Intervento della Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini:
"Sono contenta che siate qui in tanti per questo seminario che ho voluto promuovere insieme all'intergruppo parlamentare per le donne, i diritti e le pari opportunità e in collaborazione con l'Ordine dei giornalisti. Perché ci tenevo molto ad avere come interlocutori sulle questioni relative al tema donne e media proprio gli addetti ai lavori.
Ci tenevo molto che questo nostro confronto si articolasse su due temi: il linguaggio di genere, da una parte, il modo in cui i media raccontano le donne dall'altra.
Saluto dunque la presidente emerita dell'Accademia della Crusca, Nicoletta Maraschio e la professoressa Cecilia Robustelli,docente di Linguistica presso l'università di Modena e Reggio Emilia e collaboratrice della Crusca.
Saluto e ringrazio inoltre i direttori che hanno accettato di partecipare alla tavola rotonda che seguirà questa prima parte: il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, il direttore dell'Ansa Luigi Contu, Antonio Di Bella, direttore di Rainews, Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera, Marcello Sorgi, editorialista della Stampa e Sarah Varetto, direttrice di Sky tg24. Ringrazio poi il Presidente dell'Ordine nazionale dei Giornalisti, Enzo Iacopino, e la Presidente dell'Ordine dei giornalisti del Lazio, Paola Spadari.
Saluto e ringrazio le deputate dell'integruppo che hanno organizzato questo evento, la vicepresidente della Camera, Marina Sereni e la deputata Pia Locatelli.
In questo mio saluto vorrei sottoporvi qualche considerazione e qualche domanda che mi auguro siano utili al dibattito che seguirà.
Quest'anno ricorre il settantesimo anniversario del voto alle donne. Quella data, quel 2 giugno del '46, costituì uno spartiacque,c'è un prima e un dopo. Prima, secondo la dottrina fascista, le donne erano solo mogli e madri; poi divennero soggetto sociale e politico. Le storie delle donne che ci hanno portato al voto meritano di essere raccontate perché tra di loro ci sono dei profili di grande forza, coraggio, determinazione e lungimiranza. Esempi per noi e anche per le nostre figlie. Mi auguro che in occasione del settantesimo anniversario queste donne possano essere ricordate dai mezzi di informazione così come anche auspicato nella mozione approvata oggi qui alla Camera.
E' importante che le donne e le questioni che le riguardano vengano raccontate, rappresentate nella loro completezza. E in quest'ottica il linguaggio gioca un ruolo fondamentale, non è solo una questione di forma: declinare al femminile significa riconoscere la sostanza, riconoscere la storia delle donne e tutte le tappe raggiunte verso l'eguaglianza. Perché la società cambia e con essa anche il linguaggio si evolve. Dieci anni fa ad esempio non dicevamo "cliccare" o "postare", oggi è di uso corrente.
"Toccare la lingua è toccare la persona stessa". Diceva Alma Sabatini, linguista e attivista in tema di diritti delle donne, nella premessa contenuta in un libricino prezioso, datato 1986. Sto parlando delle "Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana", che Sabatini scrisse come componente della Commissione governativa di parità tra uomo e donna. Le sue raccomandazioni sono attuali 30 anni dopo, ahimè!
E così 30 anni dopo siamo ancora qui a chiederci perché sia tanto difficile dire la ministra o l'ingegnera? Mentre non ho mai visto sollevare alcun problema quando si tratta di dire contadina, maestra, cameriera. Sento dire spesso che alcune parole declinate al femminile sono cacofoniche, brutte insomma. Ma è innegabile che una cosa è brutta solo perché non siamo abituati, va ad interrompere un'abitudine, un atteggiamento culturale. E allora si arriva a leggere: "il ministro va a Bruxelles con il marito e i figli". Oppure: "il marito del sindaco è indagato".
La rappresentazione della donne che viene dai media e in primis dalla tv influenza molto l'opinione pubblica. Ecco perché è importante che nelle varie trasmissioni siano rappresentate tutte le categorie femminili, non solo, come accade spesso, le donne dello spettacolo o della moda. Anche nei talk show nonché tra gli opinionisti della carta stampata ci dovrebbe essere un equilibrio tra la presenza maschile e quella femminile.
Raccontare le donne significa mettere al centro i temi che le riguardano. E dunque ad esempio focalizzare l'attenzione su una grande questione come il lavoro, o meglio la mancanza di lavoro femminile. In Italia ancora oggi lavora solo il 47% delle donne e solo il 21% delle aziende vanta una donna al vertice. Una situazione che non ci possiamo permettere, come ha detto bene la presidente del Fondo Monetario Internazionale quando ha spiegato che i Paesi perdono Pil a causa della mancata partecipazione femminile al lavoro. Nel caso dell'Italia si parla di una perdita del 15% di Pil potenziale. Quanto di tutto questo viene raccontato?
Una questione a se stante, poi, riguarda la violenza contro le donne, il femminicidio, ovvero l'uccisione di una donna in quanto donna. Come viene riproposto all'opinione pubblica questo crimine? Spesso raccontando l'assassino come in preda ad un raptus, dunque in qualche modo attenuando la gravità del suo gesto. E invece i dati dimostrano chiaramente che non si tratta quasi maidi raptus e che gran parte delle donne aveva chiesto aiuto o denunciato prima di essere uccisa. Quindi il femminicidio non si può considerare un evento imprevedibile, un'emergenza, ma si è in presenza di un fenomeno strutturale, dunque culturale. Un fenomeno che va trattato e raccontato come tale.
Riguardo a quest'ultimo punto, al femminicidio, oggi, come forse sapete, ho voluto abbassare la bandiera di Palazzo Montecitorio in segno di lutto per tutte le donne uccise dall'uomo che avrebbe dovuto amarle. Un atto simbolico e di attenzione verso le vittime - oltre 1700 donne uccise nel nostro Paese in dieci anni- , ma anche verso i loro figli, spesso spettatori inermi della violenza che ha ucciso le loro madri per mano dei loro padri. Orfani due volte.
1700 donne uccise in 10 anni, significa una media di 170 l'anno, una ogni due giorni. Sono i numeri di una strage E di fronte ad una strage lo Stato osserva il lutto".