Buon giorno a tutte e a tutti.
Saluto il Ministro Angelino Alfano, la Ministra Beatrice Lorenzin, il Capo della Polizia Alessandro Pansa, e tutti coloro che interverranno nella discussione. Un sincero benvenuto alla Camera dei deputati a tutti i presenti, così numerosi in questa sala.
Ho accettato con molto piacere la richiesta del Prefetto Pansa di svolgere qui a Montecitorio questa iniziativa, perché in quella richiesta ho visto anche il riconoscimento di quanto stiamo facendo alla Camera per porre in primo piano nell'agenda politica del Paese i temi che riguardano la vita delle donne italiane.
Prima di entrare nel merito degli argomenti al centro di questo incontro, consentitemi di rivolgere un caloroso saluto a tutte le donne e gli uomini della Polizia di Stato, impegnati nel contrasto alla criminalità, nella lotta contro le mafie, nel fronteggiare la minaccia terroristica, nel compito, oggi delicato come non mai, di garantire un'ordinata gestione del flusso verso il nostro territorio di migliaia di persone che fuggono da guerre e persecuzioni e chiedono all'Italia e all'Europa sicurezza per sé e per i propri figli.
Affermare concretamente il principio di legalità non è mai stato un esercizio semplice. E' oggi tanto più difficile in un momento di grave crisi economica. Una crisi economica che in Italia, ma non solo in Italia, ha visto crescere le diseguaglianze, la povertà e il disagio sociale, soprattutto nelle periferie delle grandi città. In una situazione come questa alle forze dell'ordine è richiesto uno sforzo in più che è quello di coniugare il doveroso rigore con una forte sensibilità umana e civile nei confronti delle fasce più svantaggiate della popolazione.
Una sensibilità che ho visto all'opera quando nel Dicembre scorso ho visitato il Commissariato di Scampia e ho potuto apprezzare il lavoro che stanno svolgendo in quel contesto difficile le donne e gli uomini della Polizia di Stato.
Gentili ospiti, come sapete quest'anno ricorre il settantesimo anniversario della partecipazione al voto delle donne italiane. Votarono, per la prima volta, nel 1946 per le elezioni amministrative, per l'Assemblea Costituente e per il referendum istituzionale che sancì la vittoria della scelta repubblicana. Fu un evento storico e di grandissimo valore perché in quel modo veniva resa giustizia a metà della popolazione italiana e il nostro Paese entrava così nel consesso delle nazioni moderne e civili.
Da allora sul cammino dell'emancipazione femminile sono stati compiuti molti passi avanti. E' accaduto nella legislazione, con il nuovo diritto di famiglia del 1975, con la legge sul divorzio, con quella sull'interruzione volontaria della gravidanza e più recentemente con la ratifica della Convenzione di Istanbul ( che qualifica la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e non come un fatto privato) e con le nuove misure assunte dal Governo e dal Parlamento per reprimere i reati di violenza contro le donne e punirne severamente i responsabili.
Ma non è stato un cammino facile né lineare. Pensate che soltanto nel 1981 venne cancellata dal codice penale la norma retriva e umiliante per le donne del cosiddetto "delitto d'onore", secondo la quale si concedeva una riduzione della pena per chi uccideva la moglie, la figlia o la sorella allo scopo di difendere "l'onor suo e della famiglia" di fronte ad una "illegittima relazione carnale". E solo allora, nel 1981, si riuscì ad abrogare l'altra vergogna costituita dal cosiddetto "matrimonio riparatore" che cancellava il reato di stupro nel caso in cui il colpevole accettasse di sposare la propria vittima. E si dovette aspettare il 1996 perché la violenza sessuale cessasse di essere un reato contro la morale e diventasse finalmente, come è giusto, un reato contro la persona.
Qualche passo avanti è stato compiuto anche dal punto di vista della rappresentanza di genere nelle istituzioni se è vero che in questa legislatura si è toccata la percentuale più alta di donne parlamentari nella storia italiana e che nel Governo attuale ci sono numerose Ministre e peraltro alla guida di dicasteri importanti.
Io non sono un'appassionata sostenitrice delle "quote rosa" perché so che le donne hanno la forza e le capacità per farcela da sole. Lo dimostra il successo di tante ragazze nel percorso universitario o nei concorsi pubblici. Sono spesso molto più brave degli uomini. Ma è dimostrato che alcune misure sono utili a rompere certi steccati. La maggiore presenza femminile si registra ad esempio in Regioni che hanno introdotto la doppia preferenza di genere, come l'Emilia-Romagna, la Toscana e la Campania. Vanno molto peggio le Regioni che sono prive di questa misura fino ai casi estremi della Calabria, che ha una sola consigliera regionale e la Basilicata nel cui Consiglio siedono soltanto uomini! E allora a chi dice che le cosiddette quote rosa sono una forzatura rispondo che avere un Consiglio Regionale di soli uomini è una forzatura ben più grave, perché in quella sede non viene rappresentata la metà della popolazione e non si possono ascoltare la voce e le idee delle donne.
Ma l'Italia mostra ancora la sua arretratezza soprattutto nella discriminazione sociale. Solo il 47% delle donne lavora ; le donne hanno difficoltà a conservare il lavoro dopo la maternità, a promuovere un'impresa, ad accedere a ruoli manageriali e, a parità di mansioni, percepiscono spesso stipendi più bassi degli uomini. Quando poi arrivano, con una fatica doppia rispetto agli uomini,a posizioni di vertice, viene chiesto loro, di fatto, di rinunciare alla propria appartenenza di genere. Pensateci un po': è normale dire maestra, contadina, infermiera, operaia. Se però dici, che so, ministra, sindaca, amministratrice delegata, ti rispondono che "suona male", che è cacofonico. Ma la società cambia, si evolve e dunque anche il linguaggio deve rispecchiare questo cambiamento. Anche l'Accademia della Crusca dice che tutte le professioni vanno declinate al femminile. Quindi, se non lo si fa è solo una questione di barriere culturali. Se non si accetta di declinare al femminile i ruoli di vertice non si riconosce alle donne il loro valore e il loro percorso.
Quello dell'affermazione delle politiche di genere è dunque un cammino positivo ma ancora irto di ostacoli e di contraddizioni. Ed è in questo contesto che voglio manifestare il mio sincero apprezzamento per il fatto che nella Polizia di Stato a partire dalla riforma del 1981 con la smilitarizzazione del corpo si sia realizzato un pieno accesso delle donne che grazie alla loro professionalità e al loro impegno sono oggi presenti in tutti i ruoli e in tutte le mansioni anche dirigenziali, operative e investigative. Ma va anche ricordato che la presenza delle donne nella Polizia c'era già prima della riforma, dal 1959 (57 anni fa!), attraverso il Corpo di polizia femminile, con personale dedicato alla protezione della donna e alla tutela dei minori. Questa presenza ha certamente contribuito ad accrescere la consapevolezza della gravità del fenomeno rappresentato dall'aumento dei reati che colpiscono le donne, come il femminicidio, la violenza domestica e lo stalking. Per fronteggiare questa situazione sono stati istituiti, presso le Squadre Mobili, uffici con personale specializzato e appositamente formato. La formazione in questo campo è fondamentale perché oltre ad indagare sui reati commessi e a punirne i responsabili, serve anche una particolare capacità e sensibilità per accogliere le donne vittime di violenza.
Ma per fronteggiare efficacemente questa drammatica situazione non basta l'attività preziosa delle forze dell'ordine e delle donne impegnate nella Polizia di Stato, perché è un fenomeno che ha radici sociali e culturali ed è quindi nel territorio, nelle scuole, attraverso i mezzi di informazione che si vince questa battaglia. E poi la si vince creando lavoro: perché una donna che lavora, che è quindi autonoma economicamente, è più forte anche nel respingere le discriminazioni e i comportamenti aggressivi del partner.
Come Presidente della Camera considero l'affermazione dei diritti delle donne un tema di assoluta priorità che non ammette deleghe. Ogni donna si deve sentire impegnata in prima persona in tutte le sfere della sua vita : in famiglia, sul posto di lavoro, nella società. Le nostre figlie devono avere consapevolezza dei propri diritti e noi, rappresentanti dello Stato e del Parlamento, abbiamo il dovere di sostenerle, anche dimostrando che le istituzioni per prime si sentono impegnate in questa battaglia in modo coerente e determinato, approvando leggi giuste, impegnando le risorse necessarie e attivando tutte le iniziative utili, anche quelle simboliche. Perché la cultura e la società hanno bisogno di simboli nei quali riconoscersi.
Sarebbe a questo proposito un segnale importante se tutte le istituzioni concordassero tra loro che ogni volta che una donna cade vittima di femminicidio si espongano le bandiere a mezz'asta in segno di lutto. Sono certa che un segnale di questo tipo sarebbe accolto positivamente dagli italiani e renderebbe in modo efficace la volontà delle istituzioni di combattere questo odioso fenomeno.
Bisogna allora fare squadra: forze dell'ordine, istituzioni, associazioni femminili, centri antiviolenza (che vanno sostenuti), hanno compiti tra loro diversi, e sono tutti indispensabili. Ma per non disperdere le energie bisogna coordinarsi e agire in modo sinergico.
La Camera dei deputati è a disposizione di questo impegno.
Vi ringrazio