o no; far comprendere la complessità di certi fenomeni, quasi mai liquidabili con la battuta ad effetto per far scattare l'applauso in uno studio tv. Lo dico perché, da spettatrice, ho l'impressione che a volte la ricerca della contrapposizione urlata, dunque più "spettacolare", faccia premio sullo sforzo di far capire i reali termini dei problemi, con tutte le loro difficoltà ed articolazioni. Uno sforzo del quale invece tutto il Paese ha bisogno, perché è quello che aiuta anche noi "decisori" a fare le scelte più giuste.

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