È con grande piacere che rivolgo il mio saluto più cordiale ai partecipanti alla presentazione del Terzo Rapporto di Carta di Roma "Notizie di confine".
La pubblicazione del Rapporto, giunta alla terza edizione, è oramai divenuta un appuntamento importante, più che mai quest'anno, alla luce della crescente rilevanza del fenomeno delle migrazioni.
I dati e l'analisi contenuta nel Rapporto restituiscono con grande efficacia soprattutto l'impatto e la visibilità che i temi dell'immigrazione hanno avuto sui media nei primi dieci mesi del 2015. Due dati mi hanno in particolare colpito: l'incremento dell'80% dei titoli di prima pagina e del 250% dei servizi dei telegiornali dedicati all'immigrazione!
Non posso tuttavia non osservare come il racconto mediatico delle migrazioni si sia non di rado distaccato da quello che la legge professionale esige come criterio fondamentale per una informazione corretta, ovvero il "rispetto della verità sostanziale dei fatti". Un dovere, questo, che impone anzitutto di trattare le notizie relative ai migranti avendo cura di adottare lo stesso metro che si usa per gli italiani. E postula soprattutto che si utilizzino le parole giuste, che descrivano oggettivamente una condizione senza veicolare giudizi negativi o pregiudizi.
Al mondo della comunicazione non si richiede un atteggiamento di particolare "favore" nei confronti dei migranti o dei rifugiati, bensì una rappresentazione veritiera, capace di analizzare in maniera razionale e scevra da preconcetti e stereotipi il fenomeno delle migrazioni.
È di questi stereotipi, infatti, che si alimenta la cosiddetta "imprenditoria politica della paura", sempre molto abile nel toccare i tasti giusti, atti a far montare preoccupazione, malessere, rabbia. Questo avviene in un Paese come il nostro che, forse in conseguenza delle robuste dosi quotidiane di messaggi politici xenofobi se non razzisti, ha progressivamente "abbassato le difese" nei confronti dei discorsi dai toni sprezzanti e violenti. Quelle che all'estero verrebbero classificate come hate speech, da noi vengono spesso trattate come esternazioni "folkloristiche" che, invece, giorno dopo giorno, inquinano il dibattito democratico e abbassano gli standard di civiltà che dovrebbero essere da tutti condivisi.
Non si può trattare allo stesso modo chi manifesta le proprie opinioni e chi incita all'odio con discorsi dai toni sprezzanti e violenti. Non può esserci "parità" tra razzismo e antirazzismo, tra xenofobia e accoglienza. Il confronto deve essere tra posizioni politiche anche diversissime, opposte, ma ispirate comunque a valori che rientrano nel perimetro delineato dalla nostra Costituzione nonché dai Trattati europei ed internazionali.
In questo contesto è dunque quanto mai necessario che la domanda di informazione sia soddisfatta non solo attraverso la rappresentazione veritiera dei fenomeni che vengono descritti, ma fornendo altresì gli elementi di valutazione necessari per la loro comprensione, unici antidoti alle manifestazioni di odio e intolleranza.
A questo scopo occorre "alzare lo sguardo", non riproponendo, soprattutto in televisione, una sterile ed autoreferenziale contrapposizione tra posizioni "semplificate", urlate, sloganistiche, ma allargando e arricchendo il dibattito con il racconto, la testimonianza diretta dei protagonisti: associazioni, migranti e rifugiati.
Il vostro contributo in questa direzione è stato e resta prezioso.
Vi giungano quindi i miei sinceri auguri per il pieno successo dell'evento.